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SEMINARI
E CONVEGNI
Atti delle giornate di studio
Pisa, Scuola Normale Superiore
24-25 giugno 2005
Sogni,
favole, storie
Seminario su
Giordano Bruno

Introduzione di
Michele Ciliberto

a cura di
Diego Pirillo e Olivia Catanorchi
2006 Scuola Normale Superiore Pisa
isbn 88-7642-xxx-x
Bruno e la Riforma protestante.
Un confronto dello Spaccio con testi
di Lutero, Calvino e Melantone

1. Premessa

Lo studio del rapporto di Bruno con la Riforma protestante ha co-


nosciuto nel tempo stagioni diverse: c stato chi ha voluto vedere
nelladesione di Bruno al luteranesimo, avvenuta durante il soggior-
no a Wittenberg, una vera e propria conversione (passeggera, ma au-
tentica) alle posizioni dei riformati di Germania; c stato chi, come
Giovanni Gentile1, si invece opposto a tale ipotesi, affermando che
Bruno fosse incline piuttosto a porre tutte le religioni su un uguale
piano di dignit dignit, sintende, che non avrebbe nulla a che ve-
dere con lintrinseco grado di verit che le diverse confessioni possie-
dono, ma si misurerebbe appunto nella funzione meramente politica,
o meglio civile, che ogni religione svolge nella vita di uno stato. Dun-
que il cristianesimo, sia nella sua espressione cattolica sia nelle mol-
teplici declinazioni conferitegli dalla Riforma cinquecentesca, non
sarebbe stato per Bruno buono in quanto vero, ma buono in quanto
socialmente utile, e in questo senso il suo merito risulterebbe identi-
co a quello di qualunque altra religione che sia capace di adempiere
al compito di religare i popoli, cio di unificarli mediante unidenti-
t condivisa. su queste basi, argomenta Gentile, che Bruno pot
coerentemente essere calvinista presso i calvinisti, cattolico presso i
cattolici, puritano presso i puritani, luterano presso i luterani, senza
che ci implicasse uneffettiva presa di posizione (e tanto meno una
conversione) in favore di queste confessioni di pi, senza neppure
implicare la formulazione di giudizi di valore in merito ad esse.
Eppure, dai tempi in cui Gentile dava alla luce queste osservazioni,
sono apparsi numerosi studi che hanno contribuito a modificare in

1
G. Gentile, Bruno e la Riforma, in Id., Giordano Bruno nella storia della cultura,
Milano 1907, pp. 35-48.
158 Sara Miglietti

maniera anche sostanziale il parere espresso, esattamente un secolo


fa, dal filosofo siciliano. Analisi sempre pi approfondite dello Spac-
cio de la bestia trionfante e della Cabala del cavallo pegaseo, i due testi
chiave per affrontare la questione, hanno rivelato in maniera direi
inequivocabile come la relazione tra Bruno e la Riforma si delinei,
almeno in queste opere, nei termini di unopposizione frontale: op-
posizione consapevolmente cercata dal Nolano attraverso la ripresa
e la contestazione sistematica di passi estrapolati dagli scritti dei ri-
formati. stato messo in luce, ad esempio, come intere sezioni dello
Spaccio non siano altro che un ribaltamento pungente, tutto giocato
sul registro dellironia, delle posizioni difese da Lutero nel De servo
arbitrio e ne La libert del cristiano2. stato inoltre notato che le pagine
finali dello Spaccio, l dove Bruno tratta del Capricorno, di Chirone,
del fiume Eridano e della Lepre, possono essere interpretate in par-
te come una ripresa di alcune suggestioni contenute nellInstitutio di
Calvino a proposito del sacramento eucaristico, in parte come un sot-
tile attacco mosso da Bruno contro le stesse e, pi in generale, contro
il cristocentrismo protestante3.
Naturalmente, simili conclusioni rendono necessaria una revisione
del giudizio gentiliano: la determinazione con cui Bruno sferra il suo
attacco ai riformati impedisce di continuare a credere che agli occhi
del Nolano ogni religione risulti buona al pari di tutte le altre. Al
contrario, sinizia a intravedere un preciso criterio discriminante: le
religioni possono essere differenziate a seconda dei frutti che portano:
buoni frutti fanno la religione buona (perch utile, non perch vera,
come Gentile aveva giustamente visto); frutti cattivi fanno la reli-
gione cattiva, perch nociva e svantaggiosa. E quella dei protestanti
chiaramente, secondo Bruno, una religione cattiva, perch produce
pessimi frutti, o piuttosto non ne produce affatto, giacch predica
la salvezza per sola fede inducendo allozio le genti: meglio a questo
punto il cattolicesimo, pur con tutte le sue superstizioni e lodiosa

2
Cfr. M. Ciliberto, Nascita dello Spaccio: Bruno e Lutero, introduzione a G. Bru-
no, Spaccio de la bestia trionfante, Milano 2001.
3
A. Ingegno, Regia pazzia: Bruno lettore di Calvino, Urbino 1987. Cfr. anche G.
Sacerdoti, Caccia e sovranit. Il contesto inglese di una pagina dello Spaccio, in La
filosofia di Giordano Bruno. Problemi ermeneutici e storiografici, Atti del convegno in-
ternazionale (Roma, 23-24 ottobre 1998), a cura di E. Canone, Firenze 2003, pp.
272-273.
159 Bruno e la Riforma protestante

tirannia della tiara papale; almeno, dichiara Bruno, la religione catto-


lica tiene ferma limportanza delle opere, continuando cos a svolgere
il suo compito di stimolo allazione e di vincolo civile.
In un certo senso si pu dire che stata la corretta valutazione del
ruolo centrale di un lemma il lemma frutto a permettere alla criti-
ca di effettuare progressi importanti a proposito del rapporto di Bruno
con la Riforma: valorizzare il primato assegnato da Bruno ai princpi
defficacia e utilit4 stato il primo passo verso la comprensione della
distanza che separa la nolana filosofia dalla visione protestante (o,
per essere pi precisi, dalla visione che Bruno aveva del protestantesi-
mo). Pertanto proprio su questa strada che intendo avviarmi a mia
volta, convinta che lo scavo nel testo bruniano e la paziente ricerca
delle fonti possano rivelare ancora numerose sorprese, gettando luce
su punti per ora oscuri. La questione di cui si rapidamente abboz-
zato il quadro rimane infatti del tutto aperta: resta da fare un lavo-
ro sistematico e approfondito sulle ragioni puntuali dello scontro di
Bruno con Lutero e Calvino; addirittura ancora tutta da impostare
la questione, sempre trascurata ma centrale, del rapporto di Bruno
con Melantone. difficile comprendere le ragioni di tale colpevole
silenzio della critica, specialmente se si considera che Bruno stesso
ad ammettere di aver letto le opere di Melantone, insieme a quelle di
Lutero, di Calvino e di altri heretici oltramontani, tra cui possiamo

4
Gentile aveva gi colto un elemento fondamentale: il carattere essenzialmente
pratico della religione per Bruno. Molto giustamente scriveva: Per Bruno, come pel
Campanella, la religione di un paese , insomma, come la costituzione politica e la
legge positiva di un popolo: le quali si possono criticare in astratto, ma devono essere
osservate in concreto, come dotate di valore assoluto. Pertanto concludeva che
le controversie religiose, suscitate dai Riformatori [] sono dal Bruno condannate
massime per le discordie, le guerre, i danni sociali che venivano a produrre (Genti-
le, Giordano Bruno cit., p. 39). Da queste conclusioni egli traeva per un significato
diverso da quello che la maggior parte della critica vi attribuisce oggi: Linteresse
pratico sta, dunque, al di sopra dellinteresse religioso, e propriamente speculativo,
siccome noi lintenderemmo, delle singole confessioni religiose: e per quellinteres-
se pratico a Ginevra il Bruno non avrebbe potuto onestamente non abbracciare il
calvinismo (p. 41). Invece, il primato della pratica rende necessario il giudizio sul
valore delle diverse confessioni religiose: il calvinismo, religione dellozio e non del-
lazione, non poteva superare lesame di Bruno, il cui soggiorno svizzero ebbe difatti
brevissima durata.
160 Sara Miglietti

annoverare con sicurezza certi antitrinitari europei come Serveto5;


stranamente, mentre i due grandi riformatori e lo stesso Serveto sono
stati oggetto di frequente attenzione da parte dei brunisti (con risul-
tati pi o meno esaustivi), Melantone sempre rimasto una figura
opaca, ombra del suo pi celebre amico e maestro di Erfurt. Ci si
dimentica spesso che fu sua la mano che stese i grandi manifesti del
luteranesimo: la Confessio augustana e gli scritti destinati alla siste-
mazione dottrinale della nuova fede, come quei Loci communes tanto
ammirati dallo stesso Lutero; suo fu anche il piano di ristrutturazione
didattica dellUniversit di Wittenberg, dove Bruno ebbe modo di
soggiornare per due anni, per una volta sereno e soddisfatto. Ma so-
prattutto si tende a trascurare il fatto che la personalit di Melantone
e le sue scelte intellettuali si differenziarono troppo marcatamente da
quelle di Lutero perch le loro posizioni possano essere assimilate in
modo pacifico. Non sempre i due lavorarono in completo accordo:
anzi, col tempo le reciproche divergenze sacuirono a tal punto che
alla morte di Lutero la fazione luterana si frantum definitivamente: i
cosiddetti filippisti, seguaci di Melantone, furono emarginati dal cor-
po della comunit; Melantone stesso, nei suoi ultimi anni, dovette
subire accuse di cripto-calvinismo e dapostasia da parte di luterani
oltranzisti come Flaccio Illirico o Amsdorf6. Pi avanti vi sar modo
di esaminare le ragioni specifiche di tali contrasti; quanto accennato
fin qui credo basti a mostrare quanto sia importante procedere ad
unanalisi puntuale delle opere melantoniane, qualora sintenda svi-
luppare in modo veramente completo la questione dei rapporti tra
Bruno e la Riforma. Il presente studio vorrebbe offrire tra le altre cose
un modesto contributo in questa direzione.
Mi sia infine consentita unultima precisazione, di carattere stret-
tamente metodologico. A mio avviso impossibile affrontare il tema
che ci interessa analizzando esclusivamente la vita o i testi di Bruno:
solo unindagine combinata di entrambi potr sperare di ottenere ri-
sultati reali. Chiunque si sia occupato anche fuggevolmente di studi
bruniani sa che, nel caso del Nolano, lintreccio di filosofia e autobio-
grafia forma un nodo particolarmente complesso, dalla cui compren-

5
L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Roma 1993, p.
177.
6
Cfr. N. Caserta, Filippo Melantone. DallUmanesimo alla Riforma, Roma 1960,
pp. 151-169.
161 Bruno e la Riforma protestante

sione non si pu in alcun modo prescindere per comporre unimmagi-


ne veritiera del suo pensiero7. Comprendere questo nodo significa in
qualche modo accettare di assumerlo come criterio del proprio lavoro
storiografico: dove riflessione filosofica e vita vissuta si implicano cos
strettamente, occorre a mio avviso rivitalizzare il pi possibile questo
nesso nella ricerca stessa, pena lincapacit di penetrare realmente nel
modo di lavorare del nostro autore, nella genesi delle sue riflessioni.
Dunque si detto che Bruno aveva letto le opere dei riforma-
ti; ma forse si pu ancora aggiungere qualcosa. lecito suppor-
re che le avesse affrontate fin dagli anni del periodo conventuale,
poich ricostruzioni recenti8, suffragate da dichiarazioni del Nolano

7
Cfr. M. Ciliberto, Giordano Bruno, angelo della luce tra disincanto e furore, intro-
duzione a Dialoghi filosofici italiani, p. xiii: Per Bruno, nella vicenda personale, esi-
stenziale, che si incarna, e si svolge, il processo di universale renovatio: nel minimo
della quotidianit si esprime, e si svolge, il massimo del processo di restaurazione
dellantica verit []. La riflessione autobiografica aspetto costitutivo di unopera
che attraverso lesperienza e la conoscenza del s si compie e si sviluppa. Al-
lintreccio tra filosofia e autobiografia in Bruno stato dedicato di recente anche un
convegno, i cui atti sono raccolti nel volume Autobiografia e filosofia. Lesperienza di
Giordano Bruno, Atti del convegno (Trento, 18-20 maggio 2000), a cura di N. Piril-
lo, Roma 2003. Quanto emerge da questi studi dato ormai acquisito; pertanto pu
sembrare superfluo ricordare limportanza di un lavoro condotto su binari paralleli,
dove si presti uguale attenzione al dato testuale e a quello contestuale. Tuttavia mi pare
che un limite di certa parte della produzione attuale sul rapporto di Bruno con la
Riforma consista proprio nellaver affrontato la questione adottando sostanzialmente
luna o laltra prospettiva, e perdendo cos di vista questo nesso essenziale, dialettico,
tra esperienza biografica e riflessione filosofica.
8
Nicola Badaloni istituisce un confronto tra alcune affermazioni di Serveto e passi
corrispondenti di Bruno per avallare la tesi di una lettura giovanile dellantitrini-
tario spagnolo da parte di Bruno, e per sostenere che alcuni interessi successivi di
Bruno (testi ermetici e filosofia presocratica) derivino proprio da tale lettura: cfr.
N. Badaloni, Giordano Bruno: tra cosmologia ed etica, Bari 1988. A questipotesi si
oppone invece Corsano, il quale ritiene che Bruno si avvicini allantitrinitarismo
in forza di considerazioni puramente speculative, specialmente di carattere natura-
listico; mentre il problema di Serveto sarebbe stato di segno diverso, e soprattutto
orientato in senso nettamente antiplatonico e antinaturalistico. Peraltro, riferendosi
al rapporto di Bruno con lantitrinitarismo, Corsano riconosce che al centro della
crisi giovanile del Bruno ci fu un problema dindole non filosofica ma teologica: o
162 Sara Miglietti

stesso9, indurrebbero a pensare che diverse opere di carattere teolo-


gico gli fossero gi note dalladolescenza, forse addirittura prima del-
lingresso a San Domenico; del resto, il fatto stesso che in questo
periodo giovanile il suo principale maestro, Teofilo da Vairano, fosse
un agostiniano (proprio come Lutero) non pu che far riflettere. An-
cora, va detto che a questo rapporto interamente mediato dai testi
Bruno scelse poi di affiancare unesperienza diretta delluniverso pro-
testante, forse spinto proprio dal desiderio di osservare da vicino quali
frutti nascessero dai semi che le nuove dottrine andavano spargendo
per tutta Europa. Com noto, infatti, a partire dal 1579 il suo esilio
volontario, intrapreso in via cautelativa, lo condusse a Ginevra, capi-
tale del calvinismo, allora retta da Thodore de Bze10; poi a Oxford,

almeno filosofica solo tanto quanto le era concesso dimpegnarsi nei termini dun
problema teologico (A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgimento
storico, Galatina 2002, p. 48).
9
Firpo, Il processo cit., p. 170: et questa opinione lho tenuta da disdotto anni
della mia et sino adesso; ma in effetto non ho mai per negato, n insegnato, n
scritto, ma sol dubitato tra me, come ho detto.
10
una scelta, questa di recarsi a Ginevra, su cui vale la pena di riflettere. Nel
secondo costituto, Bruno dichiara di essersi diretto l non per speciale interesse verso
la religione calvinista (anzi, dice lui in modo poco credibile, non intendevo di pro-
fessare quella di essa citt [la religione di Ginevra], perch non sapevo che religione
fosse: cfr. Firpo, Il processo cit., p. 160, corsivo mio), ma per viver in libert ed
esser sicuro. Ora, mi pare strano che Bruno, che gi da vari anni (che si dia fede o
meno a quel 1566 da lui stesso suggerito) doveva muoversi su posizioni antitrinitarie,
non concepisse la citt che aveva messo al rogo Serveto come un potenziale pericolo;
quando invece, gi entro la fine degli anni Settanta, gli animatori del movimento
ereticale italiano avevano intuito la convenienza di una fuga a est, abbandonando
Ginevra, Zurigo, i Grigioni (cfr. D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Torino
2002, in particolare il cap. XXVI). Certo almeno due ragioni sembravano suggerir-
gli Ginevra come destinazione ideale: in primo luogo la sua vicinanza geografica a
Chambry, dove appunto Bruno si trovava al momento di prendere una decisione;
poi la presenza di una nutrita comunit italiana, che doveva essergli ben nota (quasi
trentanni prima, la fuga di Galeazzo Caracciolo alla volta di Ginevra aveva fatto
grande scalpore negli ambienti napoletani), e che acquistava per lui il significato
di unenclave familiare in una citt del tutto sconosciuta. Rimane poi il peso di quel
consiglio che Giordano aveva ricevuto dai confratelli a Chambry: addentrarsi ul-
teriormente nella Francia dilaniata dalle guerre civili non gli avrebbe portato nulla
163 Bruno e la Riforma protestante

nel cuore del conflitto tra anglicani e puritani; e infine a Wittenberg,


culla dellavventura luterana. In tutti questi casi, lincontro-scontro
con le realt locali offr a Bruno, nel bene o nel male, unoccasione
per verificare coi propri occhi quanto i libri gli avevano anticipato,
per constatare cio gli effetti concreti di quelle promesse di rinnova-
mento e purgazione dei costumi che tanto dovevano averlo affasci-
nato quando, novizio presso i domenicani, sappassionava alla furtiva
lettura di Erasmo, al richiamo esercitato da una religiosit pi pura.
Sebbene nel corso del processo Bruno fosse attento a sottolineare
il carattere marginale del suo commercio con le comunit riformate,
precisando talvolta contro la realt dei fatti che i suoi soggior-
ni in terre protestanti si erano conclusi sistematicamente con il suo
rifiuto di aderire al culto locale e di conseguenza con un frettoloso
congedo11, ognuno di questi incontri ebbe unimportanza capitale
nello sviluppo del pensiero bruniano, concorrendo chiaramente alla
formazione delle idee che animano le sue opere. Se il ragionamento
corretto, attraverso il dato biografico sar quindi possibile gettare

di buono, data la sua delicata condizione di fuggitivo. Resta comunque il fatto signi-
ficativo che Bruno, ovviamente conscio (checch ne dicesse al processo) di quale
religione si professasse a Ginevra, vi and nella convinzione che quello fosse il luogo
in cui la sua libert e la sua sicurezza potevano essere meglio tutelate; il che non
implica che egli intendesse aderire realmente al calvinismo su questo credo si possa
ben prestar fede alla sua testimonianza ma suggerisce almeno che il suo giudizio sul
calvinismo non fosse fin da principio cos negativo come lo diventer al termine del-
lesperienza svizzera; cfr. S. Ricci, Giordano Bruno nellEuropa del Cinquecento, Roma
2000, p. 125.
11
Agli inquisitori Bruno dichiar di non aver mai partecipato alla Cena durante il
soggiorno ginevrino; sostenne di aver solo assistito per curiosit ai sermoni che la
precedevano e daver seguito talora le prediche di Nicol Balbani, lucchese, amico
e biografo di Caracciolo; ma dopo i sermoni, nellhora che distribuivano il pane al
modo della loro cena, mi partivo et andavo per li fatti miei, n mai ho pigliato del suo
pane n observato questi suoi riti (Firpo, Il processo cit., p. 185). Ma i documenti del
processo subito a Ginevra nellagosto del 1579 sconfessano chiaramente queste sue
dichiarazioni: costretto a ritrattare, Bruno fu riconciliato con la comunit e, secondo
la prassi locale, venne riammesso alla celebrazione della Santa Cena. Ci significa
che prima e dopo questa breve parentesi giudiziaria, Bruno partecip eccome alla
Cena della comunit ginevrina: se agli inquisitori disse il contrario, fu ovviamente
per ridimensionare i suoi rapporti coi calvinisti.
164 Sara Miglietti

luce su passi discussi della produzione del Nolano; e viceversa, lope-


ra andr a sostenere linterpretazione del comportamento che Bruno
tenne in determinate circostanze. questo il metodo a cui mi atterr
nellultima sezione: in essa verr presa in esame la figura di Ercole nel-
lo Spaccio e nellOratio valedictoria (il breve discorso di congedo che
Bruno tenne nel 1588 di fronte al senato accademico di Wittenberg),
e saranno discusse due letture alternative di un passo dello Spaccio
stesso: la prima, formulata da Nuccio Ordine in un suo recente con-
tributo, che difende lidentificazione di Ercole con il re Enrico III12; la
seconda, penso inedita, che propone di interpretare il personaggio di
Ercole in chiave ironica.
Prima ci dedicheremo per a unanalisi ravvicinata del testo dello
Spaccio, affiancando a questultimo diversi brani di Lutero, Calvino
e Melantone che, a mio avviso, consentiranno dinquadrare meglio
largomento che ci interessa, cio il rapporto di Bruno con la Rifor-
ma. Per farlo occorre porsi un problema preliminare: chiaro per noi,
forti di pi di quattro secoli di studi e riflessioni in merito, che non
esistette mai una Riforma, ma molte riforme dalla fisionomia variabi-
le, e che tra Lutero, Calvino e Melantone (per citare solo i maggiori)
sinsinua uninfinita serie di differenze sottili, certo, eppure decisive
per un secolo dotato, come saggiamente ammoniva Bainton, di una
sensibilit esasperata su simili argomenti. Per qualunque discorso di
carattere storiografico occorre naturalmente individuare queste dif-
ferenze, calarsi al loro interno e studiarne le complesse alchimie. E
di sicuro legittimo porsi la delicata questione, se Bruno fosse a sua
volta interessato a operare le dovute distinzioni tra i molteplici esiti
della Riforma, o se fosse piuttosto portato come a prima vista sem-
brerebbe dintuire, leggendo lo Spaccio a condannare ogni ramo del
grande albero protestante sotto il nome del solo Lutero, sua radice
malata. Ma una domanda a cui non si pu rispondere, o almeno
tentare di farlo, se non attraverso i testi; invece, perfino unillustre
esperta di Bruno come Frances Yates scelse di affidarsi unicamente
alloracolo dei verbali del processo, quando si trov di fronte a questo
interrogativo; e fin per scrivere, ricordando la felice esperienza di

12
N. Ordine, Giordano Bruno, Ronsard et la religion, Paris 2004, in particolare il
cap. XIII, Chiron et le roi philosophe: lloge de Henri III, pp. 165-173. Nellultima parte
del lavoro ci soffermeremo sulliconografia della dinastia dei Valois e sui problemi
destati dallinterpretazione di Ordine.
165 Bruno e la Riforma protestante

Bruno a Wittenberg, che evidentemente, i luterani gli andavano


pi a genio degli eretici calvinisti di Francia, o degli anglicani purita-
ni. Sfortunatamente, durante il suo soggiorno, una fazione calvinista
prese il sopravvento su quella che lo proteggeva e per questa ragione
egli dovette partire13. chiaro che non le parve degno di meraviglia
il fatto che Bruno, il quale nel 1584 aveva denunciato a gran voce i
luterani come perversi corruttori di ogni cultura e civilt, solo quat-
tro anni pi tardi finisse per descrivere proprio Wittenberg, la roc-
caforte degli angeli perniciosi, come una seconda Atene, capitale
della sapienza, vigilata dallocchio benevolo di Minerva: per la Yates
ci semplicemente costituiva un dato di fatto. Io credo invece che il
problema vada posto con forza; che poi una soluzione possa essere ef-
fettivamente trovata altra cosa. Pensiamo a quel passo dello Spaccio
in cui Sofia si chiede come sia possibile che le conscienze talmente
affette possano giamai aver vero amor doprar bene, e vera penitenza
e timore di commettere qualsivoglia ribaldaria14. Nel 1584, stabili-
re una societ sulle pessime premesse luterane sembrava impossibile.
Eppure a Wittenberg il Nolano trova, di sicuro a sorpresa, unoasi di
pace, unatmosfera tollerante, caldi incoraggiamenti per il suo lavoro
e per la sua stessa persona. Forse, fattosi un buon concetto dei lute-
rani dopo questesperienza, si ricredette anche sulla qualit della loro
religione?
Di questo parere era ad esempio Raffaele De Martinis, un autore di
fine Ottocento che nel suo Giordano Bruno sosteneva con singolare
accanimento (sono parole di Corsano) la tesi di unadesione, certo
effimera ma nonostante tutto sincera, del Nolano al luteranesimo,
durante la sua permanenza a Wittenberg15. A riprova di questo, oltre
allentusiastico elogio di Lutero contenuto nellOratio con cui Bruno
prese congedo dal senato accademico di Wittenberg prima di trasfe-

13
F.A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari 1969, pp. 333-334.
14
Spaccio, p. 548. Ci torneremo nella terza sezione.
15
R. De Martinis, Giordano Bruno per Raffaele De Martinis, Napoli 1889. Lintero
capitolo III dedicato allesperienza tedesca di Bruno. Lautore, la cui visione forte-
mente pregiudiziale e apologetica del ruolo della Chiesa nella gestione del processo
(cfr. ad es. ibid., pp. 227 sgg.), scrive peraltro che il Nolano ader alla confessione
luterana senza tenere di essa le credenze, n osservandone i comandamenti, come
operava in tutte le confessioni cristiane da lui professate e chegli seguiva solo per suo
opportunismo materiale (ibid., p. 72).
166 Sara Miglietti

rirsi a Praga, De Martinis cita anche lepisodio della scomunica di


Bruno da parte del pastore Vot: come si pu scomunicare chi non
mai entrato a far parte del corpo dei fedeli? Lepisodio apparen-
temente simile a quello ginevrino, e potrebbe essere risolto con ar-
gomenti affini, cio postulando unadesione meramente formale di
Bruno al luteranesimo; ma in realt qui la situazione diversa, perch
a Ginevra potevano risiedere soltanto calvinisti praticanti, mentre a
Helmstdt pare che non esistesse una restrizione di questo tipo. Ci
significherebbe che Bruno si fece luterano non per cause di forza mag-
giore, ma di sua spontanea volont. E tuttavia bisogna considerare
che a Wittenberg Bruno non si limit a risiedere per un certo perio-
do, ma tenne anche lezioni presso lUniversit, cosa che senzaltro
richiedeva un atto pubblico di conformazione alla confessione loca-
le, data lufficialit dellincarico: in tal caso, a Helmstdt Bruno non
avrebbe dovuto fare altro che continuare a salvare le apparenze gi
vestite a Wittenberg16.
evidente che la biografia, presa da sola, non offre molti elementi
per decidere in modo univoco su certi punti oscuri del percorso del
Nolano. Sar piuttosto un esame accurato dellOratio valedictoria (e
in particolare del passo contenente lelogio di Lutero) a permetterci
di riconsiderare pi avanti la questione, mostrando come il giudi-
zio di Bruno sul contenuto generale della dottrina luterana non deve
esser mutato in modo sostanziale neppure in seguito alla favorevole
esperienza tedesca: troppo velenosa la polemica precedente, troppo
profonda la distanza di principio anche se, come vedremo, in certi
casi non mancheranno le sorprese. Si pu dire piuttosto che Bruno, a
Wittenberg, matura una maggior fiducia sulle possibilit culturali e ci-
vili del luteranesimo: egli sembra infatti impressionato dalla disponi-
bilit dei luterani ad offrire ascolto e asilo alla sua filosofia, al contra-
rio di quanto fatto da cattolici, calvinisti e puritani, nei confronti dei
quali forse aveva nutrito maggiori aspettative. E per il Nolano, come
sappiamo, questa non cosa da poco, dal momento che le religioni
vanno giudicate pi dai loro frutti che dai loro contenuti dogmatici,
dai loro princpi, dalle loro dottrine; ecco dunque un caso in cui la

16
Come ricorda lo stesso De Martinis (ibid., p. 57), a Marburgo Bruno si vide
rifiutare un posto da lettore per gravi ragioni, che si possono legittimamente ri-
condurre alla sua mancata professione di fede luterana. Esistevano dunque precise
limitazioni civili nei confronti di chi non si conformava al culto locale.
167 Bruno e la Riforma protestante

biografia pu aiutare a spiegare i testi e in cui i testi, a loro volta, con-


sentono di realizzare appieno il ruolo decisivo di alcuni eventi della
vita di Bruno. Un esempio: una delle critiche pi taglienti mosse nel-
lo Spaccio contro i protestanti riguardava proprio latteggiamento di
questi ultimi verso le istituzioni civili e le iniziative culturali:

Veda qual riuscita facciano essi, e quai costumi suscitano e provocano ne gli
altri, per quanto appartiene a gli atti de la giustizia e misericordia, e la con-
servazione et aumento di beni publici; se per lor dottrina e magistero sono
drizzate academie, universitadi, tempii, ospitali, collegii, scuole e luoghi de disci-
pline et arti: o pure dove queste cose si trovano son quelle medesime e fatte de
medesime facultadi che erano prima che loro venissero e comparissero tra le
genti. Appresso se per loro cura queste cose sono aumentate, o pure per loro
negligenza disminuite, poste in ruina, dissoluzione e dispersione17.

Bruno non poteva ignorare che a Ginevra era stato proprio Calvino
a fondare lAccademia, sul modello dei collegi parigini, dando il pri-
mo impulso allo sviluppo culturale della citt. Il giudizio contenuto
in queste righe chiaramente distorto ed esasperato dal cattivo ricor-
do del soggiorno svizzero: a disturbare Bruno doveva esser stato, pi
di tutto, lutilizzo intollerante che veniva fatto della filosofia presso
lAccademia ginevrina, unistituzione che invece di snocciolare sen-
tenze e reprimere lindipendenza di pensiero avrebbe dovuto promuo-
vere la libera ricerca della verit ai fini del bene comune. Ma a Wit-
tenberg Bruno ebbe modo di sperimentare una declinazione diversa
del rapporto tra Riforma e cultura secolare: ne troviamo le tracce,
enfatizzate dalla retorica ma sincere nellintenzione, nellOratio vale-
dictoria, quando il Nolano ripudia le saggezze straniere ricercate nei
secoli dai sapienti europei, esaltando per contrasto i grandi ingegni
della terra tedesca:

Tutto questo, e anche cose pi grandi, e pi grandi di quelle che voi [i sapien-
ti europei] cercaste in tante e cos grandi regioni del mondo, io ho trovato
nella sola regione di Germania []. Voi, dottissimi, gravissimi e morigera-
tissimi senatori, non mi disprezzaste, e lo studio mio, non del tutto alieno
dallo studio di tutti i dotti della vostra nazione, non lo riprovaste tanto da
permettere che fosse violata la libert filosofica e macchiato il concetto della

17
Spaccio, pp. 545-546 (corsivo mio).
168 Sara Miglietti

vostra insigne umanit: al contrario, mi accoglieste [] ed entro i vostri lari


per circa due anni mi proteggeste, e con mente gioviale mi sosteneste, e non
porgeste affatto le orecchie ai nemici miei, sicch io non potei esser altro per
voi che occasione, materia, soggetto per dare lesempio e mostrar le ricchezze
delle vostre virt di moderazione, urbanit e magnanimit, testimoniandole
al cospetto del mondo18.

Per quanto loccasione ufficiale inducesse senzaltro ad elogi pi en-


tusiastici del consueto, non penso che la calda riconoscenza espressa
qui da Bruno possa essere degradata a pura coloritura retorica19. Ma
bisogna allora porsi un nuovo problema. Sappiamo che Bruno era
giunto a Ginevra con lintenzione di esser filosofo e non uomo di
fede. La stessa orgogliosa rivendicazione ribadita in un altro mo-
mento del processo romano, quando il Nolano dichiara che, nel suo
pratticar con heretici,

leggendo, raggionando et disputando, sempre ho trattato di materie filoso-


fiche, n mai ho comportato che da loro me sia trattato de altro; anci, che
per questo son stato ben visto da Calvinisti, da Lutherani et da altri heretici,
perch me tenevano da filosofo et vedeva[n] che non me impacciava n me
intrometteva nelle loro opinioni. Anci, che da loro era tenuto pi tosto de
nessuna religione, pi tosto che io credesse quanto tenevano loro20.

18
Oratio valedictoria, pp. 22-23 (traduzione mia). Lelogio della Germania quale
dimora europea della sapienza sembra rispondere in parte a un topos: gi Jean Bodin,
nella sua Methodus (1566), si esprimeva in modo simile (J. Bodin, Methodus ad faci-
lem historiarum cognitionem, Aalen 1967, p. 146).
19
A mio avviso va per fatta una distinzione tra lOratio nel suo complesso e lelogio
di Lutero ivi contenuto, su cui torneremo nellultima sezione. In sostanza mi schie-
rerei con Gentile, il quale scriveva: Questelogio di Lutero, puramente rettorico e
privo dogni allusione al contenuto particolare della sua Riforma, che altro pu essere
se non lespressione del vivo senso di gratitudine e di ammirazione, che lanimo del
Bruno doveva naturalmente provare verso questi seguaci generosi di lui, dai quali per
la prima volta, dacch, cacciato dItalia, era andato peregrinando per ogni parte dEu-
ropa in cerca di pace propizia al suo fervido culto della filosofia, era stato reso liberale
omaggio al suo spirito di universale amore umano, al suo titolo di professione filosofi-
ca (Gentile, Giordano Bruno cit., pp. 43-44). In particolare mi trovo daccordo con
le critiche mosse da Gentile allinterpretazione del Felici (ibid., p. 47, nota 1).
20
Firpo, Il processo cit., p. 175.
169 Bruno e la Riforma protestante

Bruno sostiene insomma di aver adottato sempre il medesimo at-


teggiamento verso gli eretici di ogni nazione: mantenersi discosto
dalle dispute religiose per stabilire un rapporto di tipo esclusivamente
intellettuale e filosofico. Tuttavia, come noi sappiamo, lo stesso com-
portamento ebbe di volta in volta conseguenze assai diverse, a secon-
da di quali fossero i suoi interlocutori. Da Ginevra fu cacciato proprio
in quanto fece valere il suo nome di filosofo, contestando linsegna-
mento di Antoine de la Faye, mentre a Wittenberg pot vivere pacifi-
camente per due anni, tra laltro ironia della sorte tenendo lezione
proprio su Aristotele (pomo della discordia nella controversia con de
la Faye), almeno fino a quando la fazione luterana che lo favoriva non
fu schiacciata dalla controparte calvinista. Evidentemente i vertici
delluniversit tedesca avevano intuito la convenienza di un regime
pi condiscendente verso lesercizio delle facolt razionali: separare i
campi di religione e filosofia, garantendo una certa libert dazione a
questultima, poteva rivelarsi una strategia intelligente per evitare sia
limpoverimento culturale, sia le eventuali pretese dei filosofi di avere
voce nel capitolo teologico. Ma senza inoltrarsi nella questione della
politica culturale dei luterani di Wittenberg, sufficiente pensare alla
formazione e al metodo di Bruno per rendersi conto che un ambiente
intriso di ramismo quale quello ginevrino dovesse risultargli assai pi
estraneo e ostile della Wittenberg riformata secondo gli ordinamenti
melantoniani, dove la logica veniva insegnata in senso antiramista
o tuttal pi filippo-ramista (cio accogliendo spunti ramisti, ma su
uno sfondo prevalentemente aristotelico), e perfino il copernicanesi-
mo era stato accolto con favore21.
Insomma, non affatto necessario pensare a una conversione reli-
giosa di Bruno al luteranesimo: quello che fuor di dubbio che un
effettivo avvicinamento vi fu, non per sul piano dottrinale o teolo-
gico, bens su quello pratico-filosofico.

21
Vorrei ringraziare Marco Matteoli per i suoi preziosi suggerimenti e per avermi
segnalato il ruolo rilevante che lantiramismo, condiviso da Bruno e in gran parte da
Melantone, pu aver giocato nellavvicinamento di Bruno ad alcuni settori tedeschi
della Riforma. Utile su questi temi il volume collettivo Giordano Bruno in Wittenberg
(1586-1588). Aristoteles, Raimundus Lullus, Astronomie, hrsg. von T. Leinkauf, Pisa-
Roma 2004 (Supplementi di Bruniana & Campanelliana. Studi, 6).
170 Sara Miglietti

2. Progetti di riforma

Wittenberg segn per Bruno unultima parentesi tranquilla, prima


che ricominciassero le peregrinazioni e gli incidenti diplomatici: il fu-
turo gli riservava ancora il breve viaggio a Praga, la scomunica da par-
te dei luterani, la cacciata da Francoforte, la spiacevole permanenza
in casa Mocenigo e infine lodissea processuale. Ecco perch, sebbene
nel corso degli interrogatori il Nolano dichiarasse ripetutamente la
propria ostilit per le dottrine dei riformati, i suoi compagni di prigio-
nia riferirono pi volte del grato ricordo che il Nolano conservava del
soggiorno tedesco (come anche di quello inglese); tanto che, a sentir
loro, egli aspirava a ripetere lesperienza non appena rimesso in liber-
t. Leggiamo ad esempio una dichiarazione di Francesco Graziano:

Parea che si contraponesse a tutte le cose catholiche secondo che si ragiona-


va, ma per lui le asseriva constantemente e facea professione di dire contra
ogni fede, et indurre una setta nuova, e diceva che in Germania si chiama-
vano Giordanisti []. E molte volte dicea che in Germania li anni passati
erano tenute in prezzo lopere di Lutero, ma che adesso non erano pi stima-
te, perch doppo che hanno gustate lopere sue non vanno cercando altro, e
che havea cominciata una nuova setta in Germania, e che se fosse liberato
di prigione voleva tornare a formarla et instituirla meglio, e che volea si
chiamassero Giordanisti []. E raccont che una volta, giocando alle sorti
con un prete e certi altri giovani, glera toccato per sorte il verso Dogni
legge nemico e dogni fede, e che questo era molto proportionato alla sua
natura, gonfiandosi e gloriandosi di questo; e per quello chio ho conosciuto,
dicea male di Lutero, di Calvino e dognaltra seta e s solo lodava, volendo
vivere a modo suo, perch vivendo e credendo come voleva dicea che non
offendea nissuno []. E dicea chera tenuto in Inghilterra, in Germania e
in Francia, dove era stato per nemico della fede catholica e dellaltre sette,
e veniva favorito come filosofo nuovo chinsegnava la verit, e che se non
fosse stato frate lhavriano adorato22.

Come sempre, non tutto ci che Graziano dice da considerare


immediatamente attendibile23. Della presunta setta dei Giordanisti

22
Firpo, Il processo cit., pp. 250-251.
23
Sullaffidabilit delle testimonianze rilasciate dai compagni di prigionia di Bru-
no, perfino gli inquisitori erano assai scettici; ecco perch, fino agli ultimi mesi del
171 Bruno e la Riforma protestante

egli lunico a darci notizia, e non solo Bruno, ma perfino Moceni-


go nega di averne mai sentito parlare: Non gli ho sentito dire che
volesse instituire nuova setta de Giordanisti in Germania, ma bene
affirmava che, come havea finiti certi suoi studii, shavria fatto co-
noscere per un grandhuomo24. Su altri punti della testimonianza di
Graziano abbiamo invece riscontri di Bruno stesso, dei suoi compagni
di prigionia, di Mocenigo e di Guillaume Cotin (bibliotecario dellab-
bazia di San Vittore a Parigi, che Bruno incontr pi volte durante il
suo primo soggiorno francese): il vanto del verso ariostesco Dogni
legge nemico e dogni fede; il disprezzo per le sette dei riformati e
la rivendicazione orgogliosa della propria libert di credere e dagire,
fintantoch questa stessa libert non avesse offeso i diritti altrui; il
progetto di fondare, come dice Mocenigo nella prima denuncia, una
nuova setta sotto nome di nuova filosofia25 e la sicurezza che questa
nuova filosofia avesse buone probabilit di successo, visto il favore
riscosso in Germania.
Nella stessa direzione vanno la deposizione di Giovan Battista
Ciotti (futuro editore del poeta Marino), il quale aveva conosciuto
Bruno durante la fiera del libro di Francoforte nel 159026, e quella di
un altro editore veneziano, Giacomo Brictano. Questultimo afferma
infatti di aver parlato con il priore del convento francofortese dove
Bruno aveva alloggiato per sei mesi: al carmelitano Bruno avrebbe
detto, tra le altre cose, che gli bastava lanimo de far, se havesse vo-
luto, che tutto il mondo sarebbe stato duna religione27. Si tratta di
una testimonianza molto interessante, in accordo totale con quanto,

1599, Bruno pot ragionevolmente sperare in una conclusione favorevole del proces-
so. D. Quaglioni (Il processo e lautodifesa, in Autobiografia e filosofia cit., pp. 127-145)
ricorda infatti che la prassi inquisitoriale non permetteva di transigere sulla qualit
dei testimoni, i quali dovevano essere irreprensibili carattere che certo mancava ai
sicofanti di Bruno, essi stessi prigionieri dellInquisizione. La denuncia del solo Mo-
cenigo non risultava incriminante, secondo la norma dellunus testis, nullus testis.
24
Firpo, Il processo cit., pp. 248-249.
25
Ibid., p. 144.
26
Ciotti, peraltro, nel primo interrogatorio del 26 maggio 1592 aveva deposto in
maniera favorevole a Bruno, dichiarando di non avergli mai sentito dir cosa, per
la qual abbi potuto dubitar che non sia catolico e buon cristiano (cfr. ibid., pp. 149
sgg.).
27
Ibid., p. 153.
172 Sara Miglietti

nel 1582, Guillaume Cotin annotava nel suo diario: il dit que faci-
lement les troubles de la religion seront ostes, quand on ostera ces
questions, et dit esprer que bien tost en sera la fin. Qui Bruno, con
ces questions, si riferiva nello specifico alle esasperate sottigliezze
del dibattito sacramentale; eppure gi allora due anni prima dello
Spaccio il discorso si legava alla necessit di una riforma pi radica-
le, di carattere fondamentalmente etico-civile, una riforma insomma
ben diversa da quella che era stata avviata in Europa sessantanni
prima. Ancora Cotin: mais souverainement il dteste les hrtiques
de France et dAngleterre, en ce quil[s] meprisent les bonnes uvres
et preschent la certitude de leur foy et justification; car toute la chres-
tient tend bien vivre. E si sente anche linsofferenza bruniana per
la cultura sterile e pedantesca del suo tempo: il mesprise Cajtaine
et Picus Mirandolanus, et toute la philosophie des Jsuites, qui nest
que des questions hors du texte et intelligence dAristote28.
La posizione di Bruno si compone quindi di due parti: innanzitut-
to, una critica serrata ai dogmi del cattolicesimo, razionalmente in-
giustificabili e inutilmente cavillosi, tanto da diventare veri e propri
ostacoli per il raggiungimento di una pace religiosa universale; poi,
un progetto personale di riforma che non si propone semplicemente
di fondare una nuova setta tra tante altre quei giordanisti di cui
discorreva Graziano, ragionando con le sue ristrette categorie ma di
affrontare il problema da un punto di vista completamente diverso.
Lobiettivo chiaro: rinnovare la societ contemporanea attraverso
una rieducazione a quegli ideali civili che il ciclo cristiano ha forte-
mente contribuito ad offuscare. Tale precisamente lorizzonte entro
cui trova genesi lo Spaccio: non tanto di competizione con i riformati,
giacch la sfida di Bruno non si muove sul piano dellesegesi biblica,
n punta a purgare i semplici cuori29. Si tratta invece di porre unal-

28
V. Spampanato, Documenti della vita di Giordano Bruno, Firenze 1933, III, Docu-
menti parigini, II, p. 40.
29
In effetti, nello Spaccio viene dato molto pi spazio alla purgazione esteriore
che a quella interiore, come a suggerire che a contare veramente, anche perch pi
difficile da realizzare, sia in realt la prima: Bisogna mondare e renderci belli non
solamente noi: ma anco le nostre stanze e gli nostri tetti fia mestiero che sieno puliti
e netti; doviamo interiore et esteriormente ripurgarci []. Se vogliamo mutar stato,
cangiamo costumi []. Purghiamo linteriore affetto: atteso che da linformazione di
questo mondo interno, non sar difficile di far progresso alla riformazione di questo
173 Bruno e la Riforma protestante

ternativa radicale a ci che la religione, e soprattutto quella rifor-


mata, offre allumanit cinquecentesca. Da una parte si lavora per
ottenere un rapporto pi diretto con Dio, una fede pi autentica, una
purificazione dellinteriorit; e larma prediletta la filologia bibli-
ca, la rivendicazione della libera lettura dei Testamenti, il ritorno in
chiave polemica al cristianesimo delle origini. Bruno, al contrario,
invoca una riforma dei costumi, sostiene polemicamente il primato
dellesteriorit, ribadisce che primo dovere della religione legare
non luomo a Dio, ma luomo alluomo, poich solo cos attraverso
il riconoscimento della propria essenza socievole e sociale lumanit
pu ritrovare la giusta collocazione nella conversazione universale
con la natura e con Dio. Dunque non una teologia, ma una filosofia e
unontologia forti reggono il grande sogno bruniano: non la parola sa-
cra ne detta le linee basilari, ma il senso e la ragione filosofica.
Per questo, se sotto il profilo della pars destruens ci possono essere
occasionali punti di raccordo con il programma di Lutero o di Calvi-
no, lambizioso sogno di Bruno si costruisce poi su fondamenta assai
diverse. Leggiamo ad esempio la prima denuncia di Mocenigo allin-
quisitore di Venezia, considerandola con le consuete riserve come
un documento sostanzialmente attendibile delle posizioni bruniane:

Molto reverendo Padre e signore osservandissimo, io Zuane Mocenigo, fi-


glio del clarissimo messer Marco Antonio, dinunzio a vostra Paternit molto
reverenda, per obbligo della mia conscienza e per ordine del mio confessor,
aver sentito a dire a Giordano Bruno nolano, alcune volte che ha ragionato
meco in casa mia: che biastemia grande quella de cattolici il dire che il pane si
transustanzi in carne; che lui nemico della messa; che niuna religione gli piace;
che Cristo fu un tristo e che, se faceva opere triste di sedur popoli, poteva
molto ben predire di dover essere impiccato; che non vi distinzione in Dio
di persone, e che questo sarebbe imperfezion di Dio; che il mondo eterno,

sensibile et esterno. La prima purgazione (o Dei) veggio che la fate, veggio che lave-
te fatta; la vostra determinazione io la veggio, ho vista la vostra determinazione, la
fatta, et subito fatta, perch la non soggetta a contrapesi del tempo. Or su,
procediamo alla seconda purgazione. Questa circa lesterno, corporeo, sensibile e
locato. Per bisogna che vada con certo discorso, successione et ordine: per bisogna
aspettare, conferir una cosa con laltra, comparar questa raggione con quella, prima
che determinare; atteso che circa le cose corporali come in tempo la disposizione,
coss non pu essere come in uno instante lessecuzione (Spaccio, pp. 508-509).
174 Sara Miglietti

e che sono infiniti mondi, e che Dio ne fa infiniti continuamente, perch


dice che vuole quanto che pu; che Cristo faceva miracoli apparenti e che
era un mago, e cos glapostoli, e che a lui daria lanimo di far tanto e pi di
loro; che Cristo mostr di morir mal volentieri, e che la fugg quanto che
puot; che non vi punizione de peccati, e che le anime create per opera
della natura passano dun animal in un altro; e che come nascono gli ani-
mali bruti di corruzione, cos nascono anco gli uomini, quando dopo i diluvi
ritornano a nasser.
Ha mostrato disegnar di voler farsi autore di nuova setta sotto nome di nuo-
va filosofia; ha detto che la Vergine non pu aver partorito, e che la nostra
fede cattolica piena tutta di bestemmie contra la maest di Dio; che bisognarebbe
levar la disputa e le entrate alli frati, perch imbrattano il mondo; che sono tutti
asini, e che le nostre opinioni sono dottrine dasini; che non abbiamo prova
che la nostra fede meriti con Dio; e che il non far ad altri quello che non vor-
ressimo che fosse fatto a noi basta per ben vivere; e che se narride di tutti gli
altri peccati; e che si meraviglia di come Dio supporti tante eresie di cattolici30.

E leggiamo ancora le deposizioni dei compagni di prigionia di Bru-


no, che nel corso del processo porteranno al centro dellattenzione
altre questioni tipiche del dibattito del primo Cinquecento: linvoca-
zione dei santi (Frater Celestinus Capuccinus concarceratus Iordani
Venetiis detulit Iordanum dixisse, che il raccomandarsi ai santi cosa
redicolosa e non da farsi)31, il culto delle reliquie (Mattheus de
Silvestris, concarceratus [], repetitus dicit: Diceva che non si dove-
vano adorare le reliquie de santi, n honorare, perch si poteva cos
adorare unosso dun cane, dicendo: Che sapete voi che sia di questi
santi?, e si burlava chuna volta in Genoa fu portato da un Inglese
una coda dasino, in una cassetta, con bombaccio, dicendo chera la
coda dellasino che cavalc Christo, e che noi altri Christiani eramo
ignorantazzi e goffi ad adorare una coda dasino et altre reliquie)32,

30
Firpo, Il processo cit., pp. 143 sgg. (corsivi miei).
31
Ibid., p. 277.
32
Ibid., pp. 278-279. Cfr. anche il dialogo terzo dello Spaccio: Ho visto io gli
Religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo e far baciar la velata coda,
dicendo: Non toccate, baciate; questa la santa reliquia di quella benedetta asina,
che fu fatta degna di portar il nostro Dio dal monte Oliveto a Ierosolima. Adoratela,
baciatela, porgete limosina: Centuplum accipietis, et vitam aeternam possidebitis
(Spaccio, p. 642).
175 Bruno e la Riforma protestante

la venerazione delle immagini (Franciscus Gratianus, concarceratus


Venetiis [], repetitus. Non solo biasmava limagini de santi, ma li
chiamava per idoli, e qualche volta singinocchiava avanti limagini
in prigione, facendo delle buffonerie. E diceva a me, che magis mo-
vent exempla quam verba)33.
Simili posizioni erano in parte gi state raggiunte da Bruno nei pri-
mi anni a San Domenico (proprio per questo si era arrivati allistru-
zione dei processi del 1566-1567 e del 1576): non stupisce perci il
ritrovarvi frequenti echi dErasmo, maestro di giovanili letture, n
lo scoprirvi tanti motivi comuni a quei riformatori cinquecenteschi
che dellerasmismo si erano a loro volta ampiamente nutriti: Lute-
ro, Calvino, Melantone, i sociniani. C ad esempio la critica delle
sottigliezze dogmatiche su materie oscure come la transustanziazione,
che Erasmo sempre denunci, pur non prendendo mai nettamente
posizione sulla questione dellEucaristia (si pensi al noto scambio
epistolare con Pellikan e con Amerbach)34: come abbiamo gi visto,
questo un tema che emerge anche dalla testimonianza di Cotin, il
quale ci dice che Bruno disprezzava les subtilitez des scholastiques,
des Sacrements et mesmement de lEucharistie, lesquelles il dit saint
Pierre et saint Paul avoir ignores, mais seulement sceu que hoc est
corpus meum35. Nelle affermazioni riportate dai compagni di pri-
gionia presente anche la classica polemica contro la degenerazione
della classe sacerdotale, corrotta e ignorante; non manca neppure la
ridicolizzazione di pratiche come il culto dei santi, delle immagini o

33
Firpo, Il processo cit., p. 279.
34
R. Bainton, Erasmo della cristianit, Firenze 1989, pp. 188 e 218; altri accenni
alla questione dellEucaristia si trovano alle pp. 141 (sulla posizione di Lutero) e
184-185 (sulla posizione di Ecolampadio, Carlostadio, Farel padre spirituale di
Calvino e dei sacramentari). Va detto che, almeno in un primo momento, la po-
sizione di Lutero sulla questione della presenza del corpo di Cristo nel sacramento
eucaristico fu abbastanza sfumata: nellopuscolo Della cattivit babilonese della Chiesa
(1520) leggiamo parole nettamente erasmiane: Perch, abbandonando la curiosit,
non ci fermiamo con semplicit alle parole di Cristo, pronti ad ignorare ci che
avviene, contenti di sapere che l c il corpo di Cristo, in virt delle sue parole?
Forse che necessario capire interamente i modi del divino operare? (Della cattivit
babilonese della Chiesa, in M. Lutero, Scritti politici, a cura di G. Panzieri Saija e L.
Firpo, Torino 1949, p. 249).
35
Spampanato, Documenti cit., III, Documenti parigini, II, p. 40.
176 Sara Miglietti

delle reliquie: entrambi sono temi che attraversano come fiumi car-
sici la maggior parte delle opere satiriche di Erasmo, a partire dai
Colloquia; e non dimentichiamo che anche Calvino fu autore di un
fortunato Trait des reliques, che riassumeva gli argomenti tipici della
discussione in materia e passava in rassegna le centinaia di false reli-
quie esposte in tutta Europa, concludendo che il culto dei santi, delle
reliquie e delle immagini (tutti elementi estranei alla Chiesa delle
origini) doveva essere etichettato come superstizione idolatra, ancora
peggiore di quella dei pagani.
Ma non ci si pu fermare alla superficie di queste somiglianze, che
costituiscono al massimo le premesse del ragionamento di Bruno, il
punto di partenza delle sue riflessioni ai tempi in cui, da novizio, leg-
geva gli scoli di Erasmo a Gerolamo e Crisostomo. Questa non altro
che la primitiva diagnosi del male del secolo, poi approfondita con
risultati ben pi originali nel Candelaio (1582, cio lo stesso anno
delle conversazioni con Cotin) e massimamente nello Spaccio, quan-
do Bruno coglier appieno la dimensione metafisica della crisi del
suo tempo. Negli anni Novanta, al momento del processo, ci trovia-
mo insomma alla fine di un percorso filosofico che, pur mantenendo
nessi anche stretti con il nucleo originario delle riflessioni bruniane
(e quindi con le sue fonti primarie dispirazione, in particolare con
lerasmismo), opera entro un quadro generale di riferimenti molto di-
verso. I rilievi polemici restano, naturalmente; ma, rispetto agli anni
giovanili, cambia il contesto in cui Bruno li inserisce, la profondit
speculativa di cui li dota; anche perch nata intanto una nuova,
concreta speranza di poter porre rimedio alla crisi.
Riconsideriamo brevemente la scena XIX dellultimo atto del Can-
delaio, dov rappresentato il dialogo tra Ascanio e Gioan Bernardo
sulla cecit della fortuna. Dice Gioan Bernardo:

Voi la intendete bene. Tutti gli errori che accadeno, son per questa fortu-
na traditora: quella chha dato tanto bene al tuo padrone Malefacio, ed a
me lha tolto. Questa fa onorato chi non merita, d buon campo a chi nol
semina, buon orto a chi nol pianta, molti scudi a chi non le sa spendere,
molti figli a chi non pu allevarli, buon appetito a chi non ha che mangiare,
biscotti a chi non ha denti. Ma che dico io? deve esser iscusata la poverina,
perch cieca, e, cercando per donar gli beni chave intra le mani, camina
a tastoni, e per il pi sabbatte a sciocchi, insensati e furfanti, de quali il
mondo tutto pieno. Gran caso quando tocca di persone degne che son
poche; pi grande, si tocca una de pi degne che son pi poche; grandissimo
ed estra ogni ordinario, tanto chabbi tastato, quanto chabbia a tastare un
177 Bruno e la Riforma protestante

de dignissimi che son pochissimi. Dunque, si non colpa sua, colpa de chi
lha fatta. Giove niega daverla fatta; per o fatta o non fatta chella sii, o
non ha colpa o non si trova chi labbia36.

Tra il serio e il faceto si mostra qui una prospettiva piuttosto cupa:


pare che la provvidenza divina abbia abbandonato il mondo alla ce-
cit del caso, cos che non si sa neppure a chi attribuire la causa delle
manifeste ingiustizie che hanno luogo nel mondo. Noi sappiamo per
che Bruno, in verit, aveva in mente un preciso responsabile: quel
Dio dei cristiani, traditore perch incapace di governare il mon-
do, del quale molte volte si parla nel processo. colpa insomma delle
storture cristiane se il mondo ha perso ogni senso e ordine, se non vi
appare pi alcuna forma di giustizia e il rovesciamento dei rapporti di
merito e premio completo. Al momento non sembrano esserci vie
di fuga: Gioan Bernardo si limita alla diagnosi, senza sapere come il
mondo si potrebbe raddrizzare. Ma solo due anni dopo, nello Spaccio,
la medesima diagnosi si associa a una ben precisa idea su quale possa
essere la cura contro la crisi, quale cio il modo per riportare sulla ter-
ra Dio un Dio comunicato a tutte le cose, madre conservatrice
delluniverso, presenza diffusa in grado di provvedere veramente alle
vicende dei mondi. In realt si tratta di un processo quasi spontaneo:
una volta toccato il fondo il gradino pi basso nella depravazione e
nel rovesciamento dei valori si torner alle radici: una sconvolgente
renovatio senza dubbio donar fine a cotal macchia, richiamando il
mondo allantico volto37; verr restaurata (con le dovute differenze,
giacch nulla mai torna uguale a se stesso) quella religione degli an-
tichi egizi, ottima perch attiva e contemplativa al tempo stesso, e
perch conscia della propria funzione civile. Questa era la religione
che permetteva agli antichi di salire a lalto della divinit con lau-
silio di magici e divini riti per la medesima scala di natura: perch
la divinit stessa era tale da discendere sino alle cose minime per
la comunicazione di se stessa38. E questa la religione di cui Bruno
si fa profeta con la sua nuova ontologia e la sua nuova cosmologia,
affidando ad esse lunica possibile soluzione della crisi.
Il Lamento ermetico che Bruno inserisce in traduzione nel terzo

36
Candelaio, p. 150.
37
Spaccio, p. 638.
38
Ibid., p. 632.
178 Sara Miglietti

dialogo dello Spaccio contiene quindi allo stesso tempo la diagnosi


della crisi e la sua cura. Vi si legge che la divinit remigrando al
cielo, lasciar lEgitto deserto; che questa sedia de divinit rimarr
vedova da ogni religione, per essere abandonata dalla presenza de
gli di, perch vi succeder gente straniera e barbara senza religione,
piet, legge e culto alcuno. Ogni valore verr rovesciato: le tene-
bre si preponeranno alla luce, la morte sar giudicata pi utile che la
vita, nessuno alzar gli occhi al cielo, il religioso sar stimato insano,
lempio sar giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono39.
Ci che la fortuna traditora combinava nel Candelaio per la sua
incolpevole cecit, qui ascritto allazione volutamente sovvertitri-
ce degli angeli perniciosi quei cristiani dellultima generazione
che hanno partorito solo sediciose sette, confusi gradi, ordini di-
sordinati, difformi riforme, immonde puritadi, sporche purificazioni
e perniciosissime forfantarie40. Ma cosa importante dove Gioan
Bernardo vedeva solo crassa ingiustizia e un futuro senza speranze
di miglioramento, il Bruno dello Spaccio, rileggendo la crisi attuale
attraverso il filtro dei testi ermetici, pu farsi coraggio al pensiero
che dal minimo rinascer pur sempre il massimo, dalla vecchiaia una
nuova giovinezza, dalle tenebre la luce41. Lo stesso Mocenigo riferisce

39
Ibid., pp. 637-638.
40
Ibid., p. 478.
41
quanto gi notava Ciliberto (Giordano Bruno, angelo della luce cit., p. 23): Al
di l del dominante tono osceno, il Candelaio svolge ben pi drammaticamente del
Cantus la comune tematica erasmiana della crisi e del rovesciamento. Qui il nodo
non si scioglie; resiste nella sua crudezza. Alluomo non resta altra possibilit che non
sia la propria individuale capacit di capire quando arriva loccasione, di prenderla
per i capelli, e non farla scappare. Ed questo, appunto, che fa Gio. Bernardo, riu-
scendo a intrecciare, grazie al suo giudizio, avere e meritare. Se il tema della riforma
non affrontato, il nodo della crisi dunque riproposto nel Candelaio in modo
radicale. Mi sentirei di aggiungere una considerazione. Data lincertezza sulla data
in cui Bruno sarebbe venuto a conoscenza, per la prima volta, dei testi ermetici; e
accettata laffascinante lettura in chiave autobiografica del Candelaio (esso, in sinte-
si, rappresenterebbe gli anni giovanili di Bruno, quando le sue posizioni filosofiche si
attestavano su un materialismo pervaso di motivi lucreziani, democritei e pitagorici);
forse possibile avanzare lipotesi che nel 1582, scrivendo il Candelaio, Bruno abbia
coscientemente escluso dalla descrizione della crisi contemporanea lenunciazione
ermetica della sua fine imminente come accade nello Spaccio poich negli anni
179 Bruno e la Riforma protestante

la bizzarra idea del Nolano secondo cui presto presto il mondo have-
rebbe veduto una riforma generale di se stesso, perch era impossibile
che durassero tante corruttele42.
Ecco dunque un esempio di come Bruno, in breve lasso di tempo,
operi ricontestualizzando spunti e problemi, e cos trasformandone
profondamente il senso e le conclusioni che se ne possono trarre.
sulla base di queste considerazioni che mi sento di rifiutare quanto
stato da altri ipotizzato: che cio il Nolano, ai tempi dello Spaccio e
quindi in una fase ormai matura del suo pensiero, avesse di mira

la possibilit di purificare le cerimonie proprie alle diverse confessioni in cui


si scisso ormai loriginario ceppo cristiano, a cominciare da quelle cattoli-
che e calviniste, la possibilit di riformare tali culti sottraendo ad essi quanto
si era rivelato esiziale sul piano civile, salvando, una volta attuata questa
riforma, quegli aspetti che potevano continuare ad essere utili su tale piano.
La spiritualizzazione del cristianesimo tentata in forme diverse dalla Rifor-
ma sembra qui suggerire, muovendo da presupposti lontanissimi, una utilit
sociale della religione non pi intesa solo come elemento di costrizione inte-
riore, freno posto dal timore delle pene al disordinato espandersi degli istinti
e delle passioni ma come legittimazione di un universo fantastico che una
volta purificato possa essere riconosciuto nella sua utilit purch gli vengano
sottratti gli strumenti per intervenire attivamente ed in modo negativo nella
vita civile delluomo43.

Il fatto che, come abbiamo visto, il problema di Bruno non pi


di salvare il salvabile, ma di rifondare la civilt su premesse del tut-
to diverse, superando la parentesi ebraico-cristiana e valorizzandone

in cui sarebbe ambientato il dialogo (met anni Settanta) il Nolano non aveva an-
cora letto lAsclepius e non aveva ancora gli elementi per elaborare quella che presto
diventer la sua potente filosofia della storia. Il tutto ci permetterebbe di datare la sua
lettura dei testi ermetici alla fine degli anni Settanta-inizio degli anni Ottanta.
42
Firpo, Il processo cit., p. 158.
43
Ingegno, Regia pazzia cit., p. 13. Si tratta di uno dei pochissimi studi su Bruno
e il calvinismo, tema ampio che Ingegno ha voluto saggiare esclusivamente sotto il
profilo della tematica cristologica, senza pretese di completezza. Un vizio di fondo del
lavoro a mio avviso laver frainteso il senso della polemica anticristiana di Bruno:
credo che il Nolano, nel suo rifiuto del cristianesimo, sia molto pi radicale di quanto
ritenga Ingegno.
180 Sara Miglietti

al massimo quel messaggio positivo di amore universale che in ogni


caso, se guardiamo ai fatti, stato tradito perfino dal suo originario
messaggero, cio Cristo. Colse quindi nel segno Corsano, quando
vide nel primo Bruno una vocazione riformatrice di vaga ispirazione
erasmiana (ma che risentiva gi delle poliedriche letture condotte
da Bruno), poi frustrata dalla chiusura dogmatica che gli era stata
opposta negli anni del chiostro. I processi napoletani prima, quello
romano poi, avrebbero avuto il valore di una cesura totale: sarebbe
stata solo questione di tempo perch da parte di Bruno maturasse
la consapevolezza di non poter pi essere un riformatore cristiano,
anche se anticattolico, ma solo lautore di una revisione critica del
cristianesimo tutto, condotta con ampia libert morale e speculativa:
epper sempre operante dallesterno, o, se si vuole, con quella solo
relativa intimit che lintimit critica44.

3. Frutti e furti: il lessico della polemica

In questa sezione abbandoneremo il criterio congiuntamente te-


stuale e biografico che ha guidato finora la nostra indagine, per svi-
luppare un confronto diretto tra passi di Bruno e dei tre grandi teologi
della riforma Calvino, Lutero e Melantone. Abbiamo rilevato che
sul piano dottrinale Bruno non sembrava operare grandi differenze
tra le diverse realizzazioni della Riforma: calvinisti, ugonotti, puri-
tani, luterani, zwingliani, filippisti; qualunque fosse il loro nome, in
quanto riformati essi erano tutti coinvolti in un giudizio inesora-
bilmente negativo. Lunico discrimine era fornito eventualmente da
ragioni personali, cio dalla qualit del ricordo che Bruno conservava
delle innumerevoli tappe del suo esilio. Ci, come si visto, lo aveva
indotto a esprimersi con maggior favore circa i luterani di Witten-
berg, e pi duramente invece circa i calvinisti, legati nella memoria
alla pessima esperienza ginevrina. In verit c una sola circostanza
in cui Bruno riconosce leffettiva esistenza di differenze tra le varie
anime della Riforma, ed un riconoscimento tuttaltro che positivo,
dal momento che si tratta di quel passo dello Spaccio in cui il Nolano
ironizza sul moltiplicarsi di catechismi nei paesi protestanti:

44
Corsano, Il pensiero cit., p. 72.
181 Bruno e la Riforma protestante

in tutto il resto del mondo e di secoli non appare tanta discordia e dissonan-
za, quanta si convence tra loro; perci che tra diece mila di simil pedanti
non si trova uno che non abbia un suo catecismo formato, se non publicato:
al meno per publicare quello che non approva nessuna altra instituzione che
la propria, trovando in tutte laltre che dannare, riprovare e dubitare; oltre
che si trova la maggior parte di essi che son discordi in se medesimi, cassan-
do oggi quello che scrissero laltro giorno45.

Del resto a Bruno non pare che sui punti fondamentali iustitia
sola fide, principio della sola Scriptura, concezione di Dio, della
natura umana e del peccato esistano vere differenze, capaci di in-
nalzare il valore di una setta su quello delle altre: nei giudizi riferiti
da Cotin e dai verbali del processo traspare che Bruno considerava
tutti i riformati come spregiatori delle buone opere e fatalisti che ri-
mettevano il destino delluomo al giudizio di Dio. C appena bisogno
di dire che le discrepanze dottrinali tra i vari riformatori erano invece
cospicue, e toccavano spesso i temi portanti del dibattito teologico
dellepoca: gi stato ricordato il caso limite di Melantone, autore
di quella Confessio augustana che fu il manifesto del nascente lute-
ranesimo di fronte allimperatore Carlo V, eppure responsabile, nei
suoi ultimi anni di vita, di unulteriore spaccatura nel corpo dei pro-
testanti.
Ma a noi, ora, interessa indossare lenti bruniane che ci permetta-
no di vedere le cose dal punto di vista del nostro autore: perci per
affrontare largomento sar bene attenersi ai soli testi, selezionando
alcuni lemmi in grado di mostrare i nuclei essenziali del contrasto
di Bruno con i riformati. Partiremo dalla parola chiave frutti, termi-
ne che evoca passi evangelici di grande importanza nella storia della
Riforma (non a caso anche Erasmo vi era particolarmente affeziona-
to)46, e decisamente adatto ai nostri scopi, dal momento che ricorre

45
Spaccio, p. 545.
46
Come nota Bainton, un criterio che Erasmo sistematicamente applicava alla
teologia era quello dei frutti che essa genera nel comportamento del cristiano
(Bainton, Erasmo cit., p. 189). Proprio per questa ragione egli divenne fortemente
critico verso coloro che si autodefinivano evangelici e mostravano assai poco delle
virt evangeliche: un topos della nuova spiritualit, frequentissimo anche nella
letteratura dei riformati. Anche nel campo dellermeneutica biblica restava fedele a
questo principio defficacia, stando attento a non lasciarsi intrappolare dalla lettera
182 Sara Miglietti

con notevole frequenza nelle opere di Bruno: considerando sia i testi


latini sia quelli volgari, lo si ritrova (nelle sue diverse forme) circa
duecento volte, con netta prevalenza dello Spaccio, come si conviene
a unopera di polemica serrata con la Riforma47.
Studiare i campi semantici legati alla parola frutti permette di fare
alcune considerazioni. Il primo dettaglio che simpone allattenzione
che Bruno associa questo termine allidea di fatica, di virt, donore,
di gloria: allidea, insomma, di un merito duramente e degnamente
conquistato. Gi nellEpistola esplicatoria dello Spaccio questo detta-
glio molto chiaro:

Dove aspetta la Corona australe, ivi il Premio, lOnore e Gloria, che son gli
frutti de le virtudi faticose e virtuosi studi, che pendeno dal favore de le dette
celesti impressioni. Onde si prende il Pesce meridionale, l il Gusto de gli
gi detti onorati e gloriosi frutti; ivi il Gaudio, il fiume de le Delicie, torrente
de la Voluptade, ivi la Cena, ivi lanima
pasce la mente de s nobil cibo,
chambrosia e nettar non invidia a Giove.
L il Termine de gli tempestosi travagli, ivi il Letto, ivi il tranquillo Ripo-
so, ivi la sicura Quiete48.

Si noti soprattutto che il porto dei travagli, la sicura Quiete, pro-


viene non dallozio e dallassenza di fatica, ma al contrario dallaver
finalmente ottenuto i frutti di unoperosa virt, come del resto leg-
giamo anche nel cuore del terzo dialogo: parimente non pu essere
suave e grato il progresso da locio a locio, percioch questo giamai
dolce se non quando esce dal seno della fatica. Or fia dumque giamai
che tu Ocio possi esser grato veramente, se non quando succedi a de-

(pure non apprezzava letture integralmente allegoriche) e mirando a sviscerare il


messaggio etico nascosto nel testo: nellEnchiridion militis Christiani scrive ad esempio
che la Sacra Scrittura non multum habet fructus, si in littera persistas haereasque.
Questa filosofia dellefficacia forse uno dei tratti di pi forte continuit tra Erasmo
e Bruno, e pu essere intesa come una sorta di corollario della priorit che entrambi
accordavano alletica, in particolare a unetica capace di integrare lobbedienza a
princpi astratti con una considerazione attenta delle conseguenze di ogni azione.
47
Un rapido sondaggio sullo Spaccio d i seguenti risultati: frutti, 26 volte; frutto, 7
volte; frutt (voce del verbo fruttare), 7 volte.
48
Spaccio, p. 479 (corsivi miei).
183 Bruno e la Riforma protestante

gne occupazioni49. Anche qui si sente leco delle battute dapertura


dello Spaccio, dove si ragionava sul fondamento ontologico del piace-
re, cio sulla dialettica dei contrari e sulla vicissitudine.
Tornando al gi citato appetito de la gloria, va detto che esso
quel solo et efficacissimo sprone che suole incitar gli uomini e riscal-
darli a quelli gesti eroici che aumentano, mantegnono e fortificano le
republiche50 talvolta scoraggiato dalla manifesta impossibilit di
successo. Bruno giunge perfino a dichiarare, sempre nellEpistola, che
se avesse dovuto pensare alla sola gloria lo Spaccio stesso non sarebbe
mai stato scritto:

E perch il numero de stolti e perversi incomparabilmente pi grande che


de sapienti e giusti, aviene che se voglio remirare alla gloria o altri frutti che
parturisce la moltitudine de voci, tanto manca chio debba sperar lieto suc-
cesso del mio studio e lavoro, che pi tosto ho da aspettar materia de discon-
tentezza, e da stimar molto meglior il silenzio chil parlare. Ma se fo conto de
locchio de leterna veritade, a cui le cose son tanto pi preciose et illustri,
quanto talvolta non solo son da pi pochi conosciute, cercate e possedute,
ma et oltre tenute a vile, biasimate, perseguitate: accade chio tanto pi mi
forze a fendere il corso de limpetuoso torrente, quanto gli veggio maggior
vigore aggionto dal turbido, profondo e clivoso varco51.

Solo se si entra in unottica diversa, se cio si in grado di elevarsi


oltre la prospettiva del guadagno immediato, il pensiero che i propri
sforzi possano infine dare frutti motivo di speranza e incoraggia a
perseverare nellazione: per questo, nello Spaccio, dove si parla di spe-
ranza si parla anche di frutti:

L, rispose il padre de gli di, voglio che succeda la Speranza, quella che
co laspettar frutto degno delle sue opre e fatiche, non cosa tanto ardua e
difficile a cui non accenda gli animi tutti i quali aver possono senso di qual-
che fine52.

Il movente dellazione sempre la speranza nei frutti vantaggiosi


che essa potr partorire: per questo, dal momento che alcuni non

49
Ibid., p. 610.
50
Ibid., p. 541.
51
Ibid., p. 460 (corsivi miei).
52
Ibid., p. 616 (corsivi miei).
184 Sara Miglietti

veggono il frutto de lor meriti in quella vita, per gli vien promesso e
posto avanti gli occhi de laltra vita il bene e male, premio e castigo,
secondo le lor opre53. Lo stesso tema viene affrontato in un passo im-
portante della fine del secondo dialogo, dove parla la Sollecitudine:

Tu Speranza che fai, che non mi sproni, che non minciti? Su, f chio aspetti
da cose difficili exito salutare, se non mi affretto avanti tempo, e non cesso
in tempo: e non far chio mi prometta cosa per quanto viva, ma per quanto
ben viva54.

Limportanza di questo passo data dal suo contesto. Un secondo,


illustre illegittimo di Giove, Perseo (dellaltro, Ercole, parleremo nel-
lultima sezione), stato appena bandito dal cielo riformato e inviato
sulla terra con una speciale missione di supervisore delle cose umane.
Al suo posto, si fa avanti una virtude in abito e gesti niente dissi-
mile a costui, che si chiama Diligenza, over Sollecitudine; la qual ha
et avuta per compagna da la Fatica, in virt della quale Perseo fu
Perseo, et Ercole fu Ercole, et ogni forte faticoso faticoso e forte.
Essa , in poche parole, quella che nutre con la fatica gli animi ge-
nerosi; e non contempla, n deve contemplare, una distinzione tra
occupazioni della mente e occupazioni del corpo, ma un impegno
unanime nellazione e nella contemplazione. Sulla Sollecitudine Bru-
no va costruendo passo dopo passo il suo ideale di operativit umana
nel mondo:

Ecco io Fatica muovo gli passi, mi accingo, mi sbraccio. Via da me ogni


torpore, ogni ocio, ogni negligenza, ogni desidiosa acedia: fuori ogni lentez-
za. Tu Industria mia, proponite avanti gli occhi della considerazione il tuo
profitto, il tuo fine. Rendi salutifere quelle altrui tante calunnie, quelli altrui
tanti frutti di malignitade et invidia, e quel tuo raggionevole timore che ti
cacciaro dallo tuo natio albergo, che ti alienaro da gli amici, che ti allon-
tanaro dalla patria, e ti bandiro a poco amichevole contrade. F, Industria
mia, meco glorioso quello essilio e travagli: sopra la quiete, sopra quella pa-

53
Ibid., p. 518.
54
Ibid., p. 587 (corsivi miei). Questo concetto di ben vivere come essenza della
moralit centrale in Bruno: a Cotin diceva che il cuore dellesser cristiani il bien
vivre; a Mocenigo che il non fare ad altri quello che non vorremmo fosse fatto a
noi.
185 Bruno e la Riforma protestante

tria tranquillitade, commoditade e pace. Su Diligenza, che fai? perch tanto


ociamo e dormiamo vivi, se tanto tanto doviamo ociar e dormire in morte?
Atteso che se pur aspettiamo altra vita o altro modo di esser noi, non sar
quella nostra, come de chi siamo al presente: percioch questa, senza sperar
giamai ritorno, eternamente passa55.

Lirripetibilit della singola esistenza, la sua effimera durata devono


essere stimoli a unazione incessante: dunque i frutti stanno anche a
segnalare una vita pienamente vissuta, apprezzata nella sua interez-
za. Il nesso strettissimo tra azione fruttifera e valore dellesperienza
individuale, eccezionale nella sua unicit, sottolineato ancor pi
chiaramente in alcuni passaggi dove Bruno esprime il suo sdegno per
ogni forma di appropriazione indebita dei beni altrui. La figura del-
lusurpatore ozioso, che biasima le opere e se ne resta inerte, campan-
do per sulla fatica dei solleciti, diventa per Bruno un paradigma di
negativit, subito associato alla figura dei riformati:

Il peggio , disse Momo, che ne infamano dicendo che questa institu-


zione de superi; e con questo, che biasmano gli effetti e frutti, nominandoli
ancor con titolo di defetti e vizii; mentre nessuno opera per essi, et essi ope-
rano per nessuno (perch non fanno altra opra che dir male de lopre), tra
tanto vivono de lopre di quelli chhanno operato per altri che per essi, e che per
altri hanno instituiti tempii, capelle, xeni, ospitali, collegii et universitadi:
onde sono aperti ladroni et occupatori di beni ereditarii daltri; li quali, se non
son perfetti n coss buoni come denno, non saranno per (come sono essi)
perversi e perniciosi al mondo; ma pi tosto necessarii alla republica, periti
ne le scienze speculative, studiosi de la moralitade, solleciti circa laumentar
il zelo e la cura di giovar lun laltro, e mantener il convitto (a cui sono ordi-
nate tutte leggi) proponendo certi premii a benefattori, e minacciando certi
castighi a delinquenti56.

Nel lungo elenco di vizi imputati ai riformati, Bruno cita avarizia,


insolenza, ipocrisia, malizia, ignoranza: il riformato rubbator et
usurpator de laltrui per eccellenza e, dove non pu occupare a tra-
dimento, segue lesempio delle Arpie, le quali non opravano nulla
di buono: ma solamente que beni che non posseano vorare, strapaz-

55
Ibid., pp. 586-587 (corsivo mio).
56
Ibid., p. 517 (corsivi miei).
186 Sara Miglietti

zavano et insporcavano con gli piedi, e faceano impedimento a quei


che sesercitavano57. Con uno slittamento interessante, questi ragio-
namenti conducono poi Bruno a una critica veemente della prassi dei
conquistadores:

Quella chha varcati gli mari, per violare quelle leggi della natura, confon-
dendo que popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii duna
generazione in unaltra; perch non son coss propagabili le virtudi: eccetto
se vogliamo chiamar virtudi e bontadi quelle che per certo inganno e con-
suetudine son coss nomate e credute, bench gli effetti e frutti sieno condan-
nati da ogni senso et ogni natural raggione: quai sono le aperte ribaldarie e
stoltizie e malignitadi di leggi usurpative e proprietarie del mio e tuo; e del pi
giusto, che fu pi forte possessore; e di quel pi degno, che stato pi sollecito
e pi industrioso e primiero occupatore di que doni e membri de la terra,
che la natura e per conseguenza Dio indifferentemente donano a tutti58.

Il lessico usato qui parlando dei conquistadores si sovrappone a quel-


lo usato in altri passi per rampognare i riformati; ed significativo che
quegli angeli nocentes, identificati nello Spaccio con i riformati, ne
La cena de le Ceneri ricompaiano in veste di Tifi che

han ritrovato il modo di perturbar la pace altrui, violar i patrii genii de le


reggioni, di confondere quel che la provida natura distinse, per il commer-
zio radoppiar i diffetti e gionger vizii a vizii de luna e laltra generazione,

57
Ibid., p. 518. da notare che, nellEpistola esplicatoria, Bruno inserisce lUsurpa-
zione nella costellazione di Orione, rappresentante di Lutero (cfr. Ciliberto, Nascita
dello Spaccio cit., p. 37): Da l dove spanta gli numi il divo e miracoloso Orione,
con lImpostura, Destrezza, Gentilezza disutile, vano Prodigio, Prestigio, Bagattel-
la e Mariolia; che qual guide, condottieri e portinaii administrano alla Iattanzia,
Vanagloria, Usurpazione, Rapina, Falsitade et altri molti vizii, ne campi de quali
conversano: ivi viene esaltata la Milizia studiosa contra le inique, visibili et invisibili
potestadi; e che saffatica nel campo della Magnanimit, Fortezza, Amor publico,
Verit et altre virtudi innumerabili (Spaccio, p. 477).
58
Ibid., pp. 597-598 (corsivi miei). Si veda anche lArgomento degli Eroici furori,
dove Bruno polemizza con certi farisei che sceleratissimi e ministri dogni ribalda-
ria si usurpano pi altamente che dir si possa gli titoli de sacri, de santi, de divini ora-
tori, de figli de Dio, de sacerdoti, de regi: stante che stiamo aspettando quel giudicio
divino che far manifesta la lor maligna ignoranza et altrui dottrina, la nostra simplice
libert e laltrui maliciose regole, censure et instituzioni (De gli eroici furori, p. 759).
187 Bruno e la Riforma protestante

con violenza propagar nove follie e piantar linaudite pazzie ove non sono,
conchiudendosi alfin pi saggio quel ch pi forte; mostrar novi studi, instru-
menti, et arte de tirannizar e sassinar lun laltro: per merc de quai gesti,
tempo verr chavendono quelli a sue male spese imparato, per forza de la
vicissitudine de le cose, sapranno e potranno renderci simili e peggior frutti
de s perniciose invenzioni59.

Riformati e conquistadores condividono il carattere di ipocrita sag-


gezza che anima le loro imprese: essi agiscono da usurpatori nei
confronti di popoli ai quali amano presentarsi in veste di salvatori o
civilizzatori. Bruno li descrive con tratti simili perch essi non sono
in verit fenomeni distinti: sono semplici manifestazioni di una crisi
universale, caratterizzata nelle sue diverse forme da un rovesciamento
radicale dei rapporti tra uomo e Dio, tra uomo e natura, ma soprat-
tutto tra uomini e uomini. Anche i frutti del loro operato si asso-
migliano: gli indigeni del Nuovo Mondo, che forse rappresentavano
unumanit ancora intatta dal contagio europeo, ora hanno imparato
i cattivi costumi degli invasori, e presto, per forza de la vicissitudi-
ne de le cose, ritorceranno contro gli europei le stesse perniciose
invenzioni con cui furono assoggettati; quanto ai popoli falsamente
indottrinati dai riformati, sono diventati pi barbari e scelerati che
non eran prima, dispreggiatori del ben fare et assicuratissimi ad ogni
vizio e ribaldaria60. Se il mondo, invece di guarire, degenera giorno
dopo giorno proprio per colpa del sedicente progresso esportato con
la violenza da questi falsi profeti.
Il dilagare delle usurpazioni rende necessario un intervento specia-
le: perci, uno dei compiti affidati a Perseo, nella sua nuova veste di
inviato divino, sar di controllare se qualche violento Fineo consti-
pato dalla moltitudine di perniciosi ministri viene ad usurparsi i frutti
dellaltrui industrie e fatiche61. Bisogna guardare che non gli sia
oltre lecito doccupare con rapina e violenta usurpazione quello che a
commune utilitade gli altri con libero e grato animo, per mezi termini
contrarii, a contrario fine hanno parturito e seminato62. I tratti domi-
nanti della crisi oziosit, ipocrisia, ignoranza travestita da saggezza e

59
Cena, p. 27 (corsivi miei).
60
De linfinito, p. 337.
61
Spaccio, p. 583 (corsivo mio).
62
Ibid., p. 547 (corsivi miei). Sottolineo il termine seminato perch ancora una
volta afferisce al campo semantico dei frutti.
188 Sara Miglietti

indegna usurpazione erano gi delineati nellEpistola esplicatoria, l


dove Bruno giustificava la propria opera scrivendo:

ma sa Dio, conosce la verit infallibile che come tal sorte duomini son stol-
ti, perversi e scelerati, coss io in miei pensieri, paroli e gesti non so, non ho,
non pretendo altro che sincerit, simplicit, verit. Talmente sar giudicato
dove lopre et effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e vani;
dove non giudicata somma sapienza il credere senza discrezzione; dove si
distingueno le imposture de gli uomini da gli consegli divini; dove non
giudicato atto di religione e piet sopra umana il pervertere la legge naturale;
dove la studiosa contemplazione non pazzia; dove ne lavara possessione
non consiste lonore; in atti di gola la splendidezza; nella moltitudine de
servi qualumque sieno, la riputazione; nel meglio vestire, la dignit; nel pi
avere, la grandezza; nelle maraviglie, la verit; nella malizia, la prudenza; nel
tradimento, laccortezza; ne la decepzione, la prudenza; nel fengere, il saper
vivere; nel furore, la fortezza; ne la forza, la legge; ne la tirannia, la giustizia;
ne la violenza, il giudicio: e coss si va discorrendo per tutto63.

Solo una societ fondata sulla valorizzazione dellazione umana, sul


rispetto della legge naturale, sul primato di unesteriorit che non si
risolva nella pura apparenza (questo il punto fondamentale) pu
comprendere lo Spaccio, che su tali premesse si basa per realizzare il
proprio ideale di riforma. Qui la polemica con Lutero e i suoi fron-
tale: i riformati negano importanza alle opere, le ritengono frutti de
nessun valore e vani; la loro intera sapienza si pu riassumere in un
credere senza discrezzione, dove le imposture de gli uomini si
mescolano impunemente ai consegli divini perch nessuno si pre-
mura di ricercare il vero contenuto della legge naturale e divina; anzi,
pervertere la legge naturale giudicato sommo atto di religione.
Il passo successivo smascherare la pretesa interiorit purgata dei
riformati, mostrando come essa, al contrario, non sia altro che leste-
riorit di tipo peggiore: pura apparenza, dietro cui si celano come
sempre la menzogna e il cattivo costume. unaccusa durissima, per-
ch si attaccano qui i pilastri stessi del rinnovamento protestante: e
vedremo ora come.
Ne La libert del cristiano, Lutero affronta in particolare la questione
della fede e delle opere. Dopo una prima distinzione tra uomo inte-

63
Ibid., p. 461 (corsivi miei).
189 Bruno e la Riforma protestante

riore e uomo esteriore, si dimostra mediante passi biblici che la fede,


al contrario delle opere, pu giustificare luomo al cospetto di Dio.
Una fede radicata, lessenza di ogni piet, in grado di sopperire alle
inevitabili manchevolezze delluomo esteriore:

Vediamo dunque che per un cristiano sufficiente la fede e non necessitano


pi le opere buone per essere pio; e se non abbisogna pi di buone opere
senza dubbio dispensato e sciolto da tutti i comandamenti e le leggi; e se ne
sciolto, egli libero. Questa dunque la libert del cristiano, la nostra fede,
la quale fa non che viviamo oziosi o commettiamo il male, bens che non abbiso-
gnamo di buone opere per raggiungere la piet e la beatitudine []. E se pure
tu fossi pieno di opere buone fino ai calcagni, non saresti purtuttavia pio n
testimonieresti a Dio il debito onore, sicch non adempiresti a questo primo
comandamento fondamentale []. Perci essa sola [la fede] la giustifica-
zione degli uomini e ladempimento dogni comandamento. Le opere sono
invece cose morte, non lodano n glorificano Iddio, anche se vengono compiute
in lode e gloria di Dio64.

In teoria, dunque, le opere sarebbero del tutto inessenziali al fine


della salvezza dellanima: sono cose morte che in nulla servono al-
luomo interiore. Ma quella parte delluomo che costituisce la sua
prigione esteriore si trova a vivere in una comunit: poich in questo
contesto lazione inevitabile, si pone il problema di operare secondo
una precisa disciplina. Tuttavia, Lutero dichiara che luomo privo di
fede non in grado di ottemperare a tale disciplina: la nostra volont
corrotta dal peccato originale e finch la grazia divina non discen-
de su di noi resteremo in balia del principe delle tenebre. Cosa pu
fare luomo per migliorare la propria condizione? Secondo Lutero il
margine dazione minimo: si pu al massimo riconoscere la propria
impotenza al bene, imparando a disperare di se stessi, ma spetta
poi a Dio dispensarci la sua grazia.
Calvino, a sua volta, non molto ottimista a proposito delle capa-
cit umane: vero, la conoscenza di Dio naturalmente radicata
in tutti e attaccata come il midollo alle ossa; nasce con noi fin dal
grembo della madre. Ma la stupidit e la malizia delluomo fanno s
che questo naturale sentimento di Dio soscuri a poco a poco: Dif-

64
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., pp. 372-375 (corsivi
miei).
190 Sara Miglietti

ficilmente si trover luno per cento che lo nutra nel suo cuore per
farlo germogliare; ma non se ne trover uno solo in cui esso maturi
e tanto meno che dia frutto quando viene la stagione. Cos non ri-
mane nel mondo alcuna retta piet65. Fortunatamente le Scritture
da una parte, la conoscenza sperimentale dallaltra ci permettono di
volgerci a Dio: Ha raggiunto unottima conoscenza di s chi si sente
costernato e abbattuto dal riconoscimento della propria calamit, po-
vert, nudit ed ignominia. Non si deve temere che luomo si umili
troppo purch comprenda che deve trovare in Dio quanto di per s gli
manca66. In ogni caso, per, alla radice della fede c sempre lelezio-
ne divina, non lo sforzo delluomo: egli non pu convertirsi a Dio n
rimanere in Dio se non per la sua grazia; e tutto quello che pu, deriva
da questa67. Nel frattempo, Calvino ritiene che tutto quello che la
natura corrotta delluomo produce degno di condanna68, non di-
versamente da quanto Lutero pensava al riguardo: un cristiano che,
consacrato dalla sua fede, compie opere buone, non viene da queste
fatto migliore o pi consacrato cristiano (perch nulla allinfuori del-
la fede pu far ci); anzi, se egli non credesse e non fosse cristiano in
precedenza, tutte le opere sue sarebbero prive dogni valore, e persino
vuota, stolta, disprezzabile e condannabile colpa69.
Altro il discorso per Melantone: uno dei motivi del suo dissenso
con Lutero precisamente la risposta al quesito: in potere delluomo
il venire incontro a Dio? Innanzitutto va detto che, al contrario di
Lutero, Melantone crede nella capacit delluomo di rispettare la di-
sciplina esterna anche prima che gli sia infusa la grazia. Si tratta di un
riconoscimento importantissimo: vero che le azioni delluomo sono
impure e corrotte agli occhi di Dio, tamen inter haec impedimenta
manet aliquis delectus, aliqua libertas in mediocriter sanis regendi
externos mores70. E prosegue:

65
G. Calvino, Istituzione della religione cristiana, Torino 1971, I, 3-4, pp. 145-147
(corsivo mio).
66
Ibid., II, 2, 10, p. 380. Non questo il luogo dove diffondersi sulla dottrina della
predestinazione in Calvino; pure sarebbe un punto da affrontare, anche in oppo-
sizione al parere di Melantone, il quale nei Loci parla ripetutamente di promessa
universale di Dio alluomo, rifiutando ogni prospettiva di gemina praedestinatio.
67
Ibid., II, 3, 14, p. 424.
68
Ibid., II, 3, p. 402.
69
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., pp. 382-383.
70
F. Melantone, Loci praecipui theologici von 1559, in Melanchthons Werke in Aus-
wahl, 7 voll., Gutersloh 1951-1978, II, 1, p. 240.
191 Bruno e la Riforma protestante

Quare voluntas humana potest suis viribus sine renovatione aliquo modo
externa Legis opera facere. Haec est libertas voluntatis, quam Philosophi recte
tribuunt homini. Nam et Paulus discernens iustitiam carnis a spirituali fa-
tetur non renatos habere delectum aliquem et facere aliqua externa Legis
opera, manus a caede, a furto, a raptu continere, et hanc vocat iustitiam
carnis71.

Non solo, ma viene anche rovesciata laffermazione di Lutero se-


condo cui le opere sono cose morte: viceversa si dice che la fede
senza opere cosa morta addirittura, il suo potere giustificante vie-
ne meno se essa non si esplicita in atti esteriori: Fides si non habeat
opera, mortua est in semetipsa, ut satis appareat eum hoc tantum do-
cere, quod in iis intermortua sit fides, qui fructum fidei non faciunt,
quamquam in speciem credere videantur72.
Alla luce di queste considerazioni, Melantone pu mitigare il giu-
dizio di condanna netta che Lutero aveva pronunciato sulloperato
dei pagani virtuosi (quanto c di meglio tra i filosofi e quanto di
pi elevato tra gli uomini pu certamente essere chiamato e apparire
onesto e buono al cospetto del mondo, ma al cospetto di Dio in realt
carne e schiavo del regno di Satana, vale a dire empio, sacrilego e
a tutti gli effetti malvagio)73, operando quanto meno dei distinguo:
ad esempio, una speciale attrazione per la figura di Alessandro Magno
conduce al riconoscimento della grandezza delle sue imprese:

Alexandri fortitudo vere erat donum Dei et excellens virtus, et res, quas
gerit, adiuvantur a Deo. Sed Alexander ipse non habet hunc finem propo-
situm, ut Deo serviat, ut sua gubernatione propagetur vera de Deo notitia.
Immo nec vere credit suam manum in proeliando a Deo gubernari, sed exi-
stimat casu et sua virtute res Macedonicas crescere. Ideo negligens Deum,
postea sese nimium admiratur, vult se coli ut numen, interficit amicos, a qui-
bus arbitratur se non satis magnifieri, ruit in libidines flagitiosas. Hae labes
ostenderunt, quale fuerit antea cor immundum. Ergo immunditia cordis et
virtutes polluebat, et postea genuit manifesta scelera74.

71
Ibid., pp. 238-239 (corsivi miei).
72
F. Melantone, Loci communes von 1521, in Melanchthons Werke cit., II, 1, p.
116.
73
Il servo arbitrio, in M. Lutero, Opere scelte, VI, a cura di F. De Michelis Pintacu-
da, Torino 1993, p. 333.
74
Melantone, Loci praecipui theologici, in Melanchthons Werke cit., II, 2, p. 463.
192 Sara Miglietti

E qualche considerazione positiva si pu fare anche a proposito di


Cicerone:

Vivit honeste Cicero, bene meretur de toto genere humano in gubernatio-


ne Reipublicae, immo intelligit etiam Deum esse unam quandam aeternam
mentem, causam boni, ut definivit Plato, et simulacra illa, quae vulgus cole-
bat, nihil habere numinis. Sed tamen postea de providentia obruitur mens
Ciceronis dubitatione, quia ignorat promissiones Dei, dubitat se et alios
exaudiri et iuvari ab eo, praesertim in calamitatibus, in quibus etiam irasci-
tur Deo deserenti75.

Controesempio biblico di Cicerone Geremia, che non perse mai


la fiducia in Dio, nemmeno nei momenti pi difficili, perch nel ser-
vire il suo popolo huic operi praelucet fides. Statuit Ieremias se Deo
placere et exaudiri ac servari a Deo, etiamsi videt se ingenti mole
calamitatum obrui, deleri patriam, cives dissipari, multos manifesto
beneficio divino servatos deficere a Deo, grassari inter se mutuis cae-
dibus, postremo et sese mactari76. La capacit di non lasciarsi assalire
dal dubbio che Dio ci abbia abbandonati fa la differenza tra il pagano
virtuoso e il vero credente.
Naturalmente Melantone non si allontana dallortodossia lutera-
na per quanto riguarda la giustificazione: il nostro destino resta nelle
mani di Dio. Tuttavia anche qui il tono conta, e le sfumature han-
no un loro peso particolare; sentiamo con quali parole Melantone
si esprime nella seconda versione della Confessio augustana, datata
1540, allarticolo De gratia et iustificatione:

Cum in conversione exordiendum sit a verbo Dei, certe id audiendum est,


et cum verbo Dei efficax est Spiritus sanctus, erigens et adiuvans corda,
cum fide nos sustentamus. Nec otiosi indulgeamus diffidentiae aut aliis vitiis
contra conscientiam nec conturbemus Spiritum sanctum, sed assentiamur
verbo Dei et obsequamur Spiritui sancto. In hac lucta sentiemus voluntatem
repugnantem diffidentiae et aliis vitiis non esse otiosam77.

Melantone parla di una vera e propria lucta per assecondare il ri-


chiamo dello Spirito Santo contro il richiamo ben pi forte della

75
Ibid., p. 389.
76
Ibid.
77
Ibid., p. 385 (corsivi miei).
193 Bruno e la Riforma protestante

carne; in questo senso non si tratta di attendere oziosamente la giu-


stificazione divina, ma anzi, di combattere giorno dopo giorno per
essere degni di tale grazia e perseverare in essa. Lo spazio concesso
alliniziativa umana risulta quindi assai maggiore di quanto non fosse
in Lutero o in Calvino.
Comunque, al di l delle differenze, il messaggio comune ai tre
teologi riformati che il primo passo verso il rinnovamento di s
assumere coscienza della propria inadeguatezza. Solo allora siamo in
condizione di ricevere la grazia divina e il conforto della fede nella
Parola trasmessa dal Nuovo Testamento: allora che subentra lal-
tra Parola, la promessa divina, e dice: se vuoi adempiere ai coman-
damenti ed essere libero dai desideri malvagi e dal peccato, come
impongono ed esigono i comandamenti, ecco, credi in Cristo, nel
quale io ti prometto ogni grazia, giustizia, pace e libert, e se credi le
otterrai, e se non credi non le otterrai78.
A questo punto, secondo Lutero, luomo finalmente in grado di
agire seguendo la disciplina, pur non realizzandola mai completamen-
te: le sue opere saranno ancora corrotte e imperfette dal punto di vi-
sta di Dio, perch sporcate dalle passioni egoistiche e dalla debolezza
della volont79; ma di questo il cristiano non dovr pi preoccuparsi,
giacch come sappiamo la sua giustificazione non dipende dalleffetto
delle sue azioni, bens dalla fede che lo anima. Lutero chiarissimo su
questo punto: luomo agisce per far cosa grata a Dio, perch Lui cos
ha voluto, ma Dio non lo giudicher pio o empio in base alle sue azio-
ni. Va detto che lintenzione profonda di Lutero era nobile: egli aspi-
rava a smarcare lagire da ogni considerazione egoistica, in modo che
le opere assumessero un carattere di pura gratuit, di genuino amore
per il prossimo, di caritas cristiana. Agire, insomma, non per un utile
personale, per guadagnarsi un premio o assicurarsi la salvezza, ma per
compiacere Dio convivendo con i propri fratelli in vera concordia:

78
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., p. 371.
79
Ancora una volta, c una differenza rilevante tra Lutero e Melantone; per Me-
lantone, con laiuto dello Spirito Santo, luomo che abbia ricevuto la grazia e pos-
sieda la fede in grado di realizzare pienamente la giustizia della nova obedientia:
Quanquam igitur haec nova obedientia procul abest a perfectione legis, tamen est
iusticia et meretur premia, ideo quia personae reconciliatae sunt. Atque ita de ope-
ribus iudicandum est, quae quidem amplissimis laudibus ornanda sunt, quod sint ne-
cessaria, quod sint cultus Dei et sacrificia spiritualia et mereantur premia (Melan-
tone, Confessio augustana variata von 1540, in Melanchthons Werke cit., VI, p. 32).
194 Sara Miglietti

Sebbene luomo interiormente, per quel che riguarda lanima, sia abbondan-
temente giustificato dalla fede e possieda ogni cosa di cui ha bisogno, salvo
che la stessa fede e abbondanza deve sempre accrescersi fino allaltra vita,
purtuttavia egli permane in questa vita corporale sulla terra e deve signoreg-
giare il proprio corpo ed avere rapporti con gli uomini. Ecco che principiano
le opere, ecco che luomo non deve starsene qui ozioso, ma al contrario il
suo corpo deve digiunare, vegliare, lavorare ed essere attivo e seguire la pi
rigida disciplina, s da essere obbediente e conformarsi alluomo interiore e
alla fede, non gi opporsi n contrastare, com suo costume quando non
dominato []. Cos avviene che luomo non pu starsene ozioso a cagione
del suo corpo, e deve compiere quaggi molte buone opere per dominarlo,
sebbene le opere non siano il vero bene per il quale egli pu essere fatto pio
e giusto al cospetto di Dio, ma le compia gratuitamente, per libero amore, per
fare cosa grata a Dio, non cercando n considerando dunque altro che di
compiacere in tal guisa Iddio, la cui volont egli desidera compiere nel miglior
modo possibile []. Egli non pu vivere senza agire verso gli altri, anzi ha
sempre da parlare e da trattare con essi, sebbene codeste opere non gli siano
di necessit veruna per la piet e beatitudine. Pertanto la sua intenzione in
tutte le opere devessere libera e solo indirizzata a servire agli altri e a rendersi
utile al prossimo; nessunaltra cosa si proponga allinfuori di ci che utile agli
altri; questa si chiama una vera vita cristiana, e allora la fede si riversa con
gioia ed amore nelle opere, come insegna S. Paolo ai Galati [].
In tal modo dalla fede procede lamore e la gioia verso Dio e dallamore una
vita libera, volonterosa, e gioiosa di servire il prossimo senza compenso80.

Sono pagine molto belle, che Bruno aveva sicuramente in mente e


su cui in parte non poteva non esser daccordo (si pensi soprattut-
to a quel cenno erasmiano al rendersi utile al prossimo come massima
generale delloperare); per questo il suo attacco, che altrove come
vedremo investe la sostanza della dottrina, qui deve invece limitarsi
a unaccusa di ipocrisia. Belle parole, certo, e condivisibili; ma que-
stinteriorit libera e felice di agire senza compenso si mai realizzata?
Ricordiamo quanto diceva Sofia: Come possibile, o Saulino, che
le conscienze talmente affette possano giamai aver vero amor doprar
bene, e vera penitenza e timore di commettere qualsivoglia ribalda-
ria, se per commessi errori vegnono tanto assicurati, e per opre di
giustizia son messi in tanto diffidenza?. Saulino le rispondeva: Tu

80
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., pp. 380-388.
195 Bruno e la Riforma protestante

vedi gli effetti, Sofia; per che cosa vera e certa, come essi sono veri
e certi, che quando da qualsivoglia altra professione e fede alcuno si
muove a questa [] da quel che possea esser tristo, dovenuto pes-
simo, che non pu esser peggiore81. Bruno prende sul serio le parole
di Lutero, ma obietta che, nei fatti, la sua dottrina incoraggia ad asse-
condare le proprie mancanze, a ritenere che la fede possa sopperire a
tutto, e a investire minime energie nellazione, ridotta a un sovrappi
inessenziale per la salvezza dellanima. Per questo, nonostante i buoni
intenti, il luteranesimo risulta pestilenziale per la societ: sbaglia nel
porre lazione come momento secondario della vita religiosa, mentre
invece quella deve essere stimata massime religione la quale per mi-
nimo e vile, e per errore abbia lazzione et atto di buone operazioni82.
Se si opta per il primato della pura interiorit e dellintenzione, non
si riforma veramente la civilt: non la si aiuta a superare la pigrizia
e la superficialit che sono tanto radicate in essa, ma al contrario si
istigano gli individui a ripiegare sempre pi nel proprio intimo, tra-
scurando la dimensione collettiva; cos, la finzione e lipocrisia conti-
nueranno a inficiare il rapporto tra uomo e Dio, tra uomo e uomo. Il
problema del luteranesimo che ha pensato troppo poco agli effetti
della sua predicazione, dimenticando che ci sono dottrine che, sep-
pure vere, sarebbe bene non diffondere tra animi umili e incapaci di
sottili distinzioni83:

Questi [sulla coincidenza di potenza, volont e necessit in Dio] se non son


semplici, sono demostrativi sillogismi. Tutta volta lodo che alcuni degni teo-
logi non le admettano: per che providamente considerando, sanno che gli
rozzi popoli et ignoranti, con questa necessit vegnono a non posser concipere
come possa star la elezzione e dignit e meriti di giusticia; onde confidati o
desperati sotto certo fato, sono necessariamente sceleratissimi []. Per non

81
Spaccio, p. 548.
82
Ibid., p. 540.
83
Questinterpretazione mi sembra utile per spiegare come mai il soggiorno a Wit-
tenberg abbia potuto scuotere cos profondamente i pregiudizi di Bruno. Se ipotiz-
ziamo che su alcuni punti dottrinali, in realt, vi fosse un accordo generale di Bruno
con Lutero, e che le riserve fossero soprattutto di carattere pratico, facile capire
perch, nel momento in cui si rese conto che si dava la possibilit di unapplicazione
eticamente corretta di tali dottrine, Bruno pot almeno in parte mutare parere sul
valore del luteranesimo.
196 Sara Miglietti

tanto il contrario dire appresso gli sapienti scandaloso, e detrae alla gran-
dezza et eccellenza divina, quanto quel che vero, pernicioso alla civile
conversazione, e contrario al fine delle leggi, non per esser vero, ma per esser
male inteso, tanto per quei che malignamente il trattano, quanto per quei
che non son capaci de intenderlo senza iattura di costumi84.

Lo stesso discorso si potrebbe fare aproposito di alcuni punti della


teologia luterana, che per quanto di vero possano contenere, non do-
vrebbero comunque giungere alle orecchie del popolo, facili a frainten-
dere. A questo proposito il nostro lemma frutti ci aiuta ad approfondire
ulteriormente la questione. Leggiamo sempre da La libert del cristiano:

Per la qual cosa sono vere queste due proposizioni: le opere buone e pie
non bastano a rendere buono e pio un uomo, bens luomo buono e pio
compie opere tali; le opere malvagie non bastano a rendere malvagio un
uomo, bens un uomo malvagio compie opere tali. Dunque in ogni caso la
persona deve essere buona e pia in precedenza, prima di qualsiasi opera buona,
e le opere buone conseguono e provengono da persone buone e pie. Proprio
come dice Cristo: Un albero cattivo non porta buoni frutti. Un albero buono
non porta frutti cattivi. Ora manifesto che non i frutti recano lalbero e che
non gli alberi crescono sui frutti, bens che gli alberi recano i frutti e che i
frutti crescono sugli alberi. Orbene, com necessario che gli alberi siano
prima dei frutti, ed i frutti non possano render lalbero buono n cattivo, ma
siano viceversa gli alberi a fare i frutti, cos luomo in s devessere buono o
malvagio in precedenza, avanti di compiere buone o malvagie opere, e le sue
opere non possono renderlo n malvagio n buono, bens al contrario egli
che rende buone o malvagie le proprie opere []. Dunque anche le opere
delluomo sono a seconda della sua fede o miscredenza []. Niente e nessuno

84
De linfinito, p. 337 (corsivi miei). Sul problema della liceit di predicare la verit
anche a rischio di generare una catena di tumulti e di guerre e un generale scadimento
dei costumi, si ricordi il durissimo scambio di opinioni tra Erasmo e Lutero, rispettiva-
mente nel De libero arbitrio e nel De servo arbitrio: Che cosa significa quindi che tu sia
dellavviso che certe verit non devono essere divulgate? domanda polemicamente
Lutero al maestro di Rotterdam. E aggiunge: Per me in tale questione in gioco
qualcosa di serio, qualcosa di tale e tanta importanza che necessario venga affermato
e difeso persino con la morte; e questo anche se il mondo intero non solo debba cade-
re in conflitto e venir posto sottosopra, ma addirittura precipitare in un unico caos ed
essere distrutto (Il servo arbitrio, in Lutero, Opere scelte cit., pp. 103-107).
197 Bruno e la Riforma protestante

in grado di render buona una persona allinfuori della fede, e viceversa niente
pu renderla malvagia allinfuori della mancanza di fede. vero per che le
opere rendono uno buono o malvagio al cospetto degli uomini, vale a dire
mostrano apertamente chi buono e chi malvagio, come dice Cristo: Dai
loro frutti li riconoscerete. Ma tutto questo non che apparenza ed esteriorit,
nellosservare la quale molti errano, perch scrivono ed ammaestrano come
si debbano compiere le opere buone per diventare pii, mentre invece non
fanno menzione della fede. [] Dunque chi non vuole errare insieme a cote-
sti ciechi, deve guardare al di l delle opere e del comandamento o dottrina
delle opere. Deve per tutte le cose guardare alla persona e al modo in cui questa
si fa pia85.

Con queste affermazioni Bruno polemizza aspramente: unassurdi-


t ci che dicono i luterani, che delle buone azioni non si curano gli
dei, e per quelle, quantunque sieno grandi, non sono giusti gli uomi-
ni. Al contrario gli dei hanno stabilito che il giudicio

massime verse in corregere e mantenere tutto quel che consiste ne lopera-


zioni, non giudicar larbore da belle frondi, ma da buoni frutti: e quelli che non
le producono, sieno tolti e cedano il loco ad altri che porgano. Che non
creda che in modo alcuno li di si senteno interessati in quelle cose nelle
quali nessuno uomo si sente interessato: perch di quelle cose solamente gli di
si curano de le quali si possono curar gli uomini, e non per cosa che vegna fatta
o detta o pensata per essi si commuoveno o se adirano, se non in quanto per
quello venesse a perdersi quel rispetto per cui si mantegnono le republiche;
atteso che gli di non sarebono Dei, se si prendessero piacere o dispiacere,
tristizia o allegrezza per quello che fanno o pensano gli uomini []. Per
tanto cosa indegna, stolta, profana e biasimevole pensare che gli Dei ricercano
la riverenza, il timore, lamore, il culto e rispetto da gli uomini per altro buon
fine et utilitade che de gli uomini medesimi: atteso che essendo essi gloriosis-
simi in s, e non possendosegli aggionger gloria da fuori, han fatto le leggi non
tanto per ricevere gloria, quanto per communicar la gloria a gli uomini86.

In questo passo vanno evidenziati alcuni elementi: innanzitutto,


il fatto che Bruno ritorca contro Lutero lo stesso versetto evangeli-

85
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., pp. 384-385 (corsivi
miei).
86
Spaccio, pp. 541-542 (corsivi miei).
198 Sara Miglietti

co che il tedesco usava per mostrare la precedenza dellhabitus sulla


singola azione. Si ripropone la vecchia aporia aristotelica: la virt
quello stato abituale (hxis) per cui un uomo buono e compie
bene la sua opera87. Ma come si acquisisce questo stato abituale?
Come pu la persona diventare virtuosa compiendo opere buone, se
la virt stessa che rende buone tali opere? Per Lutero, la risposta
facile: niente e nessuno in grado di render buona una persona
allinfuori della fede. una prospettiva che Bruno non potrebbe mai
condividere: la bont delle opere ci che conta, e questa va valutata
a prescindere dalla qualit intrinseca di chi opera: solo leffetto finale,
il frutto, pu essere vero metro di giudizio.
Perci, se Lutero (seguito da Melantone)88 taccia di apparenza ed
esteriorit i semplici frutti delle opere, e raccomanda di risalire alla
persona che li compie (lalbero) per giudicare della loro effettiva
bont, Bruno rovescia argomento e accusa, dichiarando che i buo-
ni frutti fanno luomo virtuoso, e non le belle frondi. ben pi
facile aver fama di persona giusta che compiere opere buone. Insom-
ma, come si detto, Bruno denuncia qui il fatto che la pretesa inte-
riorit luterana non rappresenta un grado di moralit pi elevato o
pi autentico della corrotta esteriorit cattolica. Anzi, qualcosa di
ancor pi superficiale e ingannevole: i luterani si nascondono dietro
unapparenza di virt le belle frondi che celano lozio e la vanit
perch la loro religione non li mette alla prova sullunico terreno
decisivo: quello dellazione concreta. Ovviamente il problema che

87
Aristotele, Etica Nicomachea, a cura di C. Natali, Bari-Roma 2001, 1106a14,
p. 65.
88
Melantone, Loci communes von 1521, in Melanchthons Werke cit., II, 1, p. 16:
Proinde christianam mentem oportet spectare, non quale sit opus in speciem, sed
qualis apud animum affectus sit; p. 110: Bonum opus vocat scriptura non simu-
lationem tantum externam operis, sed totum opus, hoc est, bonum affectum et eius
affectus fructum, non aliter atque communis hominum sensus loqui solet. Quis enim
bonum opus vocat, quod a maligno animo proficisci novit?; pp. 107-108: Quid
igitur opera, quae praecedunt iustificationem, liberi arbitrii opera? Ea omnia male-
dictae arboris maledicti fructus sunt. Et ut pulcherrimarum virtutum exempla sint,
quale erant ante conversionem Pauli iustitiae, tamen nihil nisi fucus et mendacium
sunt, quod ex impuro corde proficiscantur. Cordis impuritas, ignorantia dei est non
timere deum, non fidere deo, non requirere deum, ut supra monuimus (tutti i corsivi
sono miei).
199 Bruno e la Riforma protestante

Bruno qui si sta preoccupando della civile conversazione tra uomini,


molto pi che del rapporto tra uomo e Dio. Alle sue obiezioni Lutero
risponderebbe senza difficolt che non si pu ingannare Dio, fingendo
di essere chi non si : Dio legge nei cuori, non ha bisogno di contem-
plare le belle frondi per giudicare i Suoi figli. Osservate da questa
prospettiva, le opere si rivelano chiaramente superflue.
Si vede che stiamo arrivando al vero cuore della questione, al noc-
ciolo del dissenso. Oltre alla perniciosa svalutazione delle opere e dei
frutti, oltre allipocrisia e alla cattiva influenza sul vivere civile, agli
occhi di Bruno il luteranesimo viziato da un difetto di fondo: la sua
distorta concezione di Dio e del Suo rapporto con gli uomini. Abbia-
mo gi visto il nesso esistente tra frutti e gloria; nel passo appena citato
la parola gloria ritorna, non a caso, in un contesto pregnante, cio
nellambito di un ragionamento su ci che gli dei desiderano ricevere
da parte delluomo. Bruno nota due cose importanti: primo, assurdo
pensare che gli dei si curino daltro se non di ci che occorre alluo-
mo nella sua condizione mondana. E siccome ci che massimamente
conta per luomo il vivere civile, preoccupazione primaria degli dei
che si mantenga il rispetto della res publica: una preoccupazione eti-
ca e politica che non ha nulla a che vedere con le astruse cerimonie
istituite dagli uomini per onorare la divinit. Fin qui i riformati sareb-
bero daccordo: tant vero che la polemica contro il carattere sacrifi-
cale della messa si legava proprio a considerazioni di questo tipo.
Secondo: queste stesse attestazioni di riverenza, timore, amore,
culto e rispetto sono profondamente blasfeme se con esse si pensa di
aver esaurito il proprio compito nei confronti della divinit: credere
che un dio, perfetto e in quanto tale incapace di passione (nel sen-
so etimologico della parola), possa veder aumentata la propria gloria
dalle opere o dalla fede delluomo ridicolo. La gloria non un dono
delluomo a Dio, ma di Dio alluomo: essa un ponte gettato tra la
dimensione divina e quella umana, perch attraverso il rispetto delle
leggi (cio attraverso il riconoscimento delluniversale conversazione
tra i diversi piani della realt) e mediante lazione eroica (momento
pratico in cui ci si inserisce attivamente in questa universale conver-
sazione) luomo pu innalzarsi a una condizione per cos dire sovru-
mana. Questa, che una sua speciale prerogativa, rappresenta in un
certo senso anche il suo primo dovere: cos si onora la divinit, con
azioni salutifere a beneficio della collettivit, non con le poltro-
nerie dei riformati o le vane liturgie dei cattolici.
Sintenda poi con cautela lasserzione secondo cui gli dei non pro-
vano piacere o dispiacere, tristizia o allegrezza per quello che fanno
200 Sara Miglietti

o pensano gli uomini. Ovviamente Bruno non ha in mente una di-


vinit di stampo epicureo, impassibile e lontana nei suoi intermundia;
anzi, proprio questa la concezione perversa di Dio che Bruno attri-
buisce ai riformati, criticandola aspramente. Lutero scrive:

I comandamenti ci insegnano e ci pongono dinanzi ogni sorta di opere buo-


ne, ma non per questo esse si realizzano. Essi additano bens, ma non aiutano;
ammaestrano su quel che si deve compiere, ma non concedono le forze a ci
necessarie. Per la qual cosa sono preordinati solamente affinch luomo riconosca
da essi la propria impotenza al bene e da essi impari a disperare di se stesso. Per-
ci appunto sono chiamati Vecchio Testamento, ed al Vecchio Testamento
appartengono, perch il comandamento: Non desiderare il male (Ex 20,
17) dimostra che noi tutti siamo peccatori, e che nessun uomo pu essere
privo di desideri malvagi, qualunque cosa faccia; per da quel comandamen-
to impara a disperare di se stesso ed a cercare aiuto altrove, per liberarsi dei
desideri malvagi e adempiere cos al comandamento con laiuto di un altro,
poich da se medesimo non ne ha il potere; perci dunque tutti i comanda-
menti sono per noi impossibili ad adempiersi89.

Bruno replica contestando lassurdit di un comandamento che sia


impossibile ad adempiersi, visto che la legge stata ordinata circa
quel tanto chappartiene alla communione de gli uomini, alla civile
conversazione:

Sofia: Molto bene (o Saulino) Giove ha comandato, imposto et ordinato al


giudizio: che veda se gli vero che costoro inducano gli popoli al dispreggio
et al meno a poca cura di legislatori e leggi, con donargli ad intendere che
quelli proponeno cose impossibili e che comandano come per burla, cio per
far conoscere a gli uomini che gli di sanno comandare quello che loro non
possono mettere in esecuzione90.

Il Dio dei luterani lontano e falso: essi parlano di un Dio che


giudica con categorie imperscrutabili alluomo, che insegna che la
natura una puttana bagassa, che la legge naturale una ribaldaria;
che la natura e divinit non possono concorrere in uno medesimo
buono fine, e che la giustizia de luna non subordinata alla giustizia

89
Della libert del cristiano, in Lutero, Scritti politici cit., pp. 370-371 (corsivi miei).
90
Spaccio, p. 544 (corsivo mio).
201 Bruno e la Riforma protestante

de laltra, ma son cose contrarie, come le tenebre e la luce91, mentre


il vero Dio, che in tutto il mondo, et in ciascuna sua parte infini-
tamente e totalmente92, situato non su un piano separato del reale,
ma in perfetta continuit con la natura, di cui condivide le leggi.
Il Dio dei luterani ordina il mondo con leggi impossibili, quando
manifesto che due sono le mani per le quali potente a legare ogni
legge, luna della giustizia, laltra della possibilit; e di queste luna
moderata da laltra: atteso che quantumque molte cose sono possi-
bili che non son giuste, niente per giusto che non sia possibile93.
Ancora, il loro Dio non ha a cuore le virt civili, ma una sterile fede:
secondo la loro religione, il pi gran scelerato e poltrone chabbia
la Grecia [i cristiani], per essere appartenente alla generazione de gli
di, incomparabilmente megliore che il pi giusto e magnanimo
chabbia possuto uscir da Roma in tempo che fu republica, e da qual-
sivoglia altra generazione, quantumque meglior in costumi, scienze,
fortezza, giudicio, bellezza, et autorit. Questo il falso insegnamen-
to di Orione, cio di quel Cristo-Lutero venuto a confondere la retta
conoscenza di ogni cosa, tanto da far credere che il bianco nero,
che lintelletto umano, dove li par meglio vedere, una cecit; e ci
che secondo la raggione pare eccellente, buono et ottimo: vile, sce-
lerato et estremamente malo94.
In verit, afferma Bruno, tutto ci che Dio vuole che vengano
custoditi con cura quegli arbori che sono ne gli orti delle leggi,
cos che dei loro frutti si pascano, si nutriscano e conservino gli
uomini95. Opponendosi a questa verit evidente, i riformati non
promuovono i legami tra gli uomini n lo sviluppo civile, ma fissano
il proprio sguardo esclusivamente su quel Dio tiranno che non lascia
spazio alle imprese personali: perfino la fede finisce per dipendere dal-
larbitrio divino, visto che (secondo la lor dottrina) non in libert
de lelezzion loro di mutarsi a questa fede96. Affidando tutto allini-
ziativa divina essi inducono i popoli allozio e alla falsa confidenza,
uccidendo in loro ogni salutare istinto allazione e perfino la naturale

91
Ibid., p. 651.
92
De linfinito, p. 335.
93
Spaccio, p. 539.
94
Ibid., p. 651.
95
Ibid., p. 542.
96
Ibid., p. 518.
202 Sara Miglietti

ricerca della gloria e dellonore97. La loro religione sotto ogni profilo


un segno, e non un farmaco della crisi: i luterani si inseriscono nella
dinamica del rovesciamento perch rifiutano di chiamare le cose con
il loro nome, a differenza di Giordano che parla per volgare e ha
il coltello e fuoco per coltello e fuoco, cio ha ben compreso la vera
natura della sedicente riforma: mentre salutano con la pace, portano
ovumque entrano il coltello della divisione et il fuoco della dispersio-
ne, togliendo il figlio al padre, il prossimo al prossimo, linquilino a la
patria, e facendo altri divorzii orrendi e contra ogni natura e legge98.
Cos come stravolgono il rapporto tra giustizia e buone opere, soste-
nendo che la prima (ma solo in coloro che credono!) a generare
le seconde e non viceversa, essi invertono anche i ruoli di azione e
penitenza, ponendo questultima alla radice di ogni retto operare:

Constat autem poenitentia proprie his duabus partibus. Altera est contritio
seu terrores incussi conscienti agnito peccato. Altera est fides, qu conci-
pitur ex evangelio seu absolutione, et credit propter Christum remitti pec-
cata, et consolatur conscientiam et ex terroribus liberat. Deinde sequi debent
bona opera, qu sunt fructus poenitenti99.

97
In alcuni punti si ha quasi limpressione che Bruno usi Paolo contro Lutero,
in una curiosa ritorsione di accuse. Si pensi a quel passo (Rm 2, 5-15) in cui Paolo
scrive: Tu, con la tua durezza e con il tuo cuore impenitente, accumuli sopra di te ira
per il giorno dellira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, che retribuir a
ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a coloro che con la perseveranza nel bene
cercano lonore, la gloria e limmortalit; ira e indignazione a coloro che sono ribelli,
indocili alla verit, ma obbedienti alla malvagit. Tribolazione e angoscia sullanima
di ogni uomo che fa il male, prima sul Giudeo e poi sul Greco; gloria, onore e pace
per chiunque fa il bene, prima per il Giudeo e poi per il Greco; poich davanti a Dio
non vi preferenza di persone []. Se i pagani che non hanno la legge fanno, per
natura, quello che prescrive la legge, sono legge a se stessi, pur non avendo la legge.
Il fatto che in quei passi Paolo sta parlando del giudizio secondo la legge, quindi se-
condo lAntico Testamento; dopo la venuta di Cristo, invece, luomo giustificato
dalla fede, senza le opere della legge (Rm 3, 28).
98
Spaccio, p. 545 (corsivo mio); si noti la precisa ripresa testuale dallEpistola espli-
catoria.
99
F. Melantone, Confessio augustana (1530), art. 12 (De poenitentia), in La con-
fessione augustana del 1530, introduzione, testo e commento a cura di M. Bendiscioli,
Como 1943, p. 63 (corsivi miei).
203 Bruno e la Riforma protestante

Ma come pu esserci penitenza dove non c peccato? E come pu


esserci peccato dove non c azione volontaria e colpevole? Bruno
assolutamente convinto: non c peccato dove non si procede a
mal essempio o male effetto. Dunque la penitenza non deve stare
a monte dellazione, ma seguirla in caso di cattivo esito (nel duplice
senso di insuccesso e di colpa), ed ognuno deve star accorto che per
lavenire approve la penitenza, ma che non la metta al pari dellin-
nocenza100.
Per tutte queste ragioni, i riformati hanno scelto la via sbagliata per
portar consolazione agli uomini. Essi credono che umiliare luomo get-
tandolo nel terrore della propria miseria ed incapacit di migliorarsi
con le sue sole forze (ricordiamo quanto abbiamo appena letto: la
penitenza, che partorisce buone opere, parte dal terrore per giungere
alle fede e al conforto della coscienza)101 sia il primo passo per la libe-
razione: volgendosi a Dio, ormai disperato per la propria sorte, luomo
trova consolazione nellimmensa misericordia divina e nella certezza
che mediante la fede sar salvato. Secondo i riformati, la religione
cattolica non induceva questa consolazione:

Quamquam autem haec doctrina [quella della preminenza della fede sulle
opere] contemnitur ab imperitis, tamen experiuntur piae ac pavidae con-
scientiae plurimum eam consolationis afferre, quia conscientiae non possunt
reddi tranquillae per ulla opera, sed tantum fide, cum certo statuunt, quod
propter Christum habeant placatum Deum, quemadmodum Paulus docet
Rom. 5,1: iustificati per fidem, pacem habemus apud Deum102.

Chi ha come unica via di salvezza le opere sar sempre perseguitato


dal terrore che queste possano non essere gradite a Dio per colpa
della loro imperfezione o insufficienza. Secondo Calvino la nostra

100
Spaccio, p. 543.
101
Un altro passo significativo a questo proposito contenuto nellApologia per la
Confessio augustana, scritta da Melantone nel 1531: allart. 3 leggiamo: Allo stesso
modo, la fede di cui parliamo si trova nella penitenza, cio si concepisce nel terrore
che la coscienza prova sentendo la collera di Dio contro i nostri peccati, e cercando
la remissione di essi e la liberazione dal peccato. E in simile terrore ed altre angosce
questa fede cresca e sia consolidata (traduzione mia).
102
Melantone, Confessio augustana (1530), art. 20 (De bonis operibus), in La con-
fessione augustana cit., p. 75 (corsivo mio).
204 Sara Miglietti

coscienza non pu che essere contrariata e turbata da una profonda


inquietudine fintanto che noi cerchiamo protezione nelle opere103.
Il sistema confessionale e penitenziale cattolico fallisce proprio nel
suo scopo primario, quello di dare al fedele la coscienza di essersi ri-
conciliato con Dio: tutte queste cose non possono cicatrizzare la
piaga e, pi che rimedi per mitigare il male, sono veleni cosparsi di
miele, per non ferire, con la loro asprezza, il palato, ma ingannare e
penetrare fino al cuore prima di essere avvertiti. Questa terribile voce
incalza dunque sempre e tuona alle loro orecchie: confessa tutti i tuoi
peccati! E lorrore non pu essere placato se non da una consolazione
sicura104.
A detta del riformatore di Ginevra, la consolazione fondamentale
per non perdere fiducia nella benevolenza divina e per mantenersi
saldi nella fede. Lansiet ben temperata pu essere utile nella vita
quotidiana da essa, in un certo senso, che nasce la prudenza105;
da essa che nasce, come abbiamo appena visto, lo stimolo a pen-
tirsi e a volgersi a Dio106. Ma unansiet priva di controllo conduce
allangoscia; langoscia genera dubbio e il dubbio, secondo Calvino,
il peggior nemico del cristiano. Per questo egli si spinge talvolta ad
affermazioni sorprendenti in un teologo e consone piuttosto a un fi-
losofo di matrice stoica (non si dimentichi che Calvino si era presen-
tato allEuropa intellettuale, ancora giovanissimo, con un commento
al De clementia di Seneca), scrivendo ad esempio che la libert dalla
paura, dal tormento e dallansiet di ogni preoccupazione il pi desi-
derabile di tutti i beni, perch la pace interiore della mente sorpassa le
cose migliori che noi possiamo immaginare107.
Seguendo san Paolo, i riformatori desiderano prima di tutto che Dio

103
G. Calvino, Supplex Exhortatio ad Caesarem, de restituenda ecclesia, cit. in W.
Bouwsma, Giovanni Calvino, Roma-Bari 1992, p. 63.
104
Calvino, Istituzione cit., III, 4, 17, p. 782.
105
interessante notare che anche per Bruno (lo vedremo tra poco) alla base della
prudenza c un sano timore.
106
Esemplare , per Calvino, il percorso interiore seguito da Zaccaria nella sua
progressiva scoperta di Dio: cfr. Commentarius in harmoniam evangelicam, in Ioannis
Calvini Opera quae supersunt omnia, 59 voll., Brunsvigae 1863-1900, XLV, ed. G.
Baum, E. Cunitz et E. Reuss, pp. 7-19 (ad Lucam 1, 5-20).
107
G. Calvino, Commento ai Salmi, 4, 9, cit. in Bouwsma, Giovanni Calvino cit.,
p. 67.
205 Bruno e la Riforma protestante

sia padre di misericordia e Dio di ogni consolazione108: e lunico


modo perch Dio lo sia davvero rimettere a Lui ogni potere sulla no-
stra salvezza, nella certezza che il Suo giudizio sar equo e benevolo:

Ricaviamo una grande consolazione dal sapere che il potere di giudicare


dato a colui che ci ha fatti partecipi della sua autorit di giudice (Mt 19,
28): egli non salir sul trono per condannarci! Un principe cos clemente
distruggerebbe il suo popolo? Il capo disperderebbe le sue membra? Lavvo-
cato condannerebbe quelli che difende? LApostolo si compiace del fatto
che nessuno possa condannare, quando Ges Cristo intercede per noi (Rm
8, 33); ancor pi certo che Cristo, essendo il nostro intercessore, non ci
condanner certamente, dato che ha preso in mano la nostra causa ed ha
promesso di sostenerci109.

Bruno concorda pienamente sul fatto che la consolazione, intesa


come pace dellanima e sentimento di tranquilla fiducia, sia un im-
portante traguardo per luomo; tuttavia rifiuta alla radice la via indi-
cata dai riformati per conseguire tale obiettivo. Abbiamo gi visto
che il Nolano non contrario a ogni forma di ozio, ma solo allozio
poltrone che non succede allazione, bens si sostituisce ad essa. Il
riposo dopo la fatica invece un valore che va accolto con gioia:

[...] e facciasi tutto presto, perch per il troppo negociare io mi muoio di fame,
et il simile credo de voi altri anco: oltre che mi par convenevole che questo
purgatorio non sia senza qualche nostro profitto ancora; Bene, bene, assai
bene, risposero tutti gli di, et ivi si trove la Salute, la Securit, lUtilit,
il Gaudio, il Riposo e somma Voluttade, che son parturite dal premio de virtu-
di, e remunerazion de studi e fatiche. E con questo festivamente usciro dal
conclave: avendo purgato il spacio oltre il signifero []110.

la conclusione dello Spaccio, che era stata preannunciata in


un passo che abbiamo gi letto fin dallEpistola esplicatoria, quan-
do Bruno poneva come epilogo della purgazione il Termine de gli
tempestosi travagli, il Letto, il tranquillo Riposo, la sicura
Quiete. La consolazione non giunge dunque dopo la dialettica ter-

108
Calvino, Istituzione cit., III, 20, 37, p. 1071 (cfr. 2 Cor 1, 3).
109
Ibid., II, 16, 18, p. 656.
110
Spaccio, p. 668 (corsivi miei).
206 Sara Miglietti

rore-penitenza, ma remunerazion de studi e fatiche qualcosa di


interamente mondano, che luomo pu e deve raggiungere con le sue
sole forze, senza volgere lo sguardo al cielo in attesa di aiuti esterni.
Non solo il terrore non va considerato come un primo passo verso la
futura serenit, ma addirittura, secondo Bruno, qualcosa di diame-
tralmente opposto alla serenit stessa:

Provediamo ora a la Lepre, la qual voglio che sia stata tipo del timore per
la Contemplazion de la morte. Et anco per quanto si pu de la Speranza, e
Confidenza, la quale contraria al Timore: perch in certo modo luna e laltra
son virtudi, o almeno materia di quelle, se son figlie della Considerazione e
serveno a la Prudenza: ma il vano Timore, Codardiggia, e Desperazione, vadano
insieme con la Lepre a basso a caggionare il vero inferno et Orco de le pene
a gli animi stupidi et ignoranti. Ivi non sia luogo tanto occolto in cui non
entre questa falsa Suspettazione et il cieco Spavento de la morte, aprendosi la
porta dogni rimossa stanza mediante gli falsi pensieri che la stolta Fede et
orba Credulitade parturisce, nutrisce et allieva: ma non gi (se non con vane
forze) saccoste dove linespugnabil muro della filosofica contemplazion vera
circonda, dove la quiete de la vita sta fortificata e posta in alto, dove aperta
la verit, dove chiara la necessitade de leternit dogni sustanza; dove non
si dee temer daltro che desser spogliato dallumana perfezzione e giustizia
che consiste nella conformit de la natura superiore e non errante111.

Questo passo risulta particolarmente significativo se lo confrontia-


mo con la posizione di Calvino a proposito del sentimento della mor-
te: la paura della fine innata in ogni uomo, tuttavia accresciuta
nel cristiano dalla consapevolezza che la morte non sempre stata il
destino dellumanit, ma fu imposta come punizione per il peccato
originale: essa una maldiction, un changement de lordre de
Dieu, non fa parte della nostra natura. Moriamo perch Dio ha vo-
luto ricordarci con un marchio indelebile la nostra colpa ancestrale;
dunque nella morte il cristiano vede unanticipazione di ci che lo
attende nel giorno del Giudizio finale, e questo accresce il suo terrore:
Se i giudizi di Dio sono cos temibili in terra, quanto terribile sar
egli stesso quando verr alla fine per giudicare il mondo!112. Si pensi
al Dio delle Scritture:

111
Ibid., p. 655 (corsivi miei).
112
G. Calvino, Commento a Isaia, 10, 3, cit. in Bouwsma, Giovanni Calvino cit.,
p. 62.
207 Bruno e la Riforma protestante

dalla sua luce le stelle sono oscurate, la sua potenza scioglie le montagne
come neve al sole, la terra scossa dalla sua collera, la sua saggezza sorprende
lacume dei saggi, la sua purezza cos grande che in confronto tutte le cose
sono sporche e contaminate; dinanzi alla sua giustizia gli angeli non possono
reggere; non perdona al malvagio e la sua vendetta, una volta accesa, pe-
netra fin nel pi profondo della terra. Quando siede per esaminare le opere
degli uomini, chi oser avvicinarsi al suo trono senza tremare?113

Basta riflettere su questo per abbandonare immediatamente lorgo-


glio e linsolenza con cui siamo soliti comportarci, immemori di Dio:

Finch ci paragoniamo agli uomini, facile pensare che abbiamo qualcosa


che gli altri non devono disprezzare. Quando per ci riferiamo a Dio, questa
fiducia istantaneamente distrutta []. Gloriamoci pure orgogliosamente
della nostra giustizia fra gli uomini, Dio lavr in abominio in cielo []!
Comprendiamo ora, chiaramente, di che tipo sia la giustizia di Dio, quella
cio che non sar soddisfatta da alcuna opera umana, e ci accuser di mille
delitti senza che ci possiamo purificare di uno solo114.

C quindi un nesso stretto tra timore della morte e abbandono di


quellorgoglio che ci impedisce di volgerci a Dio. Ancora una volta
vediamo come la paura, spinta quasi ai limiti della disperazione, gio-
chi per i riformati un ruolo positivo nellavvicinamento alla fede e,
quindi, nella nostra insistita ricerca di serenit: quella stessa Lepre
che per Bruno era tipo del timore per la Contemplazion de la mor-
te e andava espulsa sine mora dallo zodiaco ormai purgato, in quanto
nemica della Speranza e della Confidenza e figlia di una stolta Fede
et orba Credulitade, per Calvino unottima guida verso la consola-
zione che ogni uomo cerca in questa vita.

4. Illum Alcidem, tanto ipso Hercule praestantiorem

Come anticipato nella premessa, in questultima sezione ci sofferme-


remo sui problemi interpretativi sollevati da unopera di Bruno, lOra-
tio valedictoria, decisiva per determinare il rapporto del Nolano con gli

113
Calvino, Istituzione cit., III, 12, 1, pp. 912-913.
114
Ibid., III, 12, 2, p. 914.
208 Sara Miglietti

ambienti luterani a Wittenberg. Il passo che pi di ogni altro ha attira-


to lattenzione degli studiosi il cosiddetto elogio di Lutero: ho gi ri-
cordato che, secondo alcuni critici, esso potrebbe costituire una prova
decisiva per dimostrare come, in una fase pur breve del suo soggiorno
tedesco, Bruno si sia avvicinato al luteranesimo pi di quanto si soliti
pensare. Riporto dunque il testo integrale del passo in questione:

At vero quis est quem silentio praeteribam? Cum fortis ille armatus, clavibus
et ense, fraudibus et vi, astubus et violentia, hypocrisi et ferocitate, vulpes et
leo, vicarius tyranni infernalis, superstitioso cultu et ignorantia plusquam
brutali, sub titulo divinae sapientiae et simplicitatis Deo gratae, inficeret
universum; et voracissimae bestiae non esset qui auderet adversari et obsi-
stere contra, pro disponendo indigno et perditissimo seculo ad meliorem et
feliciorem formam, atque statum, quae reliqua Europae et mundi pars pro-
tulisse potuit nobis illum Alcidem, tanto ipso Hercule praestantiorem, quanto
faciliore negocio et instrumento maiora perfecit, (an non enim etiam per-
fecisse dicam eum, qui tam strenue atque frugaliter negocium tam egregium
est adorsus?) Si quippe maius et longe perniciosius monstrum omnibus, quae
tot ante seculis extitere, peremptum vides,
De clava noli quaerere, penna fuit.
Unde ille? unde? Ex Germania, ex ripis istius Albis, ex ubertate fontis istius.
Hc triplici illa thiara insignem tricipitem illum Cerberum, ex tenebroso educ-
tum orco vidistis vos, et ille solem. Hc stygius ille canis coactus est aconi-
tum evomere. Hc vester et vestras Hercules de adamantinis inferni portis, de
civitate illa triplici circumdata muro, et quam novies Styx interfusa corcet,
triumphavit. Vidisti, Luthere, lucem, vidisti lucem, considerasti, excitan-
tem divinum spiritum audisti, praecipienti illi obedisti, horrendo principi-
bus atque regibus inimico inermis occurristi, verbo oppugnasti, repugnasti,
obstitisti, restitisti, vicisti, et hostis superbissimi spolia atque trophaeum ad
superos evexisti. Hic ergo sapientia aedificavit sibi domum, hic excidit colu-
mnas septem, hic melius sacrificii vinum miscere adorta est, hic reformatio-
rem posuit Sacramentorum mensam115.

Con una similitudine ormai classica al tempo in cui Bruno scriveva,


Lutero viene paragonato a Ercole: gi nei primissimi anni della Rifor-
ma in Germania erano stati fatti circolare dei pamphlet in cui Lutero
veniva raffigurato come leroe del mito; il suo trionfo sul papa aveva

115
Oratio valedictoria, pp. 20-21 (corsivi miei).
209 Bruno e la Riforma protestante

poi incoraggiato a sviluppare il paragone, giacch anche lui, come Er-


cole, nel corso delle sue fatiche si trovava ad aver sconfitto un leone
(Ercole il leone di Nemea, Lutero papa Leone X)116. NellOratio Bru-
no si ricollega a questo patrimonio allegorico e dipinge il papa come
una bestia infernale, un Cerbero tricipite posto a guardia di Roma,
citt di Dite corrotta e superba. Il papa, volpe e leone (un vero
e proprio principe machiavellico; ma c forse di nuovo unallusione
al nome del papa, Leone), il pi turpe nemico che lumanit abbia
mai conosciuto: con la forza e linganno riuscito a sottomettere il
mondo intero al suo potere, tanto da far tremare principi e re. Ma
Lutero non indietreggiato: da degno figlio di madre Germania, ha
parato i colpi fino a trionfare.
Quanto c di bruniano in questo elogio, quanto invece mecca-
nica ripetizione di formule gi note? Capire in quale misura Bruno
sia sincero nel pronunciare la sua orazione, al di l dei topoi e degli
schemi retorici, cosa necessaria se intendiamo interrogarci su ci
che il Nolano realmente pensava della comunit da cui si avviava
a prender congedo. Ora, da rapidi sondaggi che andrebbero molti-
plicati e approfonditi risulta che questa sezione dellOratio in gran
parte un collage di stilemi attinti ai classici e alla letteratura luterana.
Bruno adotta una strategia astuta: per suonare pi familiare e per-
suasivo di fronte al suo pubblico, si appropria della retorica locale.
Mentre la lode di Wittenberg credibile, perch intessuta di motivi
chiaramente bruniani (si pensi al bellissimo autoritratto del Nolano
come exul immeritus), a mio avviso lelogio di Lutero risulta canonico
e manierato: troppo per non sospettare che lencomio sia frutto pi di
artificiosa diplomazia che non di un sentimento autentico. In molti
luoghi facile individuare le fonti dirette di Bruno: ad esempio, quel
De clava noli quaerere, penna fuit una citazione scoperta dal poe-
ta luterano Johann Major, che alla morte di Lutero aveva composto
il seguente epigramma:

Lutherus decimum confecit strage Leonem:


De clava noli quaerere; penna fuit117.

116
Cfr. R. Bainton, LErcole tedesco, in Id., Martin Lutero, Torino 1960. Una bella
incisione (ca. 1522) riportata in Il servo arbitrio, in Lutero, Opere scelte cit., p. 24,
con analisi iconografica di C. Papini alle pp. 430-431.
117
Cit. in M. Adam, Vitae Germanorum Theologorum, Frankfurt 1620, p. 157.
210 Sara Miglietti

Come si vede, anche qui sottinteso il paragone con Ercole (il leo-
ne, la clava); lo stesso vale nel caso di Thodore de Bze, successore
di Calvino a Ginevra, che a sua volta aveva composto un necrologio
in versi, di ottima fattura, allindomani della scomparsa del riforma-
tore tedesco:

Roma orbem domuit; Romam sibi Papa subegit:


Viribus illa suis, fraudibus iste suis.
Quanto isto maior Lutherus, maior et illa:
Istum, illamque uno qui domuit calamo!
I nunc! Alciden memorato Graecia mendax:
Lutheri ad calamum ferrea clava nihil118.

Se vogliamo, anche lespressione tricipitem illum Cerberum tro-


va un parallelo preciso: bisogna cercare nellopera di un drammaturgo
e predicatore di Dortmund, Jacob Schpper, autore tra molte cose
di una rappresentazione sacra incentrata sulla parabola della pecorel-
la smarrita (Ovis perdita, 1555: Thesmophorus ingentibus loca/ Om-
nia replevit clamoribus, ac Claudiana/ Hercle tantum non tonitrua
edidit:/ Hosioter autem cantionibus usus est/ Tam amoenis omnino,
ut vel flectere Cerberum/ Illum tricipitem potuissent). Sebbene oggi il
suo nome sia pressoch sconosciuto, a met Cinquecento Schpper
aveva goduto di una notevole celebrit per la sua opera di rinnova-
mento sociale e culturale: a modo suo fu vicino alle posizioni della
Riforma, pur non abbandonando mai formalmente la religione catto-
lica; eppure le sue opere, sia di carattere drammatico sia di carattere
teologico (scrisse un Catechismus brevis et catholicus e varie omelie,
raccolte nelle numerose edizioni della sua Institutio Christiana), ebbe-
ro vasta circolazione anche nelle regioni protestanti, sopravvivendo
per alcuni decenni al loro creatore119. Quanto alla descrizione delle

118
Ibid. (corsivi miei).
119
J. Schpper, Ovis perdita. Parabola evangelica descripta comice, Coloniae 1562,
III, 3. Ulteriori notizie in U. Olschewski, Erneuerung der Kirche durch Bildung und
Belehrung des Volkes. Der Beitrag des Dortmunder Humanisten Jacob Schpper zur For-
mung der Frmmigkeit in der frhen Neuzeit, Mnster 1999. In particolare sono interes-
santi le pagine che riguardano lincertezza di Schpper nel definire il ruolo delle ope-
re nella giustificazione: in alcuni suoi sermoni, lumanista tedesco sembra vicinissimo
a posizioni luterane (cfr. ibid., pp. 73-74: Vide, neque nostra opera, neque merita,
211 Bruno e la Riforma protestante

adamantinae inferni portae, il debito verso il sesto libro dellEneide


manifesto120. Ricerche pi approfondite rivelerebbero certo ulterio-
ri fonti; per ora spero basti questo per mostrare la tecnica che Bruno
us per comporre il passo, e per concludere che lelogio rispecchia pi
lagiografia luterana, farcita dinevitabili richiami classici, che il reale
sentimento del Nolano121.

immo neque ulla creatura nos a servitute, iugo imperio et maledictione Legis liberare
possunt, sed solus unigenitus Dei patris filius Iesus Christus); altrove sembra dare
una certa importanza alle opere, nonostante queste non giustifichino (torna il con-
cetto di fede viva perch utile, nonch il termine frutti: Soll derhalben niemand
darfur achten/ da ein jeglicher glaub nutz sey/ ja es soll sich auch keiner des falschen
und muessigen Tittels des glaubens rhuemen. Dann welcher leer ist der lieb/ welcher
der frucht der guten werck mangelt [], derselb ist todt und kan auch keinen rechtfer-
tigen, ibid., p. 76); ma in certi passi dichiara addirittura necessarie per la salvezza le
buone opere e la partecipazione ai Sacramenti (ibid., p. 79: Is igitur arbor, qui non
facit fructum bonum, excidetur et in ignem mittetur; p. 74: Sacramenta spirituales
canales sint, per quos Christi merita in nos defluunt); tutti i corsivi sono miei. La
posizione di Schpper sui Sacramenti e la sua idea della Chiesa come depositaria
della retta interpretazione delle Scritture (ibid., p. 75: In sola Ecclesia verus est
verbi Dei sensus, vera interpretatio) danno ragione della sua mancata adesione alla
Riforma e della sua coraggiosa ricerca di una terza via. Il tentativo fall; alla morte di
Schpper il Gymnasium di Dortmund, da lui orientato in senso umanistico, pass a
un luterano e la citt si convert, entro gli anni Settanta, al protestantesimo.
120
Virgilio, Aen., VI, 438-439, 548-554: Fas obstat, tristisque palus inamabi-
lis undae/ alligat et nouies Styx interfusa coercet./ [] Respicit Aeneas subito et sub
rupe sinistra/ moenia lata uidet triplici circumdata muro,/ quae rapidus flammis ambit
torrentibus amnis,/ Tartareus Phlegethon, torquetque sonantia saxa./ Porta aduersa
ingens solidoque adamante columnae,/ uis ut nulla uirum, non ipsi exscindere bello/
caelicolae ualeant; stat ferrea turris ad auras (corsivi miei). La discesa agli Inferi
era un topos nella letteratura protestante: si ricordi la discesa di Cristo per salvare i
patriarchi; anche Ercole compie un viaggio nellAde, per riportare sulla terra Teseo.
121
ovvio che, se anche volessimo interpretare come insincera e artificiosa la lode
di Lutero, non saremmo in alcun modo costretti ad attribuire tali caratteri allintera
Oratio: sono convinta infatti che Bruno fosse del tutto serio e partecipe nellelogiare
Wittenberg e la Germania quale novella sede di ogni arte e scienza. Ma questo a
mio avviso non significa n, come voleva De Martinis, un mutamento di opinione a
proposito della bont della religione riformata, n la scoperta, da parte di Bruno, della
positivit del ruolo di Lutero. Sicuramente infatti vi apprezzamento nei confronti
212 Sara Miglietti

Ma vi unulteriore traccia che possiamo seguire: non si tratta in-


fatti della prima volta in cui Bruno ci presenta la figura di Ercole. Ab-
biamo gi detto nelle sezioni precedenti che Ercole, come Perseo, era
uno dei figli illegittimi di Giove a cui veniva dato spaccio nel 1584.
Dopo aver collocato Legge e Giudizio nelle rispettive sedi celesti,
Momo aveva indicato Ercole a Giove per conoscere le intenzioni del
padre degli dei circa il suo bastardo:

Dopo fatti molti discorsi e digressioni in proposito di questa sedia, mostr


Momo a Giove Ercole, e gli disse: Or che faremo di questo tuo bastardo?;
Avete udito Dei, rispose Giove, la caggione per la quale il mio Ercole
deve andarsene con gli altri altrove. Ma non voglio che la sua andata sia
simile a quella de tutti gli altri; perch la causa, modo e raggione de la sua
assumpzione stata molto dissimile: per ci che solo e singularmente per le
virtudi e meriti de gli gesti eroici sha meritato il cielo; e bench spurio, degno
per di essere legitimo figlio di Giove s dimostrato; e vedete aperto che
solo la causa de lessere adventizio e non naturalmente dio, fa che li sia
negato il cielo: et il mio, non suo errore quello che per lui io vegno (come
stato detto) notato. E credo che vi rimorda la conscienza: che se uno da
quella regola e determinazion generale devesse essere eccettuato, questo solo
derrebe essere Ercole. Per se lo togliemo da qua e lo mandamo in terra, fac-
ciamo che non sia senza suo onore e riputazione, la quale non sia minore che
se continuasse in cielo. Assorsero molti (dico la pi gran parte) de gli di,
e dissero: Con maggiore, se maggior si puote; Instituisco dumque Giove
soggionse, che con questa occasione a costui come a persona operosa e forte,
sia donata tal commissione e cura, per quale si faccia dio terrestre talmente
grande, che vegna da tutti stimato maggior che quando era autenticato per
celeste semideo. Risposero que medesimi: Coss sia. E perch alcuni de

della missione storica del frate sassone, consistente nellopporsi alla tirannia papale;
ma Bruno afferma chiaramente, in altra sede, che avrebbe preferito la continuazione
del dominio cattolico alla perniciosa riforma dei protestanti. Mi pare che egli con-
sideri in un certo senso Lutero come una risposta sbagliata a un problema reale. Ma
se questa era la sua autentica opinione, evidente che non avrebbe potuto esporla
di fronte al suo pubblico, composto dallintellighenzia luterana; ed altrettanto evi-
dente che i suoi ascoltatori si aspettassero, al termine della lunga carrellata sui grandi
ingegni tedeschi, limmancabile elogio al liberatore delle coscienze religiose. Vorrei
ringraziare la prof.ssa Simonetta Bassi per le discussioni che abbiamo avuto su questo
problema.
213 Bruno e la Riforma protestante

quegli n erano assorti allora, n parlavano adesso, si converse Giove a loro,


e gli disse che ancor essi si facessero intendere. Per di quelli alcuni dissero
Probamus; altri dissero Admittimus; disse Giunone Non refragamur.
Indi si mosse Giove a proferir il decreto in questa forma: Per causa che in
luoghi de la terra in questi tempi si scuoprono de mostri, se non tali quali
erano a tempi de gli antichi cultori di quella, forse peggiori: io Giove padre
e proveditor generale, instituisco che se non con simile o maggior mole di
corpo, dotato per et inricchito di maggior vigilanza, di sollecitudine, vigor
dingegno et efficacia di spirto, vada Ercole come mio luogotenente e ministro
del mio potente braccio in terra: e come vi si mostr grande prima, quando
fu nato e parturito in quella, con aver superati e vinti tanti fieri mostri; e
secondo, quando rivenne a quella vittorioso da linferno apparendo insperato
consolator de gli amici, et inaspettato vendicator de gli oltragiosi tiranni: coss al
presente qual nuovo e tanto necessario e bramato proveditore, vegna la terza
volta visto da la madre; e discorrendo per gli tenimenti di quella: veda se di
bel nuovo per le cittadi arcadiche vada dissipando qualche Nemeo leone; se il
Cleoneo di nuovo appaia in Tessaglia. Guarde se quellidra, quella peste di
Lerne, sia risuscitata a prendere le sue teste rigermoglianti. Scorga se ne la
Tracia sia di nuovo risorto quel Diomede, e chi de sangue de peregrini pascea
ne lEbro gli cavalli. Volte locchio a la Libia, se forse quellAnteo che tante
volte ripigliava il spirto, abbia pur una volta ripigliato il corpo. Considere
se nel regno Ibero qualche tricorporeo Gerione. Alze il capo e veda se per
laria a questo tempo volano le perniciosissime Stimfalidi: dico se volano
quelle Arpie che talvolta soleano annuvolar laria, et impedir laspetto de
gli astri luminosi. Guate se qualchispido cinghiale va spasseggiando per gli
Erimantici deserti; se sincontrasse a qualche toro non dissimile a quello
che donava orrido spavento a tanti popoli; se bisognasse far uscir a laria
aperto qualche triforme Cerbero che latre, a fin che vomisca laconito mortifero;
se circa gli crudi altari versa qualche carnefice Busire; se qualche cerva, che
di dorate corna adorna il capo, appare per que deserti, simile a quella che
con gli piedi di bronzo correa veloce pari al vento; se qualche nova regina
Amazonia ha congregate le copie rubelle; se qualche infido e vario Acheloo
con inconstante, moltiforme e vario aspetto tiranneggia in qualche parte; se
sono Esperidi chin guardia del drago han commese le poma doro; se di nuo-
vo appare la celibe et audace Regina del popolo Termodonzio; se per lItalia
va grassando qualche Lancinio ladro, o discorra qualche Cacco predatore,
che con il fumo e fiamme defenda gli suoi furti; se questi o simili, o altri
nuovi et inauditi mostri gli occorreranno, e se gli aventaranno mentre per il
spacioso dorso de la terra varr lustrando: svolte, riforme, discaccie, persgui-
te, leghe, domi, spoglie, dissipe, rompa, spezze, franga, deprima, sommerga,
brugge, casse, uccida, annulle. Per gli quai gesti, in merc di tante e s gloriose
214 Sara Miglietti

fatiche, ordino che ne gli luoghi dove effettuar le sue eroiche imprese gli sieno
drizzati trofei, statue, colossi, et oltre fani e tempii, se non mi contradice il
fato. Veramente, o Giove, disse Momo, adesso mi pari a fatto a fatto dio
da bene: perch veggio che la paternale affezzione non ti trasporta a passar
gli termini circa la retribuzione secondo gli meriti del tuo Alcide; il quale se
non degno di tanto, meritevole oltre forse di qualche cosa di vantaggio,
anco a giudicio di Giunone, la qual veggio che ridendo pur accetta quel chio
dico122.

A prima vista il testo ci dice solo che Ercole, per la sua condizione
dillegittimo, non pu restare assiso in cielo; dovendo egli scendere
sulla terra, gli dei desiderano, in segno di rispetto per i suoi passati
meriti, che lAlcide lo faccia con onore. Ercole viene quindi inve-
stito di una missione speciale: dovr ripetere le sue gloriose fatiche
punendo ogni ingiustizia che verr commessa in terra. Di fronte a
crimini sovrumani, necessario infatti un eroe di sangue divino. Fin
qui, tutto chiaro; se non fosse che, noi lo sappiamo, Ercole era spes-
so associato alla persona di Lutero, e Bruno stesso avrebbe sviluppa-
to il parallelo quattro anni dopo. interessante perci che proprio
nellopera antiluterana sia dato tanto spazio a un personaggio che,
osservato sotto diversi punti di vista, pu rappresentare sia lantitesi
perfetta di Lutero (la fatica contro lozio, il merito contro la sola fede)
sia, per tradizione, Lutero stesso. Quanto meno si pu dire che nel
passo presente questa ambiguit.
Ma forse si pu procedere oltre e rileggere lintero brano in chiave
ironica, identificando Ercole con Lutero: alcuni indizi sembrano por-
tare proprio in questa direzione. Innanzitutto, linsistenza fin esagera-
ta sul lessico delloperosit: virtudi, meriti, gesti eroici, onore, perso-
na operosa e forte, commissione, cura, vigilanza, sollecitudine, vigor
dingegno, efficacia di spirto, gloriose fatiche, eroiche imprese. un
accumulo di termini che diventa significativo, se consideriamo il con-
testo del nostro passo: appena prima, discorrendo di legge e giudizio,
gli dei avevano parlato della pestilenza che affligge il mondo: era
la prima requisitoria antiluterana dello Spaccio. Successivamente, gli
dei avevano discusso di altre questioni, ma Bruno ci dice soltanto che
furono fatti molti discorsi e digressioni: non si sofferma su questo

122
Spaccio, pp. 520-522 (corsivi miei, tranne Probamus, Admittimus e Non
refragamur).
215 Bruno e la Riforma protestante

punto, forse per non perdere lefficacia del contrasto tra la descrizione
della pestilenza e la presentazione ironica di Ercole. A ben vedere,
infatti, lepisodio di Ercole come isolato dal resto del dialogo: dal-
la discussione che lo precede, mediante la formula che abbiamo gi
letto (Dopo fatti molti discorsi e digressioni in proposito di questa
sedia []); dalle successive disposizioni divine, mediante linseri-
mento della conversazione tra Sofia e Mercurio, che interrompe bru-
scamente la narrazione fatta a Saulino e pone fine al primo dialogo:
Sofia: [...] Ma ecco il mio tanto aspettato Mercurio, o Saulino, per
cui conviene che questo nostro raggionamento si differisca ad unal-
tra volta. Per piacciati discostarti e lasciarne privatamente raggionar
insieme. Saulino: Bene: a rivederci domani123. Simili accorgimenti
ci inducono a concentrare lattenzione sullepisodio di Ercole, come
se Bruno ci stesse suggerendo di leggere tra le righe124.
Forse ugualmente bisogna dare rilievo a una delle battute finali,
l dove si scherza sulla proverbiale gelosia di Giunone per segnalare
che Ercole, meritevole perfino ai suoi occhi (ricordiamo che il se-
midio un illegittimo di Giove, dunque figlio del tradimento), deve
proprio possedere una speciale dignit: Veramente, o Giove, disse
Momo, adesso mi pari a fatto a fatto dio da bene: perch veggio
che la paternale affezzione non ti trasporta a passar gli termini circa
la retribuzione secondo gli meriti del tuo Alcide; il quale se non
degno di tanto, meritevole oltre forse di qualche cosa di vantaggio,
anco a giudicio di Giunone, la qual veggio che ridendo pur accetta
quel chio dico (e si noti anche la retribuzione secondo gli meriti,
espressione che si carica qui di un particolare significato, se la mia
interpretazione corretta). Questo ridendo ci indica forse il modo
in cui bisogna leggere lintero passo? Momo noto agli altri dei pro-
prio per la sua ironia. Tant vero che in un altro passo dello Spaccio
un passo chiaramente antifrastico egli si prende gioco di Orione
in questi termini:

123
Ibid., pp. 522-523.
124
Gi una volta, nellArgomento del quinto dialogo de La cena de le Ceneri, Bruno
aveva avvertito il lettore del fatto che nel suo scritto non v parola ociosa: per
che in tutte parti da mietere, e da disotterar cose di non mediocre importanza, e
forse pi l dove meno appare (Cena, p. 15). Sembra quindi plausibile che, anche
nel nostro caso, Bruno possa aver voluto dire pi di quanto non appaia immedia-
tamente.
216 Sara Miglietti

[...] lasciate proponere a me, o di. Ne cascato (come proverbio in Na-


poli) il maccarone dentro il formaggio. Questo, perch sa far de maraviglie, e
(come Nettuno sa) pu caminar sopra londe del mare senza infossarsi, senza
bagnarsi gli piedi; e con questo consequentemente potr far molte altre belle
gentilezze: mandiamolo tra gli uomini; e facciamo che gli done ad intendere
tutto quello che ne pare e piace []. Persuader con questo che la filosofia,
ogni contemplazione, et ogni magia che possa fargli simili a noi, non sono
altro che pazzie; che ogni atto eroico non altro che vegliaccaria: e che la
ignoranza la pi bella scienza del mondo, perch sacquista senza fatica, e
non rende lanimo affetto di melancolia. Con questo forse potr richiamare
e ristorar il culto et onore chabbiamo perduto, et oltre avanzarlo, facendo
che gli nostri mascalzoni siano stimati di per esserno o Greci o ingrecati.
Ma con timore (o di) io vi dono questo conseglio, perch qualche mosca mi
susurra ne lorecchio: atteso che potrebbe essere che costui al fine trovandosi
la caccia in mano, non la tegna per lui, dicendo e facendoli oltre credere
che il gran Giove non Giove, ma che Orione Giove: e che li di tutti
non sono altro che chimere e fantasie. Per tanto mi par pure convenevole
che non permettiamo, che per fas et nefas (come dicono) vaglia far tante
destrezze e demostranze, per quante possa farsi nostro superiore in riputazio-
ne. Qua rispose la savia Minerva: Non so, o Momo, con che senso tu dici
queste paroli, doni questi consegli, metti in campo queste cautele: penso chil
parlar tuo ironico [...]125.

Momo propone di inviare Orione tra gli uomini a portare il suo


messaggio (che palesemente il messaggio dei luterani): con questo
forse potr richiamare e ristorar il culto et onore chabbiamo perduto,
et oltre avanzarlo. Minerva non pu credere che Momo sia tanto
pazzo da parlare sul serio, perci gli dice: Penso chil parlar tuo
ironico. Cosa interessante, perch la scena di Orione ha pi di un
particolare in comune con lepisodio di Ercole: in entrambi i casi si
tratta di dare spaccio a una figura importante dello zodiaco, cara a
uno degli dei (Ercole a Giove, Orione a Nettuno) e si discute lunga-
mente sul destino da assegnare agli esuli, una volta banditi. In pi,
in entrambi i casi si propone di inviare lesule sulla terra affidandogli
una missione speciale, ed entrambi gli episodi si concludono in modo
simile: Minerva che coglie lironia di Momo, Giunone che riden-

125
Spaccio, pp. 650-652 (corsivi miei, tranne per fas et nefas).
217 Bruno e la Riforma protestante

do accetta quanto stabilito dal consesso. Messi in sospetto da questi


segnali, potremmo anche riconsiderare la seriazione verbale conte-
nuta nellepisodio di Ercole: svolte, riforme, discaccie, persguite,
leghe, domi, spoglie, dissipe, rompa, spezze, franga, deprima, sommer-
ga, brugge, casse, uccida, annulle. La missione assegnata a Ercole si
compone di azioni eccezionalmente brutali; si pu certo pensare che
il ruolo si attagli bene al personaggio; che la sua clava di giustiziere
non possa colpire senza violenza; del resto, convinto com che solo
un atto di forza potr porre fine alla peste luterana, Bruno non rifiuta
a priori lintervento armato, se necessario per riportare la pace. Mal-
grado ci, a mio parere c qualcosa di bizzarro nel fatto che Ercole
riformi la terra con il coltello e il fuoco, cio con le stesse armi che il
Nolano attribuisce ai luterani.
Le considerazioni appena fatte spingono a un riesame dellOratio
valedictoria: qualunque interpretazione dellelogio di Lutero ivi con-
tenuto dovr infatti fare i conti con lintenzione che muove Bruno,
nello Spaccio, a identificare leroe e il riformatore; precisi paralleli
testuali fanno pensare che il Nolano avesse in mente il passo del-
lo Spaccio nel comporre il brano su Lutero. Ma se lintenzione, nel
1584, era effettivamente ironica, sembra quanto meno improbabile
che lelogio pronunciato quattro anni dopo possa essere lespressione
di una stima autentica di Bruno nei confronti del frate sassone.
Quanto detto non toglie per che siano possibili altre letture del
brano dello Spaccio su cui ci siamo appena soffermati. Al di l del
fatto che la mia sia unipotesi attendibile, cosa su cui io stessa man-
tengo alcune riserve e che rimetto in ogni caso al giudizio altrui,
comunque tipico di Bruno costruire personaggi polisemantici, tali
da sottintendere una pluralit di sensi, riferimenti, identificazioni al-
legoriche; lo stesso Orione dello Spaccio pu essere interpretato, in
modo egualmente convincente, come Cristo e come Lutero. Nulla
impedisce quindi che il nostro Ercole stia ad immagine di molte cose,
al limite anche contraddittorie tra loro: sia dellinvitto braccio che
porr fine alla piaga luterana, sia, forse, del responsabile della piaga
stessa (cio Lutero). Ma a questo punto doveroso porsi una doman-
da: se il figlioccio di Giove , come il testo esplicitamente suggerisce,
una rappresentazione mitica delleroe che dovr liberare lEuropa dai
protestanti, possibile che per questo ruolo Bruno avesse in mente,
gi al momento in cui scriveva, una figura ben precisa del panorama
politico di fine Cinquecento? E in questo caso, forse possibile che
limmagine erculea gli sia stata suggerita dalliconografia associata ad
alcuni principi europei di quel periodo?
218 Sara Miglietti

Oggi, grazie agli studi di Vivanti e della Yates126, sappiamo che la


raffigurazione erculea era un connotato specifico del successore dei
Valois al trono di Francia, Enrico IV di Borbone: si trattava di un pa-
ragone prestigioso, che il Navarra si era conquistato sul campo, scon-
figgendo lIdra delle guerre civili e riportando la pace sul suolo gallico
dopo pi di trentanni di lotte intestine. Di certo per non possibile
ricondurre lErcole bruniano al Borbone: Enrico, al momento in cui
lo Spaccio veniva scritto, era ancora poco pi di un giovane principe
calvinista, imparentato ai Valois mediante le nozze con Margherita,
ma pi volte avverso al cognato regnante (neppure dieci anni prima
era stato addirittura segregato a palazzo con lamico duca dAlencon,
fratello minore di Enrico III, con laccusa di aver cospirato ai danni
del regno), e sicuramente poco erculeo nelle imprese fino ad allora
condotte.
Si potrebbe allora optare per il candidato pi ovvio: quellEnrico
III di Valois, re di Francia dal 1574 al 1589, di cui Bruno aveva tes-
suto un altissimo elogio proprio al termine dello Spaccio127. In effetti,
unaffascinante trama di riferimenti interni al testo conduce facil-
mente a questa conclusione: gi nella terza parte del primo dialogo,
discutendo con Atena del destino da assegnare alla corona Boreale
[] molto degna desser presentata a qualche eroico prencipe, che
non ne sia indegno, Giove aveva stabilito che la corona rimanesse
in cielo [], aspettando il tempo, in cui devr essere donata a quel
futuro invitto braccio, che con la mazza et il fuoco riportar la tanto

126
C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino
1974 (1963), cap. II: Il mito dellErcole Gallico, pp. 74-131; F.A. Yates, Astrea. Lidea
di Impero nel Cinquecento, Torino 2001 (1975), Conclusione: Astrea e lErcole gallico,
pp. 242-248. Anche se questo volume della Yates usc posteriormente a quello di Vi-
vanti, lo studioso mantovano riconosce che proprio gli studi di Miss Frances Yates
mi hanno indirizzato in questa ricerca del mito di Enrico [Enrico IV]-Ercole, che,
se non era stato chiaramente individuato in tale forma da questa studiosa, era stato
tuttavia da lei prospettato, per quel che riguarda le idee imperiali diffuse al tempo di
Enrico IV, in alcune considerazioni sul passo di Agrippa dAubign che verr citato
pi avanti (Vivanti, Lotta politica cit., p. 78, nota 1). Gli studi della Yates cui Vi-
vanti fa riferimento furono integrati in un secondo momento proprio in Astrea.
127
Spaccio, pp. 666-668. In questa direzione si muove linterpretazione di M. Ci-
liberto, La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno, Roma 1986, pp. 145-
146.
219 Bruno e la Riforma protestante

bramata quiete alla misera et infelice Europa: fiaccando gli tanti capi
di questo peggio che Lerneo mostro, che con moltiforme eresia sparge il
fatal veleno, che a troppo lunghi passi serpe per ogni parte per le vene
di quella128. Solo poche pagine dopo sinserisce il brano riguardante
Ercole, brano collegato al primo mediante alcuni elementi testuali: se
il principe destinatario della corona sar un invitto braccio, Ercole
viene definito da Giove mio luogotenente e ministro del mio poten-
te braccio in terra; le armi del principe saranno la mazza e il fuoco,
e se la prima appartiene alla pi tradizionale iconografia erculea, la
seconda viene evocata nellesortazione di Giove al figliastro (brug-
ge); il nemico poi il medesimo: il peggio che Lerneo mostro
dai tanti capi coincide ovviamente con quellidra, quella peste di
Lerne che Ercole dovr schiacciare nel caso riesca a prendere le sue
teste rigermoglianti129.
Dunque il principe a cui Giove ha destinato la corona non altro
che lincarnazione terrena di ci che Ercole rappresenta a livello mi-
tico: leroe in grado dabbattere senza piet i mostri della Riforma.
Ma esiste ora, nel 1584, un principe capace di tanto? Al termine del-
lopera, Bruno si sbilancia e individua un personaggio preciso; sono
appunto le pagine dellelogio ad Enrico III:

Questa, questa, rispose Giove, quella corona la quale non senza alta
disposizion del fato, non senza instinto de divino spirito, e non senza merito
grandissimo, aspetta linvittissimo Enrico terzo, Re della magnanima, poten-
te e bellicosa Francia; che dopo questa, e quella di Polonia, si promette,
come nel principio del suo regno ha testificato, ordinando quella sua tanto
celebrata impresa: a cui facendo corpo le due basse corone con unaltra pi
eminente e bella, saggiongesse per anima il motto: Tertia coelo manet130.

Ancora un volta, un sottile gioco di richiami testuali a dirigere


lanalisi: la corona spetta ad Enrico III, invittissimo (si ricordi il
futuro invitto braccio del primo dialogo) re di Francia. Enrico sem-
bra in qualche modo consapevole della sua missione, dal momento
che ha voluto come divisa il motto Manet ultima caelo131: nellim-

128
Spaccio, pp. 516-517 (corsivi miei).
129
Ibid., p. 521 (corsivi miei).
130
Ibid., p. 667 (corsivi miei, tranne Tertia coelo manet).
131
Bruno scrive, in modo inesatto, Tertia coelo manet, ma oltre alla chiara sug-
220 Sara Miglietti

magine che vi abbinata, vengono ritratte le due corone mondane


quella di Polonia, ricevuta nel 1573, e quella di Francia, assunta
lanno seguente e la terza, quella celeste, che lo attende appunto
in cielo, quale ricompensa per eccezionali meriti terreni [fig. 2]. Tale
insegna, che il re fa propria fin dai giorni della sua incoronazione a
Reims132, lo accompagner fino alla fine: ancora nel 1588, alla vigilia
della sua caduta per mano di Clement, Enrico fa coniare monete che
recano questeffigie. Il fatto che Bruno assegni a lui la corona riveste
dunque un duplice significato: sul piano etico-politico si capisce che
Bruno, attribuendo ad Enrico questa benemerenza, riconosce impli-
citamente il valore delloperato del re; del resto, offrendo la corona a
colui che pi di qualunque altro principe sarebbe stato associato, in
virt della sua divisa, a questo simbolo regale, Bruno dimostra ancora
una volta una grande attenzione al dettaglio. Ed forse proprio que-
sto speciale interesse di Bruno per liconografia che potrebbe mettere
in crisi linterpretazione, finora cos convincente, che vuole Enrico
come incarnazione di Ercole.
stato notato che i Valois, come e pi delle altre famiglie regnanti
francesi, si attribuivano il rango di discendenti ed eredi dellAlcide: un
fantasioso mito genealogico che nellagiografia di palazzo si fondeva
con la celebrazione delle eroiche imprese della dinastia regnante133.

gestione iconografica si possono rintracciare altri motivi per la sua lieve impreci-
sione: il problema affrontato in N. Ordine, Manet ultima coelo ou tertia coelo
manet? Les mystres de la devise de Henri III, limprialisme francais et le triregnum
papal, in Id., Giordano Bruno, Ronsard cit., pp. 175-208.
132
La descrizione della cerimonia dincoronazione ci conservata da un cronista
dellepoca: Premierement au plus haute dudit Theatre estoient les Armoiries de
France & de Pologne iointes ensemble souz une mesme coronne, encloses de lordre
de France, comme en la precedente porte. Au dessouz dicelles estoit la Devise de la-
dite Maiest, qui sont trois Coronnes, desquelles les deux sont de Laurier & la tierce,
qui est au dessus, est de Palme, avec un nombre destoilles en ciel azur; & lentour
dicelles coronnes estoient escrits ces mot en roulleau, Manet ultima caelo, &
plus bas ce distique faisant allusion la dite Devise: Bina corona tibi dum est, et
manet ultima caelo,/ Viva fides geminas proteget, hancque dabit (Brief et sommaire
discours de lEntre, Sacre & Couronnement de Henri III Tres-Chrestien Roy de France
& de Pologne en sa ville de Rheims, Rheims 1575, f. 4r). Si noti la perfetta coincidenza
di tale descrizione con i dettagli della moneta che ho riportato nella fig. 2.
133
Cfr. M.R. Jung, Les contemporains compars Hercule, in Id., Hercule dans la
221 Bruno e la Riforma protestante

Francesco I, sotto cui ebbe inizio la costruzione della residenza di Fon-


tainebleau, era tanto affascinato dal semidio che nel 1532 chiam a
corte il Primaticcio perch affrescasse la Porta Dorata del nuovo pa-
lazzo con scene del mito di Ercole e Onfale; anni dopo, lo stesso pit-
tore progett poi per il cortile del castello una speciale fontana dove
fu collocata una statua di Ercole realizzata da Michelangelo. Anche
Enrico II, suo successore, dovette restar colpito dalla figura delleroe,
giacch battezz il suo figlio pi giovane Hercule-Francois (forse un
gioco di parole che equivarrebbe al nostro Ercole gallico?)134. Per non
parlare di Carlo IX, poco pi di un fantoccio nelle mani di Caterina
de Medici, eppure celebrato in un numero infinito di iscrizioni, trionfi
ed elogi ufficiali come una grande speranza per il futuro: sulle monete
coniate in seguito alla notte di San Bartolomeo venne inciso il motto
Hercule maior erit; a tempo debito il giovane sovrano aveva infatti
dimostrato mano ferma contro i nemici del regno e della vera religione
[figg. 3, 4 e 5]135.
Quando Enrico III sale al trono di Francia, in un primo tempo la
moda iconografica non sembra cambiare. La notizia della successione
raggiunge il terzo figlio di Caterina mentre si trova in Polonia, paese
di cui appena divenuto sovrano; per tornare in patria, Enrico non
sceglie le vie settentrionali (anche perch gira voce che suo fratello
minore, Francesco-Ercole duca dAlencon, mediti di organizzare in
Germania un agguato per il futuro sovrano, in modo da impedirgli di

littrature francaise du XVIe sicle. De lHercule courtois lHercule baroque, Genve


1966, pp. 159 sgg. Tentativi di indigenizzazione del mito di Ercole furono fatti fin
dai secoli della conquista romana delle Gallie: Ogmio, una divinit celtica venerata
in Francia e per certi versi affine allAlcide, fu presto identificato con leroe greco.
Sugli usi politici della figura di Ercole, si veda anche il volume collettaneo Icono-
graphie, propagande et lgitimation, d. par A. Ellenius, Paris 2001.
134
Cfr. Jung, Les contemporains cit., p. 170, dove sono riportati testi di Jodelle,
Ronsard, La Boderie e altri, basati proprio sul gioco di parole tra il nome del figlio pi
giovane di Enrico II e leroe del mito: ad esempio Scvole de Sainte-Marthe scriveva
Francois qui des Francois s la seconde gloire,/ Proche du rang des Dieux, fils et frre
de Rois,/ Digne du nom fatal de lHercule Gaulois; e Pasquier: Herculis est nomen
primis fortibus ab annis,/ Quem nunc Franciscum Francia magna vocat./ Nominibus
miraris eum gaudere duobus?/ Nempe hic Alcides Franciscus alter erit.
135
Ricci (Giordano Bruno nellEuropa del Cinquecento cit., p. 310) ricorda che Carlo
IX amava addirittura travestirsi da Ercole in certe occasioni mondane.
222 Sara Miglietti

metter piede a Parigi), ma scende in Italia, dove viene accolto con


entusiasmo. A Venezia si trattiene unintera settimana, verso la fine
di luglio del 1574; il 2 agosto ricevuto a Mantova, dove lo atten-
dono sfarzosi festeggiamenti. Una cronaca dellepoca (apparsa, per
una curiosa coincidenza, appresso Francesco Patriani, allinsegna
dellHercole) descrive minuziosamente gli sontuosissimi Apparati
& Feste fatte da Sua Eccellentia, per ricever Sua Maest Christianis-
sima: il re sfil attraverso le diverse contrade, da San Silvestro fino
a SantAndrea (la cattedrale), poi passato esse strade se ne pass per
piazza & giunse ad unaltra porta nominata la porta della guardia di
uomo con diverse figure adornata; sulla sommit dellarco stavano
dodeci Angeli con diverse sorti distrumenti in mano, in atto di fe-
steggiare, sotto ad essi angeli ne i primi ordeni, vi erano tre fenestroni
con una figura dHercole per cadauno, in uno de quali, cio quello di
meggio, vi era quando esso Hercole amazz Gerione figurato un corpo
con tre teste, con le corone regali, con sopra questo motto: Tertia
Gerionem fregit victoria monstrum./ Tergeminum tua palma
dabit rex fortis letho136. Anche larco eretto presso la cattedrale
reca rappresentazioni erculee: dieci putti danzanti sovrastano un dop-
pio ordine di bassorilievi, dove sono raffigurate sei scene tratte dalle
fatiche di Ercole: lIdra, Gerione, Caco, Anteo, il cinghiale di Eri-
manto, il giardino delle Esperidi [fig. 6]. Linsieme ricorda da vicino
larco trionfale che era stato eretto a Parigi in onore di Carlo IX, nel
marzo di tre anni prima: anche in questo caso infatti la raffigurazione
era incentrata sul personaggio di Ercole, evocato in particolare dalla
doppia colonna (le colonne dErcole) e dalla mazza con cui sconfigge
Caco [fig. 7].
Sembra insomma che gli archi mantovani siano frutto pi di re-
miniscenze iconografiche del regno di Carlo IX che di unautonoma
identificazione di Enrico con leroe del mito. Siamo nel 1574: Enrico
non ha ancora avuto modo di mostrare pubblicamente in quale di-
rezione si muover il suo regno. Ma col passare del tempo diventa
chiaro a tutti che il terzogenito di Enrico II non seguir la strada del
fratello Carlo: la gestione intransigente della questione ugonotta gli
(almeno inizialmente) estranea, tant vero che nel 1576, con gra-
ve scandalo della nobilt cattolica, i calvinisti francesi si vedranno

136
Entrata del Christianissimo Henrico III di Francia, et di Polonia, nella citt di Manto-
va, in Venetia, appresso Francesco Patriani, allinsegna dellHercole 1574, f. 7.
223 Bruno e la Riforma protestante

perfino riconoscere il diritto alla partecipazione alle chambres de justi-


ce137. vero che, negli anni precedenti la sua salita al trono, Enrico
fu frequentemente ritratto in posa erculea: le sue vittorie giovanili
sugli ugonotti, in particolare quella di Montcontour, gli erano perfi-
no valse caldi elogi da parte del pi grande poeta dellepoca, Pierre
de Ronsard138. Eppure non a Ercole che il nuovo sovrano sembra
guardare come modello: nelle medaglie coniate per lui, le figure do-
minanti sono altre. Enrico ama mostrarsi come un principe giusto e
pacifico, pi che indomito e battagliero: per questo lo si vedr para-
gonato piuttosto a Traiano che ad Ercole [fig. 8]; e se talvolta viene
rappresentato come Alessandro Magno [fig. 9] o come Perseo [fig. 10],
sempre con la riserva che la via delle armi non la sola percorri-
bile, n per forza la migliore. Questo il tema centrale della serie di
medaglie coniate tra il 1579 e il 1580 (Pax nititur armis, [fig. 11];
Concordia construit urbes [fig. 12]); ancora nel 1585, nonostante il
clima politico sempre pi teso, Enrico pu far proprio il motto greco
Philadelphia adialytos: indissolubile amore per i fratelli. Del resto,
anche quando viene riconosciuta la necessit di impugnare le armi,
non si perde occasione di sottolineare che al valore militare devono
sempre accompagnarsi virt morali e intellettuali [figg. 13 e 14], per-
ch la forza bruta non basta.
Questo lungo excursus non fine a se stesso: vero, lassenza del
paragone erculeo nelliconografia ufficiale di Enrico III non avrebbe
certo impedito a Bruno di sviluppare autonomamente un confronto
tra Ercole e il sovrano; tuttavia abbiamo gi notato con quanta at-
tenzione il Nolano giochi con i dettagli figurativi nel passo relativo
alla corona. Poteva Bruno identificare il potente braccio di Ercole

137
Alleditto di pacificazione di Beaulieu seguiranno ancora leditto di Poitiers
(settembre 1577) e il trattato di Nrac (febbraio 1579), in cui per la prima volta
dopo il cosiddetto editto di gennaio (1562) sono contenute concessioni significa-
tive alla parte ugonotta.
138
Ricci (Giordano Bruno nellEuropa del Cinquecento cit., pp. 309-331) e Ordine
(Giordano Bruno, Ronsard cit., pp. 165-173) hanno attirato lattenzione su alcuni
componimenti di Ronsard. Particolarmente significativa unode del 1569, dedicata
proprio ad Enrico (allora Monseigneur le Duc dAnjou, frre du Roy) e intitolata
LHydre deffaict, cfr. in part. i vv. 95-98: Or ce Henri a faict chose impossible/ Tuant
un Hydre au combat invincible,/ Et seul de tous par armes a deffaict/ Ainsi quHercu-
le un Serpent contrefaict []. Si veda anche P. de Ronsard, Odes, V, II, 118-122.
224 Sara Miglietti

con linvitto braccio di Enrico, quando proprio questi, unico tra i


Valois, aveva sostanzialmente rigettato il classico paragone eroico?
Il filosofo sembra ben consapevole del fatto che il monarca francese
aspirava a costruirsi unimmagine di ben altro tipo. Basta esaminare
da vicino lelogio contenuto nello Spaccio per riceverne una chiara
conferma:

Questo Re cristianissimo, santo, religioso e puro pu securamente dire: Tertia


coelo manet, perch sa molto bene che scritto Beati li pacifici, beati li quie-
ti, beati li mondi di cuore: perch de loro il regno de cieli. Ama la pace,
conserva quanto si pu in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto;
non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori dinstrumenti marziali, che admini-
strano al cieco acquisto dinstabili tirannie e prencipati de la terra: ma tutte
le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non
sperino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono a lui sugget-
ti, che mentre egli vivr (a cui la tranquillit de lanimo non administra bellico
furore) voglia porgerli aggiuto per cui non vanamente vadano a perturbar la
pace de laltrui paesi, con pretesto daggiongergli altri scettri et altre corone:
perch Tertia coelo manet. In vano contra sua voglia andaranno le rubelle
Franche copie a sollecitar gli fini e lidi altrui; perch non sar proposta din-
stabili consegli, non sar speranza de volubili fortune, comodit di esterne
administrazioni e suffragii, che vagliano con specie dinvestirlo de manti et
ornarlo di corone, toglierli (altrimente che per forza di necessit) la benedet-
ta cura della tranquillit di spirito, pi tosto leberal del proprio che avido de
laltrui. Tentino dumque altri sopra il vacante regno Lusitano; sieno altri sol-
leciti sopra il Belgico domino. Perch vi beccarete la testa e vi lambiccarete
il cervello, altri et altri prencipati? perch suspettarete e temerete voi altri
prencipi e regi, che non vegna a domar le vostre forze, et involarvi le proprie
corone? Tertia coelo manet. Rimagna dumque conchiuse Giove, la Corona,
aspettando colui che sar degno del suo magnifico possesso139.

Enrico un principe dispirazione erasmiana, cristianissimo, santo,


religioso e puro, poco propenso agli esercizi marziali, intento piut-
tosto alla conservazione della pace e della tranquillit di spirito140.
Indubbiamente, se mosso da forza di necessit, sarebbe anche in

139
Spaccio, pp. 666-668 (corsivi miei, tranne la triplice ripetizione di Tertia coelo
manet).
140
Cfr. Ciliberto, La ruota del tempo cit., pp. 144 e 189 sgg.
225 Bruno e la Riforma protestante

grado di impugnare la mazza e il fuoco per sterminare i riforma-


ti141, ma la sua vocazione resta sostanzialmente diversa. Si pu quanto
meno affermare che, se davvero Enrico lErcole invocato da Bruno,
il ritratto del Valois particolarmente dissonante rispetto al conte-
sto.
Chi dunque leroe che riporter il mondo allantico volto? For-
se un uomo, forse un principe che non aveva ancora visto la luce
mentre Bruno scriveva lo Spaccio: probabile infatti che il futuro
invitto braccio (e si noti quel futuro) in realt non fosse altro, nel
cuore di quei complicati anni Ottanta, che una speranza dalla fisio-
nomia indistinta142.
Sara Miglietti

141
Lavrebbe fatto pochi mesi dopo la pubblicazione dello Spaccio, alleandosi con
la Lega Cattolica in chiave antiugonotta; latteggiamento tenuto da Enrico nei con-
fronti dei calvinisti mut talmente a seconda delle circostanze che impossibile
parlare di una politica interamente tollerante o interamente intransigente. Certo
per nel 1584 il re non aveva ancora stretto quellambigua alleanza con la Lega che
avrebbe forse reso comprensibili le attese di Bruno nei suoi confronti.
142
Ringrazio il prof. Saverio Ricci, che in un recente incontro presso la Scuola Nor-
male Superiore ha affrontato largomento offrendomi numerosi spunti di riflessione:
da una posizione originariamente favorevole allidentificazione con Enrico III (cfr. S.
Ricci, Riformazione, eresia e scisma nello Spaccio de la bestia trionfante. Un Ercole
nuovo contro il peggio che Lerneo mostro, in Letture Bruniane I-II del Lessico Intel-
lettuale Europeo 1996-1997, a cura di E. Canone, Pisa-Roma 2002 (Supplementi di
Bruniana & Campanelliana. Studi, 3), pp. 225-262), Ricci si ora orientato verso
Alessandro Farnese (lipotesi era gi presente, comunque, nel suo Giordano Bruno
nellEuropa del Cinquecento cit., p. 329), ritenendo improbabile che Enrico III potesse
rivestire il ruolo di Ercole nellimmaginario bruniano.

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