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Riccardo Galiani

Il male, il disumano, lapparenza


Tracce del disumano

Se il modo che ho scelto per affrontare la questione comune, perch


il male?, pu essere presentato dai tre termini che compongono il titolo,
perch il mio discorso avr come riferimento prevalente, quasi esclusi-
vo, Humain/Dshumain, seminario tenuto da Pierre Fdida per un corso di
matrise dellUniversit Paris VII una volta la settimana, tra il febbraio del
2001 e il maggio del 2002; un insegnamento orale ( il caso di ricordarlo)
il cui valore testamentario non deriva unicamente dal suo essere diventato
lultimo seminario di Fdida1.
Nonostante il ricorrere di riferimenti alla letteratura sulla Shoah, nel se-
minario non troviamo il male, n come termine, n come categoria. Come
intendere allora linteresse per il disumano? Come pensare il disuma-
no non ricorrendo direttamente al male?
La chiave della risposta, come vedremo, doppia, perch passa sia attra-
verso una visione processuale del disumano, sia attraverso una equiva-
lenza, che pu essere utile anticipare: lequivalenza tra la coppia umano/
disumano e quella simile/dissimile, questione che, espressa in questi ter-
mini, riveler molteplici correlazioni con quella dellempatia. Nonostante
questa anticipazione, pu ugualmente essere legittimo, allinizio del mio
discorso, chiedersi anche quale sia la pertinenza dellinteresse per il di-
sumano da una prospettiva, come quella offerta da Fdida nel suo ultimo
seminario, che si vuole soprattutto clinica.
Il primo argomento a favore un argomento non a caso, lo vedremo- a
contrario, che parte cio dallumano, o meglio dalla sofferenza implicata
dalla stessa condizione umana. Ne La condition humaine, lautore assegna
al personaggio di Gisors, il saggio, il compito di pronunciare questa sorta
di sentenza: molto raro che un uomo possa sopportare come dire?- la

1 Pierre Fdida scomparso il 1 novembre del 2002. Laddove non diversamente


indicato, i rimandi sono alledizione italiana del seminario (Borla, 2009).
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sua condizione duomo (Malraux, 1933, p. 228); riascoltandola oggi


forte in essa leco delle parole di Zaltzman (1979): la psicoanalisi non deve
trattare il soggetto come persona, ma come soggetto della e alla con-
dizione umana.
Secondo argomento, discendente dal primo: la presenza del tema dellu-
mano, opportunamente contestualizzato, nel pensiero freudiano. Lindica-
zione offerta da Fdida per questa contestualizzazione la seguente: larea
di esperienza psichica che potrebbe essere utile indicare come disumano
si ritrova, in Freud, nella relazione somiglianza/dissomiglianza. Nello-
pera freudiana la problematica del simile rivela la sua importanza soprat-
tutto a partire da ci viene segnalato in merito allanimismo (dunque in
Totem e tab); il senso ultimo della riflessione di Freud sullanimismo con-
siste, per Fdida, nel promuovere lidea che il fondamento della comunit
umana sta nel poter inferire ci che laltro vive a partire da quello che noi
viviamo. Mediante inferenza, a partire da ci che noi stessi siamo in grado
di vivere, possiamo dedurre ci che laltro prova: tristezza, gioia, o un qua-
lunque altro stato affettivo. Dalla prospettiva freudiana, ci che si chiama
lumano, dice Fdida, si riferisce al riconoscimento di quegli stati che
permettono di pensare la somiglianza e il simile.
La funzione del riconoscimento e del non riconoscimento del simile
per indagata da Freud ben da prima, sin dal Progetto per una psicologia
(Freud, 1895), in termini che evidenziano il rilievo della prospettiva della so-
miglianza intesa come riconoscimento della comune umanit. Come ricorda
Balsamo (2006), quellAltro che il Nebenmensch, il (primo) prossimo uma-
no, ha due volti. Il primo, laltra parte, a nostra immagine, lo compren-
do nello stesso modo in cui lui comprende me. Il mio simile sta l. Unaltra
parte ancora concerne ci che al di l di questa somiglianza: il prossimo
in senso proprio, laltro innominabile, strano e estraneo, incomprensibile, ra-
dicalmente altro. Seguendo una pista che Freud ci indica dunque sin dal Pro-
getto, scopriamo che lal di l del simile, del Nebenmensch, il dissimile, ossia
das Ding questo al di l das Ding , appunto lestraneo. tuttavia
nellUnheimliche che la questione appare, agli occhi di Fdida (2007, p. 81),
ancora pi chiaramente: Freud partito proprio dalla questione del simile:
ci che definisce il processo umano il processo della somiglianza del simile
il testo su Il perturbante, linquietante estraneit, l per ricordarci che
proprio nella somiglianza del simile che si gioca la dissomiglianza.
R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 59

La psicoanalisi ha pertanto interesse e titolo a misurarsi anche con una


dimensione cos ampia, come quella dellumano2. Ma quanto distante dalla
realt clinica questo confronto, si potrebbe dire... e si sbaglierebbe,
almeno seguendo Fdida, per il quale umano ha comunque una definizio-
ne e un uso, in psicoanalisi, prevalentemente pratici, operazionali, anzi
esclusivamente operazionali. Come si stabilisce questa operazionalit?
Nel 1915, in Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Freud
descrive ci che ne stato delluomo delle origini a seguito di un certo
numero di rinunce primitive, tra cui spicca la rinuncia a uccidere laltro,
componente maggiore della rinuncia pulsionale, da cui deriva lesigen-
za etica (cfr. Fdida, 2007, e. it. p. 76)3. Freud ricorda questa rinuncia
per mettere in valore il fatto che luomo divenuto umano attraverso
i suoi progressivi cedimenti (dfaillances progressives). A partire dal
momento della rinuncia alluccisione dellaltro, luomo delle origini ha
cominciato a prendere coscienza dellaltro come colui la cui morte com-
porta un certo numero di pratiche (dal lutto alla credenza nellanima).
La parola umano acquisisce cos un senso che non poteva avere per
luomo delle origini; di conseguenza, dalla prospettiva della psicoanalisi
umano dovrebbe quindi implicare (rispetto alla letteratura psicoanali-
tica, Fdida molto pi netto, prescrittivo: la parola umano dovrebbe
uscire dalla penna degli psicoanalisti unicamente per indicare , dice)
il riferimento a un insieme di compromesso che allontana lindividuo
dalla primitivit delluomo. Ma questo compromesso innanzitutto fatto
di dfaillances progressives, del cedere qualcosa di s, di perdite di s per
vedere laltro, potremmo anche dire.
Valutata una legittima pertinenza dellumano, apriamo al disumano:
Disumano: aggettivo. Privo di ogni senso di umanit, spietato, bestiale,
che non ha e non conserva nulla di umano (Devoto, Oli). Definizione di
una condizione, di uno stato, privo di tutto ci che si riconduce allumano,
dunque apparenza inclusa; nella lingua francese troviamo invece il verbo
deshumaniser e i suoi derivati (Rey, Morvan, 1985 2001). Dal canto suo,
come ci introduce a esso Fdida? Invitandoci a considerarlo, sin dalla pre-
sentazione del seminario (tr. it. p. 42), come esperienza psicopatologica:
La clinica psicopatologica dei casi considerati difficili (personalit limite,

2 Ricordo anche come, poco prima della pubblicazione della trascrizione del semi-
nario, la rivista Psiche dedic un numero alla disumanizzazione (1, 2006).
3 Fdida ripetutamente tornato su questo lavoro freudiano; ricordo un articolo
scritto per Linactuel, Compter les morts (Fdida, 1994b). Sullespressione in-
quietante estraneit come traduzione di Unheimliche, rimando a quanto scritto
in altra occasione (Galiani, 2009).
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patologie narcisistiche, enclave autistiche nei pazienti nevrotici, depres-


sioni, etc.) ha consentito di lavorare sui fenomeni di annichilimento e di
annientamento psichici. Tuttavia, in maniera pi generale ma non meno
specifica, ci era necessario esplorare delle situazioni in cui il soggetto spe-
rimenta il doloroso sentimento della perdita della propria umanit.
lesperienza della perdita progressiva della propria umanit, esperienza
fatta di annichilimento, annientamento; i fenomeni che inducono a ricorrere
alla categoria disumano, sono fenomeni processuali che partono dalle
condizioni di umanit. Se fosse uno stato psichico, sarebbe al limite (inter-
no o esterno) dellumanit, della tenuta della rappresentazione di s (neces-
sariamente in rapporto allaltro) come umano. Rappresentazione di s che
deve fondare su elementi costanti nel tempo e nello spazio: qui e l, ora e
allora, cosa mi fa dire che sono la stessa persona? Il vacillamento di una
certezza implicita su questo affaccia sul disumano.
Alla definizione da dizionario di disumano va allora aggiunta una eti-
mologia clinica, che come clinica psicoanalitica rimanda alla singolarit
di un caso; voglio dire che stata una paziente di Fdida, Cynthia, a aver
coniato, per riferirsi alla sofferenza psichica che la propria carne, le-
spressione stato limite dellumanit. Uno stato, dice Fdida nel lavoro
anchesso notevole in cui ne parla (1996, p. 61), che un punto di oscil-
lazione, vacillamento tra le smorfie della normalit anonima, simulante
gli affetti, e la lenta distruzione della loro apparenza.

Cominciamo dunque a spostarci verso il processo. In un testo coevo


alle sedute del seminario, testo da Fdida intitolato proprio Le processus du
dshumain, troviamo scritto: Parlare di processo del disumano offre dal no-
stro punto di vista lenorme vantaggio di tentare di esprimere il modo in cui si
disfa il legame umano. . la clinica ci offre lopportunit di prendere in con-
siderazione esperienze singolari (personali) in cui il soggetto si rende conto
del suo ritirarsi dalla comunit umana. Non mi sto riferendo semplicemente
a ci che si potrebbe chiamare solitudine, separazione, abbandono ci cui
guardiamo qui sono innanzitutto quelle che si possono definire situazioni
estreme o stati limite. Queste situazioni estreme possibile incontrarle solo
per brevi momenti, o in modo pi durevole nella quotidianit depressiva (cit.
in Wolf-Fdida, 2007, p. 38). Daltronde, se c un testo che pu essere con-
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siderato pressoch gemello, per il suo concepimento, al seminario Umano/


Disumano, , ovviamente non a caso, Les Bienfaits de la dpression4. E la-
pertura del testo (ed. fr. p. 8) conferma lattenzione per la processualit e per
la quotidianit depressiva: nelle espressioni pi anodine della quotidiana
umanit lo stato depressivo , in fin dei conti, quello del disumano. Questo
stato non si riassume in un isolamento o in un ritiro dalla pi semplice comu-
nicazione. lesperienza umana stessa che si cancella un semplice gesto
del viso, la tonalit della voce nelle parole, una semplice impressione di un
sentimento o di un ricordo. La depressione prende laspetto, estremamente
violento, dellannientamento del vivente umano. Lorizzonte della questione
allora delineato da esperienze esistenziali che se volessimo fissare in uno
stato, una condizione persistente, ritroveremmo, dice Fdida, nella quotidia-
nit depressiva.

Mettiamo per il momento da parte questo riferimento alla quotidianit


depressiva, perch se ci facciamo catturare dal noto che la accompagna,
dimenticando la puntualizzazione di Fdida (questo stato non si riassume
), potrebbe addirittura risultare fuorviante. Su di essa torneremo tra poco;
seguiamo prima unaltra indicazione fornita da Fdida. Se il disumano non
indica prevalentemente una condizione ma un processo, tanto meno fa riferi-
mento a una condizione di per s opposta allumano, a una sorta di ente o di
caratteristica alternativa, per cos dire, posizione in cui troveremmo piuttosto
quell inumano che, come termine, Fdida (2007, p. 79) invita a evitare,
perch una condizione che annienta e non, come il disumano, un processo
che ci mette allopera. Ci che Fdida cerca di mettere a fuoco non quin-
di quanto si potrebbe dire di una sofferenza inumana nel senso di psichica-
mente intollerabile; linumano si riferisce a un puro stato di annientamento
dellumano, mentre ci che pi interessa Fdida pu essere espresso come
una contropartita dinamicamente intrecciata allumano (Wolf-Fdida, 2007).
Si tratta in fondo, e potrei anche dire ancora una volta, considerata
la frequenza delloperazione in Fdida, di un ampliamento o dellampli-
ficazione di una lezione freudiana, quella per la quale, al di l della pi
immediata contrapposizione vita-morte, vi si riconoscer in questo un
modo di leggere la pulsione di morte che accomuna molti autori francesi,
comunque ispirati dalla jouissance lacaniana lanima della morte nella

4 Preferisco il titolo francese, perch Il buon uso della depressione sposta laccen-
to su di un atteggiamento attivo del soggetto che, insomma, dovrebbe anche saper
far buon uso della sua depressione, mentre i Bienfaits sono gli effetti salutari,
ma innanzitutto latto di generosit che qualcosa della depressione pu elargire
al soggetto.
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vita, il che porta anche a chiedersi che relazione ci sia tra disumano
e pulsione di morte. Si potrebbe dire che la relazione di messa in
sicurezza, dal momento che il disumano come processo pu contribui-
re, per Fdida, a evitare i rischi di una risostanzializzazione della pul-
sione di morte5. Inumano sarebbe allora al di fuori dellumano, mentre
ci che occorre proprio uscire da questo tipo di relazione. La diversa,
drasticamente diversa relazione che si impone quella che, nella pratica
analitica, si misura con lesperienza di quanti vivono o hanno vissuto
lorrore dellannichilimento, il crollo che ha preso alle spalle, per cos
dire, la capacit rappresentativa dellIo, non necessariamente provenendo
dal passato; si tratta di una relazione con un processo del disumano, e non
sorprende che un riferimento princeps in questo per Fdida il Winnicott
di Fear of Breakdown (1964). Riprendendo i pensieri di Cynthia, Fdida
(1996, p. 59) dice: lo stato limite dellumanit lascia presentire linelut-
tabile avvenimento, di una forma che ci ancora sconosciuta. Lavveni-
mento non appartiene al passato e non potrebbe essere immaginato come
un evento, come un avvenimento che deve ancora avvenire. Si pu ancora
chiamare avvenimento (vnement), ci che si vive come una lenta di-
saggregazione del tempo e come una progressione insidiosa, osservabile in
ogni istante, di una scadenza gi cominciata?
Personalmente, ho in mente anche condizioni solo in parte sovrappo-
nibili, come quella di una paziente che da un certo momento della sua
vita si sentita costantemente a rischio di non essere considerata e di non
considerarsi pi autentica nelle relazioni amorose, nella professione , a
rischio cio di vedere la sua immagine (ci che di s vedono gli altri e se
stessa riflessa) sgretolarsi, disfarsi. Sentimento che a volte ne lascia traspa-
rire un altro: in fondo, sempre stato cos.
Per pensare queste condizioni cliniche, Fdida propone anche il ricorso
forte, rischioso a ci che, seguendo Primo Levi, definisce il paradigma
antropologico di Auschwitz. Prima di misurarci con questo paradigma,
il caso di fare il punto della situazione; le vie che conducono alla questione
del disumano sembrano essere due, convergenti.

La prima di queste due vie per il disumano concerne la rilevanza clinica


della apparenza del simile e della sua scomparsa, la scomparsa di ci che

5 Nella stessa direzione va ad esempio quanto osservato da O. Pozzi (2013) a pro-


posito delluso fatto da un fenomenologo come B. Callieri della nozione di om-
bra nella psicosi; per una visione dinsieme del rapporto tra distruttivit, pulsione
di morte e rischio di sostanzializzazione cfr. Galiani, 2016.
R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 63

consente di riconoscere il simile in s e nellaltro nella clinica psicoanali-


tica dei pazienti difficili. La questione dellapparenza centrale. Fdida
era preoccupato da una certa diffidenza psicoanalitica per lapparenza (che
non certo il look); ma che cos lapparenza umana nella clinica psico-
analitica dei casi difficili? Fdida usa spesso queste formule generiche
pazienti difficili, casi difficili per sfuggire quanto pi possibile alle
insidie delle classificazioni6. Di fatto, le condizioni cliniche cui prevalen-
temente fa riferimento sono psicosi e stati limite; Fdida netto (2007,
p. 58): stabiliamo che nella nevrosi siamo nel regime di un umano che
dellordine dellesperienza del simile7. Affidandosi a questo, una voce
critica potrebbe anche chiedere dove si ritrovi il fondamento freudiano del
riferimento al disumano e al dissimile; la risposta potrebbe essere: tutto
dipende da come si legge Il Perturbante (Freud, 1919). Se si legge il testo
freudiano accontentandosi del valore edipico del complesso di evirazione
infantile che torna nellesterno nei panni estranei/familiari dellautoma,
del doppio o del sosia, il fondamento difficilmente si trova; se lo si legge
senza accontentarsi ( Freud stesso che per primo non se ne accontenta,
ma forse non ce ne saremmo accorti senza un monito di Lacan), vi si pu
invece ritrovare un interesse per i vacillamenti dellIo nel suo raddoppio, e
il riferimento allElisir del diavolo di Hoffmann da parte di Freud proba-
bilmente la traccia che maggiormente deve suggerire di spingersi in questa
direzione (Lacan, 2004, p. 52; Galiani, 2009). Fdida tra quelli che non
si accontentano; segue lindicazione e continua cos: Se Freud pone la
questione del dissimile, specie attraverso quella dellinquietante estraneit,
del perturbante, la pone sul piano di un raddoppio dellIo nellesperienza
dellinquietante estraneit, in funzione di una morte che non rappresenta-
ta ma presente (Fdida, 2007, p. 58).
Unaltra risposta allinterrogativo sullapparenza umana nei casi diffi-
cili, una risposta questa volta in negativo, data dal sentimento dei sog-
getti depressi di una cancellazione dellapparenza umana: il sentimento
di un decadimento, quando il volto, le parole, la voce, la stessa possibilit
di riconoscere le reazioni dellaltro, cominciano a disfarsi (Fdida, 2007,
p. 44). In un altro passaggio dellincontro di apertura del seminario, la po-

6 Sulle quali si veda a esempio lintero numero 6 della rivista notes per la psicoa-
nalisi, dedicato alle Violenze della classificazione.
7 Per Widlcher (2007, p. 215) si avrebbe certamente torto a leggere il seminario
come la descrizione di un metodo psicoanalitico di trattamento della psicosi, ma
si ha pienamente il diritto di intenderlo come un progetto di sostituire un modello
psicotico al modello metapsicologico della nevrosi in quanto oggetto del tratta-
mento psicoanalitico.
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sizione espressa con maggiore chiarezza (p. 46): In qualunque momento


lesperienza analitica ci offre loccasione di renderci conto che la presenza,
la voce, il gesto, la parola, i termini, lo sguardo, hanno tutti una notevo-
le importanza, soprattutto allorch lo psicoanalista non di fronte, non
visto, vale a dire quando lumanit, ci che vi di umanit, non oggetti-
vabile allinterno di una relazione intersoggettiva, nella comunicazione in-
tersoggettiva. Si capisce facilmente (e ancora di pi se, seguendo il sugge-
rimento di Widlcher, 2007, sostituiamo interpersonale a intersoggettivo)
quanto questo abbia a che vedere con una precisa lettura della presenza
in persona dellanalista, presenza che si fonda sullessere arretrato della-
nalista come persona8. In questa fenomenologia rientra per Fdida (p. 46)
tutto ci che nella cura scambio sublinguistico. guardando in questa
direzione che occorrerebbe provare a pensare contemporaneamente al fe-
nomeno dellumano e al fenomeno del disumano.

La seconda via che porta verso il disumano allora rappresentata da


quel paradigma antropologico racchiuso nella parola Auschwitz: tutto
quanto ha potuto essere scritto sull umano e sullesperienza della disu-
manit rimanda alla Shoah, dice Fdida. il modo in cui George Bataille
anticipa (personalmente anche questo lho appreso grazie a Fdida) lidea
di Levi del paradigma antropologico; il modo in cui Bataille ci implica
nella Shoah. Il valore del riferimento a Bataille nella questione del disu-
mano tuttaltro che secondario, perch George Bataille stato uno dei
primi a comprendere il potenziale simbolico di Auschwitz, parola che,
come scriveva, impone un costante ripensamento dellimmagine delluo-
mo. Questo riferimento di Fdida non si legge se non associandolo a ci
che trae da Maurice Blanchot, e in particolare da una formula de LEcriture
du dsastre (1980) che riesce a riassumere la radicalit dello sterminio:
nei campi linvisibile che si per sempre reso visibile. Fdida la pone
in relazione con unaffermazione di Bataille che un vero e proprio am-
monimento sulla necessit di raccogliere la sfida di questo inimmaginabile;
scrive Bataille: Ci che sconcertante che i boia avevano dei bambini,
provavano per le loro mogli dei sentimenti umani, avevano relazioni uma-
ne provavano senza dubbio quello che proviamo noi vano negare
lincessante pericolo della crudelt quanto lo sarebbe negare quello dei

8 Nel corso di un convegno organizzato a Napoli dal Dipartimento di Psicologia


della SUN nel 2012 (Parola e linguaggio nella situazione psicoanalitica. A partire
da Pierre Fdida), Gianni De Renzis, con il suo abituale acume, disse che in
Fdida c una teoria dellab-sance, dellassenza fondatrice della seduta.
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dolori fisici. Non si rimedia ai suoi effetti se piattamente la si attribuisce


a partiti o razze che, si crede, non hanno nulla di umano (1947, pp. 226-
228). Se Bataille invita a pensare che la cosa pi violenta in fondo proprio
che i nazisti sono dei nostri simili, il riferimento accoppiato Bataille-
Blanchot a consentire di mettere a fuoco con precisione ci che preme a
Fdida: se limpresa nazista quella di annientare la somiglianza stessa,
cancellando le tracce che rendono il simile riconoscibile come simile, il
lavoro inverso quello di riporre in relazione con lumano lo stesso volto
delle SS, di ritrarle fuori in un certo senso dal riparo dellinumano. Le-
sperienza concentrazionaria ha a suo modo spinto questa idea allestremo.
Fdida riprende a sua volta una testimonianza riportata da Primo Levi ne
I sommersi e i salvati (1986, p. 5), in cui un SS dice: Forse ci saranno
sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perch
noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova
dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dir che i fatti
che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti. Distruggere
con leccesso la stessa credibilit equivale a distruggere finanche lultima
traccia. Spingere la cancellazione il pi lontano possibile, fino alloblio, ma
non loblio di quel che accade sul piano di una relazione umana: il disu-
mano la distruzione di qualunque forma possibile dellumano. questo
che Fdida (p. 59) ritrova in Primo Levi: la Shoah la demolizione delluo-
mo. Se il rendere impossibile limmaginare, rendere impossibile il ricorso
allapparenza, lasse del paradigma Auschwitz, esso un paradigma
dellimportanza del simile (Fdida, 2007, cfr. pp. 82 sgg).
Questa prospettiva diverge in maniera radicale da quella per la quale
lidea di Auschwitz oggetto di memoria, cui poter fare riferimento come
a un oggetto da commemorare: Auschwitz fa quotidianamente parte del
nostro pensiero e, come Fdida ricorda, nelle scienze umane lo si rimos-
so9. Questo fa di Aushwitz una posizione antropologica fondamentale. Con
Auschwitz cambiato qualcosa: non pi possibile immaginare che il si-
mile sia il simile-vittima e che il carnefice sia il dissimile. Il riconoscimen-
to della somiglianza uno dei fondamenti della condizione umana; finch
possibile distinguere un carnefice da un non-carnefice, finch ancora
possibile identificare un umano sconosciuto come un semplice vivant qui
passe, vivente che passa, secondo lauto-assolutoria frase/pensiero attri-
buita da Maurice Rossel, ispettore della Croce Rossa, agli abitanti ebrei
di Theresienstadt che lo vedevano passare (Lanzmann, 1997, p. 42), si

9 Molto istruttive, a proposito delle memorie istituite (istituzionalizzate), alcune


pagine di Sur la scne intrieure (Cohen, 2013, pp. 45 sgg).
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ancora in condizione di ritrovare, riprendendo Antelme (1946), la comune


appartenenza alla specie umana. Tutto cambia quando a essere distrutte, in
modo sistematico, sono le tracce di questa appartenenza (quale apparenza
senza almeno una traccia?); ci che, tra le tante sempre troppe- pagine
possibili, insegnano quelle scritte da Hanna Lvy-Hass (Diario di Bergen-
Belsen: 1944-1945): qui lo sterminio lento, vilmente calcolato, tramite
la fame, il terrore, le epidemie scientemente non debellate gli uomini
muoiono per un trattamento infame, per la fame, per le umiliazioni, per i
vermi hanno finito per uccidere in noi non solo il diritto alla vita presen-
te e per molti di noi, certo, anche alla vita futura ma la cosa pi tragica
che, attraverso i loro metodi sadici e perversi, sono riusciti a uccidere in
noi ogni sensazione di una vita umana anteriore, ogni sentimento di essere
normali, dotati di un passato normale, fino alla coscienza stessa di essere
esistiti una volta come esseri umani degni di questo nome (p. 64, 67, e 52).
La posizione antropologica della Shoah allora fondamentale come
Fdida dice usando a suo modo la formula che Laplanche conia per la se-
duzione generalizzata perch levento della demolizione delluomo (Levi)
attraverso la cancellazione delle tracce di ogni somiglianza, insegna come
la possibilit di riconoscere una somiglianza e vedersi riconosciuti nella so-
miglianza sia ci che rende possibile immaginare sullaltro e su di s imma-
ginando anche la dis-somiglianza, la differenza. Se c un male assoluto,
ossia una forma di esercizio radicale della distruttivit, mira a questo: di-
struggere la capacit di inferire il simile nel dissimile e, di riflesso il riflesso
che fa propriamente psicoanalisi, verrebbe da dire il dissimile nel simile.
Questa tesi, che sembra richiamare quella di Green (1988, tr. it. p. 333)
sulla disoggettualizzazione (per spingere abbastanza lontano la distrut-
tivit nei confronti dellaltro, questultimo deve essere disogettualizzato,
ossia spogliato delle sue propriet di oggetto umano) porterebbe anche a
interrogarsi, in disaccordo con Green (per il quale la disoggettualizzazio-
ne incompatibile con il godimento sadico, che esige lidentificazione
con lalter ego masochista; ibidem) sul rapporto tra sadismo, crudelt e
distruttivit, perch, seguendo ad esempio Cupa (2006), la sadizzazione
delloggetto ad opera di una crudelt di morte, deriva da ci che, con
Chasseguet Smirgel, lautore chiama la hubris, ossia la pretesa perverso-
onnipotente che conduce a sottrarre allaltro la qualit di simile10. Il che
implica, come vedremo tra poco, dover pensare anche a altro, a altri effetti
privativi: non solo privare laltro della sua qualit di simile, ma privarlo

10 Si tratta di porre il perverso in continuit con Il male, traiettoria marcata con


insistenza ancora maggiore da Castel (2014).
R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 67

della possibilit di riconoscere egli stesso nellaltro umano un simile. Per


riprendere un esempio precedente: a partire da quale punto di riferimento
a se stessi gli abitanti ebrei di Theresienstadt avrebbero potuto ancora
riconoscere nella silhouette dellispettore Rossel un vivente?
Quale che sia la coloritura (sadica/non sadica) della pretesa disoggettua-
lizzante, la perdita ripetuta, inarrestabile, emorragica della possibilit
del riconoscimento del simile in s e nellaltro che, allinterno dellumano,
fa il disumano. La paziente chiamata Cynthia, che definisce la sua soffe-
renza come stato limite dellumanit, lo fa, scrive Fdida, certamente fa-
cendo anche allusione, nella sua storia genealogica, allo sterminio nazista
di cui i nonni paterni e materni sono stati vittime e a cui la madre, nata in
un campo di concentramento, miracolosamente scappata. Ma tutto questo
accade oggi per lei come se lolocausto non fosse n passato n a venire;
accade piuttosto in un tempo ineluttabile, che il quotidiano non trattiene
pi (Fdida, 1996, pp. 59-60).
Ancora una volta, quello proposto da Fdida non pertanto un paradig-
ma che cala dallalto. Lindicazione, lapprendimento dal singolo caso di-
viene poi apprendimento dallascolto, dai diversi ascolti, che nel seminario
(2007, p. 59) concernono essenzialmente, lo abbiamo ricordato, lascolto
del paziente psicotico o limite. Essere umani con un paziente difficile
significa questo: poter accogliere e prendere le misure, nellascolto, di ci
che nel simile diviene dissimile. Il disfarsi di quel tessuto di apparenza
umana questione, come visto, di grande importanza fa uscire dallor-
dine del simile e precipita in un orrore che tocca lo psicoanalista, o for-
se meglio che tocca allo psicoanalista, gli spetta: cosa ci viene chiesto
quando accediamo allorrore? Ci viene chiesto di ammettere che io sono
nauseante, che io, umano, sono nauseante, che sono io a portare que-
sta ripugnanza. Non andrei lontano se dicessi: di l i nazisti, di qua
gli ebrei. Questo il problema: evitare di fare questa bipartizione fallace
(Fdida, 2007, p. 56).
Lorrore come uscita dallordine del simile; intendo questo: il sentire
venir meno quello che dovrebbe essere un automatismo, cio il riconoscere
laltro come un simile e viceversa. Non solo in Totem e tab, ma anche nel
cuore stesso della metapsicologia Freud (1915) scriveva che nellinconscio
fondamentalmente funzioniamo cos, linferenza di base quella di attri-
buire allaltro il mio modo di funzionare; questa prima forma inferenziale
la nostra prima conoscenza dellaltro: io penso che tu sei un io perch
ti presto il mio modo di funzionare e cos posso farmi una rappresentazione
di te. Ma cosa mantiene nellordine del simile?
68 Perch il male

In un poscritto a Il linguaggio esce dal buio, George Steiner (1967,


p. 174) commentava un brano del discusso Treblinka (J.F. Steiner, 1966),
attirando lattenzione su un aspetto singolare, apparentemente secondario:
Una delle cose che non riesco a afferrare il rapporto temporale. In un
momento precedente del tempo razionale, il professor Mehring [la vittima
dei nazisti al centro del racconto Mehring noto perch, messo dai suoi
estimatori nella condizione di fuggire, scelse di restare nel ghetto di Lodz,
da dove fu deportato] era seduto nel proprio studio, giocava con i propri
figli . Scorticato vivo, era, in un certo senso, lo stesso essere umano ?
Ma in che senso? qui che la mia immaginazione si rifiuta di prosegui-
re. I due ordini di esperienza simultanei sono cos diversi, cos irriducibili
a una qualche norma comune di valori umani, la loro coesistenza un
paradosso spaventoso . Ci di fronte a cui limmaginazione di George
Steiner si rifiuta di proseguire lindicibile prossimit, lirrappresentabi-
lit della successione (un attimo prima era lo stimato professor Mehring e
giocava con i suoi figli, un attimo dopo un tronco scorticato); attraverso
il riferimento temporale, questo blocco rimanda a un interrogativo: che
cos che rende umano lumano? O meglio: che cos che, venendo meno,
scomparendo, pone a confronto un umano un simile con la possibi-
lit tragica di fare lesperienza di restare bloccato per sempre in ci
che dovrebbe essere unicamente una possibilit percepita, essere il proprio
disumano? Fare lesperienza: ossia la paradossale messa in rappresenta-
zione di quelle defaillances progressives ricordate allinizio, la paradossale
messa in rappresentazione dei cedimenti progressivi dellio; messa in rap-
presentazione paradossale che diviene per pensabile ricorrendo allana-
logia con lopera di cancellazione delle tracce, delle testimonianze sulla
continuit dellesperienza: la cosa pi tragica che sono riusciti a
uccidere in noi ogni sensazione di una vita umana anteriore.
Ci che Fdida pone in primo piano dellazione disumanizzante del na-
zismo il far venire meno la possibilit della testimonianza, che anche la
possibilit che un altro possa aiutare a riconoscere che a essere l e allora e
qui e ora la stessa persona, lo stesso vivente membro della stessa specie
umana di colui che osserva. Fdida lega la questione della testimonianza e
della cancellazione delle tracce a un tentativo di riflettere nuovamente sulla
funzione della costruzione dellimmaginazione in analisi. a questi inter-
rogativi, che fanno supporre allinterno di quel rapporto temporale come
unico continuum un continuum negativo, perch fatto di oblio, cancellazio-
ne delle tracce, sradicamento soggettivo, scomparsa, che si rivolge allora
limmaginazione analitica (ossimoro solo in apparenza) di Pierre Fdida.
Costruire limmagine delluomo laddove non si pu pi immaginare per-
R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 69

ch la testimonianza stata erosa: qui, per Fdida, pi di ogni altro lana-


lista che pu giungere in soccorso, perch il ruolo dellanalista quello di
immaginare (2007, p. 52).
Posto che non si tratta di un banale invito a farsi liberamente tutte le fan-
tasie possibili, si ha tutto il diritto di chiedersi di cosa stiamo parlando; cosa
pu voler dire che, come segnalavo allinizio, un discorso del genere per
Fdida ha un valore operazionale, ma direi anche, pi esplicitamente, un
valore di tecnica psicoanalitica? Lo mostra Corinne Ehrenberg (2007, p.
230), riportando unindicazione data unimmagine costruita da Fdida
nel corso di un lavoro di supervisione: umanizzarsi costruire delle labbra a
un buco. Disegnare, costruire delle labbra sui tratti che delineano un vuoto,
continuare a immaginare davanti a un bianco di immagini, costruire nuove
angolazioni che possano inserire in una sequenza ci che per il paziente
unicamente un fermo-immagine. Nella clinica con i casi difficili, la-
nalista spesso chiamato a fare principalmente questo, perch poi, forse, il
paziente possa farlo a sua volta, e non c dubbio che lindicazione di Fdida
a Ehrenberg sia dellordine di un autentico squiggle game verbale.
importante chiarire che la centralit assegnata da Fdida alla funzione
immaginativa dellanalista perduta se ci si lascia prendere la mano
dallidentificazione empatica. Per poter continuare a creare immagini
malgrado tutto (Didi-Huberman 2004 per questo lavoro manifesto
ha costantemente riconosciuto il proprio debito nei confronti della ricerca
condotta da Fdida), per poter passare dallimmaginazione alla costruzione,
occorre non identificarsi. Nella clinica dei pazienti difficili, se mi identifico
sono fottuto, diceva senza giri di parole Fdida, e lo stesso Bolognini (2002)
segnala un rischio analogo quando distingue tra empatia e empatismo. Li-
dentificazione rende impossibile percepire sin dal fluire della parola, soprat-
tutto nel fluire della parola, ci che Fdida definisce la dissomiglianza del
simile (p. 82), ossia quellesperienza di inquietante estraneit che inaugura
lanalisi. questo che fa s che, per inciso, Fdida arrivi anche a individua-
re un processo analitico umano-disumano (dallumano verso il disuma-
no: cfr. p. 82) che comincia con lesperienza perturbante e che non coincide
con lidentificazione ma con la possibilit dellego dellanalista di viversi
frammentato11. Una possibilit che fonda su, o fa il pari con, ci che Fdida
(1992) ha definito come pathei mathos, lapprendere psico-pato-logico che
deve contraddistinguere lanalista e la sua esperienza di vita, prima ancora
che la sua formazione. Riassumerei la questione cos: nella nostra vita no-

11 Il titolo completo del lavoro del 1996, sorto intorno al trattamento di Cynthia,
infatti Ltat limite de lhumanit et lego fragment de lanalyste.
70 Perch il male

stra di attuali analisti c stato qualcosa che ci ha messo di fronte alla ne-
cessit di postulare un funzionamento psichico dinamicamente determinato e
inconscio, e abbiamo imparato a credervi sulla base delle nostre personali
evidenze empiriche che sono diventate quelle di una comunit attraverso
le nostre analisi e poi attraverso la nostra attivit di analisti che condividono
i risultati delle analisi condotte. Linconscio ossia ovviamente i suoi deri-
vati (stato) per noi oggetto, oggetto di esperienza patica, prima che
concetto o nozione su cui interrogarci.
Di familiare, allora, lanalisi pu avere solo la familiarit con il per-
turbante, con lincontro con linquietante estraneit lestraneo familiare-
che caratterizza la vita delle due persone nella stanza danalisi. O, come
dice Fdida, la questione quanto si pu essere sensibili a quel momento,
che pu prodursi allinterno di una cura analitica, in cui il soggetto si sente
stranamente minacciato da un annientamento completo, totale, perch in
quel momento andato perduto quello scambio che costituisce il tessuto
dellumanit (2007, p. 46). Essere sensibili a quel momento ci che in-
staura il sito dellestraneo (Fdida, 1995).
Disumana allora lesperienza (p. 42) che Fdida invita a imma-
ginare anche attraverso il paradigma Auschwitz del disfarsi, nel senso
di sfaldarsi, di quella possibilit di percepire la somiglianza e la dissomi-
glianza del simile che al fondamento della situazione analitica perch
essa, come ricorda nel definire largomento del seminario (p. 43), entra
nella costituzione della vita psichica. Questa possibilit di percepire, di
esperire somiglianza e dissomiglianza del simile, quanto Fdida ha con-
siderato come un elemento costituente della capacit depressiva, ossia la
funzione di protezione al cospetto delleccitazione derivante dal vivere in
una condizione umana; protezione che ha a che fare con la scoperta dei
tempi della soggettivit umana, ossia con la scoperta della sospensione,
dellattesa, dellassenza. Parlando di ci di cui Cynthia appare priva (Fdi-
da, 1996, p. 59), Fdida usa lespressione lumana melanconia, ma
una capacit che connota lumano; la capacit potenziale di simulare la
morte psichica: Quello che intendo chiarire bene che quanto si chiama
depressione si definisce a partire da una posizione economica che concerne
R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 71

una organizzazione narcisistica del vuoto somigliante a una simulazio-


ne della morte al fine di proteggersi dalla morte (Fdida, 1976, p. 71)12.

Siamo stati invitati a partire da il male; la pista di Fdida ci ha ricon-


dotto, riconducendovi il male, alla psicopatologia quotidiana. Ci che
a il male si avvicina lo smarrimento progressivo di quella capacit
depressiva che consente di conservarsi nellapparenza umana, il processo
del disumano, che in quanto processo si scioglie dallumano solo asintoti-
camente. Ma lesperienza di alcune vite umane, suggerisce Fdida, realizza
nella sofferenza questo impossibile: raggiunge lasintoto, si ferma nel disu-
mano, e vive il male (ma il processo del disumano, aggiungerei comunque,
non il male). In questo modo, Fdida fa infatti rientrare nel campo di
esercizio della psicoanalisi qualcosa lannichilimento del vivente che
si pu essere tentati di considerare come non pertinente e fuori portata.
Non pensiamolo come un ente linumano, il male , sembra dire Fdida;
pensiamolo invece come un processo e lo ritroveremo nella quotidianit
depressiva.
In questottica, come ricorda lo stesso Fdida, non va sottovalutato il
sottotitolo del seminario, di cui Fdida discute a seminario ben avviato,
durante il primo incontro successivo allundici settembre 2001 (p. 79); con
la prospettiva aperta, quella del disumano come processo di dissoluzione
della possibilit della somiglianza, Fdida invita a ripensare lesperienza
della perdita, della scomparsa, cui una certa letteratura (lideologia dellog-
getto, la definisce) pu aver reso difficile guardare: Lesperienza della
scomparsa, in ognuno, lesperienza soggettiva per eccellenza. Dobbiamo
interrogarci sulla stabilit di un certo numero di concetti, diciamo su quelli
che costituiscono la doxa psicoanalitica: la separazione, il lutto, la perdita
Questi termini veicolano unideologia delloggetto, vale a dire tentano
di pensare mettendo avanti il modello principale del lutto. Quando parlo
di ideologia la intendo nel senso della domanda cosa successo nelle-
sperienza precoce del bambino?. Una separazione precoce dalla madre,
una morte vale a dire un pensiero in cui si conserva unoggettualit
delloggetto, pensato in termini di perdita, e dunque in termini di legame,

12 La depressivit, nellaccezione proposta da Fdida, non quindi una difesa di


natura secondaria, come p. e. appare nella considerazione di Marty (1968) e altri;
una generale funzione di protezione. Questa funzione di protezione al cospetto
delleccitazione fa pensare alle ipotesi freudiane sulla funzione di para-eccitazio-
ne riprese poi nella costruzione di unetiologia della nevrosi traumatica. Secondo
Fdida, la capacit depressiva pu invece essere avvicinata alla posizione de-
pressiva di Melanie Klein.
72 Perch il male

di rottura del legame; tutto ci detto senza fare il processo alle intenzio-
ni. Il crollo, lo sprofondamento, non daltronde unimmagine, n una
semplice metafora: il fatto che, di colpo, realmente, si disfa unesperien-
za di umanit. Lo si nota anche nei soggetti depressi, nel sentimento che
essi hanno di una cancellazione dellapparenza umana: il sentimento di
un decadimento, quando il volto, le parole, la voce, la stessa possibilit
di riconoscere le reazioni dellaltro, cominciano a disfarsi. Unottica che
rende per altro ragione dellimportanza che Fdida riconosce alla nozione
di informe (Fdida, 1994a).
Queste accentuazioni suggeriscono di fare, prima di chiudere, unultima
precisazione. Perch nonostante tutto l umano potrebbe apparire, in so-
stanza, come il buono da far prevalere; ovviamente non cos. Lumano,
la capacit/possibilit di riconoscere la somiglianza del simile, va legato
indissolubilmente, dialetticamente, allattrazione da parte e verso ci che
scompone (dis-) la somiglianza e lapparenza su cui si fonda. Questa ten-
sione fa s che un soggetto della specie umana sia fatto dellintreccio tra
umano e disumano.
La domanda allorigine di questo e degli altri scritti del volume, perch
il male?, allora, una domanda che per noi psicoanalisti lo specchio
della nostra specificit. Se ci chiediamo perch il male sempre perch
non escludiamo che in un soggetto vi possa essere un desiderio diverso dal
bene e anche dallo star bene (dal voler guarire). Non escludiamo che
in quel soggetto vi sia un desiderio/tensione di sciogliere lintreccio del
simile che lega il dissimile, desiderio/tensione a riconoscersi stabilmente
nel disumano. Non escludiamo, in fondo, la simpathy for the devil (Rol-
ling Stones, 1968), e non solo perch Freud (in una lettera del 24/10/1897)
scriveva a Fliess di sognare una Teufelreligion, una religione del diavolo
ossia di quel Lucifero che, tre anni pi tardi (lettera del 10/07/1900),
avrebbe ancora evocato a Fliess nella sua ibridazione con Amore13.
Tuttavia facile accorgersi che cos facendo il Teufel per cui siamo di-
sposti a ammettere di avere (dis)umana simpatia, il dis che possiamo
guardare, fissare, sembra quello intriso di Eros: il diavolo che se la spas-
sa nelle orge dei gironi infernali, non la forza informe e senza volto che
stringe, fino a stritolarlo, il volto sorridente di un bambino. il sogno di
una paziente gravemente depressa, al suo settimo anno di analisi: ero
una bambina, sorridevo, qualcuno mi abbracciava la stretta diventava
sempre pi forte e la faccia mi scoppiava.

13 Devo questi riferimenti a Barreau, 2012.


R. Galiani - Il male, il disumano, lapparenza 73

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