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Anatomia di una ripetizione - Parte 8

Stimolare, esaurire e… andare in riserva


A tutti noi palestati piace parlare di pesi e carichi. Meno dei meccanismi che stanno alla base del
mantenimento della prestazione muscolare: possiamo sollevare dei pesi per un tempo limitato, c’è
una relazione fra carico spostato e numero di ripetizioni sostenibili.
Tutti sappiamo della presenza dell’acido lattico che paralizza i muscoli, molto spesso lo ricerchia-
mo. Ma… cosa è? In generale, cosa è la fatica?
In questo articolo parleremo dei metabolismi energetici, i meccanismi che forniscono benzina ai
nostri muscoli. Solitamente, questa è roba ben pallosa. Il ciclo di Krebbs, di Cori, reazioni chimi-
che a piene mani.
In più la trattazione non è mai specifica per chi va in palestra e poche volte viene fatta una distin-
zione fra la fatica che si prova in un 3x3 di panca alla morte con 5’ di recupero e un 1x20 di squat.
Non che io sia un chimico, ma cercherò di dare un’idea di quello che succede all’interno del nostro
corpo
Una benzina, molti serbatoi

P P P P P P

?
Il disegno sopra riportato mostra la benzina del nostro organismo, l’ATP o adenosintrifosfato che
abbiamo incontrato nella contrazione muscolare: l’ATP è caratterizzato da una struttura complicata
con una catena di gruppi fosforici, i cerchietti con la P, i cui legami contengono energia. Questa e-
nergia viene ceduta alle teste di miosina quando un legame si scinde, creando ADP, adenosindifo-
sfato, e Fosforo.
L’ATP risulta perciò fondamentale per contrarre i muscoli, è la benzina del nostro corpo. La do-
manda è: chi è il benzinaio?
Il corpo umano è molto efficiente nella sua lotta alla sopravvivenza, e mette a disposizione di se
stesso diverse strategie, basate sulla rapidità e sulla potenza con cui può risintetizzare l’ATP. I modi
con cui questo avviene vengono definiti metabolismi energetici e possono essere visti come dei ser-
batoi da cui attingere ATP.
L’ATP libero nei muscoli è infatti così scarso che è sufficiente solo per un movimento massimale
massimale di pochi decimi di secondo e se non esistesse un meccanismo di fornitura di questa so-
stanza, sarebbero impossibili i più semplici gesti prolungati.

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Metabolismo anaerobico alattacido
Questo modo di produrre ATP avviene in assenza di ossigeno, anaerobico, e senza produzione del
famoso acido lattico, alattacido.

Creatina
CP
P ADP ATP

Nei muscoli è presente il creatinfosfato, CP, che si scinde in creatina e in fosforo P. Il fosforo a sua
volta verrà utilizzato per sintetizzare, a partire dall’ADP, nuovamente l’ATP.
Questo serbatoio fornisce benzina, ATP, in maniera pressochè istantanea, però si esaurisce in una
manciata di secondi. In letteratura a seconda degli studi troverete 5, 8, 13 secondi, ma comunque
“pochi secondi”. Tanta energia, movimenti rapidi e potenti, ma per poco tempo.
Una domanda interessante a cui risponderemo in seguito: ma una volta esaurito, come viene reinte-
grato? Oltre ai serbatoi che forniscono benzina, deve esistere anche un modo per riempire nuova-
mente questi serbatoi!
Metabolismo anaerobico lattacido
Questo modo di produrre ATP avviene in assenza di ossigeno ma con produzione di acido lattico.
O2

O2 Acido Piruvico Acido Lattico


Glucosio

ATP

Il glucosio, uno zucchero presente nel sangue o nei muscoli sotto forma di una sostanza chiamata
glicogeno, si scinde in assenza di ossigeno in ATP e un’altra sostanza, chiamata acido piruvico che,
a sua volta, sempre per mancanza di ossigeno, forma l’acido lattico.
La reazione del disegno è estremamente semplificata, direi da bambini. Stiamo parlando di cascate
di reazioni chimiche, ma l’elemento fondamentale è che il processo, avvenendo in assenza di ossi-
geno, risulta incompleto.
L’assenza di ossigeno impedisce alla reazione di “bruciare completamente” tutti i possibili scarti,
per fare un azzardato parallelo è come un motore che produce ossido di carbonio invece di anidride
carbonica perché la miscela d’aria è insufficiente o la reazione è troppo veloce per l’ossigeno di-
sponibile.
L’acido lattico, perciò, e una specie di scarto metabolico che, come si suol dire, va ad “intossicare” i
muscoli.
Perciò queste reazioni portano ad una grande produzione di energia, superiore a quella del metabo-
lismo anaerobico alattacido, sebbene con più lentezza a mettersi in moto.

2
Metabolismo aerobico
L’ultimo tipo di serbatoio che ci interessa, e che al palestrato piace meno.

Glucosio O2
CO2 H2O ATP

Il glucosio in presenza di ossigeno “brucia” completamente senza alcun tipo di scarto: vengono
prodotti ATP, acqua ed anidride carbonica. Anche in questo caso, le reazioni sono tantissime e
complicate.
Il metabolismo aerobico è capace di sostenere il movimento per un tempo indefinito, attingendo al
glicogeno muscolare, epatico, agli zuccheri del sangue o ai grassi che vengono a loro volta scissi in
componenti sempre più semplici per arrivare al glucosio.

80 100000

90000
70
80000
60
70000
50
60000
Disponibilità
40 50000
Velocità
40000
30
30000
20
20000
10
10000

0 0
ATP Creatina Glicogeno Glicogeno Grasso a
muscolare fosfato muscolare a muscolare a CO2
acido lattico CO2

Il grafico sopra riportato mostra il perché dell’esistenza di questi tipi di reazioni: la disponibilità in-
dica quante molecole di ATP possono essere prodotte da ogni meccanismo energetico, la velocità
indica proprio la rapidità con cui questi ATP possono essere prodotti, diciamo la potenza della rea-
zione.
Le unità di misura sono le millimoli e le millimoli al secondo, ma per quello che ci riguarda è im-
portante il confronto relativo e possiamo lasciare queste unità di misura ai chimici dato che siamo
dei barbari palestrati: se il meccanismo anaerobico alattacido fornisce poca energia, la fornisce in
maniera ben più rapida del metabolismo anaerobico lattacido che, a sua volta, è più veloce del mec-
canismo aerobico che porta il glicogeno a bruciarsi completamente in CO2 e acqua.
Viceversa per le disponibilità di ATP prodotti, con una reazione aerobica con utilizzo di grassi che
ha una disponibilità quasi 50 volte superiore a quella che utilizza il glicogeno, infatti la barra va
fuori scala.
L’efficienza del corpo umano è incredibile e, sulla base dei vari sforzi, butta benzina nel motore at-
tingendo da vari serbatoi.

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Tutto insieme
Qualsiasi sforzo facciamo, che sia correre per prendere il treno o sollevare dei pesi, alla fine abbia-
mo sempre il fiatone se questo sforzo è minimamente intenso e prolungato. Il fiatone è il modo con
cui l’organismo cerca di introdurre più ossigeno nel nostro corpo perché significa che quello nor-
malmente utilizzato non è sufficiente per le reazioni interne: si parla in questo caso di debito
d’ossigeno.
E’ importante sottolineare che queste reazioni non avvengono a comparti, come gli stadi di un raz-
zo, ma nel tempo si sovrappongono in funzione del tipo di sforzo. Faccio una serie di esempi che
riguardano una volta tanto la palestra e non la bicicletta o la corsa.
Creatina Ripetizione
CP
Livelli di
P ADP ATP Creatinfosfato

Creatina
CP
P ADP ATP

Le barrette indicano una ripetizione “impegnativa” in un dato esercizio, supponiamo nello squat. Il
lavoro è un 3x1 con ampio recupero. Una ripetizione di squat dura circa 5 secondi, il metabolismo
interessato è quello anaerobico alattacido: di sicuro non si sperimenta bruciore durante un 3x1 con 5
minuti di recupero eh…
Durante la ripetizione la reazione è quella in alto, dove il CP “brucia” per fornire ATP: i livelli di
CP scendono. Durante il recupero, però, il CP viene risintetizzato secondo la reazione inversa sotto
riportata, che inizia con l’ATP. Ma… chi lo fornisce questo ATP durante il recupero?
Provate un 10x1 o un 20x1 con un bel recupero: dopo 4 o 5 singole iniziate ad avere il fiatone. Per-
ciò, se durante l’esecuzione delle singole usate il metabolismo anaerobico alattacido, il vostro corpo
ha anche fatto partire le altre reazioni. Quali che siano, se aerobiche o lattacide o un mix dei due è
poco importante, mentre è fondamentale che comprendiate la contemporaneità dei meccanismi e-
nergetici.
Queste reazioni producono ATP che può essere utilizzato subito o può servire per far tornare
l’organismo in equilibrio. Durante il recupero iniziate a produrre da subito acido lattico per produrre
ATP per risintetizzare il CP. Se lo sforzo non è intenso e il recupero ampio l’acido lattico viene a
sua volta bruciato tramite l’ossigeno che respirate normalmente, o quasi. La sensazione “da acido
lattico” non è percepita, ma ciò non significa che non sia prodotto.

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Livelli di acido
lattico

Livelli di
Creatinfosfato

t
Questo è quanto accade in un lavoro a singole impegnative con recupero completo: l’acido lattico
inizia a crescere poiché per fornire l’ATP consumato, necessario per creare nuovo CP, il glicogeno
viene bruciato in maniera anaerobica. Ad un certo punto si raggiunge un equilibrio.
L’acido lattico nei muscoli si scinde in due componenti: ioni lattato, LA-, e ioni idrogeno, H+. Per
essere precisi, acido lattico e lattato sono sinonimi, ma in realtà stiamo parlando di due cose diverse.
Gli ioni LA- e H+ dalle fibre prodotte si riversano in altre fibre e nel sangue. La “tossicità”
dell’acido lattico è data dalla sua “acidità”, cioè dallo ione idrogeno che va ad interferire con certe
reazioni della fibra che vedremo, rendendo la contrazione sempre più difficile.
L’acidità si misura in termini di concentrazione di ioni, con un indicatore detto pH: per quello che ci
riguarda, un valore di pH pari a 7 indica una situazione neutra, valori inferiori indicano acidità. Nel-
la cellula sono presenti dei meccanismi per compensare l’incremento di acidità, mentre lo ione latta-
to viene a sua volta recuperato.
Ossidazione
Ossidazione
(circa
(circa¾)
¾)
Lattato
Lattato
Glicogenesi
Glicogenesi
(circa
(circa¼)
¼)
In questo senso il lattato è un metabolita energetico: può essere riutilizzato per produrre glicogeno,
oltre che ad essere bruciato tramite l’ossigeno, cioè ossidato. L’ossidazione avviene nelle fibre mu-
scolari che lo hanno prodotto, in quelle attigue, in quelle non impegnate, nel cuore, nei reni.
Perché questa ossidazione avvenga è necessario ossigeno, perciò inizia il fiatone, anche se stiamo
parlando di singole con 4 o 5 minuti di recupero.
Quando i meccanismi tampone dell’acidità non ce la fanno più o l’intero ambiente esterno alla fibra
che ha prodotto l’acido lattico è ugualmente acido, la concentrazione di ioni H+ è tale per cui
l’acidità scende sotto un valore tale che le contrazioni muscolari si arrestano.
Non è il caso dell’esempio prodotto, poiché in un lavoro anche in 20x1 non si ha mai la sensazione
“da acido lattico” ma proviamo un tipo di stanchezza diverso, una specie di “stordimento di testa”.

5
Livelli di acido
lattico

Acidità critica

t
Questo invece è il caso in cui viene diminuito il recupero fra le singole ripetizioni, diciamo da 4-5
minuti a 30-45 secondi: il CP non viene tutto risintetizzato perciò ad un certo punto si esaurisce ed
entra in gioco esclusivamente il metabolismo anaerobico lattacido. Durante le pause il lattato viene
ossidato ma non viene smaltito del tutto, come gli ioni H+ che non sono tamponati completamente.
L’acidità delle fibre aumenta, come il fiatone per ossidare il lattato, ad un certo punto si raggiunge il
livello di acidità che crea la paralisi muscolare. Fine dei giochi.

t
Nella situazione in alto fra i gruppi di singole vi è un recupero completo che elimina tutto l’acido
lattico e ristabilisce tutto il creatinfosfato: è possibile riprendere ad allenarsi. Viceversa, in basso un
recupero incompleto che porta il secondo gruppo di singole ad essere composto da meno ripetizioni.
Estendete il concetto considerando un gruppo di singole come una serie di più ripetizioni e avremo
che il caso in alto è un 2x7 a cedimento, quello in basso un 7-5. Perciò, o recuperate completamen-
te, oppure scalate le ripetizioni, oppure se volete mantenere le ripetizioni scalate il carico.
E’ importante sottolineare che gli allenamenti in palestra sono di tipo impulsivo: stimolo, recupero.
Una serie, per quanto prolungata, ha una durata dell’ordine di 30” o meno, con delle pause. I meta-

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bolismi interessati sono perciò in pratica quelli alattacido e lattacido durante le singole serie. Il me-
tabolismo aerobico entra in gioco durante l’intera seduta, insieme ai meccanismi di fornitura ossi-
geno per ossidare l’acido lattico.
Una nota sui consumi energetici
La natura impulsiva dell’allenamento con i pesi crea molta confusione quando vengono misurati i
consumi energetici per ora di attività in palestra. Troppa variabilità che impedisce una chiara misu-
ra. Attività come corsa e bicicletta, invece, basate sulla velocità, pendenza, pulsazioni del cuore,
permettono di correlare in maniera più precisa i consumi ad altri parametri vitali.
Attività come la bicicletta su percorsi a pendenza variabile oscillano fra l’aerobico e l’anaerobico
lattacido: salita, produco acido lattico, percorso pianeggiante, lo smaltisco. Contemporaneamente il
metabolismo aerobico continua a fornire l’energia necessaria al mantenimento del passo.
Per l’impulsività e la variabilità degli schemi di allenamento la ricerca sui sistemi energetici in pale-
stra è sempre difficoltosa e difficilmente è possibile trovare studi che siano facilmente trasferibili al
nostro mondo.
Una sensazione di insoddisfazione
Ho sempre trovato la descrizione dei meccanismi energetici come “scolastica” e non soddisfacente:
una specie di lezioncina che va bene per tutti, senza che rispondesse alle domande interessanti: c’è
differenza fra uno squat in 3x3x90% o in 1x20? Perché sono “stanco” in maniera differente?
Chiunque sa che se l’acido lattico ha un ruolo primario in un 1x20, di sicuro non ce l’ha in un
3x3x90% con 10 minuti di recupero! Per quale motivo?
Il problema è che gli studi sulla fatica sono incentrati sugli sport dove la fatica è massima, quelli di
endurance, dove l’acido lattico scorre a fiumi, il grasso brucia allegramente e il glicogeno si con-
suma come candele accese.
Viceversa, attività brevi e impulsive, intervallate da recuperi anche ampi, dove è necessario mante-
nere una certa forma esecutiva, sono più “di fino” e la semplice spiegazione con i metabolismi e-
nergetici è limitante. Per affrontare l’argomento “fatica” è però necessario farsi un po’ di palle con
spiegazioni e concetti complicati. Del resto la fatica insorge quando sottoponiamo il nostro corpo,
tutto, ad uno stress: per capire la fatica è necessario sapere quali elementi andiamo a stressare.
Ancora sulla contrazione muscolare
Sono stato indeciso fino all’ultimo sull’inserimento di questa parte, complicata per una trattazione
per chi va in palestra e vuole solo diventare grosso sbattendo pesi verso l’alto, ma se siete i tipi che
ingurgitate tonnellate di integratori tipo Polase, sali di Magnesio e Potassio, roba per la fatica, do-
vreste sapere a che cacchio servono, e su cosa agiscono, no?

Sarcolemma
Fibra muscolare
Reticolo
sarcoplasmatico

Canali T

Oramai sappiamo che le fibre muscolari si contraggono perché i filamenti di miosina scorrono su
quelli di actina, grazie all’ATP come carburante. La contrazione inizia con una “scossetta” da parte

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del motoneurone che “tocca” con la placca motrice la fibra muscolare. Dobbiamo approfondire que-
sto meccanismo!
Una fibra muscolare è avvolta da una membrana chiamata sarcolemma, una specie di guaina che
avvolge le miofibrille. Le miofibrille sono “a bagno” nel sarcoplasma, un fluido intracellulare che
permea le fibre contenente le sostanze nutritive di cui le miofibrille necessitano.
Le singole miofibrille sono avvolte con un reticolo sarcoplasmatico, una complicata struttura che in
precise posizioni ha dei punti di raccolta, dei veri e propri serbatoi che contengono ioni Calcio,
CA2+ (uno ione è una sostanza con carica elettrica, positiva o negativa che sia, nel caso del Calcio
una doppia carica elettrica positiva, da cui il 2+) Per quello che ci interessa il reticolo sarcoplasma-
tico è un insieme di condotti capaci di veicolare il Calcio dai propri serbatoi dentro le miofibrille.
Sarcolemma e reticolo sarcoplasmatico sono collegati con ulteriori strutture chiamati Canali T, che
possono essere schematizzati come dei condotti che scorrono dall’esterno del sarcolemma verso
l’interno lungo le miofibrille, con punti di contatto con il reticolo sarcoplasmatico.

Assone del Placca motrice


motoneurone
Vescicole
sinaptiche
Canali T

Spazio intersinaptico Sarcolemma

Il disegno sopra riportato illustra la disposizione dei canali T sulla superficie della fibra muscolare.
Complicato? Non avete ancora visto niente e considerate che per ogni frase che ho scritto ci sono
risme di carta da studiare in dettaglio.
1 – Impulso nervoso
- - + + + + + + + +
+ + - - - - - - - -
2 – Ioni Calcio dall’esterno + + - - - - - - - -
- - + + + + + + + +
Ca2+
- - - - - + + + + +
+ + + + + - - - - -
[Na+] [K+] + + + + + - - - - -
- - - - - + + + + +
+ + + + + + +
ACh - - - - - - -
Na+ - - - - - - - - - -
[Na+] [K+] + + + + + + + + + +
K+ + + + + + + + + + +
- - - - - - - - - -
3 – Rilascio acetilcolina [Na+] [K+]
+ + + - - - - - - -
- - - - - - -
- - - + + + + + + +
+ + + + + + +
4 – Attivazione scambio Sodio-Potassio - - - + + + + + + +
[Na+] [K+] + + + - - - - - - -

Che ne dite di questo? Un dettaglio della placca motrice per spiegare cosa accade quando arriva un
impulso nervoso:

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1. L’impulso nervoso che scorre sull’assone arriva fino alla placca motrice. Per adesso imma-
ginatevi una piccola scossa elettrica
2. L’impulso innesca una serie di reazioni chimiche dentro la placca che portano ad assorbire
ioni calcio, CA2+, ontenuti nel sarcoplasma che è per questo che viene definito come il flui-
do necessario al funzionamento della fibra muscolare.
3. Il Calcio attiva a sua volta il rilascio dell’acetilcolina sul punto di contatto della placca con
la fibra, in speciali posizioni chiamate vescicole sinaptiche.
4. L’acetilcolina permette la variazione della concentrazione di Sodio e Potassio per far partire
un potenziale d’azione lungo la superficie del sarcolemma
Ok, un altro piccolo sforzo, non l’ultimo però. Il sarcolemma è polarizzato, è presente cioè una ten-
sione elettrica, un voltaggio, come una pila. Questo è dovuto alla presenza di cariche elettriche sotto
forma di ioni: Nel disegno trovate le diciture [Na+][K+], che indicano le concentrazioni dello ione
Sodio, Na+, e dello ione Potassio, K+.
Sodio e Potassio sono presenti sia all’interno che all’esterno del sarcolemma, sulla superficie. Però
per un giochetto di concentrazioni l’esterno risulta più “positivo” dell’interno e complessivamente il
sarcolemma ha una carica esterna positiva.
L’acetilcolina ha la capacità di invertire localmente la polarità, come nella figura in alto a destra
sempre nel disegno precedente: il sarcolemma diventain pratica “negativo” all’esterno (o meglio,
meno “positivo” della condizione a riposo) e “positivo” all’interno. Senza entrare nel dettaglio, que-
sta condizione ha la capacità di propagarsi lungo tutto il sarcolemma, che diventerà “negativo” in un
tempo rapidissimo dell’ordine di 1 millisecondo: la carica elettrica negativa si propaga come
un’onda velocissima, e questa carica elettrica viene definita potenziale d’azione.
Una volta che il potenziale d’azione si è propagati si instaura nuovamente la condizione di partenza.
Il potenziale d’azione è perciò definito come una corrente elettrochimica dovuta alla variazione
della concentrazione di ioni.
Il meccanismo descritto è assolutamente identico a quello che genera l’impulso elettrico in uscita
dal nucleo del neurone e che viaggia sull’assone per comandare la contrazione della fibra! Sempre
un potenziale d’azione!

Potenziale d’azione
Canale T

Reticolo sarcoplasmatico

7 – Recupero degli ioni Calcio


5 – Diffusione ioni Calcio

6 – Contrazione
Ok, gran casino ma… a che serve questo potenziale d’azione? Ecco un altro criptico disegnino! Il
potenziale “scorre” sulla fibra, e penetra dentro attraverso i famigerati Canali T. All’interno dei Ca-

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nali T l’impulso attiva la diffusione degli ioni Calcio contenuti nei serbatoi del reticolo sarcopla-
smatico dentro il sarcoplasma e le miofibrille.
Gli ioni calcio sono necessari per la contrazione muscolare, e rimangono all’interno delle miofibril-
le fino a che è in atto il potenziale d’azione. Poi gli ioni vengono recuperati per tornare all’interno
dei serbatoi.
Lo so che sembra impossibile che funzioni così, ma… funziona così. A questo punto vi chiedo
l’ultimo sforzo, perché deve essere spiegato a cosa serve il fottuto calcio che viene diffuso
all’interno delle miofibrille.
Sappiamo che l’ATP è il carburante che permette lo scorrimento delle fibre. Permette alla miosina
di scorrere sull’actina. L’ATP è però libero all’interno delle miofibrille, perciò la miosina scorre-
rebbe sempre sull’actina e le fibre muscolari sarebbero sempre contratte: deve esistere un meccani-
smo che impedisce lo scorrimento quando questo non è richiesto.

Testa della Miosina

Troponina Actina
Troponina
Tropomiosina
Ca2+
Tropomiosina
Actina

Siti di aggancio della Miosina

Miosina Ca2+

Per quanto vi possa sembrare complicato lo schema della miosina e dell’actina che ho presentato in
precedenza, in realtà mancano alcuni pezzi fondamentali: come illustrato nella figura a sinistra del
disegno precedente, sull’actina “scorrono” due ulteriori proteine, la tropomiosina e la troponina che
costituiscono i “lucchetti” allo scorrimento.
Nella figura a destra una sezione dove sono presenti l’actina al centro e le teste della miosina dalle
parti. Sull’actina sono presenti dei siti di aggancio della miosina. Questi siti sono “coperti” dalla
tropomiosina che, a sua volta, è “avvolta” dalla troponina. In questo modo la miosina non può veni-
re a contatto con l’actina e la contrazione non risulta meccanicamente possibile. La troponina può
legarsi con gli ioni calcio, come indicato nel disegno. Se la concentrazione di questi ioni non è ele-
vata, non succede nulla.

Ca2+
Ca2+

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Ma… ecco che arriva una bella iniezione di ioni Calcio dai serbatoi del reticolo sarcoplasmatico,
grazie al potenziale d’azione: questi si legano con la troponina come nella figura a sinistra e quando
la concentrazione risulta sufficientemente elevata attivano una reazione per cui la troponina “ruota”
e fa spostare la tropomiosina, come nella figura al centro. A questo punto la tropomiosina non copre
più i siti di aggancio della miosina che può così attaccarsi all’actina, iniziando la contrazione mu-
scolare.
Fino a che ci sono ioni calcio a sufficienza, la contrazione permane. Quando il potenziale d’azione
cessa e gli ioni calcio vengono risucchiati nei propri serbatoi, la troponina ruoterà in senso inverso e
i lucchetti si chiuderanno di nuovo. No Calcio, No Party, sorry!
Fiuuuu… finita. E’ stato difficile, capisco. Però adesso abbiamo gli elementi per capire cosa sia la
fatica.
La fatica
La fatica è un concetto tanto comune quanto difficile da definire, dato che esistono tantissimi tipi di
fatica, definiti con aggettivi differenti. Una definizione generica ma al contempo precisa per la fati-
ca nel campo dell’allenamento, o in generale delle attività che richiedono un impegno fisico, è data
dall’incapacità di mantenere il lavoro da svolgere all’intensità richiesta.
Sistema
nervoso centrale

Cervello
neuroni di primo livello

Giunzione
Midollo spinale Motoneurone neuromuscolare
neuroni di secondo livello

Canale T

Sistema nervoso periferico

Legami Calcio-Troponina

Fatica centrale Fatica periferica

Il disegno sopra riportato descrive tutta la catena che genera un movimento. E’ questa catena che, a
causa del movimento ripetuto nel tempo, è soggetta a fatica ed è per questo che è stato necessario
definire tutti gli elementi in gioco. L’effetto finale della fatica è impedire lo scorrimento della mio-
sina sull’actina: meno scorrimenti, meno contrazioni muscolari, il movimento non può essere man-
tenuto come vogliamo.
E’ possibile dividere la fatica sulla base delle strutture interessate: una fatica periferica dovuta al
“malfunzionamento” temporaneo dei motoneuroni o di quello che è a valle di esse e una fatica cen-
trale dovuta all’incapacità del Sistema Nervoso Centrale di inviare gli impulsi corretti.
La fatica periferica causa fatica centrale, con molte sfumature. Studi mettono in evidenza come una
fatica periferica protratta nel tempo porti ad una fatica centrale cronica con l’alterazione dei livelli
dei neurotrasmettitori nel cervello, con possibilità di overtraining e depressioni. Ma questo è un ef-
fetto cronico della fatica, in questo momento stiamo analizzando l’effetto acuto e temporaneo.

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Un movimento continuato nel tempo mette sotto pressione le reazioni elettrochimiche del nostro or-
ganismo, alterando la concentrazione degli ioni.
Alterazione dei meccanismi contrattili
Come abbiamo visto, una causa di fatica è dovuta all’esaurimento delle scorte di ATP, Creatinfosfa-
to, glicogeno. Banale: finisco la benzina da tutti i serbatoi, mi fermo.
Le reazioni metaboliche di fornitura dell’ATP creano, nel tempo in cui permane il movimento, delle
condizioni di squilibrio elettrolitico: uno squilibrio della concentrazione delle cariche elettriche in-
terne alla fibra, in questo caso degli ioni.
Questi squilibri portano all’impossibilità di proseguire il movimento anche se la benzina è comun-
que presente. La tossicità dell’acido lattico è un esempio: il metabolismo anaerobico lattacido porta
ad un accumulo di ioni H+ e incremento dell’acidità all’interno delle miofibrille. Gli ioni H+ hanno
la capacità di interferire con gli ioni Calcio necessari per la “rotazione” della troponina, perciò le
contrazioni possibili diminuiranno. La presenza di acido lattico perciò fa diminuire la forza anche se
non si arriva alla classica sensazione di “stop”.
La scissione di ATP in ADP e Fosforo durante la contrazione porta all’aumento della concentrazio-
ne di Fosforo che ha la capacità di stimolare la scissione di glucosio per produrre ATP, ma allo stes-
so tempo è un inibitore della contrazione delle fibre.
Ipossia
Un altro elemento fondamentale nella fatica è la mancanza di ossigeno o ipossia. Le contrazioni
muscolari “strizzano” i capillari presenti nei muscoli e impediscono al sangue di affluire corretta-
mente, creando una situazione in cui l’ossigeno non può arrivare ai muscoli. Questo è tipico sia de-
gli esercizi statici o eseguiti in maniera molto lenta, sia di quelli a elevata durata dove i muscoli de-
vono rimanere contratti per molte ripetizioni.
Non arrivando ossigeno, non è possibile ossidare l’acido lattico o iniziare i meccanismi aerobici.
Alterazione dei meccanismi elettrici
Il potenziale d’azione che scorre lungo il sarcolemma è dato dalla variazione delle concentrazioni di
Sodio e Potassio. Il Sodio “scorre” dentro i Canali T per il rilascio del Calcio dai serbatoi del retico-
lo sarcoplasmatico: il Sodio rimane “intrappolato” nei Canali T e il segnale elettrico inizia a degra-
dare. A questo punto la concentrazione di Calcio dai serbatoi decresce non permettendo di mantene-
re il solito livello di contrazione.
La variazione della concentrazione di Sodio porta ad una impossibilità del mantenimento del poten-
ziale d’azione sul sarcolemma, petanto anche se la placca motrice invia impulsi, questi non si pro-
pagano correttamente sul sarcolemma. Senza questi segnali la contrazione delle miofibrille non può
iniziare.
Anche la placca motrice ha un limite nella trasmissione di acetilcolina per iniziare il potenziale
d’azione, pertanto ad un certo momento il punto critico diventa proprio la giunzione neuromuscola-
re che è impossibilitata ad instaurare un potenziale d’azione.
Infine, i segnali elettrici che scorrono sugli assoni dei vari motoneuroni sono dovuti a variazione
della concentrazione di Sodio e Potassio, perciò alla fine anche questo meccanismo si esaurisce e la
fatica diventa di tipo nervoso-periferico: i motoneuroni non sono più in grado di mantenere i treni
d’impulsi necessari per la contrazione muscolare.
Fatica centrale
Risalendo verso la spina dorsale e il cervello i meccanismi di fallimento elettrochimico sono gli
stessi, ma è molto più difficile stabilire il punto di contatto fra fatica “fisica”, cioè veicolata da pre-
cise alterazioni elettrochimiche, e “mentale”, cioè dovuta a “sensazioni”.
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Uno scenario
Quale è la differenza fra uno squat 1x20 e uno in 3x3x90% con ampi recuperi? Proviamo ad imma-
ginare i due scenari.
Squat 1x20

Le fibre coinvolte sono una parte del totale che compongono i muscoli coinvolti dato che il carico è
lontano dal massimale.
Poiché non tutte le fibre sono coinvolte contemporaneamente, vi è anche una alternanza di segnali
elettrici e dei potenziali d’azione, come mostrato in figura. Un minor coinvolgimento dei meccani-
smi responsabili della generazione dei segnali elettrici permette di posticipare la fatica di tipo “ner-
voso”.
La durata dell’esercizio è tale per cui lo stop è dato essenzialmente dall’acido lattico che con i suoi
ioni H+ “intossica” le fibre muscolari interferendo con gli ioni Calcio necessari alla contrazione
muscolare. L’acidità raggiunge un livello tale per cui lo stop è dovuto all’interruzione del normale
funzionamento dei meccanismi contrattili interni alla fibra.
Questo tipo di esercizio, infatti, non è “difficile” nell’esecuzione dei singoli movimenti, ma nel per-
severare nel proseguimento delle ripetizioni, vincendo la “fatica” nel senso più letterale del termine.
Il fiatone che caratterizza questo tipo di esercizio durante la sua esecuzione è proprio dovuto alla
necessità di ossidare ingenti quantitativi di acido lattico che deborda dalle fibre nei tessuti circostan-
ti e nel sangue.
Squat 3x3x90%
Le fibre coinvolte sono quasi la totalità, comprese quelle a soglia di attivazione più alta che necessi-
tano di segnali elettrici molto più intensi.
Essendo coinvolte praticamente tutte le fibre muscolari non è possibile una alternanza come nel ca-
so precedente, perciò ogni motoneurone, ogni giunzione sinaptica e ogni sarcolemma deve attivarsi
ad una frequenza maggiore del caso precedente.
Per la natura stessa del lavoro l’energia è fornita dal metabolismo anaerobico alattacido che è suffi-
ciente al compimento del lavoro. In questo caso è il meccanismo di generazione dello stimolo elet-
trico che va in crisi, proprio perché è questo che viene stressato: forti impulsi elettrochimici richie-
dono di mantenere inalterate le concentrazioni di Sodio, Potassio, dei vari neurotrasmettitori e del
Calcio extracellulare.
In più, rispetto al caso precedente, vengono utilizzate fibre che richiedono impulsi neurali più “po-
tenti”, perciò lo stress elettrico è sicuramente più intenso. L’elettromiografia mostra che i segnali

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elettrici nel tempo vanno a decrementarsi, a dimostrazione che i motoneuroni non riescono a man-
tenere i necessari treni d’impulsi.
Fatica centrale
I due esercizi terminano perciò per motivi diversi: fatica “metabolica-contrattile” nel primo caso,
fatica “neurale-elettrica” nel secondo caso. Queste “fatiche” risalgono indietro verso il cervello co-
me sensazioni del tutto diverse, ben conosciute da chi è pratico di questi schemi di allenamento:
 Nel primo caso la sensazione è di bruciore, di impastamento dei muscoli, e va combattuta
forzandosi letteralmente a proseguire oltre la soglia del dolore che piace tanto al palestrato.
E’ necessario mantenere la concentrazione sulla singola ripetizione e non su quante ne man-
cano, è necessario saper recuperare con il bilanciere sulle spalle a respiri profondi.
 Nel secondo caso la sensazione è di avere i muscoli che diventano deboli, che non rispondo-
no più ai comandi della testa, la forza che si volatilizza. E’ necessaria la grinta compressa in
un periodo limitatissimo di tempo, ma esplosiva, riuscire a mantenere la concentrazione per-
ché il movimenti rimanga fluido e corretto, coordinando tutti i muscoli nel modo migliore.
A parità di recupero complessivo, ipotizziamo 15 minuti, una nuova ripetizione dell’1x20 è più fat-
tibile del 3x3x90%. Nel primo caso se le 20 ripetizioni non vengono effettuate, comunque è possibi-
le arrivare oltre le 10, forse 14-15, mentre nel secondo caso al massimo si può arrivare a 1-2 ripeti-
zioni al massimo.
I lavori “nervosi” sono più tassanti di quelli “metabolici”, probabilmente perché è più complicato
ristabilire l’attività elettrica. Per questo motivo è possibile, dopo un intenso lavoro “neurale”, passa-
re con successo ad un lavoro più “metabolico”: il primo non ha alterato l’equilibrio delle sostanze
interno alle miofibrille, il secondo non ha bisogno di un coinvolgimento intenso del sistema nervo-
so. E’ possibile anche il viceversa, con più difficoltà e a patto di aver recuperato completamente il
lavoro metabolico.
L’allenamento con i pesi, essendo di tipo impulsivo, è caratterizzato da tipi di fatica che coinvolgo-
no tutta la catena di generazione della contrazione, mentre le attività di endurance, per quanto inter-
vallate, alla fine coinvolgono essenzialmente i meccanismi metabolici.
Integratori per la fatica
A questo punto dovrebbe essere chiaro il motivo per cui esistono integratori a base di elettroliti,
cioè sostanze che disciolte in acqua creano una carica elettrica: l’idea è di ristabilire gli equilibri in-
terni ed esterni alle strutture muscolari.
Funzionano? Permettetemi la mia opinione.

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Come sempre, in palestra c’è l’attenzione maniacale a particolari che negli sport di endurance non si
cagano manco di striscio. Errori, entrambi. Ovviamente, parlo a livello di massa di partecipanti, poi
ci sarà quello bravissimo in queste cose sia in palestra che in bici.
Bere per evitare la disidratazione, mangiare roba fra le serie, prima dell’allenamento, dopo
l’allenamento. Integratori a base di roba che dovrebbe reintegrare livelli di altra roba che è calata…
Ragazzi, ma quanto pensate di faticare in palestra? La palestra non è una attività di endurance dove,
invece, un integratore di maltodestrine al momento opportuno o qualcosa per ristabilire il pH cellu-
lare può fare la differenza fra continuare o scoppiare al bordo della strada!
Se in palestra vomitate, siete cotti, avete i crampi, non andate un cazzo, ok, bevete qualcosa, bevete
un Polase, ma più che altro identificate il problema perché vi state allenando sicuramente a cazzo. A
differenza di una attività continuativa, l’allenamento con i pesi ha dalla sua la variabile del tempo di
recupero. Perciò, sfruttatela.
Spendete i soldi come volete, tanto sono vostri. Potete anche fare un bel causa-effetto, della serie
“io non so una mazza di elettroliti, però se prendo questo mi sento meglio”. Ok, benissimo. Attenti
all’effetto placebo, però. E alle idiozie per fregarvi: se il Calcio è importante per la contrazione mu-
scolare, perché non utilizzare un bell’integratore a base di Calcio? Magari succhiare una stalattite o
un guscio d’uovo eh…
I tamponi, i riequilibratori elettrolitici, tutta la roba per contrastare la fatica deve essere correttamen-
te valutata, poiché non è detto che introdurla dall’esterno faccia sì che arrivi dove serve, quando vo-
lete voi. Perciò, come sempre, attenti.
Allenamento alla fatica ovvero “stimolare ed esaurire”
Come sappiamo, l’allenamento è uno stimolo che stressa il nostro corpo per creare un adattamento.
La fatica è l’effetto di questo stimolo: è l’esaurimento che questo stimolo crea sul sistema bersaglio.
La fatica, perciò, è necessaria perché lo stimolo ottenga l’effetto voluto.
L’organismo innesca i suoi processi di adattamento che lo portano a contrastare meglio la fatica nel
futuro, in modo che possa sopportare meglio lo stesso stimolo stressante. A seconda del tipo di “fa-
tica” si avrà un diverso tipo di adattamento, più neurale o più metabolico.
Poiché la catena di reazioni è estremamente complessa, i vari stimoli colpiranno preferibilmente
punti diversi della catena, anche se esistono molte sovrapposizioni. Allenamenti a basse ripetizioni
e medi recuperi stimoleranno la resintesi del CP, altri a ripetizioni elevate esalteranno la resistenza
all’acidosi delle miofibrille, mentre carichi elevati e recuperi abbondanti forzeranno il sistema ner-

CP CP CP CP

L
L
L L
CP E CP
E
E E L L

t
voso a creare una intensa attività elettrica.
Un corretto allenamento deve perciò esaurire tutti i punti della catena, ma abbiamo visto che non è
possibile che ciò avvenga contemporaneamente, per questo motivo è necessario variare le tipologie
di stimolo, sia durante la seduta, che fra le sedute.
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Nel disegno sopra riportato una esemplificazione dove sono state indicate le macrocomponenti di
stress elettrico, E, stress lattacido, L, stress alattacido, CP. Ogni allenamento sarà caratterizzato da
tipologie di stress diverse, e lo stress complessivo deve essere calcolato anche sul periodo.
Nella selezione dei mezzi allenanti è necessario tenere in considerazione anche le abilità del sogget-
to che viene colpito dall’allenamento stesso: il corpo funziona in maniera globale e l’acquisizione di
una abilità permette di stressarne altre.
Ad esempio, un principiante non ha la capacità di sfruttare i suoi neuroni per inviare stimoli a tutte
le sue miofibrille: non sa reclutare correttamente i suoi muscoli. Meno tessuto muscolare coinvolto,
meno capacità di generare acido lattico. Perciò, inutile stressarlo subito con allenamenti ad alta in-
tensità e alte ripetizioni, meglio invece elevare i suoi livelli di forza con l’affinamento delle capacità
neurali. Questo è il senso di corretta scelta dei mezzi allenanti.
Cedimento si o cedimento no
Allenarsi “a cedimento” è inteso in palestra come tirare una serie fino all’incapacità muscolare a
continuare il movimento. Questa è una errata interpretazione dello “stimolare ed esaurire”.
L’esaurimento implica sempre il “cedimento” di qualcosa, perché solo portando al limite un ele-
mento della “catena della fatica” questo si adatterà allo stimolo, diventando più forte.
Il punto non è se il cedimento vada raggiunto oppure no, ma come raggiungerlo.
E’ estremamente tassante per il sistema nervoso generare stimoli elettrici senza che sia presente la
contrazione muscolare: le sensazioni di ritorno, il “sapere” che i muscoli sono andati in pappa, ci
forza in uno sforzo spasmodico per tentare di farli contrarre: a fronte del fallimento della contrazio-
ne muscolare il cervello continuerà ad inviare segnali elettrici e così i motoneuroni, come se stessi-
mo dando tensione ad un motore elettrico che non gira.
Questa intensa attività elettrica porta al degrado della stessa con conseguenti tempi lunghi per poter-
la ristabilire. Questo è il motivo per cui il cedimento muscolare viene evitato nei lavori di forza: ci
vorrebbe troppo per recuperare.
Un corretto esaurimento deve essere svolto massimizzando l’esposizione allo stimolo allenante.
Nessuno si allena per un 400 entra in pista e schianta un giro alla morte, ma si allena in 4x300 o
5x200: accumula acido lattico in ogni prova e “lotta” per gestirlo al meglio, ma ogni prova non è
massimale in modo che il suo corpo sia esposto all’acido lattico per più tempo possibile.
Per lo stesso motivo un 2x10 di squat è più allenante di un 1x20: maggior carico, maggior coinvol-
gimento di fibre esposte all’acido lattico, maggior volume di lavoro.
Ancora, un 5x2x85% con un recupero medio è più allenante di un 3x3x90% con ampio recupero,
meno stress da carico, più concentrazione su quello che viene fatto, recupero più breve: minor im-
pegno “elettrico”, posso esporre il mio corpo ad un maggior numero di stimoli nello stesso arco di
tempo.
Nessuno ha elementi per determinare quale sia il corretto livello di “esaurimento” di un sistema e-
nergetico, ma l’esperienza insegna sempre che il “troppo” non sia sempre l’”ottimo”.
Se però l’allenamento deve risultare efficace, la fatica nelle sue varie manifestazioni deve comun-
que verificarsi, perché è proprio questa che determina l’adattamento, e perciò l’efficacia dello sti-
molo allenante stesso.
La chiave per l’ipertrofia è da ricercarsi all’interno di questa catena di eventi che parte dal cervello
fino all’ultimo sarcomero. Ma questo sarà oggetto di altri articoli.

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