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PREMESSA
In un mondo che si va facendo sempre pi "piccolo", la questione dell'incontro tra le religioni e le
culture divenuto un tema urgente, che riguarda non solo la teologia. Il problema della compatibilita
delle culture e della pace tra le religioni diventato anche un tema politico di prim'ordine. Ma sono
innanzitutto le religioni che si devono chiedere se esse siano in pace l'una con l'altra e se siano in grado
di offrire il loro contributo all"'educazione alla pace del genere umano". La fede cristiana partico-
larmente interessata da questa problematica, perch, in ragione della sua origine e della sua natura,
avanza la pretesa di conoscere e annunciare l'unico vero Dio e l'unico Salvatore di tutti gli uomini. In
nessun altro c' salvezza; non vi infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo
essere salvati (At 4,12), disse Pietro ai capi e agli anziani del popolo di Israele.
Oggi questa pretesa d'assolutezza ancora sostenibile? Come si rapporta con la ricerca della pace tra le
religioni e le culture?
Quando la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblic nel 2000 la dichiarazione "Dominus
Jesus", Sull'unicit e l'universalit salvifica di Ges Cristo e della Chiesa, un grido di indignazione
attravers la nostra societ, ma anche grandi culture non-cristiane come quella dell'India: un
documento di un'intolleranza e di un'arroganza religiosa che non dovrebbero pi avere alcuno spazio
nel mondo di oggi, si disse. Un cattolico avrebbe potuto solo proporre con tutta umilt la domanda che
Martin Buber pose una volta a un ateo: E se fosse vero?.
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
Come si vede, dietro a tutti i vari problemi, l'autentico problema quello della verit. Si pu conoscere
la verit? O il problema della verit nell'ambito della religione e della fede puramente e
semplicemente inappropriato? Ma, allora, che cosa significa la fede, che cosa significa positivamente la
religione se non pu entrare in rapporto con la verit?
Piano piano si sono cos sviluppate diverse fasi di un dibattito nel quale, nell'ultimo decennio, sono
stato tirato in ballo per svariati motivi.
Anzitutto si dovrebbe cercare di comprendere che cosa sia la cultura e come le culture possano porsi
l'una rispetto all'altra. Si dovrebbe poi prendere in considerazione il fenomeno religione come tale,
evitando di partire da una massa indistinta di "religioni". Prima di formulare giudizi si dovrebbe ancora
cercare di comprendere le religioni in se stesse, nel loro sviluppo storico, nelle loro strutture e tipologie
essenziali, nella loro possibile solidariet cos come nella loro incombente ostilit. Andrebbe inoltre po-
sta la questione di fondo dell'uomo, di che cosa egli sia, di come possa divenire se stesso o invece
perdersi. E da ultimo sarebbe indispensabile cimentarsi con l'interrogativo se l'uomo sia creato per la
verit e in qual modo possa, e debba, porsi il problema della verit.
Ne emerge un programma vasto, al quale un piccolo libro, formatosi pi che altro a partire da
circostanze casuali, pu offrire un contributo assai modesto. Quando ho preso in esame le mie
conferenze degli ultimi dieci anni sul tema, ho visto che, da punti di partenza diversi, aveva preso
comunque forma qualcosa (molto frammentario e imperfetto, certo) che poteva costituire pur sempre
un in-
PREMESSA
tervento non del tutto inutile su una grande questione che ci tocca profondamente. Cos ho deciso di
presentare in questo libro la raccolta dei miei testi dell'ultimo decennio - a eccezione del primo
contributo, pubblicato gi nel 1964 -, che hanno per tema la fede, la religione, la cultura, la verit e la
tolleranza e di proporli alla discussione. Spero che un'opera del genere, pur con tutti i suoi limiti, possa
tuttavia riuscire d'aiuto ad affrontare una questione che riguarda tutti.
Roma, nella festa della Trasfigurazione di Cristo 2002
JOSEPH Cardinal RATZINGER
CAPITOLO I
UNIT E MOLTEPLICIT
DELLE RELIGIONI
IL POSTO DELLA FEDE CRISTIANA NELLA STORIA DELLE RELIGIONI
OSSERVAZIONE PRELIMINARE
Ho scritto questo contributo nel 1963 per la Miscellanea per il sessantesimo compleanno d Karl
Rahner, pubblicata nel 19641; stato ristampato poi in un volume, edito a cura di uno dei miei studenti
per il mio settantesimo compleanno, nel quale si offriva una rassegna delle mie opere .
Dal 1955 al 1963, nel quadro dei miei corsi di teologia fondamentale a Freising e a Bonn avevo
insegnato anche filosofia della religione e storia delle religioni e avevo scoperto l'importanza del tema
delle religioni. Nel 1964, quando apparve il contributo, il Concilio si trovava al suo acme; i grandi
dibattiti sulla Chiesa, sulla rivelazione, su Chiesa e mondo dominavano la produzione teologica. Il tema
delle religioni stava ancora in qualche misura al margine. Nel Concilio ha trovato un posto piuttosto
accidentale e marginale, se visto in termini quantitativi, nel
Goti in Welt. Festgabe fiir Karl Rahner zum 60. Geburtstag, a cura di H. Vorgrim-ler, Freiburg i. Br.
1964, II, pp. 287-305 (tr. it. La fede cristiana e le religioni del mondo, in Orizzonti attuali della
teologia, Roma 1967, II, pp. 319-347).
J. RATZINGER, Vom Wiederauffinden der Mille. Grundorientierungen, Freiburg i. Br. 1997, pp. 60-82.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
decreto Nostra aetate, pubblicato il 28 ottobre 1965. Originariamente, se ben rammento, si era pensato
solo a una dichiarazione sul rapporto tra Chiesa ed Ebrei, che appariva necessaria a causa dei
drammatici eventi accaduti al tempo del nazismo. A tema doveva essere una nuova riflessione sul
rapporto dei cristiani col popolo ebreo. I Cristiani d'Oriente, ritenendo che le esperienze storiche
dell'Occidente non li riguardassero, pensavano per che una dichiarazione del genere si poteva
giustificare solo se vi fosse stata collegata anche una parola sull'isiam. Dopo questo ampliamento
dell'orizzonte tematico, risult naturale parlare del mondo delle religioni non cristiane nel complesso.
Un decreto nato piuttosto casualmente, in seguito si sarebbe rivelato particolarmente profetico.
Mi sembrava opportuno rendere omaggio a Karl Rah-ner, in occasione del suo compleanno, con un
contributo su un tema che solo allora si stava gradualmente facendo largo nella coscienza teologica. Il
grande teologo, infatti, nel quinto volume dei suoi Scritti (1962), aveva inserito un saggio pubblicato
per la prima volta nel 1961, dal titolo Das Christentum una die nichtchristlichen Religionen (Cristiane-
simo e religioni non cristiane), nel quale richiamava l'attenzione sul fatto che, in una situazione in cui
ogni popolo e ogni ambito culturale divengono momento interno ad ogni altro popolo e ad ogni altro
ambito culturale, anche ogni religione esistente nel mondo era divenuta, a suo avviso, un problema e
una possibilit per ogni persona. Questo contributo, in cui Rahner coni il concetto di "cristiani
anonimi" come parola-chiave della sua risposta alla sfida delle religioni, poi divenuto il punto di
partenza di un dibattito talvolta acceso. Quel che egli intendeva con
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
quel concetto, lo sintetizz cos alla fine del suo articolo: Pu sembrare presuntuoso al non cristiano
che il cristiano valuti quel che salvo e santamente salvato* in cia-scun uomo come frutto della grazia
del suo Cristo e come cristianesimo anonimo, e consideri il non cristiano come cristiano non ancora
giunto in modo riflesso a cogliere se stesso. Ma il cristiano non pu rinunciare a questa "pretesa" (p.
158).
Con questa tesi io non ero d'accordo, ma comunque mi pareva sconveniente mettermi a discuterla in
una Miscellanea a lui3 dedicata: mi sembr pi giusto anzitutto allargare la questione da cui muovere
per poter condurre un dialogo con le religioni. Rahner aveva dato per scontato che l'unica questione
appropriata per il cristiano, nella riflessione sul fenomeno delle religioni, fosse quella della salvezza dei
non cristiani. A questo si univa un secondo presupposto, che cio, di fronte alla questione della salvez-
za, la differenza fra le varie religioni in ultima analisi fosse irrilevante. Questi due presupposti sono
rimasti determinanti per l'intero dibattito successivo. Anche i tre orientamenti di fondo su cui oggi si
discute quando si tratta di cristianesimo e religioni - esclusivismo, inclusivismo, pluralismo - risentono
di questa impostazione. Le religioni, in fondo, sono sempre trattate come massa indistinta, considerate
sempre sotto il profilo della possibilit di salvezza. La mia opinione, dopo gli anni dedicati allo studio
della
In tedesco v' un gioco di parole (das Heile und geheiligt Geheilte) di difficile resa in italiano.
Ho sviluppato questa posizione critica pi tardi - in relazione al Grundkurs des Gtaubens. Einfuhrung
in den Begriff des Christentums, Freiburg i. Br. 1976 (tr. it. Corso fondamentale sulla fede.
Introduzione al concetto di cristianesimo, Torino 19905) - nella mia opera: Theologische
Prinzipienlehre, Miinchen 1982, pp. 169-179 (tr. it. "Salvezza e storia", inj. RATZINGER, Elementi di
teologia fondamentale, Brescia 1986, pp. 97-120).
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
storia delle religioni, era che simili qualificazioni teologiche delle religioni dovessero essere precedute
da una ricerca fenomenologica non impegnata in primo luogo a valutare il valore sub specie
aeternitatis delle religioni e che perci evitasse di accollarsi un problema sul quale propriamente pu
decidere solo il Giudice del mondo. Ero del parere che in primo luogo si dovesse cercare di avere una
visione panoramica delle religioni nella loro struttura storica e spirituale. Mi sembrava che non si
dovesse discutere su di un non meglio definito (e praticamente neanche analizzato) insieme di
"religioni", ma che si dovesse in primo luogo cercare di vedere se vi siano stati sviluppi storici comuni
e se si possano riconoscere tipi fondamentali, sui quali semmai compiere poi delle valutazioni; infine
che occorresse indagare su come si rapportano tra loro questi tipi fondamentali e se ci pongano di
fronte ad alternative che potrebbero poi diventare oggetto di riflessioni e scelte filosofiche e teologiche.
Su questo problema gi allora c'era una ricca bibliografa, poich, a prescindere dalla teologia, la
scienza delle religioni, dal secolo XIX, aveva lavorato intensamente in quel campo. Ci che ha
direttamente contribuito al formarsi del mio pensiero entrato a far parte delle note di questo
contributo. Non mi sembrato giusto aggiornare questi dati bibliografici, che oggi possono dare l'im-
pressione di essere un po' datati, perch le bibliografe non sono diffcili da reperire. In realt bastava e
basta soltanto nominare gli autori dai quali ho imparato; solo in singoli punti, laddove poteva essere
realmente utile, ho fatto qualche piccola integrazione.
Nell'introduzione che allora avevo premesso al mio articolo, descrivevo cos il suo intento e i suoi
limiti: Que-
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
sto contributo non intende delineare una specie di "teologia della storia delle religioni", ma vorrebbe
unicamente abbozzare un lavoro previo, per definire con maggior precisione la posizione del
cristianesimo nella storia delle religioni e cos conferire di nuovo un senso pi concreto alle
enunciazioni teologiche sull'unicit e assolutezza del cristianesimo, ovvero essere l'occasione per
elaborare di nuovo il loro intrinseco valore teologico sulla base del loro significato concreto. Poich
questo intento mi sembra tuttora significativo, e poich la maggior parte del lavoro resta pur sempre da
fare, mi parso conveniente inserire il contributo in questo volume.
1. Posizione del problema
In fondo la fede cristiana ha gi da tempo formulato la posizione che assegna a se stessa nella storia
delle religioni: essa vede in Cristo l'unica salvezza reale e perci definitiva dell'uomo. Nei riguardi
delle altre religioni, dunque, possibile un duplice atteggiamento (cos sembra): ci si pu riferire ad
esse come prov-visorie (vor-laufi^ e dunque pre-corritrici (vor-luferiscfy rispetto al cristianesimo,
valutandole positivamente, in certo senso, nella misura, cio, in cui si possono inquadrare nell'attitudine
del pre-cursore (Vor-laufer). Naturalmente le si pu anche concepire come ci che insufficiente,
contrario a Cristo, contrapposto alla verit, qualcosa che fa credere all'uomo di offrire salvezza senza
mai poterla dare.
Il primo atteggiamento, nei confronti della fede di Israele, vale a dire della religione dell'Antico
Testamento, 2 tracciato esemplarmente da Cristo stesso. Solo in tempi recenti stato messo in rilievo
chiaramente e insistente-
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mente che questo atteggiamento pu aver luogo in certo senso anche nei confronti di tutte le altre
religioni. Effettivamente si pu dire che il racconto della stipulazione dell'alleanza con No (Gn 8,20-
9,17) conferma la verit nascosta delle religioni mitiche. Nel ciclico "nascere e morire" del cosmo si
compie l'opera del Dio fedele, che legato da alleanza non solo con Abramo e la sua discendenza, ma
con tutti gli uomini4. E i Magi non sono forse pervenuti a Cristo (Mt 2,1-23) in virt della stella, vale a
dire tramite la loro "superstizione", tramite la loro religione (seppure soltanto mediante la deviazione
che passava per Gerusalemme, per gli scritti dell'Antico Testamento)? La loro religione non si
inginocchiata, per cos dire, davanti a Cristo, non si dimostrata tale da pre-correre, anzi da ac-correre
a Cristo? In tale contesto sembra quasi un luogo comune citare una volta di pi il discorso
dell'Areopago (At 12,22-32), tanto pi che la reazione degli ascoltatori, con il loro atteggiamento di
rifiuto di fronte al messaggio sul Risorto, sembra piuttosto smentire la teologia ottimistica di questo
discorso. Palesemente la religione delle persone l lusingate non converge verso Ges di Nazareth.
L'opposizione, alla quale essa invece spinge, richiama cos alla memoria l'altro aspetto - che
senz'altro molto pi evidente - della concezione biblica delle religioni "delle genti", presente fin
dall'inizio nella linea profetica: quella dura critica agli idoli bugiardi, che spesso, nella sua inesorabilit,
quasi non si distingue dal piatto razionalismo dell'illuminista (cfr., per esempio, Is 44,6-20). Un'analisi
particolareggiata dei dati biblici, d'altra parte, supererebbe l'intento di questo saggio;
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Cfr. J. DANILOU, Saggio sul mistero della storia (tr. iL, Brescia 19782, pp. 27ss.).
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
gi il poco che s' detto pu per bastare a confermare che si possono ritrovare nella Sacra Scrittura
entrambi gli atteggiamenti citati all'inizio nei riguardi delle religioni delle genti: tanto il parziale
riconoscimento guidato dall'idea della provvisoriet, quanto la negazione decisa.
La teologia del nostro tempo, come s' detto, ha messo in luce specialmente l'aspetto positivo e, ci
facendo, ha chiarito soprattutto l'estensione del concetto di provvisoriet: anche secoli "dopo Cristo",
cronologicamente parlando, si pu vivere ancora nella storia "avanti Cristo", legittimamente dunque nel
regime prov-visorio5. In sintesi, perci, possiamo dire che il cristianesimo, secondo la sua auto-
comprensione, sta al tempo stesso in un rapporto di "s" e di "no" rispetto alle religioni. Sa, da una
parte, che, se si tiene presente l'alleanza, ad esse congiunto; vive nella convinzione che, come la storia
e il suo mysterium, cos anche il cosmo e il suo mito parlano di Dio e possono condurre a Lui. Conosce
per un altrettanto deciso "no" alle religioni, vede in esse espedienti con cui l'uomo si assicura contro
Dio invece di abbandonarsi alla sua pretesa6. Nella sua teologia della storia delle religioni il cristianesi-
mo non prende affatto partito per l'uomo religioso, per il
K. RAHNER, Schriften, V, pp. 140ss. (tr. it. Cristianesimo e religioni non cristiane, in Saggi di
antropologia soprannaturale, Roma 1965, pp. 536ss.).
Soprattutto la cosiddetta teologia dialettica, sotto l'egida di Karl Barth, ha messo in risalto con grande
decisione questa prospettiva; essa, in rapporto alle religioni, fu approfondita nel modo pi coerente da
H. KRAEMER. ovvio che la sua "Urna grande opera, Religion und christlicher Glaube, Gottingen
1959, sia molto pi differenziata e cauta dei primi lavori. Cfr. le esposizioni equilibrate di H. FRIES,
Re-"gion: Handbuch theologischer Gmndbegriffe, li, pp. 428-441, specialmente pp. 438ss. (tr. rt-
Religione, in Dizionario Teologico, Brescia 1967, III, pp. 91-106; specialmente PP- 102ss.).
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
conservatore, che si attiene alle regole del gioco delle sue istituzioni ereditarie; il "no" cristiano agli di
significa piuttosto un'opzione in favore del ribelle che per amore della coscienza osa evadere dalle
consuetudini. Forse questo tratto rivoluzionario del cristianesimo stato tenuto coperto troppo a lungo
sotto modelli conservatori7.
Senza dubbio qui emergono gi una serie di deduzioni; per il momento le lasciamo da parte, per seguire
la nostra questione passo passo.
Se si presenta all'uomo di oggi la concezione delle altre religioni che il cristianesimo ha sviluppato, e
che ora abbiamo abbozzata, non si meraviglier. Da una parte, per lui un segno di presunzione
riconoscere solo un carattere precorritore alle altre religioni. Dall'altra, il "no" del cristianesimo a
queste religioni gli appare come l'espressione della contesa partigiana fra le diverse religioni, ciascuna
delle quali vuole affermarsi a spese delle altre: inconcepibilmente cieche, non riescono a vedere che in
realt sono una sola e medesima cosa. L'impressione preponderante dell'uomo di oggi quella che tutte
le religioni, pur con una policromia di forme e strutture, in ultima istanza sono e credono le stesse cose;
cosa che tutti notano tranne loro8. Alla pretesa di verit di una determinata
Ho cercato di mostrare nel mio volumetto Die Einheit der Nationen. Eine Vision der Kirchenvter,
Salzburg 1971, specialmente pp. 41-57 (tr. it. L'unit delle nazioni, Brescia 1973, pp. 57-79) come la
Patristica abbia chiaramente avvertito il carattere rivoluzionario del cristianesimo.
L'idea di una unit ultima di tutte le religioni sta sullo sfondo soprattutto delle diverse opere di F.
HEILER; cfr. da ultimo: Die Religionen der Menschheit, Stuttgart 1959, p. 52: Visto che la realt
sperimentata nella religione una sola, in fondo esiste anche una [sola] religione; cfr. pp. 877-889;
ID., Encheinungsformen und Wesen
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
religione, l'uomo contemporaneo molto difficilmente si opporr con un reciso "no"; si limiter soltanto
a relativizza-re la pretesa col dire: vi sono molte religioni9. Dietro c' sempre in qualche modo l'idea
che, entro strutture fungibili, per principio esse sono per uguali: ciascuno abbia dunque la propria.
Se vogliamo cercare di fare emergere quali siano le poche certezze caratteristiche di tale disposizione
spirituale corrente, potremmo dire: il concetto di religione che ha l'"uomo di oggi" (mi si consenta di
mantenere questa real-fiction) statico, di solito egli non contempla la possibilit del passaggio da una
religione all'altra, ma si aspetta che ciascuno rimanga nella propria e che la viva nella coscienza che,
nel suo nucleo spirituale, essa senz'altro identica a tutte le altre. Esiste dunque una specie di co-
smopolitismo religioso, che non esclude, ma include l'appartenenza a una determinata "provincia
religiosa", che non desidera un cambiamento della "cittadinanza" religiosa tranne che per singoli casi
esemplari; in ogni caso solleva una pesante riserva di fronte all'idea di missione, in fondo la rifiuta.
Una seconda cosa traspare in quanto s' detto. Il concetto di religione dell'uomo di oggi caratterizzato
dal simbolismo e dallo spiritualismo. La religione appare come un cosmo di simboli, che, pur in
presenza di un'ultima unit del linguaggio simbolico dell'umanit (che sia la psicologia sia la scienza
delle religioni oggi fanno risal-
der Religion, Stuttgart 1961. Un atteggiamento simile si trova in H. N. SFALDINO, The Divine
Universe, Oxford 1958.
Questo il titolo di un volumetto di J. THOM, che si occupa del problema dell'assolutezza del
cristianesimo.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
tare sempre pi chiaramente10), nei particolari differiscono in molti modi, ma intendono comunque tutti
la stessa cosa e dovrebbero solo cominciare a scoprire la loro profonda unit. Appena ci avvenisse,
l'unit delle religioni si realizzerebbe senza eliminare la loro pluralit: questa l'illusione piena di
promesse che, proprio persone religiosamente sensibili, oggi hanno davanti a s come unica reale
speranza per il futuro.
Finora nessuno stato in grado di proporre alla nostra generazione l'immagine di una religione
dell'avvenire (che a sua volta pu creare un "avvenire della religione"), in modo pi efficace, pi
convincente, pi caldo del presidente della Repubblica indiana Radhakrishnan, le cui opere finiscono
sempre per parlare di una imminente religione dello spirito, che coniugher in s un'unit di fondo con
una molteplice differenziazione . Di fronte a tali affermazioni proferite con atteggiamento profetico, la
cui portata umana e religiosa non si pu misconoscere, il teologo cristiano sembra un dogmatico fermo
al passato che non
Sono impressionanti in proposito soprattutto i lavori raccolti negli annuari Eranos; poi le varie
ricerche di M. ELIADE, specialmente // sacro e il profano, tr. it, Torino 1943; inoltre la sua grande
opera della maturit Storia delle credenze e delle idee religiose (tr. it. I, II e III, Firenze 1979, 1980 e
1989); ancora il volume a cura di C. LANCZKOWSKI Quellentexte, Freiburg i. Br. 1981. importante
la grande opera di P. RECH, Inbild des Kosmos. Bine Symbolik der Schopfiing, 2 voli., Salzburg 1966.
In questo contesto J. DANILOU richiama l'attenzione sull'opera di Rene Gunon che dominata
interamente dall'idea del simbolo (op. cit., pp. 134-158, pi precisamente pp. 143-158).
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Cfr. particolarmente le sue opere: The Hindu View of Life, 1926; Eastern Reli-gions and Western
Thought, 1939 (tr. it. Religioni orientali e pensiero occidentale, Milano 1966); Religion and Society,
1947; Recovery of Faith, 1956. Per la discussione con Radhakrishnan specialmente P. HACKER, Ein
Prasthnatraya-Kommentar des Neuhinduis-mus. Bemerkungen zum Werk Radhakrishnans, in OLZ
56 (1961), pp. 565-576; in forma divulgativa J. NEUNER, Gesprch mit Radhakrishnan, in StdZ 87
(1962), pp. 241-254. Vedi anche le opere di A. C. BOUQUET e di S. NEILL, come pure H.
KRAEMER, Religion und christlicher Glaube, Gttingen 1959, pp. 95-134.
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
riesce a liberarsi della sua arroganza, che la esprima con le maniere forti dei vecchi apologeti o con
quelle cortesi dei teologi odierni, i quali attestano all'altro quanto di cristiano egli inconsciamente gi
possiede. Tuttavia, se gli sta a cuore l'avvenire della religione, se convinto che il cristianesimo e non
un'indefinita religione dello spirito la religione dell'avvenire, il teologo cristiano si sentir spronato
nel continuare ad indagare ed a cercare di conoscere pi chiaramente il senso della storia delle religioni
e il posto del cristianesimo in essa.
2. // posto del cristianesimo nella storia delle religioni
La primissima impressione che si impone all'uomo quando incomincia, in materia di religione, a gettare
lo sguardo al di l dei confini della propria, quella di un illimitato pluralismo, di una molteplicit
addirittura opprimente, che a priori fa apparire illusoria la questione della verit. Noi, per, abbiamo
gi accennato al fatto che questa impressione non dura a lungo, ma molto presto cede il passo a
un'altra: quella di una nascosta identit delle aree religiose, che si distinguono certo nei nomi e nelle
immagini di superficie, ma non nei grandi simboli fondamentali e in ci che con essi si intende. In larga
misura questa impressione giusta. Di fatto esiste un'ampia area religiosa nella quale la comunanza
dell"'esperienza spirituale" (per parlare col linguaggio di Radhakrishnan) pi decisiva della diversit
delle forme esterne. In modo esplicito o implicito, tante religioni stanno in quella profonda, reciproca
comunicazione spirituale che nell'antichit si esprimeva nella facilit con cui le divinit potevano
essere scambiate da religione a religione, "tradotte", considerate
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
identiche nel loro significato. La diversit delle religioni assomiglia alla diversit delle lingue, che sono
traducibili l'una nell'altra, perch fanno riferimento alla stessa struttura di pensiero. Un analogo modo
di sentire, seppure di genere non esattamente identico, si manifesta quando religioni asiatiche possono
esistere contemporaneamente l'una nell'altra, quando per esempio una persona pu essere nello stesso
tempo buddhista e confuciana, buddhista e scintoista.
Come abbiamo detto, dall'impressione di piena pluralit, che per cos dire rappresenta un primo stadio
della riflessione, si sviluppa, in un secondo stadio, l'impressione di un'ultima identit. La filosofia
moderna della religione persuasa di poter persino addurre il fondamento di questa nascosta identit.
Secondo la sua concezione, qualsiasi religione, nella misura in cui "autentica", ha il suo punto di
partenza in quella forma d'intima esperienza del divino che i mistici di tutti i tempi e di tutti i luoghi,
uniti in ultima analisi, hanno sempre vissuto e vivono. Ogni religione in fondo poggerebbe
sull'esperienza vissuta del mistico, il quale solo consegue il contatto diretto col divino e poi ne
trasmette la cognizione a quei tanti a cui non dato compiere tale esperienza 12. Di conseguenza, la
religione sussisterebbe nell'umanit in una duplice forma (e solo in una duplice forma): nella forma
diretta della mistica, come religione "di prima mano", e, in secondo luogo, nella forma indiretta della
conoscenza soltanto "mutuata" dal mi-
Cos in modo particolarmente chiaro O. SPANN, Religionsphilosophie auf ge-schichtlicher Grundlage,
Wien 1947. Cfr. sul tema le esposizioni critiche di A. BRUN-NER, Die Religion, Freiburg i. Br. 1956,
pp. 57ss.
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Capitolo i - UNIT E MOLTEPLicrr DELLE RELIGIONI
stico, vale a dire nella forma della fede come rerigionex4-dL seconda mano". La religione fatta di
articoli e di formule dei molti sarebbe pertanto religione di seconda mano, mera partecipazione
all'esperienza vissuta mistica di per s ineffabile, ne sarebbe la traduzione secondaria in un linguaggio
dalle molteplici variazioni formali ma che non ha un significato proprio1 . Questa interpretazione
mistica della religione costituisce chiaramente lo sfondo di quello che prima abbiamo definito il
concetto di religione dell'uomo di oggi, concetto il cui senso e legittimit sta o cade insieme a tale
riduzione della religione alla mistica.
Ora finalmente risulta pi chiaro il punto da cui proseguire nell'indagine teologica, che possiamo ormai
definire in termini concreti come la questione circa il diritto all'in-terpretazione mistica della religione.
Non c' dubbio che tale interpretazione coglie in modo giusto gran parte del fenomeno religioso, non
c' dubbio che - come s' gi detto - esiste una segreta identit nel mondo molteplice delle religioni.
per altrettanto sicuro che essa non coglie l'intera realt, anzi, se lo volesse fare, giungerebbe a una
semplificazione errata. Quando si analizza la storia delle religioni nella sua totalit (nella misura in cui
la conosciamo) si ha l'impressione di una staticit molto minore, ci si imbatte in una imponente
dinamica, propria d'una storia reale (che progresso, non costante ripetizione simbolica dell'uguale); la
semplice in-distinzione a cui conduce l'interpretazione mistica viene meno a favore di uno
La distinzione largamente diffusa tra religioni di prima e di seconda mano sembra sia stata usata per
primi da psicologi americani della religione; cfr. E. BRUNNER, Offmbarung und Vernunft, Darmstadt
19612, p. 280.
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FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Prima
strutturarsi ben definito, che oggi risulta oramai evidente, in cui la via mistica emerge come una via del
tutto particolare tra svariate altre, in un punto assolutamente particolare della storia delle religioni, e
presuppone una intera serie di sviluppi indipendenti da essa.
In primo luogo troviamo sedimentato lo stadio delle antiche religioni (cosiddette primitive), che poi si
sviluppa nello stadio delle religioni mitiche, nelle quali le esperienze sparse dei primordi si raccolgono
in una coerente visione unitaria. Entrambi gli stadi non hanno nulla a che fare con la mistica nel senso
pi stretto, insieme, tuttavia, formano il vasto campo antecedente la storia delle religioni che rimane
costantemente importante come corrente sotterranea dell'intero fenomeno. Se il primo grande passo
della storia delle religioni, dunque, consiste nel passaggio dalle esperienze sparse dei primitivi al mito
in grande stile, il secondo passo, decisivo e tale da determinare l'attuale carattere della religione,
consiste nell'uscita dal mito. Tale passo storicamente si verificato in tre modi:
1. Nella forma della mistica, in cui il mito delude come mera forma simbolica e si rafforza l'assolutezza
dell'ineffabile esperienza vissuta. Di fatto poi la mistica si dimostra custode dei miti, rifonda il mito,
che spiega come simbolo della verit.
2. La seconda forma quella della rivoluzione monotei-stica, la cui forma classica si trova in Israele. In
essa il mito rifiutato come arbitrio umano. Viene affermata 1''assolutezza della chiamata divina
tramite il profeta.
3. Va aggiunto come terza forma V illuminismo (Aufklarung), il cui primo grande momento si verific
in
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Capitolo I - UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
Grecia. In esso il mito come forma di conoscenza prescientifica viene superato e si instaura V
assolutezza della conoscenza razionale. L'elemento religioso diventa privo di significato, al massimo
gli rimane una certa funzione puramente formale di cerimoniale politico (= riferito alla polis).
La terza via si sviluppata pienamente solo nell'epoca moderna, anzi, propriamente, soltanto al
presente e sembra avere ancora un futuro davanti a s. Quel che ha di particolare che non rappresenta
una via all'interno della storia delle religioni, ma vuole piuttosto la fine di essa e desidera condurre
fuori da essa in quanto realt ormai superata. Tuttavia (o proprio per questo) non risulta affatto senza
rapporto con la storia delle religioni; si dovrebbe dire al contrario che per il futuro della religione e
delle sue chances nell'umanit, assumer importanza decisiva il modo in cui la religione sar in grado
di impostare il suo rapporto con questa "terza via". E noto che, nell'epoca della Chiesa antica, il
cristianesimo (la seconda forma nella nostra catalogaziene) era riuscito a legarsi in misura abbastanza
stretta alle forze dell'illuminismo. Oggi il peso di Radhakrishnan e della sua concezione poggia
sicuramente non solo sulla sua forza religiosa, ma sulla sorprendente alleanza con quelle che ora,
mutatis mutandis, potremmo chiamare le forze dell'illuminismo.
Ricapitolando quanto scritto fin qui, constatiamo che non esiste una generica in-distinzione delle
religioni e neppure la loro pluralit senza rapporto, ma si pu delineare una formula strutturale che
abbracci il momento della storicit (del divenire, dello sviluppo), il momento dell'essere
27
Cos la fondamentale unit (bench critica) con la razionalit flosofca, presente nel concetto di Dio, si
conferma e si concretizza ora nell'unit, critica anch'essa, con la morale flosofca. Come nel campo del
religioso il cristianesimo superava i limiti di una saggezza flosofca di scuola proprio per il fatto che il
Dio pensato si lasciava incontrare come un Dio vivente, cos qui ci fu un passaggio dalla teoria etica a
una praxis morale, comunitariamente vissuta e messa in atto, nella quale la prospettiva flosofca era
tradotta e trasposta nell'azione reale, particolarmente grazie alla concentrazione di tutta la morale nel
duplice comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Il cristianesimo, si potrebbe dire
semplificando, convinceva grazie al legame della fede con la ragione e grazie all'orientamento
dell'azione verso la caritas, la cura amorevole dei sofferenti, dei poveri e dei deboli, al di l di ogni
differenza di condizione sociale. Che fosse questa l'intima forza del cristianesimo lo si pu sicuramente
e chiaramente vedere nel modo in cui l'imperatore Giuliano cerc di ristabilire il paganesimo in una
forma rinnovata. Lui, il pontifex maximus della ripristinata religione degli antichi di, si mise ad
istituire, cosa che non era mai esistita prima, una gerarchla pagana fatta di sacerdoti e metropoliti. I
sacerdoti dovevano essere esempi di moralit; dovevano dedicarsi all'amore di Dio (la divinit suprema
tra gli di) e del prossimo. Erano obbligati a compiere atti di carit verso i poveri, non era pi permesso
loro di leggere le commedie licenziose e i romanzi erotici, e dovevano predicare nei giorni di festa su
un argomento flosofco per istruire e formare il popolo. Teresio Bosco dice giustamente, a questo
riguardo, che l'imperatore in questo modo cercava, in realt, non di ristabilire il paganesimo ma di
183
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cristianizzarlo -- in una sintesi tra razionalit e religione, ora delineata come culto degli di 36.
Retrospettivamente, possiamo dire che la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione
mondiale consistita nella sua sintesi fra ragione, fede e vita: precisamente questa sintesi che
raccolta nell'espressione religio vera. E a maggior ragione si impone allora la domanda: perch questa
sintesi non convince pi oggi? Perch la razionalit e il cristianesimo sono, al contrario, considerati
oggi come contraddittori e addirittura reciprocamente escludentisi? Che cosa cambiato nella prima e
che cosa nel secondo?
Un tempo il neoplatonismo, in particolare Porfirio, aveva opposto alla sintesi cristiana un'altra
interpretazione del rapporto tra filosofia e religione, una interpretazione che intendeva essere una
rifondazione filosofica della religione politeista. Quella a cui si rifece Giuliano l'Apostata e che fall.
Oggi tuttavia proprio questo modo di armonizzare la religione e la razionalit che sembra imporsi
come la forma di religiosit pi adatta alla coscienza moderna.
Porfirio formula cos la sua prima idea fondamentale: Latet orane veruni1 la verit nascosta.
Ricordiamoci della parabola dell'elefante, contrassegnata proprio da questa concezione, in cui
buddhismo e neoplatonismo si incontrano, in base alla quale non c' alcuna certezza sulla verit, su
Dio, ma solo opinioni. Nella crisi di
T. BOSCO, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, Torino 1995, pp. 206ss.
17
Citato in MACROBIO, Somn. 1,3,18; 1,12,9. Cfr. C. GNILKA, Chrsis. Die Me-thode der
Kirchenvter im Umgang mit der antiken Kultur, II. Kultur und Convenion, Ba-sel 1993, p. 23.
184
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Roma del tardo IV secolo, il senatore Simmaco l'opposto di Varrone e della sua teoria della religione
-ha riportato la concezione neoplatonica ad alcune formule semplici e pragmatiche, che possiamo
trovare nel discorso tenuto nel 384 davanti all'imperatore Valentiniano II, in difesa del paganesimo e in
favore della ricollocazione della dea Vittoria nel Senato di Roma. Cito solo la frase decisiva divenuta
celebre: la medesima cosa quella che noi tutti veneriamo, una sola quella che pensiamo,
contempliamo le stesse stelle, uno solo il ciclo che sta sopra di noi, lo stesso il mondo che ci circon-
da: che cosa importano i diversi tipi di saggezza attraverso i quali ciascuno cerca la verit? Non si pu
arrivare a un mistero tanto grande attraverso un'unica via .
E esattamente ci che sostiene oggi la razionalit: la verit in quanto tale non la conosciamo; con le
immagini pi diverse, in fondo, intendiamo la medesima cosa. Mistero cos grande, il divino non pu
essere ridotto a una sola immagine che escluda tutte le altre, a un'unica via che vincolerebbe tutti. Vi
sono molte vie, vi sono molte immagini, tutte riflettono qualche cosa del Tutto e nessuna di loro il
Tutto. L?ethos della tolleranza appartiene a chi riconosce in ciascuna di esse un frammento di verit, a
chi non pone ci che gli proprio pi in alto di ci che gli estraneo, e si inserisce con disposizione
pacifica nella sinfonia polimorfa dell'eternamente inaccessibile, che si vela dietro a simboli, i quali
nondimeno sembrano l'unica nostra possibilit di arrivare in una certa maniera al divino.
38
Citato secondo C. GNILKA, op. di. Questo studioso offre alle pp. 19-26 un'analisi a fondo del testo.
185
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
La rivendicazione del cristianesimo di essere la religio vera sarebbe dunque superata dal progresso
della razionalit? Il cristianesimo dunque costretto ad abbassare le sue pretese e a inserirsi nella
visione neoplatonica o buddhista o ind della verit e del simbolo, a contentarsi, come aveva proposto
Ernst Troeltsch, di mostrare della faccia di Dio la parte rivolta verso l'Europa? Si deve forse andare
oltre Troeltsch, che considerava ancora il cristianesimo la religione adatta all'Europa, tenendo conto del
fatto che oggi l'Europa stessa dubita che sia adatta? Questa la vera domanda alla quale oggi la Chiesa
e la teologia devono far fronte. Tutte le crisi all'interno del cristianesimo che osserviamo ai giorni nostri
si basano solo del tutto secondariamente su problemi istituzionali. I problemi delle istituzioni cos come
delle persone, nella Chiesa, derivano in ultima istanza dal potente impatto di questa questione. Nessuno
si aspetter, alla fine del secondo millennio cristiano, che questa provocazione radicale trovi, anche
solo lontanamente, risposta definitiva in una conferenza. Non pu assolutamente trovare risposte
puramente teoriche, cos come la religione, in quanto atteggiamento supremo dell'uomo, non mai solo
teoria. Esige quella combinazione di pensiero e di azione, su cui era fondata la forza persuasiva del
cristianesimo dei Padri.
Ci non significa in nessun modo che ci si possa sottrarre all'urgenza che il problema ha dal punto di
vista intellettuale, rinviando alla necessit del rapporto con la prassi. Cercher, per finire, solo di aprire
una prospettiva che potrebbe indicare la direzione. Avevamo visto che l'originaria unit relazionale,
tuttavia mai completamente incontestata, tra razionalit e fede, alla quale infine Tom-
186
Capitolo II - verit del cristianesimo?
maso d'Aquino aveva dato una forma sistematica, stata lacerata meno dallo sviluppo della fede che
dai nuovi progressi di tale razionalit. Come tappe di questa mutua separazione si potrebbero citare
Descartes, Spinoza, Kant. La nuova ampia sintesi che Hegel tenta non restituisce alla fede il suo posto
flosofico, ma tende a convertirla interamente in ragione ed eliminarla come fede. A questa assolutezza
dello spirito, Marx oppone l'unicit della materia; la filosofa deve allora essere completamente ricon-
dotta alla scienza esatta. Ormai l'esatta conoscenza scientifica la conoscenza toutcourt. Con ci
congedata l'idea del divino.
La profezia di Auguste Comte, il quale disse che un giorno ci sarebbe stata una fsica dell'uomo e che le
grandi domande finora lasciate alla metafisica in futuro sarebbero state trattate positivamente proprio
come tutto ci che gi oggi scienza positiva, ha lasciato un'eco impressionante nel nostro secolo, nelle
scienze umane. La separazione tra la fsica e la metafsica operata dal pensiero cristiano sempre pi
tralasciata. Tutto deve ridi-
r- 39
ventare fisica .
La teoria evoluzionistica si andata cristallizzando come la strada per far sparire definitivamente la
metafsica, per rendere superflua l'ipotesi di Dio (Laplace) e formulare una spiegazione del mondo
rigorosamente "scientifica". Una teoria evoluzionistica che spieghi in modo comprensivo l'insieme di
tutto il reale diventata una specie di "filosofa prima" che rappresenta per cos dire l'autentico
fondamento della comprensione raziona-
w
Su A. Comte cfr. H. DE LUBAC, Le drame de l'humanisme athe, Paris 19832 (tr. it. // dramma
dell'umanesimo ateo, Brescia 1996 ; tr. ted. Uber Goti hinaus. Tragedie des humanistischen Atheismus,
Einsiedeln 1984).
187
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
le40 del mondo. Ogni tentativo di fare entrare in gioco cause diverse da quelle che una teoria "positiva"
elabora, ogni tentativo di "metafisica" appare necessariamente come una ricaduta al di qua della
ragione, come un abbandono della pretesa universale della scienza. In tal modo l'idea cristiana di Dio
necessariamente considerata come non scientifica. A quest'idea non corrisponde pi nessuna theologia
physica: l'unica theologia naturalis , in questa visione, la dottrina evoluzionistica, ed essa non co-
nosce alcun Dio, n alcun Creatore nel senso del cristianesimo (del giudaismo e dell'isiam), e neppure
alcuna anima del mondo o dinamismo intcriore nel senso della Stoa. Eventualmente si potrebbe, in
senso buddhista, considerare il mondo intero come un'apparenza, e il nulla come l'autentica realt, e
giustificare in questo senso forme mistiche di religione che siano almeno non in diretta concorrenza
con la razionalit.
detta cos l'ultima parola? La ragione e il cristianesimo sono cos definitivamente separati l'una
dall'altro? Comunque stiano le cose, non v' strada che possa passar oltre la discussione sulla portata
della dottrina evoluzionistica come filosofa prima e l'esclusivit del metodo positivo come unico tipo
di scienza e razionalit. Occorre che questa discussione venga affrontata da entrambe le parti con
serenit e disponibilit ad ascoltare, cosa che finora accaduta solo in scarsa misura. Nessuno potrebbe
Rimane classico per questo tentativo J. MONOD, Le hasard et la necessiti, Paris 1976 (tr. it. // caso e
la necessit, Milano 1974; tr. ted. Zufoli und Notwendig-keit, Miinchen 1971). Per il dibattito sull'intero
gruppo di problemi, cfr. R. CHAN-DEBOIS, Pour en finir amo le Darwinisme. Une nauseile logique
du vivant, Montpellier 1993.
188
Capitolo II - verit del cristianesimo?
mettere seriamente in dubbio le prove scientifiche dei processi microevolutivi. Reinhard Junker e
Sieghfried Scherer dicono a questo proposito nel loro Kritisches Leh-rbuch sull'evoluzione: Tali
fenomeni [i processi microevolutivi] sono ben conosciuti a partire dai processi naturali di variazione e
di formazione. Il loro esame per mezzo della biologia evolutiva ha portato a conoscenze significative a
proposito della capacit di adattamento dei sistemi viventi, che appare geniale 41. Dicono in questo
senso che si pu a ragione caratterizzare la ricerca sull'origine come la disciplina regina della biologia.
La domanda che un credente pu porsi di fronte alla ragione moderna non su questo, ma sul fatto che
arriva ad essere una philosophia universalis che ambisce a diventare una spiegazione generale del reale
e tende a non consentire pi nessun altro livello di pensiero. Nella stessa dottrina evoluzionistica il
problema si presenta quando si passa dalla micro alla macroevoluzione, passaggio a proposito del quale
Eors Szathmary e Maynard Smith, entrambi convinti sostenitori di una elaborata teoria evoluzionistica,
ammettono anch'essi: Non ci sono motivi teorici che lascino pensare che delle linee evolutive
aumentino in complessit col tempo; non ci sono neanche prove empi-riche che ci avvenga 42.
L'interrogativo che ora bisogna porre va pi in profondit: si tratta di sapere se la dottrina
evoluzionistica pu presentarsi come una teoria universale di tutto il reale, al di l della quale le
ulteriori domande sull'origine e
p. 5.
42
R. JUNKER, S. SCHERER, Evolution. Ein kritisches Lesebuch, GieBen 19853,
E. SZATHMARY, M. SMITH, The mayor evolutionary transitions, in Nature 374, pp. 227-232;
citato secondo R. JUNKER, S. SCHERER, op. cit., p. 5.
189
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
la natura delle cose non siano pi lecite n necessarie, o se domande ultime del genere non superino
comunque il campo della pura ricerca scientifico-naturale. Vorrei porre la domanda in modo ancora pi
concreto; dice veramente tutto una risposta come quella che troviamo, per esempio, nella seguente
formulazione di Popper: La vita, come noi la conosciamo, consiste di "corpi" fisici (meglio: di
processi e strutture) che risolvono problemi. Questo le diverse specie hanno "imparato" tramite la
selezione naturale, cio tramite il metodo di riproduzione pi variazione; metodo che, da parte sua, fu
imparato secondo lo stesso metodo. una regressione, ma non infinita...?43 Non credo proprio. In fin
dei conti si tratta di un'alternativa che non si pu pi risolvere n semplicemente a livello delle scienze
naturali e in fondo neanche della filosofia. Si tratta di sapere se la ragione, o il razionale, si trova o no
al principio di tutte le cose e a loro fondamento. Si tratta di sapere se il reale nato sulla base del caso e
della necessit (o, con Popper, d'accordo con Butler, del luck and cunning [caso fortunato e previ-
sione])44, e quindi da ci che senza ragione; se, in altri termini, la ragione un casuale prodotto
secondario dell'irrazionale, insignificante, alla fine, nell'oceano dell'irrazionale, o se resta vera quella
che la convinzione fondamentale della fede cristiana e della sua filosofia: In principio erat Verbum -
al principio di tutte le cose c' la forza creatrice della ragione. La fede cristiana oggi come ieri
l'opzione per la priorit della ragione e del ra-
13
K. POPPER, Ausgangspunkte. Meine intellektuelle Enlwicklung (dall'ingl.), Hamburg 1979, p. 260.
44
K. POPPER, op. cit., p. 262.
190
Capitolo II - verit del cristianesimo?
zionale. Questo problema ultimo non pu pi, come gi si detto, essere risolto tramite argomenti tratti
dalle scienze naturali, e il pensiero filosofico stesso qui giunge al suo limite. In questo senso non si pu
fornire alcuna prova ultima dell'opzione cristiana fondamentale. Ma la ragione pu davvero, senza
rinnegare se stessa, rinunciare alla priorit del razionale sull'irrazionale, al Lgos come principio
primo? Il modello di spiegazione offerto da Popper, che con diverse varianti si trova in altre presen-
tazioni della "filosofa prima", dimostra che la ragione non pu che pensare anche l'irrazionale secondo
la sua misura, e quindi razionalmente (risolvere problemi, apprendere metodi!), ristabilendo cos
implicitamente proprio il primato contestato della ragione. Con la sua opzione a favore del primato
della ragione, il cristianesimo resta ancor oggi "razionalit", e penso che una razionalit che si sbarazzi
di questa opzione significherebbe per forza, contrariamente a tutte le apparenze, non un'evoluzione ma
un'involuzione della razionalit.
Abbiamo visto prima che nella concezione del cristianesimo primitivo le nozioni di natura, uomo, Dio,
ethos e religione erano indissolubilmente connesse l'una all'altra e che proprio quel nesso aveva aiutato
il cristianesimo, nella crisi degli di e nella crisi dell'antica razionalit, ad essere pensiero. L'orientarsi
della religione verso una visione razionale del reale, V ethos come parte di questa visione e la sua
applicazione concreta sotto il primato dell'amore, si legavano l'uno all'altro. Il primato del Logos e il
primato dell'amore si rivelavano identici. Il Logos non appariva pi solo come ragione matematica alla
base di tutte le cose ma come amore creatore fino al punto di diventare com-passione verso la creatura.
La dimensione
191
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cosmica della religione che venera il Creatore nella potenza dell'essere, e la sua dimensione
esistenziale, la questione della redenzione, si compenetravano e diventavano una cosa sola. Di fatto,
una spiegazione del reale che non pu fondare un ethos in modo sensato e comprensivo resta
necessariamente insufficiente. Ora, un fatto che la teoria evoluzionistica, l dove si accinge ad
allargarsi in philosophia universalis, tenta di fondare un nuovo ethos sulla base dell'evoluzione. Ma
questo ethos evoluzionistico, che trova ineluttabilmente la sua nozione chiave nel modello della
selezione, e quindi nella lotta per la sopravvivenza, nella vittoria del pi forte, nell'adattamento riuscito,
ha poco di consolante da offrire. Anche l dove si cerchi di abbellirlo in vari modi, resta alla fine un
ethos crudele. Lo sforzo per distillare il razionale a partire da una realt praticamente priva di
razionalit fallisce qui in modo lampante. Tutto ci serve a ben poco per quello di cui abbiamo
bisogno: un'etica della pace universale, dell'amore concreto del prossimo e del necessario andare oltre
il particolare.
Il tentativo di ridare, in questa crisi dell'umanit, un senso comprensibile alla nozione di cristianesimo
come religio vera deve, per cos dire, puntare ugualmente sul-l'ortoprassi e sull'ortodossia. Al livello
pi profondo il suo contenuto dovr consistere, oggi - come sempre, in ultima analisi -, nel fatto che
l'amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera
l'amore e l'amore la ragione vera. Nella loro unit essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il
reale.
192
III
FEDE, VERIT E CULTURA
RIFLESSIONI IN COLLEGAMENTO CON L'ENCICLICA FIDES ET RATIO
Di che cosa si tratta propriamente nella Lettera enciclica Fides et Ratio? essa un documento
unicamente per specialisti, un tentativo di ristabilire dalla prospettiva cristiana una disciplina caduta in
crisi, la filosofia, e quindi interessante solo per i filosofi, o pone un problema, che riguarda noi tutti? Si
pu formulare anche diversamente: la fede ha realmente bisogno della filosofa, o la fede, che secondo
un'espressione di sant'Ambrogio fu trasmessa a pescatori e non a dialettici, interamente indipendente
dall'esistenza o non esistenza di una filosofa aperta verso la fede? Se si considera la filosofa soltanto
come una disciplina accademica tra le altre, allora di fatto la fede ne indipendente. Il Papa tuttavia
intende la filosofa in un senso molto pi ampio e molto pi conforme all'origine d'esso. Il suo
problema se l'uomo possa conoscere la verit, le verit fondamentali su se stesso, sulla sua prove-
nienza e il suo futuro, o se viva in un crepuscolo che impossibile illuminare e debba in ultima analisi
necessariamente ridursi alla questione dell'utile. la peculiarit della fede cristiana nel mondo delle
religioni l'affermare di dirci la verit intorno a Dio, al mondo e all'uomo e di rivendicare d'essere la
religio vera, la religione della verit. Io sono la via, la verit e la vita, in questa frase di Cristo tratta
dal Vangelo di Giovanni (Gv 14,6) espressa la rivendicazione fondamentale della fede cristiana. Su di
essa si base la tendenza missionaria della fede: solo se la
193
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
fede cristiana verit, concerne tutti gli uomini; se essa meramente una variante culturale delle
esperienze religiose dell'uomo, cifrate nei simboli e mai decifrabili, deve per necessit rimanere entro
la sua cultura e lasciare le altre nelle loro.
Ma ci significa che il problema della verit quello essenziale della fede cristiana in assoluto, e in
questo senso essa ha ineludibilmente a che fare con la filosofa. Se dovessi caratterizzare brevemente
l'intento determinante dell'Enciclica, direi che essa vorrebbe riabilitare il problema della verit in un
mondo contrassegnato dal relativismo; vorrebbe anche far valere di nuovo come compito razionale e
scientifico il problema della verit, nella situazione della scienza contemporanea che cerca s delle veri-
t, ma squalifica in ampia misura come non scientifica appunto tale questione. L'Enciclica vorrebbe
molto semplicemente ridare il coraggio di affrontare l'avventura della verit. In tal modo essa parla
largamente oltre lo spazio della fede, ma anche al centro del mondo della fede.
1. Le parole, la Parola e la verit
Come non sia moderno oggi interrogarsi sulla verit, l'ha presentato spiritosamente lo scrittore e
filosofo C. S. Lewis in un libro di successo apparso per la prima volta negli anni Quaranta, The
Screwtape Letters (Le lettere di Berlicche]. Si tratta di un piccolo libro che mette in luce i problemi e i
pericoli dell'uomo moderno in modo spiritoso ed ironico sotto la forma di immaginarie lettere di un
diavolo di grado pi elevato, che ad un principiante nell'opera di seduzione dell'uomo trasmette
istruzioni, su come
194
Capitolo II - verit del cristianesimo?
egli debba ben comportarsi. Il piccolo diavolo aveva espresso preoccupazioni al suo superiore per il
fatto che proprio persone particolarmente intelligenti leggessero i libri della sapienza degli antichi ed in
tal modo potessero mettersi sulle tracce della verit. Berlicche lo tranquillizza, ricordandogli che
l'approccio storico, al quale fortemente gli studiosi del mondo occidentale sono stati convinti dagli
spiriti infernali, significa appunto questo, che l'unico problema, che con sicurezza non si porr mai,
quello della verit di quanto si letto; ci si interrogher invece su influssi e dipendenze, sullo sviluppo
dello scrittore interessato, sulla storia degli effetti della sua opera e cos via '. Jo-sef Pieper, che nel
suo trattato sull'interpretazione ha ripreso questo brano di C. S. Lewis, ricorda al riguardo che le
edizioni, ad esempio di Piatone o di Dante, stampate nei paesi dominati dal comunismo, facevano
precedere sistematicamente alle opere stampate un'introduzione, che aveva l'intenzione di fornire al
lettore una comprensione "storica" e cos escludere la questione della verit 46. Una scientificit
esercitata in tal modo diviene un'immunizzazione nei confronti della verit. La domanda se e quanto
ci che l'autore esprime sia vero, sarebbe una domanda non scientifica; condurrebbe anzi fuori
dall'ambito del documentabile e del dimostrabile, facendo ricadere nell'ingenuit del mondo precritico.
In tal modo viene neutralizzata anche la lettura della Bibbia: possiamo spiegare quando e in quali
condizioni una frase ha avuto origine e l'abbia-
45
C. S. LEWIS, The Screwtape Letters, London 196515, pp. 139ss. Qui la citazione tratta da J.
PlEPER, Was heifit Interpretation? in ID., Schriften zum Philosophiebegriff, in Werke, III, a cura di B.
Wald, Hamburg 1995, pp. 226ss. (tr. it. Lettere di Berlicche, Milano 1979).
Ivi, p. 227.
195
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
mo cos incasellata nell'ambito storico, che in ultima analisi non ci riguarda. Dietro questa forma di
"interpretazione storica" sta una filosofa, un atteggiamento di principio nei confronti della realt, che
ci dice: non ha senso interrogarsi su ci che ; possiamo solo domandarci che cosa possiamo fare con le
cose. Non in questione la verit, ma la prassi, il dominio delle cose a nostra utilit. Nei confronti di
una simile limitazione apparentemente evidente del pensiero umano sorge per l'interrogativo: che cosa
veramente ci utile? E per quale fine ci utile? Per quale scopo noi stessi esistiamo? A chi osserva con
attenzione, si manifestano in questo atteggiamento moderno contemporaneamente una falsa umilt e un
falso orgoglio: la falsa umilt, che non riconosce all'uomo la capacit di verit, e il falso orgoglio, con
il quale egli si colloca al di sopra delle cose, al di sopra della verit stessa, in quanto eleva a fine di
tutto il suo pensiero l'ampliamento del suo potere, il dominio delle cose. Quel che in Lewis appare nella
forma dell'ironia, lo possiamo trovare presentato scientificamente nella scienza della letteratura. In essa
il problema della verit congedato in termini del tutto espliciti, come non scientifico. L'esegeta
tedesco Marius Reiser ha recentemente rimandato all'espressione di Umberto Eco nel suo romanzo di
successo // nome della rosa, in cui dice: L'unica verit significa: liberarsi dalla morbosa passione per
la verit47. Il fondamento essenziale di questo inequivocabile rifiuto della verit consiste in quello che
oggi si chiama "svolta linguistica": al di l del linguaggio e delle sue immagini non si pu, secondo lui,
ritornare; la ragione
47
M. REISER, Bibel und Kirche. Eine Antwort an U. Luz, in TThZ 108 (1999), pp. 62-81; a questo
proposito, p. 72; U. ECO, // nome della Rosa, Milano 1980 (tr. ted. Der Nume der Rose, Miinchen
1982, p. 624).
196
Capitolo II - verit del cristianesimo?
condizionata linguisticamente e legata da vincoli linguistici48. Gi nell'anno 1901 F. Mauthner aveva
coniato la frase: Quanto per si chiama il pensare, solo vacuo linguaggio . M. Reiser in tale
contesto parla della rinuncia alla convinzione che con mezzi linguistici ci si possa riferire a quel
che extralinguistico . L'importante esege-ta protestante U. Luz constata - interamente nel senso di
quanto avevamo udito all'inizio da Berlicche - che la critica storica nell'epoca moderna ha abdicato di
fronte al problema della verit. Egli si crede obbligato ad accogliere questa capitolazione e ad
ammettere che oggi non si pu pi trovare la verit al di l dei testi, ma solo proposte e offerte di verit
concorrenti, che si devono presentare nel discorso pubblico sulla piazza del mercato delle
Weltanschauungen .
Chi riflette su queste vedute, si sentir rammentare quasi irresistibilmente un passo profondo dal Fedro
di Piatone. Socrate vi racconta a Fedro una storia che avrebbe udita dagli antichi i quali avevano
scienza del vero. Una volta Thot, il padre delle lettere alfabetiche e il dio del tempo, sarebbe
andato dal re egizio Thamus. Egli avrebbe istruito il sovrano su diverse arti inventate da lui e cos
particolarmente anche sull'arte dello scrivere da lui escogi-
M. REISER, op. cit., p. 63 con rimando a O. TRACY, Theologie ah Gesprch. Eine postmoderne
Hermeneutik, Mainz 1993, pp. 73-97.
49
F. MAUTHNER, Beitrge zii einer Kritik der Sprache, 3 voli., Stuttgart 1901-1902, 19232, ristampa
Frankfurt 1982, citazione al voi. Ili, p. 635. Cfr. M. REISER, op. cit., p. 73.
>0
M. reiser, op. cit., pp. 73ss.
51
Cfr. M. REISER, op. di. p. 631, U. Luz, Kann die Bibel heute nodi Grundlage fur die Kirche sein?
Uber die Aufgabe der Exegese in einer religios pluralistischen Ge-sellschafi, in NTS 44 (1998), pp.
317-339.
197
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
tata. Esaltando la sua invenzione, avrebbe detto al re: Questa conoscenza, o re, render gli egiziani pi
sapienti e capaci di ricordi, perch stata inventata quale ausilio per il ricordo cos come per la
sapienza. Ma il re non si lascia impressionare. Egli prevede come conseguenza dell'abilit nella
scrittura il contrario. Questo produrr oblio [...] nelle anime per la trascuranza dell'esercizio del ricor-
do, in quanto esse ora affidandosi allo scritto proveniente dall'esterno [...] attingono il ricordo non
dall'interno, da se stesse. Non per il ricordo, ma per l'annotazione tu hai inventato un mezzo, e ai tuoi
discepoli tu procuri solo l'apparenza della sapienza, non la realt in se. Poich essi sono uditori di molte
cose, senza ammaestramento, e cos penseranno di essere persone di molto sapere, l dove tuttavia in
segreto non sanno nulla e sono gente con cui diffcile trattare, in quanto sono saggi in apparenza, non
sapienti52. Chi oggi pensa come programmi televisivi inondino l'uomo con un profluvio di
informazioni, e in questo modo lo facciano una persona dal sapere apparente; chi pensa alle vaste
possibilit del computer e di internet, che per esempio consentono a chi ricerca d'avere sotto mano
subito tutti i testi di un Padre della Chiesa riferiti a una parola, senza per essere penetrato nel suo
pensiero, non riterr esagerati questi ammonimenti. Piatone non rifiuta la scrittura come tale, come noi
non ricusiamo le nuove possibilit dell'informazione e ne facciamo perci uso con gratitudine; ma egli
innalza un segnale d'allarme, la cui seriet viene documentata quotidianamente attraverso le
conseguenze della svolta linguistica cos come molte al-
52
Fedro nn. 274 d - 275 b. Cfr. in proposito H. SCHADE, Lamm Gottes und Zei-chen des Widders,
Freiburg i. Br. 1928, pp. 27s.
198
Capitolo II - verit del cristianesimo?
tre circostanze comuni a noi tutti. H. Schade rileva il nocciolo di quel che Piatone ha da dirci con
questo testo: il sopravvento di un metodo filologico e la perdita di realt che con esso procede,
quello da cui Piatone mette in
j. 53
guardia .
Dove la scrittura, lo scritto diventa la barriera contro il contenuto, divenuta essa stessa l'antiarte, che
non rende l'uomo pi sapiente, ma lo relega in una malata sapienza apparente. A. Kreiner osserva
quindi a ragione in rapporto alla svolta linguistica: la rinuncia alla convinzione di rapportarsi con
mezzi linguistici a contenuti extralinguistici equivale alla rinuncia a un discorso che in qualche modo
sia ancora sensato . Sullo stesso problema il Papa osserva nell'Enciclica quanto segue:
L'interpretazione di questa parola (= della parola di Dio) non pu solo rimandarci da interpretazione a
interpretazione, senza portarci ad attingere un'enunciazione semplicemente vera . L'uomo non
imprigionato nel salotto a specchi delle interpretazioni; egli pu e deve cercare la breccia per giungere
al reale, che sta dietro le parole e che gli si mostra nelle e attraverso le parole.
Qui siamo giunti al punto centrale del dibattito tra la fede cristiana e un determinato tipo di cultura
moderna, che vorrebbe farsi passare volentieri come la cultura moderna in assoluto, ma grazie a Dio ne
solo una variante. Ci per esempio risulter molto evidente nella critica che
53
H. schade, op. di, p. 27.
54
A. KREINER, Ende der Wahrheit?, Freiburg i. Br. 1992, p. 116, la citazione tratta da M. REISER,
op. cit., p. 74.
N. 84.
199
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
il filosofo italiano Paolo Flores d'Arcais ha esercitato nei riguardi dell'Enciclica. Appunto perch essa
insiste sul problema della verit, egli dichiara: la dottrina ufficiale cattolica (appunto questa
dell'Enciclica) non ha pi nulla da dire alla "cultura tout court"56. E questa "cultura tout court" non
allora piuttosto un'anticultura? E questa presunzione d'essere la cultura in senso assoluto, non allora
una presunzione arrogante, che disprezza le persone?
Che sia in questione precisamente questo punto si pu scorgere quando Flores d'Arcais rinfaccia
all'Enciclica conseguenze micidiali per la democrazia e identifica la sua dottrina con il tipo d'isiam
fondamentalistico. Per lui ne motivo il fatto che il Papa ha designato leggi che permettono l'aborto
e l'eutanasia come destituite di autentica valenza giuridica". Chi si pone in questo modo contro un
parlamento eletto e cerca di esercitare un potere civile con rivendicazioni ecclesiastiche, mostra, a suo
avviso, che nel suo pensiero rimane essenzialmente l'impronta in filigrana d'un dogmatismo cattolico.
Tali affermazioni presuppongono che non si possa dare alcun'altra
3(1
P. FLORES D'ARCAIS, Die Frage ist die Antwort. Zur Emyklika Fides et Ratio, in FAZ,
2.3.1999, n. 51, p. 47.
' Nei nn. 68-74 dell'enciclica Evangelium vitae il Papa si confronta, con argomentazione approfondita,
con la tesi che la legislazione di una societ debba limitarsi a registrare le opinioni della maggioranza e
a recepirle: la coscienza morale privata e l'ordinamento pubblico si dovrebbero separare rigorosamente
(n. 69). A questo il Papa contrappone la concezione che la democrazia non potrebbe essere il surrogato
della morale; il valore della democrazia - cos egli dice - sta e cade con i valori che essa incarna (n. 70).
Questi sviluppi fondamentali sui princpi della dottrina dello Stato non si possono mettere da parte con
la qualificazione sprezzante di "fondamentalismo"; essi meritano almeno un rinnovato dibattito. Mi sa
consentito in tale contesto di rinviare anche al mio libro Wendeyit fir Europa?, Einsiedeln -Freiburg i.
Br. 1991.
200
Capitolo II - verit del cristianesimo?
visione superiore alle decisioni di una maggioranza. La maggioranza accidentale diventa un che di
assoluto. Poich ora l'Assoluto, l'Ineludibile ritorna a esistere. Siamo esposti alla signoria del
positivismo e all'assolutizzazione dell'accidentale, anzi di quanto manipolabile. Se l'uomo escluso
dalla verit, allora ormai solo il casuale, l'arbitrario, a dominare su di lui. Perci non "fondamenta-
listico", ma un dovere deW humanitas difendere l'uomo dall'accidentale o casuale fattosi assoluto e
restituirgli la sua dignit, che consiste proprio nell'impossibilit in ultima analisi, da parte di qualsiasi
istanza umana, di dominare su di lui, poich egli aperto alla verit stessa. L'Enciclica appunto nel suo
insistere sulla attitudine alla verit un'apologi sommamente necessaria della grandezza dell'uomo
contro quello che vorrebbe farsi passare per "la cultura tout court".
Naturalmente difficile, dato il canone dei metodi che oggi si imposto come "filigrana della
scientificit", procurare di nuovo un ingresso al problema della verit nel pubblico dibattito. Pertanto
necessaria una discussione condotta a fondo sull'essenza della scienza, severit e metodo, sul mandato
della filosofa e sui suoi itinerari possibili. Il Papa non ha considerato suo compito nell'Enciclica
affrontare il problema totalmente pratico, interrogandosi se e come la verit possa tornare a essere
"scientifica". Ma egli mostra perch dobbiamo accingerci a questo compito. Non voleva svolgere lui
stesso il compito dei filosofi, ma ha attuato quello della protesta ammonitrice, il quale si contrappone
alla tendenza distruttiva della "cultura tout court". Proprio questa protesta in tono di monito un atto
autenticamente filosofico, rende presente l'origine socratica
201
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
della filosofia e in tal modo dimostra la potenza filosofca che si trova nella fede biblica. L'essenza
della filosofa contraddetta da un tipo di scientificit che le interdice o le rende impossibile il
problema della verit. Tale autochiusura, tale rimpicciolimento della ragione non possono essere il
criterio della filosofa, e non lecito che la scienza nel suo complesso finisca col rendere impossibili i
problemi pi veri dell'uomo, senza i quali essa stessa rimarrebbe un'occupazione vacua e, in ultima
istanza, pericolosa. Non pu essere compito della filosofia assoggettarsi a un canone metodologico, che
ha diritto di esistere in singoli settori del pensiero; suo compito dev'essere proprio quello di riflettere
sulla scientificit nel suo insieme, coglierne criticamente l'essenza e al tempo stesso trascenderla, in un
modo di cui possa razionalmente rispondere, in direzione di quanto le conferisca in assoluto un senso.
La filosofia deve sempre indagare sull'uomo stesso, e quindi deve sempre compiere ricerche su vita e
morte, Dio ed eternit. A tal fine, certo si servir oggi in primissima istanza di un'aporia di quel genere
di scientificit, che taglia fuori l'uomo da tali problemi e, movendo da queste aporie, che la nostra
societ precisamente ci mette sott'oc-chio, tenter di riaprire la strada verso quanto necessario
(Notwendig), che rovescia la condizione di angustia e angoscia (Noi - Wendend). Nella storia della
filosofa dell'et moderna non sono mancati tentativi del genere e anche attualmente vi sono sufficienti
spunti incoraggianti per aprire di nuovo la porta verso il problema della verit, per uscire dal linguaggio
che gira su se stesso58. In questo
Da questo punto di vista l'enumerazione dei nomi offerta dall'Enciclica nel n. 71 senza dubbio riuscita
troppo modesta. Basta ricordare nel nostro secolo l'importanza della scuola fenomenologica - da E.
Husserl a M. Scheler - e la grande
202
Capitolo II - verit del cristianesimo?
senso l'appello dell'Enciclica assume senza dubbio un atteggiamento di critica culturale contro la nostra
attuale situazione culturale, ma simultaneamente si trova in un'unit profonda con elementi essenziali
della lotta spirituale dell'epoca moderna. Non mai anacronistica la fiducia di cercare e trovare la
verit: essa appunto quello che mantiene l'uomo nella sua dignit, spezza i particolarismi e conduce
gli uomini gli uni verso gli altri al di l dei confini tra culture in virt della loro comune dignit.
2. Cultura e verit
a) Sull'essenza della cultura.
Ci su cui finora abbiamo riflettuto si potrebbe designare come la controversia tra la fede cristiana che
trova espressione nell'Enciclica e un determinato tipo di cultura moderna, disputa durante la quale il
lato tecnico-scientifico della cultura nelle nostre considerazioni rimasto escluso. La nostra attenzione
era diretta agli aspetti della nostra cultura riguardanti le scienze dello spirito. Non sarebbe diffcile
mostrare che la sua confusione e perplessit di fronte alla questione della verit, perplessit che nel
frattempo si mutata addirittura in collera contro di essa, in ultima analisi si basa sul suo desiderio di
conseguire lo stesso canone metodologico e lo stesso tipo di sicurezza quale si da nell'ambito empirico.
La limitazione metodologica della scienza naturale a quanto controllabile sperimentalmente diviene
addirittura dimostrazione di scientif-
corrente del personalismo con nomi come F. Ebner, E. Mounier, G. Marcel o grandi pensatori ebrei
come Bergson, Buber e Lvinas, per vedere che la filosofia nel senso inteso dall'Enciclica ancor oggi
possibile e reale in una pluralit di configurazioni.
203
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
cita, anzi di razionalit in assoluto. La rinuncia metodica, che nel quadro della scienza empirica
sensata, anzi necessaria, si fa cos una barriera contro la questione della verit. In fondo si tratta del
problema "verit e metodo", dell'universalit di un canone metodologico rigorosamente empirico. Il
Papa, opponendovisi, tutela la molteplicit degli itinerari dello spirito umano, l'ampiezza della
razionalit, che, a seconda della modalit dell'oggetto, deve conoscere anche differenti metodi. Quanto
non materiale non pu essere affrontato con metodi conformi a quel che materiale, cos si potrebbe
sintetizzare un po' grossolanamente la protesta del Papa contro una forma unilaterale di razionalit.
La disputa con la cultura moderna circa verit e metodo l'unico filone fondamentale nel tessuto della
nostra Enciclica. Ma il problema verit e cultura si propone sotto un altro aspetto ancora, che rinvia
essenzialmente alla sfera religiosa in senso vero e proprio. Alla rivendicazione di universalit di quanto
cristiano, che si basa sull'universalit della verit, viene oggi volentieri contrapposta la pluralit delle
culture. Il tema risuona gi nel XVIII secolo in Gotthold Ephraim Lessing, che presenta le tre grandi
religioni nella parabola dei tre anelli, uno dei quali dovrebbe essere quello autentico e vero, ma
l'autenticit non si pu pi accertare. La questione della verit insolubile e viene sostituita col
problema dell'effetto risanatore e purificatore della religione. All'inizio del nostro secolo [il XX, n.d.t]
Ernest Troeltsch ha poi espressamente tematiz-zato la questione "religione e cultura", "verit e cultura".
Se all'inizio egli presentava ancora il cristianesimo come la comune rivelazione della religiosit
personalistica,
204
Capitolo II - verit del cristianesimo?
come l'unica perfetta rottura rispetto ai limiti e alle condizioni della religione naturale, nel corso del
suo cammino di pensiero la definizione culturale della religione si sempre pi sovrapposta allo
sguardo diretto da lui alla verit e ha assoggettato tutte le religioni a una relativit delle culture. La
validit del cristianesimo diventa per lui alla fine una "faccenda europea". Per lui il cristianesimo il
tipo della religione adeguato all'Europa, mentre ora riconosce al buddhismo e al bramanesimo
un'"assoluta autonomia". La questione della verit praticamente congedata, i limiti delle culture sono
divenuti invalicabili59.
Un'Enciclica, che tutta ordinata all'avventura delle verit, doveva perci porre anche il problema di
verit e cultura. Doveva ricercare se vi possa essere in genere una comunione delle culture nella verit
una - se la verit, superando le sue forme culturali, sia in grado di enunciare se stessa per tutti gli
uomini o se, in ultima analisi, la si possa sempre presagire solo asintoticamente dietro forme culturali
diverse o persino opposte.
A un concetto statico di cultura, che ne presuppone forme fisse, che in ultima istanza rimangono
costanti e sono solo giustapposte tra loro, n possono trapassare le une nelle altre, nell'Enciclica il Papa
contrappone un modo dinamico e comunicativo di intendere la cultura. Egli sottolinea che le culture
quando sono profondamente radicate nell'umano, [...] portano in s la testimonianza della tipica
apertura dell'uomo, all'universale e alla trascendenza 60. Perci le cultu-
Cfr. in proposito H. BURKLE, Der Mensch auf der Suche nach Goti - die Frage der Religione^
Lehrbiicher zur katholischen Theologie III, Paderborn 1996, pp. 60-67.
60
N. 70.
205
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
re quale espressione dell'unica essenza dell'uomo sono caratterizzate dalla dinamica dell'uomo, che
trascende tutti i limiti. Le culture pertanto non sono fissate una volta per sempre a una struttura, ma
hanno la capacit di progredire e di trasformarsi, col pericolo tuttavia anche di decadere. Esse sono
impostate per l'incontro e la fecondazione reciproca. Poich l'apertura interiore dell'uomo a Dio da loro
un'impronta tanto pi profonda, quanto pi grandi e pure esse sono, proprio per questo in esse iscritta
l'interiore disponibilit alla Rivelazione di Dio. Essa non per loro nulla di estraneo, ma risponde a
un'intima attesa delle culture stesse. In tale contesto Theodor Haecker ha parlato del carattere
d'Avvento delle culture precristiane61, e nel frattempo molteplici ricerche di storia delle religioni hanno
anche potuto mostrare molto chiaramente questo dirigersi delle culture verso il Logos di Dio, che si
fatto carne in Ges Cristo''2. In tale contesto il Papa prende spunto dall'elenco dei popoli del racconto
della Pentecoste negli Atti degli Apostoli (At 2,7-11), che ci narra come la testimonianza per Cristo
divenga percepibile attraverso ed entro tutte le lingue, vale a dire tutte le culture che si presentano in
esse. In tutte la parola umana diviene veicolo della parola propria di Dio, del suo proprio Logos.
L'Enciclica dice in proposito: L'annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli
desti-natari l'adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identit culturale. Ci
non crea divisione alcuna, perch il popolo dei battezzati si distingue per una universalit che sa
accogliere ogni cultura63.
61
T. HAECKER, Vergil. Valer des Abendlandes, Miinchen 19175, per esempio pp. 117ss. (tr. it. Virgilio.
Padre dell'Occidente, Brescia 1935).
62
Cfr. per esempio H. BURKLE, op. rii, pp. 14-40.
63
N. 71.
206
Capitolo II - verit del cristianesimo?
Da queste premesse, il Papa sviluppa, con funzione di modelli per il rapporto generale della fede
cristiana con le culture precristiane sull'esempio di quella indiana, criteri che devono essere osservati
nell'incontro di queste culture con la fede. Egli rimanda anzitutto molto brevemente al grande slancio
spirituale del pensiero indiano, che lotta per conquistare la libert dello spirito dalle condizioni spa-
ziotemporali e cos pratica l'apertura metafsica dell'uomo, che poi stata strutturata anche
speculativamente in importanti sistemi filosofici64. Con queste indicazioni diviene chiara la tendenza
universale delle grandi culture, il loro trascendere spazio e tempo, e cos anche il loro protendersi ad
attingere l'essere dell'uomo e le sue possibilit pi grandi. In ci consiste la capacit di dialogo delle
culture tra loro, in questo caso tra quella indiana e le culture cresciute sul suolo della fede cristiana. In
tal modo, per cos dire dal contatto intimo con la cultura indiana, risulta da s il primo criterio: esso
consiste nell'universalit dello spirito umano le cui esigenze fondamentali si ritrovano identiche nelle
culture pi diverse65. Ne segue contemporaneamente un secondo criterio: quando la Chiesa entra in
contatto con grandi culture precedentemente non raggiunte, non pu lasciarsi alle spalle ci che ha
acquisito dall'inculturazione nel mondo greco-latino. Rifiutare una simile eredit sarebbe andare contro
il disegno provvidenziale di Dio66. Infine l'Enciclica cita un terzo criterio, che consegue alle riflessioni
svolte fino a questo punto sull'essenza della cultura. Ci si deve guardare: dal confondere
64 (ili Cfr. ivi, n. 72.
65 Ivi, n. 72.
66 Ivi, n. 72.
207
abbiamo ripetutamente incontrato da diversi lati: a questo punto possono essere d'aiuto le seguenti
indicazioni.
Gi nella Bibbia stessa viene rielaborato un patrimonio di pensiero religioso e filosofico pluralistico
derivante da diversi mondi culturali. La Parola di Dio si sviluppa nel contesto di una serie di incontri
con la ricerca da parte dell'uomo di una risposta alle sue domande ultime. Non caduta direttamente
dal cielo, ma addirittura una sintesi delle culture. A uno sguardo pi profondo per possibile
riconoscere un processo, nel quale Dio lotta con l'uomo e lo apre lentamente alla sua parola pi
profonda, a se stesso: al Figlio, che il Logos. La Bibbia non semplicemente espressione della cultura
del popolo di Israele, ma si trova costantemente in conflitto con la tendenza, del tutto naturale, di
questo popolo ad essere semplicemente se stesso, a "domiciliarsi" nella sua propria cultura. La fede in
Dio ed il "s" alla volont di Dio gli viene costantemente strappato contro le sue proprie concezioni e
desideri. Si pone continuamente contro la religiosit propria di Israele e la cultura religiosa propria
d'esso, la quale voleva esprimersi nel culto delle alture, nel culto della Regina del cielo, nella
rivendicazione di potere per il proprio regno. Cominciando dall'ira di Dio e di Mos contro il culto del
vitello d'oro al Sinai fino ai profeti del tardo post-esilio, si tratta sempre del fatto che Israele viene
strappato alla sua propria identit culturale ed ai suoi desideri religiosi, che deve per cos dire
abbandonare il culto della propria nazionalit, del "sangue e del suolo", per piegarsi al totalmente Altro,
al Dio che non gli appartiene, che ha creato il cielo e la terra ed il Dio di tutti i popoli. La fede di
Israele significa un autosuperamento della propria cultura per aprirsi ed entrare nella vastit della ve-
209
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
rit comune a tutti. I libri dell'Antico Testamento possono apparire sotto molti aspetti meno pii, meno
poetici, meno ispirati che non significativi passi dei libri sacri di altri popoli. Ma la loro originalit
risiede in questo carattere conflittuale della fede contro ci che proprio, in questo uscire da quanto
proprio, che comincia con il pellegrinaggio di Abramo. L'uscita dalla Legge, che Paolo raggiunge
lottando a partire dal suo incontro con Ges Cristo risorto, porta questo orientamento di fondo
dell'Antico Testamento al suo fine logico: esso esprime pienamente l'u-niversalizzazione di questa fede,
che viene staccata dalla particolarit di un ordinamento etnico. Ora tutti i popoli sono invitati ad entrare
in questo processo di superamento della particolarit, che ha avuto inizio innanzitutto in Israele, a
rivolgersi a quel Dio, che da parte sua si oltrepassato in Ges Cristo ed ha infranto il muro
dell'inimicizia che era fra noi (./"2,14) e ci conduce l'uno verso l'altro nell'espropriazione di s
compiuta sulla croce. La fede in Ges Cristo pertanto di sua natura un continuo aprirsi, irruzione
(Einbruch) di Dio nel mondo umano e aprirsi (AufbrucKj dell'uomo in risposta a Dio, che nello stesso
tempo conduce gli uomini l'uno verso l'altro. Tutto quanto ci appartiene ora appartiene a tutti, e tutto
ci che degli altri diviene allo stesso tempo anche nostro, questa totalit indicata dalla parola del
Padre al figlio maggiore: Tutto ci che mio tuo (Le 15,31), che ritorna nella preghiera sacerdotale
di Ges come parola del Figlio al Padre: Tutto ci che mio tuo, e tutto ci che tuo mio (Gv
17,10).
Questo modello fondamentale determina anche l'incontro del messaggio cristiano con la cultura greca,
che in
210
Capitolo II - verit del cristianesimo?
realt non ha inizio solo con la missione cristiana, ma si era sviluppato gi all'interno delle Scritture
dell'Antico Testamento, soprattutto attraverso la sua traduzione in greco e a partire da questa nel
periodo del primo giudaismo. Questo incontro fu possibile, perch nel frattempo nel mondo greco si era
fatto strada un simile processo di autosuperamento. I Padri non hanno semplicemente fuso nel Vangelo
una cultura greca autonoma ed a s stante. Essi poterono riprendere il dialogo con la filosofia greca e
renderla strumento del Vangelo, dal momento che nel mondo greco in virt della ricerca di Dio si era
messa in moto una autocritica della propria cultura e del proprio pensiero. La fede ha avvicinato i
diversi popoli - cominciando con i Germani e gli Slavi, che vennero in contatto con il messaggio
cristiano al tempo delle grandi migrazioni dei popoli, per giungere fino ai popoli dell'Asia, dell'Africa,
dell'America - non alla cultura greca in quanto tale, ma al suo autosuperamento che fu il vero punto
d'aggancio per l'interpretazione del messaggio cristiano. A partire da questa apertura, la fede ha attirato
la cultura greca sempre pi in una dinamica dell'autosuperamento. Richard Schffler recentemente ha
detto al riguardo con molta acutezza che la predicazione cristiana fin all'inizio esige dai popoli
dell'Europa (che per altro come tale non esisteva prima della missione cristiana), l'abbandono [...] di
ogni Dio autoctono degli Europei, molto prima che apparissero sulla loro scena le culture
extraeuropee68. A partire di qui si pu comprendere perch l'annuncio cristiano cerca un collegamento
con la filosofa, e non con le
R. SCHFFLER, Ent-europaisierung des Christianismus', in Theologie und Glau-be 88 (1990), pp.
121-131.
211
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
religioni. Dove quest'ultimo collegamento fu tentato, dove ad esempio si volle interpretare Cristo come
il vero Dio-niso, Asclepio o Eracle, tali tentativi sono stati presto considerati come sorpassati . Non si
cercato un collegamento con le religioni, ma con le filosofe, appunto per il fatto che non si
canonizzata una cultura, ma si potuto penetrare al suo interno, l dove essa aveva cominciato ad
uscire da se stessa, si era messa in cammino per aprirsi alla verit comune a tutti ed aveva abbandonato
dietro di se la chiusura entro la sua particolarit. Ci anche oggi un'indicazione fondamentale per il
problema dei contatti e del trapasso ad altri popoli e culture. Sicuramente la fede non pu stringere
legami con filosofie che escludono la questione della verit, ma certo lo pu fare con quei movimenti
che si sforzano di uscire dalla prigione relativistica. Certamente essa non pu riallacciarsi in termini
diretti alle antiche religioni. Certo tuttavia le religioni possono offrire forme e strutture, - ma soprattutto
atteggiamenti -il timore reverenziale, l'umilt, la disponibilit al sacrifcio, la bont, l'amore del
prossimo, la speranza nella vita eterna70. Mi sembra - sia detto di passaggio - che questo sia importante
anche per la questione del significato salvifico delle religioni. Esse sono salvifche non per cos dire in
quanto sistemi chiusi e per la loro fedelt al sistema, ma contribuiscono alla salvezza, l dove
conducono l'uomo, a cercare il volto di Dio (come si esprime l'Antico Testamento), a cercare il
regno di Dio e la sua giustizia.
69
Cfr. R. SCHFFLER, op. di, p. 123.
'" Sono presentati in modo molto appropriato questi nessi-accettazione e trazione, discernimento e
rifiuto in H. BRKLE, op. di, (vedi nota 15),
sformazione, d pp. 18-40.
212
Capitolo II - verit del cristianesimo?
3. Religione, verit e salvezza
Mi si consenta a questo punto di fermarmi ancora brevemente, perch esso tocca una questione di
fondo dell'esistenza umana, che a buon diritto rappresenta anche uno tra i principali problemi nel
dibattito teologico contemporaneo. Infatti, in realt si tratta del vero e proprio impulso da cui ha preso
le mosse la filosofa, e a cui deve sempre ritornare per necessit; in riferimento a esso, filosofa e
teologia entrano necessariamente in contatto, se rimangono fedeli al loro compito. l'interrogativo:
come diventa integro e salvo (heit) l'uomo? Come diviene giusto? L'epoca antica a questo proposito ha
pensato preminentemente alla morte e a quanto viene dopo di essa; l'epoca contemporanea che
considera l'aldil insicuro, e perci lo estromette in larga misura dai suoi problemi, deve almeno
ricercare la rettitudine o giustizia nel tempo e, ci facendo, non pu lasciar da parte il problema del
modo in cui si possa superare la morte. Nel dibattito sul rapporto tra cristianesimo e religioni del mon-
do per il vero e proprio punto discusso rimasta singolarmente la modalit con cui si rapportano le
religioni con la salvezza eterna. E ora, su questo punto, si imposta abbastanza generalmente la tesi
che le religioni sono tutte vie di salvezza. Forse non la via salvifica ordinaria, ma, in caso affermativo,
"vie di salvezza straordinarie": vale a dire divenuta una visione corrente che attraverso tutte le
religioni si giunge alla salvezza.
Questa risposta non corrisponde soltanto all'idea della tolleranza e del rispetto dell'altro, che oggi ci si
impone. Essa corrisponde anche all'immagine moderna di Dio. Egli non pu respingere persone solo
perch non cono-
213
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
scono il cristianesimo e sono cresciute appunto in altre religioni. Egli accoglier la loro piet religiosa
esattamente come la nostra. Per quanto evidente sia di primo acchito questa tesi, che frattanto stata
consolidata sulla base di molte altre argomentazioni, tuttavia essa suscita problemi. Infatti le singole
religioni esigono non solo cose diverse, ma anche opposte. Considerato l'aumento del numero di
persone prive di vincoli religiosi, nel frattempo questa teoria della salvezza universale viene estesa
anche a forme d'esistenza non religiosa vissuta coerentemente. Allora vale pi che mai la
considerazione per cui anche cose contrad-dittorie possono portare allo stesso fine - in una parola ci
troviamo di nuovo di fronte al problema del relativismo. Tacitamente si presuppone che in fondo tutti i
contenuti siano indifferenti [ugualmente validi, gleich giiltig]. Ci che vale veramente e propriamente
non lo sappiamo. Ciascuno deve percorrere la sua strada - divenire felice a sa fa-fon, come diceva
Federico II di Prussia. Cos, passando per le teorie della salvezza, il relativismo irresistibilmente torna a
introdursi dalla porta di servizio. La questione della verit viene eliminata dal problema delle religioni
e da quello della salvezza. La verit viene sostenuta dalla buona intenzione, la religione rimane
nell'ambito soggettivo, perch quanto oggettivamente buono e vero non si pu riconoscere.
a) La disuguaglianza delle religioni e la minaccia dei pericoli per esse
Dobbiamo accontentarci di questo? L'alternativa tra rigorismo dogmatico e relativismo umanitario
inevitabile? Io penso che, nel caso delle tre teorie appena esposte,
214
Capitolo II - verit del cristianesimo?
non si sia riflettuto bene su tre cose. Anzitutto le religioni (e nel frattempo anche l'agnosticismo e
l'ateismo) sono considerate come omogenee. Ma non cos. Di fatto esistono forme di religione
degenerate e morbose, che non costruiscono l'uomo, ma lo alienano. La critica marxista della religione
non era in tutto e per tutto campata in aria. E anche religioni, alle quali doveroso riconoscere
grandezza morale e di essere sulla via verso la verit, possono, per certi tratti di cammino, ammalarsi.
Nell'induismo (che propriamente un nome collettivo per designare molteplici religioni) vi sono
elementi grandiosi, ma anche aspetti negativi - l'intreccio col sistema delle caste, il rogo delle vedove -
che si erano formati sviluppandosi da rappresentazioni all'inizio simboliche, e ci sarebbero da citare
eccessi dello shaktismo, per dare solo pochi accenni. Ma anche l'isiam con tutto quanto di grande rap-
presenta, continuamente in pericolo di perdere l'equilibrio, di dare spazio alla violenza e di far
scivolare la religione nell'esteriorit e nel ritualismo. E vi sono anche, naturalmente, forme patologiche
di quanto cristiano, come noi sappiamo fin troppo bene - per esempio quando i cavalieri crociati, alla
conquista di Gerusalemme, la Citt Santa, in cui Cristo mor per tutti gli uomini, da parte loro
provocarono un bagno di sangue tra musulmani ed ebrei. Questo significa: la religione esige discerni-
mento, sia tra forme delle religioni, sia all'interno della stessa religione, in direzione della sua altezza
pi vera. Con l'indifferenziazione delle religioni e con l'idea che esse siano tutte s distinguibili, e
tuttavia propriamente uguali, non si avanza. Il relativismo pericoloso, in un senso del tutto concreto -
per la forma d'essere dell'uomo sia a livello di singolo che di comunit. L'abdicazione
215
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
alla verit non salva l'uomo. Nessuno pu fngere di non vedere quanto male si sia compiuto nella
storia nel nome di buone opinioni e intenzioni.
b) La questione della salvezza
Con questo tocchiamo gi il secondo punto, che in genere viene trascurato. Quando si parla del
significato salvifico delle religioni, stupefacente che si pensi per lo pi solo al loro rendere possibile
la via eterna, mentre in tal modo il pensiero vlto alla vita eterna per neutralizzato, poich a essa si
arriva comunque. Con questo procedimento, tuttavia, la questione della salvezza riassunta in modo
inadeguato. Il cielo comincia sulla terra. La salvezza nell'aldil presuppone la vita retta nell'aldi-qua.
Quindi non ci si pu affatto chiedere semplicemente chi vada in cielo e per questa via
contemporaneamente sbarazzarsi della questione del cielo. Ci si deve interrogare su che cosa sia il cielo
e come venga sulla terra. La salvezza nell'aldil deve delinearsi in una forma di vita, che renda l'uomo
quaggi "umano" e perci conforme a Dio. A sua volta, questo significa che, trattando la questione
della salvezza, si deve guardare al di l delle religioni stesse e che al riguardo occorrono criteri di vita
retta, che non possono essere relativizzati ad arbitrio. Direi dunque: la salvezza ha inizio quando
l'uomo diviene giusto in questo mondo, cosa che abbraccia sempre i due poli del singolo e delle
comunit. Vi sono forme di condotta che non possono mai servire al cammino in cui l'uomo diviene
giusto e altre che rientrano sempre nella giustizia o rettitudine dell'uomo. Ci significa che la salvezza
non sta nelle religioni in quanto tali, ma collega-
216
Capitolo II - verit del cristianesimo?
ta con esse, nella misura in cui portano l'uomo al Bene unico, alla ricerca di Dio, alla verit e all'amore.
Pertanto la questione della salvezza reca sempre in s un elemento di critica della religione, come
viceversa questo pu essere collegato positivamente con le religioni. In ogni caso ha a che fare con
l'unit del bene, con l'unit del vero - con l'unit di Dio e dell'uomo.
e) La coscienza morale (Gewisserj e la capacit di verit dell'uomo
Questa affermazione porta al terzo punto, su cui volevo esprimermi qui. L'unit dell'uomo ha un
organo: la coscienza morale. Rappresent l'audacia di san Paolo, l'affermare che tutti gli uomini sono
capaci di ascoltare la coscienza morale, lo staccare cos la questione della salvezza dalla conoscenza e
dall'osservanza della Torah e il metterla in tal modo di fronte all'appello comune della coscienza
morale, in cui parla l'unico Dio, che dice a ogni uomo quanto veramente essenziale della Torah.
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo
legge, sono legge a s stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige scritto nei loro cuori, come
dimostra la testimonianza della loro coscienza (Rm 2,14). Paolo non dice: quando i pagani si
attengono alla loro religione, questa cosa buona davanti al giudizio di Dio. Al contrario, egli
condanna gran parte delle pratiche religiose di quel tempo. Egli rimanda a un'altra fonte - a quanto
iscritto nel cuore di tutti, l'unico Bene dell'unico Dio. Qui per altro oggi si contrappongono due concetti
con-trari di coscienza morale, che per per lo pi vengono
217
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
"incastrati" reciprocamente. Per Paolo la coscienza l'organo mediante il quale traspare il Dio unico in
tutti gli uomini, che sono un solo uomo. Al presente invece la coscienza appare come espressione
dell'assolutezza del soggetto, al di sopra del quale nella sfera morale non vi pu essere alcuna istanza. Il
bene come tale non percepibile. Il Dio unico non percepibile. Per quanto concerne morale e
religione, il soggetto l'ultima istanza. Questo logico, se la verit come tale inaccessibile. Cos nel
concetto di coscienza dell'et moderna, essa la canonizzazione del relativismo, l'impossibilit di
criteri comuni morali e religiosi, mentre, viceversa, per Paolo e per la tradizione cristiana era stata la
garanzia dell'unit dell'uomo e della percepibilit di Dio, del carattere vincolante del bene unico e
uguale71. Che in tutti i tempi vi siano stati e vi siano dei "santi pagani" dipende dal fatto che dappertutto
e in tutti i tempi - seppure spesso solo con fatica e a frammenti poteva essere percepita la sentenza del
"cuore", che la Torah di Dio diviene udibile in noi stessi, nel nostro essere creaturale, e cos possibile
oltrepassare quanto meramente soggettivo, in direzione gli uni degli altri e di Dio. E questa la
salvezza. Per il resto, quel che Dio fa dei miseri frammenti del nostro avvio verso il bene, dirigendoli a
se stesso, rimane il suo mistero che noi non dovremmo presumere di voler c.ontrollare.
n
Mi sia consentito per il problema della coscienza morale di rinviare al mio volumetto, Wahrheit,
Werte, Macht, Freiburg i. Br. 1993, nuova ed. Frankfurt 1999, pp. 25-62.
218
Capitolo II - verit del cristianesimo?
4. Riflessioni conclusive
Alla fine di queste riflessioni vorrei ancora richiamare l'attenzione su una indicazione metodologica,
che il Papa da per il rapporto tra teologia e filosofa, tra fede e ragione, poich per tal via viene
affrontata la questione pratica del modo in cui un rinnovamento del pensiero flosofico e teologico
potrebbe mettersi in moto nel senso dell'Enciclica. Essa parla di un movimento circolare tra teologia
e filosofa e lo intende nel senso che la teologia deve partire sempre dapprima dalla parola di Dio, ma
poich questa parola verit, la metter in rapporto con la ricerca umana della verit, con la lotta della
ragione per la verit e cos la immetter nel dialogo con la filosofia. La ricerca della verit da parte del
credente si svolge di conseguenza in un movimento, nel quale l'ascolto della Parola emanata e la ricerca
in cui si impegna la ragione si incontrano continuamente. Per tale via, da una parte la fede si fa pi
profonda e pura, dall'altra anche il pensiero per riceve arricchimento, poich gli si dischiudono nuovi
orizzonti. Mi sembra che si potrebbe estendere ancora per un tratto ulteriore questo cammino della
circolarit. Anche la filosofa come tale non dovrebbe chiudersi in quanto puramente suo proprio ed
ideato da lei; come essa deve porsi all'ascolto di conoscenze empiriche, che maturano nelle diverse
scienze, cos dovrebbe reputare anche la sacra tradizione delle religioni e particolarmente il messaggio
della Bibbia come una fonte del conoscere, da cui essa consente d'essere fecondata. Di fatto non esiste
una grande filosofa che non abbia ricevuto illuminazioni e indicazioni sul cammino dalla tradizione
religiosa, sia che pensiamo alle filosofe della Grecia e dell'India, sia che ci rivolgiamo alla filosofia,
che si sviluppata all'interno del cristia-
219
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
nesimo, o anche a quelle dell'epoca moderna, che erano convinte dell'autonomia della ragione e la
consideravano il criterio supremo del pensare, ma tuttavia rimanevano debitrici dei grandi motivi del
pensiero offerti dalla fede biblica alla filosofia lungo il suo cammino: Kant, Fichte, Hegel, Schelling
non sarebbero pensabili senza gli apporti della fede e persine Marx, pure in mezzo alla sua radicale
inversione dell'interpretazione, vive tuttavia degli orizzonti della speranza, che aveva assunti dalla
tradizione ebraica. Dove la filosofa interrompe totalmente questo dialogo col pensiero della fede, essa
finisce - come ha formulato una volta Jaspers - in una seriet che diviene vuota . Alla fine essa si
vede poi costretta a rinunciare alla questione della verit, il che significa rinunciare a se stessa. Poich
una filosofa che non indaga pi chiedendosi chi siamo, a quale fine esistiamo, se esistono Dio e una
vita eterna, come filosofa finita.
Da ultimo, pu essere vantaggioso ancora il rinvio a un commento dell'Enciclica, che apparso nel
settimanale tedesco Die Zeit di solito piuttosto lontano dalla Chiesa. Il commentatore, Jan Ross,
coglie con grande precisione il nucleo della lettera papale, quando dice che la detronizza-zione della
teologia e della metafsica ha reso il pensiero non solamente pi libero, ma anche pi ristretto, anzi
egli non ha timore di parlare di istupidimento per incredulit o mancanza di fede (Verdummung
durch Unglaub). Dal momento che la ragione si allontanata dalle que-
72
Citato in J. PlEPER, Die mogliche Zukuft der Philosophie, in ID., Schriften zum Philosophiebegriff,
in Werke, III, a cura di B. Wald, Hamburg 1955, pp. 315-323, cit. a p. 323.
220
Capitolo II - verit del cristianesimo?
stioni ultime, si resa indifferente e noiosa, divenuta incompetente per le questioni vitali del bene e
del male, della morte e dell'immortalit. La voce del Papa ha dato coraggio a molti uomini e ad interi
popoli, per molti anche risuonata all'orecchio in modo duro e tagliente ed ha perfino suscitato odio,
ma se essa tace, sar un attimo di silenzio terribile. Di fatto se non si parla pi di Dio e dell'uomo, di
peccato e di grazia, di morte e di vita eterna, allora le tante parole, che sentiamo ininterrottamente,
saranno solo un vano tentativo di ingannarsi, rimuovendo quanto autenticamente umano. Il Papa ha
inteso contrastare il pericolo di un tale silenzio con la sua parrhesa, con la franchezza impavida della
fede, e compie cos un servizio non solo per la Chiesa, ma anche per l'umanit. Per questo dovremmo
essergli grati.
221
CAPITOLO III
VERIT - TOLLERANZA - LIBERT
FEDE - VERIT - TOLLERANZA
Tolleranza e fede nella verit rivelata sono concetti che si oppongono? O, in altre parole, si possono
conciliare fede cristiana e modernit? Se la tolleranza uno dei fondamenti dell'epoca moderna,
affermare di aver trovato la verit non forse una presunzione superata, che dev'essere respinta, se si
vuole spezzare la spirale della violenza che attraversa la storia delle religioni? Questa domanda si pone
oggi in maniera sempre pi drammatica nell'incontro tra il cristianesimo ed il mondo, e si diffonde
sempre pi la convinzione che la rinuncia da parte della fede cristiana alla rivendicazione di verit sia
la condizione fondamentale per ottenere una nuova pace mondiale, la condizione fondamentale per la
riconciliazione tra cristianesimo e modernit.
1. La "distinzione mosaico," - ovvero: la questione della verit appartiene alla religione?
Questa problematica stata recentemente riformulata e approfondita dall'egittologo Jan Assmann,
muovendosi dalla contrapposizione tra la religione biblica e quella egizia e il politeismo in generale,
cos da farla emergere nella sua esposizione con tutte le sue motivazioni storiche
223
II LIBERT E VERIT
1. // problema
Nella coscienza dell'umanit di oggi la libert appare di gran lunga come il bene pi alto, al quale tutti
gli altri beni sono subordinati. Nella giurisprudenza la libert dell'arte, la libert di espressione del
pensiero ha, senza eccezioni, la preminenza sopra ogni altro valore morale. Valori che entrino in
concorrenza con la libert, che possano costringere a limitarla, appaiono come vincoli, come "tab",
cio come relitti di arcaici divieti e timori. L'agire politico deve legittimarsi con il fatto che favorisce la
libert. Anche la religione pu continuare ad essere accettabile solo nella misura in cui si presenta come
forza liberatrice per le singole persone e per l'umanit nel suo insieme. Nella scala dei valori, dai quali
dipendono l'uomo e la sua vita degna, la libert appare decisamente come il vero valore fondamentale e
come il diritto umano fondante in assoluto. Ci accostiamo invece piuttosto con sospetto al concetto di
verit: ci si ricorda al riguardo di tutte quelle opinioni e sistemi per i quali gi in passato si preteso il
concetto di verit; quante volte in tal modo l'affermazione di verit fu un mezzo per opprimere la
libert. A questo si aggiunge lo scetticismo, alimentato dalle scienze della natura, nei confronti di tutto
quanto non sia spiegabile o documentabile con esattezza: tutto questo sembra in ultima analisi essere
solo valutazione soggettiva, che non pu pretendere alcun carattere vincolante comune. L'atteggia-
mento moderno nei confronti della verit si rivela nel modo pi stringente nella domanda di Filato: che
cos' la
245
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
verit? Chi afferma di essere al servizio della verit con la sua vita e con la sua parola e azione, deve
essere preparato ad essere classificato come sognatore o come fanatico. Infatti lo sguardo nell'aldil ci
impedito; questa parola di Goethe, presa dal Faust, caratterizza la sensibilit di tutti noi.
Indubbiamente, vi sono abbastanza motivi, davanti ad una pretesa di verit che si presenti con troppa
sicurezza, di chiedere con prudenza: che cos' la verit? Ma vi sono altrettanti motivi per porre la
domanda: che cos' la libert? Che cosa intendiamo in realt quando esaltiamo la libert e la
collochiamo sul gradino pi alto della nostra scala di valori? Io credo che il contenuto collegato in
generale con il desiderio di libert sia illustrato in modo preciso nelle parole, con le quali una volta
Karl Marx ha espresso il suo sogno di libert. La condizione della futura societ comunista render
possibile fare oggi questo, domani quello, al mattino andare a caccia, al pomeriggio a pescare, a sera
dedicarsi all'allevamento de] bestiame, dopo la cena a discutere, secondo ci di cui al momento avr
voglia...6. Proprio in questo senso la mentalit media irriflessa intende per libert il diritto e la
possibilit di fare tutto quello che desideriamo in quel momento e di non dover fare ci che non
desideriamo. Detto altrimenti: libert significherebbe che la propria volont sia l'unica norma del nostro
fare e che essa possa volere tutto ed abbia anche la possibilit di mettere in pratica tutto quanto
voluto. A questo punto emergono
26
K. MARX, F. ENGELS, Werke, 39 voli., Berlin 1961-1971, III, p. 33, citazione tratta da K. LOW,
Warum fasziniert der Kommunismusl', Kln 1980, p. 65.
246
certamente degli interrogativi: quanto libera in realt la volont? E quanto ragionevole? E: una
volont irragionevole una volont veramente libera? Una libert irragionevole veramente libert?
veramente un bene? Dunque la definizione della libert a partire dalle possibilit della volont e da
quelle del mettere in pratica il voluto non deve essere completata mediante il legame con la ragione,
con la totalit dell'essere umano, perch non si giunga alla tirannia dell'irrazionalit? E non apparterr
alla collaborazione fra ragione e volont anche il cercare la ragione comune a tutti gli uomini e cos la
tollerabilit reciproca delle libert? evidente che nella questione della ragionevolezza della volont e
del suo legame con la ragione contemporaneamente presente, in modo nascosto, anche la questione
della verit.
A tali questioni non ci costringono soltanto astratte riflessioni flosofche, ma la nostra situazione
sociale, del tutto concreta, nella quale di fatto l'esigenza di libert continua, ma in verit dubbi si
manifestano in modo sempre pi drammatico nei confronti di tutte le forme finora conosciute dei
movimenti di liberazione e dei sistemi di libert. Non dimentichiamo che il marxismo si presentato
come la sola grande forza politica del XX secolo con la pretesa di introdurre il nuovo mondo della
libert e dell'uomo liberato. Proprio questa sua promessa di conoscere la via scientificamente assicurata
verso la libert, e di costruire il nuovo mondo, gli ha attirato molti degli spiriti pi audaci della nostra
epoca; in definitiva esso appariva persine come la forza, per mezzo della quale la dottrina cristiana
della redenzione poteva essere trasformata in una realistica prassi di liberazione - come la forza per
erigere
247
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
il regno di Dio in quanto vero regno dell'uomo. Il crollo del socialismo reale negli Stati dell'Europa
orientale non ha totalmente allontanato tali speranze, che qua e l in silenzio sopravvivono ancora e
sono alla ricerca di nuove forme. Al crollo politico ed economico non ha corrisposto nessun reale
superamento culturale, e in questo senso la questione posta dal marxismo non ancora affatto risolta.
Nondimeno, che il suo sistema non funzionasse come era stato promesso evidente. Che questo
presunto movimento di liberazione fosse, accanto al nazionalsocialismo, il pi grande sistema di
schiavit della storia contemporanea, nessuno pu pi seriamente negarlo: le dimensioni della cinica
distruzione dell'uomo e del mondo vengono in verit spesso taciute piuttosto per vergogna, ma nessuno
pu pi contestarle.
La superiorit morale del sistema liberale nella politica e nell'economia, che venuta cos alla ribalta,
non suscita tuttavia alcun entusiasmo. Troppo grande il numero di coloro che non partecipano dei
frutti di questa libert, anzi, perdono completamente ogni libert: la disoccupazione diviene
nuovamente un fenomeno di massa; la sensazione dell'inutilit, della superfluit, angoscia le persone
non meno della povert materiale. Lo sfruttamento senza scrupoli si diffonde; la criminalit organizzata
si serve delle possibilit offerte dal mondo liberale, ed in tutto questo si aggira il fantasma della
mancanza di senso. Il filosofo polacco Andrej Szczypiorski ha impietosamente descritto nel corso delle
Settimane universitarie di Sali-sburgo del 1995 il dilemma della libert, che si presentato dopo la
caduta del muro; merita di essere ascoltato un poco pi estesamente: Non vi alcun dubbio che il
248
capitalismo ha realizzato un grande progresso. E non vi neppure alcun dubbio che esso non ha
soddisfatto le attese. Nel capitalismo si continua ad udire il grido delle masse immense, il cui desiderio
non stato soddisfatto... Il crollo della concezione sovietica del mondo e dell'uomo nella prassi politica
e sociale fu una liberazione di milioni di vite umane dalla schiavit. Ma nel patrimonio del pensiero
europeo, alla luce della tradizione degli ultimi due secoli, la rivoluzione anticomunista significa anche
la fine delle illusioni illuministiche, quindi la distruzione della concezione intellettuale, che stava a
fondamento dello sviluppo della prima Europa... subentrata un'epoca singolare, finora a nessuno
nota, dell'uniformiz-zazione dello sviluppo. Ed improvvisamente si reso evidente - certo per la prima
volta nella storia - che vi era solo un'unica ricetta, un'unica strada, un unico modello ed un'unica
maniera di configurare il futuro. E gli uomini perdettero la fede nel significato dei mutamenti in atto.
Perdettero anche la speranza che il mondo fosse realmente trasformabile e che valesse la pena di
trasformare il mondo... L'attuale mancanza di un'alternativa fa porre tuttavia alla gente domande
totalmente nuove. La prima domanda: forse allora l'Occidente non aveva ragione? La seconda
domanda: se l'Occidente non aveva ragione, chi allora aveva ragione? Poich per nessuno in Europa si
pu dubitare che il comunismo non aveva ragione, sorge la terza domanda: forse non esiste una ra-
gione? Ma se cos, tutto il patrimonio di pensiero dell'Illuminismo non ha nessun valore... Forse la
vaporiera dell'Illuminismo, andata in riposo dopo due secoli di lavoro utile, senza guasti, si fermata
davanti ai nostri occhi e con la nostra partecipazione. Ed il vapore sale
249
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
soltanto in aria. Se le cose stanno di fatto cos, allora le prospettive sono cupe .
Per quanto si possano qui porre anche delle controdomande, il realismo e la logica delle domande di
fondo di Szczypiorski non devono essere accantonati; ma nello stesso tempo la diagnosi cos
opprimente, che non ci si pu fermare ad essa. Non aveva ragione nessuno? Forse non esiste una
ragione? I fondamenti dell'Illuminismo europeo, sui quali si appoggia il nostro cammino di libert,
sono errati o almeno difettosi? La domanda "Che cos' la libert?" non in fondo meno complicata
della domanda "Che cos' la verit?". Il dilemma dell'Illuminismo, nel quale ci siamo innegabilmente
venuti a trovare, ci costringe a porre in modo nuovo entrambe le questioni ed anche a cercare
nuovamente il loro collegamento. Per andare avanti, dobbiamo dunque riflettere nuovamente sul punto
di partenza del cammino moderno della libert; la correzione di rotta, della quale abbiamo eviden-
temente bisogno, perch nell'oscuramento delle prospettive divengano nuovamente visibili delle vie,
deve ritornare ai medesimi punti di partenza e di l ricominciare. Naturalmente nel ristretto ambito di
questo libro io posso solo cercare di gettare pochi sprazzi di luce, accennando alla grandezza e ai
pericoli del cammino dell'epoca moderna, per aiutare cos a compiere una rinnovata riflessione.
Qui io cito dal manoscritto, che era stato conservato in occasione della Settimana universitaria.
250
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
2. La problematica della storia moderna della libert e del suo concetto di libert
Non vi nessun dubbio: l'epoca, che denominiamo et moderna, determinata sin dall'inizio dal tema
libert; la ricerca di nuove libert in assoluto l'unico motivo, che giustifica una tale periodizzazione.
Lo scritto polemico di Luter Della libert del cristiano da subito inizio al tema in toni forti28. Fu il
richiamo della libert, che mise all'erta le persone, che pose in movimento una vera valanga e fece
scaturire dagli scritti di un monaco un movimento di massa, che trasform radicalmente il volto del
mondo medievale. Si trattava della libert della coscienza nei confronti dell'autorit ecclesiale, quindi
in assoluto dell'intima libert dell'uomo. Non gli ordinamenti della comunit salvano l'uomo, ma la sua
fede totalmente personale in Cristo. Che improvvisamente tutto il sistema dell'ordinamento della
Chiesa medievale in ultima istanza non contasse pi, fu avvertito come un formidabile impulso di
liberazione. Gli ordinamenti, che in verit dovrebbero sostenere e salvare, apparvero come un peso;
essi non sono pi vincolanti, cio non hanno pi alcun significato redentivo. La redenzione
liberazione, liberazione dal giogo degli ordinamenti sovraindividuali. Anche se non si dovrebbe parlare
dell'individualismo della Riforma, tuttavia la nuova rilevanza del singolo e lo spostamento della
relazione fra la coscienza del singolo e l'autorit sono un tratto fondamentale. Questo movimento di
liberazione rimase certamente limitato sul piano propriamente religioso. L dove esso, come nella
Guerra dei contadini e nel movimento degli
28
Cfr. su tutta la questione per esempio E. LOHSE, Martin Luther, Miinchen 1981, pp. 60s., 86ss.
251
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
anabattisti, divenne anche un programma politico, Luter vi si opposto con forza. Nell'ambito
politico, tutt'al contrario, con la creazione delle Chiese di Stato e di regione (Lana) il potere
dell'autorit civile fu accresciuto e rafforzato. Nell'ambito anglosassone poi da questa nuova me-
scolanza di potere religioso e politico fuoriescono le Free-churches (Chiese libere) e divengono cos
precorritrici di una nuova struttura della storia, che poi nella seconda fase dell'evo moderno,
l'Illuminismo, assume chiara configurazione.
Comune a tutto l'Illuminismo la volont di emancipazione, innanzitutto nel senso del kantiano sapere
aude - osa di fare uso tu stesso della tua ragione. Si tratta del distacco della ragione del singolo dai
vincoli dell'autorit, che devono essere tutti criticamente esaminati. Solo ci che ragionevolmente
comprensibile deve valere. Questo programma flosofico , per sua essenza, anche un programma
politico: solo la ragione deve dominare, come ultima istanza non deve esistere altra autorit se non
quella della ragione. Solo quanto comprensibile ha valore; ci che non ragionevole, vale a dire
comprensibile, non pu neppure obbligare. Questo orientamento di fondo dell'Illuminismo si riscontra
tuttavia in filosofie sociali e in programmi politici diversi, anzi contrapposti. A mio parere, si
potrebbero distinguere due grandi correnti: il filone anglosassone, orientato pi secondo il diritto
naturale, che tende alla democrazia costituzionale come all'unico sistema realistico di libert; vi si
contrappone l'approccio radicale di Rousseau, che in ultimo esito mira all'anarchia piena. Il pensiero
giusnaturalistico critica il diritto positivo, le forme concrete di autorit, a partire dal criterio di misura
dei diritti innati della persona, che precedono tutti gli ordina-
252
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
menti giuridici, ne sono la misura ed il fondamento. L'uomo creato libero, libero, foss'anche nato
in catene, ha detto in questo senso Friedrich von Schiller. Non questa una frase per consolare gli
schiavi con idee metafsiche, ma una parola di lotta, una massima d'azione. Gli ordinamenti giuridici,
che creano schiavit, sono ordinamenti ingiusti. Sulla base della creazione, l'uomo ha diritti, che
devono essere fatti valere, perch vi sia giustizia. La libert non viene concessa all'uomo dall'esterno.
Egli ha un diritto, per il fatto che stato creato libero. Da una tale riflessione stata sviluppata l'idea
dei diritti dell'uomo come Magna charta del moderno movimento della libert. Se qui si parla di
natura, non quindi semplicemente inteso un sistema di ritmi biologici. Piuttosto si afferma che prima
di tutte le forme di ordinamento esistono dei diritti nell'uomo stesso, a partire dalla sua natura. L'idea
dei diritti dell'uomo in questo senso innanzitutto un'idea rivoluzionaria: essa si pone contro
l'assolutismo dello Stato, contro l'arbitrio della legislazione positiva. Ma anche un'idea metafsica:
nell'essere stesso si fonda una esigenza etica e giuridica. Non una cieca materialit, a cui si possa poi
dar forma secondo la pura convenienza. La natura reca in s lo spirito, porta in s ethos e dignit e
costituisce cos il titolo di diritto alla nostra liberazione e ne insieme la misura. Questo
sostanzialmente in fondo il concetto di natura di Romani 2, ispirato dalla Stoa e trasformato a partire
dalla teologia della creazione, che qui incontriamo: i pagani conoscono "per natura" (physe) la legge e
sono cos legge a se stessi (Rm 2,14).
La caratteristica specifica illuministico-moderna di questa linea di pensiero si potr vedere certamente
nel fatto
253
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
che l'esigenza di un diritto della natura , nei confronti delle forme di autorit costituite, soprattutto
rivendicazione dei diritti dell'individuo nei confronti dello Stato, nei confronti delle istituzioni. Come
natura dell'uomo viene considerato prima di tutto che egli di fronte alla comunit ha dei diritti, che
devono essere difesi davanti alla comunit: l'istituzione appare come il polo contrapposto della libert;
come soggetto titolare della libert appare l'individuo e come suo fine la piena emancipazione
dell'individuo.
In tale prospettiva questa corrente si avvicina al secondo orientamento, dall'impostazione molto pi
radicale: per J. J. Rousseau tutto ci, che stato creato dalla ragione e dalla volont, contro la natura,
ne la corruzione e la contraddizione. Il concetto di natura non a sua volta plasmato dall'idea di
diritto, che come legge di natura si presenterebbe gi anteriormente a tutte le nostre istituzioni. Il
concetto di natura di Rousseau antimetafisico, indirizzato al sogno della libert totale, senza alcuna
regola29. Qualcosa di simile riemerge in Nietzsche, che contrappone l'ebbrezza dionisiaca all'ordine
apollineo ed evoca cos i contrasti originari della storia delle religioni: gli ordinamenti della ragione,
simboleggiata da Apollo, corrompono la libera, illimitata ebbrezza della natura 30. Klages ha ripreso lo
stesso motivo con l'idea dello spirito come avversario dell'anima: lo spirito non il grande, nuovo
dono, nel
29
Cfr. D. WYSS, Zur Psychologie und Psychopathologie der Verblendung: J.-J. Rousseau una M.
Robespiene, die Begriinder des Sozialismus, in Jahrest und Tagungsbericht der Gorres-Gesellschaft
1992, pp. 33-45; R. SPAEMANN, Rousseau - Biirger ohne Valeriana. Von der Polis zur Natur,
Miinchen 1980.
30
Cfr. P. KOSTER, Der sterbende Goti. Niet&ches Entwurf ubermenschlicher Grafie, Meisenheim
1972; R. LOW, Niet&che. Sophist und Erzieher, Weinheim 1984.
254
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
quale soltanto si darebbe in assoluto libert, ma il disgregatore della realt originaria, con la sua
passione e la sua libert31. Da un certo punto di vista questa dichiarazione di guerra allo spirito
antilluministica, e in questo senso il nazionalsocialismo poteva richiamarsi a tale orientamento nella
sua ostilit verso l'Illuminismo e nel suo culto di "sangue e suolo". Ma il motivo di fondo
dell'Illuminismo, il grido reclamante la libert, anche qui non solo presente ma portato alla sua
forma pi radicale. Nei radicalismi politici del secolo XIX come del XX rispuntano continuamente in
forme molteplici, di fronte alla forma democraticamente addomesticata della libert, tali tendenze. La
Rivoluzione francese, che era iniziata con un'idea democratica costituzionale, ha rapidamente gettato
via da s questi legami e si messa sui binari di Rousseau e dell'idea anarchica di libert; proprio cos
essa divenuta -inevitabilmente - una dittatura sanguinaria.
Anche il marxismo continua questa linea radicale: esso ha sempre criticato la libert democratica come
libert apparente e promesso una libert migliore, pi radicale. Il suo fascino veniva anzi proprio dal
fatto che prometteva una libert maggiore e pi audace di quella realizzata nelle democrazie. Due
aspetti del sistema marxista mi sembrano essere particolarmente importanti per la problematica della
libert nell'epoca moderna e per il problema di libert e verit:
Cfr. T. STEINBUCHEL, Die philosophische Grundlegung der christlichen Sittenlehre, I, Dusseldorf
19473, pp. 118-132.
255
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
a) II marxismo parte dall'idea che la libert indivisibile, quindi come tale sussiste solo se la libert
di tutti. La libert legata all'uguaglianza: perch vi sa libert, deve essere stabilita innanzitutto
l'uguaglianza. Ci significa che per il fine della libert piena sono necessarie rinunce alla libert. La
solidariet di coloro, che combattono per la comune libert di tutti, ha priorit sulla affermazione
pratica delle libert individuali. La citazione di Marx, dalla quale siamo partiti, mostra che in realt alla
fine di nuovo presente l'idea della libert illimitata dell'individuo, ma per il momento prevale la
sovraordinazio-ne dell'aspetto comunitario, la sovraordinazione dell'uguaglianza sulla libert e quindi il
diritto della comunit rispetto all'individuo.
b) Collegato con quanto precede il presupposto che la libert del singolo dipenda dalla struttura della
totalit e che la lotta per la libert debba essere condotta innanzitutto non come lotta per i diritti
dell'individuo, ma come lotta per una struttura del mondo diversa. Di fronte alla questione sull'aspetto
che questa struttura debba avere e quali siano pertanto i mezzi razionali per la sua edificazione, al
marxismo per mancato il respiro. Infatti anche un cieco poteva in realt vedere che nessuna delle
strutture costruite rendeva reale quella libert, a motivo della quale era richiesta la rinuncia alla libert.
Ma gli intellettuali sono ciechi, l dove si tratta delle creazioni del loro pensiero. Per questo motivo essi
hanno potuto rinunciare a ogni realismo e continuare a combattere per un sistema, le cui promesse non
potevano essere mantenute. Ci si aiut con una fuga nella mitologia: la nuova struttura avrebbe creato
un uomo nuovo -- poich in realt, solo
256
Capitolo m - verit - tolleranza - libert
con uomini nuovi, con uomini totalmente diversi le promesse avrebbero potuto funzionare. Se
nell'esigenza della solidariet e nell'idea dell'indivisibilit della libert si trova la caratteristica morale
del marxismo, altrettanto nel suo preannuncio dell'uomo nuovo si fa manifesta una menzogna, che
paralizza anche l'approccio morale. Verit parziali sono ordinate a una menzogna, e per questo
l'insieme fallisce: la menzogna sulla libert vanifica anche gli elementi veri. La libert senza la verit
non libert.
Noi siamo oggi a questo punto. Siamo giunti di nuovo esattamente alle problematiche, che
Szczypiorski ha formulato cos drasticamente a Salisburgo. Che cos' menzogna, ora lo sappiamo -
almeno in relazione alle forme di marxismo finora realizzate. Ma che cos' la verit lo ignoriamo
ancora. Anzi, il timore cresce: forse non esiste affatto una verit? Forse non esistono affatto la giustizia
ed il diritto? Forse ci dobbiamo accontentare di ordinamenti di emergenza minimi? Ma forse proprio
anche questi ordinamenti minimi non hanno successo, come mostrano i pi recenti sviluppi nei Balcani
ed in tante altre parti del mondo? Lo scetticismo cresce, e le sue ragioni si rafforzano, ma non si pu
eliminare la volont di un mondo della perfetta libert.
La sensazione che la democrazia non sia ancora la forma giusta della libert abbastanza generale e si
diffonde sempre pi. La critica marxista della democrazia non pu essere semplicemente messa da
parte: quanto libere sono le elezioni? Quanto manipolata la volont attraverso la propaganda, quindi
attraverso il capitale, attraverso alcuni dominatori dell'opinione pubblica? Non esiste forse la
257
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
nuova oligarchia di coloro, che determinano che cosa moderno e progressista, che cosa deve pensare
una persona illuminata? La crudelt di questa oligarchia, la sua possibilit di "esecuzioni" pubbliche,
da tempo conosciuta. Chi volesse opporsi un nemico della libert, perch egli impedisce la libera
espressione delle opinioni. E che cosa dire della formazione del consenso negli organi di rappre-
sentanza democratica? Chi potrebbe ancora credere che il bene comune sia, qui, l'elemento
propriamente determinante? Chi potrebbe dubitare della potenza di interessi, le cui mani sporche
divengono visibili sempre pi frequentemente? E in genere: il sistema della maggioranza e minoranza
veramente un sistema di libert? E associazioni di interessi di ogni tipo non stanno diventando a vista
d'occhio pi forti della rappresentanza propriamente politica, del Parlamento? In questo groviglio di
poteri emerge in modo sempre pi minaccioso il problema dell'ingovernabilit: la volont di
affermazione dei diritti dei gruppi opposti blocca la libert della collettivit
Esiste senza dubbio il flirt con soluzioni autoritarie, la fuga davanti alla libert non padroneggiata. Ma
questo atteggiamento non ancora determinante per lo spirito del secolo. La corrente radicale
deH'Illuminismo non ha perduto la sua efficacia, diviene addirittura pi forte. Proprio di fronte ai limiti
della democrazia diventa pi alto il grido che invoca una totale libert. E "legge e ordine" hanno
sempre, anzi decisamente in misura crescente nella mentalit dominante, il significato di opposizione
alla libert. Istituzione, tradizione, autorit appaiono in s come il polo opposto alla libert. La
caratteristica anarchica del desiderio di libert si rafforza, perch le forme regolate
258
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
della libert comunitaria non soddisfano. Le grandi promesse dell'inizio dell'epoca moderna non sono
state mantenute, ma il loro fascino inalterato. La forma democraticamente ordinata della libert non
pu pi oggi essere difesa semplicemente con questa o quella riforma di legge. La questione tocca i
fondamenti stessi. Si tratta di che cosa l'uomo e come egli possa vivere giustamente in quanto singolo
e nella collettivit.
Come si vede, il problema politico, filosofico e religioso della libert diventato un tutto inscindibile;
chi cerca vie per il futuro, deve tenere in considerazione il complesso e non pu accontentarsi di
pragmatismi superficiali. Prima di tentare di indicare in un'ultima parte alcune linee per un cammino,
che per me sembrano aprirsi, vorrei ancora gettare uno sguardo sulla filosofa della libert forse pi
radicale del nostro secolo, quella di Jean-Paul Sartre, nella quale il problema appare in tutta la sua
seriet e in tutta la sua grandezza. Sartre vede la libert dell'uomo come la sua condanna. A differenza
dell'animale, l'uomo non ha nessuna "natura". L'animale vive la sua esistenza secondo una norma in
esso innata; non ha bisogno di riflettere su che cosa voglia fare della sua vita. Ma l'essere uomo in-
determinato. un problema aperto. Io stesso devo decidere che cosa voglio intendere con l'essere
uomo, che cosa farne, come configurarlo. L'uomo non ha alcuna natura, ma solo libert. Deve vivere
la vita diretto da qualche parte, ma comunque finisce nel vuoto. Questa libert senza un significato
l'inferno dell'uomo. Ci che allarma in questa impostazione di pensiero che qui la separazione tra
libert e verit portata alle estreme conseguenze: non esiste nessuna verit. La libert non ha nessuna
dire-
259
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
zione e nessun criterio32. Ma questa totale assenza di verit, la totale assenza di qualsiasi legame anche
morale e metafsico, la libert assolutamente anarchica come determinazione essenziale dell'essere
umano, per colui che cerca di viverla, si svela non come l'esaltazione massima dell'esistenza, ma come
la vanifcazione della vita, come il vuoto assoluto, come la definizione della perdizione. Nel-
l'estrapolazione di un concetto radicale di libert, che per Sartre stesso fu esperienza di vita, diviene
visibile che la liberazione dalla verit non produce la pura libert, ma la toglie. La libert anarchica,
assunta in modo radicale, non redime l'uomo, ma ne fa una creatura fallita, un essere
senza senso.
3. Libert e verit
3.1 Sull'essenza della libert umana
Dopo questo tentativo di comprendere l'origine dei nostri problemi e cos di prendere conoscenza della
loro intrinseca impostazione, tempo di cercare delle risposte. E diventato evidente che la crisi della
storia della libert, nella quale oggi ci troviamo, motivata da un concetto di libert non chiarito e
unilateralizzato. Da una parte, si isolato il concetto di libert falsandolo: la libert un bene, ma lo
solo in unione con altri beni, con i quali costituisce una totalit inscindibile. Dall'altra, si ristretto il
concetto di libert stesso ai diritti individuali di libert e lo si cos privato della sua verit umana.
Vorrei chiarire
32
Cfr. J. PlEPER, Kreaturlichkeit und menschliche Natur. Anmerkungen zum philoso-phischen Ansatz
vonJ.-P. Sartre, in ID., Uber die Schwierigkeit heute zu glauben, Munchen 1974, pp. 304-321.
260
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
il problema di questo modo di intendere la libert con un esempio concreto, che allo stesso tempo ci
pu aprire la strada ad una concezione adeguata di libert. Penso alla questione dell'aborto. Nella
radicalizzazione della tendenza individualistica dell'Illuminismo, l'aborto appare come un diritto di
libert: la donna deve poter disporre di se stessa. Essa deve avere la libert, sia che voglia mettere al
mondo un bambino sia che voglia disfarsene. Essa deve poter decidere di se stessa, e nessun altro pu
imporle dall'esterno - cos ci viene detto - una norma vincolante in ultima istanza. Ne va del diritto di
autodeterminazione. Ma la donna nell'aborto decide propriamente di se stessa? Non decide essa in
realt di qualcun altro - del fatto che ad un altro non debba essere concessa nessuna libert, che a lui lo
spazio della libert - la vita - debba essere tolto, perch entra in concorrenza con la mia propria libert?
E quindi ci si deve chiedere: che cosa veramente questa libert, tra i cui diritti si annovera l'eliminare
subito fin dall'inizio la libert di un altro?
Non si dica ora che il problema dell'aborto tocca uno specifico caso particolare e non serve per chiarire
il problema complessivo della libert. No, proprio in questo esempio si chiarisce la figura fondamentale
della libert umana, la sua essenza tipicamente umana. Infatti di che cosa si tratta? L'essere di un'altra
persona umana cos strettamente intessuto con l'essere di questa persona, la madre, che per il
momento pu sussistere assolutamente solo nella sua correlazione corporea con la madre, in un'unit
fsica con lei, che tuttavia non elimina il suo essere altro e non permette di porre in discussione il suo
essere se stesso. Certamente - questo "essere se stesso" in
261
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
modo radicale un "essere dall'altro", mediante l'altro; viceversa l'essere dell'altro - della madre - viene
stimolato da questa correlazione a un "essere-per", che contraddice al suo proprio volere se stesso e
cos viene sperimentato come opposizione alla propria libert. Ora dobbiamo aggiungere che il
bambino, anche se viene partorito e cambia la forma esterna delP"essere-da" e delP"essere-con",
nondimeno resta altrettanto dipendente, altrettanto rimesso a un "essere-per". Certo, ora lo si pu
inviare in una scuola materna e mettere in collegamento con un altro "per", ma la figura antropologica
la stessa, rimane quella della dipendenza, che esige un "per", un'accettazione dei limiti della mia
libert, o piuttosto un vivere la mia libert non in prospettiva di concorrenza, bens di reciproco
sostegno. Se apriamo gli occhi, vediamo che questo a sua volta non vale solo per il bambino, che
piuttosto nel bambino entro il seno materno si da semplicemente a conoscere in modo molto intuitivo
l'essenza dell'esistenza umana nel suo complesso: vale anche per l'adulto che egli pu essere solo in-
sieme con l'altro e a partire da lui e cos egli sempre dipendente da quelP"essere-per", che intendeva
proprio escludere. Diciamolo in un modo ancora pi preciso: l'uomo presuppone in realt come del
tutto ovvio l'"esse-re-per" degli altri, cos come oggi si venuto configurando nella rete del sistema di
servizi, ma da parte sua desidererebbe non essere coinvolto nella costrizione di un tale "da" e "per",
bens divenire del tutto indipendente, potendo fare o non fare ci che semplicemente vuole. Il desiderio
di libert radicale, che si manifestato sempre pi chiaramente nel cammino dell'Illuminismo,
soprattutto nella linea aperta da Rousseau, e determina oggi largamente la coscienza comune,
aspirerebbe a non essere "da", n
262
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
"verso", n "di", n "per", ma appunto del tutto libero. Ci significa considerare la figura reale
fondamentale dell'esistenza umana stessa come l'attentato alla libert che si cela in anticipo in ogni
singola vita e azione; vorrebbe essere liberato proprio dalla sua specifica essenza umana per divenire
l'"uomo nuovo": nella nuova societ queste condizioni che limitano l'io e questo "dover-donare-s-
stessi" potrebbero lecitamente non esistere pi.
In fondo dietro la richiesta radicale di libert dell'evo moderno sta molto chiaramente la promessa:
diventerete come Dio. Anche se Ernst Topitsch credeva di poter affermare che oggi nessun uomo
ragionevole voglia pi essere simile a Dio o uguale a Dio, nondimeno a un pi attento esame si deve
affermare esattamente il contrario: il fine implicito di tutti i movimenti di liberazione moderni di
essere finalmente come un Dio, non dipendenti da nulla e da nessuno, non limitati nella propria libert
da nessuna libert estranea. Se si considera una volta per tutte questo nascosto nucleo teologico della
volont radicale di libert, allora diviene visibile anche l'errore fondamentale, che si ripercuote pure l,
ove tali radicalismi non sono direttamente voluti, anzi, sono respinti. Essere totalmente liberi, senza la
concorrenza di altre libert, senza un "da" e un "per" - si nasconde qui non un'immagine di Dio, ma di
un idolo. L'errore originario di tali radicalizza-te volont di libert sta nell'idea di una divinit, che
concepita in modo puramente egoistico. Il Dio pensato cos non un Dio, ma un idolo, anzi l'immagine
di colui che la tradizione cristiana chiamerebbe il diavolo - Fanti-dio -, perch in esso si trova proprio
l'opposto radicale del vero Dio: il vero Dio per sua essenza totalmente
263
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
"essere-per" (Padre), "essere-da" (Figlio) ed "essere-con" (Spirito Santo). L'essere umano tuttavia
immagine di Dio proprio per il fatto che il "da", "con" e "per" costituisce la figura antropologica
fondamentale. L dove si cerca di liberarsene, non ci si avvicina alla divinit, ma alla disuma-
nizzazione, alla distruzione dell'essere stesso attraverso la distruzione della verit. La variante
giacobina dell'idea di liberazione (chiamiamo una buona volta cos i radicalismi moderni) ribellione
contro lo stesso essere-uomini, ribellione contro la verit, e pertanto conduce l'uomo - come Sartre ha
visto acutamente - in un'esistenza di autocontraddizione, che chiamiamo inferno.
In questo modo emerso molto chiaramente che la libert legata ad un criterio, al criterio della realt
- alla verit. Libert di autodistruzione o di distruzione dell'altro non libert, ma la sua diabolica
parodia. La libert dell'uomo libert condivisa, libert nell'essere insieme di libert, che si limitano
reciprocamente e cos si sostengono reciprocamente: la libert deve commisurarsi a ci che io sono, a
ci che noi siamo - altrimenti si sopprime da se stessa. Con questo arriviamo per ora ad una
correzione essenziale del superficiale concetto di libert oggi largamente dominante: se la libert
dell'essere umano pu consistere solo nell'ordinato essere insieme di pi libert, allora questo significa
che ordine e diritto non sono concetti opposti alla libert, ma la sua condizione, anzi un elemento
costitutivo d'essa medesima. Il diritto non una limitazione della libert, ma la costituisce. L'assenza di
diritto assenza di libert.
264
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
3.2 Libert e responsabilit
Certamente con questa affermazione nasce subito anche una nuova domanda: che cosa un diritto
conforme a libert? Come deve essere strutturato un diritto, perch esso costituisca un diritto di libert;
infatti esiste indubbiamente un diritto apparente, che un diritto da schiavi e pertanto non un diritto,
ma una forma regolamentata di ingiustizia. La nostra critica non pu essere rivolta contro il diritto
stesso, il quale appartiene all'essenza della libert; essa deve smascherare come tale il diritto apparente
e mettersi al servizio del manifestarsi del vero diritto - di quel diritto, che secondo la verit e pertanto
secondo la libert.
Ma come lo si trova - questa la grande questione, la questione, finalmente posta in modo giusto, della
reale storia della liberazione. Procediamo anche qui, come gi finora, non con astratte considerazioni
filosofche, ma cerchiamo di avvicinarci progressivamente a una risposta a partire dalle realt presenti
della storia. Se cominciamo da una piccola comunit ben controllabile, si pu facilmente scandagliare
in una qualche misura, a partire dalle sua possibilit e limiti, quale ordine favorisca meglio la convi-
venza di tutti, cos che dal loro essere insieme nasca una figura comune di libert. Ma nessuna piccola
comunit isolata in se stessa; essa inclusa e condeterminata nella sua propria essenza dalle
istituzioni pi grandi, alle quali appartiene. Nell'epoca degli Stati nazionali si partiva dal presupposto
che la propria nazione fosse l'unit di misura - che il suo bene comune costituisse anche il criterio giu-
sto della libert comune. Lo sviluppo del secolo XX ha chiarito che questo punto di vista non
sufficiente. Ago-
265
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
stino aveva detto al riguardo che uno Stato, il quale si riferisse solo agli interessi comuni suoi propri e
non alla giustizia in s, alla vera giustizia, non sarebbe differente strutturalmente da una ben ordinata
banda di predoni. Infatti per essa caratteristico proprio il prendere come criterio il bene della banda
indipendentemente dal bene degli altri. Guardando indietro all'epoca coloniale ed ai danni che si
lasciata alle spalle nel mondo, oggi vediamo che ancora Stati molto ben ordinati e civilizzati si av-
vicinavano in qualche modo all'essenza della banda di predoni, perch pensavano solo a partire dal
proprio bene e non dal bene in s. Una libert cos garantita ha in s quindi qualcosa della libert dei
predoni. Non la vera, autentica libert umana. Nella ricerca del criterio giusto tutta quanta l'umanit
deve stare davanti ai nostri occhi e - come vediamo sempre pi chiaramente - ancora una volta non solo
l'umanit di oggi, ma anche quella di domani.
Il criterio per il reale diritto, che possa definirsi autenticamente come tale e quindi come diritto di
libert, pu pertanto essere solo il bene della totalit, il bene stesso. A partire da questa intuizione, Hans
Jonas ha dichiarato che il concetto di responsabilit il concetto etico centrale . Ci significa che la
libert, per essere compresa correttamente, deve sempre essere pensata insieme con la responsabilit.
La storia della liberazione quindi pu verifcarsi sempre soltanto come storia di una responsabilit
crescente. La crescita della libert non pu pi consistere sempli-
3
H. JONAS, Dos Prinzip Verantwortung, Frankfurt a. M. 1979 (tr. it. // principio responsabilit,
Torino 1991).
266
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
cernente nel sempre pi vasto allargamento dei diritti individuali - ci che conduce all'assurdo e alla
distruzione anche delle libert individuali. Crescita della libert deve essere crescita della
responsabilit. A ci appartiene anche l'accettazione dei legami sempre pi grandi, che sono richiesti
dalle esigenze di coesistenza dell'umanit, dalla necessit di adeguarsi a quel che essenziale
dell'uomo. Se responsabilit rispondere alla verit dell'essere uomo, allora possiamo dire: alla vera
storia della liberazione appartiene la continua purificazione diretta alla verit. Nella purificazione del
singolo e delle istituzioni per opera di questa verit consiste questa vera storia della libert.
Il principio responsabilit costituisce una cornice, che necessita di essere riempita di contenuti. In tale
contesto si deve vedere la proposta dell'elaborazione di un ethos mondiale, per il quale si impegnato
con passione soprattutto Hans Kng. Indubbiamente ha senso, anzi, nella nostra attuale situazione
necessario cercare gli elementi di fondo delle tradizioni etiche nelle diverse religioni e culture; in
questo senso una tale impresa certo importante e opportuna. Per un altro verso, i limiti di un tale
tentativo sono evidenti, e su di essi ha richiamato l'attenzione ad esempio Joachim Fest in un'analisi
senz'altro bene intenzionata, ma anche molto pessimistica, che nel suo orientamento si avvicina allo
scetticismo di Szczypiorski34. Infatti
J. FEST, Die schwierige Freiheit, Berlin 1993, spec. pp. 47-81; a p. 80 egli commenta sintetizzando il
Weltethos di H. Kiing, in queste parole: Quanto pi oltre si spingono gli accordi raggiunti non senza
concessioni, tanto pi devono diventare estensibili e di conseguenza inevitabilmente impotenti anche le
norme etiche, finch il progetto da ultimo sfocia in una mera convalida di quella moralit non impegna-
tiva, che appunto non il fine, ma il problema.
267
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
a un tale minimo etico distillato dalle diverse religioni del mondo manca innanzitutto il carattere
vincolante, l'autorit intrinseca, di cui ha bisogno Vethos. Gli manca anche, nonostante tutto lo sforzo
per raggiungere l'intelligibilit, l'evidenza razionale sufficiente, che secondo il parere degli autori ben
potrebbe e dovrebbe sostituire l'autorit; gli manca anche la concretezza, che solo rende Vethos effi-
cace.
Mi sembra giusta un'idea che certamente compresente in questo tentativo: la ragione deve mettersi in
ascolto delle grandi tradizioni religiose, se non vuole divenire sorda e muta e cieca proprio in
riferimento all'essenziale dell'esistenza umana. Non esiste nessuna grande filosofa, che non viva
dell'ascolto e dell'accoglienza di una tradizione religiosa. L dove questa relazione viene interrotta, il
pensiero flosofico si inaridisce e diventa un vuoto gioco di concetti 35. Proprio in rapporto al tema della
responsabilit, cio alla questione delPancoramento della libert nella verit del bene, nella verit
dell'uomo e del mondo, si rivela molto chiaramente la necessit di tale ascolto. Infatti, per quanto
giusto sia nella sua impostazione il principio responsabilit, resta tuttavia la domanda: come dobbiamo
individuare ci che bene per tutti e ci che bene non solo per oggi, ma anche per domani? Un
doppio pericolo qui in agguato: da una parte vi il rischio di uno scivolamento nel
consequenzialismo, che giustamente il Papa critica nella sua enciclica sulla morale . L'uomo si aggrava
35 f
E penetrante al riguardo J. PlEPER, Schriften zum Philosophebegriff, in Werke, 8 voli., Ili, a cura di B.
Wald, Hamburg 1995, pp. 300-323, come pure pp. 15, 70, specialmente pp. 59ss.
36
Veritatis splender, nn. 71-83.
268
Capitolo III - verit - tolleranza - libert
del peso di se stesso quando ritiene di poter considerare tutt'attorno le conseguenze della sua azione e
di poterle assumere come norma della sua libert. Ben presto allora il presente viene sacrificato al
futuro, ma anche il futuro non viene edificato. Per altro verso nasce la questione: chi allora decide che
cosa impone la nostra responsabilit? L dove la verit non pi vista nell'intelligente assimilazione
delle grandi tradizioni della fede, essa viene sostituita dal consenso. Ma di nuovo c' da domandarsi: il
consenso di chi? Allora si dice: il consenso di coloro, che sono capaci di argomentare. Poich poi non
pu sfuggire la pretenziosit elitaria di tale dittatura intellettuale, si dice che quanti sono capaci di
argomentare dovrebbero rispondere "da avvocati" anche per coloro che non fossero capaci di
un'argomentazione razionale. Tutto questo ha poca probabilit di suscitare fiducia. Quanto fragili siano
i consensi e quanto rapidamente, in un certo clima intellettuale, gruppi partitici possano imporsi come
gli unici rappresentanti autorizzati del progresso e della responsabilit, davanti agli occhi di tutti noi.
Qui con troppa facilit si rischia di cacciare il diavolo con Beelzebub; con troppa facilit, invece del
demonio delle passate costellazioni culturali, sette nuovi e peggiori demoni possono occupare la nostra
casa.
3.3 La verit del nostro essere uomini
La questione del modo in cui si debbano porre nella giusta relazione responsabilit e libert non pu
essere decisa semplicemente attraverso un calcolo degli effetti. Dobbiamo tornare all'idea precedente,
secondo cui la libert umana una libert nella coesistenza delle libert; solo cos essa autentica, cio
conforme alla reale condizione
269
INDICE GENERALE
PREMESSA 7
PARTE PRIMA
LA FEDE CRISTIANA NELL'INCONTRO CON LE CULTURE E LE RELIGIONI
CAPITOLO I
UNIT E MOLTEPLICIT DELLE RELIGIONI
IL POSTO DELLA FEDE CRISTIANA NELLA STORIA
DELLE RELIGIONI 13
OSSERVAZIONE PRELIMINARE 13
1. Posizione del problema 17
2. // posto del cristianesimo nella storia delle religioni 23
3. Mistica e fede 30
4. La struttura delle grandi vie religiose 37
INTERLUDIO 45
CAPITOLO II
FEDE, RELIGIONE E CULTURA 57
1. Cultura - inculturazione - incontro delle culture 60
2. Fede e cultura 68
3. Fede, religione e cultura nel mondo tecnico 74
VARIAZIONI SUL TEMA FEDE, RELIGIONE E CULTURA 83
I INCLUSIVISMO E PLURALISMO 83
II IL CRISTIANESIMO UNA RELIGIONE EUROPEA? 88
III ELLENIZZAZIONE? 93
IV ABRAMO E MELCHISEDEK 98
V DISTINGUERE CI CHE CRISTIANO 103
VI PREGHIERA MULTIRELIGIOSA E INTERRELIGIOSA 110
FEDE, VERIT E TOLLERANZA - Parte Seconda
PARTE SECONDA
LA QUESTIONE DELLA VERIT E LE RELIGIONI
OSSERVAZIONE PRELIMINARE 117
CAPITOLO I
LE NUOVE PROBLEMATICHE AVVIATESI NEGLI ANNI NOVANTA SULLA SITUAZIONE
DELLA FEDE E DELLA
TEOLOGIA OGGI 119
1. La crisi della teologia della liberazione 119
2. Relativismo - la filosofia dominante 121
3. // relativismo in teologia: l'abolizione della cristologia 123
4. // richiamo alle religioni asiatiche 125
5. Ortodossia e ortoprassi 127
6. // New Age 131
7. // pragmatismo nella vita quotidiana della Chiesa 134
8. Compiti della teologia 136
9. Prospettiva 142
CAPITOLO II
VERIT DEL CRISTIANESIMO? 145
I LA FEDE TRA RAGIONE E SENTIMENTO 145
1. L'attuale crisi della fede 145
2. 77 Dio di Abramo 152
3. Crisi e sviluppo della fede di Israele nell'esilio 155
4. // cammino verso la religione universale dopo l'esilio 157
5. // cristianesimo come sintesi di fede e ragione 162
6. Alla ricerca di una nuova evidenza 164
II IL CRISTIANESIMO - LA RELIGIONE VERA? 170
III FEDE, VERIT E CULTURA.
RIFLESSIONI IN COLLEGAMENTO CON L'ENCICLICA
FIDES ET RATIO 193
1. Le parole, la parola e la verit 194
INDICE GENERALE
294
2. Cultura e verit 203
3. Religione, verit e salvezza 213
4. Riflessioni conclusive 219
CAPITOLO III
VERIT - TOLLERANZA - LIBERT 223
I FEDE - VERIT - TOLLERANZA 223
1. La "distinzione mosaica" - ovvero: la questione della
verit appartiene alla religione? 223
2. Interscambiabilit e guerra degli dei 230
3. L'inevitabilit della questione della verit e le alternative
della storia delle religioni 236
4. La tolleranza cristiana 241
II LIBERT E VERIT 245
1. // problema 245
2. La problematica della storia moderna della libert e del suo concetto di libert 251
3. Libert e verit 260
4. Sintesi dei multati 272
Principali fonti dei singoli capitoli 277
Indice delle sigle 283
Indice dei riferimenti biblici 285
Indice dei nomi 287
295