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Il cinque maggio

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Il cinque maggio
Opere varie Manzoni 1881-695.1.png
Napoleone a Sant'Elena, in un'incisione che illustra una riedizione dell'ode nel
1881
Autore Alessandro Manzoni
1 ed. originale 1821
Genere poesia
Lingua originale italiano
Il cinque maggio un'ode scritta da Alessandro Manzoni nel 1821, in occasione
della morte di Napoleone Bonaparte in esilio sull'isola di Sant'Elena.

Nell'opera, scritta di getto in tre giorni dopo aver appreso dalla Gazzetta di
Milano del 16 luglio 1821 le circostanze della morte di Napoleone, Manzoni mette in
risalto le battaglie e le imprese dell'ex imperatore, nonch la fragilit umana e
la misericordia di Dio.

Indice [nascondi]
1 Storia
2 Contenuti
2.1 Versi 1-30
2.2 Versi 31-84
2.3 Versi 85-108
3 Analisi del testo
3.1 Struttura metrico-stilistica
3.2 Figure retoriche
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri progetti
Storia[modifica | modifica wikitesto]

Andrea Appiani, Ritratto di Napoleone (1805)


Fu il 17 luglio 1821, leggendo il numero della Gazzetta di Milano del 16 nel
giardino della sua villa di Brusuglio, che Alessandro Manzoni seppe della morte di
Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio dello stesso anno nel suo esilio
all'isola di Sant'Elena. Manzoni aveva gi incontrato il generalissimo all'et di
quindici anni, al teatro alla Scala, dove rimase colpito dal suo sguardo penetrante
(evocato al v. 75 con l'espressione i rai fulminei) e dal magnetismo emanato
dalla sua persona, in cui riconosceva l'artefice del trapasso da unepoca storica a
unaltra;[1] ci malgrado, egli non manifest n plauso n critica nei confronti di
questa figura di condottiero, a differenza di altri poeti suoi contemporanei (quali
Ugo Foscolo e Vincenzo Monti).[2]

Dopo aver appreso l'inaspettata e tragica notizia, il poeta, colto da improvviso


turbamento, si immerse in una profonda meditazione di carattere storico ed etico,
conclusasi quando - sempre leggendo la Gazzetta di Milano - seppe della conversione
di Napoleone, avvenuta prima del suo trapasso. Egli fu profondamente commosso dalla
morte cristiana dell'imperatore e, preso quasi da un impeto napoleonico, compose di
getto il primo abbozzo di quello che sar Il cinque maggio, in soli tre giorni (la
gestazione dell'opera, iniziata il 18 luglio, fu conclusa il 20),[3] con una
rapidit decisamente estranea al suo temperamento riflessivo.[4]

Manzoni affid poi la redazione del primo getto alle pagine del ms. VS. X. 3
(custodito alla biblioteca Braidense).[5] Malgrado vi siano sostanziali discrepanze
tra la prima e l'ultima versione dell'ode, a latere della bozza, nella parte destra
della pagina, il poeta inser alcuni appunti che - seppur allo stato embrionale -
presagiscono sensibilmente la redazione definitiva. Ne effettuiamo un confronto:
Primo getto Versi a latere Versione definitiva
Ei fu, come al terribile
Segnal della partita
Tutta si scosse in fremito
La Salma inorridita
Come agghiacciata immobile
Dopo il gran punto sta,

Tale al profondo annunzio


Stette repente il mondo
Che non sa quando, in secoli
L'uomo a costui secondo
La sua contesa polvere
A calpestar verr. Ei fu. Siccome immobile,
dato il fatal sospiro,
stette la salma immemore
orba di tanto spiro,

Tale al tonante annunzio


Muta la terra sta,
Trema la terra e sta.
Cos percossa, attonita
La terra al nunzio sta.

Che innanzi a lui gi tacquesi,


che lo nom fatale
N sa quando una simile
Orma di pi mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verr. Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
cos percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima


ora dell'uom fatale;
n sa quando una simile
orma di pi mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verr.
Dopo aver finalmente composto l'ode, Manzoni la present alla censura austriaca,
che tuttavia non ne consent la pubblicazione: come disse Angelo De Gubernatis,
infatti, l'Austria aveva tosto riconosciuto nel Cinque Maggio del Manzoni un
omaggio troppo splendido al suo temuto nemico, che pareva come evocato dal suo
sepolcro, in quelle strofe potenti. Il Manzoni, tuttavia, ebbe la prudenza di
preparare non uno, bens due esemplari: di questi, uno fu trattenuto dal censore,
mentre l'altro fu fatto circolare in forma manoscritta, anche al di fuori del Regno
Lombardo-Veneto. Cos Alberto Chiari:[6]

risaputo che il censore Bellisomi in persona, con gesto di gran riguardo si


rec dal Manzoni a restituirgli una delle due copie inviate per l'approvazione,
pregandolo che ritirasse la sua richiesta, ma che nel frattempo la seconda copia
rimasta in ufficio, era uscita ben presto di l, e copiata e ricopiata s'era
diffusa tanto largamente che esemplari manoscritti ne pervennero al Soletti in
Oderzo, al Vieusseux in Firenze, al Lamartine in Francia, al Goethe a Weimar per
ricordare solo i casi pi illustri
Come appena accennato, infatti, Il cinque maggio ebbe vastissima eco; tra gli
ammiratori principali vi fu lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, che
tradusse l'ode nel 1822 per poi pubblicarla nel 1823 sulla rivista Ueber Kunst und
Alterthum, IV/1, p.182-188: Der fnfte May. Ode von Alexander Manzoni.

L'edizione originale fu pubblicata nell'opuscolo: Cinque inni sacri ed un'ode di


Alessandro Manzoni milanese, Torino, presso Giacinto Marietti libraio, 1823, a
p.28-32: Il cinque maggio. Ode.

Contenuti[modifica | modifica wikitesto]


Manzoni, con la stesura de Il cinque maggio, non intendeva n glorificare la figura
di Napoleone, n muovere a piet il lettore per il suo trapasso, bens illustrare
il ruolo salvifico della Grazia divina, offrendo al contempo uno spaccato
esistenziale della vita di Napoleone.

Versi 1-30[modifica | modifica wikitesto]

L'impero di Napoleone al suo apogeo nel 1811, tra paesi vassalli, alleati e lo
stesso territorio francese.[7]
Dall'Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno / di quel securo il fulmine /
tenea dietro il baleno; / scoppi da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar
(vv. 25-30)
Il cinque maggio ha inizio con un esordio severo ed ineluttabile, Ei fu, con il
quale Manzoni annuncia al lettore che Napoleone non pi vivo. Per riferirsi al
defunto imperatore il poeta ricorre a un pronome personale di gusto solenne e
letterario, Ei, che sottolinea la fama di Napoleone, talmente conosciuto che non ha
bisogno di introduzioni. La scelta del passato remoto in fu, invece, allontana nel
tempo l'epopea napoleonica, che in questo modo viene segnalata come un evento
definitivamente concluso, sprofondato nel magma del passato, con una chiara
allusione all'inesorabilit dello scorrere del tempo, alla caducit della vita, e
alla natura effimera della gloria terrena.[8]

Dopo quest'esordio cos pregnante e conciso, Manzoni passa a descrivere l'immobile


stupore dell'intera popolazione umana, rimasta percossa, attonita all'annunzio
della morte del condottiero. Dell'uom fatale, talmente potente da poter decidere il
destino del mondo, ormai non rimane che una spoglia immemore, e niente in essa
serba memoria della gloria passata; n si sa quando vi sar il passo di un uomo che
la sua cruenta polvere / a calpestar verr.[9]

Nei versi successivi si fanno alcuni cenni alle ultime vicende militari
napoleoniche: la sconfitta di Lipsia del 1813, il periodo dei cento giorni e la
disfatta definitiva a Waterloo, nel 1815. Manzoni coglie quest'occasione per
sottolineare che lui vergin di servo encomio e di codardo oltraggio: il poeta,
infatti, critica chi si profonde in lodi sperticate per i trionfi imperiali
napoleonici in quanto sintomo di un gretto utilitarismo (condanna gi presente ne
Il Conte di Carmagnola, dove viene accusato colui che s'innalza sul vinto);
altrettanto vergognoso, tuttavia, il comportamento di coloro che lo denigrarono
caduto, quando Napoleone - persa ogni autorit - non aveva possibilit di
difendersi. Pertanto, potendo vantare un plettro immacolato (cfr. In morte di
Carlo Imbonati), Manzoni pu legittimamente commuoversi allo sparir di tanto
raggio, ed eternare la memoria del defunto imperatore con un cantico che forse non
morr.[9]

La strofa successiva presenta un tono perentorio ed indica il quadro geografico nel


quale si sono svolte le gesta napoleoniche. Sono citate le due campagne d'Italia
(1796 e 1800); la campagna egiziana (1798-99); vengono poi menzionati due fiumi, il
Manzanarre e il Reno, in riferimento rispettivamente alla campagna di Spagna del
1806 (il Manzanarre scorre vicino Madrid) e ai diversi interventi militari in
Germania, ove fluisce il Reno (si pensi alle battaglie di Ulm e di Jena). Le
vittorie di Napoleone coinvolgono un territorio che si estende dall'Italia
meridionale (la punta di Scilla in Calabria) alla Russia, dove scorre il fiume
Don, anche noto come Tanai, dal Mediterraneo all'Atlantico (dall'uno all'altro
mar).[8]

Versi 31-84[modifica | modifica wikitesto]


Segue una profonda e ansiosa pausa meditativa:

Fu vera gloria? Ai posteri / Lardua sentenza: nui / Chiniam la fronte al Massimo


/ Fattor, che volle in lui / Del creator suo spirito / Pi vasta orma stampar
Quella all'inizio si tratta di un'interrogativa retorica, in quanto al Manzoni
cattolico non interessano le glorie terrene di Napoleone, bens le sue vittorie
spirituali, che riconosce essere l'unico mezzo per raggiungere una gloria vera e
autentica: convertendosi prima di morire, infatti, il condottiero corso ha dato un
ulteriore prova della grandezza di Dio, che si servito di lui per imprimere sulla
Terra un sigillo pi forte della sua potenza creatrice.[10]

Questa meditabonda riflessione accompagnata da un elenco dei sentimenti che hanno


tempestato l'animo di Napoleone durante la sua ascesa al potere: la gioia ansiosa e
trepidante che si dispiega nell'animo alla realizzazione di un grande progetto,
l'insofferenza di un animo ribelle che, non domato, si sottopone agli altri, ma che
pensa al potere, e l'esultanza che sostenne il suo trionfo imperiale, che era quasi
folle ritenere possibile. Tutto ei prov (la strofa precedente retta da questa
proposizione): la gloria della vittoria, ma anche l'umiliante fuga dopo la
sconfitta (in riferimento alla campagna di Russia del 1812 e alle successive di
Lipsia e Waterloo), l'esultanza della ritornata vittoria, e infine l'esilio a
Sant'Elena.[8]

Manzoni scruta dentro l'animo del Napoleone esule a Sant'Elena, riconoscendovi un


uomo fiaccato dal cumulo dei ricordi.
Oh quante volte, al tacito / morir d'un giorno inerte / chinati i rai fulminei /
le braccia al sen conserte, / stette, e dei d che furono / l'assalse il sovvenir!

(vv. 73-78)
La successione di glorie e sconfitte napoleoniche seguita da quella che, a detta
del Momigliani, la strofa pi importante dell'ode per conoscere il giudizio del
Manzoni storico su Napoleone.[11] Secondo Russo:[12]

Il giudizio poetico del Manzoni qui finisce per coincidere con il giudizio
storico, con la sentenza dei posteri, i quali riconoscono in Napoleone l'uomo che
diffuse in Europa i principi della rivoluzione, addomesticandoli alla civilt
anteriore e guidandola a un fine
In questa strofa, che sempre secondo Momigliani artisticamente fra le pi
notevoli [...] dell'ode, Napoleone appare infatti come un titanico dominatore. Ei
si nom, ovvero si impose da s il titolo di imperatore (strappando la corona dalle
mani di papa Pio VII per porla da solo sulla sua testa), e fu artefice del proprio
destino; si erse inoltre a giudice fra due secoli, il Settecento e l'Ottocento,
vale a dire la Rivoluzione Francese e la Restaurazione.[13]

Napoleone, tuttavia, pur sempre un uomo, e in quanto tale anch'egli soggiogato


alle dinamiche che regolano gli accadimenti umani. Come sottolineato dall'attacco
(realizzato con la congiunzione E), gli atti napoleonici si susseguono
tumultuosamente: dopo la sua ascesa fulminea, infatti, egli spar dalla scena del
mondo, costretto all'esilio e all'ozio forzato in una piccola isola sperduta
nell'Oceano Atlantico, Sant'Elena. Qui Napoleone travolto dalle contrastanti
emozioni che egli stesso aveva suscitato durante la sua vita: immensa invidia e
rispetto, odio inestinguibile e amore invincibile. I grandi eroi, secondo Manzoni,
sono amati o odiati, non mediocremente sopportati.[14]
Segue, come osservato da Francesco De Sanctis, una strofa in cui l'immaginazione
del poeta si riposa. Napoleone finito e rimane ozioso, costretto a ricordare.
Per suggerire l'idea di un Napoleone oppresso dal peso straziante dei ricordi,
infatti, Manzoni ricorre alla pregnante similitudine di un naufrago che, mentre
tende lo sguardo verso lontani approdi, viene travolto da quei marosi che prima
egli stesso dominava.[15] Manzoni indaga impietosamente la profonda crisi interiore
di Napoleone, uomo condannato a una vita inoperosa pur essendo ancora energico e
vitale (come suggerito dai rai fulminei; si noti come anche nella poesia manzoniana
gli occhi rappresentino lo specchio dell'anima). per questo che il condottiero,
investito dall'assalto dei ricordi, ripensa alle tende degli accampamenti militari,
alle trincee battute dal fuoco dell'artiglieria, al fulminar delle spade dei suoi
soldati, all'incalzare della cavalleria, agli ordini concitati e perentori e alla
loro fulminea esecuzione.[16]

Versi 85-108[modifica | modifica wikitesto]


Il ricordo del passato per Napoleone soffocante, avvilente, e presagisce la
disperazione, come suggerito dalla tronca e disper, che a mo' di rintocco sembra
concludere inesorabilmente la parabola terrena del generalissimo. I suoi tormenti,
tuttavia, vengono allietati dalla provvidenziale mano divina che, discesa valida
dal cielo, lo eleva a un'atmosfera pi serena (pi spirabil aere) e alla
contemplazione della vita ultraterrena.[17]

Nella penultima strofa, impiegando una perifrasi desunta dalla tradizione religiosa
(gi Paolo di Tarso parlava di improperium Christi), Manzoni ricorda al lettore che
giammai una pi superba altezza non si chin al disonore del Golgota: Napoleone,
in questo modo, viene interpretato come un uomo dalla personalit grandiosa e dallo
straordinario ingegno bellico che, nei suoi ultimi frangenti di vita, seppe
rinnegare il proprio orgoglio e chinarsi al legno del Golgota, abbracciando in
questo modo la professione cristiana.

Analisi del testo[modifica | modifica wikitesto]


Struttura metrico-stilistica[modifica | modifica wikitesto]
Il cinque maggio risponde alla forma metrica dell'ode. Il testo si compone di 108
versi raggruppati in strofe da sei settenari. Il primo, il terzo ed il quinto
settenario sono sdruccioli, ovvero pongono l'accento sulla terzultima sillaba, e
non sono rimati; il secondo e il quarto sono rimati fra loro e terminano con una
parola piana, mentre il sesto e ultimo settenario tronco e rima con l'ultimo
verso della strofa successiva. Complessivamente, i settenari sono rimati secondo lo
schema ABCBDE, FGHGIE.

Il poema pu essere suddiviso in tre parti: nella prima, composta da quattro strofe
(vv. 1-24), viene presentato il tema; nella seconda di dieci strofe (vv. 25-84) si
ripecorre l'epopea napoleonica, mentre le ultime quattro strofe traggono le
conclusioni e pertanto le riserve morali e religiose. La seconda parte, tra
l'altro, si presta a un'ulteriore bipartizione: nel primo momento (vv. 25-54) si
raccontano i momenti salienti del Napoleone condottiero e imperatore, mentre il
secondo (55-84) dedicato all'esilio finale a Sant'Elena.[18]

Figure retoriche[modifica | modifica wikitesto]

Anonimo inglese, Alessandro Manzoni nel 1805, olio su tela, attualmente nella Casa
Manzoni di via del Morone, Milano.
Il cinque maggio accompagnato da:[19]

due similitudini: Siccome immobile ... cos percossa (vv. 1-5); Come sul capo /
tal su quell.alma! (vv. 61-73);
numerosissime metafore: orba (v. 4); tanto raggio (v. 21); il fulmine / tenea
dietro al baleno (vv. 27-28); nella polvere ... sull'altar (vv. 47-48); rai
fulminei (v. 75);
diversi enjambement: ultima / ora (vv. 6-7); simile / orma (vv. 9-10);
subito / sparir (vv. 21-22); Massimo / Fattore (vv. 33-34); la procellosa e
trepida / gioia (vv. 37-38); tacito / morir (vv. 73-74); mobili / tende (vv.
79-80); benefica / fede (vv. 97-98);
anastrofi: a calpestar verr (v. 17); di mille voci al sonito (v. 17); mista la
sua non ha (v. 18); di quel securo il fulmine (v. 27); del creator suo spirito
(v. 35);
quattro iperbati: lui folgorante in solio / vide il mio genio e tacque (vv. 13-
14); tal su quellalma il cumulo / delle memorie scese (vv. 67-68); e dei d che
furono lassalse il sovvenir (vv. 77-78); e in pi spirabil aere / pietosa il
trasport (vv. 89-90);
tre anafore: dall'Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno [], da Scilla al
Tanai, dall'uno allaltro mar (vv. 25 ss); due volte ... due volte (vv. 47-48) ;
l'onda ... l'onda (vv. 62-63);
un'antonomasia ai vv. 33-34: Massimo Fattore;
due sineddochi, al v. 10 (orma di pie mortale) e al v. 56 (breve sponda);
alcuni polisindeti: e sparve e i d nell'ozio ... (v. 55); e ripens e i
percossi e il lampo e londa e il concitato e il celere (vv. 79-84);
due apostrofi: Bella Immortal!.Scrivi ancor questo (vv. 97-99); tu dalle
stanche ceneri (v. 103);
un ossimoro al v. 57: la procellosa e trepida / gioia dun gran disegno;
un'antitesi: immensa invidia/ piet profonda / inestinguibil odio / indomato
amor (vv. 57 ss);
tre perifrasi: delluom fatale (v. 8); di quel securo (v. 27); al disonor del
Golgota (v. 101);
personificazioni: percossa, attonita / la terra ... / muta (vv. 5-7).
Note[modifica | modifica wikitesto]
^ Varanini, p. 142.
^ Luperini et al., p. 539
^ Tellini, p. 138.
^ Varanini, pp. 135-36.
^ Varanini, p. 136.
^ Varanini, p. 139.
^ La legenda della mappa riportata di seguito:
territorio francese
paesi vassalli
paesi alleati
^ a b c Lisa Pericoli, Alessandro Manzoni, "Il cinque maggio": parafrasi del testo,
OilProject. URL consultato l'8 agosto 2016.
^ a b Varanini, p. 143.
^ Varanini, p. 144.
^ Varanini, p. 145.
^ Luperini et al., p. 540
^ Luperini et al., p. 541
^ Varanini, pp. 146-47.
^ Varanini, p. 147.
^ Varanini, p. 148.
^ Varanini, pp. 149-50.
^ Luperini et al., p. 542
^ Analisi del testo: "Il cinque maggio" di Alessandro Manzoni, Fare Letteratura.
URL consultato il 7 luglio 2016.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese, Il nuovo La
scrittura e l'interpretazione (edizione rossa), vol. 4, ISBN 978-88-6017-716-2.
Gino Tellini, Manzoni, Roma, Salerno Editrice, 2007, ISBN 978-88-8402-572-2.
Giorgio Varanini, Senso della storia e poesia nel Cinque Maggio, in Da Dante a
Pascoli, Istituto di cultura Giovanni Folonari.
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