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DAL PROFONDO DELL’ANIMA – ESTRATTO DOCUMENTARIO C.G.

JUNG

La storia di una vita comincia da un punto qualsiasi, da un qualche dettaglio che per caso ci
capita di ricordare, ed a quel punto essa era già molto complessa.

Noi non sappiamo cosa sarà la vita, perciò la storia non ha inizio, e solo vagamente se ne può
arguire la meta.

Il ricordo dei fatti esteriori alla mia esistenza si è in gran parte sbiadito o è svanito nel nulla, ma
i miei incontri con l’altra realtà, i miei scontri con l’inconscio si sono impressi in modo indelebile
nella mia memoria, ogni altra cosa al confronto ha perduto importanza. Posso comprendere me
stesso solo in rapporto alle vicende interiori, sono queste che hanno caratterizzato la mia vita,
ecco perché parlo principalmente di queste esperienze; i sogni e le fantasie costituiscono
parimenti la materia prima della mia attività scientifica, sono stati per me il magma
incandescente dal quale nasce cristallizandosi la pietra che deve essere scolpita.

I miei ricordi risalgono al secondo o terzo anno di vita, ricordi frammentari, slegati, senza un
nesso apparente, fluttuanti in un mare di incertezze.

Soffrivo di indefinibili angosce notturne, percepivo presenze oscure, si udiva sempre lo scroscio
sordo delle cascate del Reno, intorno alle quali era una zona di pericolo, molti vi annegavano,
ed i loro corpi erano trascinati via dalla corrente.

Nel nostro giardino sporgeva un masso: era la mia pietra. Spesso quando ero solo andavo a
sedermi su quella pietra e cominciava allora un gioco fantastico, pressappoco di questo
genere: - “Sono io quello che è seduto sulla pietra o io sono la pietra sulla quale egli siede?”.
Non nutrivo dubbi che la pietra fosse in qualche oscuro rapporto con me e potevo starci seduto
per ore, affascinato dal suo enigma. La pietra non ha incertezze, non ha bisogno di esprimersi
ed è eterna, vive per millenni pensavo…mentre io sono solo un fenomeno passeggero che si
consuma in emozioni di ogni genere…come una fiamma che divampa rapidamente e poi si
spegne…Io, ero solo la somma delle mie emozioni, e qualcosa d’altro in me era la pietra senza
tempo…Ero costantemente alla ricerca di qualcosa di misterioso, mi immergevo nella natura,
quasi mi confondevo nella sua stessa essenza fuori dal mondo degli uomini.

Oggi come allora sono un solitario perché conosco ed intuisco cose che gli altri ignorano e di
solito preferiscono ignorare.

Il matrimonio dei miei genitori fu una prova di sopportazione irta di difficoltà, entrambi
facevano gli errori tipici di molte coppie. La mamma era un’ottima madre, ma sono sicuro che
in lei ci fossero due personalità: una innocua, umana…e l’altra inquietante, arcaica e spietata,
spietata come la verità e la natura.

Anche io posseggo questa natura arcaica che in me si combina col dono, non sempre
piacevole, di vedere la gente e le cose come realmente sono.

A 14 anni, durante le vacanze ai piedi del Reghi mio padre mi mise in mano un biglietto e
disse: - “Puoi andare sulla cima da solo”. Ero senza parole per la felicità. La locomotiva
cominciò ad arrampicarsi verso altezze vertiginose, dove abissi e paesaggi sempre mutevoli si
spalancarono ai miei occhi, finchè alla fine giunsi sulla cima, e li’, in quell’aria insolitamente
leggera, contemplai inimmaginabili lontananze.

Si, è questo il mio mondo pensai, il vero mondo, quello segreto, dove non vi sono insegnanti e
scuole e dove uno può essere senza dover chiedere nulla…Tutto era molto solenne, e avvertivo
al necessità di essere gentile e silenzioso perché mi trovavo nel mondo di Dio…qui il suo
mondo era tangibile.
I miei interessi e le ricerche erano dominati da un grave problema: che accade realmente nei
malati di mente?

Era una cosa che allora non riuscivo ancora a capire e alla quale nessuno dei miei colleghi si
era mai interessato. In quel momento Freud fu per me di vitale importanza specialmente a
causa delle sue fondamentali ricerche nel campo della psicologia dell’isteria e dei sogni.

Grazie al mio lavoro con i pazienti mi resi conto che le idee ossessive e le allucinazioni
contengono un nocciolo significativo, nascondono una personalità, la storia di una vita, paure,
speranze, desideri.

In un primo tempo avevo aderito all’opinione di Freud secondo cui nell’inconscio si trovano
residui di vecchie esperienze. La mia esperienza reale dell’inconscio mi induceva invece a
ritenere che questi residui non sono affatto forme morte ma appartengono alla nostra psiche
vivente. Presto mi resi conto che come base dell’interpretazione era giusto prendere i sogni
proprio cosi come sono, è questo il loro scopo, costituiscono la realtà di fatto dalla quale
dobbiamo partire.

Il sogno è la piccola porta occulta che conduce alla parte più nascosta ed intima dell’anima,
aperta sull’originaria notte cosmica che era già anima molto prima che esistesse la coscienza
dell’io. La coscienza divide, ma col sogno noi penetriamo nell’uomo più profondo, universale,
vero ed eterno, ancora immerso nell’oscurità di quella notte primitiva in cui egli era tutto, e
tutto era in lui, nella natura indifferenziata e priva d’ogni Io. Da questa profondità che collega
tutto nasce il sogno.

Talora con lunghi giri noi dobbiamo condurre l’individuo in una zona oscura, visbilmente
insignificante, irrilevante e inessenziale della sua anima, e dobbiamo fare ciò seguendo una via
che è stata abbandonata da tempo, riconosciuta come illusione, anzi, sciocchezza. Quella zona
non è altro che il fugace, effimero, grottesco prodotto della notte: il sogno, e la via è la
comprensione del sogno. Occuparsi dei sogni significa prendere coscienza di se. L’arte di
interpretare i sogni non si può apprendere dai libri, nessuno che conosca se stesso può
conoscere l’altro, e in ognuno vi è un altro che noi non conosciamo, che ci parla attraverso il
sogno e ci comunica un immagine diversa da quella che abbiamo di noi stessi.

Poiché i sogni mi interessavano profondamente mi senti’ impegnato a sondare per prima cosa
la mia stessa psiche. Si scatenò un flusso incessante di fantasie…ero inerme di fronte a un
mondo estraneo dove tutto appareva difficile e incomprensibile e forse, se non avessi tradotto
le emozioni in immagini, sarei stato distrutto dai contenuti dell’inconscio. Nel sostenere gli
assalti dell’inconscio ero saldamente aiutato dalla certezza di obbedire ad una volontà
superiore e questo sentimento mi diede forza finchè non dominai la situazione. Scrissi queste
fantasie nel libro rosso che completai con disegni. Misi ogni cura per cercare di comprendere
tutte le immagini e di classificarle razionalmente per quanto possibile e soprattutto di attuarle
nella vita. Tutte le mie opere, tutta la mia attività creatrice è sorta da quelle iniziali fantasie.
Grande è la responsabilità umana verso l’inconscio…sbagliare a capirlo o eludere la
responsabilità morale che abbiamo verso di esse significa privare l’esistenza della sua
interezza, essere condannati ad una vita penosamente frammentaria. Ho lavorato a questo
libro per 16 anni, l’osservatore superficiale lo prenderà per un’assurdità, e lo sarebbe
effettivamente diventato se non fossi stato in grado di afferrare la forza travolgente di
quell’esperienza originaria. La mia famiglia e la mia professione rimanevano sempre una
gioiosa realtà e una garanzia che ero normale e reale.
Nel 1918-19 mi trovavo a Chatoue-dex come comandante degli internati di guerra, là ogni
mattina disegnavo un piccolo cerchio, un mandala, potevo cosi, di giorno in giorno osservare le
mie trasformazioni psichiche. Capivo poco dei disegni, ma mi sembravano molto significativi e
li custodivo come gemme preziose, in essi vedevo come operava il Sé, la mia totalità. Vidi che
tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, portavano sempre in un sol punto,
cioè nel centro: mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro, è l’espressione di tutte le
vie, è la via verso l’individuazione.

Dio è una sfera infinita, o un circolo il cui centro è dovunque e la circonferenza in nessun
luogo…

Ben poca attenzione è dedicata all’essenza dell’uomo, cioè alla sua psiche, ho spesso visto
persone diventare nevrotiche per essersi accontentate di risposte inadeguate o sbagliate ai
problemi della vita; cercano la posizione, il matrimonio, la reputazione, il successo esteriore o il
denaro, e rimangono infelici e nevrotiche anche quando hanno ottenuto tutto ciò che
cercavano. Persone del genere di solito sono confinate in un orizzonte spirituale troppo
angusto, la loro vita non ha sufficienti contenuti, non ha significato, se riescono ad acquistare
una personalità più ampia generalmente la loro nevrosi scompare. Tra i cosiddetti nevrotici del
nostro tempo ve ne sono molti che in altre epoche non lo sarebbero stati, non sarebbero stati
cioè in disaccordo con se stessi: se fossero vissuti in un’epoca, in un’ambiente nel quale l’uomo
attraverso i miti era ancora in rapporto con il mondo ancestrale e quindi con la natura
sperimentata realmente e non vista solo dall’esterno avrebbero potuto evitare questo
disaccordo con se stessi.

Oggi si vuol sentire parlare di grandi programmi politici ed economici ossia proprio di quelle
cose che hanno condotto i popoli ad impantanarsi nella situazione attuale, ed ecco che uno
viene a parlare di sogni e di mondo interiore…tutto ciò è ridicolo, che cosa crede di ottenere di
fronte ad un gigantesco programma economico, di fronte ai cosiddetti problemi della realtà. Ma
io non parlo alle nazioni, io mi rivolgo solo a pochi uomini. Se le cose grandi vanno male, è solo
perché i singoli individui vanno male, perché io stesso vado male, perciò, per essere
ragionevole, l’uomo dovrà cominciare con l’esaminare se stesso, e poiché l’autorità non riesce
a dirmi più nulla, io ho bisogno di una conoscenza delle intime radici del mio essere soggettivo.
E’ fin troppo chiaro che se il singolo non è realmente rinnovato nello spirito neppure la società
può rinnovarsi poiché essa consiste nella somma degli individui.

Gradualmente , attraverso il mio lavoro scientifico, potei dare alle mie fantasie una solida base.
Carte e parole comunque non mi davano l’impressione di essere abbastanza concrete, avevo
bisogno di qualcosa di più: dovevo fare una professione di fede in pietra. Fu questo l’inizio della
torre, la casa che mi costrui’ a Bollingen. Dapprima non progettai una casa vera e propria, ma
solo una specie di dimora primitiva, a un solo piano. Doveva essere una costruzione rotonda
con un focolare al centro, avevo in mente una capanna africana, dove il fuoco circondato da
pochi sassi arde nel mezzo. Le capanne primitive realizzano un’idea di totalità, volevo
costruire una dimora che corrispondesse ai sentimenti originari dell’uomo, cosi nel 1923, sorse
il primo edificio circolare, e quando fu completato vidi che era una vera e propria torre. Nel
1927 feci aggiungere la costruzione centrale. Trascorsi altri quattro anni, la dipendenza a
forma di torre fu trasformata in vera torre, e nel 1935 , ancora una volta dopo un intervallo di
quattro anni, costrui’ un altro elemento. Erano cosi sorte le quattro parti dell’edificio, e questo
esattamente nel corso di 12 anni.

A Bollingen mi trovo nella mia vera natura, in ciò che esprime profondamente me stesso, sono
per cosi dire “l’antichissimo figlio della madre”. La torre, è un luogo in un certo senso di
maturazione, di grembo materno, nel quale è possibile diventare ciò che fui, sono…e sarò…

A volte è come se mi espandessi nel paesaggio e all’interno delle cose… e vivessi in ogni
albero, nello sciaquio delle onde, negli animali, nelle nuvole che vanno e vengono, nelle cose…

Non vi è nulla qui che non sia cresciuto e non si sia sviluppato nel corso dei decenni, nulla a cui
non mi senta legato…Tutto qui ha una sua storia, e la mia…Vi è lo spazio per l’infinito regno
sotterraneo della psiche.

A Bollingen mi circonda un silenzio quasi tangibile, si presentano pensieri che risalgono indietro
nei secoli e al tempo stesso anticipano un lontano futuro, si placa il tormento della creazione.
La creatività, e il gioco stanno l’uno accanto all’altro. Ho rinunciato alla corrente elettrica, io
stesso accendo il focolare e la stufa e di sera accendo le vecchie lampade, non vi è acqua
corrente, e pompo l’acqua da un pozzo, spacco la legna e cucino il cibo…questi atti semplici
rendono l’uomo semplice, e quanto è difficile essere semplici…

Nel 1950 eressi una specie di monumento di pietra per esprimere cosa la torre significasse per
me. Sul lato prospiciente, il lago, lascia per cosi dire che fosse la pietra stessa a parlare, in una
iscrizione latina:

“Sono orfano, solo, ma vengo trovato ovunque… Sono uno, ma ho di fronte il mio opposto.
Sono insieme giovane e vecchio. Non ho padre né madre, per questo devono trarmi dal
profondo come un pesce, per questo cado dal cielo come una pietra bianca, vago per boschi e
monti ma sono celata nell’intimo dell’uomo. Per tutti sono mortale, eppure il mutare dei tempi
non mi tocca. Qui, sta la comune pietra il cui prezzo è assai modesto quanto più è disprezzata
dagli stolti tanto più è amata dai saggi. Il tempo è un fanciullo che gioca a dadi, questo è
Telesforo che percorre le oscure regioni del cosmo e dal profondo risplende come una stella,
indica la 0via alle porte del sole e alla terra dei sogni.”

Il mare in cui nuotano i pesci inconsci è ora alla fine, l’acqua si trova ormai nella brocca
dell’acquario, cioè, nel vaso della coscienza. Siamo scissi dall’istinto, dall’inconscio…dobbiamo
quindi nutrire l’istinto per non inaridire…per questo l’acquario dà da bere al pesce.

L’inizio del 1944 mi fratturai una gamba, e a questa disavventura segui’ un infarto cardiaco. In
stato d’incoscienza ebbi deliri e visioni.
MI pareva di essere sospeso in aria, nello spazio, e sotto di me, lontano, vedevo il globo
terrestre avvolto in una splendida luce azzurrina e distinguevo i continenti e l’azzurro scuro del
mare. In molti punti il globo sembrava colorato o macchiato di verde scuro, come argento
ossidato. Scorgevo il deserto giallo-rossastro dell’Arabia come se l’argento della terra in quel
punto avesse preso una sfumatura di oro-rossiccio. Poi, seguiva il Mar Rosso. Sapevo di essere
sul punto di lasciare la terra… Vedevo ora a breve distanza un enorme blocco di pietra, era
sospeso nello spazio cosmico, e io pure fluttuavo per il cosmo. Alcuni gradini conducevano alle
porte di un tempio. Ebbi la sensazione che tutto il passato mi fosse all’improvviso tolto
violentemente…non di meno qualcosa rimase: consistevo della mia storia personale e
avvertivo con certezza “questo è ciò che sono”. Questa esperienza mi dava la sensazione di
estrema miseria e al tempo stesso di grande appagamento. Non vi era più nella che volessi o
desiderassi. Non sussisteva più il rimpianto che qualcosa fosse scomparso o fosse stato
sottratto…al contrario, possedevo tutto ciò che ero…e solo questo. Avevo ora la certezza di
entrare in una stanza illuminata e di incontrarvi tutte quelle alle quali in realtà appartengo… Là
finalmente avrei capito da quale nesso storico dipendesse il mio Io e la mia vita, e avrei
conosciuto ciò che era stato prima di me, il perché della mia venuta al mondo e verso che cosa
dovesse continuare a fluire la vita. Ma improvvisamente dal basso, dalla direzione dell’Europa,
fluiva l’immagine del mio medico, mi disse che c’era una protesta contro la mia decisione di
andarmene, non avevo il diritto di lasciare la terra e dovevo ritornare…la visione fini’…

Dopo la malattia cominciò per me un fruttuoso periodo di lavoro, molte delle mie opere
principali furono scritte solo allora. La conoscenza o l’intuizione che avevo avuto della fine di
tutte le cose mi diede il coraggio di intraprendere nuove formulazioni. Da allora in poi non mi
sono mai liberato completamente che questa vita sia solo un frammento dell’esistenza che si
svolge in un Universo tridimensionale, disposto a tale scopo. Pur rifugendo dalla parola
“eterno” posso descrivere la mia esperienza solo come “beatitudine della condizione non
temporale, nella quale passato, presente e futuro, sono una cosa sola.

E’ decisivo che l’uomo sia orientato verso l’infinito, è il problema essenziale della sua vita.
Quanto più un uomo corre dietro ai falsi beni e quanto meno è sensibile a ciò che è essenziale,
tantomeno è soddisfacente la sua vita, si sentirà limitato, perché limitati sono i suoi scopi. Se
riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l’infinito, i nostri
desideri e i nostri atteggiamenti mutano… Ma possiamo raggiungere il sentimento dell’infinito
solo se siamo differenziati al massimo livello possibile, se so di essere unico nella mia
combinazione individuale, e cioè limitato, posso prendere coscienza anche dell’illimitato.
Perciò, l’uomo ha bisogno per prima cosa di conoscere se stesso, guardando senza reticenze
quanto bene può fare, ma anche di quali infamie è capace.

Ciascuno è seguito da un’ombra, meno viene integrata nella vita cosciente dell’individuo, più
diventa nera e intensa. Nessuno sta fuori dalla nera ombra collettiva dell’umanità. Sarà quindi
bene avere un’immaginazione del male poiché soltanto gli sciocchi possono trascurare la
presenza della loro natura. Sono accadute e accadono tuttora cose terribili, ma sono sempre gli
altri che le hanno fatte; noi portiamo invece nel nostro essere invariate e inamovibili la
capacità e l’inclinazione a ripetere cose simili, siamo, in forza del nostro essere umani,
“criminali in potenza”.
Sia nella mia esperienza di medico che nella mia vita mi sono ripetutamente trovato di fronte al
mistero dell’amore, e non sono mai stato in grado di spiegare cosa esso sia. Qui si trovano il
massimo e il minimo, il più remoto e il più vicino, il più alto e il più basso, e non si può mai
parlare di uno senza considerare anche l’altro. L’amore soffre ogni cosa, e sopporta ogni cosa.
Queste parole dicono tutto ciò che c’è da dire, non c’è nulla da aggiungere. Perché noi siamo
nel senso più profondo le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’amore cosmico.

Essendo una parte, l’uomo non può intendere il tutto, è alla sua mercè. L’amore non viene mai
meno, sia che parli la lingua degli angeli, sia che tracci la vita della cellula con esattezza
scientifica risalendo fino al suo ultimo fondamento. Se possiede un granello di saggezza l’uomo
deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto, cioè con il nome di Dio…sarà una
confessione di imperfezione e dipendenza, di sottomissione, ma al tempo stesso una
testimonianza della sua libertà di scelta tra la verità e l’errore.

“Il primo uomo viene dalla terra ed è terreno…il secondo uomo viene dal cielo ed è spirituale…
che tu lo chiami o no, Dio sarà presente”

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