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MASSIMO INTROVIGNE, Cristianit n.

142 (1987)

Contro "Il nome della rosa"

1. La trama
Negli ultimi mesi ha avuto larghissima circolazione in tutto il mondo il film di Jean-Jacques Annaud Il nome
della rosa, realizzato - come recitano i titoli di testa - "sul palinsesto del romanzo di Umberto Eco", che a sua
volta - con oltre cinque milioni di copie diffuse in venticinque lingue - viene celebrato come il libro di autore
italiano pi venduto di tutti tempi (1).
Sarebbero sufficienti le dimensioni del fenomeno a rendere opportuno un suo esame critico, a cui mi sembra
utile premettere - per chi gi non la conoscesse - un breve accenno alla trama.
Nel novembre 1327 si incontrano, presso una imprecisata ma ricca abbazia benedettina dell'Italia Settentrionale,
per una disputa sulla povert di Cristo e della Chiesa, una delegazione francescana - di cui fa parte il
protagonista, Guglielmo da Baskerville, che accompagnato dal giovane novizio Adso da Melk - e una
legazione pontificia guidata dall'inquisitore domenicano Bernardo Gui. Nell'abbazia sono rifugiati due ex eretici
della setta estremista dei dolciniani, che conducono vita sregolata e di notte fanno entrare nel convento una
ragazza del vicino villaggio, che finir per sedurre il giovane Adso. La vita dell'abbazia sconvolta da una serie
di oscuri delitti su cui indagano, con metodi diversi, Guglielmo da Baskerville e Bernardo Gui. L'inquisitore
identifica i responsabili nella ragazza, che scambia per una strega, e nei due ex dolciniani. Nel romanzo questi
presunti colpevoli vengono condotti da Bernardo Gui verso Avignone, e di loro non si sa pi nulla; il film mette
invece in scena - presso l'abbazia stessa - la loro condanna e immediata esecuzione sul rogo, seguita da
un'improbabile rivolta di contadini - in cui l'inquisitore trova la morte -, che riesce a salvare almeno la ragazza.
Nel frattempo Guglielmo da Baskerville - in una notte di tregenda, in cui l'abbazia distrutta da un incendio -
scopre il vero assassino: il vecchio monaco cieco Jorge, che ha ucciso per impedire che venisse alla luce il
perduto libro secondo della Poetica di Aristotele, un'opera pericolosa per la Chiesa perch vi si esalta l'umorismo
che "uccide la paura, e senza la paura non ci pu essere la fede. Senza la paura del demonio non c' pi la
necessit del timore di Dio" (2).

2. Il "film": un Medioevo di cartapesta


Il film, molto meno complesso del libro, si concentra su due temi noti alla propaganda anticattolica di tutti i
tempi: la corruzione dei monaci e gli orrori dell'Inquisizione. Stanca ripetizione di temi noti: contro monaci e
inquisitori avevano tuonato la propaganda protestante e i libelli illuministi; contro inquisitori e monaci si
scagliava la letteratura popolare ottocentesca di ispirazione massonica. I benedettini vengono dipinti con una
galleria di volti deformati, sadici e volgari; i vizi pi inconfessabili si danno convegno nell'abbazia mentre i
pezzenti del villaggio si scannano per accaparrarsi gli avanzi gettati via dal monastero. Un quadro grottesco, non
compatibile neppure con l'incipiente decadenza del monachesimo nel secolo XIV, e che si prende qualche libert
anche con il romanzo dove - se la ragazza rappresenta un caso isolato di miseria - il cantiniere Remigio ha cura
di precisare che il villaggio non povero - "una famiglia normale laggi possiede anche cinquanta tavole di
terreno" - e liberalmente beneficiato dall'abbazia (3). Ma il danno agli spettatori pi semplici fatto: chi, uscito
dalla proiezione de Il nome della rosa, ricorder pi che proprio i benedettini hanno fatto la nostra Europa,
trasmettendo tesori di cultura - ma anche di conoscenze tecniche e agricole - e costruendo nei secoli punti di
riferimento per i poveri e per i sapienti?
Sul tema dell'Inquisizione - che dilata in modo abnorme rispetto al romanzo - il film riapre vecchi armadi
polverosi, pieni di arnesi dimenticati da qualche decennio: catene, ferri roventi, segrete, cortei notturni con torce
ardenti. Ne nasce un quadro in cui nulla vero.
Bernardo Gui inquisitore ignorante e feroce: menzogna. Procuratore generale del suo ordine "per la sua vasta
produzione, specialmente storica, la ricca e minuta informazione e lo studio dell'esattezza, il G[ui] considerato
uno dei pi notevoli storici del primo Trecento, come pure il migliore storico domenicano del medioevo" (4).
Oggi gli specialisti hanno completato lo spoglio dei suoi processi inquisitoriali: su novecentotrenta imputati, dal
1308 al 1323, "se ne trovano soltanto 42 rimessi al braccio secolare", mentre altri sono condannati a pene minori,
spesso di straordinaria mitezza, e centotrentanove assolti (5). Bernardo Gui impegnato nella caccia alle streghe:
menzogna. Presso Bernardo e gli inquisitori suoi contemporanei " sempre modestissimo il numero degli
accusati per pratiche stregoniche" (6), del resto di competenza dei vescovi e non degli inquisitori, a meno che la
stregoneria si presentasse mescolata all'eresia. Anche in epoche successive la caccia alle streghe nascer nei
paesi protestanti, mentre la Chiesa cattolica si sforzer piuttosto di controllare e di frenare una reazione nata dal
popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici dei principi (7). La tortura
generalizzata e indiscriminatamente applicata: menzogna. L'Inquisizione del secolo XIV - a differenza dei
tribunali laici del tempo - usa in casi rarissimi la tortura di cui - secondo un decreto del 1311 di Papa Clemente V
- l'inquisitore non pu, da solo, decidere di servirsi: deve sospendere il procedimento e instaurare "un giudizio
speciale, al quale partecipi il vescovo o il suo rappresentante" (8). L'inquisitore che decide in poche ore senza
difesa n appello, e anzi enuncia il principio che "chiunque contesta il verdetto di un inquisitore lui stesso un
eretico": menzogna. l'Inquisizione del secolo XIV che inventa la giuria, consilium che mette l'imputato nella
condizione di essere giudicato da un collegio numeroso - spesso di trenta o anche di cinquanta giurati -, dove
molti "diventano di conseguenza gli avvocati dell'accusato" ed l'inquisitore che, davanti alla loro muta, si trova
piuttosto in situazione di inferiorit". Del resto l'imputato ha diritto di difendersi e "pu produrre testimoni a
discarico"; "pu anche ricusare i suoi giudici e, in caso di rifiuto di questa ricusazione, ottenerla mediante un
appello a Roma" (9). La sentenza eseguita subito dopo la condanna, i rei confessi - e perfino il demente
Salvatore - bruciati, il rogo organizzato direttamente dal domenicano inquisitore: menzogna. Nel processo
inquisitoriale - lungo e complesso - i rei confessi e pentiti possono essere condannati soltanto a pene minori; il
potere laico, il braccio secolare - e mai la Chiesa -, a occuparsi dell'esecuzione delle condanne. Il popolo, infine,
che insorge e uccide Bernardo Gui: menzogna. Gli storici, anche i pi ostili alla Chiesa, confermano invece la
notevole popolarit dell'Inquisizione presso il popolo, che se ne vedeva protetto dalle vessazioni di eretici che -
come i catari e i dolciniani - non di rado trascendevano in violenze e in stragi.
Bernardo Gui mor tranquillamente nel suo letto, dopo essere stato nominato vescovo di Ty nel 1323 e poi di
Lodve nel 1324.

3. Il libro: un'apologia della modernit


1. Un romanzo pseudo-storico
Il libro di Umberto Eco pu essere letto a tre diversi livelli: come romanzo pseudo-storico; come romanzo
ideologico a tesi; e come romanzo iniziatico, che contiene anche un senso nascosto. La lettura pi facile quella
pseudo-storica del Medioevo di cartapesta, a cui corrisponde il film. Di alcune delle menzogne di fatto della
pellicola non sembra direttamente responsabile il romanzo, che contiene per sul Medioevo e sull'Inquisizione le
menzogne di principio fondamentali.
L'Inquisizione viene presentata nel romanzo come un tribunale ideologico, inteso a reprimere ogni possibile
discussione di una serie di tesi razionalmente insostenibili, che potevano essere imposte solo con la forza delle
armi e dei roghi, seminando il terrore attraverso la continua denuncia e perfino la "creazione" di un nemico.
"Spesso - osserva Adso - sono gli inquisitori a creare gli eretici". E un tribunale ideologico non pu che
condannare sempre e comunque: "Sarai dannato e condannato se confesserai - dice Bernardo Gui al suo imputato
-, e sarai dannato e condannato se non confesserai, perch sarai punito come spergiuro!" (10). Lo spoglio
statistico delle sentenze dell'Inquisizione, da cui si ricava la bassa percentuale di condanne, ha ormai dimostrato
che questa tesi falsa. Ma non meno falsa la sua premessa: l'Inquisizione nasce tardi, verso la fine del
Medioevo propriamente detto, non a fronte di eretici immaginari ma come reazione agli eccessi reali e concreti
di movimenti come i catari, portatori di un "totalitarismo della morte" apologista del suicidio e dell'omicidio
degli oppositori, e - pi tardi - come i dolciniani, impegnati a mettere a ferro e a fuoco i villaggi in nome di
un'utopia comunistica. Senza escludere deviazioni ed errori tipici di ogni tribunale umano, non si pu che
concludere che l'Inquisizione dei secoli XIII e XIV " stata il modo necessario di affrontare un antigene sociale
molto pericoloso" (11). Affermare il contrario significa liquidare un secolo di studi scientifici sull'Inquisizione
per tornare al museo degli orrori dei romanzi di appendice del secolo scorso.
Fuorviante poi, nel romanzo, l'elemento di supporto della trama, cio il desiderio della Chiesa di occultare un
volume che - con l'autorit di Aristotele - avrebbe pericolosamente legittimato, insieme con la commedia,
l'umorismo, nemico della fede perch pu liberare dalla paura su cui la religione si fonda. La tesi non
minimamente plausibile. I benedettini del Medioevo hanno salvato con amore anche il legato del mondo classico
relativo alla commedia, pure spesso moralmente discutibile. Come ha mostrato Hans Urs von Balthasar, il
Medioevo - oltre la critica rigida della patristica - ha dato inizio alla rivalutazione del teatro (12). Nella Summa
Theologiae di san Tommaso si afferma, nella questione 168 della Secunda Secundae, che, se l'umorismo vano e
malizioso deve essere evitato, l'umorismo di suo costituisce una manifestazione della razionalit umana che pu
essere perfino virtuosa. Di pi: nella mancanza di senso dell'umorismo - "in defectu ludi" - si trova "un qualche
peccato", perch "tutto quanto contro la ragione nelle cose dell'uomo vizioso", e mancare di umorismo
significa spesso rivelarsi poco ragionevoli, "molesti agli altri", "duri et agrestes" secondo l'espressione dello
stesso Aristotele (13). Sono questi i medioevali de Il nome della rosa: cupi, tetri, in perenne quanto morbosa
attesa di disastri apocalittici?

2. Un romanzo ideologico
Il nome della rosa essenzialmente un romanzo ideologico a tesi, che intende indurre il lettore a scegliere come
giusta una delle due posizioni in conflitto nel secolo XIV nella disputa sulla povert - la Armutsstreit, come la
chiama la storiografia tedesca - fra una parte dell'ordine francescano e la curia pontificia di Avignone. Nel film la
disputa viene ridotta al semplice quesito se Cristo fosse o meno proprietario delle proprie vesti. Qualche
spettatore della pellicola potr quindi stupirsi nell'apprendere che uno dei massimi storici del diritto viventi,
Michel Villey, ha visto nella Armutsstreit "uno degli eventi capitali nella storia della filosofia del diritto", sia
privato che pubblico (14). In realt la posta in gioco nella disputa era la nascente ideologia della modernit - la
tesi di cui si vuole convincere il lettore de Il nome della rosa - nelle sue tre principali dimensioni, cio quelle
filosofica, giuridica e politica.
a. Guglielmo da Baskerville la figura abbastanza trasparente - quando parla di filosofia - di un altro Guglielmo
francescano, inglese e nemico di Papa Giovanni XXII, Guglielmo di Occam, di cui nel romanzo si dice amico e
discepolo. La filosofia di Guglielmo di Occam il nominalismo relativista secondo cui si conoscono soltanto le
realt individuali - questo cavallo, quest'uomo -, mentre i presunti "universali" - l'uomo, il cavallo - sono
semplici segni che servono a connotare - cio a "notare insieme" - gruppi di realt individuali, di cui esprimono -
peraltro in modo incerto e impreciso - qualche generale rassomiglianza. Il metodo di Guglielmo da Baskerville
certamente quello di Sherlock Holmes - il suo nome fa riferimento al romanzo holmesiano Il mastino dei
Baskerville e Adso assona con Watson -; ma gi il filosofo marxista Ernst Bloch aveva considerato il metodo
"detettivo" del romanzo poliziesco come figura popolare della logica moderna, il cui frutto pi maturo sarebbe
appunto il marxismo (15). All'inizio del romanzo, in una scena tipicamente holmesiana, Guglielmo stupisce i
suoi interlocutori descrivendo nei pi minuti particolari, da qualche tenue traccia, un cavallo che non ha mai
visto; quando Adso-Watson gli chiede come ha fatto, risponde con una lezione di occamismo, spiegando che "tra
la singolarit della traccia e la mia ignoranza, che assumeva la forma assai diafana di un'idea universale", ha
scelto la traccia singola, senza correre dietro alle idee universali che sono "puri segni", ed cos pervenuto alla
"conoscenza piena", che "l'intuizione del singolare" (16). grazie alla nuova logica di Occam che Guglielmo
da Baskerville risolve gli enigmi dell'abbazia, mentre il tomista Bernardo Gui, che ragiona per universali, segue
piste false; ed con un motto nominalista che il romanzo si chiude: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda
tenemus", "La rosa originaria - la presunta essenza della rosa - consiste in un nome, noi non abbiamo che nudi
nomi".
Le conseguenze del nominalismo occamista sono di straordinaria gravit: se si conosce soltanto l'individuale,
ogni presunta verit che vada al di l dell'individuale singolare e provvisorio del tutto malferma; ultimamente,
la verit non esiste. Guglielmo da Baskerville non sfugge a questa conclusione; e anzi la esprime nei termini
brutali del "pensiero debole" del secolo XX: "Le uniche verit che servono sono strumenti da buttare", "l'unica
verit imparare a liberarci dalla passione insana per la verit" e perfino "il diavolo [...] la verit che non viene
mai presa dal dubbio. Il diavolo cupo perch sa dove va" (17). Il primo arcano della modernit svelato dal
romanzo di Umberto Eco il relativismo scettico: fuori dal relativismo vi solo "la passione insana per la
verit", chi "sa dove va" un "diavolo" che si esprime nell'intolleranza e nei roghi e che deve essere a ogni costo
combattuto.
b. Sul piano del diritto, come ha mostrato in particolare Michel Villey, dal relativismo occamista deriva il
positivismo giuridico, "prodotto del nominalismo. E della dottrina di Guglielmo di Occam" (18). Se non esiste la
verit, non esistono neppure le verit: non esiste un ordine naturale che possa essere fonte di un diritto naturale,
ma fonti del diritto sono soltanto le espressioni positive di una volont individuale. Sul piano del diritto privato
si rovescia la nozione di jus, che non pi id quod iustum est, la "parte" o porzione giusta assegnata a ciascuno
secondo equit, ma - per Guglielmo di Occam - il "diritto soggettivo", gi in senso moderno, il potere concesso
da qualche norma positiva di far valere la propria potest. Questa autentica rivoluzione giuridica nasce proprio
dalla disputa sulla povert dei francescani, i quali affermano di non avere la propriet ma solo l'uso di tutti i loro
beni, come aveva - dicono - lo stesso Ges Cristo. Ma - afferma Papa Giovanni XXII - la separazione fra
propriet e uso una finzione, almeno per i beni che i francescani godono in perpetuo e per i beni consumabili
come il cibo e le vesti: non si pu avere l'uso del pezzo di formaggio che si mangia senza averne anche la
propriet. Se per jus si intende "la parte dei beni che ci viene attribuita secondo giustizia", il Pontefice ha
ragione, e lo stesso san Francesco aveva un diritto di propriet sul pane che mangiava; per contraddire questa tesi
"bisogna cambiare la nozione di jus, darle un significato pi ristretto e in qualche modo peggiorativo; bisogna
ridurre il diritto a strumento di coercizione materiale, al potere di difendersi davanti al giudice". a questo
potere di difendere i beni che i francescani - e gi Cristo e gli Apostoli - hanno - secondo Occam - rinunciato; ma
il diritto di propriet consiste appunto in questo. Questioni pedanti e superate? Tutt'altro: il mutamento della
nozione del diritto di propriet, e del diritto in genere, comporta "una vera e propria rivoluzione copernicana
nella storia della scienza del diritto". Siamo "di fronte alla frontiera che divide due mondi diversi" (19): il mondo
del diritto naturale classico e cristiano e la modernit, di cui il positivismo giuridico - con la separazione del
diritto dall'ordine morale - costituisce, dopo il relativismo, il secondo arcano rivelato da Il nome della rosa.
c. Gli effetti del positivismo giuridico sono particolarmente gravi sul piano del diritto pubblico, dove nasce lo
Stato moderno, sovrano assoluto nel senso di solutus ab, "sciolto da" qualunque controllo o vincolo superiore
alla sua volont. Se non esistono verit e valori, non vi nessun criterio o istanza superiore in base a cui
giudicare lo Stato e le sue leggi. E lo Stato certamente non pu essere giudicato dalla Chiesa: Guglielmo da
Baskerville e i suoi amici vogliono una "Chiesa povera", ma non nel senso - come pretende ingenuamente il film
- di una Chiesa che rinuncia alle sue ricchezze e le distribuisce ai poveri. Non questo tipo di riforma
ecclesiastica che interessa Guglielmo da Baskerville: "Povera - precisa - non significa tanto possedere o no un
palazzo, ma tenere o abbandonare il diritto di legiferare sulle cose terrene". La "Chiesa povera" dei "teologi
imperiali" una Chiesa confinata in sacrestia, che rinuncia a giudicare la politica e le leggi: "Il dominio
temporale e la giurisdizione secolare nulla hanno a che vedere con la chiesa e con la legge di Cristo Ges". "I
minoriti - Guglielmo lo ammette - fanno il gioco imperiale" di Ludovico IV il Bavaro, una figura chiave nella
genesi dell'Europa moderna, il primo imperatore che si fa incoronare a Roma non dal Pontefice ma da un laico, e
per di pi da quello Sciarra Colonna che era stato uno dei responsabili dello schiaffo di Anagni, l'oltraggio alla
Chiesa che, con la sua carica simbolica, aveva posto fine - secondo molti storici - al Medioevo propriamente
detto. Poich poi nel secolo XX gli imperatori, anche se laicisti e miscredenti, non sono pi di moda, Guglielmo
da Baskerville si premura di dichiarare che - una volta garantita la laicit dello Stato - lui e il suo amico Marsilio
da Padova preferirebbero alla monarchia imperiale una "assemblea generale elettiva", per cui per
sfortunatamente "i tempi non sono maturi" (20). Ma in realt il problema non consiste tanto nella forma dello
Stato quanto nella estensione dei suoi poteri. Lo Stato laico moderno non si emancipa solo da possibili rischi di
prevaricazioni clericali; si emancipa da qualunque controllo e limite e pone le premesse del totalitarismo,
secondo un processo che stato colto da autori cattolici ma anche da un maestro del neoliberalismo come
Friedrich August von Hayek (21). Il nome della rosa mette in scena - il terzo arcano della modernit - il
momento sorgivo dello statalismo moderno. Lo statalismo non pu che essere contro la Chiesa, perch una
Chiesa libera si sentir libera di criticare l'autorit politica, ed una sfida che il potere totalitario non pu
tollerare. Lo afferma - sulla scia di Marsilio da Padova - Guglielmo da Baskerville: "Se il pontefice, i vescovi e i
preti non fossero sottomessi al potere mondano e coattivo del principe, l'autorit del principe ne verrebbe
inficiata" (22).

3. Un romanzo iniziatico
Si sa che Umberto Eco un grande appassionato di enigmi e di enigmistica, e Il nome della rosa un romanzo
insieme enigmistico ed enigmatico. Enigmistico, perch - come afferma la stessa manchette del volume -
contiene una serie di "giochi" da risolvere, fra cui un "giallo di citazioni" non denunciate come tali. Esula dalle
mie intenzioni seguire fino in fondo il gioco, anche se alcuni degli enigmi sono interessanti, perch rivelano
citazioni occulte di autori fra i pi radicalmente anticattolici del nostro secolo come Georges Bataille - a cui si
deve la tesi secondo cui il suppliziato sperimenta un'estasi del dolore paragonabile alla mistica (23) - e Roger
Peyrefitte, dal cui romanzo Le chiavi di San Pietro tratta quasi letteralmente la pagina sulle false reliquie (24).
Il romanzo insieme enigmatico perch alcune tesi possono non emergere a una prima lettura del testo e si
rivelano progressivamente: si pu quindi parlare anche di romanzo iniziatico (25).
Quando il retto uso della ragione va perduto, l'errore pu manifestarsi come razionalismo o come irrazionalismo.
Il proprium della modernit consiste nel fatto che razionalismo e irrazionalismo si manifestano insieme, come
due facce della stessa medaglia. Alla "corrente fredda" razionalista e positivista della modernit si accompagna
una "corrente calda" che fa della Rivoluzione una religione atea, che si esprime in simboli e miti; cos la
massoneria, vestale della modernit, coniuga il pi estremo razionalismo e il pi improbabile irrazionalismo
esoterico, il comunismo insieme materialismo e religione secolarizzata come adorazione filosofica del
divenire, e cos via. La distinzione fra le due correnti, calda e fredda, di Ernst Bloch e le citazioni implicite di
Bloch ne Il nome della rosa abbondano; sua la tesi del "filo rosso" che legherebbe le speculazioni di Gioachino
da Fiore, le eresie medioevali, il dipanarsi della modernit e il marxismo. La "corrente calda" della modernit
coincide, sostanzialmente, con quella che il cardinale de Lubac ha chiamato "la posterit intellettuale di
Gioachino da Fiore": una posterit che, in diversi modi, secolarizza l'aspirazione mistica del monaco calabrese
verso una prossima aurea "et dello Spirito Santo" trasformandola in mito rivoluzionario (26). Per intendere il
senso occulto de Il nome della rosa pu essere utile distinguere fra una posterit speculativa di Gioachino da
Fiore - nel romanzo rappresentata da Ubertino da Casale -, che legge l'et dello Spirito Santo come meta di una
storia in progresso animata da Dio, ma vorrebbe mantenere una apertura alla trascendenza e conservarsi ancora
cattolica, e una posterit rivoluzionaria, che trascrive il sogno gioachimita dall'eternit escatologica al futuro
politico (27). Nel romanzo di Umberto Eco il gioachimismo speculativo, che vuole ancora salvare la
trascendenza, si rivela perdente di fronte al gioachimismo rivoluzionario. vero: Guglielmo da Baskerville
disapprova il gioachimismo utopistico delle bande dolciniane che vogliono imporre il comunismo con il ferro e
con il fuoco. Ma il suo giudizio lucido e spietato sulle eresie utopistiche desunto, quasi letteralmente, da Ernst
Bloch. Il gioachimismo utopistico degli eretici il grido dei "lebbrosi", dove per "lebbrosi" si intendono le
masse subalterne del proletariato Lumpen, "cencio": gli "esclusi, poveri, semplici, diseredati". "Tutte le eresie
sono bandiera di una realt dell'esclusione. Gratta l'eresia, troverai il lebbroso". "I semplici [...] hanno ragione
perch posseggono l'intuizione dell'individuale, che l'unica buona" - naturalmente in una prospettiva occamista
-, "ma questa intuizione, da sola, non basta": lasciata a s stessa "l'esperienza dei semplici ha esiti selvaggi". Per
raggiungere il suo scopo il gioachimismo rivoluzionario dovr passare "dall'utopia alla scienza"; ci penser - e
qui Guglielmo mette in scena le profezie di un altro suo maestro, Ruggero Bacone - una "nuova scienza della
natura", una "grande impresa dei dotti per coordinare, attraverso una diversa conoscenza dei processi naturali, i
bisogni elementari che costituivano anche il coacervo disordinato, ma a suo modo vero e giusto, delle attese dei
semplici. La nuova scienza, la nuova maga naturale" (28). Scienza e magia, ma soprattutto gnosi: nel
gioachimismo secolarizzato alla Ernst Bloch - che implica certamente un salto rispetto a Gioachino da Fiore, ma
un salto che diventa quasi inevitabile nel gioco intrecciato delle sue posterit - emerge il classico tema gnostico
dell'avvento del nuovo eone, verso il quale svolgono opera di guida gli iniziati alla gnosi, soli competenti a
interpretare le attese confuse dei semplici (29). Non manca neppure, in questa verit ultima del romanzo - e della
modernit -, l'estremo arcano della gnosi - antica e moderna -, cio la riduzione di Dio a un'unit originaria
indistinta che, in ultimo, coincide con il nulla. Sul finire della storia Adso chiede a Guglielmo: "Che differenza
c' allora tra Dio e il caos primigenio?". Sostenere che non esiste la verit, e quindi che da Dio non scaturisce un
mondo ordinato ma un fascio infinito di possibili, "non equivale a dimostrare che Dio non esiste?". Guglielmo
non lo nega, ma si limita a rispondere ambiguamente: "Come potrebbe un sapiente continuare a comunicare il
suo sapere se rispondesse di s alla tua domanda?". Qualche pagina dopo Adso conclude "Gott ist ein lautes
Nichts", "Dio un grande nulla", con una proposizione che trae dalla mistica renana ma che interpreta
inequivocabilmente in senso gnostico, perch afferma di non credere pi in un Dio personale ma solo in una
"divinit silenziosa e disabitata" come abisso in cui "andr perduta ogni eguaglianza e ogni disuguaglianza" (30).
Che cosa pu imparare il mondo cattolico dalla grande operazione propagandistica realizzata attraverso Il nome
della rosa? Certamente una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del fatto che qualcuno ritiene assolutamente
necessario sottoporre le folle a periodici bagni di menzogne sulla civilt cristiana medioevale, insistendo sempre
sugli stessi temi - i monaci, l'Inquisizione -, tanto pi oggi a fronte del grave rischio che la nuova medievistica
scientifica giunga, sia pure lentamente, a conoscenza del pubblico dei non specialisti e smantelli mitologie a cui
certe forze sono straordinariamente attaccate. Il film, "mini-museo antireligioso posto dall'altra parte di una
cortina di ferro sempre presente" (31), costituisce una facile iniziazione offerta a tutti affinch varchino la soglia
ed entrino nel mondo del romanzo, dove si svelano gli arcani della modernit nella loro verit ultima, nichilista e
gnostica. Lo scopo di Umberto Eco consiste certamente nel temprare "lo scettro a' regnatori", esaltando lo Stato
laico moderno e la sua ideologia; ma talora - involontariamente, e sta qui l'occasione positiva offerta al mondo
cattolico - anche "gli allr ne sfronda" e "svela di che lacrime grondi e di che sangue" il potere svincolato dalla
religione e dalla morale e sostenuto da filosofie relativiste o da miti gnostici. Se ne potr ricavare, per
diametrum, che la verit, e una politica che si lasci giudicare dalla verit, fa libero l'uomo, mentre la negazione
dell'esistenza di una verit che si imponga anche ai principi - si tratti di Ludovico il Bavaro o del "moderno
principe", come Antonio Gramsci chiamava il partito comunista - lo rende schiavo dei potenti di turno. Se poi la
lettura de Il nome della rosa indurr qualcuno a meditare seriamente, sia pure a partire da Gioachino da Fiore,
sull'azione dello Spirito Santo nella storia, gli si potr consigliare - in alternativa all'immensa posterit spirituale
gioachimita, rivoluzionaria o "moderata" - la lettura dell'enciclica Dominum et vivificantem, dove l'intervento
dello Spirito nella storia viene presentato nella sua forma corretta, radicalmente antiprogressistica, nel senso che
la terza persona della Trinit - ben lungi dal venire a certificare la storia come progresso necessario verso una
crescente "liberazione" - viene a "convincere il mondo quanto al peccato" anche nella sua dimensione storica. Si
comprender allora che l'arcano ultimo della modernit come ideologia il rifiuto di Dio, la "resistenza allo
Spirito Santo" che trova "specialmente [...] nell'epoca moderna la sua dimensione esteriore" (32).
Massimo Introvigne

***
(1) Cfr. Scott Sullivan, Master of the Signs, in Newsweek (Atlantic edition), vol. CVIII, n. 25, 22-12-1986, p. 46.
(2) Sono parole del film, che riassumono un pi articolato discorso del romanzo. interessante notare che il film
stato prodotto anche con fondi della RAI, cio dei contribuenti italiani.
(3) Umberto Eco, Il nome della rosa, 5a ed., Bompiani, Milano 1981, p. 273.
(4) Abele Redigonga, voce Gui, Bernard, in Enciclopedia Cattolica, Ente per l'Enciclopedia Cattolica e per il
libro cattolico, Citt del Vaticano 1951, vol. VI., col. 1274, con bibliografia.
(5) Jean Dumont, L'glise au risque de l'histoire, Criterion, Limoges 1982, p. 217.
(6) Raoul Manselli, Le premesse medioevali della caccia alle streghe, in Marina Romanello (a cura di), La
stregoneria in Europa (1450-1650), Il Mulino, Bologna 1975, p. 55.
(7) Cfr. Herbert Thurston S.J., La Chiesa e la stregoneria, in Satana (dalla collezione degli Etudes
Carmelitaines), trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1953, pp. 199-208. A Roma, centro della cattolicit, risulta con
certezza un solo giustiziato per stregoneria, nel 1424. Spesso, del resto, i delitti degli accusati di stregoneria non
erano immaginari: la storiografia pi recente non mette pi in dubbio l'autenticit di casi di veneficio, omicidio
rituale e simili.
(8) J. Dumont, op. cit., p. 215.
(9) Ibid., pp. 214-215.
(10) U. Eco, op. cit., pp. 58 e 384.
(11) J. Dumont, op. cit., p. 220.
(12) Cfr. Hans Urs von Balthasar, Teodrammatica, vol. I: Introduzione al dramma, trad. it., Jaca Book, Milano
1980, pp. 94-95
(13) Cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 168.
(14) Michel Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, ed. it., Jaca Book, Milano 1986, p. 167. M.
Villey commenta (ibid., p. 171) un passo del satirico Roman de la Rose - a cui vi forse una allusione nel titolo
dell'opera di Umberto Eco -, nel quale si mette in scena il "monaco Falso-Sembiante, che di sicuro un
francescano". Il Roman de la Rose, a differenza de Il nome della rosa, esprime una posizione anti-francescana;
ma l'allusione invita forse a cercare la vera dottrina sotto il "faux-semblant" della disputa sulla povert.
(15) Cfr. Ernst Bloch, Philosophische Ansicht des Detektivroman, in Idem, Verfremdungen I, Suhrkamp,
Francoforte 1962, pp. 37 ss.
(16) U. Eco, op. cit., p. 36.
(17) Ibid., pp. 494-495 e 481.
(18) M. Villey, op. cit., p. 185.
(19) Ibid., pp. 216-224.
(20) U. Eco, op. cit., pp. 349-360.
(21) "Nel mondo occidentale la sovranit illimitata venne raramente rivendicata in tutto il periodo dell'antichit",
"non fu concessa ai principi medioevali, che la reclamarono raramente", e "sebbene venne richiesta con successo
dai monarchi assoluti del continente europeo, non fu accettata come legittima fin dopo l'avvento della
democrazia moderna, che sotto questo aspetto ha ereditato la tradizione dell'assolutismo" (Friedrich August von
Hayek, Legge, legislazione e libert. Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia e della
economia politica, ed. it., Il Saggiatore, Milano 1986, pp. 408-409). Sul ruolo di Guglielmo di Occam e di
Marsilio da Padova nella genesi del moderno statalismo, cfr. soprattutto i sei volumi di Georges de Lagarde, Aux
origines de l'sprit laique, Nauwelaerts, Lovanio 1952-1961 (trad. it. dei primi due volumi: Alle origini dello
spirito laico, Morcelliana, Brescia 1961-1965).
(22) U. Eco, op. cit., p. 358.
(23) Cfr. Georges Bataille, Le lacrime di Eros, trad. it., Arcana, Roma 1979, pp. 113-118, a cui corrisponde U.
Eco, op. cit., p. 67.
(24) Cfr. Roger Peyrefitte, Le chiavi di San Pietro, trad. it., Longanesi, Milano 1968, pp. 26-27, a cui
corrisponde U. Eco, op. cit., pp. 425-427. Sull'argomento cfr. l'indagine di uno scienziato contemporaneo,
agnostico, Pier Luigi Baima Bollone, L'impronta di Dio. Alla ricerca delle reliquie di Cristo, Mondadori, Milano
1985, da cui si ricava che molte reliquie della Passione, affrettatamente giudicate false da una scienza imbevuta
di pregiudizi anticattolici, sono probabilmente vere.
(25) In senso debole: scoprire le tesi nascoste non poi cos difficile.
(26) Henri de Lubac, La posterit spirituale di Gioachino da Fiore, 2 voll., trad. it., Jaca Book, Milano 1981-
1984. Il tema delle eresie percorre quasi tutte le opere di Ernst Bloch: cfr., in particolare, il suo Ateismo nel
cristianesimo. Per la religione dell'Esodo e del Regno, trad. it., Feltrinelli, Milano 1971.
(27) Il nome della rosa giunge in un momento propizio, che vede la rinascita di un certo gioachimismo
speculativo presso teologi che rivalutano Gioachino da Fiore e - sulla scia delle discussioni intorno all'opera di
Erik Peterson Il monoteismo come problema politico (trad. it., Queriniana, Brescia 1983) - vedono nel progresso
verso forme democratiche una affermazione del principio trinitario contro un "monoteismo" che trascriverebbe
l'idea di un Dio monarchico, non trinitario, in un ideale politico autocratico. Una sintesi delle posizioni di questa
recente corrente teologica si pu trovare in Bruno Forte, Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizione
Paoline, Torino 1985. Per la rivalutazione di Gioachino da Fiore, che "ha saputo pensare storicamente la Trinit e
trinitariamente la storia", cfr. ibid., pp. 81-87.
(28) U. Eco, op. cit., pp. 205-209.
(29) "Gnostiche" sono le interpretazioni del gioachimismo proposte da Ernst Bloch anche secondo H. de Lubac
(op. cit., vol. II, p. 418), che ne segnala peraltro l'infedelt rispetto alle intenzioni originarie di Gioachino da
Fiore. Ma sembra al lettore dell'opera di H. de Lubac che il pensiero del monaco calabrese non possa avere esiti
storici se non a condizione di essere "tradito", e dunque celi gi in s stesso almeno una sostanziale ambiguit.
(30) U. Eco, op. cit., pp. 496 e 503.
(31) Cos scrive una delle maggiori medieviste viventi, Rgine Pernoud, James Bond va in monastero, in 30
Giorni, anno V, n. 1, gennaio 1987, p. 65.
(32) Giovanni Paolo II, Enciclica Dominum et vivificantem, del 18-5-1986, n. 56.

All'indice degli articoli e delle note firmate


Articoli e note firmate
MASSIMO INTROVIGNE, Cristianit n. 142 (1987)

Contro "Il nome della rosa"

1. La trama
Negli ultimi mesi ha avuto larghissima circolazione in tutto il mondo il film di Jean-Jacques Annaud Il nome
della rosa, realizzato - come recitano i titoli di testa - "sul palinsesto del romanzo di Umberto Eco", che a sua
volta - con oltre cinque milioni di copie diffuse in venticinque lingue - viene celebrato come il libro di autore
italiano pi venduto di tutti tempi (1).
Sarebbero sufficienti le dimensioni del fenomeno a rendere opportuno un suo esame critico, a cui mi sembra
utile premettere - per chi gi non la conoscesse - un breve accenno alla trama.
Nel novembre 1327 si incontrano, presso una imprecisata ma ricca abbazia benedettina dell'Italia Settentrionale,
per una disputa sulla povert di Cristo e della Chiesa, una delegazione francescana - di cui fa parte il
protagonista, Guglielmo da Baskerville, che accompagnato dal giovane novizio Adso da Melk - e una
legazione pontificia guidata dall'inquisitore domenicano Bernardo Gui. Nell'abbazia sono rifugiati due ex eretici
della setta estremista dei dolciniani, che conducono vita sregolata e di notte fanno entrare nel convento una
ragazza del vicino villaggio, che finir per sedurre il giovane Adso. La vita dell'abbazia sconvolta da una serie
di oscuri delitti su cui indagano, con metodi diversi, Guglielmo da Baskerville e Bernardo Gui. L'inquisitore
identifica i responsabili nella ragazza, che scambia per una strega, e nei due ex dolciniani. Nel romanzo questi
presunti colpevoli vengono condotti da Bernardo Gui verso Avignone, e di loro non si sa pi nulla; il film mette
invece in scena - presso l'abbazia stessa - la loro condanna e immediata esecuzione sul rogo, seguita da
un'improbabile rivolta di contadini - in cui l'inquisitore trova la morte -, che riesce a salvare almeno la ragazza.
Nel frattempo Guglielmo da Baskerville - in una notte di tregenda, in cui l'abbazia distrutta da un incendio -
scopre il vero assassino: il vecchio monaco cieco Jorge, che ha ucciso per impedire che venisse alla luce il
perduto libro secondo della Poetica di Aristotele, un'opera pericolosa per la Chiesa perch vi si esalta l'umorismo
che "uccide la paura, e senza la paura non ci pu essere la fede. Senza la paura del demonio non c' pi la
necessit del timore di Dio" (2).

2. Il "film": un Medioevo di cartapesta


Il film, molto meno complesso del libro, si concentra su due temi noti alla propaganda anticattolica di tutti i
tempi: la corruzione dei monaci e gli orrori dell'Inquisizione. Stanca ripetizione di temi noti: contro monaci e
inquisitori avevano tuonato la propaganda protestante e i libelli illuministi; contro inquisitori e monaci si
scagliava la letteratura popolare ottocentesca di ispirazione massonica. I benedettini vengono dipinti con una
galleria di volti deformati, sadici e volgari; i vizi pi inconfessabili si danno convegno nell'abbazia mentre i
pezzenti del villaggio si scannano per accaparrarsi gli avanzi gettati via dal monastero. Un quadro grottesco, non
compatibile neppure con l'incipiente decadenza del monachesimo nel secolo XIV, e che si prende qualche libert
anche con il romanzo dove - se la ragazza rappresenta un caso isolato di miseria - il cantiniere Remigio ha cura
di precisare che il villaggio non povero - "una famiglia normale laggi possiede anche cinquanta tavole di
terreno" - e liberalmente beneficiato dall'abbazia (3). Ma il danno agli spettatori pi semplici fatto: chi, uscito
dalla proiezione de Il nome della rosa, ricorder pi che proprio i benedettini hanno fatto la nostra Europa,
trasmettendo tesori di cultura - ma anche di conoscenze tecniche e agricole - e costruendo nei secoli punti di
riferimento per i poveri e per i sapienti?
Sul tema dell'Inquisizione - che dilata in modo abnorme rispetto al romanzo - il film riapre vecchi armadi
polverosi, pieni di arnesi dimenticati da qualche decennio: catene, ferri roventi, segrete, cortei notturni con torce
ardenti. Ne nasce un quadro in cui nulla vero.
Bernardo Gui inquisitore ignorante e feroce: menzogna. Procuratore generale del suo ordine "per la sua vasta
produzione, specialmente storica, la ricca e minuta informazione e lo studio dell'esattezza, il G[ui] considerato
uno dei pi notevoli storici del primo Trecento, come pure il migliore storico domenicano del medioevo" (4).
Oggi gli specialisti hanno completato lo spoglio dei suoi processi inquisitoriali: su novecentotrenta imputati, dal
1308 al 1323, "se ne trovano soltanto 42 rimessi al braccio secolare", mentre altri sono condannati a pene minori,
spesso di straordinaria mitezza, e centotrentanove assolti (5). Bernardo Gui impegnato nella caccia alle streghe:
menzogna. Presso Bernardo e gli inquisitori suoi contemporanei " sempre modestissimo il numero degli
accusati per pratiche stregoniche" (6), del resto di competenza dei vescovi e non degli inquisitori, a meno che la
stregoneria si presentasse mescolata all'eresia. Anche in epoche successive la caccia alle streghe nascer nei
paesi protestanti, mentre la Chiesa cattolica si sforzer piuttosto di controllare e di frenare una reazione nata dal
popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici dei principi (7). La tortura
generalizzata e indiscriminatamente applicata: menzogna. L'Inquisizione del secolo XIV - a differenza dei
tribunali laici del tempo - usa in casi rarissimi la tortura di cui - secondo un decreto del 1311 di Papa Clemente V
- l'inquisitore non pu, da solo, decidere di servirsi: deve sospendere il procedimento e instaurare "un giudizio
speciale, al quale partecipi il vescovo o il suo rappresentante" (8). L'inquisitore che decide in poche ore senza
difesa n appello, e anzi enuncia il principio che "chiunque contesta il verdetto di un inquisitore lui stesso un
eretico": menzogna. l'Inquisizione del secolo XIV che inventa la giuria, consilium che mette l'imputato nella
condizione di essere giudicato da un collegio numeroso - spesso di trenta o anche di cinquanta giurati -, dove
molti "diventano di conseguenza gli avvocati dell'accusato" ed l'inquisitore che, davanti alla loro muta, si trova
piuttosto in situazione di inferiorit". Del resto l'imputato ha diritto di difendersi e "pu produrre testimoni a
discarico"; "pu anche ricusare i suoi giudici e, in caso di rifiuto di questa ricusazione, ottenerla mediante un
appello a Roma" (9). La sentenza eseguita subito dopo la condanna, i rei confessi - e perfino il demente
Salvatore - bruciati, il rogo organizzato direttamente dal domenicano inquisitore: menzogna. Nel processo
inquisitoriale - lungo e complesso - i rei confessi e pentiti possono essere condannati soltanto a pene minori; il
potere laico, il braccio secolare - e mai la Chiesa -, a occuparsi dell'esecuzione delle condanne. Il popolo, infine,
che insorge e uccide Bernardo Gui: menzogna. Gli storici, anche i pi ostili alla Chiesa, confermano invece la
notevole popolarit dell'Inquisizione presso il popolo, che se ne vedeva protetto dalle vessazioni di eretici che -
come i catari e i dolciniani - non di rado trascendevano in violenze e in stragi.
Bernardo Gui mor tranquillamente nel suo letto, dopo essere stato nominato vescovo di Ty nel 1323 e poi di
Lodve nel 1324.

3. Il libro: un'apologia della modernit


1. Un romanzo pseudo-storico
Il libro di Umberto Eco pu essere letto a tre diversi livelli: come romanzo pseudo-storico; come romanzo
ideologico a tesi; e come romanzo iniziatico, che contiene anche un senso nascosto. La lettura pi facile quella
pseudo-storica del Medioevo di cartapesta, a cui corrisponde il film. Di alcune delle menzogne di fatto della
pellicola non sembra direttamente responsabile il romanzo, che contiene per sul Medioevo e sull'Inquisizione le
menzogne di principio fondamentali.
L'Inquisizione viene presentata nel romanzo come un tribunale ideologico, inteso a reprimere ogni possibile
discussione di una serie di tesi razionalmente insostenibili, che potevano essere imposte solo con la forza delle
armi e dei roghi, seminando il terrore attraverso la continua denuncia e perfino la "creazione" di un nemico.
"Spesso - osserva Adso - sono gli inquisitori a creare gli eretici". E un tribunale ideologico non pu che
condannare sempre e comunque: "Sarai dannato e condannato se confesserai - dice Bernardo Gui al suo imputato
-, e sarai dannato e condannato se non confesserai, perch sarai punito come spergiuro!" (10). Lo spoglio
statistico delle sentenze dell'Inquisizione, da cui si ricava la bassa percentuale di condanne, ha ormai dimostrato
che questa tesi falsa. Ma non meno falsa la sua premessa: l'Inquisizione nasce tardi, verso la fine del
Medioevo propriamente detto, non a fronte di eretici immaginari ma come reazione agli eccessi reali e concreti
di movimenti come i catari, portatori di un "totalitarismo della morte" apologista del suicidio e dell'omicidio
degli oppositori, e - pi tardi - come i dolciniani, impegnati a mettere a ferro e a fuoco i villaggi in nome di
un'utopia comunistica. Senza escludere deviazioni ed errori tipici di ogni tribunale umano, non si pu che
concludere che l'Inquisizione dei secoli XIII e XIV " stata il modo necessario di affrontare un antigene sociale
molto pericoloso" (11). Affermare il contrario significa liquidare un secolo di studi scientifici sull'Inquisizione
per tornare al museo degli orrori dei romanzi di appendice del secolo scorso.
Fuorviante poi, nel romanzo, l'elemento di supporto della trama, cio il desiderio della Chiesa di occultare un
volume che - con l'autorit di Aristotele - avrebbe pericolosamente legittimato, insieme con la commedia,
l'umorismo, nemico della fede perch pu liberare dalla paura su cui la religione si fonda. La tesi non
minimamente plausibile. I benedettini del Medioevo hanno salvato con amore anche il legato del mondo classico
relativo alla commedia, pure spesso moralmente discutibile. Come ha mostrato Hans Urs von Balthasar, il
Medioevo - oltre la critica rigida della patristica - ha dato inizio alla rivalutazione del teatro (12). Nella Summa
Theologiae di san Tommaso si afferma, nella questione 168 della Secunda Secundae, che, se l'umorismo vano e
malizioso deve essere evitato, l'umorismo di suo costituisce una manifestazione della razionalit umana che pu
essere perfino virtuosa. Di pi: nella mancanza di senso dell'umorismo - "in defectu ludi" - si trova "un qualche
peccato", perch "tutto quanto contro la ragione nelle cose dell'uomo vizioso", e mancare di umorismo
significa spesso rivelarsi poco ragionevoli, "molesti agli altri", "duri et agrestes" secondo l'espressione dello
stesso Aristotele (13). Sono questi i medioevali de Il nome della rosa: cupi, tetri, in perenne quanto morbosa
attesa di disastri apocalittici?

2. Un romanzo ideologico
Il nome della rosa essenzialmente un romanzo ideologico a tesi, che intende indurre il lettore a scegliere come
giusta una delle due posizioni in conflitto nel secolo XIV nella disputa sulla povert - la Armutsstreit, come la
chiama la storiografia tedesca - fra una parte dell'ordine francescano e la curia pontificia di Avignone. Nel film la
disputa viene ridotta al semplice quesito se Cristo fosse o meno proprietario delle proprie vesti. Qualche
spettatore della pellicola potr quindi stupirsi nell'apprendere che uno dei massimi storici del diritto viventi,
Michel Villey, ha visto nella Armutsstreit "uno degli eventi capitali nella storia della filosofia del diritto", sia
privato che pubblico (14). In realt la posta in gioco nella disputa era la nascente ideologia della modernit - la
tesi di cui si vuole convincere il lettore de Il nome della rosa - nelle sue tre principali dimensioni, cio quelle
filosofica, giuridica e politica.
a. Guglielmo da Baskerville la figura abbastanza trasparente - quando parla di filosofia - di un altro Guglielmo
francescano, inglese e nemico di Papa Giovanni XXII, Guglielmo di Occam, di cui nel romanzo si dice amico e
discepolo. La filosofia di Guglielmo di Occam il nominalismo relativista secondo cui si conoscono soltanto le
realt individuali - questo cavallo, quest'uomo -, mentre i presunti "universali" - l'uomo, il cavallo - sono
semplici segni che servono a connotare - cio a "notare insieme" - gruppi di realt individuali, di cui esprimono -
peraltro in modo incerto e impreciso - qualche generale rassomiglianza. Il metodo di Guglielmo da Baskerville
certamente quello di Sherlock Holmes - il suo nome fa riferimento al romanzo holmesiano Il mastino dei
Baskerville e Adso assona con Watson -; ma gi il filosofo marxista Ernst Bloch aveva considerato il metodo
"detettivo" del romanzo poliziesco come figura popolare della logica moderna, il cui frutto pi maturo sarebbe
appunto il marxismo (15). All'inizio del romanzo, in una scena tipicamente holmesiana, Guglielmo stupisce i
suoi interlocutori descrivendo nei pi minuti particolari, da qualche tenue traccia, un cavallo che non ha mai
visto; quando Adso-Watson gli chiede come ha fatto, risponde con una lezione di occamismo, spiegando che "tra
la singolarit della traccia e la mia ignoranza, che assumeva la forma assai diafana di un'idea universale", ha
scelto la traccia singola, senza correre dietro alle idee universali che sono "puri segni", ed cos pervenuto alla
"conoscenza piena", che "l'intuizione del singolare" (16). grazie alla nuova logica di Occam che Guglielmo
da Baskerville risolve gli enigmi dell'abbazia, mentre il tomista Bernardo Gui, che ragiona per universali, segue
piste false; ed con un motto nominalista che il romanzo si chiude: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda
tenemus", "La rosa originaria - la presunta essenza della rosa - consiste in un nome, noi non abbiamo che nudi
nomi".
Le conseguenze del nominalismo occamista sono di straordinaria gravit: se si conosce soltanto l'individuale,
ogni presunta verit che vada al di l dell'individuale singolare e provvisorio del tutto malferma; ultimamente,
la verit non esiste. Guglielmo da Baskerville non sfugge a questa conclusione; e anzi la esprime nei termini
brutali del "pensiero debole" del secolo XX: "Le uniche verit che servono sono strumenti da buttare", "l'unica
verit imparare a liberarci dalla passione insana per la verit" e perfino "il diavolo [...] la verit che non viene
mai presa dal dubbio. Il diavolo cupo perch sa dove va" (17). Il primo arcano della modernit svelato dal
romanzo di Umberto Eco il relativismo scettico: fuori dal relativismo vi solo "la passione insana per la
verit", chi "sa dove va" un "diavolo" che si esprime nell'intolleranza e nei roghi e che deve essere a ogni costo
combattuto.
b. Sul piano del diritto, come ha mostrato in particolare Michel Villey, dal relativismo occamista deriva il
positivismo giuridico, "prodotto del nominalismo. E della dottrina di Guglielmo di Occam" (18). Se non esiste la
verit, non esistono neppure le verit: non esiste un ordine naturale che possa essere fonte di un diritto naturale,
ma fonti del diritto sono soltanto le espressioni positive di una volont individuale. Sul piano del diritto privato
si rovescia la nozione di jus, che non pi id quod iustum est, la "parte" o porzione giusta assegnata a ciascuno
secondo equit, ma - per Guglielmo di Occam - il "diritto soggettivo", gi in senso moderno, il potere concesso
da qualche norma positiva di far valere la propria potest. Questa autentica rivoluzione giuridica nasce proprio
dalla disputa sulla povert dei francescani, i quali affermano di non avere la propriet ma solo l'uso di tutti i loro
beni, come aveva - dicono - lo stesso Ges Cristo. Ma - afferma Papa Giovanni XXII - la separazione fra
propriet e uso una finzione, almeno per i beni che i francescani godono in perpetuo e per i beni consumabili
come il cibo e le vesti: non si pu avere l'uso del pezzo di formaggio che si mangia senza averne anche la
propriet. Se per jus si intende "la parte dei beni che ci viene attribuita secondo giustizia", il Pontefice ha
ragione, e lo stesso san Francesco aveva un diritto di propriet sul pane che mangiava; per contraddire questa tesi
"bisogna cambiare la nozione di jus, darle un significato pi ristretto e in qualche modo peggiorativo; bisogna
ridurre il diritto a strumento di coercizione materiale, al potere di difendersi davanti al giudice". a questo
potere di difendere i beni che i francescani - e gi Cristo e gli Apostoli - hanno - secondo Occam - rinunciato; ma
il diritto di propriet consiste appunto in questo. Questioni pedanti e superate? Tutt'altro: il mutamento della
nozione del diritto di propriet, e del diritto in genere, comporta "una vera e propria rivoluzione copernicana
nella storia della scienza del diritto". Siamo "di fronte alla frontiera che divide due mondi diversi" (19): il mondo
del diritto naturale classico e cristiano e la modernit, di cui il positivismo giuridico - con la separazione del
diritto dall'ordine morale - costituisce, dopo il relativismo, il secondo arcano rivelato da Il nome della rosa.
c. Gli effetti del positivismo giuridico sono particolarmente gravi sul piano del diritto pubblico, dove nasce lo
Stato moderno, sovrano assoluto nel senso di solutus ab, "sciolto da" qualunque controllo o vincolo superiore
alla sua volont. Se non esistono verit e valori, non vi nessun criterio o istanza superiore in base a cui
giudicare lo Stato e le sue leggi. E lo Stato certamente non pu essere giudicato dalla Chiesa: Guglielmo da
Baskerville e i suoi amici vogliono una "Chiesa povera", ma non nel senso - come pretende ingenuamente il film
- di una Chiesa che rinuncia alle sue ricchezze e le distribuisce ai poveri. Non questo tipo di riforma
ecclesiastica che interessa Guglielmo da Baskerville: "Povera - precisa - non significa tanto possedere o no un
palazzo, ma tenere o abbandonare il diritto di legiferare sulle cose terrene". La "Chiesa povera" dei "teologi
imperiali" una Chiesa confinata in sacrestia, che rinuncia a giudicare la politica e le leggi: "Il dominio
temporale e la giurisdizione secolare nulla hanno a che vedere con la chiesa e con la legge di Cristo Ges". "I
minoriti - Guglielmo lo ammette - fanno il gioco imperiale" di Ludovico IV il Bavaro, una figura chiave nella
genesi dell'Europa moderna, il primo imperatore che si fa incoronare a Roma non dal Pontefice ma da un laico, e
per di pi da quello Sciarra Colonna che era stato uno dei responsabili dello schiaffo di Anagni, l'oltraggio alla
Chiesa che, con la sua carica simbolica, aveva posto fine - secondo molti storici - al Medioevo propriamente
detto. Poich poi nel secolo XX gli imperatori, anche se laicisti e miscredenti, non sono pi di moda, Guglielmo
da Baskerville si premura di dichiarare che - una volta garantita la laicit dello Stato - lui e il suo amico Marsilio
da Padova preferirebbero alla monarchia imperiale una "assemblea generale elettiva", per cui per
sfortunatamente "i tempi non sono maturi" (20). Ma in realt il problema non consiste tanto nella forma dello
Stato quanto nella estensione dei suoi poteri. Lo Stato laico moderno non si emancipa solo da possibili rischi di
prevaricazioni clericali; si emancipa da qualunque controllo e limite e pone le premesse del totalitarismo,
secondo un processo che stato colto da autori cattolici ma anche da un maestro del neoliberalismo come
Friedrich August von Hayek (21). Il nome della rosa mette in scena - il terzo arcano della modernit - il
momento sorgivo dello statalismo moderno. Lo statalismo non pu che essere contro la Chiesa, perch una
Chiesa libera si sentir libera di criticare l'autorit politica, ed una sfida che il potere totalitario non pu
tollerare. Lo afferma - sulla scia di Marsilio da Padova - Guglielmo da Baskerville: "Se il pontefice, i vescovi e i
preti non fossero sottomessi al potere mondano e coattivo del principe, l'autorit del principe ne verrebbe
inficiata" (22).

3. Un romanzo iniziatico
Si sa che Umberto Eco un grande appassionato di enigmi e di enigmistica, e Il nome della rosa un romanzo
insieme enigmistico ed enigmatico. Enigmistico, perch - come afferma la stessa manchette del volume -
contiene una serie di "giochi" da risolvere, fra cui un "giallo di citazioni" non denunciate come tali. Esula dalle
mie intenzioni seguire fino in fondo il gioco, anche se alcuni degli enigmi sono interessanti, perch rivelano
citazioni occulte di autori fra i pi radicalmente anticattolici del nostro secolo come Georges Bataille - a cui si
deve la tesi secondo cui il suppliziato sperimenta un'estasi del dolore paragonabile alla mistica (23) - e Roger
Peyrefitte, dal cui romanzo Le chiavi di San Pietro tratta quasi letteralmente la pagina sulle false reliquie (24).
Il romanzo insieme enigmatico perch alcune tesi possono non emergere a una prima lettura del testo e si
rivelano progressivamente: si pu quindi parlare anche di romanzo iniziatico (25).
Quando il retto uso della ragione va perduto, l'errore pu manifestarsi come razionalismo o come irrazionalismo.
Il proprium della modernit consiste nel fatto che razionalismo e irrazionalismo si manifestano insieme, come
due facce della stessa medaglia. Alla "corrente fredda" razionalista e positivista della modernit si accompagna
una "corrente calda" che fa della Rivoluzione una religione atea, che si esprime in simboli e miti; cos la
massoneria, vestale della modernit, coniuga il pi estremo razionalismo e il pi improbabile irrazionalismo
esoterico, il comunismo insieme materialismo e religione secolarizzata come adorazione filosofica del
divenire, e cos via. La distinzione fra le due correnti, calda e fredda, di Ernst Bloch e le citazioni implicite di
Bloch ne Il nome della rosa abbondano; sua la tesi del "filo rosso" che legherebbe le speculazioni di Gioachino
da Fiore, le eresie medioevali, il dipanarsi della modernit e il marxismo. La "corrente calda" della modernit
coincide, sostanzialmente, con quella che il cardinale de Lubac ha chiamato "la posterit intellettuale di
Gioachino da Fiore": una posterit che, in diversi modi, secolarizza l'aspirazione mistica del monaco calabrese
verso una prossima aurea "et dello Spirito Santo" trasformandola in mito rivoluzionario (26). Per intendere il
senso occulto de Il nome della rosa pu essere utile distinguere fra una posterit speculativa di Gioachino da
Fiore - nel romanzo rappresentata da Ubertino da Casale -, che legge l'et dello Spirito Santo come meta di una
storia in progresso animata da Dio, ma vorrebbe mantenere una apertura alla trascendenza e conservarsi ancora
cattolica, e una posterit rivoluzionaria, che trascrive il sogno gioachimita dall'eternit escatologica al futuro
politico (27). Nel romanzo di Umberto Eco il gioachimismo speculativo, che vuole ancora salvare la
trascendenza, si rivela perdente di fronte al gioachimismo rivoluzionario. vero: Guglielmo da Baskerville
disapprova il gioachimismo utopistico delle bande dolciniane che vogliono imporre il comunismo con il ferro e
con il fuoco. Ma il suo giudizio lucido e spietato sulle eresie utopistiche desunto, quasi letteralmente, da Ernst
Bloch. Il gioachimismo utopistico degli eretici il grido dei "lebbrosi", dove per "lebbrosi" si intendono le
masse subalterne del proletariato Lumpen, "cencio": gli "esclusi, poveri, semplici, diseredati". "Tutte le eresie
sono bandiera di una realt dell'esclusione. Gratta l'eresia, troverai il lebbroso". "I semplici [...] hanno ragione
perch posseggono l'intuizione dell'individuale, che l'unica buona" - naturalmente in una prospettiva occamista
-, "ma questa intuizione, da sola, non basta": lasciata a s stessa "l'esperienza dei semplici ha esiti selvaggi". Per
raggiungere il suo scopo il gioachimismo rivoluzionario dovr passare "dall'utopia alla scienza"; ci penser - e
qui Guglielmo mette in scena le profezie di un altro suo maestro, Ruggero Bacone - una "nuova scienza della
natura", una "grande impresa dei dotti per coordinare, attraverso una diversa conoscenza dei processi naturali, i
bisogni elementari che costituivano anche il coacervo disordinato, ma a suo modo vero e giusto, delle attese dei
semplici. La nuova scienza, la nuova maga naturale" (28). Scienza e magia, ma soprattutto gnosi: nel
gioachimismo secolarizzato alla Ernst Bloch - che implica certamente un salto rispetto a Gioachino da Fiore, ma
un salto che diventa quasi inevitabile nel gioco intrecciato delle sue posterit - emerge il classico tema gnostico
dell'avvento del nuovo eone, verso il quale svolgono opera di guida gli iniziati alla gnosi, soli competenti a
interpretare le attese confuse dei semplici (29). Non manca neppure, in questa verit ultima del romanzo - e della
modernit -, l'estremo arcano della gnosi - antica e moderna -, cio la riduzione di Dio a un'unit originaria
indistinta che, in ultimo, coincide con il nulla. Sul finire della storia Adso chiede a Guglielmo: "Che differenza
c' allora tra Dio e il caos primigenio?". Sostenere che non esiste la verit, e quindi che da Dio non scaturisce un
mondo ordinato ma un fascio infinito di possibili, "non equivale a dimostrare che Dio non esiste?". Guglielmo
non lo nega, ma si limita a rispondere ambiguamente: "Come potrebbe un sapiente continuare a comunicare il
suo sapere se rispondesse di s alla tua domanda?". Qualche pagina dopo Adso conclude "Gott ist ein lautes
Nichts", "Dio un grande nulla", con una proposizione che trae dalla mistica renana ma che interpreta
inequivocabilmente in senso gnostico, perch afferma di non credere pi in un Dio personale ma solo in una
"divinit silenziosa e disabitata" come abisso in cui "andr perduta ogni eguaglianza e ogni disuguaglianza" (30).
Che cosa pu imparare il mondo cattolico dalla grande operazione propagandistica realizzata attraverso Il nome
della rosa? Certamente una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del fatto che qualcuno ritiene assolutamente
necessario sottoporre le folle a periodici bagni di menzogne sulla civilt cristiana medioevale, insistendo sempre
sugli stessi temi - i monaci, l'Inquisizione -, tanto pi oggi a fronte del grave rischio che la nuova medievistica
scientifica giunga, sia pure lentamente, a conoscenza del pubblico dei non specialisti e smantelli mitologie a cui
certe forze sono straordinariamente attaccate. Il film, "mini-museo antireligioso posto dall'altra parte di una
cortina di ferro sempre presente" (31), costituisce una facile iniziazione offerta a tutti affinch varchino la soglia
ed entrino nel mondo del romanzo, dove si svelano gli arcani della modernit nella loro verit ultima, nichilista e
gnostica. Lo scopo di Umberto Eco consiste certamente nel temprare "lo scettro a' regnatori", esaltando lo Stato
laico moderno e la sua ideologia; ma talora - involontariamente, e sta qui l'occasione positiva offerta al mondo
cattolico - anche "gli allr ne sfronda" e "svela di che lacrime grondi e di che sangue" il potere svincolato dalla
religione e dalla morale e sostenuto da filosofie relativiste o da miti gnostici. Se ne potr ricavare, per
diametrum, che la verit, e una politica che si lasci giudicare dalla verit, fa libero l'uomo, mentre la negazione
dell'esistenza di una verit che si imponga anche ai principi - si tratti di Ludovico il Bavaro o del "moderno
principe", come Antonio Gramsci chiamava il partito comunista - lo rende schiavo dei potenti di turno. Se poi la
lettura de Il nome della rosa indurr qualcuno a meditare seriamente, sia pure a partire da Gioachino da Fiore,
sull'azione dello Spirito Santo nella storia, gli si potr consigliare - in alternativa all'immensa posterit spirituale
gioachimita, rivoluzionaria o "moderata" - la lettura dell'enciclica Dominum et vivificantem, dove l'intervento
dello Spirito nella storia viene presentato nella sua forma corretta, radicalmente antiprogressistica, nel senso che
la terza persona della Trinit - ben lungi dal venire a certificare la storia come progresso necessario verso una
crescente "liberazione" - viene a "convincere il mondo quanto al peccato" anche nella sua dimensione storica. Si
comprender allora che l'arcano ultimo della modernit come ideologia il rifiuto di Dio, la "resistenza allo
Spirito Santo" che trova "specialmente [...] nell'epoca moderna la sua dimensione esteriore" (32).
Massimo Introvigne

***
(1) Cfr. Scott Sullivan, Master of the Signs, in Newsweek (Atlantic edition), vol. CVIII, n. 25, 22-12-1986, p. 46.
(2) Sono parole del film, che riassumono un pi articolato discorso del romanzo. interessante notare che il film
stato prodotto anche con fondi della RAI, cio dei contribuenti italiani.
(3) Umberto Eco, Il nome della rosa, 5a ed., Bompiani, Milano 1981, p. 273.
(4) Abele Redigonga, voce Gui, Bernard, in Enciclopedia Cattolica, Ente per l'Enciclopedia Cattolica e per il
libro cattolico, Citt del Vaticano 1951, vol. VI., col. 1274, con bibliografia.
(5) Jean Dumont, L'glise au risque de l'histoire, Criterion, Limoges 1982, p. 217.
(6) Raoul Manselli, Le premesse medioevali della caccia alle streghe, in Marina Romanello (a cura di), La
stregoneria in Europa (1450-1650), Il Mulino, Bologna 1975, p. 55.
(7) Cfr. Herbert Thurston S.J., La Chiesa e la stregoneria, in Satana (dalla collezione degli Etudes
Carmelitaines), trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1953, pp. 199-208. A Roma, centro della cattolicit, risulta con
certezza un solo giustiziato per stregoneria, nel 1424. Spesso, del resto, i delitti degli accusati di stregoneria non
erano immaginari: la storiografia pi recente non mette pi in dubbio l'autenticit di casi di veneficio, omicidio
rituale e simili.
(8) J. Dumont, op. cit., p. 215.
(9) Ibid., pp. 214-215.
(10) U. Eco, op. cit., pp. 58 e 384.
(11) J. Dumont, op. cit., p. 220.
(12) Cfr. Hans Urs von Balthasar, Teodrammatica, vol. I: Introduzione al dramma, trad. it., Jaca Book, Milano
1980, pp. 94-95
(13) Cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 168.
(14) Michel Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, ed. it., Jaca Book, Milano 1986, p. 167. M.
Villey commenta (ibid., p. 171) un passo del satirico Roman de la Rose - a cui vi forse una allusione nel titolo
dell'opera di Umberto Eco -, nel quale si mette in scena il "monaco Falso-Sembiante, che di sicuro un
francescano". Il Roman de la Rose, a differenza de Il nome della rosa, esprime una posizione anti-francescana;
ma l'allusione invita forse a cercare la vera dottrina sotto il "faux-semblant" della disputa sulla povert.
(15) Cfr. Ernst Bloch, Philosophische Ansicht des Detektivroman, in Idem, Verfremdungen I, Suhrkamp,
Francoforte 1962, pp. 37 ss.
(16) U. Eco, op. cit., p. 36.
(17) Ibid., pp. 494-495 e 481.
(18) M. Villey, op. cit., p. 185.
(19) Ibid., pp. 216-224.
(20) U. Eco, op. cit., pp. 349-360.
(21) "Nel mondo occidentale la sovranit illimitata venne raramente rivendicata in tutto il periodo dell'antichit",
"non fu concessa ai principi medioevali, che la reclamarono raramente", e "sebbene venne richiesta con successo
dai monarchi assoluti del continente europeo, non fu accettata come legittima fin dopo l'avvento della
democrazia moderna, che sotto questo aspetto ha ereditato la tradizione dell'assolutismo" (Friedrich August von
Hayek, Legge, legislazione e libert. Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia e della
economia politica, ed. it., Il Saggiatore, Milano 1986, pp. 408-409). Sul ruolo di Guglielmo di Occam e di
Marsilio da Padova nella genesi del moderno statalismo, cfr. soprattutto i sei volumi di Georges de Lagarde, Aux
origines de l'sprit laique, Nauwelaerts, Lovanio 1952-1961 (trad. it. dei primi due volumi: Alle origini dello
spirito laico, Morcelliana, Brescia 1961-1965).
(22) U. Eco, op. cit., p. 358.
(23) Cfr. Georges Bataille, Le lacrime di Eros, trad. it., Arcana, Roma 1979, pp. 113-118, a cui corrisponde U.
Eco, op. cit., p. 67.
(24) Cfr. Roger Peyrefitte, Le chiavi di San Pietro, trad. it., Longanesi, Milano 1968, pp. 26-27, a cui
corrisponde U. Eco, op. cit., pp. 425-427. Sull'argomento cfr. l'indagine di uno scienziato contemporaneo,
agnostico, Pier Luigi Baima Bollone, L'impronta di Dio. Alla ricerca delle reliquie di Cristo, Mondadori, Milano
1985, da cui si ricava che molte reliquie della Passione, affrettatamente giudicate false da una scienza imbevuta
di pregiudizi anticattolici, sono probabilmente vere.
(25) In senso debole: scoprire le tesi nascoste non poi cos difficile.
(26) Henri de Lubac, La posterit spirituale di Gioachino da Fiore, 2 voll., trad. it., Jaca Book, Milano 1981-
1984. Il tema delle eresie percorre quasi tutte le opere di Ernst Bloch: cfr., in particolare, il suo Ateismo nel
cristianesimo. Per la religione dell'Esodo e del Regno, trad. it., Feltrinelli, Milano 1971.
(27) Il nome della rosa giunge in un momento propizio, che vede la rinascita di un certo gioachimismo
speculativo presso teologi che rivalutano Gioachino da Fiore e - sulla scia delle discussioni intorno all'opera di
Erik Peterson Il monoteismo come problema politico (trad. it., Queriniana, Brescia 1983) - vedono nel progresso
verso forme democratiche una affermazione del principio trinitario contro un "monoteismo" che trascriverebbe
l'idea di un Dio monarchico, non trinitario, in un ideale politico autocratico. Una sintesi delle posizioni di questa
recente corrente teologica si pu trovare in Bruno Forte, Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizione
Paoline, Torino 1985. Per la rivalutazione di Gioachino da Fiore, che "ha saputo pensare storicamente la Trinit e
trinitariamente la storia", cfr. ibid., pp. 81-87.
(28) U. Eco, op. cit., pp. 205-209.
(29) "Gnostiche" sono le interpretazioni del gioachimismo proposte da Ernst Bloch anche secondo H. de Lubac
(op. cit., vol. II, p. 418), che ne segnala peraltro l'infedelt rispetto alle intenzioni originarie di Gioachino da
Fiore. Ma sembra al lettore dell'opera di H. de Lubac che il pensiero del monaco calabrese non possa avere esiti
storici se non a condizione di essere "tradito", e dunque celi gi in s stesso almeno una sostanziale ambiguit.
(30) U. Eco, op. cit., pp. 496 e 503.
(31) Cos scrive una delle maggiori medieviste viventi, Rgine Pernoud, James Bond va in monastero, in 30
Giorni, anno V, n. 1, gennaio 1987, p. 65.
(32) Giovanni Paolo II, Enciclica Dominum et vivificantem, del 18-5-1986, n. 56.

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