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rsa l oro inadeguata per decifrare il modo in cui potere e desiderio si articolan

o; li hanno immaginati legati in modo pi complesso e pi originario di questo gioco


fra un'energia selvaggia, naturale e vivente, che sale incessantemente dal bass
o, ed un ordine proveniente dall'alto che cercherebbe di ostacolarla; non si dov
rebbe
immaginare che il desiderio sia represso, per la buona ragione che la legge che
costitutiva del desiderio e della mancanza che lo instaura. Il rapporto di pote
re sarebbe presente gi l dov' il desiderio: illusorio dunque denunciarlo in una rep
ressione che si eserciterebbe a posteriori, come vano partire alla ricerca di u
n desiderio esterno al potere. Ho parlato in modo ostinatamente confuso, come se
si trattasse di nozioni equiva lenti, ora della "repressione", ora della "legge
", del divieto o della censura. Ho trascurato - per testardaggine o per negligen
za - tutto ci che pu distinguere l e loro implicazioni teoriche o pratiche. E capi
sco bene che si abbia il diritto di dirmi: facendo continuamente riferimento a d
elle tecnologie positive di poter e, lei cerca di vincere a buon mercato sui due
fronti; confonde i suoi avversari nella figura del pi debole, e, discutendo solo
della repressione, vuole far cred ere abusivamente che si sbarazzato del proble
ma della legge; eppure, conserva la conseguenza pratica essenziale del principio
del potere-legge, cio che non si sf ugge al potere, ch'esso sempre gi presente e
che costituisce proprio quello che s i tenta di opporgli. Dell'idea di un potere
-repressione lei ha conservato l'elem ento teorico pi fragile, per criticarlo; de
ll'idea del potere-legge, la conseguen za politica pi sterilizzante, ma per farne
l'uso a lei pi comodo. L'intento delle indagini che seguiranno di avanzare piutt
osto verso una "analiti ca" che verso una "teoria" del potere: voglio dire verso
la definizione del camp o specifico che formano le relazioni di potere e la det
erminazione degli strumen ti che permettono di analizzarlo. In realt mi sembra ch
e questa analitica non pos sa costituirsi che a condizione di far piazza pulita
e di liberarsi di una certa rappresentazione del potere, quella che chiamerei -
vedremo in seguito perch - " giuridico-discorsiva." E' questa concezione che domi
na sia la tematica della rep ressione che la teoria della legge costitutiva del
desiderio. In altre parole, q uel che distingue l'una dall'altra l'analisi in te
rmini di repressione degli ist inti da quella in termini di legge del desiderio
certamente il modo di concepire la natura e la dinamica delle pulsioni; non il m
odo di concepire il potere. L'u na e l'altra fanno ricorso ad una rappresentazio
ne comune del potere che, second o l'uso che se ne fa e la posizione che gli si
riconosce nei confronti del desid erio, conduce a due conseguenze opposte: o all
a promessa di una "liberazione," s e il potere ha sul desiderio solo una presa e
sterna, o se direttamente costituti vo del desiderio, all'affermazione: siete tu
tti gi presi in trappola. Non bisogna immaginare, del resto, che questa rappresen
tazione sia propria a quelli che pon gono il problema dei rapporti fra il potere
ed il sesso. Essa infatti molto pi ge nerale; la si ritrova frequentemente nelle
analisi politiche del potere, ed ha l e sue radici probabilmente lontano nella
storia dell'Occidente. Ecco alcuni dei suoi caratteri principali: - "La relazion
e negativa". Fra potere e sesso non stabilisce mai un rapporto, se non in forma
negativa: rigetto, esclusione, rifiuto, ostruzione o ancora occult azione o trav
estimento. Il potere non "pu" nulla sul sesso ed i piaceri, se non d ir loro di n
o; se produce, si tratta di assenza o di lacune; elimina elementi, i ntroduce di
scontinuit, separa quel che unito, segna frontiere. I suoi effetti ass umono la f
orma generale del limite o della mancanza. - "L'istanza della regola". Il potere
sarebbe essenzialmente quel che detta la s ua legge al sesso. Questo vuol dire
innanzitutto che il sesso viene a trovarsi s ottoposto ad un regime binario: lec
ito ed illecito, permesso e vietato. Vuol dir e inoltre che il potere prescrive
al sesso un "ordine" che funziona contemporane amente come forma d'intelligibili
t: il sesso s'interpreta a partire dal suo rappo rto con la legge. Ci vuol dire in
fatti che il potere agisce enunciando la regola: la presa del potere sul sesso s
i farebbe attraverso il linguaggio o piuttosto a ttraverso un atto discorsivo ch
e crea, per il fatto stesso di articolarsi, uno s tato di diritto. Parla, ed la
regola. La forma pura del potere si troverebbe nel la funzione del legislatore;
e la sua azione sarebbe rispetto al sesso di tipo g iuridico-discorsivo.
- "Il ciclo del divieto": non ti avvicinerai, non toccherai, non consumerai, non
proverai piacere, non parlerai, non apparirai; al limite non esisterai, se non
nell'ombra e nel segreto. Il potere non farebbe funzionare sul sesso che una leg
ge di proibizione. Il suo obiettivo che il sesso rinunci a se stesso. Il suo st
r umento la minaccia di un castigo che non altro che la sua soppressione. Rinunc
ia da solo, se no sarai soppresso; non apparire, se non vuoi scomparire. La tua
es istenza non sar conservata che a prezzo del tuo annullamento. Il potere costri
nge il sesso solo grazie ad un divieto che si serve dell'alternativa fra due ine
sis tenze. - "La logica della censura". Questa proibizione supposta assumere tre
forme; aff ermare che non permesso, impedire che sia detto, negare che esista.
Forme in app arenza difficilmente conciliabili. Ma a questo punto s'immagina una
specie di lo gica a catena che sarebbe caratteristica dei meccanismi di censura
: essa connett e l'inesistente, l'illecito e l'indicibile in modo tale che ciasc
uno sia contemp oraneamente principio ed effetto dell'altro: di quel che proibit
o non si deve pa rlare finch non sia annullato nel reale; quel che inesistente no
n ha diritto a ne ssuna manifestazione, nemmeno nell'ordine del discorso che ne
enuncia l'inesiste nza; e quel che va taciuto viene bandito dalla realt come ci ch
e vietato per eccel lenza. La logica del potere relativamente al sesso sarebbe l
a logica paradossale di una legge che potrebbe enunciarsi come ingiunzione d'ine
sistenza, di non-man ifestazione e di mutismo. - "L'unit del dispositivo". Il pot
ere sul sesso si eserciterebbe nello stesso mod o a tutti i livelli. Dall'alto i
n basso, nelle decisioni globali come negli inte rventi capillari, su qualsiasi
apparato o istituzione faccia perno, agirebbe in modo uniforme e massiccio; funz
ionerebbe secondo gli ingranaggi semplici e ripro dotti all'infinito della legge
, del divieto e della censura: dallo Stato alla fa miglia, dal principe al padre
, dal tribunale alla moneta spicciola delle punizio ni quotidiane, dalle istanze
di dominio sociale alle strutture costitutive del s oggetto troveremmo un'unica
forma di potere, soltanto su scale diverse. Questa f orma il diritto, con il gi
oco del lecito e dell'illecito, della trasgressione e della punizione. Che gli s
i dia la forma del principe che formula il diritto, de l padre che proibisce, de
l censore che fa tacere, o del padrone che detta la leg ge, in ogni caso si sche
matizza il potere in una forma giuridica; e se ne defini scono gli effetti come
obbedienza. Di fronte ad un potere che legge, il soggetto che costituito come su
ddito - che "assoggettato" - colui che obbedisce. All'omo geneit formale del pote
re in tutte queste istanze, corrisponderebbe in colui che costretto - che si tra
tti del suddito di fronte al monarca, del cittadino di fro nte allo Stato, del f
iglio di fronte ai genitori, del discepolo di fronte al mae stro - la forma gene
rale della sottomissione. Potere legislatore da una parte e soggetto obbediente
dall'altra. Sotto il tema generale che il potere reprime il sesso, come sotto l'
idea della l egge costitutiva del desiderio, si ritrova l'immagine della stessa
meccanica del potere. Essa definita in modo stranamente limitativo. Innanzitutto
perch sarebbe un potere povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti,
monotono nel le tattiche che usa, incapace d'invenzione ed in un certo senso co
ndannato a rip etersi sempre. In secondo luogo perch un potere che non avrebbe pr
aticamente altr o che la potenza del "no"; incapace di produrre alcunch, atto sol
o a porre limiti , sarebbe essenzialmente anti-energia; il paradosso della sua e
fficacia sarebbe di non potere nulla, se non far s che ci che sottomette non possa
a sua volta fare niente, se non quel che gli si permette di fare. E infine perc
h un potere il cui modello sarebbe essenzialmente giuridico, centrato sul solo en
unciato della leg ge e sul solo funzionamento del divieto. Tutti i modi di domin
io, di sottomissio ne, di assoggettamento si ridurrebbero in fin dei conti all'e
ffetto di obbedienz a. Perch accettiamo cos facilmente questa concezione giuridica
del potere? e per ques ta via l'elisione di tutto ci che potrebbe costituirne l'
efficacia produttiva, la ricchezza strategica, la positivit, in una societ come la
nostra in cui gli appar
ati del potere sono cos numerosi, i suoi rituali cos visibili ed i suoi strumenti
in fondo cos sicuri, in questa societ che fu probabilmente pi inventiva di ogni alt
ra quanto a meccanismi di potere sottili e mobili, perch questa tendenza a non r
i conoscerlo che nella forma negativa e disincarnata del divieto? Perch ridurre i
d ispositivi della dominazione alla sola procedura della legge di proibizione?
C' una ragione generale e tattica che sembra autoevidente: il potere tollerabile
a condizione di dissimulare una parte importante di s. La sua riuscita proporzion
ale alla quantit di meccanismi che riesce a nascondere. Il potere sarebbe accett
a to se fosse interamente cinico? Il segreto non per lui un abuso; indispensabil
e al suo funzionamento. E non solo perch l'impone a quelli che sottomette, ma for
se perch altrettanto indispensabile a questi ultimi: l'accetterebbero se non vi v
ed essero altro che un limite posto al loro desiderio, che permette di ottenere
una parte intatta - anche se ridotta - di libert? Il potere come puro limite trac
cia to alla libert , almeno nella nostra societ, la forma generale della sua accett
abil it. C' forse a tutto questo una ragione storica. Le grandi istituzioni di pot
ere che si sono sviluppate nel Medio Evo - la monarchia, lo Stato con i suoi app
arati sono sorte sullo sfondo di una molteplicit di poteri preesistenti, e in un
certo senso contro di essi: poteri densi, disordinati, conflittuali, poteri lega
ti al dominio diretto o indiretto sulla terra, al possesso delle armi, al servag
gio, a i legami di sovranit feudale e di vassallaggio. Se hanno potuto stabilirsi
in mod o durevole, se hanno saputo, beneficiando di tutta una serie di alleanze
tattich e, farsi accettare, perch si sono presentate come istanze di regolazione
, di arbi traggio, di delimitazione, come un modo d'introdurre un ordine tra que
sti poteri , di fissare un principio per unificarli e distribuirli secondo delle
frontiere ed una gerarchia stabilita. Queste grandi forme di potere hanno funzi
onato, di f ronte a potenze multiformi ed in urto fra di loro, al di sopra di tu
tti questi d iritti eterogenei, come principio del diritto, con il triplice cara
ttere di cost ituirsi come insieme unitario, d'identificare la propria volont all
a legge e di e sercitarsi attraverso meccanismi di divieto e di sanzione. La for
mula "pax et ju stitia" mostra, in questa funzione alla quale pretendeva, la pac
e come proibizio ne delle guerre feudali o private e la giustizia come maniera d
i sospendere il r egolamento privato delle controversie. Probabilmente nello svi
luppo delle grandi istituzioni monarchiche era in gioco ben altro che un puro e
semplice edificio giuridico. Ma questo fu il linguaggio del potere, questa la ra
ppresentazione che ha dato di s e di cui tutta la teoria del diritto pubblico cos
truita nel Medio E vo o ricostruita a partire dal diritto romano ha portato test
imonianza. Il dirit to non stato semplicemente un'arma abilmente maneggiata dai
monarchi; stato, per il sistema monarchico, il modo di manifestazione e la forma
della sua accettabi lit. A partire dal Medio Evo, nelle societ occidentali, l'ese
rcizio del potere si formulato sempre nei termini del diritto. Una tradizione ch
e risale al diciottesimo o al diciannovesimo secolo ci ha abitu ati a porre il p
otere monarchico assoluto dalla parte del non-diritto: l'arbitra rio, gli abusi,
il capriccio, il benvolere, i privilegi e le eccezioni, la conti nuazione tradi
zionale degli stati di fatto. Ma significa dimenticare un elemento storico fonda
mentale, che cio le monarchie occidentali si sono edificate come si stemi di diri
tto, si sono pensate attraverso teorie del diritto ed hanno fatto f unzionare i
loro meccanismi di potere nella forma del diritto. Il vecchio rimpro vero che Bo
ulainvilliers faceva alla monarchia francese - di essersi servita del diritto e
dei giuristi per abolire i diritti ed assoggettare l'aristocrazia - p robabilmen
te fondato, almeno nelle grandi linee. Attraverso lo sviluppo della mo narchia e
delle sue istituzioni si instaurata questa dimensione giuridico-politi ca, che
non certamente adeguata al modo in cui il potere si esercitato e si eser cita, m
a il codice con cui si presenta e con cui ordina che lo si pensi. La stor ia del
la monarchia e la codificazione dei fatti e delle procedure del potere nei termi
ni del discorso giuridico-politico sono andate di pari passo. Malgrado gli sforz
i che sono stati fatti per isolare il discorso giuridico dall' istituzione monar
chica e per liberare l'elemento politico da quello giuridico, l a rappresentazio
ne del potere rimasta impigliata in questo sistema. Prendiamo du e esempi. La cr
itica dell'istituzione monarchica in Francia nel diciottesimo sec
olo non si fatta contro il sistema giuridico-monarchico, ma in nome di un sistem
a giuridico puro, rigoroso, nel quale potrebbero introdursi senza eccessi n irre
g olarit tutti i meccanismi di potere, contro una monarchia che, malgrado le sue
af fermazioni, oltrepassava continuamente il diritto e si poneva al di sopra del
le leggi. La critica politica si allora servita di tutta la riflessione giuridic
a c he aveva accompagnato lo sviluppo della monarchia per condannarla; ma non ha
mes so in dubbio il principio che il diritto debba essere la forma stessa del p
otere e che il potere debba sempre esercitarsi nella forma del diritto. Un altro
tipo di critica delle istituzioni politiche apparso nel diciannovesimo secolo;
criti ca molto pi radicale poich si trattava di mostrare non solo che il potere re
ale sf uggiva alle regole del diritto, ma che lo stesso sistema del diritto non
era che un modo di esercitare la violenza, di annetterla a profitto di alcuni, e
di far funzionare, sotto l'apparenza della legge generale, le dissimmetrie e le
ingius tizie di una dominazione. Ma questa critica del diritto si fa ancora sul
la base del postulato che il potere, per sua assenza e idealmente, debba esercit
arsi sec ondo un diritto fondamentale. In fondo, malgrado le differenze di epoch
e e di obiettivi, la rappresentazione d el potere sempre stata osse

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