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mensile ,di' cultura' dell'Universit


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cattolica
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Direzione Attualit ,
, EZIO FRANCESCHINI l ' guasti del metodospartitorio 2
GIUSEPPE LAZZATI L'accordo sul costo del lavoro
, GIANCARLO MAZZOCCHI ' CARLO DELL'ARINGA
Aspetti economici 6
Redazione MICHELE COLASANTO
Stanno ' cambiando
Antonio Acerbi, Enzo Balbo-
le relazioni industriali in Italia? 10
ni, Luciano Caimi, Michele
Colasanto, Alberto Cova, Car- FRANCO MONACO
' lo Dell'Aringa, Giuseppe Fran- Una vittoria amara
co Ferrari, Piero Giarda, Giu- il processo Moro ' 15
, seppe Grmpa, ' Franco ' Mo- Contributi
naco; Vittorio Possenti, Clau-
CARLO MARIA MARTINI
dio ' Scarpati \1\
Vescovo a Milano 18
NORBERTO BOBBIO
Coordinatore / \ Etica della potenza e etica del dialogo 29
Franco Monaco GIUSEPPE GHIBERTI
" Ges di Ida Magli 37
Segretaria di redazione DONATELLA BRAMANTI
Anziani e politica sociale 44
Marisa Spriana
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Amministrazione e redazione CARLO BUZZI
LARGO GEMELLI 1, 20123 Professionalit e partecipazione 53
MILANO TEL. 8856 CESARINA CHECCACCI
Un impegno di frontiera 58
Rubriche
ENRICO DI ROVASENDA
La funzione teologica
del filosofo Maritain 64
Anno LXVI ELIO DAMIANO
marzo 1983 La formazione degli insegnanti
fra secondaria e universit 69
Corriere editoriale 76
Etica della potenza
ed etica del dialogo
di Norberto 808810*

Il punto di partenza obbligato per ogni discorso sulla pace una con-
statazione di fatto: dal giorno della bomba di Hiroshima la prospettiva
della storia umana cambiata. L'uomo si trovato per la prima volta
di fronte a strumenti di distruzione tanto potenti da mettere a repen-
taglio la vita, ogni forma di vita, sulla terra. La fine del mondo per
opera dell'uomo possibile. Non so se vi rendete conto che cosa signi-
. fica un mondo in cui una delle tre dimensioni del tempo, il futuro, non
esiste pi. Ma nel momento stesso in cui il mondo senza avvenire,
perdono ogni significato anche il presente e il passato.
Una prospettiva millenaristica, se pure di un millenarismo profano,
di un millenarismo che nasce non pi da una visione escatologiCa della
storia, ricavata dall'interpretazione di testi sacri, ma da una previsione
che ha tutte le caratteristiche di una previsione scientifica, di una pre-
visione che si esprime con una proposizione ipotetica del tipo: Se
accade A, accade (o probabile che accada) anche B . Non dubbio
che i calcoli fatti a pi riprese dagli esperti e continuamente aggiornati
provano che negli arsenali delle due grandi potenze (per non contare
le potenze che appartengono ormai al cosiddetto club delle potenze
atomiche) sono stati accumulati in questi anni (in pochissimi anni!) tanti
ordigni da distruggere pi volte ogni traccia di vita sulla terra. Notate
l'assurdit di quel pi volte : non basta una volta sola?
A un intervistatore che mi chiese tempo fa quali fossero le mie pre-
visioni a vent'anni dal duemila, risposi che alla fine del primo millen-
nio, l'attesa della fine del mondo era andata fortunatamente delusa.
Nell'imminenza della fine del secondo, la prospettiva non era altret-
tanto rassicurante.
Dal giorno della bomba di Hiroshima il pericolo stato pi volte
autorevolmente annunciato e denunciato da una letteratura che i mi-
nimizzatori chiamano ironicamente apocalittica . Dal libro di Karl

* Proponiamo qui il testo dell'intervento pronunciato il 31 dicembre scorso, alla


Cattolica di Milano, dal professor Norberto Bobbio nel corso della manifestazione per la
pace promossa dal movimento cattolico internazionale Pax Christi: e dalla Commissione
Justitia et Pax della Conferenza episcopale italiana.
Jaspers La bomba atomica e il destino dell'uomo del 1958 al recente
uscito. pochi mesi fa anche in traduzio.ne italiana, Il destino della terrt
dello. scritto.re americano. ]o.natan Shell (no.tate la so.rprendente involo.n
taria somiglianza dei due tito.li), passando. attraverso. il diario. di Hiro
shima del filosofo austriaco Giinther Anders, intito.lato. significativa
mente Essere o non essere, apparso in traduzio.ne italiana nel 1961, cht
io. considero. ancor oggi l'espressione pi alta della sofferenza, anzi del-
l'ango.scia, della lucida angoscia, dell'uomo. pensante di fronte alla no-
vit sco.nvolgente di una possibile guerra onnidistruttiva, all'avvente
del nichilismo realizzato., non di quello solamente pensato o. dedotte
o anticipato. fantasiosamente da Nietzsche: il nichilismo che si risolvt
in annichilamento. C' in questo libro una battuta polemica contro. gli
esperti che non ho mai dimenticata. Un interlocutore si rivolge all'au
tore con questa domanda: Perch non lascia tutta la faccenda ai si-
gnori che se ne intendono.? Per una ragio.ne mo.lto semplice -
risponde - : questi signori .non esistono . L'altro ribatte: C' sem
pre un competente in ogni ramo Ma gi questa la cosa pi ter
ribile: che lei consideri la distruzione del mondo co.me un ramo .fr~
gli altri.

l'equilibrio del terrore: un argomento ingannevole


Eppure, a vo.lere essere realisti e sinceri con noi stessi, dobbiamo con
venire che sino ad ora hanno vinto. gli esperti. La corsa frenetica .- e
uso co.n inten.zione questo aggettivo che indica letteralmente 'uno . stato
di delirio furioso - agli armamenti sempre pi costosi, sempre pi
terribili, sempre pi sofistiati, continuata, continua 'e continer, ,al-
meno. a giudicare dal ripetuto fallimento dei negoziati per il disaftno ,
Ci sono poche co~e, che pi delle trattative del disartll~, riesc~no a
farmi disperare della ragionevolezza umana. E parlo della ragionev,olezza
umana '. nel suo significato pi semplice di calcolo utilitaristico,. come
lo intendono gli economisti, del rapporto fra costi e benefici. con-
tinuata, continua ' e sino a prova contraria o.ntinuer sulla base di un
unico argomento: l'equilibrio delterro.re. . ,I

L'equilibrio del terrore un argomento quanto mai fallace e ingan-


nevo.le: allo scopo di terrorizzare l'avversario ognuno dei due conten-
denti deve ssere superiore all'altro.. Non si spi~ghere9be altrimenti
perch in questi .ultimi decenni gli armamenti siano aum~"utati progres-
sivamente dall'una parte e dall'altra. Cosi- il presunto quilibrio del
terro.re si continuamente squilibrato. e si riequilibrato . sempre, ti-
peto, sempre, a un livello superiore, iD: un processo che non pu con-
durre, se do.vesse continuare. con questo ritmo ' - almeno 'co.me meta
limite probabilmente e fortunatamente irraggiu,t1gibile ma perseguita

30 VITA E PENSIERO ANNO LXVI, MARZO i983


V e perseguibile, nell'o rizwn te della logica della pura potenza - , se
all'invenzione dell'arma assoluta, dell'arma che dovrebbe possedere
ste due qualit: essere insieme onnidistruttiva e indistruttibile, massi
mamente offensiva e insieme invulnerabile. Pensate un po': l'invu
nerabilit sempre stato il sogno del potente. Solo l'invulnerabile
non
que-

l-
-


davvero invincibile, da Achille agli eroi dei fumetti.
La ragione per cui l'equilibrio del terrore si sempre riequilibra
to
a un livello superiore non difficile da capire: seguendo la logica
della
potenza, ognuno dei due contendenti si ritiene sicuro soltanto quan
do,
pur dichiarando che costretto ad armarsi per non essere inferiore,

convinto di aver finalmente superato l'avversario. La dichiarazione
di
non voler essere inferiore un puro pretesto che nasconde la volon
t
di essere superiore. Ed questa volont reale non quella dichiarata
che
recepita dall'altro. Se si guarda ai rappo rti di potenza fra Stati
uniti
e Unione sovietica risulta chiarissimo che per gli uni e per gli
altri
conta quel che viene percepito, non quello che viene dichiarato (imm
e-
diatamente considerato falso). Quan do uno dei due giustifica l'aum
ento
dei prop ri armamenti come necessario per pareggiare la potenza
mili-
tare dell'altro, l'altr o accoglie il nuovo stato di fatto come un segno
preoccupante della propria inferiorit. L'installazione dei missili a
Co-
miso per gli Stati uniti un pareggiamento dell'installazione degli SS
20
da parte dell'Unione sovietica. Ma questa, a torto 6 a ragione, la consi
-
dera una prevaricazione che potrebbe indurIa, qualora fossero realm
ente
installti; ad aumentare a sua volta il prop'rio apparato missilistico
dalla
propria prte. Se non fosse cosi non si spiegherebbe perch, nonostant
e
,le prediche . dei pacifisti, la' potenza delle armi sia andata aumentand
o
vertiginosamente. Ho detto a torto o a ragione . Ma in una situa-
zione .di conflitto permanente tra due nazioni sovrane chi dcide
del
torto e della ragione?

Mors tua -vita' mea


Quan do parIo di rappo rti di. potenza - e i rappo rti fra grandi stati
in
una situazione di ancora persistente anarchia nei rappo rti internazion
ali,
nonostante l'Organizzazione delle nazioni unite, sono essenzialm
ente
rappo rti di potenza - , , intendo parIare di rapporti tra due individui
o
gruppi in cui ~ intrinseca la tendenza dell'uno a schiacciare l'altr o.
La
potenza infat ti si rivela nella superiorit dei mezzi necessari a vince
re
l'avversario, qualora il conflitto non possa essere risolto se non con
la .
frza. Il rappo rto di potenza quel rappo rto in cui l'unica soluz
ione
possibile del conflitto tra i due poten ti l'eliminazione dell'avver
s~io.
Se si vuole adottare la definizione data da "CarI scbm itt alla politi
ca
come configurante il rappo rto amico-nemico, ebbene il nemico
pet
definizione colui che deve essere eliminato perch r amico possa soprav-
vivere. Mors tua vita mea. Nel momento in cui i due avversari deci-
dono di accordarsi, al rapporto amico-nemico si sostituisce un rapporto
completamente diverso, che si regge sulla convinzione che la coesistenza
pacifica sia pi conveniente a entrambi della continuazione del conflitto.
Ma in una situazione di anarchia, dove non c' un giudice superiore,
che possa essere garante del rispetto dell'accordo, ci che rende diffi-
cile l'accordo la diffidenza reciproca. Nel caso del disarmo, il problema
si pone in questi termini: Chi comincia per primo? Consideriamo
questo caso (che prendo da Libert e decisione di John Watkins): due
individui armati s'incontrano in una zona deserta , e ognuno dei due
teme di venir aggredito. Per evitare lo scontro in cui ognuno dei due
pu rischiare la morte, decidono di comune accordo di buttar via le
armi contemporaneamente. Ma come l'uno pu essere sicuro che men-
tre getta la propria arma l'altro faccia altrettanto? Mettiamo che deci-
dano di contare sino a dieci e che arrivati a dieci entrambi deporranno
l'arma. Nel breve intervallo tra l'uno e il dieci probabile che ognuno
dei due sia agitato da due pensieri contraddittori di questo genere:
Se io getto l'arma per mantenere la promessa, e l'altro non la butta?
Chi mi assicura che l'altro mantenga la promessa? .Sesi verificasse que-
sto caso, la mia morte sarebbe sicura. E quindi tanto vale che la pro-
messa non la mantenga io oppure: Se io non mantengo la promessa
e resto armato, chi mi assicura che l'altro non faccia altrettanto? Ma
in questo caso torniamo alla situazione iniziale che proprio quella che
volevamo evitare. Non solo: dimostriamo coi fatti che il problema
insolubile, e tanto valeva restare com'eravamo quando ci siamo incon-
trati . Delle quattro soluzioni possibili, che resti armato solo il primo',
che re~ti armato solo il secondo, che nessuno butti via la propria arma,
quella che le buttino via tutti e due una sola. Ed una soluzione che
attuabile soltanto aggiungendo al puro calcolo dell'utilit, una condi-
zione che si pu chiamare etica , la condizione cio che ognuno dei
due si fidi dell'altro. Ma questa fiducia possibile soltanto in un uni-
verso in cui viga e venga rispettata la regola morale pacta sunt ser-
vanda , regola secondo cui.i patti sono da osservare indipendentemente
dall'utilit immediata. '
Mi sono un po' dilungato su questo esempio perch mi pare possa
riuscire a far capire esattamente quale sia la ragione per cui le tratta-
tive sul disarmo fra grandi potenze facciano generalmente una mise-
revole fine. In un universo come quello dei rapporti internazionali dove
l'unico modo per liberarsi dal nemico e dalla paura della morte (il ne-
mico per definizione olui la cui vita si avvantaggia dalla mia morte),
. la vittoria, nessuno vuole cominciare per primo a deporre gli stru-
menti da cui la sua vittoria pu dipendere. Tra i due . grandi si sta

32 VITA E PENSIERO ANNO LXVI , MARZO 1983


svolgendo da aimi un dialogo su per gi di questo tenore: Se fu togli
i tuoi missili io non li metto , dice l'uno. Se tu li metti, io non li
tolgo , dice l'altro . Al dilemma del primo Li metto o non li met-
to? corrisponde quello dell'altro: Li tolgo o non li tolgo? Potete
essere quasi sicuri che la risposta del primo sar: A buon conto li
metto , e quella del secondo: A buon conto non li tolgo . Natural-'
mente, se le risposte fossero davvero queste, il risultato sarebbe non
la diminuzione ma il continuo aumento della somma complessiva del
potenziale bellico nel mondo.

L'aut-aut della logica di potenza


Tutto questo pu sembrare paradossale o folle o criminale, ma non
n paradossale n folle n criminale se ci mettiamo dal punto di vista
della logica della potenza, della logica di chi in un universo conflittuale
come quello in cui vivono e sono costretti a vivere gli uomini ritiene
che vi sia almeno un conflitto, il conflitto principale, quello da cui di-
pende la propria sopravvivenza, che non possa essere risolto se non
con la soppressione dell'avversario. La logica della potenza quella
delle antitesi assolute, dell'incompatibilit tra due sistemi di valori o
d'interessi, dell'aut aut. O Roma o Cartagine. Se Roma vince, non si
salver di Cartagine pietra su pietra. Vae victis! C' in ogni soggetto
della volont di potenza il miraggio della soluzione finale. Coloro che
appartengono alla mia generazione hanno bene appreso che cosa s'inten-
da per soluzione finale . Per fare un esempio attuale, se si pone il
problema del conflitto tra lo Stato d'Israele i palestinesi come rap-
porto di antitesi radicale, o noi o loro , la soluzione finale sar o
la distruzione dello Stato d'Israele da parte dei palestinesi o lo ster-
minio dei palestinesi da parte dello Stato d'Israele.
Nell;universo dominato dalla logica della potenza ogni accordo sem-
pre sottoposto alla clausola rebus sic stantibus: ci equivale a dire che
ogni trattato di pace in realt una tregua che dura sin che dura, che
dura sino a che una delle parti non ritenga che sia venuto il momento
opportuno di risolvere il conflitto nell'unico modo con cui si risolve
un conflitto radicale, con la totalizzazione dei propri fini e con la nulli-
ficazione dei fini altrui.
Ho forzato un po' il tono, lo riconosco, anche a costo di essere con-
siderat un profeta di sventure o, pi dimessamente, un uccello di malau-
gurio. L'ho fatto perch riporre le nostre speranze sull'equilibrio del
terrore, che , badate bene, l'unico argomento addotto dai cosiddetti
minimizzatori , un errore e una colpa. VuoI dire non rendersi conto
della tremenda gravit della situazione e di conseguenza non mettersi
in condizione di cambiarla.
Cambiarla? Ma come? Dovremmo partire dall'osservazione che coloro
che non hanno armi, e non intendono averne, e anche se le avessero,
non le userebbero, sono la stragrande maggioranza degli uomini e delle
donne su questa terra.

Ristabilire la fiducia del dialogo


In base a questa semplice e irrefutabile osservazione, l'unica formula di
salvezza che mi sentirei di proporre : Disarmati di tutto il mondo
unitevi! Chi non ha altra arma che l'intelligenza, la capacit di capire
e di valutare, e di comunicare con gli altri attraverso la parola, deve
fare ogni sforzo per ristabilire la fiducia nel dialogo. E prima di tutto
nel dialogo con coloro che sono dall'altra parte e che sino a ieri ab-
biamo creduto fossero incapaci di ragionare e di discutere. difficile,
lo so. Ma per l'inerme (e qui parlo a inermi) non vedo altra strada.
Bisogna far cadere i molti muri di Berlino che ciascuno di noi ha in-
nalzato fra s e i diversamente pensanti. Tanto per cominciare bisogna
evitare di dividere il mondo in rossi e neri e dopo averlo diviso star
sempre dalla parte dei rossi contro i neri o dalla parte dei lieri contro
i rossi. Non accettare lo spirito di crociata, lasciarlo ai fanatici di tutte
le sette. La tolleranza delle idee altrui la prima condizione per pre-
tendere dagli altri il rispetto delle proprie. Non dobbiamo mai dimen-
ticare che un mondo diviso in parti contrapposte, che si considerano
incompatibili fra di loro e non riescono a intravvedere altra soluzione
al loro antagonismo che quella che pu scaturire dall'uso della forza,
destinato presto o tardi alla conflagrazione universale, a una cata-
strofe senza precedenti. Abbiamo mille e una ragione per sostenere che
se la volont di potenza conduce all' aumento indiscriminato delle mac-
chine di morte e alla giustificazione del loro uso come extrema ratio,
coloro che ne sono i portatori e i servili difensori sono dei folli o dei
criminali oppure tutte e due le cose insieme.
Ho parlato del dialogo. L'etica del dialogo si contrappone diametral-
mente all'etica della potenza. Comprensione contro sopraffazione. Ri-
spetto dell'altro come soggetto contro l'abbassamento dell'altro a og-
getto. (Diceva Aldo Capitini con un'espressione che mi tornata spesso
alla mente di fronte ai tanti morti assassinati da fanatici agitati dal deli-
rio di potenza: per costoro uccidere un uomo soltanto un rumore,
un oggetto caduto). Il dialogo presuppone la buona fede e si instaura
soltanto sulla base del riconoscimento dell'altro come persona, non solo
nel senso giuridico, ma ~nche nel senso morale. Al contrario, la potenza
rionosce soltanto se stessa. Si attribuisce un diritto assoluto nel
senso in cui Hegel attribuiva un diritto assoluto all' eroe , al fonda-
tore di stati, a colui che in forza della sua missione storica ha solo di-

34 VITA E PENSIERO ANNO LXVI, MARZO 1983


ritti e non doveri, e tutti gli altri nei suoi riguardi hanno soltanto do-
veri e nessun diritto.
Beninteso, non basta parlarsi per dialogare. Anche i potenti qualche
volta parlano tra loro. Ma della parola si servono pi per nascondere
le loro vere intenzioni che per manifestarle, per ingannare pi che per
trasmettere una verit, oppure per minacciare, intimorire, ricattare, por-
tare su una falsa strada. Anche la parola pu essere usata come stru-
mento di dominio.

La forza della ragione


Altro dovrebbe essere il modo di parlare del dialogante, di colui che
accetta il dialogo come mezzo di comunicazione con l'altro. Il discorso
del dialogante o un discorso razionale o non serve allo scopo; anzi
rischia di servire allo scopo contrario. Discorso razionale vuoI dire di-
scorso tutto in tessuto di. argomenti pro e contro, critico ma nello stesso
tempo disponibile a essere criticato, quanto pi possibile oggettivo
e spersonalizzato (non deve mai essere ad hominem). Un discorso che
deve contare pi sul rigore del ragionamento e la prova dei fatti che non
sulla mozione degli affetti. E deve diffidare delle semplificazioni, de-
gli slogans ritmati, delle frasi urlate agitando i pugni chiusi. Cos di-
cendo mi ricollego a quello che ha detto il professor Lazzati nella sua
in troduzione.
Con questo non voglio sostenere che un discorso razionale non debba
fare appello ai valori: c' un valore primordiale, il diritto alla vita, che
deve sempre essere tenuto presente, e quando parlo di diritto alla vita
parlo anche del diritto di coloro che non sono ancora nati, che non
potrebbero nascere se dovesse avvenire l'olocausto atomico. Voglio dire
che deve tener conto anche degli interessi in gioco, di ci che pu
essere meticolosamente calcolato. Deve rinunciare, questo s, all'aut aut
ideologico, perch l'unico aut aut su cui siamo chiamati a riflettere, qua-
lunque sia la nostra ideologia, o un accordo mondiale per la limitazione
prima e la distruzione poi delle armi nucleari o la mutua distruzione
assicurata (per usare una formula di alcuni esperti americani, che
forma la sigla mad , in inglese folle). Rispetto a questa alterna-
tiva di fronte alla quale si trova l'umanit alle soglie del terzo millennio
dopo Cristo, tutte le altre alternative perdono la loro forza antagoni-
stica, impallidiscono, svaniscono, paiono talora persino ridicole (ele-
zioni anticipate o no? Certo, anche questa un'alternativa, ma di fronte
all'alternativa essere o non essere ; per riprendere il titolo del libro
di Giinther Anders da cui ho preso le mosse, appare quasi insignificante).
Purtroppo il cammino lungo e, quel che peggio, non abbiamo
molto tempo di fronte a noi. Ma che cosa possiamo fare se nori per-

rn1\ITl? TnT l'1'"T


correre l'unic o cammino che lascia intravvedere una meta diver
sa da
quella cui conduce inevitabilmente la gara delle opposte volont di
po-
tenza, anche se la meta non assicurata?
Non bisogna farsi illusione, ma nepp ure accettare remissivamente
un
desti no di morte. Non molto tempo fa, alla fine di un convegno
sulla
pena capitale, a un interlocutore che mi faceva osservare che chi
ne
invoca 1'abolizione una minoranza di dotti lontani dal cosid
detto
senso comu ne della gente, risposi citando il racconto del
tiran no san-
guinario che si agita sul letto di mort e e ai suoi ~ortigiani che
gli si
fanno attor no premurosi a chiedergli perch cosi sconvolto, rispo
nde:
Ci sono nel mio regno trent a giusti che m'impediscono di dorm
ire .
Noi siamo pi di trenta. Anche se il sonno dei tiran ni duro come
la pietra non dobbiamo disperare che qualcuno ci ascolti. E del
resto
che altro potremmo fare?

SEMINARI
DI PAX CHRISTI E DELL'UNIVERSITA' CATTOLICA
SUI PROBLEMI DEL DISARMO

1980
Il problema degli armame,nti
Aspetti econ omic i e aspetti etico -mor ali
scritti di L. Camp iglio, G. Mazzo cchi, G. Graziola, A. Contin
i
B. Maggi oni, E. Chiav acci
pp. 160, L. 7.000

1981
Spese militari, tecnologia e rapporti Nord-Sud
scritti di E. Chiav acci, L. camp iglio, A. Ninni, G. Grazio la
A. Contin i, S. Parazzini .
pp. 224, L. 12.000

. I due volum i fanno parte della collan a Proble mi econo


mici d'ogg i

Vita e Pensiero
Pubb licaz ioni dell'U niver sit catto lica del sacro Cuor e'
20123 Milan o - Largo A. Gemelli, 1 - ccp. 989202

36 VITA E PENSIERO ANNO LXVI , MARZO 1983

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