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INTRODUZIONE
ALLA
FILOSOFIA
( 1)
Ex libris
3
Città Armoniosa
Questo volume
è stato finito di stampare
nel mese di
febbraio 1982
presso le
Grafiche Dehoniane
in Bologna
per conto delle edizioni
Città Armoniosa.
Il titolo originale dell’opera è
Elements de philosophie
(introduction generale à la philosophie).
La traduzione
è di
Giulio Cusiano.
La notizia
è di
Piero Viotto.
Le edizioni
Città Armoniosa
(C.P. 2 9 1 , 42100 Reggio Emilia, tel. 0522/38788)
fanno parte
dell’attività editoriale
della
Città Armoniosa SRL.
INDICE
9
Prefazione dell’autore
15
INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA
17
Introduzione generale
21
Prima nozione della filosofia
25
Capitolo primo
107
Capitolo secondo
205
Appendice
213
Riassunto pro-memoria
223
BIBLIOGRAFIA E NOTE
Jacques Maritain
PREFAZIONE DELL’AUTORE
1.
9
Una certa maniera di preparare al baccalaureato sembra d’altron
de, confessiamolo, dare poca fiducia all’intelligenza degli studenti. Pun
tando unicamente sul risultato pratico, non si ottiene, pur prodigando
talora molto talento, altro che noia e mediocrità. Senza dubbio, le intel
ligenze medie o pigre si incontrano più spesso delle altre; la facoltà di co
noscere esiste tuttavia in ogni uomo e non chiede che di essere esercitata,
nell’età soprattutto in cui la pesantezza della vita non l’ha ancora fiacca
ta o in cui la famigliarità con l’errore non ha ancora indebolito molte
certezze del senso comune o, infine, nell’età in cui l’inquietudine del ve
ro è solitamente la più viva. Del resto, se è possibile (mediante un inse
gnamento serio benché elementare) soddisfare le menti profonde, non si
arriverà mai (qualunque impoverimento si faccia subire alla filosofia) ad
accontentare coloro che non vogliono, o non possono, fare uno sforzo
intellettuale.
Tuttavia, una difficoltà sussiste, e non pensiamo certo di dissimu
larla: in verità, è quasi impossibile, con il sovraccarico imposto dai
programmi in materia scientifica, ottenere in un solo anno di studio
un’istruzione filosofica, anche superficiale, sufficientemente compiuta:
sarebbero necessari due anni. Praticamente, i professori risolvono la
questione sia contentandosi di iniziare i loro allievi a nozioni generali
d’ordine letterario, sia (ed è questo che preoccupa maggiormente) accor
ciando e sacrificando deliberatamente alcune parti del programma. L’u
no e l’altro mezzo sono evidentemente vietati all’autore di un manuale (e
particolarmente di un manuale scolastico) che pretende di trattare non
solo gli argomenti che figurano nel programma ufficiale, ma anche tutte
le questioni che in sé sono essenzialmente attinenti alla filosofia, e senza
lo studio delle quali la formazione intellettuale dell’allievo rimarrebbe
realmente incompleta.
La soluzione da noi adottata è la seguente: la presente opera forme
rà un corso elementare completo, che conterrà di conseguenza più del
programma ufficiale. Ma tutti gli sviluppi che comportano qualche dif
ficoltà o che non fanno che precisare alcuni punti di dettaglio saranno
stampati con carattere tipografico minore; inoltre, e soprattutto, si
contrassegnerà con un asterisco ogni paragrafo lo studio del quale non è
necessario alla stretta preparazione del baccalaureato. Gli studenti che
mirano solo alla preparazione pratica dell’esame, potranno dunque tra
lasciare i paragrafi così segnati. Coloro invece (e se ne trovano, anche
fra i candidati al baccalaureato) che hanno lo zelo del sapere e il deside
rio di formare la loro mente troveranno utile leggerli. Quanto a coloro
che, in seguito a circostanze particolari, disponessero, per la filosofia, di
due anni di studio, non c’è bisogno di dire che non dovranno fare alcuna
distinzione tra i paragrafi con asterisco e i paragrafi senza asterisco.
Per rendere più facile l’uso di questo manuale, avremo cura d’al
tronde di indicare il numero di lezioni che ciascuna delle sue parti rag
10
gruppa e, di conseguenza, il tempo che richiede, approssimativamente,
per essere insegnata, nel caso ordinario di un corso di filosofia della du
rata totale di un anno o, più esattamente, di otto-nove mesi. Indichere
mo pure, dopo ogni grande divisione, la parte del programma ufficiale
che è trattata nella medesima divisione e vi aggiungeremo alcune indica
zioni pratiche concernenti la preparazione del baccalaureato, soprattut
to la dissertazione.
I nostri Elements de philosophie comporteranno due grossi volumi
in ottavo, che usciranno in fascicoli, ogni fascicolo essendo dedicato a
una delle grandi divisioni della filosofia, secondo l’ordine indicato alla
fine dell’Introduzione generale, che costituisce, essa sola, il primo fasci
colo. Abbiamo eliminato (almeno lo speriamo) ogni sviluppo inutile ed
ogni vana chiacchiera. Si comprende nondimeno, dopo le precedenti
spiegazioni, come non potevamo essere più brevi. Del resto si troverà,
unito ad ogni fascicolo, un riassunto pro-memoria, di cui lo studente
potrà servirsi per imparare le lezioni e che gli renderà più facile la revi
sione generale della materia alla fine dell’anno. Tutti questi riassunti
potranno essere rilegati insieme e formeranno così un memento molto
succinto e pratico.
2.
°) Metaphysica, quae circa divina «versatur, inter omnes philosophiae partes est ultima
addiscenda», Tommaso, Sum. contra Gent, 1,4.
«Dicitur metaphysica, id est transphysica, quia post physicam occurrit nobis, quibus ex
sensibilibus competit in insensibilis devenire», Tommaso, Sup. Boeth. de Trin., q. 5, a. 1.
11
scenza (che è il contrario di quello delle cose) ci fa procedere effettiva
mente dal meno astratto al più astratto, dal meno universale al più uni
versale, dalle realtà sensibili alle realtà che non cadono sotto i sensi; in
breve, dalle cose che sono più note e più chiare per noi a quelle che sono
più intelligibili e più chiare a causa della loro specifica natura.
«La metafisica» scrive il padre Hugon «tratta degli oggetti più dif
ficili e che non hanno più nulla di materiale. Ora, P ordine naturale po
stula che noi partiamo dal concreto e dal sensibile per elevarci successi
vamente all’astratto e all’invisibile. La filosofia naturale deve dunque
precedere la metafisica. È pur vero che molte nozioni di ontologia sono
necessarie nelle altre parti della filosofia (e per questo numerosi autori
pongono l’ontologia dopo la logica), ma queste nozioni possono essere
brevemente indicate nel corso dei diversi trattati, senza che occorra aver
visto tutta la metafisica4. Per rispondere a quel che c’è di fondato nelle
preoccupazioni pedagogiche degli autori ai quali il padre Hugon allude,
noi crediamo tuttavia che sia conveniente iniziare prima di tutto gli allie
vi ad alcune nozioni di ontologia veramente primordiali, che si possono
peraltro ridurre ad un minimo molto poco ingombrante (nozioni di es
senza, di sostanza e accidente, di potenza e atto). Si farà sempre uso di
queste nozioni, anche in logica: è importante perciò che esse siano sin
dall’inizio chiaramente presentate alla mente. Per questo, la migliore
disposizione, secondo noi, consiste nel farne, in una sezione àe\YIntro
duzione generale e, di conseguenza, ancor prima di abbordare la logica5,
un’esposizione sommaria e sintetica che, senza fare un doppione con lo
studio più scientifico che sarà dedicato a queste nozioni nel trattato di
ontologia, permetterà al principiante di acquisirne un’intelligenza suffi
ciente.
3.
12
mente conservati, sancte teneantur*. Affrettiamoci d’altra parte a di
chiarare che comunemente si fa dell’esagerazione eccessiva circa le pre
venzioni antiscolastiche degli esaminatori e che dopo molte diverse espe
rienze, sufficientemente prolungate, si ha la prova a posteriori che una
classe di forza media, educata nella filosofia scolastica (dopo che la si è
sufficientemente informata sui sistemi moderni del pensiero) affronta
l’esame di baccalaureato con almeno altrettante probabilità di successo
di una classe istruita in un qualunque pressapochismo eclettico. Senza
dubbio, la disciplina scolastica si presta malamente alle amplificazioni
senza senso, che sembrano connaturate a certi argomenti d’esame biz
zarramente scelti. Ma si può considerare questo inconveniente come co
sa da nulla rispetto alla superiorità reale di cui una vera formazione in
tellettuale è la ferma garanzia.
Qualcuno, dopo questo, si spaventerà della terminologia scolasti
ca? È facile rispondere che nessuna scienza, nessuna disciplina, persino
nessuno sport e nessuna attività artigianale possono costituirsi senza ri
correre ad una terminologia specifica, sovente molto più arida e molto
più artificiale che non il vocabolario dei filosofi. Chiedere, come si fa ta
lora, che il filosofo parli come tutti è supporre che la filosofia sia un’o
pinione di uso comune o una fantasticheria per la siesta e non quel che è
realmente, cioè una scienza; significa chiedere a un disegnatore di tenere
la matita come tutti, cioè come gli inesperti che non conoscono l’arte del
disegno. Ciò che bisogna esigere è che non venga usato alcun termine
tecnico prima di essere stato chiaramente spiegato e, inoltre, per quanto
riguarda il baccalaureato, che il professore insegni ai suoi allievi il modo
col quale è bene introdurre, in una dissertazione, al momento necessario
e non senza giustificarne l’uso, questo o quel vocabolo ritenuto desueto
dai moderni.
4.
6) Decreto della S. Congregazione per gli Studi, 27 luglio 1914. Cfr. il cànone 1366, par. 2,
del Nuovo Codice di Diritto Canonico: «Philosophiae rationalis ac theologiae studia et
alumnorum in his disciplinis institutionem professores omnino pertractent ad Angelici
Doctoris rationem, doctrinam et principia, eaque sancte teneant». Cfr. pure il Motu pro
prio dei 29 giugno 1914: «Sancte invio lateque servanda sunt posita ab Aquinate principia
philosophiae, quibus et talis rerum creatarum scientia comparatur quae cum Fide aptissi
me congruat, et omnes omnium aetatum errores refutantur; et certo dignosci licet quae
Deo soli sunt neque ulli praeter ipsum attribuenda; et mirifice illustratur tum diversitas
tum analogia quae est inter Deum eiusque opera».
13
mandarla come la sola vera e per il fatto che essa si accorda pienamente
con le verità della fede, pur tuttavia non è perché è cristiana che qui vien
proposta al lettore, ma perché è dimostrativamente vera. La sintonia di
questa filosofia (fondata da un pagano) coi dogmi rivelati è senza dub
bio un segno esteriore, una garanzia extra-filosofica della sua veracità;
ma non è da questa concordanza con la fede, ma dalla sua propria evi
denza razionale che essa trae la sua autorità di filosofia.
Tuttavia, la ragione e la fede, pur essendo distinte, non sono peral
tro separate; e, poiché ci rivolgiamo principalmente a lettori cristiani,
non ci siamo imposti il divieto di fare talora allusione, per meglio situare
la filosofia nel loro spirito e per aiutarli a conservare il loro pensiero nel-
Punità, sia alle conoscenze familiari ad ogni cattolico, sia a certe appli
cazioni teologiche dei principi filosofici. Ma sia ben chiaro che, nelle
nostre dimostrazioni e nella struttura stessa della nostra esposizione filo
sofica, non è la fede, ma è la ragione e la ragione soltanto che ha tutto lo
spazio e che conserva tutta Pautorità.
14
INTRODUZIONE
ALLA
FILOSOFIA
(PRIMA PARTE)
INTRODUZIONE
GENERALE
r Prima nozione della filosofia........................................par. 1
21
tendono devono essere chiamati filosofi piuttosto che
saggi.
Questa è la nozione della filosofia che ci procura
Fetimologia della parola, come Fuso che ne fa il lin
Un filosofo è un sag guaggio comune. Un filosofo è un uomo umanamente
gio (della saggezza o saggio. E colui che si presenta come filosofo s’impe
sapienza propria
mente umana). gna per ciò stesso a fornire agli uomini, sui grandi
problemi che li preoccupano, le più alte chiarezze cui
possa giungere la mente umana.
22
controversia, ma che già emana da questa ricerca storica, s’impone
naturalmente all’intelletto. Non abbiamo timore a insistere su que
sti problemi pregiudiziali, che ritroveremo poi, trattati da un altro
punto di vista, in critica. Essi concernono l’esistenza stessa, e la na
tura della filosofia.
23
CAPITOLO PRIMO
NATURA
DELLA
FILOSOFIA
1. NOZIONI STORICHE
SEZIONE I
IL PENSIERO FILOSOFICO
PRIMA DELLA FILOSOFIA PROPRIAMENTE DETTA.
31
con le conclusioni dei teologi8. Prescindendo peraltro
da ogni dato positivo, è molto conforme a ragione
pensare che il primo uomo abbia dovuto ricevere da
Dio la scienza così come l’essere, in modo che egli po
tesse continuare con l’educazione l’opera della sua pa
ternità.
Ma questa scienza, come la religione primitiva
con la quale faceva corpo, poteva conservarsi intatta
nell’umanità? Da un lato, alcune verità molto elevate,
trasmesse di generazione in generazione; dall’altro la
to, un’intelligenza dominata dai sensi e dall’immagi
nazione: l’effetto di una simile sproporzione doveva
essere fatalmente una progressiva alterazione della
tradizione adamitica, corrosa a poco a poco dall’o
blìo, contaminata da errori, invasa dalla corruzione
del politeismo e delle forme religiose più degradate
{animismo, totemismo, idolatria, magia, eccetera).
A dispetto delle alterazioni subite, questa tradizione
primitiva ha tuttavia conservato nell’umanità, lungo i
secoli, un tesoro (sempre più ridotto, è vero) di verità
essenziali. Numerose nozioni filosofiche, riguardanti
cioè i problemi più elevati che la ragione possa risolve
re, facevano parte di questo tesoro. Ma essendo inse
gnate solo tramite una tradizione religiosa, che corro
borava le conoscenze istintive del senso comune, dire
mo che vi si trovavano sotto un modo d’essere o uno
stato prefilosofico .
c) Primitivo quanto a questo o quel ramo particolare del grande albero umano e quanto ai
nostri mezzi d’investigazione storica, ma non certo primitivo in senso assoluto ; poiché
dietro a quel che noi chiamiamo lo stato primitivo dei popoli da noi conosciuti, vi è ancora
un lungo passato umano.
32
umana e la sua condizione dopo la morte, i precetti
morali. Tali conoscenze, che si trovano del resto pres
so di loro (come presso tutti i popoli), tanto più pure
quanto più si risale nella storia a tempi più antichi, es
si non le hanno mai sottoposte al vaglio e alle specula Presso i semiti, in ge
zioni della ragione; essi le ricevevano soltanto, come i nerale, e presso gli
egiziani, non c ’è filo
loro dogmi scientifici stessi, da una tradizione sacra. sofia.
La religione pertanto tiene qui il posto della filosofia:
mediante la religione, questi popoli possiedono delle
verità filosofiche; essi non hanno filosofia.
Gli ebrei si trovano, da questo punto di vista, nel
la stessa situazione degli altri popoli semiti. Sprezzan
ti nei confronti della saggezza umana e delle opere del
la ragione pura, per le quali del resto erano mal dota
ti, non hanno avuto filosofi, almeno sino a Filone, Gli ebrei, popolo
che visse al tempo di Cristo; ma hanno avuto i profeti, eletto della rivelazio
ne.
e la legge di Dio.
*5. — Le grandi civiltà ariane al contrario fan
no vedere tutte, sotto forme peraltro molto diverse,
uno sforzo tendente alla speculazione razionale e
propriamente filosofica. Ma eccettuata la Grecia (e
assai parzialmente PIndia) tale sforzo è rimasto ovun Presso gli ariani, in
que impotente a costituire una disciplina scientifica generale, sforzo ver
so la filosofia, ma
autonoma, distinta dalla religione. Qui non è la tradi impotente a costitui
zione religiosa che tiene il posto della filosofia, è piut re una filosofia di
stinta dalla religione.
tosto la filosofia, cioè la saggezza delPuomo, che pe
netra la religione e con essa si confonde. Il saggio
adempie una funzione sacra, non è il capo di una
scuola filosofica, è il fondatore di una setta religiosa o
anche di una religione.
33
(Ormuzd) e il principio del male (Arimane), che si dividono il domi
nio delle cose e la cui lotta senza tregua costituisce la storia del mon
do. Nella misura in cui Arimane s’identifica con l’Angelo ribelle
della tradizione primitiva, il mazdeismo tende pertanto a fare del
demonio un Dio che lotta contro Dio.
b) LA FILOSOFIA IN INDIA, a) Il Brahmanesimo. Presso i
popoli indiani, la cui storia intellettuale e religiosa è molto più
complessa (noi presentiamo qui soltanto l’interpretazione che ci pa
re più verosimile, non essendo ancora possibile in queste materie la
certezza), allorché l’antica religione (il vedismo primitivo4*) si mani
festa incapace di soddisfare le esigenze intellettuali e i bisogni socia
li di una civiltà più evoluta, si vedono (cosa assai curiosa) delle idee
filosofiche che sembrano provenire soprattutto da speculazioni sul
sacrificio e sui riti liturgici, ma che sono elaborate in uno spirito
ostile alle antiche tradizioni e al culto degli dèi, penetrare la classe
sacerdotale e dominare la mente dei sacerdoti. Questi, per accorda
re la conservazione del loro ufficio con le loro nuove opinioni, con
tinuano a compiere gli atti esterni del culto, ma dirigendoli verso le
forze indeterminate e occulte dell’universo e non più verso gli anti
chi dèi.
Da ciò, dopo un periodo di confusione, deriva la costituzione
di una nuova dottrina (il brahmanesimo o induismo) che in se stessa
è una filosofia, una metafisica, un frutto della saggezza umana, ma
che rivestita, per così dire, degli ornamenti sacri, appare un giorno
con la forza e gli attributi di una religione: si attribuisce ai libri che
la contengono (Brahmanas e Upanishad) un’origine divina, e sono i
sacerdoti che la divulgano. In modo che il brahmanesimo potrebbe
essere chiamato una metafisica sacra, ieratica, o divinizzata; e che
la dominazione della casta sacerdotale presso gli indù sembra realiz
zare, a modo suo, dall’V ili secolo prima della nostra èra, quel re
gno sociale e spirituale del filosofo-sacerdote e della scienza-
religione, del quale sognavano certi pensatori del XIX secolo.
È vero che la scienza umana che questi ultimi volevano diviniz
zare era la scienza dei fenomeni, quella che viene chiamata la scien
za positiva, che non è una sapienza, nemmeno umana, e che non
può produrre l’ordine in nulla, come Agusto Comte giustamente af
fermava. Mentre la scienza umana divinizzata dal brahmanesimo è
la scienza delle realtà supreme, la metafisica, la sapienza dell’uomo
propriamente detta. Metafisica vigorosa, sembra (per quanto si può
0 Dal nome dei più antichi libri sacri indù, chiamati Veda (scienza). Il Rig-Veda non
sembra risalire oltre il XII secolo a.C.
Il vedismo primito appare come una religione politeista poco coerente e a tendenza vaga
mente panteista.
e) Dal nome della forza occulta e sacra, operante l’efficacia dei riti e penetrante ogni cosa,
che veniva precedentemente considerata come la prima emanazione del Dio supremo e che
è divenuta per i brahmani l’unica sorgente dell’essere. Il nome maschile Brahmà designa
preferibilmente il principio primordiale come Dio, come Signore; il nome neutro Brahman
lo indica piuttosto come sostanza unica e impersonale.
0 Dal nome del principio di vita (il sé trascendente dalle apparenze individuali) che veniva
considerato come ciò ehe anima l’uomo e l’universo.
34
dedurre da documenti la cui interpretazione rimane ancora molto
incerta), ma, provenendo da una ragione non ancora disciplinata,
incapace di distinguere e di sfuggire alle contraddizioni interne,
trascinata dal sogno di una conoscenza intuitiva del Tutto più ange
lico che umano e perduta nella sua stessa ambizione.
Secondo questa metafisica, considerata almeno nelle sue ten
denze predominanti, il principio del mondo, chiamato Brahmà* op
pure Atman^ è esso stesso quel che costituisce Fintima realtà di tut
to ciò che veramente esiste: donde deriva logicamente il panteismo,
ovvero la confusione di Dio e delle cose10. Come peraltro cercar di
sfuggire al panteismo? Questo principio supremo che non possiede
né personalità né conoscenza, di cui non si può affermare attributo
alcuno, che infine è assolutamente inconoscibile mediante un qual
siasi concetto, per quanto universale esso sia, nemmeno mediante il
concetto di essere, cosicché lo si deve chiamare Non o Non-essere, è
l’unica vera realtà: tutto ciò che è molteplice e limitato, tutto ciò che
conosciamo con i nostri sensi e anche tutto ciò che conosciamo con
la nostra intelligenza, non esiste dunque come tale se non in un mo
do illusorio, è pura apparenza: idealismo o negazione della realtà
propria del mondo e delle cose. Ma che questa apparenza o questa
illusione sussista, è un male, è il male stesso. L’esistenza delle cose
individuali e di quell’immensa delusione che si chiama la natura
(Maya), e che ci tiene prigionieri del molteplice e del cangiante, è es
senzialmente cattiva, è la fonte di ogni dolore.
Pertanto il problema del male sembra dominare tutta la specu
lazione dei metafisici dell’India, come quella dei saggi della Persia.
Ma i persiani, vólti piuttosto verso l’azione, cogliendo il male so
prattutto sotto l’aspetto del peccato e assillati dalla distinzione del
bene morale e del male morale, con la quale tentano di separare me
tafisicamente l’essere dalle cose, sfociano nel dualismo. Gli indù, al
contrario, dediti esclusivamente alla contemplazione, colgono il
male soprattutto sotto l’aspetto del dolore o piuttosto della priva
zione nel senso che i metafisici danno a questo termine11; e sconvolti
dal sentimento profondo di una grande verità che non sanno affer
rare (poiché è ben vero che è meglio per noi non essere che esistere
senza essere uniti a Dio, ma essi credono addirittura che è meglio
per tutte le cose non essere che esistere senza essere Dio), giungono
ad un pessimismo che, molto diverso senza dubbio dal pessimismo
romantico di uno Schopenhauer, appare innanzitutto come la steri
le rinuncia di un’intelligenza orgogliosa e che vuol bastare a se stes
sa.
Che cosa insegna allora la sapienza agli uomini? Essa insegna
loro a liberarsi dal dolore e dall’illusione. E perciò a liberarsi da
ogni esistenza individuale. I brahmani professavano la dottrina del
la trasmigrazione delle anime o metempsicosi; essi ritenevano che le
anime, alla morte dell’organismo che animano, passassero in un al
tro organismo, vivendo così successivamente in corpi differenti, di
uomini, di animali o di piante12. Il castigo dei malvagi e degli stolti
consiste pertanto nel continuare a subire, mediante queste reincar
nazioni, la miseria dell’esistenza individuale. L’anima dei saggi, in
vece, è sciolta dal giogo della trasmigrazione, è assorbita o riassor
bita in Atman e ivi sfugge ai dolori del mondo perdendo ogni distin
zione personale.
La morale brahminica13 insegna i mezzi per giungere a questa
liberazione e il saggio vi tende sin da questa vita mediante la con-
templazione. Il brahmanesimo infatti non ignora che la beatitudine
ha inizio quaggiù con la contemplazione. Ma come esso s’inganna
sulla natura della beatitudine, s’inganna parimenti su quella della
contemplazione. La contemplazione alla quale il saggio mira non è
in realtà altro che una contemplazione metafisica o piuttosto una
specie di visione sopra-razionale che egli s’immagina di realizzare
con le sole forze naturali dell’intelligenza creata: contrariamente al
la contemplazione cristiana, essa è il frutto della sola intelligenza,
non della carità soprannaturale e della sapienza infusa, che le è con
giunta; essa ha per scopo l’unione con Dio mediante la conoscenza e
non mediante l’amore; invece di ammettere un’azione che trabocchi
dalla sua propria sovrabbondanza, tale contemplazione si separa
nettamente dall’azione, che lascia completamente alle forze inferio
ri. Ed è per mezzo di questa contemplazione metafisica che il brah
manesimo pretende di farci iniziare il possesso del nostro fine ulti
mo e la nostra beata condizione di liberati. Volendo pertanto con
quistare con le sole forze umane quelle cime cui la grazia unicamen
te può attingere, il brahmanesimo finisce in uno pseudo-misticismo
puramente intellettuale (all’opposto di altre forme puramente affet
tive di pseudo-misticismo) in cui il saggio, sperando non solo di ade
rire a Dio ma di confondersi con lui, si inebria lui stesso, non di
Dio, ma del suo proprio annientamento. Da ciò (eccettuato il caso
di una vita spirituale autentica che la grazia è sempre libera di susci
tare) derivano tante contraffazioni della mistica divina; e tutto un
insieme di esercizi e di pratiche ascetiche, unite (nei gradi più infe
riori, i fachiri) a quelle prove di forza di una mortificazione esagera
ta che mostrano come l’afflizione della carne, quando non è regola
ta dalla ragione e dettata dall’amore, sia ingannatrice non meno
della voluttà. Naturalismo, questa è dunque l’ultima caratteristica e
il vizio capitale del brahmanesimo8, come in generale di ogni misti
cismo filosofico che derivi dal brahmanesimo, dal buddismo, dal
neoplatonismo e dall’Islam.
β) Il buddismo. A partire dal VI secolo, nuove scuole nascono
in India, le une ortodosse, le altre eterodosse. Fra tutte queste scuo
le, la principale è quella di £akya-Muni soprannominata il Budd-
h a \ cioè l’illuminato, il saggio. Il buddismo, dottrina essenzialmen
te negativa e dissolvitrice (orientata del resto verso la pratica più che
verso la metafisica e la speculazione) può essere guardato come la
corruzione e la decadenza della filosofìa brahminica.
Sostituendo ciò che passa a ciò che è, rifiutandosi di dire che
una cosa è o non è, e non volendo conoscere altro che una successio
ne di formazioni instabili senza alcun fondamento fisso e senza al
cun principio assoluto, in altri termini premettendo all’essere quel
che viene chiamato il divenire o il fieri, esso appare, proprio nel
*) Non vogliamo dire che il brahmanesimo cada nell’adorazione della natura sensibile, al
di sopra della quale al contrario vuole assolutamente innalzarsi; intendiamo qui, col termi
ne naturalismo, la pretesa di giungere all’unione divina e alla perfezione senza il soccorso
soprannaturale della grazia.
36
tempo in cui in Grecia Eraclito formulava la filosofia del divenire,
come un perfetto sistema evoluzionista ; del resto, se dichiara che
resistenza di Dio, come quella d ’un io sostanziale o di un’anima im
mortale, è inconoscibile (agnosticismo), la sua vera tendenza è di
negare resistenza di Dio {ateismo) e di sostituire ogni sostanza con
una corrente o un flusso (concepito peraltro' come reale in se stesso)
di formazione o fenomeni (fenomenismo)1. Così la metempsicosi
consiste per lui nella continuità di una catena di pensieri e di senti
menti {corrente di coscienza, come si direbbe ai nostri giorni) che
passa da un modo d’esistenza all’altro in virtù di una specie di slan
cio verso la vita dovuto al desiderio d’essere; poiché è il desiderio la
causa dell’esistenza, e noi siamo ciò che abbiamo pensato.
Nello stesso tempo la dottrina della liberazione dal dolore, che
domina tutto nel buddismo più ancora che nel brahmanesimo, cam
bia d’aspetto e peggiora ulteriormente. Il male non è più soltanto
avere un’esistena individuale o personale, il male consiste nell’esi
stere, è male l’essere, e il desiderio è la fonte di tutte le sofferenze. Il
saggio deve pertanto distruggere in sé l’aspirazione naturale dell’uo
mo verso l’essere e verso la felicità o pienezza d’essere; egli deve ab
bandonare ogni speranza e spegnere ogni desiderio. Giungerà in tal
modo allo stato di vuoto o d’indeterminazione totale chiamato nir
vana (letteralmente nudità, metaforicamente immortalità, refrige
rio, sponda deirai di là..., questo termine essenzialmente oscuro
non è mai stato definito dal Buddha) che lo libererà dal male dell’es
sere e dal giogo della trasmigrazione e che, seguendo lo sviluppo lo
gico dei principi buddisti, dovvrebbe essere considerato come l’an
nichilimento dell’anima stessa. L’anima infatti non è che la catena o
la corrente dei pensieri e dei sentimenti che devono la loro esistenza
al desiderio d’essere; spegnere questo desiderio, significa dunque
spegnere l’anima.
Verso il nirvana il buddismo orienta tutti i suoi esercizi ascetici
che desume dal brahmanesimo (mitigandoli notevolmente) e tutti i
precetti della sua morale*, ordinata pertanto non a Dio ma ad una
sorta di nulla mistico come fine ultimo. La morale buddista ha del
resto l’uomo soltanto, e non Dio, come sua origine e regola supre
ma; essa si scaglia contro il sistema delle caste che, portando all’ec
cesso le esigenze dell’ordine sociale, crea tra gli uomini come delle
differenze di razza, ma tende a dissolvere ogni ordine sociale in un
egualitarismo e individualismo assoluti. Essa prescrive infine la be
nevolenza universale (spinta sino alla proibizione di uccidere gli ani
mali e al regime vegetariano obbligatorio), l’elemosina, il non
ricordo delle ingiurie, la non-resistenza ai malvagi; ma questo non
per l’amore del prossimo stesso, al quale si debba in coscienza vole-
*) Intendiamo qui il termine morale in un senso molto largo (dottrina dei costumi ovvero
dei comportamenti etici). Se si usasse questa parola con un significato che implicasse
Vobbligo morale (il quale non trova il suo fondamento ultimo se non nella nozione cristia
na di Dio, creatore e trascendente), bisognerebbe dire che il buddismo, come del resto tutte
le dottrine orientali (indiane o cinesi) non comporta una morale.
37
re positivamente del bene (cioè dell’essere), bensì per fuggire perso
nalmente il dolore e per smorzare ogni attività e ogni energia in una
specie di estasi umanitaria. Il buddismo ci mostra perciò come la
dolcezza e la pietà, quando non sono regolate dalla ragione e dettate
dall’amore, possono deformare l’uomo così come la violenza, es
sendo allora un segno di fiacchezza e non di carità.
Questa dottrina di disperazione non è soltanto un’eresia riguar
do al brahmanesimo, è un flagello intellettuale per l’umanità, poi
ché deriva dalla dissoluzione della ragione. E vi si trovano già quasi
tutti i grandi errori che s’attaccano alla ragione nei tempi moderni.
Se essa viene esaltata ai giorni nostri con tanto favore in certi am
bienti europei, questo avviene perché tutti gli spiriti che vogliono
trarre dalPumanitarismo una morale di bontà per un mondo senza
Dio, sono già virtualmente buddisti.
y) Altre scuole indiane. Il buddismo è una filosofia, agnostica
e atea, ma usurpa le funzioni sociali e rituali di una religione. È a ti
tolo di religione che si è diffuso presso tante migliaia di uomini'. In
alcune delle altre scuole sorte dal brahmanesimo (scuole ortodosse
queste) si trova invece uno sforzo verso la distinzione normale tra
filosofia e religione.
Questi sistemi filosofici si presentano del resto, sembra, meno
come sistemi differenti che come punti di vista complementari ri
guardo a una sola e medesima dottrina, riguardo cioè alla metafisi
ca brahminica. Non parliamo del Vedanta, suprema espressione di
questa metafisica e della dottrina della liberazione; né della Miman-
sa, una specie di trattato sui riti, e sulle influenze invisibili che ema
nano da ogni azione; né del Sankhya, attibruito a Kapila (V ο VI se
colo a.C.), che tratta del sistema di emanazione insito nelle cose e
che sembra professare come Platone il dualismo psicologico, spie
gando il dolore con l’unione che le anime contraggono con la mate
ria; né dello Yoga, che insegna i procedimenti pratici che conduco
no alla contemplazione, cioè alla perdita di ogni coscienza e all’i
dentificazione con l’essere universale (Ishwara) mediante una co
noscenza sovra-razionale. Ma il sistema Vaisheshika, attribuito a
Kanada (verso il IV secolo a.C.?), abbozzando una sorta di cosmo
logia e sforzandosi di dividere tutto ciò che è in un certo numero di
classi fondamentali o categorie: sostanza, qualità, azione, universa
lità, particolarità, relazione, e cercando di spiegare i quattro ele
menti della materia ponderabile: terra, acqua, aria, fuoco, con l’u
nione di particelle indivisibili e indistruttibili (atomi'4, nel linguag
gio filosofico); e la dottrina Nyàya, fondata da Gotama, tentando
di costruire una teoria del ragionamento e della dimostrazione (cioè
una logica), molto confusa e molto incompleta del resto, queste due
dottrine appaiono come gli abbozzi di un’opera propriamente e uni
camente filosofica. Nulla di compiuto tuttavia è stato mai tratto da
questi accenni e il pensiero dei popoli dell’India non è mai giunto al
la costituzione di una disciplina razionale autonoma.
0 Tuttavia, nella misura in cui ha avuto così larga presa sull’umanità, ha cessato d’essere
ateo, per cadere peraltro nelle nozioni più degradate della divinità; cosicché, il buddismo
volgare, praticato oggi in molte regioni dell’Asia, ove ha assunto le più varie forme di
adattamento, non è che un culto idolatrico che differisce interamente dal buddismo filoso
fico.
c) LA FILOSOFIA CINESE. Se ci si volge infine verso Γestre
mo-oriente e verso l’antichissima civiltà cinese15, si constata che
l’antica religione della Cina, che sembra essere stata all’inizio assai
pura16 si corruppe grossolanamente e si materializzò, a partire dal
XII secolo a.C., sino a sostituire il cielo17 a Dio, ad adorare il sole e
la luna, a rendere un culto divino alle anime degli antenati e agli spi
riti e a lasciarsi invadere dalla magia e dalla stregoneria. Perciò i
saggi dovettero, anche qui, mettersi all’opera per tentare di rimedia
re a una decadenza che verso il VI secolo a.C. minacciava di manda
re tutto in rovina.
Si è creduto a lungo che i saggi cinesi non siano stati che dei
moralisti tutti occupati a regolare le azioni degli uomini e compieta-
mente sprovvisti di profondità metafisica. Questa opinione è vera
solo riguardo a Confucio e alla sua scuola, sembra inesatta riguardo
a Lao-Tzu, benché convenga usare con riserva le interpretazioni
proposte da certi iniziati moderni del taoismo.
Secondo costoro, Lao-Tzu, nato nel 604 a.C., s’ispira egli stes
so ad una tradizione il cui monumento più antico è lo Yi-King, un
libro che consiste essenzialmente in sessantaquattro simboli grafici
(esagrammi o trigrammi doppi), prodotti secondo una serie di di
sposizioni meccaniche18 dalla combinazione di segni più semplici, e
suscettibili di una moltitudine di interpretazioni (metafisica, logica,
matematica, morale, politica, astronomica) che si corrispondono
analogicamente da un piano all’altro. Sembra che la metafisica del
lo Yi-King sia preoccupata innanzitutto di queste problema: come
può l’Assoluto, che basta interamente a se stesso, agire e manife
starsi? Essa ammette nel grande principio unico, o perfezione, due
aspetti differenti: Khien, fonte immobile e inconoscibile di ogni at
tività, e Khouen, attività conoscibile, che manifesta eternamente
la perfezione in un’evoluzione a spirale e in una corrente di forme
senza fine; ma questi due aspetti si identificano in una sola e mede
sima entità, e tutte le cose, dopo essere passate per tutte le forme
dell’evoluzione (di cui il ciclo umano non è che una delle spirali)
debbono ritornare a Khien. Tale metafisica deve dunque essere ca
ratterizzata come una specie di panteismo19 evoluzionista. Essa co
stituisce la base del sistema di Lao-Tzu (taoismo) che vi aggiunge
soprattutto una preoccupazione di esoterismo e di ascesi20. È per il
Tao (la Via), termine e mezzo eterno dell’evoluzione, che passano
tutte le cose, per giungere infine al non-agire supremo (il nirvana ci
nese, detto nibban) in cui sono reintegrate nel non-essere e s’identi
ficano col principio di ogni attività. Il saggio, imitatore del Tao, si
ritira da ogni cosa, poiché la Via, che ha nondimeno prodotto gli es
seri, non partecipa ai loro movimenti. Avendo costruito questa ca
sa, essa non vi abita. Distaccato dalle ricchezze, dalle passioni, dal
l’esperienza sensibile, sapendo che il male non è che apparente, egli
s’innalza nella solitudine, nel segreto, nell’umiltà (un’umiltà che
non ha nulla dell’umiltà cristiana e che non è altro che prudenza e
disprezzo nei riguardi degli uomini), sino ad uno stato di conoscen
za perfetta in cui non agisce più, se non mediante la pura intelligen
za. La sapienza a cui conduce l’ascetismo taoista, che usa l’oppio
come l’ascetismo buddista usa l’ipnosi, questa sapienza illusoria è
per gli uomini principio di rivolta; pertanto bisogna tenerla nasco
sta, per sé soltanto e per una ristretta cerchia di discepoli ermeticim).
Quanto a Confucio (Khung-fu-tzu, 551-479 a.C.) che, contra
riamente a Lao-tzu, rappresenta in Cina la saggezza media e prati-
39
ca, accessibile a tutti grazie all’insegnamento pubblico e all’attività,
egli conserva indubbiamente di questa antica saggezza numerose ve
rità, ma trascura ogni questione primaria, e si chiude in una morale
puramente umana, sociale, terrestre e persino terra-terra. «L’op
portunismo» egli dice «è la caratteristica del saggio. Ogni piano
prestabilito, ogni decisione presa in anticipo è un male. Bisogna se
guire in tutto una via media, camminare senza un’intenzione deter
minata, non abbracciare nulla con passione, nulla respingere per
antipatia, fare ciò che più conviene, per quel momento, nel caso
specifico, man mano.» Il confucianesimo, dottrina fatta per la
grande massa, ha finito per cadere nel puro materialismo. Il taoi
smo, che pretende di rivolgersi ad un’élite e che, se l’interpretazione
di cui sopra è esatta, costituisce col brahmanesimo uno degli sforzi
più singolari che l’uomo abbia tentato per raggiungere, in quell’i
gnoranza dell’amore che sembra una caratteristica primitiva del
pensiero orientale, una saggezza esclusivamente intellettuale, in cui
l’uomo deificherebbe se stesso mediante la metafisica, ha conosciu
to in Cina delle alternative di trionfo e di oppressione; esso ha orga
nizzato, sin dai primi secoli della nostra èra, sembra, alcune società
segrete, ove si è rifugiato definitivamente dal XVII secolo e ove è di
ventato un occultismo filosofico e politico dei più pericolosi.
d) Ci rendiamo conto, per mezzo di questa breve rassegna sto
rica, quale sia l’importanza che hanno nella vita dell’umanità i sag
gi e la saggezza umana. Per tutte queste genti che stavano ai confini
con le tenebre, senza insegnamento divino circa la verità, non vi era
scampo, allorché le religioni più o meno corrotte, staccate dalla tra
dizione primitiva, furono diventate impotenti a soddisfare i bisogni
dell’animo e della vita comune, se non nella saggezza fornita dalla
ragione umana; saggezza che nelle civiltà di cui abbiamo parlato or
ora, lungi dal distinguersi dalla religione, violava il dominio di
questa e pretendeva di condurre gli uomini al loro fine ultimo, sino
al punto che si trovano realizzate in India con pieno successo, da
parte del brahmanesimo, e quella divinizzazione della metafisica,
che ha minacciato il mondo greco-latino sotto l’imperatore neo
platonico Giuliano l’Apostata, e quella trasfusione di un sistema
umano nella religione, che la filosofia di matrice kantiana ha tentato
nel XIX secolo (il modernismo), come se l’operazione che riuscì sul
vedismo potesse riuscire sulla religione di Gesù Cristo.
Costatiamo pure come questa saggezza umana abbia fatto
ovunque fallimento e come, prima ancora che la filosofia si sia co
stituita in scienza autonoma, la maggior parte dei grandi errori filo
sofici siano già stati formulati. Sin dall’inizio sono i problemi più
elevati che si ergono come montagne dinanzi al pensiero dell’uomo,
il problema del male, il problema dell’essere, il problema del diveni
re e del fluire delle cose; come meravigliarsi che questo pensiero,
che rischia l’errore dal momento in cui si innalza al di sopra delle
verità elementari percepite dal senso comune, pensiero ancora male
affermato e indisciplinato e tanto più ambizioso, abbia barcollato
sin dai primi passi ed abbia inaugurato l’alta speculazione col dua
lismo di Zoroastro, il pessimismo indù, il panteismo e l’idealismo
m) « Vuotate le teste e riempite gli stomaci» consiglia Lao-Tzu all’uomo di Stato, «debilita
te gli spiriti e fortificate le ossa. Istruire il popolo significa rovinare lo Stato.»
40
dei brahmani, Pevoluzionismo ateo del Buddha, la saggezza illuso
ria di Lao-Tzu? Ovvero, al contrario, come meravigliarsi che questo
pensiero non si sia fatto umile se non per cadere nel positivismo mo
rale di Confucio, abdicando a tutta la sua grandezza e rinunciando
alla sua ragion d’essere? Non ci meravigliamo neppure se più tardi,
dopo che la filosofia si sarà formata, ci capiterà di ritrovare i mede
simi errori: l’errore, in qualunque epoca della storia umana si veri-
fichi, provenendo da una deficienza della ragione, è come un ritor
no delle prime debolezze di questa medesima ragione e appare per
tanto come regressivo per natura.
Ma quel che occorre sottolineare qui, e quel che ci mostra an
che troppo bene questa specie di preistoria della filosofia, è che quei
grandi errori non costituiscono affatto delle vane e trascurabili mi
nacce: essi possono avere successo, per la sventura delle disgraziate
civiltà che colpiscono di sterilità. La verità (in tutto ciò che supera i
dati del senso comune), la verità (come potrebbero credere volentie
ri coloro che hanno avuto la gioia di nascere in un mondo plasmato
da essa) non è data all’uomo già fatta, come un bene di natua. Essa
è difficile da conquistare, dura a conservarsi; è una fortuna eccezio
nale possederla, senza mescolanza di errore, e nell’insieme comples
so dei suoi aspetti complementari. Come dunque è giusto riconosce
re il beneficio dell’insegnamento rivelato, che ci dona dall’alto, in
sieme con la conoscenza della verità soprannaturale, inaccessibile
alla ragione, il possesso sicuro e tranquillo degli elementi essenziali
di quella stessa verità d’ordine naturale che, in sé, è accessibile alla
nostra conoscenza e che la nostra conoscenza è così abile nel perde
re di vista! Ma come anche ci deve essere cara la fatica degli uomini
che dal basso, mediante lo sforzo della loro ragione e senza il soc
corso della rivelazione, sono riusciti a discernere i principi e a deter
minare le basi immutabili di quella medesima verità d’ordine natu
rale e a costituire una saggezza dell’uomo vera e progressiva (la filo
sofia) che, incontrata e sopraelevata dalla verità discesa dal cielo,
entrerà un giorno nel contesto di una sapienza superiore (la teolo
gia), sapienza dell’uomo divinizzato dalla grazia, la saggezza per ec
cellenza! Quanto preziosa deve essere ai nostri occhi Γ eredità sacra
del pensiero ellenico!
41
un’esistenza autonoma, distinguendosi esplicitamente
dalla religione. Così, almeno nell’epoca più pura e più
gloriosa dello spirito ellenico, essa riconosceva i suoi
limiti e si assegnava un campo strettamente determi
nato (un’investigazione scientifica delle verità pura
mente razionali); mentre la religione greca, già molto
decaduta al tempo di Omero, diveniva sempre più in
capace di soddisfare i bisogni dell’intelligenza e si cor
rompeva ogni giorno di più.
Quando i greci, abusando con orgoglio della filo
sofia e della ragione, vorranno rinchiudere le cose di
vine nei confini della loro saggezza e si dilegueranno
nei loro pensieri, meriteranno la condanna portata da
san Paolo contro la sapienza di questo mondo, quae
est stultitia apud Deum. Ma la filosofia in sé, nata dal
loro spirito, è pura dalle loro brutture, non avendo
per oggetto altro che la verità.
42
SEZIONE II
LA FILOSOFIA PROPRIAMENTE DETTA
A - 1 FILOSOFI PRESOCRATICI
GLI IONICI
44
qualcuno degli elementi che cadono sotto i nostri sen
si.
Talete quindi, per esempio, (624-546), ispirando
si agli antichi miti che facevano provenire tutto dalle
acque primordiali e osservando inoltre che le piante e
gli animali si nutrono di umidità e che i germi viventi
sono umidi, affermerà che P acqua è la sostanza unica,
che rimane la stessa in tutte le trasformazioni dei cor
pi. Per Anassimene (588-524) Varia ha questo compi
to, per Eraclito (540-475?) è il fuoco, per Anassi
mandro (610-547) è Vinfinito (nel senso di indetermi
nato, άπειρον), miscuglio di tutti contrari. Acqua,
aria, fuoco, infinito sono del resto ritenuti come qual
cosa di attivo, di vivente, di animato, che una forza
interiore rende capace di una fecondità multiforme e
senza limiti. Tutto è pieno di dei; πάντα πλήρη θεών21,
diceva Talete in questo senso. Considerando questa
del tutto primitiva scuola ionica, che viene chiamata
ilozoista, per il fatto che attribuisce la vita (ζωή) alla
materia (ϋλη), vediamo come si debbano ritenere per
ciò che di più rudimentale ci può essere in filosofia
dottrine come il monismo materialista, che insegna
resistenza di una sola sostanza materiale, e Vevoluzio
nismo, che vuole spiegare tutto con lo svolgimento
storico, lo sviluppo ο Vevoluzione di qualcosa di pree
sistente.
") in India, circa nella stessa epoca, il buddismo formulava, come abbiamo visto, la reli
gione dell’evoluzionismo.
45
gani e di membra, teste, occhi, braccia, eccetera che si sono riuniti a
caso secondo ogni genere di combinazioni, fra le quali hanno potu
to persistere solo quelle che erano atte a vivere (cfr. il principio dar
winiano della persistenza del più idoneo).
È degno di nota il fatto che prima di Democrito, anche Anassi
mandro ed Empedocle cercano, come poi farà Pevoluzionismo
pseudo-scientifico dei tempi moderni, di spiegare tutte le cose mec
canicamente, cioè mediante la semplice aggregazione di elementi
materiali, prodotta dal movimento locale.
°) Empedocle ammette, invece di una sostanza corporea unica, quattro elementi specifica
tamente differenti, i quattro elementi divenuti classici nella chimica antica: terra, acqua,
aria, fuoco. E soprattutto egli cerca, per l’evoluzione delle cose, una causa efficiente (che
consiste per lui nelle due grandi forze motrici dell’amore e dell’odio). Empedocle fu mago,
medico, poeta, oratore, uomo di stato, oltre che filosofo. Aristotele gli attribuisce la fon
dazione della retorica.
p) La data della nascita e quella della morte di Eraclito non sono conosciute con certezza.
Egli era al suo άκμη (nel fiore e nel vigore dell’età) verso l’anno 500 a.C.
Questo significa dire che non c’è, sotto il muta
mento, alcun oggetto stabile e permanente, identico a
se stesso, come una biglia di avorio, che rimane biglia
di avorio mentre si muove. Pertanto, bisogna avere il
coraggio di affermare che ciò che è {la cosa che cam
bia) nello stesso tempo non è (poiché non vi è nulla
che rimanga sotto il cambiamento): «Noi ci immergia
mo in uno stesso fiume e non vi ci immergiamo, noi
siamo e non siamo». E bisogna dire anche che i con
trari si confondono: «L’acqua del mare è la più pura e
la più sporca... il bene e il male sono una sola e mede
sima cosa». «È impossibile» scriverà a questo propo
sito Aristotele in una celebre pagina «che qualcuno
concepisca che la stessa cosa esiste e non esiste. Eracli
to è di un altro parere secondo alcuni, ma tutto ciò che
si dice non è necessario che lo si pensi. La causa del
l’opinione di questi filosofi è che essi non hanno am
messo come essere se non le cose sensibili; e poiché ve
devano che la natura sensibile è in un perpetuo movi
mento, alcuni, come Cratilo9, hanno pensato che non
bisognava dir nulla: si limitava a girare le dita»25.
Scetticismo che deriva fatalmente dalla metafisica del
la pura mobilità professata da Eraclito, benché questi
personalmente abbia creduto con forza alla verità:
«Se voi non attendete Γinatteso» soleva dire, «non
giungerete alla verità, che è difficile da discernere, con
fatica è accessibile».
Pertanto, Eraclito è il filosofo dell’evoluzione e
del divenire puro. Di conseguenza tutte le cose sono ai
suoi occhi le differenziazioni, prodotte dalla discordia
o dalla guerra (πόλεμος πατήρ πάντων), di un solo prin
cipio in movimento, che egli pensa sotto la forma del
fuoco, d’un fuoco etereo, vivente e divino. Da ciò si
vede apparire sin dall’origine, con vigore, la necessità
che lega indissolubilmente al monismor e al pantei
smo5 ogni filosofia del divenire puro. «Se si dice che
tutti gli esseri sono uno» scrive Aristotele26, «non si fa
9) È uno dei più celebri discepoli di Eraclito. Cratilo fu il primo maestro di Platone (Ari
stotele, Metaf. 1,6).
47
altro che ritornare alPopinione di Eraclito. Perciò tut
to si confonde, il bene e il male sono identici, Puomo e
il cavallo non sono che una cosa sola. Ma allora que
sto non è più affermare veramente che gli esseri sono
uno, questo significa che essi non sono nulla,»
48
ta la filosofia greca verso una luce superiore e raddriz
za, anziché continuarlo, il pensiero ionico, grazie a
concetti che a dire il vero elabora male o non sa usare.
Da un lato osserva che il principio materiale di
cui sono costituiti tutti i corpi e che gli ionici confon
devano con questo o con queir elemento, deve già
contenere in sé, in certa misura, tutta la diversità che
ne scaturirà: se tutto non è in tutto, nulla potrà venire
da nulla28. Ed egli ritiene che, di conseguenza, il prin
cipio in questione consista in una mescolanza infinita
di tutte le nature e di tutte le qualità, in modo che ogni
particella corporea contiene in sé elementi (omeome-
rié) di tutto il resto (ogni particella di pane che man
giamo, per esempio, contiene in sé elementi invisibili
di ossa, di sangue, di carne e di tutto il resto, che si ri
troveranno tutte, essendo mutata unicamente la loro
proporzione relativa, in ogni particella di ossa, di san
gue, di carne, eccetera); concetto strano e debole in sé,
ma che annunzia a modo suo la grande concezione
aristotelica della materia prima, che non è nulla in at
to e che è tutti i corpi in potenza.
Dall’altro lato, e soprattutto, egli comprende co-
' me il principio materiale, di cui le cose son fatte, non
basta a spiegare le cose. Occorre ancora far conoscere
l’agente che lo produce (causa efficiente o causa mo
trice) e lo scopo per il quale questo agente agisce (cau
sa finale). Per mostrare perché Socrate è seduto nella
sua prigione, è forse sufficiente, come dirà più tardi
Platone, spiegare che egli ha ossa, giunture e muscoli
disposti in un certo modo? Bisogna aggiungere chi è
che fa sì che queste ossa e questi muscoli siano così
disposti (è Socrate stesso, per mezzo della sua volon
tà) e perché egli così vuole.
Anassagora, per il fatto che è stato portato a ri
conoscere, al di là degli elementi materiali del mondo,
l’esistenza necessaria di un’intelligenza separata (νους)
ordinatrice delle cose, è l’unico, secondo Aristotele,
ad aver conservato la sobrietà in mezzo a tutti gli altri
filosofi del suo tempo, ai quali il vino delle apparenze
sensibili ha fatto girare la testa, e che parlano a caso29.
49
GLI ITALICI
50
schio e femmina, riposo e movimento, diritto e storto,
luce e tenebre, bene e male, quadrato e quadrilatero
dai lati diseguali) che dispongono la natura e Γattività
delle cose. Ogni essenza ha il suo numero e ogni essen
za è un numero (il numero 4, per esempio, non è sol
tanto figurativo, è costitutivo della giustizia, il nume
ro 3 della santità, il numero 7 del tempo, P8 dell’ar
monia, il 5 dell’unione dei sessi, il 10 della perfezio
ne); ai numeri, che per sé non sono né qui né là, date
una posizione e avrete i corpi. E ogni speculazione sul-
1’origine o la natura delle cose si perde in una specula
zione sulla genesi dei numeri e sulle loro proprietà.
Pertanto, Pitagora e la sua scuola, cui la mate
matica, la musica e l’astronomia devono tanto, non
arrivano alla vera nozione della filosofia prima o me
tafisica; situati su un gradino di astrazione superiore a
quello in cui si trovavano gli ionici, essi non confon
dono, come facevano costoro, la metafisica con la fi
sica, ma la confondono con la scienza del numero
(scienza che caricano di interpretazioni qualitative) e
rimangono per ciò stesso, malgrado il loro sforzo ver
so il puro intelligibile, presi nei lacci dell’immagina
zione. Se vedono d’altra parte che le cose sono regola
te intrinsecamente da principi immateriali più reali e
più veri di quel che si tocca e si vede, non riescono an
cora a discernere l’idea di causa formale che Aristote
le soltanto metterà in piena luce.
GLI ELEATI
52
Senofane canzonava la mitologia dei poeti e le opinioni del vol
go. «La nostra saggezza» diceva prendendo in giro gli onori decre
tati agli atleti «vale di più della forza fisica degli uomini e dei caval
li...» Egli professava l’unità assoluta di Dio, ma confondeva Dio
con le cose, dicendo in un senso panteistico che Dio è uno e tutto, εν
κα'ι παν.
53
mento, il divenire, come la diversità delle cose, non è
che un’apparenza illusoria. Non c’è che l’essere e l’u
no.
B - LA SOFISTICA E SOCRATE
») Non bisogna confondere Zenone di Elea con Zenone lo stoico, che visse molto più tardi
(350-264) e che è nato a Cizio nell’isola di Cipro.
54
si formavano a poco a poco i punti vitali e le linee di
forza di ciò che sarà la filosofia, in effetti, nella Gre
cia del V secolo, questi buoni risultati erano masche
rati dalla confusione di teorie contraddittorie, come
dall’abbondanza e dalla gravità degli errori, ed è sol
tanto nel disordine e nel caos che si pensava di essere.
Si era partiti per sapere tutto e per dare la scalata in un
colpo solo al cielo della conoscenza. Ma proprio a
causa di questa ambizione smodata e per il fatto che si
ignoravano la disciplina e la discrezione nel maneggia-
mento delle idee, si arrivava solo a colpire confusa-
mente i concetti e ad opporre continuamente verosi
miglianza a verosimiglianza. Il risultato immediato e
apparente sembrava la sconfitta del pensiero specula
tivo. E non c’è da meravigliarsi che questo periodo di
elaborazione sia sfociato in una crisi intellettuale, du
rante la quale un certo male dello spirito stava per
mettere tutto in pericolo. Questa malattia dello spirito
è la sofistica, ossia la corruzione della filosofia.
I SOFISTI
55
del XVIII secolo o agli scientisti del XIX. Di tutti co
storo, quel che si può dire di più caratteristico è che
essi volevano ì profitti della scienza senza volere la ve
rità.
Miravano ai profitti della scienza, in quanto
questa significa per colui che la possiede potenza e do
minio o voluttà intellettuale. Da questo punto di vista
essi facevano la figura di razionalisti e di saggi univer
sali; avevano per tutto spiegazioni falsamente chiare36
e pretendevano di riformare tutto, persino le regole
della grammatica e il genere dei sostantivi37. Perciò
s’interessavano di preferenza alle cose umane, che so
no le più complesse e le meno sicure di tutte, ma dove
l’uomo può meglio realizzare la sua scienza in potere e
in gloria: alla storia, al diritto, alla casistica38, alla po
litica, alla retorica. E si spacciavano per professori di
virtù.
Essi non volevano la verità. Non chiedendo alla
fatica dell’intelligenza che un mezzo per far apparire
(agli occhi propri come a quelli degli altri) la loro per
sonale superiorità, dovevano essere fatalmente portati
a far consistere la scienza più invidiabile nell’arte di
negare e di distruggere mediante il ragionamento, es
sendo la distruzione per gli uomini come per i bambini
la maniera più facile per manifestare la loro forza; e
inoltre nell’arte di sostenere il prò e il contro con un’e
guale verosimiglianza, altro segno di forza e di abilità.
Questo significa che la scienza si guastava nelle loro
mani e che quel che nei loro predecessori era semplice
difetto di disciplina intellettuale, diventava in loro in
tenzione deliberata di usare i concetti senza preoccu
parsi affatto delle loro esigenze precise e delicate, ma
per il solo piacere di urtarli l’un contro l’altro e di am
maccarli in un gioco di apparenze: da ciò i loro sofi
smi o ragionamenti ingannatori. La loro morale veni
va di conseguenza; essi dichiaravano convenzione ar
bitraria ogni legge, imposta all’uomo, e la virtù che
insegnavano si riduceva in definitiva sia nell’arte di
riuscire sia in quel che i nietzschiani chiamano oggi la
volontà di potenza.
Perciò, di tutto quello che animava le grandi am
bizioni dogmatiche dell’epoca precedente, i sofisti
avevano conservato l’orgoglio scientifico e avevano
perduto l’amore del vero. Essi volevano più che mai
56
essere grandi per mezzo della scienza, non tendevano
più a ciò che è. Se così si può dire, credevano alla
scienza senza credere alla verità. Uguale fenomeno
storico si è rivisto da allora, e in proporzioni ben am
plificate...
In tali condizioni, è naturale che la sola dottrina
alla quale la sofistica abbia potuto giungere è stata
quel che si chiama il relativismo e lo scetticismo. Pro
tagora di Abdera (480-410) affermava, per esempio
che l'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che
sono in quanto sono e di quelle che non sono in quan
to non sono; cosa che nel suo pensiero significava che
tutto è relativo alle disposizioni del soggetto e che il
vero è quel che sembra vero a ciascuno. E nel libro che
scrisse Sulla natura o sul non-essere, il suo contempo
raneo Gorgia di Lentini (morto nel 375), oratore assai
celebre, insegnava: 10, che l’essere non è o, in altri ter
mini, che nulla esiste: il non-essere è il non-essere,
dunque è, diceva giocando sulla parola è (una sorta di
gioco di cui Hegel farà più tardi lo sport metafisico
per eccellenza); dunque l’essere, che è il suo contrario,
non è...; 2°, che se qualche cosa esistesse, non si po
trebbe conoscerla; 3°, che se qualcuno potesse cono
scere qualche cosa, non potrebbe comunicare questa
conoscenza ad altri.
SOCRATE
57
Questa opera, per P avvenire delP intelletto uma
no era di un’importanza così considerevole che non ci
si meraviglia affatto che Socrate l’abbia compiuta co
me una missione ricevuta dall’alto. Vi era in lui non
soltanto una potente capacità di contemplazione filo
sofica (Aulo Gellio e Platone narrano che gli capitava
di passare giornate e notti intere immobile, assorto
nella meditazione), ma anche (come lui stesso diceva)
qualche cosa di demonico o d’ispirato, un fervore ala
to, un vigore libero e misurato e forse anche in certi
momenti un istinto interiore e superiore, che sembra
no derivare da quell’assistenza straordinaria, a propo
sito della quale Aristotele dice che quanti sono mossi
dall’impulso divino non debbono essere consigliati
dalla ragione umana, avendo in sé un principio mi
gliore39. Egli paragonava se stesso ad un pungiglione,
incaricato di pungere e risvegliare gli ateniesi e di for
zare la loro ragione ad un perpetuo esame di coscien
za: servizio che gli ateniesi dovevano poi ricompensa-
re con la cicuta, offrendo in tal modo al vecchio So
crate, già molto vicino alla morte, l’occasione del più
bel trapasso che possa condizionare la saggezza pura
mente umana.
1) Socrate non era un metafisico, ma piuttost
un esperto, un medico delle anime. Il suo compito non
era di costruire un sistema, ma di mettere le intelligen
ze in crisi. Ed egli poteva così trionfare nel modo mi
gliore sulla sofistica, il cui fondamento era molto me
no in un vizio di dottrina che non in una deformazio
ne dell’anima.
I suoi discorsi avevano per oggetto anzitutto il
problema della condotta della vita umana, il proble
ma morale. La sua morale, per quel che se ne può sa
pere attraverso Platone e Senofonte, sembra di primo
acchito ispirarsi a considerazioni molto strettamente
utilitariste. Questo debbo fare, ciò che mi soddisfa; e
ciò che mi soddisfa mi è utile, veramente utile. Ma
proprio qui si manifesta subito la necessità di discer
nere quel che è veramente utile per l’uomo: a questo
riguardo, Socrate costringe la gente a rendersi conto
che tale utilità non può essere determinata se non in
rapporto ad un bene assoluto e incorruttibile. Ponen
do perciò costantemente la questione del fine ultimo40
58
e volgendo gli uomini verso il loro bene supremo, egli
oltrepassa ogni utilitarismo e con il pieno vigore di un
integro buon senso afferma il primato del bene onesto
e dei nostri grandi interessi eterni; la sua morale sfocia
pertanto nell’ordine metafisico. In secondo luogo,
Socrate dimostra in tutti i modi che per potersi com
portare bene l’uomo deve prima di tutto sapere*, arriva
persino a sostenere che la virtù s’identifica con la
scienza, in modo che ogni peccatore non è che un
ignorante. Qualunque sia questo errore di valutazio
ne, rimane che per lui la morale non è nulla se non è
un insieme di verità stabilite con dimostrazioni, una
vera e autentica scienza. Per questo duplice connota
to, metafisico e scientifico, del suo insegnamento mo
rale, Socrate si oppone profondamente ai sofisti e lo si
può considerare come il fondatore della scienza mora
le.
59
l’intelletto del discepolo ha la funzione di agente prin
cipale41, che egli paragona F acquisizione della scienza
al risveglo di un ricordo assopito nell’anima, parago
ne da cui Platone trarrà più tardi la sua celebre teoria
della reminiscenza.
Ma in qual modo la maieutica ha form ato l’intel
ligenza filosofica? Precisando il suo oggetto proprio,
insegnandole a cercare le essenze e le definizioni delle
cose42. Socrate riconduce senza posa la ragione verso
questo unico oggetto: che cos’è la realtà di cui si sta
parlando, che cos’è il coraggio, la pietà, la virtù, l’arte
del costruttore di navi o l’arte del calzolaio e così di
seguito; tutte queste cose hanno un essere che è loro
proprio, un’essenza o una natura, che l’intelligenza
umana deve poter scoprire ed esprimere in una defini
zione, distinguendola da tutto ciò che non è quella co
sa. Per il fatto che Socrate esige in tal modo che si di
stingua senza tregua l’essenziale dall’accidentale e per
il fatto che egli stimola infaticabilmente lo spirito a
dar la caccia alle essenze, si può dire che la sua filoso
fia è la filosofia delle essenze. Non si tratta più di ri
durre tutto all’acqua, al fuoco, ai numeri, né all’esse
re assoluto né di trovare un concetto indefinitamente
estensibile in cui si avvolgono tutte le cose come in un
mantello senza forma. Si tratta di giungere ad espri
mere intellettualmente ogni cosa, delimitando e deter
minando ciò che essa è, mediante un concetto che si
confà a quella cosa soltanto.
Contemporaneamente, Socrate insegna alla ra
gione, se non proprio in una forma teorica compiuta e
costruendo una logica del sillogismo e della dimostra
zione (come farà più tardi Aristotele), almeno pratica-
mente e nell’intenzione, ad usare i concetti per seguire
docilmente i contorni e le articolazioni del reale e non
più per sentenziare a caso sulle realtà, secondo i bar
bari giochi dei sofisti. E per questa via egli crea la dia
lettica, strumento del sapore ancora insufficiente, sen
za dubbio, ma che preparava la vera nozione della
scienza e che Platone paragona all’arte del cuoco
esperto, che taglia un pollo seguendo e distinguendo
con cura le minime giunture naturali.
3) Questo eterno polemico dunque, a dispe
dei suoi atteggiamenti da scettico, ha una fiducia in-
60
vincibile nell’intelligenza e nella scienza, ma in un’in
telligenza disciplinata e umile dinanzi alle cose e in
una scienza che conosce i suoi limiti e che progredisce
con forza e sicurezza nel possesso del vero soltanto
nella misura in cui rende omaggio alla sovranità del
reale e si sente avvolta d’ignoranza. Socrate appare da
questo punto di vista come il maestro dello spirito
scientifico, così come di quella filosofia che imparere
mo a conoscere sotto il nome di intellettualismo misu
rato.
Mediante il suo sforzo logico e critico, egli ha
forgiato lo strumento necessario al progresso dello
spirito e ha volto la crisi della sofistica al bene e alla
salvezza della ragione. Mediante il suo sforzo morale,
poi, egli non solo ha fondato la scienza dell’etica, ma
ha anche liberato il pensiero dal fascino del sensibile,
ed ha orientato, forse senza accorgersene nemmeno
egli stesso, la speculazione filosofica verso la metafisi
ca e verso la saggezza propriamente detta, per il solo
fatto di aver elevato la filosofia (è qui la vera portata
del conosci te stesso socratico) dallo studio esclusivo
del mondo corporeo43 alla considerazione dell’uomo e
delle cose umane, che comportano un elemento spiri
tuale superiore a tutto l’ordine degli astri e a tutto il
mondo dei corpi.
Ma Socrate non è che un mirabile iniziatore. Egli
ha dato lo slancio, non ha raggiunto lo scopo; alla sua
morte tutto rimane ancora sospeso. Il metodo infatti
non basta, occorre la dottrina; e Socrate, ricco di ger
mi fecondi, non ha una dottrina propriamente detta,
se non per quel che riguarda i fondamenti dell’etica.
La consumazione dottrinale della sua opera e l’instau
razione della vera filosofia erano riservate a Platone e
ad Aristotele.
C - PLATONE E ARISTOTELE
61
semplici moralisti (come i cirenaici", che facevano
consistere il fine ultimo delPuomo nel piacere del mo
mento, e come i ciniciv che, per un eccesso opposto,
divinizzavano la forza o virtù) o dei logici, puri ama
tori della disputa (eristica), come i neosofisti di Elide e
soprattutto di Megaraw, che tendevano a distruggere
ogni scienza e che, per la necessità in cui hanno messo
i filosofi di confutare le loro argomentazioni, hanno
contribuito indirettamente al progresso della logica.
PLATONE
“) I principali filosofi di questa scuola sono Aristippo di Cirene, Teodoro l’àteo, Egesia e
Anniceride.
v) Questo nome deriva da quello del ginnasio (Κυνόσαργες) in cui Antistene insegnava ad
Atene. I principali cinici sono Antistene (nato nel 445 a.C .), Diogene di Sinope (400-323),
Cratete di Tebe.
x) Dopo aver viaggiato molto, Platone si stabilì ad Atene, ove acquistò il campo di un cer
to Accademo per fondarvi la sua scuola. Donde il nome dì Accademia dato a quest’ultima.
62
pulso del suo genio magnifico e temerario, l’intelli-
genza vola troppo velocemente e troppo in alto e non
arriva ancora ad assicurarsi, con una vittoria definiti
va, la conquista del reale.
Platone sa, come Parmenide, che il metafisico
deve contemplare, nelle cose, Γessere stesso. Egli però Platone tenta una
non assorbe tutto ciò che è, nell’unità dell’essere im grande sintesi dottri
nale del pensiero gre
mutabile e assoluto; riconosce infatti che vi sono dei co, sintesi prematura
gradi nell’essere. E a questo proposito egli scopre del e intaccata da errori,
ma che racchiude un
le grandi verità metafisiche, comprende che se vi sono germe senza pari.
cose più o meno perfette, più o meno belle e buone,
più o meno degne d’amore, delle cose in cui la bontà
si trova in modo confuso e che partecipano la bontà,
come si dice in filosofia, bisogna necessariamente che
vi sia un essere in cui la bontà, la bellezza, la perfezio
ne siano allo stato puro e che sia la ragione della bel
lezza e della bontà di tutto il resto. E sale così sino al
vero Dio, trascendente e distinto dal mondo, che gli
appare come la bontà stessa, il bene assoluto, il bene
in persona se così si può dire.
Ma non è ancora questo l’aspetto più saliente del
platonismo. La filosofia di Socrate, dicevamo più
sopra, (filosofia piuttosto suggerita in pratica che for
mulata in teoria) è la filosofia delle essenze: la filoso
fia di Platone, in primo luogo, è la filosofia delle idee.
Socrate aveva mostrato che quel che bisogna cer
care e cogliere a qualunque prezzo, sono le essenze
delle cose, che lo spirito, dopo che le ha afferrate,
esprime in una definizione. Che cos’è dunque che l’in
telletto vede in tal modo, quando s’impadronisce del
l’essenza dell’uomo o del triangolo o del bianco o del
la virtù? Non è forse l’uomo, fatta astrazione da Pie
tro, Paolo, Giovanni, eccetera e dai loro caratteri par
ticolari, non è forse il triangolo, fatta astrazione da
questo o quel triangolo isoscele o rettangolo, non è il
bianco, la virtù, eccetera? Inoltre l’idea dell’uomo o
del triangolo non rimane la stessa allorché l’applico a
una folla di uomini o a una moltitudine di triangoli
che differiscono individualmente gli uni dagli altri? In
altri termini, queste idee non sono forse universali?
Non sono d’altra parte immutabili ed eterne, in que
sto senso: che se nessun triangolo, per esempio, esi
stesse, l’idea di triangolo (con tutte le verità geome
triche che implica) rimarrebbe sempre la stessa? E non
63
ci danno esse da contemplare allo stato puro Pumani
tà, la triangolarità, eccetera, che si trovano allo stato
partecipato nei diversi esseri chiamati uomini, trian
goli, eccetera? Non avendo analizzato con sufficiente
esattezza la natura delle nostre idee e quella delP astra
zione e applicando d’altro canto troppo in fretta il suo
grande principio che ciò che è nelle cose allo stato par
tecipato deve trovarsi in qualche luogo allo stato pu
ro, Platone conclude che esiste in un mondo soprasen
sibile una moltitudine di modelli immateriali o arche
tipi, immutabili ed eterni, l’uomo in generale o l’uo
mo in sé, il triangolo in sé, la virtù in sé, eccetera, che
egli chiama idee, e che sono l’oggetto afferrato dal
l’intelligenza, facoltà del vero, che sono dunque la
realtà.
Ma allora che cosa diventa il mondo sensibile?
Che cosa bisogna pensare delle cose che vediamo e
tocchiamo e che sono individuali, mutevoli e cadu
che? Non essendo le idee, esse non sono la realtà. Esse
sono puro divenire, come diceva Eraclito. Platone
non nega la loro esistenza, ma le considera immagini
indebolite e ingannatrici della realtà, oggetto di opi
nione (όόξa), non di scienza o di conoscenza sicura, e
così inconsistenti come ombre che passano su un mu
ro: l’uomo, pertanto, prigioniero del corpo e dei sen
si, è paragonabile a un prigioniero incatenato in una
caverna, sul fondo della quale vede sfilare le ombre
dei viventi che si muovono dietro di lui nella luce del
sole (le ombre fuggevoli e inafferrabili delle idee), so
stanze che rende luminose il sole del mondo intelligibi
le, Dio o l’idea del bene.
Una metafora però vale forse una spiegazione?
Le idee platoniche sono ciò che fa si che le cose siano
costituite nella loro specie, l’uomo in sé o l’umanità è
ciò che fa sì che Socrate sia uomo, il bello in sé o la
bellezza è ciò che fa sì che Alcibiade o Callide siano
belli, eccetera; in altri termini le idee platoniche sono
le essenze delle cose e delle loro perfezioni. Contem
poraneamente, tuttavia, esse sono separate dalle cose,
abitano in un mondo diverso dal loro. Come dunque
si spiega il rapporto delle cose alle loro idee? Platone
risponde che esse sono somiglianze o partecipazioni.
Ma questi termini, che riceveranno più tardi, nella
scolastica, una significazione profonda, non hanno,
64
nel sistema di Platone stesso, altro che un senso meta
forico senza valore propriamente intellegibile. Dopo
ciò, bisognerebbe dire perché e come esiste altra cosa
che le idee, cioè la realtà pura; in altre parole, biso
gnerebbe dire: qual è la cosa che partecipa alle idee,
che riceve la loro somiglianza o il loro riflesso? Plato
ne risponde che è la materia (o Pinfinito, άπειρον). E
poiché le idee sono ciò che è, egli è obbligato a desi
gnare la materia come ciò che non è, come una specie
di non-essere esistente, concetto fecondo che tra le
mani di Aristotele verrà purificato da ogni contraddi
zione interna, ma che, così come Platone lo presenta,
sembra essere contrario a se stesso, tanto più che Pla
tone lo confonde altrove con lo spazio puro dei mate
matici.
17. — Checché ne sia di queste difficoltà metafi
siche, Platone prosegue logicamente la costruzione
del suo edificio dottrinale. La teoria delle idee porta
con sé tutto un complesso sistematico, concernente la
conoscenza, Puomo, il mondo fisico.
La conoscenza umana si divide in due generi as
solutamente differenti: Pimmaginazione (εικασία) e
P opinione (όόξa) da una parte, che si volgono a ciò
che, per natura, non può essere oggetto di scienza, al
mondo visibile e corruttibile e alle sue ombre inganne
voli; la conoscenza intellettuale dell’altra parte (vorj-
σίζ), che verte sulle cose intellegibili e che comprende
la ragione (όιάνοια), il cui oggetto proprio sono i nu
meri matematici, e l’intelligenza (νους), che si eleva
mediante la dialettica alla contemplazione intuitiva
delle idee-essenze e, al di sopra di tutto il resto, alla
contemplazione di Dio, il bene sovraessenziale.
Come spiegare ora la conoscenza intellettuale? O
l’origine delle idee che sono in noi e che sono l’imma
gine delle idee eterne? Queste idee non possono venire
dai sensi, legati in modo indissolubile all’illusione; bi
sogna perciò che esse ci vengano direttamente dall’al
to e che siano innate nella nostra anima: in un’esisten
za anteriore, prima d’essere unita al corpo, la nostra
anima ha contemplato le idee e ha posseduto intuitiva
mente la scienza. Questa scienza abita in noi, ma of
fuscata e oscurata dalla vita del corpo; è presente co
me un ricordo assopito e risvegliandola a poco a poco,
lo sforzo della saggezza ci fa riconquistare Pintuizione
65
primitiva della verità. L'uomo pertanto è un puro spi
rito unito per forza ad un corpo e come un angelo
imprigionato nella carne (dualismo psicologico). L’a
nima umana ha già vissuto prima di animare il corpo,
al quale è unita in punizione di qualche colpa anterio
re; anzi passa, al momento della morte, in un altro
corpo e Platone non professa la credenza nell’immor
talità dell’anima se non legandola al dogma pitagorico
della trasmigrazione o metempsicosi.
Quanto al mondo fisico, per il fatto che non è og
getto di scienza, Platone potè trattarne solo mediante
leggende o miti, che sviluppa con tutte le risorse di
un’arte squisita, ma che non fanno altro che masche
rare l’impotenza della sua dottrina riguardo alla realtà
corporea.
66
Ma il suo eccessivo intellettualismo gli fa misconosce
re la differenza che separa gli atti dell’intelligenza pra
tica da quelli delP intelligenza speculativa e confonde
re la virtù, che suppone la rettitudine della volontà,
con la scienza, che perfeziona la sola ragione» Di con
seguenza egli usa male questo principio, vero in se
stesso, che la volontà segue sempre la condotta del-
Pintelligenza e afferma che il peccato non è imputabi
le che a un difetto di scienza e che nessuno fa il male
volendolo: «Qualunque peccatore è solo un ignoran
te»» Teoria che porta, malgrado Platone, peraltro, a
distruggere il libero arbitrio» Nella sua filosofia della
società, la stessa tendenza idealista e razionalista gli fa
applicare malamente questo principio vero che la par
te è per il tutto, in modo che nella sua repubblica idea
le, retta dai filosofi, tutti gli individui sono per il bene
esclusivo dello Stato, a cui appartengono tutti i diritti
e che dispone sovranamente di tutto ciò che può essere
posseduto a qualsiasi titolo, dai beni materiali sino al
le donne e ai bambini, sino alla vita e alla libertà dei
cittadini (comuniSmo assoluto).
18. — Gli errori di Platone derivano soprattut
to, sembra, dal suo appassionato partito preso per la
cultura matematica, che lo conduce a disprezzare la
realtà empirica. Derivano anche da una concezione
troppo ambiziosa della filosofia, nella quale Platone,
benché con molto maggior misura e discrezione che
non i saggi deir Oriente, vorrebbe trovare la purifica
zione e la salezza e la vita di ogni uomo.
Del resto, è a causa dei principi d'errore latenti
nel platonismo che si vedranno rifarsi a Platone, più o
meno direttamente, tutte le grandi chimere filosofiche
che tenderanno in un modo o nell’altro a trattare l’uo
mo come un puro spirito.
Ma in Platone si può dire che questi principi d’er
rore siano stati mantenuti in un’atmosfera troppo pu
ra per poter dare tutto il loro frutto e viziare l’essenza
stessa del pensiero. Per questo, un Agostino potrà
trarre tante verità dal vecchio tesoro del pensiero pla
tonico.
Il pensiero di Platone lavora in ampiezza e cerca
di abbracciare tutte le cose in una sola stretta. Ma la
sua saggezza superiore e meravigliosamente intuitiva
67
gli impedisce di bloccare in una maniera irreparabile e
di fissare in una dottrina definitiva numerosi atteggia
menti che restano in lui mobili. Là dove si trova un
punto debole e dove un altro insisterebbe, egli va ol
tre. In modo che quel che in sé è un segno di imperfe
zione (il vago, Pimpreciso, Pincompiuto in cui egli si
ferma così spesso, è quel modo di esporre più estetico
che scientifico, che non procede se non per metafore o
simboli e che Tommaso giudica a buon diritto severa
mente45), in realtà gli è salutare e preserva da una de
formazione troppo dannosa le verità che egli ha sapu
to conquistare. Da questo punto di vista si potrebbe
dire che il platonismo è falso se lo si prende come si
stema, allo stato di essere, ma che se lo si prende allo
stato di divenire, come movimento che porta ad un
termine che è altro da lui, è stato nella genesi della ve
ra filosofia una preziosa forma di passaggio.
ARISTOTELE
68
Si può dire che sino ad Aristotele la filosofia era in stato di for
mazione embrionale o di divenire. D ’ora in poi, una volta formata,
essa potrà svilupparsi senza posa. Inventum philosophicum semper
perfectibile.
In realtà però, dopo Aristotele, il pensiero greco in decadenza
non saprà rimanere fedele alla verità. Esso riceverà ancora molti ar
ricchimenti materiali, ma quanto all’essenziale farà deviare la filo
sofia anziché perfezionarla46.
69
alla pura spiritualità della vita divina, ecco un essere
che assomiglia ad un altro essere, e non una semplice
immagine che non ha in sé consistenza. Se questo
mondo è sottoposto al divenire, non è divenire puro,
ma ha in sé delle realtà stabili e sostanziali. Se noe
esiste una scienza del singolare sensibile c o m e ta le ,
una scienza della realtà sensibile è pur tuttavia possi
bile, per il fatto che si trova, incarnato per cosi dire in
questa realtà, qualcosa d9intelligibile e d'immateriale.
Perciò il mondo dei corpi non è oggetto di pura
opinione, esprimibile soltanto con miti ed apologhi;
esso è oggetto di scienza, di una scienza che è la fisica.
Aristotele è il vero fondatore della fisica^. Con una
potenza incomparabile egli ha sottomesso la mobilità
alPimmutabile luce dell9intelligenza, mostrando che
vi sono, in ciò che muta, leggi che non mutano, spie
gandoci la natura del movimento stesso, della genera
zione e della corruzione, distinguendo infine le quat
tro specie di cause che sono in gioco nel mondo sensi
bile.
Riassumendo lui stesso, in termini singolarmente
aspri e severi, la sua lunga argomentazione contro la
teoria delle idee, Platone, egli dice, misconosce del
tutto la vera natura della causa formale, separandola
dalle cose. «Credendo di scoprire la sostanza delle co
se visibili, non ha fatto altro che immaginare altre so
stanze accanto a loro. E quanto a sapere come le idee
cosi definite sono le sostanze di quelle cose, egli non
risponde se non con vuote parole, essendo la p a rte c i
p a z io n e a cui fa riferimento nulla affatto». Platone
pertanto non può dire più nulla di soddisfacente sulla
natura e, trasferendo alle idee ogni causalità come
ogni vera realtà, rimane incapace di determinare il
ruolo della causalità efficiente e della causalità finale
nelPattività delle cose. «Egli trascura» perciò «la cau
sa efficiente, principio del mutamento». «Egli lascia
parimenti in disparte ciò per cui agisce ogni intelligen
za e ogni natura, cioè la causa finale... Accade che ai
nostri giorni le matematiche hanno assorbito la filoso-
70
fia e si pretende di spiegare con esse tutto il resto delle
cose...»
«Quanto al movimento, se le idee sono immobi
li» non vi è un movimento-archetipo nel mondo delle
idee; ma allora «donde può venire il movimento» se
condo il sistema platonico? «Orbene togliendo il mo
vimento, si sopprime contemporaneamente qualsiasi
investigazione sulla natura»49.
2) La confutazione della teoria delle idee porta con sé
logicamente la critica e la rettifica di tutte le altre parti
della dottrina di Platone. Per quanto concerne la co
noscenza umana, Aristotele mostra che la fisica, la
matematica e la metafisica o filosofia prima sono sì
tre scienze diverse, ma diverse in relazione al loro og
getto, non in relazione alla facoltà che mettono in
opera e che è per tutte e tre la ragione. Egli mostra
inoltre e soprattutto, mediante quell’ammirevole ana
lisi dell’astrazione, che guida e governa tutta la filoso
fia, che le nostre idee non sono innate, come i ricordi
di ciò che noi avremmo visto prima di nascere, ma che
esse provengono dai sensi per opera dell’attività dello
spirito.
Per quanto concerne Γanima umana, se, per rea
zione alla metempsicosi platonica e per eccesso di pru
denza scientifica, egli si astiene da qualunque ricerca
sulla condizione in cui l’anima si troverà dopo la mor
te, stabilisce nondimeno su basi incrollabili la dottrina
spiritualista, determinando per un verso (contro il
dualismo di Platone) l’unità sostanziale dell’essere
umano, composto di due parti sostanziali incomplete
e complementari; e per l’altro (contro i materialisti),
determinando la spiritualità delle operazioni dell’in
telletto (e della volontà); e crea così la sola psicologia
capace di assimilare e d’interpretare l’immenso mate
riale delle osservazioni che accumulerà la sperimenta
zione moderna.
Per quanto concerne infine i comportamenti del
l’uomo, egli fa vedere, mediante la sua distinzione fra
il giudizio speculativo (che dipende dal solo intelletto)
e il giudizio pratico (che dipende anche dalla volontà),
come il libero arbitrio è possibile e come il peccatore
fa il male che conosce; mette a fuoco il concetto e la
teoria della virtù e fissa, per quanto riguarda soprat-
71
tutto le virtù cardinali e l’analisi delle azioni umane, i
tratti principali di quel che sarà nell’ordine naturale
l’insegnamento morale cristiano.
20. — Ma bisogna vedere Aristotele non solta
to nel suo rapporto con Platone, bensì anche (e so
prattutto) nel suo rapporto con ciò che è, e in una ma
niera assoluta. Platone infatti non ha fatto altro che
fornirgli l’occasione di misurarsi egli stesso con l’esse
re. Aristotele è uscito vincitore da questa lotta, dan
doci con i suoi grandi concetti della potenza e àe\Yat
to, della materia e della forma, delle categorie, dei
trascendentali, delle cause le armi che ci occorrono
per usarle a nostra volta, e insegnandoci, vero mae
stro di saggezza, ad elevarci dalla considerazione delle
cose visibili e periture a quella di ciò che vive imperitu
ro e immutabile. «Immobile nella sua attività pura,
questo essere non è soggetto ad alcun genere di muta
mento... Tale è il principio da cui dipende il cielo e la
natura. La sua felicità assomiglia alle gioie supreme
che noi non possiamo gustare se non per un momento,
ma egli la possiede eternamente. La sua felicità è il suo
atto... è l’atto della sovrana intelligenza, il pensiero
puro che pensa se stesso... È una cosa mirabile che
Dio abbia sempre la gioia che noi abbiamo solamente
qualche volta, ma se egli l’ha ben più grande, questo è
ancor più stupendo; ed è proprio così che egli l’ha. Ed
egli possiede la vita. Poiché l’atto dell’intelligenza è
una vita. Ora Dio è questo atto stesso allo stato puro.
Egli è dunque la sua propria vita: questo atto sussi
stente in sé, tale è la sua vita eterna e sovrana. Per
questo si dice che è un vivente eterno e perfetto; la vita
che dura eternamente infatti esiste in Dio; poiché egli
è questo, la vita stessa»50. E questo Dio è perfettamen
te uno, assolutamente unico. «Coloro che prendono
come principio il numero matematico e un seguito in
definito di essenze senza legame tra di loro, fanno del
l’universo una raccolta sconclusionata di realtà che
agiscono senza ordine. Ma gli esseri non vogliono es
sere mal governati e, secondo il detto di Omero, la
pluralità dei capi non serve a nulla. Che vi sia un capo
solo!»51.
Così Aristotele, come osserva Alessandro di
Afrodisia in un bel passo del suo Commento alla me
li
tafisica52, «ci conduce dalle cose che sono in se stesse
le ultime, e che per noi sono le più note, sino al padre
che fa tutte le cose, a Dio degno di ogni venerazione, e
ci mostra che come il fonditore è la causa che fa P uni
tà della sfera e del bronzo, così la potenza divina, ope
ratrice di unità e creatrice delle cose, è per tutti gli es
seri la causa che fa sì che essi sono quel che sono.»
Aristotele è contemporaneamente lo spirito più
positivo e lo spirito più metafisico. Logico rigoroso,
ma anche realista sempre alPerta, egli si piega senza
sforzo alle esigenze di ciò che è, ed accoglie nel suo
pensiero tutte le varietà dell’essere senza mai forzare
nulla né deformare, con un vigore e con una libertà di
spirito che non verranno superati se non dal candore
limpido e dalla forza angelica di Tommaso d’Aquino.
Ma tutta questa ricchezza è ordinata nella luce dei
principi, sottomessa, classificata, misurata, dominata
dall’intelletto; ed è questa l’opera stessa della sapien
za. Sapienza ancora tutta umana e che nondimeno,
posta così in alto, abbraccia con un solo sguardo l’u
niversalità delle cose.
Il pensiero di Aristotele tuttavia lavora meno in
ampiezza che in profondità. Egli si preoccupa poco di
far vedere le proporzioni e le vaste sintesi della sua
dottrina; egli si applica innanzitutto ad afferrare con
un metodo assolutamente sicuro e con una precisione
senza errore ciò che ogni natura conoscibile ha di più
originale e di più intimo, di più se stessa. Egli ha per
tanto non solo organizzato la scienza umana, e fonda
to sulle loro basi la logica, la biologia, la psicologia, la
filosofia naturale, la metafisica, l’etica e la politica,
ma ha anche sfaccettato il diamante di una moltitudi
ne di definizioni o di sentenze preziose, nelle quali
risplendono le luci del reale.
Del resto, bisogna dire senza esitazione che Ari
stotele è del tutto unico tra i filosofi, unico per il ge
nio, per i doni, per l’opera. È nell’ordine delle cose
che ciò che è bello sia difficile e che ciò che è difficile
sia raro. Ma se si tratta di un’opera straordinariamen
te difficile, e in se stessa e per le condizioni che pre
suppone, c’è da credere che un artista solo si troverà
per compierla. D ’altra parte, un bell’edificio non vie
ne comunemente costruito in base al progetto di nu
merosi architetti, ma in base al progetto di uno solo.
73
Se dunque la saggezza umana o filosofia doveva esse
re un edificio sufficientemente ben costruito, era ne
cessario che dopo una lunga preparazione storica, le
fondamenta ne fossero un giorno gettate da uno solo.
Su queste fondamenta, migliaia di artigiani potranno
costruire a loro volta, poiché la scienza non cresce se
non con lo sforzo comune delle generazioni umane e
non giungerà mai al termine. Ma sarà stato necessario
un solo capo-architetto53.
È per questo che, malgrado gli errori, le imperfe
zioni o le insufficienze che denotano in lui i limiti della
ragione umana54, Aristotele è proprio il filosofo per
eccellenza, come Tommaso è il teologo55.
21. — Aristotele è nato nel 384 a Stagira in Tr
cia56. Era figlio di un medico di nome Nicomaco, della
famiglia degli Asclepiadi che, si dice, risaliva sino ad
Esculapio. A diciott’anni diventò discepolo di Platone
e sino alla sua morte (347) ne seguì le lezioni. Dopo la
morte di Platone si recò ad Asso nella Misia, ove re
gnava Ermia, poi a Mitilene; in seguito soggiornò per
otto anni presso Filippo, re di Macedonia. Alessandro
lo ebbe come precettore. Dopo che Alessandro ebbe
incominciato a regnare, Aristotele venne ad Atene e
fondò la sua scuola o liceo (ginnasio dedicato ad
Apollo Lido). Egli insegnava passeggiando con i suoi
discepoli sotto le piante ombrose del liceo, donde il
nome di peripatetici dato ai suoi discepoli. Rimase do
dici anni ad Atene. Avendo il partito antimacedone
lanciato contro di lui Paccusa di empietà, in occasione
di un inno da lui composto un tempo per la morte del
suo amico Ermia, si ritirò a Calcide, ove morì a 63 an
ni (nel 322).S
i
Si narra che il suo amore per lo studio gli suggerì ridea di lavo
rare tenendo in mano una biglia di rame che, se egli si fosse addor
mentato, lo svegliasse cadendo in un recipiente di metallo. Filippo e
Alessandro misero le loro immense ricchezze a sua disposizione per
facilitargli le ricerche. Scrisse dei libri destinati al pubblico (dialo
ghi), che sono andati tutti perduti (Cicerone esaltava la loro elo
quenza, flumen aureum orationis fundens Aristoteles — Acad. II,
38, 119 —) e dei libri acroamatici ove è riassunto l’insegnamento
orale che dava ai suoi discepoli e la maggior parte dei quali ci è per
venuta57.
Questi libri hanno una storia molto curiosa, che ci è raccontata
74
d a Strabone, e che illu stra, p ro p rio com e le osservazioni di P ascal
sul n a so di C leo p a tra, il ru o lo delle piccole cause nei destini u m an i.
A lla m o rte del filo so fo , essi p a ssa ro n o con la sua b ib lio teca al suo
discep o lo e successore T eo fra sto , p o i ad u n discepolo di T eo fra sto ,
c h ia m ato N eleo, p o i agli eredi di N eleo. C o sto ro , tem en d o che i li
bri venissero lo ro to lti p er essere destin ati alla b ib lio teca dei p rincipi
di P e rg a m o , li n asco sero in u n so tte rra n e o . A lo ro v o lta m o riro n o .
I m an o scritti di A risto tele eran o d u n q u e a n d a ti p e rd u ti. R im asero
p e rd u ti p e r u n secolo e m ezzo; ed è alla b u o n a stella di u n fo rtu n a to
b ib lio filo che d o v e tte ro il rivedere la luce. V erso F a n n o 100 a.C ., i
discen d en ti degli eredi di N eleo, avendoli sco p erti (in pessim o sta to ,
come si può ben pensare), li vendettero a prezzo d’oro ad un ricco
amatore di libri, Apellico di Teo, che li pubblicò zeppi di errori; nel-
Γ86 a.C ., al momento della conquista di Atene da parte dei romani,
passarono nelle mani di Siila. Il grammatico Tirannio li ebbe tra le
mani e li utilizzò; infine, Andronico di Rodi ne stese il catalogo e li
pubblicò58. Alessandro di Afrodisia (II secolo della nostra èra), i
neoplatonici Porfirio (III secolo) e Temistio (IV secolo), Simplicio,
Filone (VI secolo) li commentarono.
75
22. — E fu allora rincontro tra la sapienza
umana e la verità divina, tra Aristotele e la fede. Ogni
verità appartiene di diritto al pensiero cristiano, come
le spoglie delPEgitto appartenevano agli ebrei. Quae
cumque igitur apud omnes praeclara dicta sunt, no
stra christianorum sunt62, per il fatto che, secondo il
detto di Ambrogio sovente citato da Tommaso, ogni
verità, da chiunque venga affermata, deriva dallo Spi
rito S a n to 64. Ma bisogna che qualcuno realizzi questa
presa di possesso, ed è stato necessario che qualcuno
facesse passare al servizio regale di Cristo la meravi
gliosa potenza intellettuale di Aristotele. Questa ope
ra, iniziata da Alberto Magno (1193-1280), fu guida
ta, compiuta e consumata da Tommaso d’Aquino
Tommaso introduce (1225-1274). Essa postulava la congiunzione delle più
la filosofia di Aristo
tele nella luce di Cri
rare condizioni: il fiore della civiltà del tempo di san
sto. Luigi, la mirabile organizzazione dell’ordine di san
Domenico, il genio di Tommaso2.
Tommaso, che la Chiesa ha proclamato il dottore
per eccellenza, Doctor communis Ecclesiae, che ha
eletto maestro universale del suo insegnamento, non
ha soltanto trasferito nel campo del pensiero cristiano
la filosofia di Aristotele nella sua integrità, per farne
lo strumento di una sintesi teologica incomparabile;
egli ha anche, e nel medesimo tempo, sopraelevato e
per così dire trasfigurato questa filosofia.
Egli Pha purificata da ogni traccia di errore (nel-
Pordine filosofico s’intende, poiché nell’ordine delle
scienze dell’osservazione o scienze dei fenomeni,
Tommaso non poteva meno di Aristotele evitare gli
errori ammessi nel suo tempo, errori senza importan
za peraltro per quanto riguarda la filosofia stessa);
egli Pha fortemente ed armonicamente sistematizzata,
z) Affinché quest’opera potesse compiersi, era necessario anche che il pensiero cristiano si
trovasse già potentemente costituito nell’ordine filosofico e teologico, grazie ai Padri e
grazie alla scolastica anteriore a Tommaso. Perciò l’opera di Alberto magno e di Tomma
so è consistita non nel cambiare, ma al contrario nel portare a compimento la filosofia
cristiana, nel darle la fo rm a dell’età perfetta. Se i contemporanei sono stati colpiti soprat
tutto dalla novità di questa opera (novità di compimento, non d’alterazione), ciò deriva
dal fatto che ogni passaggio allo stato perfetto deve necessariamente sorprendere coloro
che vi assistono da vicino e che possono essere attaccati per l’abitudine a certi aspetti dello
stato imperfetto come tale. Si troveranno alcune indicazioni sull’accoglienza fatta a Tom
maso dai suoi contemporanei nel riassunto storico che proporremo alla fine di questi ele
menti di filosofia.
76
ne ha approfondito i principi, sviluppato le conclusio
ni, -allargato P orizzonte e, se non ne ha tolto nulla,
egli vi ha aggiunto molto, arricchendola dell’immenso
tesoro della tradizione latina e cristiana, restituendo
al loro giusto ambito numerose prese di posizione di
Platone, creando su certi punti fondamentali (sulla
questione dell’essenza e delPesistenza, per esempio)
delle sintesi completamente nuove e dando prova in
tutto ciò di un genio filosofico tanto possente quanto
quello di Aristotele. Infine e soprattutto usando, me
diante il suo genio propriamente teologico, della filo
sofia di Aristotele come d’uno strumento della scienza
sacra, che è in noi come un'impressione della scienza
d i D io65, egli ha elevato questa filosofia al di sopra di
se stessa, attirandola in una luce superiore che ne ha
fatto risplendere la verità in un modo più divino che
umano. Fra Aristotele visto in Aristotele e Aristotele
visto in Tommaso, vi è la stessa differenza che si ha
fra una città vista alla luce di torce portate dagli uomi
ni e la stessa città apparsa nei raggi del sole del matti
no.
Per questo, benché Tommaso sia innanzitutto un
teologo, conviene parlare di filosofia tomista tanto
quanto, e meglio forse, di filosofia aristotelica™.
23. — Questa filosofia di Aristotele e di Tom
maso è veramente, secondo l’espressione di un filoso Caratteristiche o se
fo moderno, la filosofia naturale dello spirito umano; gni esteriori della ve
ra filosofia:
essa sviluppa effettivamente e porta alla sua perfezio
ne quel che vi è di più profondamente e di più autenti
camente naturale nella nostra intelligenza, nelle sue filosofia naturale del
conoscenze prime come nel suo movimento verso la lo spirito umano,
verità.
Essa è anche la filosofia d e ll'e v id e n z a , basata sia filosofia dell’eviden
sull’evidenza sperimentale dei dati dell’esperienza sen za,
sibile, sia sull’evidenza intellettuale dei primi principi,
la filosofia dell'essere, che si fonda completamente e dell’essere,
77
si regola su ciò che è e si conforma fedelmente a tutte
le esigenze del reale, la filo s o fia dell*intelligenza, alla
dell’intelligenza. quale si affida come alla facoltà del vero e che forma
per mezzo di una disciplina sovranamente purificatri
ce. Per ciò stesso essa appare anche come universale,
in questo senso, che essa non è l’espressione di una na
zionalità o di una classe o di un gruppo o di un tempe
ramento o di una razza o di un’ambizione o di una
nostalgia o di una necessità pratica, ma è l’espressione
e il frutto della ragione, che è ovunque la stessa; in
filosofia universale, questo senso pure, che essa è capace di condurre le in
telligenze raffinate sino alla scienza più alta e più ar
dua, senza mai venir meno a quelle certezze vitali,
spontaneamente acquisite da ogni retta ragione, che
costituiscono il dominio universalmente umano del
senso comune. Essa appare inoltre come continua e
duratura (philosophia perennis) in questo senso, che
prima che Aristotele e Tommaso l’avessero costituita
duratura, scientificamente e come filosofia, essa esisteva sin dal
primo giorno nella sua radice, allo stato prefilosofico,
come istinto dell’intelligenza, e come conoscenza na
turale delle prime acquisizioni della ragione; e in que
sto senso pure, che dalla sua fondazione come filoso
fia, essa è rimasta stabile e progressivaspella sua gran
de vita tradizionale, mentre tutte le altre filosofie si
succedevano le une alle altre senza durare. Essa appa
e una. re infine come incomparabilmente una, sia perché è la
sola che assicura al sapere umano (metafisica e scien
ze) la sua armonia e la sua unità, sia perché realizza
essa stessa il massimo della coerenza nel massimo del
la complessità e perché non si può trascurare il mini
mo dei suoi principi senza falsare, con le ripercussioni
più imprevedibili, ogni genere di aspetto del reale.
Queste sono alcune delle caratteristiche esteriori
che ci manifestano la sua verità; e ciò prima ancora
che noi abbiamo potuto penetrare in essa, e costatare
direttamente la sua intrinseca evidenza e la sua neces
sità razionale.
78
2. CONCLUSIONI66
bb)L e co n tro v ersie co n cern en ti le conclusioni q ui in d icate, sa ra n n o stu d iate nella L ogica
M aggio re e n ella C ritica.
24. D E FIN IZ IO N E DELLA FILO SO
FIA — La filosofia ci è apparsa in primo luogo come
la sapienza umana . Ora che sappiamo meglio, me
diante la storia stessa della sua genesi, in che cosa con La filosofia è
siste questa sapienza e di che cosa essa si occupa, po
siamo cercare di dire con maggior precisione che cos’è
la filosofia.
(Consideriamo per far ciò la filosofia per eccel
lenza — filosofia prima o metafisica — . Quel che ne
diremo in un senso assoluto — simpliciter — potrà es
sere applicato sotto un certo rapporto — secundum
quid — alle altre parti della filosofia.)
1) La filosofia è una saggezza di condotta o di vi
ta, che consisterebbe nelVagire bene nel senso in cui
chiamamo talora saggio colui che è virtuoso! (Gli in
glesi, in questo senso, dicono buono). No, la filosofia
è una saggezza che consiste nel
CONOSCERE.
2) Conoscere come ? Conoscere nel senso pieno e
perfetto della parola, cioè con certezza, e potendo dire la conoscenza scienti
fica,
perché la cosa è così come la si esprime e non può esse
re diversamente,
CONOSCERE MEDIANTE LE CAUSE.
La ricerca delle cause è in realtà la grande impre
sa dei filosofi, e la conoscenza di cui si occupano non
è una conoscenza semplicemente probabile, come
quella che danno gli oratori coi loro discorsi, è una co
noscenza capace di costringere P intelligenza, come
quella che i geometri procurano con le loro dimostra
81
zioni. Ma che cos’è una conoscenza sicura mediante le
cause! È quella che si chiama una scienza. La filosofia
è una scienza.
che la ragione natu 3) Conoscere in che modo, grazie a quale luc
rale
Conoscere per mezzo della ragione, grazie a ciò che si
chiama
LA LUCE NATURALE
dell’intelletto umano. È questa la caratteristica comu
ne di ogni scienza puramente umana (in opposizione
alla teologia).
Ciò che regola la filosofia, il criterio di verità che
essa usa, è pertanto P evidenza dell’oggetto.
82
scienze, altrimenti non sarebbe nulla e i vari filosofi di
cui sopra riassumevamo le dottrine avrebbero trattato
problemi inesistenti66. Ora, che la filosofia sia qualche
cosa di reale e che i problemi di cui si occupa siano i
più necessari da studiare, questo emerge con evidenza
dall5impossibilità naturale in cui si trova lo spirito
umano di non proporsi le questioni di cui hanno trat
tato i filosofi e che impegnano dei principi ai quali so
no legate le certezze di tutte le scienze.
«Voi dite che bisogna filosofare?» chiedeva Ari
stotele in un celebre dilemma. «Allora effettivamente
bisogna filosofare. Voi dite che non bisogna filosofa
re? Allora bisogna ancora filosofore (per dimostrar
lo). In ogni caso è necessario filosofare»67.
Ma in che modo la filosofia può essere una scien
za a parte, se si occupa di tutto? Qui dobbiamo chie
derci da quale p u n to d i vista essa si occupa di tutto, o
meglio che cosa d ir e tta m e n te e p e r s e stesso l’interessa
in tutto; se si occupa dell’uomo, per esempio, lo fa per
sapere il numero delle sue vertebre o le cause delle sue
malattie? No, questo è compito dell’anatomia e della
medicina; la filosofia si occupa dell’uomo per sapere,
per esempio, se gli ha un’intelligenza che lo distingue
assolutamente dagli altri animali, se ha un’anima, se è
fatto per godere di Dio o per godere delle creature, ec
cetera. Quando si sa questo, non si può andare ad af
frontare altre questioni più lontane e più in alto. Di
ciamo che la filosofia va a cercare, nelle cose, non il
perché più ravvicinato ai fenomeni che cadono sotto i
nostri sensi, ma al contrario il perché più lontano da
questi fenomeni, il perché più elevato, quello oltre il
quale la ragione non può andare. È quello che si espri
me in linguaggio filosofico dicendo che la filosofia
non ricerca le cause secondo o le ragioni prossime00,
ma al contrario le cause prime o i principi supremi o le
ragioni più elevate.
Inoltre abbiamo visto che la filosofia conosce le
cose mediante la luce naturale della ragione. Diciamo
dunque che essa ricerca le cause prime o i principi su
premi che riguardano l ’ordine naturale.
Quando' affermavamo che la filosofia si occupa
cc) Prossime, cioè vicine al dettaglio dei fenomeni che cadono sotto i nostri sensi.
83
di tutto , di tutto ciò che è, di tutto ciò che si può co
noscere, non parlavamo in una maniera molto preci
sa, mostravamo la materia sulla quale essa indaga o il
suo oggetto materiale, non facevamo vedere da quale
punto di vista e sotto quali determinazioni questa ma
teria la interessa, non le attribuivamo il suo oggetto
form ale o il suo punto di vista formale. L’oggetto for-
mediante le cause pri- male di una scienza è la determinazione per mezzo del-
deHa(Cf?iotoria)0rmaIe clua^e essa coglie qualche cosa, o anche è ciò che per
se stesso e innanzitutto viene da essa considerato e
quello in ragione del quale essa considera tutto il re
sto^: e ciò che la filosofia considera in tale modo for
male nelle cose, e dal punto di vista del quale conside
ra tutto il resto, sono
LE CAUSE PRIME
o i principi supremi delle cose, in quanto queste cause
o principi si riferiscono all’ordine naturale.
dd) «Quod per se primo haec scientia considerat et sub cuius ratione caetera omnia cogno
scit.»
84
me. Le altre scienze, al contrario, hanno per oggetto
questa o quella parte di ciò che è, di cui esse studiano
solo le cause seconde o i principi prossimi. Questo si
gnifica che la filosofia è la più alta di tutte le cono
scenze umane.
Significa pure che la filosofia è proprio una sa
pienza, poiché è proprio della sapienza il considerare
le cause più elevate e nobili, sapientis est altissimas
causas considerare. Essa perciò in un piccolo numero
di principi comprende la natura intera ed arricchisce
Pintelligenza senza affaticarla.
5) Tutto ciò che abbiamo detto ora conviene pu
ramente e semplicemente alla filosofia prima o meta
fisica, ma può essere inteso come riferito alla filosofia
tutta, presa come un insieme di cui la metafisica è la
parte più importante68. Si dirà perciò che la filosofia
considerata nel suo insieme è un corpo di scienze uni
versale69, che ha come punto di vista formale70 le cau
se prime (sia le cuase assolutamente prime, i principi
assolutamente primi: oggetto formale della metafisi
ca; sia le cause prime in un certo ordine, i principi su
premi in un campo determinato: oggetto formale delle
altre scienze filosofiche). Si dirà parimenti che alla
metafisica compete il nome di sapienza puramente e
semplicemente (simpliciter) e che le altre parti della fi
losofia lo meritano sotto un certo rapporto (secon-
dum quid).
CONCLUSIONE I. — La
filosofia è la conoscenza scientifica
che, mediante la luce naturale
della ragione, considera le cause
prime o le ragioni più elevate di
ogni cosa; o ancora: la conoscenza
scientifica delle cose mediante le
cause prime, nella misura in cui
queste concernono l’ordine
naturale.
85
u o m in i di studio; la qu al cosa però no n gli im pedisce di difendere,
co m ’è su o dovere, la dignità della sapienza e il su o p rim a to su tu tte
le scienze.
b) S o tto P in flu en za di q u esta considerazione, che la filoso
h a u n d o m in io universale, D escartes (X V II secolo) vedeva in essa la
scienza unica®6, di cui tu tte le altre scienze (secondo lui) so n o solo
p a rti; A u g u sto C o m te invece e i positivisti (X IX secolo) volevano
asso rb irla nelle altre scienze, di cui la filo so fia sareb b e solo la siste
matizzazione. Si vede bene che e gli u ni e gli altri si so n o in g an n ati,
poich é n o n h a n n o d istin to P oggetto materiale dall ’oggetto formale
della filo so fia.
Filosofia di Aristotele e di
Tommaso.
L a filosofia e P insie
m e delle altre scienze h a n
no il m edesim o oggetto
materiale (tu tto ciò che è
conoscibile). M a la filoso
fia co n sid era formalmente
le cause prim e, le altre
scienze co n sid eran o for
malmente le cause secon
de.
ee) Decartes usava il termin efilosofia nella sua accezione antica. Per gli antichi, come per
Descartes, il termine filosofia indicava Tinsieme della conoscenza scientifica. Ma gli anti
chi suddividevano la filosofia così intesa in numerose scienze distinte, fra le quali alla me
tafisica competeva per eccellenza il nome di filosofia. Descartes invece considerava la filo
sofia, intesa sempre come Vinsieme della conoscenza scientifica, come una scienza specifi
camente una (di cui la metafisica, la fisica, la meccanica, la medicina e la morale sarebbero
le parti principali). Pertanto, egli riconosceva solo una scienza unica. Per noi la filosofia è
un corpo di scienze che deriva dal suo punto di vista formale (cause prime) la sua unità e la
sua distinzione rispetto alle altre scienze. La parte principale di questo corpo di scienze è la
metafisica, scienza specificamente una, il cui oggetto formale è universale (l’essere in
quanto essere).
86
E la filosofia comporta più certeze, e certezze (certezze matafisiche)
più perfette di qualunque altra scienza puramente umana.
ff) In questo senso ci si può chiedere se il principio d’inerzia, così com’è formulato da Ga
lileo e Descartes, sia compatibile con il principio filosofico: quidquid movetur, ab alio mo
vetur.
87
Poniamo, al contrario, una proposizione di filosofia che sem
bri incompatibile con una verità di fisica**. Sta alla filosofia giudi
care tale proposizione alla luce della filosofia e determinare se e in
che misura essa sia veramente incompatibile con la verità di fisica in
questione. Ma è compito della fisica giudicare tale proposizione alla
luce della fisica. (Se l’incompatibilità di cui si tratta è reale, eviden
temente quella proposizione di filosofia è falsa, poiché una verità
non può essere contraria ad un’altra verità. Il filosofo s’inchinerà in
questo caso, non proprio davanti alla fisica, ma davanti alla filoso
fia mentre giudica se stessa per mezzo della fisica e dovrà riprendere
il suo ragionamento daccapo.)
2) Inoltre, se i principi di
bordinati ai principi di una scienza più elevata, è chia
ro che questa scienza più elevata ha una funzione di
dirigerle, direzione, in riferimento alla scienza inferiore. Orbe
ne, poiché i principi della filosofia (della filosofia pri
ma o metafisica) sono i principi assolutamente primi
di ogni conoscenza umana, essi tengono in un certo
modo sotto la loro dipendenza i principi di tutte le al
tre scienze umane. La filosofia pertanto (la filosofia
prima o metafisica)
DIRIGE
le altre scienze.
8S) È vero che in realtà siamo in presenza non della filosofia ma dei filosofi, e i filosofi so
no fallibili: un filosofo può sbagliare giudicando una proposizione di fisica; ma questo
non prova che egli non abbia il diritto di giudicarla.
Un fisico può pertanto essere nel giusto, in certi casi, se mantiene una proposizione di fisi
ca contro un filosofo che la dichiara incompatibile con una verità filosofica. Ma in questo
caso l’evidenza che lui stesso sente della verità di fisica in questione, gli fa concludere che il
filosofo si è sbagliato formulando il suo giudizio, o in altri termini che egli non ha formu
lato tale giudizio ut philosophus, come organo della filosofia. E il fisico non è autorizzato
a negare al filosofo come filosofo il diritto di dare un giudizio del genere.
hh) Avviene, per esempio, che la tesi filosofica del libero arbitrio sembri ai meccanicisti in
compatibile con il principio fisico della conservazione dell'energia.
88
per se nota). Ma essi non sono primi assolutamente parlando (sim
pliciter). E di conseguenza, benché s’impongano alla mente indi
pendentemente dalla metafisica, tuttavia essi presuppongono in
realtà i principi della metafisica e si risolvono in essi; possono essere
conosciuti senza che siano esplicitamente conosciuti i principi della
metafisica, ma non potrebbero essere veri se questi innanzitutto non
fossero veri. Essi sono a loro indirettamente subordinati, in questo
senso. Così, per fare un esempio, il principio matematico: «due
quantità eguali ad una terza sono eguali tra loro», si risolve in que
sto principio metafisico, di cui è una contrazione: «due esseri identi
ci ad un terzo sono identici tra loro».
Per questa ragione, si dice (come vedremo in Logica Maggiore)
che le scienze sono tutte impropriamente «subalterne» alla metafisi
ca.
Inoltre debbono talora utilizzare anch’esse principi assoluta-
mente comuni e universali della metafisica. In tale senso si dice che
esse sono «subalterne» secondo un certo rapporto (secundum quid).
b) Dirigere una cosa significa assegnarle la sua méta o il suo fine.
Le scienze non sono dirette dalla filosofia verso il loro fine proprio,
nel senso che esse non hanno bisogno della filosofia per tendere ver
so il loro oggetto, Γaritmetica non ha bisogno della filosofia per
tendere verso il loro oggetto, Γ aritmetica non ha bisogno della filo
sofia per essere diretta verso le verità concernenti i numeri, essa vi si
dirige da sé. Ma la filosofia stabilisce il fine proprio delle diverse
scienze, nel senso che essa determina speculativamente ciò che costi
tuisce l’oggetto proprio di ciascuna e ciò che fa la loro unità e la lo
ro distinzione (classificazione delle scienze: problema studiato in
Logica Maggiore). E con ciò stesso la filosofia stabilisce l’ordine
delle scienze tra loro. Tutte le scienze pertanto sono ordinate dalla
sapienza, sapientis est ordinare. Ne deriva che se una scienza, o
piuttosto uno studioso, devia per caso dal suo fine specifico, usur
pando il campo e i diritti di un’altra scienza71, è proprio della filoso
fia impedire questo disordine. A tale titolo precisamente essa dirige
le scienze (verso il loro fine proprio), non d a n d o l’inclinazione, ma
reprimendo gli errori.
D ’altra parte, la conoscenza nella quale la mente trova il suo
bene ultimo, cioè la conoscenza più alta, può essere considerata co
me il fine ultimo e trascendente verso il quale convergono tutte le
scienze particolari. Ora è la filosofia (scienza delle cause prime) che
procura questa conoscenza; anche a questo titolo essa dirige pertan
to le scienze (verso il fine comune al quale è subordinato il fine
proprio di ciascuna). Tutte le scienze sono perciò ordinate alla sa
pienza.
Si comprende, da quanto è stato detto ora, che per far progres
si nelle scienze non occorre essere filosofi né basarsi sulla filosofia e
che gli studiosi, nel coltivare la loro scienza, non hanno il dovere di
chiedere consiglio alla filosofia né di tendere a diventare filosofi;
ma che «senza di essa non potranno mai rendersi conto del ruolo né
dell’importanza della loro specialità nell’insieme delle conoscenze
umane», né avere «idea alcuna dei principi dell’esperienza stessa né
dei fondamenti reali delle scienze particolari»72; e si comprende an
che che nella società umana un periodo di cultura intellettuale in cui
la filosofia non esercita sulle scienze il suo primato di scientia rec
trix73, comporta fatalmente per l’intelligenza uno stato di disordine
e una debilitazione generale.
89
c) Descartes, per il fatto che assorbiva tutte le scienze nella fi
losofia e considerava la scienza come puramente e semplicemente
una, credeva che i principi di tutte le scienze dipendessero diretta-
mente da quelli della filosofia prima (metafisica). In tal caso è dalla
metafisica o dalla sommità stessa delia conoscenza che bisogna ini
ziare lo studio delle scienze e della filosofia stessa.
L’errore opposto consiste nel ritenere che i principi delle scien
ze siano assolutamente indipendenti da quelli della filosofia. Ne de
riva che non ci può più essere una scientia rectrix e che le scienze
non formano un edificio ordinato ma un caos. Stupisce assai che
Augusto Comte, il quale voleva ridurre la filosofia alla semplice si
stematizzazione delle scienze particolari, non abbia visto che questo
compito stesso di classificare e sistematizzare le scienze (in quella
che egli chiama la sintesi oggettiva) è possibile solo se la filosofia è
una scienza a parte, superiore, e dalla quale le altre scienze dipendo
no in un certo m odo74.
Filosofia di Aristotele
e di Tommaso.
I principi delle scien
ze particolari sono subor
dinati a quelli della filoso
fia, ma soltanto in una
maniera indiretta. Di con
seguenza, la filosofia diri
ge le altre scienze, ma con
una direzione che si po
trebbe chiamare polìtica
(le scienze particolari sono
autonome).
lo studio della filoso
fia prima (metafisica) non
deve essere messo all’ini
zio, ma al termine della ri
cerca intellettuale.
Filosofia Filosofia
di Descartes. dei negatori
I principi delle scien dellafilosofia
ze particolari sono diret I principi delle scien
tamente subordinati a ze particolari non sono
quelli della filosofia. Di subordinati a quelli di
conseguenza questa dirige nessuna scienza più eleva
le altre scienze, con una ta. Di conseguenza tali
direzione 1che si potrebbe scienze non sono affatto
chiamare dispotica. dirette e si trovano in una
Lo studio della filo condizione che si può
sofia prima (metafisica) chiamare di anarchia.
deve essere messo all’ini Non vi è una scienza su
zio della ricerca intellet prema o una filosofia pri
tuale. ma (metafisica).
90
3) Infine, se una scienza sviluppa le sue dimostra
zioni a partire da certi principi o da certi dati che essa
non può né spiegare né difendere, bisognerà che il
compito di difendere questi principi e questi dati spet
ti ad una scienza superiore. Così, per esempio, la e difenderle.
scienza dell’architetto difende quella del capomastro.
Ora, è chiaro che ogni scienza, tranne la più alta, svi
luppa le sue dimostrazioni a partire da certi principi o
da certi dati che non può né spiegare né difendere. Le
matematiche, per esempio, non si chiedono che cos’è
la quantità o il numero o l’estensione; la fisica non si
chiede che cos’è la materia. E se viene qualcuno che
nega che il mondo sensibile esista o che due quantità
uguali ad una terza siano uguali tra loro o che lo spa
zio abbia tre dimensioni, non sono né la fisica né le
matematiche che potranno rispondergli, poiché, al
contrario, esse presuppongono questi principi o questi
dati. Bisogna pertanto che spetti alla filosofia (alla fi
losofia prima o metafisica)
DIFENDERE
contro ogni possibile avversario i principi di tutte le
scienze umane.
91
da coloro che lo servono o dagli strumenti che usa.
Perciò Aristotele la considerava come la scienza
LIBERA per eccellenza.
92
condo lo stato della scienza in una data epoca; e se quel sistema di
proposizioni scientifiche fosse un giorno trovato falso, la verità di
quella filosofia non ne sarà perciò intaccata; dovranno soltanto es
sere modificati il suo linguaggio e le spiegazioni sensibili delle quali
essa ricopriva le sue certezze.
Queste osservazioni sono importanti; esse mostrano come il
dato sperimentale, sul quale si fonda in primo luogo la filosofia, ri
sponde bene alle sue esigenze di scienza suprema e universale: que
sto dato le è offerto da uno strumento (l’evidenza sensibile) anterio
re all’osservazione scientifica, infinitamente più sicuro delle indu
zioni delle scienze e naturalmente alla portata di tutti gli uomini; e
consiste in verità di fatto talmente semplici che hanno un valore as
solutamente generale, talmente immediate e talmente evidenti che la
loro certezza supera quella delle conclusioni scientifiche meglio de
terminate"
Queste osservazioni inoltre fanno comprendere perché gli erro
ri d’ordine puramente scientifico che si possono trovare nelle anti
che esposizioni della filosofia di Aristotele e di Tommaso, esposi
zioni necessariamente concepite in funzione dello stato delle cono
scenze scientifiche di quei tempi, non portino alcun danno alla veri
tà di quella filosofia. Il fatto è che nessuna filosofia è fedele più di
quella di Aristotele e di Tommaso alle regole del pensiero che garan
tiscono la purezza e la libertà della filosofia.
È vero peraltro che la filosofia, se è distinta dalle scienze parti
colari, non è separata né isolata rispetto ad esse. La filosofia, al
contrario, ha il dovere di esercitare il suo ufficio di scientia rectrix,
proiettando costantemente la sua luce sulle scoperte, le teorie, l’atti
vità incessante e il movimento delle scienze; e una delle condizioni
primarie della sua vita e del suo progresso nel mondo è il suo contat
to intimo con le discipline inferiori di cui interpreta e feconda i dati.
Nella misura in cui la filosofia si impegna così a interpretare,
con l’aiuto delle sue specifiche verità, i dati di fatto o le teorie che la
scienza positiva considera come definite, gli errori o le insufficienze
della scienza positiva possono accidentalmente introdurre in una
dottrina filosofica vera delle parti caduche, segno e contropartita,
per così dire, dello sviluppo umano della filosofia; ed esse non pos
sono falsare una filosofia se non nella misura in cui questa manchi
alla sua natura e si leghi da se stessa alle discipline inferiori".
") A questo dato fondamentale possono aggiungersi (ma a titolo secondario e per servire
come verifiche e riprove talora preziose) i fatti più particolari scoperti, controllati, misura
ti dall’osservazione e sperimentazione scientifica. E da notare che le verità assolutamente
evidenti, nelle quali consiste il dato primitivo e fondamentale della filosofia, debbono es
sere distinte con cura da certe interpretazioni dell’esperienza fornite dalla conoscenza po
polare e che non sono altro che proposizioni pseudo-scientifiche. Se, per esempio, in filo
sofia naturale si facesse appello, per provare la realtà dei cambiamenti sostanziali, a que
sto argomento, che l’acqua è un corpo liquido, mentre l’idrogeno e l’ossigeno sono corpi
gassosi, un simile ragionamento si fonderebbe non su una verità di evidenza sensibile, ma
su un errore d’ordine scientifico (gli stessi corpi inorganici effettivamente possono trovarsi
nei tre stati solido, liquido e gassoso). U n’informazione scientifica sufficiente aiuta evi
dentemente il filosofo ad evitare simili equivoci.
") Il peccato degli scolastici decadenti del XVI e del XVII secolo è d’aver creduto e fatto
93
b) Da quanto precede si comprende che, in ragione della natu
ra e delle esigenze della filosofia, bisogna che il filosofo sia infor
mato il più possibile dello stato delle scienze del suo tempo, alla
condizione però che la verità filosofica rimanga in lui libera a loro
riguardo. Se in realtà il filosofo come tale non deve usare delle pro
posizioni fornite dalle scienze particolari, per stabilire le sue certez
ze, deve però servirsi di queste stesse proposizioni: 1° per illustrare
in modo conveniente i suoi principi; 2° per confermare le sue con
clusioni; 3° per interpretare, spiegare e assimilare i risultati acquisiti
dalle scienze, nella misura in cui questi interessano i problemi filo
sofici. Deve infine servirsi delle proposizioni scientifiche; 4° per
confutare le obiezioni e gli errori che pretendessero appoggiarsi sui
risultati della scienza.
Da un altro punto di vista, inoltre, lo studio delle scienze è ne
cessario al filosofo: per il fatto che la formazione del filosofo stesso
richiede, a causa delle condizioni della natura umana, che egli si ele
vi progressivamente dall’imperfetto al perfetto e che passi attraver
so la disciplina delle scienze prima di allenarsi alla pratica della sag
gezza^.
Tutti i grandi filosofi quindi sono stati versati nelle scienze del
loro tempo; alcuni addirittura sono stati dei grandi scienziati (Ari
stotele, per esempio, Alberto Magno, Leibniz) e certe scoperte
scientifiche, fra quelle la cui importanza è capitale, hanno avuto dei
filosofi come atutori, per esempio le scoperte matematiche di Pita
gora, di D escartes, o di L eibniz.
Osserviamo qui che c’è molto maggior utilità per la formazione
filosofica nel possedere seriamente e praticamente una sola scienza,
con la quale si prende personalmente un contatto diretto, che non
nel conoscerne un gran numero in modo superficiale e attraverso
opere di seconda mano. Senza aspettarsi (cosa che la specializzazio
ne delle scienze nei tempi moderni rende davvero impossibile) di
possedere tutte le scienze con la perfezione dello scienziato propria
mente detto, il filosofo deve tendere tuttavia ad acquisire dall’insie
me delle scienze particolari, una conoscenza sufficientemente ap
profondita, ideale che in sé non è inaccessibile, come è dimostrato
dall’esempio di alcune menti sublimi.
CONCLUSIONE IL — La
filosofia è la più alta delle
conoscenze umane, ed è veramente
una sapienza. Le altre scienze
credere che la filosofia di Aristotele e di Tommaso sia perciò legata agli errori della scienza
antica, da cui è in realtà pienamente indipendente.
kk) Lo studio delle scienze è necessario al filosofo anche per metterlo nella condizione di
distinguere facilmente le evidenze prime dell’esperienza da certe interpretazioni popolari e
in realtà pseudo-scientifiche dell’esperienza, come, per esempio, l’ipotesi del movimento
del sole attorno alia terra, ο Γ opinione irriflessa che questo corpo inorganico è essenzial
mente liquido e quello essenzialmente solido o gassoso (ved. nota ii).
94
(umane) le sono sottomesse, nel
senso che essa le giudica, le dirige
e difende i loro principi Essa poi
è libera nei loro confronti e non
ne dipende che come da Strumenti
di cui si serve.
95
principi della filosofia sono visti dal filosofo, è una scienza più ele
vata della filosofia: l’argomento che deriva dall’autorità è in effetti,
come dice Tommaso, il più debole di tutti, se si tratta dell’autorità
degli uomini; ma l’argomento che deriva dall’autorità di Dio rive
lante è più forte e più efficace di tutti gli altri7S.
La teologia infine, per il fatto che considera in se stesso colui
che è al di sopra di tutte le cause, merita a un titolo molto più eleva
to che non la metafisica il nome di Sapienza. Essa è la sapienza per
eccellenza76.
") Ved. sopra pp. 87-88. Il filosofo e lo scienziato non possono mai rifiutare i diritti che la
teologia ha sulla filosofia e sulle scienze. Essi possono però essere nel giusto se rifiutano,
in questo o in quel caso particolare, non certo Pautorità della Chiesa, ma l’opinione di
questo o di quel teologo, poiché il teologo non è necessariamente Porgano della teologia e
può sbagliarsi.
96
Si comprende dunque come la filosofia e la teologia siano per
fettamente distinte e come sarebbe ridicolo per il filosofo invocare,
p er provare una tesi di filosofia, l’autorità della rivelazione, così co
me sarebbe ridicolo per un geometra voler dimostrare un teorema
con l’aiuto di un mezzo fisico, pesando, per esempio, le figure che
pone a confronto. Ma se la filosofia e la teologia sono perfettamen
te distinte, esse non sono separate; e la filosofia, pur essendo certa
mente, fra tutte le scienze umane, la scienza libera per eccellenza,
nel senso che si sviluppa seguendo principi e leggi che non dipendo
no da alcuna scienza superiore, è però limitata nella sua libertà {nel
la sua libertà di sbagliarsi) nel senso che è sottoposta alla teologia,
che la controlla dal di fuori.
Nel XVII secolo, la riforma filosofica di Descartes ebbe come
risultato di separare la filosofia dalla teologia79, rifiutando alla teo
logia il suo diritto di controllo e la sua funzione di norma negativa
riguardo alla filosofia: il che significava affermare che la teologia
non è una scienza ma una semplice disciplina pratica e che la filoso
fia o sapienza dell’uomo è la scienza assolutamente suprema e che
non ne tollera alcuna al di sopra di sé. Il cartesianesimo pertanto,
nonostante le convinzioni religiose di Descartes, introduceva il prin
cipio della filosofia razionalista, che pretende di vietare a Dio di
farci conoscere mediante la rivelazione verità che superano la porta
ta naturale della nostra ragione; se in realtà Dio ci rivela simili veri
tà, allora necessariamente la ragione umana, illuminata dalla fede,
lavorerà su di esse come su principi di conoscenza e costituirà quin
di una scienza che sarà la teologia. E se la teologia è una scienza, bi
sognerà veramente che abbia la funzione di norma negativa riguar
do alla filosofia, non potendo la medesima cosa essere vera in filo
sofia e falsa in teologia80.
97
scienza di Dio e dei beati, non è così tenuta a servirsi della filosofia,
essa è assolutamente indipendente.
In realtà però, a causa del soggetto in cui si trova, cioè a causa
dell’infermità dello spirito umano, che non può ragionare sulle cose
di Dio che per analogia con le creature, essa può svilupparsi solo
servendosi della filosofia. E qui non si pone tra la filosofia e il teo
logo lo stesso rapporto che si ha tra le scienze e il filosofo81. Si è vi
sto precedentemente che il filosofo deve servirsi delle proposizioni o
conclusioni che prende a prestito dalle scienze non per basare su di
esse le sue conclusioni (laddove almeno si tratta di conclusioni me
tafisicamente sicure), ma solo per spiegare i suoi principi, e che di
conseguenza un sistema filosofico non ha bisogno, per essere vero,
che sia necessariamente vero il materiale scientifico che usa. Il teo
logo invece si serve ogni m om ento delle proposizioni filosofiche per
stabilire le sue conclusioni. Non può quindi accadere che un sistema
teologico sia vero se la metafisica cui attinge è falsa. Ne consegue
che per il teologo sussiste la necessità assoluta di possedere una filo
sofia vera, conforme al senso comune dell’umanità.
b) La filosofia considerata in se stessa precede normalmente la
teologia. Alcune verità d’ordine naturale sono in realtà come il
preambolo della fede. Queste verità, che sono conosciute natural
mente da tutti gli uomini mediante il senso comune, sono conosciu
te e stabilite scientificamente dalla filosofia. La teologia, che è la
scienza della fede, presuppone pertanto prima di sé la conoscenza
filosofica delle medesime verità.
c) La filosofia considerata come strumento della teologia coa
diuva la teologia principalmente in tre modi. La teologia se ne serve
in primo luogo per stabilire le verità che vertono sui fondamenti del
la fede, in quella parte della teologia che si chiama Γapologetica82 e
che dimostra, per esempio, che i miracoli provano molto bene la
missione divina della Chiesa; poi per dare qualche intelligenza dei
misteri della fede con Paiuto di analogie prese a prestito dalle crea
ture (così la teologia userà, per esempio, della dottrina filosofica del
verbo mentale — dottrina studiata in psicologia — per illustrare il
dogma della trinità) infine per confutare gli avversari della fede (co
sì la teologia spiegherà, per esempio, mediante la teoria filosofica
della quantità, teoria esposta in cosmologia, come il mistero del
l’eucaristia non ripugni in nulla alla ragione).
d) Si osservi che se la filosofia serve alla teologia, riceve però
essa stessa dalla teologia apprezzabili soccorsi.
Innanzitutto, in quanto, considerata in se stessa, è sottomessa
al controllo esteriore e alla regolamentazione negativa della teolo
gia, essa è protetta dalla teologia contro un gran numero di errori:
se la sua libertà di sbagliarsi è pertanto più limitata, la sua libertà di
accedere al vero ne è tanto più rafforzata"”".
In secondo luogo, in quanto, considerata come strumento della
teologia, serve quest’ultima, essa è portata a precisare e ad affinare
mm) La ragione abbandonata alle sue sole forze può sì evitare l’errore su un qualunque
punto particolare del campo filosofico, ma, poiché è un dato la debolezza della natura
umana, essa non può, senza il soccorso della grazia, evitare ogni errore su tutti questipun-
alcuni concetti e alcune teorie importanti che, lasciate alle sue sole
forze, avrebbe rischiato di trascurare. Così, per esempio, la filoso
fia tomista deve alla teologia d’essere stata portata a mettere in luce
la teoria della natura e della persona o a condurre al suo compimen
to la teoria degli habitus, eccetera.
CONCLUSIONE III. — La
teologia o scienza di Dio, secondo
quanto Egli di sé ci ha fatto
conoscere mediante la rivelazione,
è al di sopra della filosofia. La
filosofia le è sottomessa non nel
suo sviluppo ma nelle sue
conclusioni, sulle quali la teologia
esercita un controllo, essendo
pertanto regola negativa per la
filosofia.
Notiamo che noi non solo iniziamo con questa conoscenza vol
gare, ma che anche continuiamo necessariamente ad attenerci ad es
sa, perfezionandola più o meno coi nostri studi e le nostre letture,
per Γ immensa moltitudine delle cose di cui non abbiamo la scienza
propriamente detta.
Ora se si tratta del campo delle cause seconde, è impossibile ad
un uomo acquisire, con la compiutezza e precisione richieste al vero
e proprio scienziato, la scienza di tutto ; in altri termini, gli è impos
sibile specializzarsi in tutte le scienze, cosa che ripugna anche solo a
dirla. Troppo fortunato se riesce a possedere veramente una sola
scienza! Per tutto il resto dovrà quindi accontentarsi di una cono
scenza che, per quanto ricca e seria possa essere in colui che viene
detto un uomo colto, cioè istruito nelle scienze degli altri, resta tut
tavia al di qua della scienza propriamente detta.
ti considerati insieme: in altri termini essa non può, senza una grazia speciale o senza la re
golamentazione negativa della rivelazione e della teologia, costituire una sapienza umana
perfetta (cfr. Tommaso, Summa Theologica, I, q.l, a.l; Sum. contra Geni., 1.1, cap. 4.
Garrigou-Lagrange, De Revelatione, 1.1, p. 411 sgg.).
99
Ma se si tratta del campo delle cause prime, e non più delle cau
se seconde, allora è possibile che un uomo si innalzi alla scienza di
tutte le cose: poiché è proprio la caratteristica della scienza che si
chiama filosofia conoscere tutto mediante le cause prime""; ed è ri
guardo al filosofo o al saggio che si può affermare con verità ciò che
disse Leonardo da Vinci: «Facile cosa è farsi universale».
"") Si comprende con ciò in quale paurosa delusione si risolva la concezione positivista del
la filosofia: se la filosofia non fosse altro che la coordinazione o la sistematizzazione delle
scienze, bisognerebbe, per arrivarci, possedere alla perfezione tutte le scienze, cioè specia
lizzarsi in tutto; in altre parole sarebbe assolutamente impossibile pervenire alla filosofia.
100
Gli uomini, a meno che non siano deformati da un’e
ducazione cattiva o da un vizio qualunque attinente la
ragione, hanno la certezza naturale di queste verità.
Ma coloro la cui intelligenza non è stata sviluppata e
istruita, non sanno, o sanno malamente, rendere ra
gione di quelle certezze, cioè spiegare come mai le pos
seggono.
Tali certezze del senso comune, conclusioni di un
ragionamento implicito, non sono meno ben fondate
delle certezze della scienza. Ma colui che le possiede
non sa nemmeno lui, o sa male, il fondamento che
hanno in lui. Esse sono perciò imperfette non quanto
al loro valore di verità, ma quanto al modo o allo sta
to nel quale si trovano nella mente.
Per quel che si riferisce poi alle verità evidenti per
se stesse (il tutto è più grande della parte, tutto quel
che succede ha una causa, eccetera), che sono l’ogget
to di quello che vien detto Vintelligenza dei principi, e
la cui certezza è superiore a quella di tutte le conclu
sioni della scienza, il senso comune ne ha una cono
scenza in un modo egualmente imperfetto, nel senso
che rimane confusa ed implicita.
Il senso comune è quindi come il giudizio natura
le e primitivo, infallibile ma imperfetto nel suo modo,
della ragione umana.
A causa del suo carattere del tutto spontaneo e della sua inca
pacità di rendere ragione delle sue certezze, alcuni filosofi hanno
voluto vedervi una facoltà speciale e puramente istintiva senza rap
porto con Pintelligenza (scuola scozzese, fine del XVIII e inizio del
XIX secolo, Reid, Dugald Stewart; Jouffroy in Francia), o un senti
mento estraneo e superiore alla ragione (scuola intuitivista, o senti
mentalista, Rousseau, Jacobi, M. Bergson ai nostri giorni, per
esempio). Ma allora il senso comune così inteso sarebbe cieco, poi
ché non vi è in noi altra luce che quella dell’intelligenza o della ra
gione. La luce del senso comune è radicalmente la stessa luce di
quella della scienza, è la luce naturale dell’intelligenza. Ma nel caso
del senso comune tale luce non ritorna su se stessa mediante la ri
flessione critica e non è perfezionata da quello che più avanti chia
meremo un habitus scientifico.
101
Quali sono le relazioni della filosofia con il senso
comune?
1) La filosofia non deve basarsi, come pretende
va la scuola scozzese, sulP autorità del senso comune
La filosofia non si considerato puramente e semplicemente come consen
basa sull’autorità del so comune o testimonianza universale degli uomini o
senso comune inteso
come consenso o co come istinto che in realtà s’impone. Essa riposa effet
me istinto comune tivamente sull’evidenza, non sull’autorità.
degli uomini.
2) Ma se si considera nel senso comune Vintelli
genza immediata dei primi principi evidenti per se
Ma deriva dal senso stessi, che è uno degli elementi del senso comune, allo
comune considerato
come l ’intelligenza
ra si può dire che questo è la fonte da cui promana tut
naturale dei primi ta la filosofia. La filosofia in effetti ha come principi
principi. LE EVIDENZE PRIME,
le quali danno
NATURALMENTE
al nostro spirito le sue certezze primordiali.
Comprendiamo bene qui che se la filosofia trova
i suoi principi già proclamati dal senso comune, tutta
via è per l’assoluta ed unica autorità dell’evidenza che
essa li ritiene principi, non perché sono proclamati dal
senso comune e non per l’autorità del senso comune
inteso come consenso generale o come istinto comune
dell’umanità,
3) Infine, se si considera tutto l’insieme delle ve
rità (principi e conclusioni) conosciute dal senso co
mune con certezza, ma in un modo imperfetto, biso
gna dire che la filosofia è superiore al senso comune,
Il senso comune è co come lo stato perfetto di una cosa (cioè lo stato scien
me una filosofia im
perfetta ed embrio
tifico della conoscenza) è superiore allo stato imper
nale. fetto o rudimentale di quella cosa stessa (cioè allo sta
to prescientifico di quella conoscenza, peraltro vera e
sicura in ambedue i casi).
10 / .
b) La filosofia tratta scientificamente le tre categorie di verità
istintivamente attestate dal senso comune: 1) le verità di fatto, che
esprimono le evidenze sensibili e 2) i primi principi intelligibili evi
denti per sé, nel senso che essa li spiega mediante la riflessione criti
ca e li difende razionalmente; 3) le conseguenze immediatamente
dedotte (conclusioni prossime) da questi principi, nel senso che essa
li dimostra razionalmente. E inoltre, là dove il senso comune si ar
resta per far posto alle semplici opinioni della conoscenza volgare,
la filosofia continua indefinitamente ad estendere il campo delle
certezze scientifiche. La filosofia pertanto giustifica e continua il
senso comune, come l’arte del poeta, per esempio, giustifica e conti
nua i ritmi naturali del linguaggio.
Ad essa spetta anche giudicare quali sono le certezze che appar
tengono veramente al senso comune e qual è la loro vera portata,
compito che il senso comune non può assolvere, per il fatto stesso
che ignora o non sa chiaramente il perché di quello che sa. In questo
senso la filosofia controlla il senso comune, come l’arte del poeta,
per esempio, controlla i ritmi naturali del linguaggio.
103
b) Si deve osservare che, se in se stessa e per fondare le sue di
mostrazioni, la filosofia non dipende dall* autorità del senso comu
ne inteso come consenso generale o istinto comune degli uomini,
nondimeno essa ne dipende in un certo modo {materialmente o in
ragione del soggetto), nella sua genesi di cosa umana e per il fatto
che si forma nella mente dei filosofi.
Sotto questo rapporto si potrebbe paragonare la filosofia o la
scienza a un edificio e le grandi conclusioni prescientifiche del senso
comune (esistenza di Dio, libero arbitrio, eccetera) a delle impalca
ture erette precedentemente dalla natura. Il monumento, una volta
costruito, sta in piedi da sé sulla roccia, cioè sull’evidenza naturale
dei primi principi, senza aver bisogno di impalcature. Ma senza le
impalcature non si sarebbe potuto costruirlo.
c) Si vede da ciò come sia scriteriata la filosofia che, sotto il
pretesto di conoscere scientificamente le cose, disprezza a priori e
sistematicamente il senso comune e rompe con le certezze naturali.
Descartes (che sotto altri aspetti e nella sua concezione stessa della
scienza concede troppo al senso comune) ha iniziato quest’opera di
separazione, ammettendo per un verso come certezze valide solo le
certezze scientifiche, e negando di conseguenza il valore intrinseco
delle'certézzedél'senso comune; dall’altro verso professando nella
sua filosofia parecchie tesi incompatibili con le sue stesse certezze.
Il suo discepolo, Malebranche, e soprattutto i filosofi criticisti for
mati da Kant, inoltre alcuni filosofi modernisti hanno portato tale
tendenza al suo limite estremo: si giunge al punto che per alcuni di
questi filosofi basta che una proposizione sia conforme al senso co
mune, perché essa debba essere tenuta in sospetto o negata dalla
scienza, che verrebbe macchiata dalia ingenuità del volgo se non af
fermasse il contrario di quello che tutti ritengono come vero.
Osserviamo tuttavia che più Fintelligenza di un uomo è natu
ralmente forte, più le sue convinzioni naturali debbono essere forti
anch’esse. Ne consegue che fare dichiarazione di dispregio verso il
senso comune è segno non di forza ma di debolezza intellettuale.
d) Si constata inoltre che per ciò che riguarda il senso comune,
come per la maggior parte dei grandi problemi filosofici, la filosofia
tomista tiene la posizione intermedia fra due errori estremi, come
una cima tra due vallate.
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso.
Le certezze del senso
comune sono valide e la
scienza tradisce se stessa
se vi si oppone. Ma la filo
sofia ha come fondamen
to le evidenze naturali del
l’intelligenza, e non l’au
torità del senso comune.
CONCLUSIONE IV. — La
filosofia non è fondata
sulVautorità del senso comune
inteso come consenso generale o
come istinto comune delTumanità;
essa trae nondimeno dal senso
comune, se lo si considera in sé,
Vintelligenza dei primi principi
immediatamente evidenti.
Essa è superiore al senso
comune come lo stato perfetto o
scientifico di una conoscenza vera
e superiore allo stato imperfetto o
volgare di questa medesima
conoscenza. Tuttavia, la filosofia
può essere accidentalmente
giudicata dal senso comune.
105
penna d’artista le conseguenze. Essa ha come principi
formali i primi principi còlti nella nozione dell’essere e
la cui luce intelligibile è tutta la sua forza00; e d’altra
parte essa ha come materia l’esperienza e i fattipp, i
fatti più semplici e più evidenti, sui quali si basa per
innalzarsi alle cause o alle ragioni che ne danno il
perché supremo. Ed è della realtà intera, con la mol
teplice varietà dei suoi dati, non è di un’idea della sua
mente che il filosofo deve essere discepolo.
Bisogna inoltre che egli sappia che se la filosofia
permette all’intelligenza umana di cogliere con un’as
soluta certezza le più alte e le più profonde realtà del
l’ordine naturale, essa non può nondimeno pretendere
di giungere al fondo di questa stessa realtà, di farle co
noscere tanto quanto esse sono conoscibili. Da questo
punto di vista, la scienza non sopprime il mistero che è
insito nelle cose, cioè quel che esse contengono ancora
di sconosciuto e d’inesplorato, ma piuttosto lo consta
ta, lo precisa85; anche in ciò che conosce, essa non co
nosce mai tutto. Il savio conosce tutto nel senso che lo
conosce nelle sue cause supreme, ma egli non sa, è in
finitamente lontano dal sapere il tutto di tutto. Igno
ranza peraltro non significa errore: è sufficiente per la
filosofia sapere con certezza ciò che le conviene sapere
e ciò che ci interessa essenzialmente di sapere; che an
zi, è preferibile non conoscere le cose che sviano lo
spirito del sapere più elevato, secondo il detto di Taci
to: Nescire quaédam, magna pars Sapientiae.
pp) È questo che non vedono gli intellettualisti puri (da Parmenide sino a Hegel), i quali
costruiscono la loro metafisica interamente a priori.
106
CAPITOLO SECONDO
DIVISONE
DELLA
FILOSOFIA
29. — Abbiamo visto che cos’è la filosofia; ci ri
mane ora da dividerla nelle sue parti; ci procureremo
con ciò una nozione distinta del suo campo d’indagine
e nello stesso tempo prenderemo contatto con i princi
pali fra i suoi problemi. Sarà come una ricognizione
fatta da esploratori prima che il grosso delle truppe si
impegni in una ragione.
Ili
1. LE GRANDI PARTI DELLA FILOSOFIA
30. — Se un uomo deve fare un lavoro, comin
cia innanzitutto con il provare in vari modi lo stru
mento che gli si mette fra le mani, per rendersi conto
deir uso che può e deve farne.
Ma qual è il lavoro del filosofo? È Γacquisizione
del sapere. Quale il suo strumento? È la ragione. Bi
sognerà dunque che il filosofo, prima di mettersi al la
voro, cominci con Γesaminare la ragione per stabilire
la maniera con cui usarla. Lo studio Logica.
DELLA RAGIONE
dal punto di vista del suo uso nella conoscenza o
COME MEZZO PER GIUNGERE AL
LA VERITÀ,
è quello che chiamiamo
LA LOGICA.
115
to nell’arte di tagliare sul malato. È cosa assurda, diceva Aristotele,
cercare nello stesso tempo la scienza e le condizioni della scienza o il
modo di procedere che essa deve usare, ατοπον αμα ζητεΐν επιστήμην
καί τρόπον επιστήμης88.
116
a) Vi sono molte scienze pratiche al di fuori della morale, la
medicina, per esempio, che tende a procurare la salute dell’uomo.
Ma tali scienze non mirano al bene puro e semplice (bene sovrano),
esse mirano ad un bene particolare dell’uomo; non si muovono,
pertanto, nell’ordine pratico al quale appartengono, mediante il
principio supremo; per questo non spno filosofie. L’etica o morale
è perciò la sola scienza pratica che merita il nome di filosofia90.
b) Si osservi che se l’etica mira a procurare un bene diverso che
non è il solo bene di conoscere, nondimeno rimane una scienza vera
e propria, cioè consiste nel conoscere, ha come regola di verità ciò
che è e procede in maniera dimostrativa, risolvendo alcune conclu
sioni nei loro principi. In altri termini, essa è pratica per il suo scopo
(conoscere per procurare il bene dell*uomo regolando le sue azioni),
ma nella misura in cui è scienza vera e propria, rimane speculativa
(conoscere)91.
c) Si osservi anche che le scienze pratiche sono evidentemente
subordinate alle scienze speculative, 1° nel senso che presuppongo
no prima di sé (se non quanto alla loro genesi nel tempo, almeno
quanto alla natura delle cose) le verità stabilite da quelle scienze, ve
rità che esse applicano al bene dell’uomo; perciò la medicina come
scienza di guarire presuppone prima di sé l’anatomia; 2° nel senso
che esse sono, come scienze, inferiori in dignità alle scienze specula
tive, le quali sono ricercate per il bene o l’utilità dell’uomo, non so
no buone che in riferimento a questo bene o a questa utilità. Si
comprende con ciò come la filosofia in senso stretto sia la filosofia
speculativa (e innanzitutto la filosofia prima o metafisica): e la logi
ca è la scienza che introduce a questa filosofia, mentre la morale è la
scienza che se ne stacca per trattare particolarmente ciò che interes
sa il bene dell’uomo.
“) Cioè il bene sovrano dell’uomo così come sarebbe se l’uomo non avesse come fine che
una beatitudine naturale. Ved. più avanti pp. 198-199.
117
2) E su che cosa una scienza che mira a conosc
le cose mediante le loro cause prime deve fondarsi in
La filosofia specula nanzitutto? Indubbiamente su ciò che nelle cose di
tiva ha per oggetto
l’essere delle cose.
pende direttamente da quelle cause. Ma ciò che nelle
cose dipende direttamente dalle cause prime o dalle
cause più elevate, non è forse quel che le cose stesse
hanno di più essenziale (cioè il loro essere) e ciò che è
più effuso in tutte le cose, cioè Γessere, che non man
ca ad alcuna? Diciamo quindi che la filosofia specula
tiva ha per oggetto formale l ’essere delle cose.
118
ha le sue leggi proprie. Su questa vita e su queste leggi, La logica ha per og
getto l’essere di ra
sull’ordine che deve regnare nelle cose in quanto sono gione che dirige la
conosciute, per condurre e dirigere la mente verso il mente verso il vero.
vero, su tutto ciò precisamente verte la considerazione
della logica; e poiché si tratta qui di qualche cosa che
non esiste e non può esistere se non nella mente, o di
quel che i filosofi chiamano un essere di ragione, dire
mo che la logica ha per oggetto formale l'essere di ra
gione (ordine da far regnare fra gli oggetti di concetto)
che dirige la mente verso il vero.
CONCLUSIONE Y. — La
filosofia si divide in tre grandi
parti: 1) la logica, che introduce
alla filosofia propriamente detta e
il cui oggetto è l’essere di ragione
che dirige la nostra mente verso il
vero; 2) la filosofia speculativa o
semplicemente la filosofia, che ha
per oggetto l’essere delle cose
(essere reale); 3) la filosofia
pratica o morale, che ha per
oggetto le azioni umane.
119
2. PRINCIPALI PROBLEMI
32. — Chiediamoci ora, ponendoci semplice-
mente dinanzi alle cose, quali sono i principali proble
mi che debbono sollecitare la mente nelle diverse parti
della filosofia. Nel formularli però incominceremo già
a fare opera da filosofi e troveremo lungo il cammino
P occasione per stabilire qualche nozione utile. Forse
scopriremo anche la concatenazione logica delle gran
di questioni filosofiche e comprenderemo con ciò la
necessità profonda dell5ordine stabilito fra loro da
Aristotele, ordine troppo spesso misconosciuto nelle
opere di esposizione.
123
SEZIONE I
LOGICA
125
35. — Per mezzo di che cosa le cose sono res
presenti al nostro spirito, in modo che possiamo ra
gionare su di esse e acquisirne la scienza? Per mezzo
delle nostre idee.
Ognuno sa per esperienza che cos’è un’idea, gli
basta riflettere a ciò che ha in sé quando fa una rifles
sione, per esempio: i filosofi hanno commesso molti
errori: i filosofi, errori, hanno commesso, molti, tutto
ciò è presentato alla sua mente da altrettante idee. Al
lo scopo di evitare ogni equivoco, cerchiamo tuttavia
di descrivere ciò che ognuno intende con questa paro
la. Diremo, per esempio: le idee sono le immagini o le
riproduzioni interne delle cose mediante le quali que
ste ci vengono presentate, sicché noi si possa ragiona
re su di esse (e pertanto acquisirne la scienza).
E che cosa fanno ora i vocaboli che usiamo, se
non esprimere le nostre idee? Sì, senza dubbio. Ma
portano anche con sé qualcos’altro. Se, per esempio,
dico la parola angelo, non ho forse in me due immagi
ni dell’essere in questione? Una idea, in primo luogo,
che mi fa propriamente conoscere questo essere (idea
di spirito puro), ma anche una rappresentazione sensi
bile (l’immagine di una creatura più o meno vaporosa
e alata), che, essa, non corrisponde affatto all’essere
in questione, poiché un essere puramente spirituale
non può essere visto.
Ancora: se dico, per esempio, la parola quadra
to, ho in me Videa del quadrato, grazie alla quale pos
so ragionare sulla cosa di cui si tratta (idea di poligono
rettangolare con quattro lati uguali) e ho contempora
neamente la rappresentazione sensibile (che questa
volta, peraltro, corrisponde bene alla cosa in questio
ne) di quel disegno che m’immagino tracciato col ges
so sulla lavagna. Orbene, questa idea e questa rappre
sentazione sono assai diverse e ne è prova il fatto che
posso far variare la seconda in molti modi (il disegno
che m’immagino può essere più grande o più piccolo,
bianco, rosso, giallo, eccetera) senza che con ciò la
prima cambi. Inoltre se io dicessi miriagono, per
esempio, anziché quadrato, avrei di questa figura
un’idea netta e chiara come l’ho del quadrato (idea di
poligono con diecimila lati), mentre la rappresentazio
ne sensibile che me ne farei non potrebbe essere altro
che estremamente vaga e confusa.
È chiaro che se le rappresentazioni sensibili mi
aiutano a ragionare, non è con esse che io ragiono per
acquisire la scienza delle cose: poiché posso ragionare
sull’angelo o sul miriagono esattamente come sul
quadrato. E il mio ragionamento non dipende in nulla Idea e immagine.
dalle mille variazioni che posso far subire alle mie
rappresentazioni sensibili delPangelo, del miriagono o
del quadrato.
Concludiamo perciò che le cose ci sono presenta
te in due modi assai diversi: o
MEDIANTE U N ’IDEA,
oppure
MEDIANTE UNA RAPPRESENTA
ZIONE SENSIBILE.
Con la prima pensiamo (intelligimus) la cosa, con la
seconda la immaginiamo. La rappresentazione sensi
bile non è che una specie di fantasma, una immagine
di ciò che abbiamo visto, udito, toccato, eccetera, in
breve, di ciò che ci è stato precedentemente mostrato
mediante una sensazione', lo si chiamava un tempo vi
sione o raffigurazione interiore, oggi vien detto sem
plicemente immagine. Noi gli daremo d’ora innanzi il
nome immagine, di cui restringeremo pertanto il signi
ficato (ma allora non dovremo più usare questa stessa
parola riguardo all’idea). Diciamo dunque che
127
36. — Se dopo ciò si paragonano le cose così c
me sono presentate dalle idee e le cose così come sono
presentate dalle sensazioni o dalle immagini, è facile
vedere che esse si distinguono le une dalle altre per un
certo aspetto di capitale importanza. Se evoco in me
Γimmagine di un uomo, per esempio, vedo apparire
nella mia immaginazione, sotto contorni più o meno
semplificati, questo o queir uomo in particolare. È
biondo o bruno, grande o piccolo, bianco o negro, ec
cetera. Ma se formo l’idea di uomo, come quando di
co, per esempio «l’uomo è superiore agli animali sen
za ragione», oppure «i bianchi e i negri sono ugual
mente uomini», questa idea non mi presenta alcun uo
mo in particolare, essa lascia in disparte tutte le carat
teristiche individuali che distinguono questo uomo da
quello. Essa ne fa astrazione, come dicono i filosofi.
La prova ne è che tale idea si applica, rimanendo asso
lutamente la stessa e senza che io abbia da modificarla
iri nulla, agli individui più svariati: Sancho Panza è
uomo, come Don Chisciotte è uomo. Inoltre, se pas
siamo in rassegna le diverse scienze, cioè i diversi siste
mi di idee per mezzo delle quali conosciamo il reale,
costatiamo che nessuna di esse verte sull’individuo co
me tale; la chimica, per esempio, studia il cloro o l’a
zoto solo in ciò che vi è di comune a tutte le molecole
individuali di cloro o di azoto. E bisogna davvero che
sia così, poiché l’individuo come tale non è esplicativo
(non rappresentando infatti altro che se stesso, non
può evidentemente rendere ragione d’altro)92. Ci ba
sta infine prendere un’idea qualsiasi e fissare la nostra
attenzione su ciò che essa ci presenta, paragonandola
alle immagini che vanno e vengono attorno ad essa,
per percepire immediatamente il carattere astratto del
l’idea: passando dall’immagine all’idea, tutto ciò che
è individuale si volatilizza per così dire, scivola tra le
dita, scompare. Poniamo l’idea di arma, di cui mi ser
vo per dire, per esempio, «l’uomo è l’unico animale
che abbia bisogno di fabbricarsi delle armi»; pronun
ciando la parola armi, ho sentito senza dubbio attor
no all’idea così espressa come un alone d’immagini
fluttuanti, di cui posso a piacere precisare questa o
quella: è un giavellotto, molto sfocato del resto, è una
scure di selce, è un grande arco, è un fucile... Ma di
tutto quello che caratterizza dinanzi alla mia immagi-
128
nazione questo giavellotto così come qui mi appare,
questa scure, questo arco, questo fucile, sussiste qual
cosa in ciò che mi presenta la mia idea di arma? No, di
tutto ciò non rimane niente, tutto ciò svanisce; quel
che afferro con Pidea è tuttavia qualche cosa, ma è di
un altro ordine (immateriale); è puramente una certa
determinazione dell9essere, una certa natura: stru
mento fa tto per attaccare o per difendersi, e questo è
privo di qualsiasi carattere individuale.
Così dunque le cose così come ci sono presentate
DALLE NOSTRE SENSAZIONI E
DALLE NOSTRE IMMAGINI
sono sotto uno stato individuale, o (come si dice)
PARTICOLARE.
Al contrario le cose così come ci sono presentate
DALLE NOSTRE IDEE,
dalle similitudini interne che ci servono per ragionare
su di esse, sono sotto uno stato non individuale o
astratto, o anche (come si dice)
UNIVERSALE.
(Si dice universale ciò che si ritrova identico in una
moltitudine di individui, uno in molti, unum in mul
tis.) E considereremo come un fatto statuito che
. CONCLUSIONE VII. — Le
nostre sensazioni e le nostre
immagini ci presentano
direttamente e per sé Findividuale,
le nostre idee ci presentano
direttamente e per se stesse
Γ universale.
129
mente verte sull’intelligenza stessa e sulle idee, cioè
sullo strumento di tutta la nostra scienza; e Patteggia
mento assunto a suo riguardo dai diversi filosofi con
diziona tutte le altre posizioni.
b) Si osservi che realismo, nel significato particolare in cui è considerato qui, non si oppo
ne affatto a idealismo', al contrario, poiché il realismo in questione considera come la real
tà delle cose ciò che è proprio alle nostre idee come tali. Platone è perciò il rappresentante
più tipico e dell’idealismo e del realismo assoluto.
130
eccetera, ma non esiste fuori della mente se non in questi soggetti in
dividuali e identificata a ciascuno di essi, non in se stessa o allo stato
separato. Il realismo moderato è la dottrina di Aristotele e di Tom
maso.
Filosofia di Aristotele
e di Tommaso.
(Realismo moderato)
Ciò che le nostre idee Esiste fuori della mente
ci presentano sotto uno sotto uno stato di indivi
stato universale non esiste dualità.
fuori della mente sotto
questo stato di universali
tà.
Nominalismo Realismo
Quel che le nostre Quel che le nostre
idee ci presentano sotto idee ci presentano sotto
uno stato universale non uno stato universale esiste
esiste assolutamente nella nella realtà sotto questo
realtà. stato universale.
131
SEZIONE II
FILOSOFIA SPECULATIVA
133
natura deir astrazione matematica e degli oggetti di
pensiero che essa considera, sulle proprietà e le rela
zioni reciproche del continuo e del discontinuo, sul
significato vero dei numeri irrazionali e dei numeri
transfiniti, dell’infinitamente piccolo, degli spazi non
euclidei, eccetera, infine sul valore delle traduzioni
matematiche della realtà fisica, e delle teorie come
quella della relatività, per esempio.
134
differenza essenziale o specifica tra i corpi, che sono tutti modifica
zioni di una sola e medesima sostanza; inoltre il mondo fisico viene
privato di ogni qualità e di ogni forza, essendo in esso reali solo l’e-
stensione e il movimento locale; infine, l’unione della materia e del
lo spirito in un essere come l’uomo diventa interamente non intelli
gibile.
U n’altra scuola (il dinamismo) tende invece a sopprimere la
materia che costituisce i corpi. Essa ha il suo punto culminante nel
sistema di Leibniz {monadismo), che riduce la sostanza corporale a
delle unità di ordine spirituale {monadi) analoghe ad anime, ne deri
va perciò che l’estensione, e più generalmente tutta la realtà sensibi
le, non sono altro che una certa apparenza o un certo simbolo, e il
mondo corporale stesso si dilegua nel mondo degli spiriti. Il dina
mismo di Boscovich (XVIII secolo), che riduce la sostanza corpora
le a punti di forza, e Venergetismo moderno, che pretende di ricon
durre tutto nel mondo fisico all’unico fattore energia (senza giunge
re peraltro a dare di tale energia una definizione filosofica), posso
no essere considerati come degradazioni e materializzazioni della
concezione di Leibniz.
La filosofia di Aristotele riconosce nella sostanza corporale
due principi sostanziali: 1) la materia (materia prima), che qui non
corrisponde più affatto, come per i meccanicisti, alla nozione im
maginabile dell’estensione, bensì all’idea stessa di materia (ciò per
mezzo del quale qualcosa d’altro viene fatto) portata allo stato pu
ro: è quel che Platone chiamava una specie di non-essere, un puro
per mezzo del quale le cose sono fatte, e che per se stesso non è nulla
di preciso, un principio assolutamente indeterminato, incapace di
esistere per se stesso, ma capace di esistere per altra cosa (per la.for
ma); 2) un principio attivo, che è come l’idea vivente della cosa, o
come la sua anima, e che, determinando questa materia prima pura
mente passiva, un po’ come la forma creata dallo scultore determi
na la creta, costituisce con essa una sola ed unica cosa fatta ed esi
stente, una sola ed unica sostanza corporale, a cui permette sia di
essere questo o quello (d’avere cioè una determinata natura specifi
ca), sia di esistere, un po’ come la forma creata dallo scultore per
mette alla statua di essere quello che è. A causa di questa analogia
con la forma esteriore di una statua {forma accidentale) Aristotele
ha chiamato forma (forma sostanziale), in un senso del tutto specia
le e tecnico, il principio interiore di cui si tratta e che determina la
sostanza corporale nel suo essere stesso.
La dottrina di Aristotele, che fa del corpo una composto di
materia (υλη) e di forma (μορφή) è stata denominata il morfismo.
Questa dottrina salva contemporaneamente e la realtà propria della
materia, del mondo corporale, dell’estensione41, e la realtà propria
delle qualità fisiche4*, così come l’esistenza di una distinzione di na
tura e d’essenza fra i corpi che guardiamo come di specie differenti;
essa mostra persino nei corpi inerti e negli esseri viventi privi di ra-
**) Le qualità sono anche accidenti della sostanza corporale (ved. più avanti pp. 168-177:
Sostanza e A ccidenté) .
135
gione la presenza di un principio sostanziale immateriale, che diffe
risce tuttavia dagli spiriti propriamente detti, per il fatto che è inca
pace di esistere senza la materia; essa permette di comprendere l’u
nione, nell’essere umano, della materia e di un’anima spirituale, che
è la forma del corpo umano, ma che è ben diversa dalle altre forme
sostanziali proprio perché può esistere senza la materia.
Filosofia di Aristotele
e di Tommaso,
(ilemorfismo)
Ogni sostanza corpo
rale è un composto di due
parti sostanziali comple
mentari, l’una passiva e in
se stessa assolutamente in
determinata {materia),
l’altra attiva e determi
nante (forma).
Meccanicismo. Dinamismo.
La sostanza corpora La sostanza corpora
le è concepita come una le è ricondotta sia ad unità
semplice materia, che è es dell’ordine delle forme
sa stessa identificata al- pure e degli spiriti (mona
Vestensione geometrica. dismo leibniziano), sia al
la forza o all’energia.
136
41. — Ma l’essere vivente più nobile, fra i viven
ti che hanno un corpo, non è forse l’uomo? L’uomo è
come un mondo a parte, che noi possiamo tanto me
glio studiare in quanto lo conosciamo dal di dentro,
per mezzo di ciò che chiamiamo la coscienza di se stes
si. E quel che lo caratterizza in primo luogo è il fatto
che egli è dotato di intelligenza o ragione. Ora se è ve
ro che l’intelligenza è qualche cosa di puramente im
materiale, allora bisogna dire che la scienza che studia
l’uomo, pur appartenendo alla filosofia naturale, che
ha come oggetto l’essere mobile o sensibile, è come Il problema della psi
una transizione fra questa parte della filosofia e cologia umana.
un’altra (la metafisica), che avrà per oggetto il puro
immateriale96.
137
nostre idee vengono da noi
TRATTE PROPRIO
dalle nostre sensazioni e dalle nostre immagini, ma in
modo che non passi in esse
ASSOLUTAMENTE NULLA
dell’oggetto così com’è,
COME OGGETTO DTMMAGINE O
DI SENSAZIONE
(cioè, come vedremo più avanti, come oggetto di co
noscenza impregnata di materialità)? Provenendo dal
le immagini, ma superiori a tutto Γordine delle imma
gini e ignorando Γoggetto così com’è oggetto di im
magine, le nostre idee dovrebbero proprio per questo
ignorare Γ oggetto considerato nella sua individualità.
Come del resto le nostre idee potrebbero venirci
dalle cose se non venissero dai nostri sensi, che sono in
contatto immediato con le cose? E non basta forse os
servare lo sviluppo intellettuale di un bambino per
convincersi che ogni nostra conoscenza incomincia
dai sensi? Pertanto la conoscenza intellettuale (o me
diante le idee) deve veramente essere tratta dalla co
noscenza mediante i sensi.
D ’altra parte, poiché tutto ciò che è nelle sensa
zioni e nelle immagini porta il sigillo dell’individuali
tà, e nulla lo porta nelle idee, è proprio vero che le
idee sono tratte dalle immagini senza che nulla delle
immagini come tale passi nelle idee.
2) Ma come può avvenire questa operazione
estrazione? Se assolutamente nulla dell’oggetto così
com’è oggetto d’immagine si ritrova nell’oggetto così
com’è oggetto di idea, questo significa evidentemente
che l’idea non risulta da alcuna combinazione o distil
lazione di sensazioni o d’immagini. Bisogna pertanto
considerare in noi una certa attività d’ordine superio
re, νους ποιη τικός, come le chiamavano i peripatetici,
intellectus agens, una specie di luce intellettuale (para
gonabile, se si vuole, ai raggi X che si usano per vede
re lo scheletro attraverso la carne) che, applicandosi
all’oggetto introdotto in noi dalle immagini, ne farà
sgorgare per la nostra intelligenza qualche cosa che vi
era contenuto sì, ma nascosto, e che le immagini non
presentavano per se stesse. Questo qualche cosa così
estratto, liberato da ciò che costituisce l’individualità
dell’oggetto (perché liberato, come vedremo più avan
138
ti, da ciò che costituisce la materialità della conoscen
za attraverso i sensi), sarà la form a o similitudine in
telligibile dell’oggetto, che viene per così dire ad im
primersi nell’intelligenza per determinarla a conosce
re, facendole produrre nelPintimo di se stessa, con
una reazione vitale, Videa nella quale si coglie l’ogget
to sotto lo stato di universalità: idea di uomo, per
esempio, o di essere vivente o di ariano o di semita...
Osserviamo che ciò che le nostre idee ci presenta
no in tal modo sotto lo stato di universalità*, conside
rato in sé (facendo astrazione da ogni esistenza sia nel
le cose sia nello spirito), non è né individuale né uni
versale, essendo puramente e unicamente ciò che la
cosa è.
Osserviamo inoltre che se la nostra intelligenza
non conosce direttamente l’individuale come tale, essa
lo conosce tuttavia indirettamente: nel momento stes
so in cui effettivamente essa pensa una cosa mediante
un’idea, si volge verso le immagini donde l’idea è trat
ta e che presentano la cosa come individuale. Così,
mediante questa riflessione sulle immagini, essa co
glie, ma in un modo indiretto, del tutto superficiale o
interamente inesprimibile, l’individualità della cosa.
CONCLUSIONE V ili. — Le
nostre idee sono tratte o «astratte»
dal dato sensibile mediante
Fattività di una facoltà speciale
(intelletto agente) che va oltre ogni
ordine dei sensi e che è come la
luce della nostra intelligenza.
e) Cioè la natura, essenza o quiddità della cosa. Ved. più avanti pp. 161-162 e pp. 163-164.
139
astratta come ogni idea, ma nel momento stesso in cui
pensiamo cavallo, possiamo vedere o immaginare dei
cavalli e conoscere pertanto nell5ordine sensibile la co
sa che conosciamo contemporaneamente per mezzo
della nostra idea nell’ordine intelligibile. Se invece
pensiamo angelo o spirito, le immagini del tutto qual
siasi che accompagnano tale pensiero non sono pre
senti (come prima osservavamo) se non per aiutare la
nostra intelligenza a funzionare, nel loro ordine pro
prio non hanno alcun valore di conoscenza, noi non
possiamo né vedere né immaginare un angelo o uno
spirito, non possiamo più conoscere nello stesso tem
po coi sensi la cosa che conosciamo con la nostra in
telligenza.
È importante osservare che le cose di cui si tratta
in primo luogo in filosofia sono di questo ultimo ge
nere: esse non sono conoscibili mediante i sensi o F im
maginazione, ma mediante la sola intelligenza.
Ed è questo grado superiore di astrazione che
costituisce la difficoltà degli studi filosofici; esso
sconcerta talora i principianti, che passano di colpo
dagli esercizi letterari dei loro studi precedenti, ove
F immaginazione aveva tanta parte quanto Fintelligen-
za, ad una disciplina puramente intellettuale. Questo
turbamento si dissolverà presto, a condizione che essi
non cerchino affatto di rappresentarsi con F immagi
nazione cose che sono puramente pensabili e assoluta-
mente inimmaginabili, quali l’essenza, la sostanza,
l’accidente, la potenza, l’atto, eccetera, impresa as
surda che procurerebbe loro inutile stanchezza e impe
direbbe loro di comprendere qualcosa in filosofia.
140
di Tommaso insegna che le idee differiscono essenzialmente dalle
sensazioni e dalle immagini, ma che ne derivano grazie all’attività
della luce spirituale (νους ποιητικός, intellectus agens) che è in noi.
I principali rappresentanti del sensualismo sono Locke (XVII
secolo) e Stuart Mill (XIX secolo) in Inghilterra, Condillac (XVIII
secolo) in Francia. In generale, tutti i sensualisti sono nominalisti;
ma non è vero l’inverso, e molti filosofi, fra coloro che classifichia
mo qui come inneisti, hanno subito (almeno nei tempi moderni)
l’influenza del nominalismo. In questo secondo gruppo (inneisti) bi
sognerebbe porre Platone per l’antichità, Descartes (XVII secolo) e
Leibniz (XVII - XVIII secolo, per i tempi moderni; a titoli diversi
questi tre filosofi ammettono che le nostre idee sono innate in noi.
Kant (fine del XVIII secolo) è pure un inneista, ma in un senso di
verso; per lui ciò che è innato in noi non sono le nostre idee, ma le
regole o forme in base alle quali il nostro spirito costruisce i suoi og
getti di scienza.
Filosofia di Aristotele
e di Tommaso.
Le nostre idee pro Le nostre idee sono essen
vengono dai sensi (pertan zialmente diverse dalle
to dalle cose), ma grazie sensazioni e dalle immagi
alVattività di una facoltà ni, ma ne derivano grazie
spirituale, e sono essen all’attività di una facoltà
zialmente diverse dalle spirituale.
sensazioni e dalle immagi
ni.
Sensualismo. Inneismo
Le nostre idee pro Le idee sono essen
vengono dai sensi, che so zialmente differenti dalle
no in grado di produrle e sensazioni e dalle immagi
non differiscono essen ni e non provengono dai
zialmente dalle immagini sensi (né di conseguenza
e dalle sensazioni. dalle cose, con le quali so
lo i nostri sensi sono in
contatto immediato).
noi c’è l’anima (inneismo propriamente detto), sia che esse siano direttamente prodotte in
noi da Dio o viste in Dio da noi (Berkeley, Malebranche), sia che esse siano il puro prodot
to della nostra mente che impone le sue leggi alle cose (Kant).
141
dall’altra parte, quest’anima spirituale è fatta, per na
tura, allo scopo di essere unita ad un corpo (le nostre
idee infatti non possono essere prodotte se non per
Il problema della na mezzo di sensazioni e di immagini, che postulano per
tura dell’uomo. se stesse degli organi corporali). E si comprende come
al problema dell’astrazione, o dell’origine delle idee,
sia congiunto un altro problema capitale della psicolo
gia, quello che verte sull’essenza stessa dell’uomo: In
che cosa consiste l'essere umano? L'uom o ha un'ani
ma spirituale, totalmente differente da quella degli
animali? E in questo caso, quali sono le relazioni di
quest'anima con il corpo umano?
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso.
(animismo)
Due principi incom
pleti ciascuno, di cui l’uno
(anima ragionevole) è spi
rituale, e che formano una
sola sostanza (composto
umano).
142
mediante i sensi (mondo sensibile o corporale) e delle cose invisibili
e spirituali accessibili alla sola ragione.
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso.
(e senso comune)
Non si può dubitare
senza cadere nell’assurdo
né dell’esistenza delle cose
corporali (attestata dai
sensi) né dell’esistenza
delle cose spirituali (di
mostrata dalla ragione).
143
to della filosofia o sapienza per eccellenza, chiamata
filosofia prima e anche metafisica".
1 — CRITICA
45. — Ma prima di affrontare tale studio, il f
sofo non deve assicurare contro ogni attacco e ogni
deformazione possibile i principi di questa scienza
suprma, che sono anche i principi di tutta la conoscen
za umana? Effettivamente è compito della saggezza
difendere i suoi principi e quelli delle altre scienze.
Bisognerà quindi, prima di studiare l’essere in
quanto essere, studiare la relazione del pensiero uma
no in rapporto all’essere. Sarà questo l’oggetto di una
parte speciale della metafisica, che viene chiamata cri
tica, poiché attende a giudicare la conoscenza stessa:
Problemi della critica la logica mostra come e seguendo quali regole la ra
o metafisica della ve gione giunge al vero e conquista la scienza e questo
rità.
stesso fatto presuppone la possibilità della scienza e
della verità (possibilità attestata del resto dal senso co
mune e naturalmente evidente); la critica tratta scien
tificamente di ciò che è così presupposto, mostrando
in che cosa consiste la verità stessa della conoscenza e
facendo vedere in modo riflesso che la conoscenza ve
ra, certa, scientifica è veramente possibile100.
144
LA VERITÀ DELLA NOSTRA MEN
TE
consite nella sua
CONFORMITÀ ALLA COSA.
È impossibile dare un’altra definizione della veri
tà senza mentire a noi stessi, cioè senza falsare la no
zione di verità, di cui noi in realtà ci serviamo e nell’e
sercizio vivente della nostra intelligenza, ogni volta
che pensiamo.
145
ne stessa che enunciano è vera e allora si contraddico
no manifestamente; o non sanno se è vera, e allora
non dicono nulla, o non sanno quel che dicono. Colo
ro che dubitano della verità, non possono quindi filo
sofare se non osservando un silenzio assoluto, (persi
no nell’intimo dell’animo) e, secondo il detto di Ari
stotele, riducendosi a vegetali.
Indubbiamente, la ragione si sbaglia molto spes
so, soprattutto nelle materie più alte, e Cicerone dice
va già ai suoi tempi che non vi è sciocchezza al mondo
che non si trovi un filosofo disposto a sostenerla. Per
tanto, la verità è difficile da conquistare. Ma è l’errore
dei vili il prendere una difficoltà per una impossibili
tà.
CONCLUSIONE IX. — La
verità della conoscenza consiste
nella conformità della mente alla
cosa. È assurdo mettere in dubbio
la veracità delle nostre facoltà di
conoscere.
146
non ha bisogno di essere umilmente e pazientemente disciplinata,
che questa disciplina sia regolata dalla realtà stessa o da un maestro
o da Dio; quanto al primo punto di vista, essi tendono verso il sog
gettivismo, che prende come regola di verità il soggetto conoscente,
non la cosa da conoscere, e che dissolve pertanto la conoscenza;
quanto al secondo punto di vista, tendono verso P individualismo,
che chiede ad ogni filosofo di rifarsi la filosofia da solo e di crearsi
una sua concezione del mondo ( Weltanschauung) originale e inedi
ta; quanto al terzo punto di vista, tendono verso il naturalismo, che
pretende di giungere con le sole forze della natura ad una saggezza
perfetta e che respinge qualsiasi insegnamento divino*.
Il grande iniziatore del razionalismo nei tempo moderni è De
scartes (XVII secolo), cui si rifanno più o meno direttamente Ma
lebranche, Spinoza, Leibniz. Colui che ne ha messo in evidenza i
principi supremi e il vero spirito è Kant (fine del XVIII secolo), che
ha consumato la rivoluzione cartesiana e i cui successori panteisti,
Fichte, Schelling, Hegel, divinizzano il soggetto umano. Per mezzo
di Kant e della filosofia soggettivista da lui derivante, il razionali
smo è giunto, come al tempo dei sofisti, a congiungersi al suo op
posto (lo scetticismo), perdendosi nell’anti-intellettualismo dei mo
dernisti (fine del XIX secolo e inizio del XX).
Ili - La scuola di Aristotele di Tommaso insegna che la verità
non è né impossibile né facile, ma difficile a conquistarsi da parte
dell’uomo.
Essa si oppone pertanto radicalmente e allo scetticismo e al ra
zionalismo. Vede nell’abbondanza degli errori formulati dagli uo
mini, e dai filosofi in particolare, un segno della debolezza della
nostra mente, ma una ragione di amare sempre più l’intelligenza e
di attaccarsi più strettamente al vero; ed anche un mezzo per far
progredire la conoscenza (mediante le confutazioni e le spiegazioni
che tali errori esigono da noi). Essa comprende peraltro che la ra
gione è il nostro unico mezzo naturale di entrare in possesso della
verità, ma a condizione che sia formata e disciplinata: in primo luo
go e prima di tutto tramite la realtà stessa, poiché non è il nostro in
telletto che misura le cose, ma sono le cose che misurano il nostro
intelletto; in secondo luogo tramite dei maestri, poiché la scienza è
un’opera collettiva, non individuale, e non può essere costruita se
non con la continuità di una tradizione vivente; infine da Dio, se gli
piace di istruire gli uomini e di concedere ai filosofi la norma negati
va della fede (e della teologia). A questo proposito, ved. sopra n.
26, p . 95).
147
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso
(intellettualismo modera
to).
Ciò che è, causa la
verità delle nostre facoltà
intellettive. La ragione
può attingere con una pie
na certezza le verità più
elevate dell’ordine natura
le, ma difficilmente e a
condizione d’essere di
sciplinata.
148
sostanza, in tutti questi casi penso a qualche essere o
modo d’essere, ma non vi è niente altro che l'essere
che sia comune a questi tre oggetti di pensiero e che di
conseguenza si ritrovi egualmente in questi tre casi.
Diremo pertanto che
L’ESSERE
è l’oggetto formale dell’intelligenza, cioè l’oggetto che
prima di tutto e per se stesso (per se primo) è còlto da
essa e in ragione del quale essa coglie tutto il resto.
149
che Pintelligenza afferma di conoscere è quel che sono
le cose e non che cosa sono le sue idee. In realtà le
idee, come attesta immediatamente la coscienza di
ciascuno, sono per noi dei mezzi per conoscere; donde
se la conoscenza non cogliesse le cose stesse, conosce
re sarebbe un’operazione o un’azione senza termine o
senza oggetto, il che è assurdo. Infatti, formare un’i
dea o un giudizio significa conoscere, come servirsi di
un coltello significa tagliare; ma non si può tagliare
senza tagliare qualche cosa (termine o oggetto dell’a
zione di tagliare, e che non è il coltello, ma la cosa ta
gliata da esso); e non si può conoscere senza conoscere
qualche cosa, (termine o oggetto dell’atto di conosce
re, e che non è l’idea ma la cosa conosciuta da essa)103.
CONCLUSIONE X. —
L ’oggetto formale dell’intelligenza
è l’essere. L ’intelligenza è fatta per
questo: per comprendere quello
che sono le cose,
indipendentemente da noi.
CONCLUSIONI XI. —
L ’essere come tale è intelligibile,
ogni cosa è intelligibile proprio
nella misura in cui è.
150
Si osservi che dicendo: ogni cosa è intellegibile proprio nella
misura in cui è, noi intendiamo intelligibile in sé , per Fintelligenza,
non intendiamo intelligibile per noi, per la nostra intelligenza. Se in
realtà la nostra intelligenza, a causa dell’inferiorità della natura
umana, è sproporzionata rispetto ad un essere che la supera perché
è al di sopra dell’uomo, questo essere, benché in se stesso più intelli
gibile, sarà meno intelligibile per noi. Accade questo di tutte le na
ture puramente spirituali, e innanzitutto di Dio; in se stesso Egli è al
vertice dell’intelligibilità, ma solo la sua propria intelligenza è al li
vello di questa intelligibilità sovrana.
2 — ONTOLOGIA
151
guire in uno studio propriamente scientifico.
Benché la nozione deir essere, essendo la prima e
la più conosciuta di tutte le nozioni, sia evidentemente
troppo chiara per se stessa per poter comportare una
definizione propriamente detta, il primo dovere che
s’impone all’uomo desideroso di pensare seriamente è
quello di precisare tale nozione nella sua mente e per
questo di ricercare i concetti o significati primi nei
quali si suddivide104. Porremo quindi in primo luogo
la questione seguente: Quali sono gii oggetti del pen
Quali sono i dati as siero che s fimpongono necessariamente e di primo
solutamente primi acchito αΙΓintelligenza, allorché questa si applica al
dell’intelligenza?
l'essere come tale, o anche, se si vuole, dal momento
che l’essere è l’oggetto primo dell’intelligenza, quali
sono i DATI ASSOLUTAMENTE PRIMI DELL’IN
TELLIGENZA105?
Vedremo ora che questo unico problema fonda-
dal punto di vista mentale comporta una triplice risposta, secondo che
dell’intelligibilità (es
sere in quanto essen
ci si metta dal punto di vista
za); — dell 'intelligibilità,
— dell’esistenza,
dal punto di vista — o delibazione.
dell’esistenza (essere
in quanto sostanza);
Dal primo punto di vista saremo condotti a defi
nire quel che si intende con essenza, dal secondo quel
che si intende con sostanza (a cui si contrappone Vac
dal punto di vista
dell’azione (essere in
cidente) e dal terzo quel che si intende con atto (a cui
quanto atto). si contrappone la potenza).
152
lità, o secondo che esso possa essere còlto dall’intelli
genza, significa in primo luogo considerarlo in quanto
può essere semplicemente presentato alla mente senza
affermazione né negazione (in quanto può essere og
getto di semplice percezione o conoscimento, come di
remo più tardi). Triangolo, poligono, seduto, questo
uomo, ecco altrettanti oggetti semplicemente presen
tati alla mente, senza affermazione né negazione.
1) Qual è, da questo punto di vista, il dato primo
deir intelligenza? È, molto semplicemente, ciò che è
posto sin dall’inizio dinanzi alla nostra mente, quan
do concepiamo qualche cosa e formuliamo un’idea.
Dato che abbiamo stabilito di usare qui il termine es
senza, diciamo che
U N ’ESSENZA
è ciò che in un qualunque oggetto di pensiero è imme
diatamente e in primo luogo {per se primo) presentato
all’intelligenza, id quod in aliqua re perse primo intel- L’essenza nel senso
ligitur. largo della parola: i d
q u o d in a liq u a r e p e r
Ogni idea, qualunque essa sia (dal momento che s e p r i m o in t e li igitur',
non è, come l’idea di cerchio quadrato, per esempio, ciò che un’idea deter
minata pone imme
una pseudo-idea che racchiude in sé una contraddizio diatamente dinanzi
ne), ogni idea pone immediatamente davanti alla men all’intelligenza.
te qualche cosa; questo qualche cosa, così immediata
mente presentato allo spirito, è un*essenza (o una na
tura). Che io pensi uomo, umanità, animale, bontà,
bianco, bianchezza, seduto, triangolo, eccetera, ognu
no degli oggetti così immediatamente presentati alla
mia mente, ciascuna di queste unità intelligibili è, per
definizione, un’essenza, nel senso largo di questa pa
rola*.
U n’essenza pertanto non è altro che un oggetto di
pensiero considerato come tale. Ciascuna essenza ha
h) Abbiamo visto che Γ individuale come tale non è còlto direttamente dalla nostra intelli
genza. Quando per via indiretta (per un ritorno sulle immagini, cfr. sopra p. 138-139) for
miamo una nozione individuale, Γoggetto posto davanti alla nostra mente da questa nozione
{Pietro, questo uomo, quell*albero) è anch’esso, in quanto oggetto di pensiero, un*essen
za, nel senso largo di questa parola. Pertanto, la nozione di essenza nel senso largo deve
essere estesa sino agli oggetti di pensiero singolari.
Quanto agli esseri di ragione {la cecità, per esempio, il nulla) che non pongono qualcosa
nel reale, il nome di essenza non conviene loro, nel senso che una privazione, per esempio,
presa come tale, non ha evidentemente essenza (cfr. Tommaso, De Ente et Essentia, cap,
1). Si può tuttavia, dal punto di vista in cui qui ci siamo posti, applicare loro impropria
mente il nome di essenza nel senso largo.
153
del resto la sua costituzione intelligibile, per mezzo
della quale si distingue dalle altre e postula determina
ti attributi.
2) Ma ecco un’osservazione importante: se con
sidero il triangolo con le sue proprietà, l’uomo, l’u
manità, eccetera, essi rimangono esattamente quel che
sono come oggetti di pensiero, che io supponga o no
abolita la loro attuale esistenza. Il fatto di esistere non
cambia nulla alle essenze considerate come tali; per
concepirle, lascio da parte per astrazione il fatto che
esse esistono o non esistono attualmente.
L’essere nel senso di esistenza mi appare quindi
come di ordine diverso dall’essere nel senso di
essenza106. Vi sono qui due sensi del tutto differenti
del termine essere, come quando diciamo, per esem
pio, «essere o non essere, questo è il problema» (si
tratta in tale
caso dell’esse
re - esistenza);
oppure invece
«un essere vi
vente» (si trat
ta in questo
caso dell’esse
re - essenza.
Nel primo caso la parola essere designa Vazione d’es
sere, l’atto (se posso dir così) per il quale una cosa è
posta fuori del nulla e fuori delle sue cause {extra ni
hil, extra causas); nel secondo caso designa
CIÒ
che è o che può essere, ciò che fa fronte a qualche esi
stenza attuale o possibile. Diciamo dunque che l’esse
re si divide in essenza e esistenza.
154
Γoggetto di pensiero se non basandosi, immediatamente o tramite
un ragionamento, su di una testimonianza dei nostri sensi (o, in mo
do riflesso, della nostra coscienza). Essa quindi giudica immediata
mente: Esistono degli oggetti sensibili, io esisto, e dimostra resi
stenza di Dio fondandosi, per esempio, sul fatto del movimento.
Essa non può arrivare da sé sola fino all’esistenza attuale dei suoi
oggetti di pensiero.
Le essenze invece (il triangolo, il numero pari, Γumanità, ecce
tera...) che come tali si riferiscono solo ad un’esistenza possibile
(per questo vengono anche chiamate i possibili), le essenze sono i
dati immediati che ci vengono forniti dalla nostra intelligenza e dal
le nostre idee.
155
1) Consideriamo un oggetto di pensiero com
Pietro, Paolo, questo cane, quelFuccello: Pietro è
grande, ride, si agita; questo cane abbaia; quell’uccel
lo vola; ciascuno è un certo tutto individuale, concre
to e indipendente, interamente equipaggiato per essere
e per agire.
È su oggetti individuali del genere che la nostra
mente si porta in primo luogo (dal punto di vista del
l’esistenza), quando pensiamo a ciò che è. Applican
dosi a queste cose particolari, l’espressione ciò che è si
precisa e prende una forza particolare: essa non indica
più soltanto ciò che fa fronte a qualche esistenza at
tuale o possibile, ma proprio
ciò CHE
innanzitutto esercita propriamente l’atto d’essere.
Queste cose particolari sono tutte, benché a titoli mol
to diversi, degli attori sul teatro del mondo.
Se tuttavia ci poniamo dal punto di vista dell’in
telligibilità, è su questi soggetti individuali considerati
come tali che si porta in primo luogo la nostra mente,
tra i diversi oggetti di pensiero che possono presentare
le cose? No di certo, se è vero, come abbiamo visto
prima, che l’individuale sfugge alle prese dirette della
nostra intelligenza. Quello che so di Pietro, è ciò che
so che egli è (uomo, per esempio). È su oggetti di pen
siero come uomo oppure umanità, che discerne in
Pietro, o come bianco o bianchezza, che discerne in
questo fiore, è su
d ò CHE UNA COSA È,
che da questo punto di vista la nostra mente si applica
in primo luogo, è da questa parte che bisogna cercare
il dato assolutamente primo dell’intelligenza sotto
l’angolazione dell’intelligibilità (essenza nel senso
stretto).
Ecco divisa in due la nozione d’essenza nel senso
più largo. Da una parte ciò che propriamente esercita
l’atto d’essere, ciò che . Dall’altra parte ciò che una
cosa è.
156
Ciò che è: essenza ( Ciò CHE UNA COSA È
in senso largo \ a ò CHE
essere ◄
157
In realtà, è grazie a questo essere che l’intelligenza concepisce
in primo luogo, afferra, impugna per così dire, pone dinanzi a sé e
nomina la cosa in questione. Privare la cosa di questo essere, o cam
biarne in qualunque modo la struttura, sarebbe pertanto un porre
davanti all’intelligenza, per definizione, un'altra cosa.
') Il termine prima indica qui, è evidente, una priorità di natura, non una priorità di tem
po.
158
animale dotato di ragione) prima di essere soggetto al
la morte: è che in uomo è compreso il concetto di ani
male, e nella nozione di animale Pintelligenza può leg
gere l’esigenza della caratteristica che consiste nella
soggezione alla morte. Pietro è un uomo prima di es
sere capace di ridere: è che in uomo è compreso dotato
di ragione, e nella nozione di essere dotato di ragione
l’intelligenza può leggere l’esigenza della caratteristica
che consiste nella capacità di ridere. Le proprietà sog
getto alla morte e capace di ridere (proprietà necessa
riamente possedute da Pietro) hanno in lui un princi
pio, una ragione, che le postula davanti all’intelligen
za per la sua nozione stessa o per ciò che essa è o per la a titolo di principio
sua propria intelligibilità; e tale ragione, tale principio primo d’intelligibili
tà.
è uno degli elementi o aspetti costitutivi dell’essere uo
mo. È dal punto di vista dell9intelligibilità che Pietro è
uomo prima d’essere soggetto alla morte o capace di
ridere.
Così pertanto se l’essere uomo è primo come ab
biamo detto, è nell’ordine dell’intelligibilità che è pri
mo; in altre parole esso è in Pietro principio primo
d’intelligibilità107. Benché sia una formula lunga, bi
sogna dire, per esprimere esattamente questa realtà,
che l’essere uomo è per i suoi elementi o aspetti costi
tutivi
la radice
di tutte le caratteristiche necessariamente pos
sedute da Pietro,
le quali hanno in Pietro
UN PRINCIPIO CHE LE POSTULA PER
LA SUA NOZIONE STESSA7.
Questa è dunque la seconda caratteristica di quel
che abbiamo convenuto di chiamare Vessenza pro
priamente detta, o dell’essere a cui si volge l’intelli
genza in primo luogo, allorché considera ciò che le co
se sono. Questa seconda caratteristica è nella cosa
principio primo d 9intelligibilità.
159
Vi sono per la nostra intelligenza due maniere, Puna imperfet
ta, l’altra perfetta, di cogliere questo essere principio primo di intel
ligibilità.
Se, per esempio, conosciamo che una cosa è un uomo, senza
poter ancora esprimere che cosa è l’uomo, conosciamo in una ma
niera confusa l’essere in questione. La nostra intelligenza possiede
sì questo essere, lo ha ben afferrato, lo vede, ma per così dire come i
nostri occhi potrebbero vedere un oggetto opaco.
Se ora conosciamo questa stessa cosa potendo definire quel che
è {un animale dotato di ragione), conosciamo in tal caso l’essere in
questione in una maniera distinta. La nostra intelligenza non sol
tanto lo vede, essa vede anche i suoi principi o aspetti costitutivi.
Nel primo caso l’essere in questione ci è presentato in un modo
imperfetto, nel secondo in un modo perfetto (cioè nello stato di per
fezione richiesto dalla scienza) e che ci permette di servircene come
di un principio primo d’intelligibilità (dal fatto che questa cosa è
dotata di ragione per esempio, potrò dedurre che è capace di parla
re, di ridere, di adorare Dio, eccetera). Ma nell’uno e nell’altro caso
è molto chiaramente lo stesso essere che ci è presentato. E così, sup
ponendo che io non conosca ancora, o anche che non possa mai co
noscere quell’essere in una maniera distinta, come animale ragione
vole, in se stesso non sarà per questo meno radice (senza che questa
volta io sappia come), mediante i suoi elementi costitutivi, di tutte le
caratteristiche che hanno in Pietro un principio che le esige per la
sua nozione stessa; non sarà meno, in se stesso, l’essere primo della
cosa a titolo di principio primo d’intelligibilità.
ATTO d’essere
{esistenza)
160
CONCLUSIONE XII. —
L 'e s s e n z a d ì u n a cosa è ciò ch e
q u e sta cosa è n ecessa ria m en te e
p r im a r ia m e n te a tìto lo d i p rin c ip io
p r im o d sintelligibilità.
161
deir essere stesso; e in realtà, come vedremo più avanti, è tramite
l’essenza e in essa che l’essere ο Vesistenza (ESSE) conviene alla co
sa, cioè le è congiunto112; è invece chiamato quiddità (QUIDc/z'tas),
nel senso che esprime e fa conoscere la definizione, che risponde
precisamente alla domanda «QUID est hoc! Che cos’è questo?» È
chiamato infine natura (NATwrzz), nel senso che è il principio primo
delle operazioni che la cosa è fatta (NATA) per produrre113.
CONCLUSIONE XIII. — La
nostra intelligenza può conoscere
le essenze delle cose.
162
diciamo che la nostra intelligenza può conoscerle (e pertanto le co
nosce effettivamente in molti casi).
Non diciamo nemmeno che la nostra intelligenza è sempre in
grado di conoscere perfettamente (distintamente) le essenze delle
c o se115. Che essa non possa molto spesso conoscerle se non confusa-
mente11, poco importa; quel che è certo è che deve poterle afferrare.
Così (facciamo un caso), l’occhio può vedere con una maggiore o
minore abbondanza di dettagli precisi, con l’aiuto di una lente
d’ingrandimento, per esempio, le cose colorate che sono alla sua
portata; ma può vederle.
È importante osservare che le scienze sperimentali sono ben
lungi dal poter conoscere perfettamente l’essenza delle cose che stu
diano. Esse non possono in effetti giungere a una nozione propria
mente distinta di questa essenza, esse ne hanno sempre soltanto una
nozione confusa o puramente descrittiva e la conoscono unicamen
te, per così dire, alla cieca, grazie a segni indiretti.
Così, per esempio, noi possiamo conoscere distintamente l’es
senza o la natura uomo, distinguendo l’uomo dagli altri animali me
diante la differenza specifica: dotato di ragione. Ma non possiamo
sapere nello stesso modo come il cane, per esempio, differisce dal
leone; non lo sappiamo se non per mezzo di caratteristiche differen
ziali puramente descrittive. Spesso, anche, dinanzi a una serie di
concetti di genere decrescente, come: corpo vivente, animale, ani
male senza ragione, vertebrato, mammifero, canino, cane, cane
barbone, sino a Dick o Full o Argo, possiamo ignorare mediante
quale concetto (canino? cane? cane barbone?) ci viene designata
(nell’integrità delle sue determinazioni) l’essenza di Dick o di Full o
di Argo. Rimane vero che nella serie di concetti qui espressi e di
quelli che vi si potrebbero intercalare, ci deve necessariamente esse
re un concetto che designa questa essenza. (In realtà, nell’esempio
scelto, è il concetto di cane', la zoologia ce lo insegna mediante segni
indiretti, e senza poterci dare dell’essenza così còlta, una conoscen
za propriamente distinta.)
163
nostra mente sotto uno stato di universalità.
Indubbiamente, considerata nel reale, l’essenza è
sotto uno stato di individualità poiché si trova in tal
caso identificata al soggetto, a Pietro, per esempio,
che è esso pure individuale116.
Ma questo stato d’individualità non è della natu
ra stessa o dell’intimo dell’essenza, non conviene al
l’essenza di Pietro come tale o al suo titolo d’essenza.
Se in effetti l’essenza considerata in se stessa (secun
dum se) fosse individuale, la nostra intelligenza non
potrebbe mai conoscerla, dal momento che ciò che è
direttamente percepito da un’idea della nostra intelli
genza, è percepito sotto uno stato di universalità.
Considerata
IN SE STESSA (secundum sé)
l’essenza non è
NÉ UNIVERSALE NÉ INDIVIDUA
LE;
essa fa astrazione da ogni stato e modo di esistere, es
sendo puramente e semplicemente ciò che la cosa è in
nanzitutto come intelligibile e ciò che esprime la defi
nizione. Così, essa si ritrova tanto nella cosa e sotto
uno stato di individualità (per esistere), quanto nella
nostra mente, e sotto uno stato di universalità (per es
sere conosciuta). Quel signore che non vediamo per
per strada non vi si trova forse con un abito da passeg
gio, mentre in casa sua ha un abito da casal Ma è
proprio lui tuttavia che conosciamo quando lo vedia
mo per la strada, poiché l’abito da casa non è della
sua natura più di quanto non lo sia l’abito da passeg
gio; né l’uno né l’altro convengono a questo uomo
considerato in se stesso. Considerata in se stessa, l’es
senza quindi non è universale, ma non è nemmeno in
dividuale117: l’essenza come tale, l’essenza di Pietro
considerata in se stessa, fa astrazione da tutte le carat
teristiche che distinguono Pietro da Paolo e da Gio
vanni118.
CONCLUSIONE XIV. — Le
essenze delle cose sono
UNIVERSALI NELLA MENTE e
CONSIDERATE IN SE STESSE
164
esse NON SONO né universali NÉ
INDIVIDUALI.
165
nozione stessa
o per ciò che essa è, cioè per la sua propria intelligibilità (come ra
gionevole, per esempio, esige capace di ridere). Tuttavia, essendo
necessariamente possedute da Pietro, esse hanno sorgente in Pietro,
nella natura individuale di Pietro; hanno qui unprincipio.
Bisogna pertanto che esse abbiano qui come principio qualche
cosa che non le esiga per la sua nozione stessa, o per il suo essere, o
per la sua propria intelligibilità, qualche cosa nella nozione della
quale l’intelligenza non può leggere l’esigenza di queste caratteri
stiche piuttosto che di qualunque altra caratteristica. E questo che
cosa significa se non che tale principio è in se stesso interamente in
determinato! Se non esige questo piuttosto che quello per la sua no
zione o per il suo essere o per la sua propria intelligibilità, ciò avvie
ne perché esso non ha nozione né essere né intelligibilità per se stes
so. Eccoci dinanzi ad un principio che per se stesso non è assoluta-
mente niente di pensabile, dinanzi alla
MATERIA PRIMA
nel senso di Aristotele: qualcosa che può servire a costituire un esse
re, che non è in sé un essere.
Se si ammette che questa specie di non-essere faccia parte di
tutte le cose corporali e che, reso esso stesso individuale da qualche
determinazione123, sia la sorgente prima dell’individualità di queste
cose, si comprende come le caratteristiche che derivano dalla natura
individuale della cosa,
avendo come radice prima la materia individuale, con le disposizio
ni che essa comporta di fatto nel momento della produzione della
cosa,
abbiano come principio primo nella cosa un principio che non le esi
ge
per la sua nozione stessa, dato che esso stesso non ha né nozione né
intelligibilità; le esige soltanto a causa delle disposizioni accidentali
che comporta di fatto in quel momento.
Pertanto, la natura individuale non è principio primo d’intelli
gibilità, poiché è per mezzo della materia che essa è principio delle
caratteristiche individuali'.
y) Abbiamo solo voluto indicare qui come l’oscura nozione di
materia prima (lo studio della quale sarà affrontato solo in filosofia
naturale) si impone naturalmente all’intelletto dal momento in cui
si è compreso che, considerata in se stessa, Vessenza delle cose cor
porali non è individuale, proposizione richiesta proprio dalla tesi
fondamentale della veracità della nostra intelligenza.
Sottolineiamo ancora che poiché la materia, questa specie di
non-essere, viene considerata come individuante (e quindi come pri
ma radice di certe determinazioni)124 solo nella natura individuale
') Si osservi a questo punto, per evitare ogni confusione, che la natura individuale non è
inintelligibile in se stessa; è la materia prima che è inintelligibile in se stessa; la natura indi
viduale non è principio primo d*intelligibilità, essa non è l’essere primariamente intelligibi
le della cosa, è tuttavia dell’essere (è l’essenza considerata sotto lo stato d’individualità che
proviene dalla materia) e di conseguenza è intelligibile in se stessa. Per questo, un’intelli
genza più perfetta della nostra, l’intelligenza divina, per esempio, può conoscerla diretta-
mente.
166
(nella natura di Pietro come tale) e non nelYessenza (nelPumanità),
si può guardare all’essenza o all’essere primariamente intelligibile
come all’essere puro da tutte le determinazioni dovute alla materia
come prima radice, o come all’essere immateriale125, diciamo anche
come al-
L’ESSERE ARCHETIPO
della cosa126, essere ideale che non esiste allo stato puro o separato
se non nella mente e che non esiste nel reale se non individualizzato
dalla materia (allo stato concreto di natura individuale).
Bisogna di conseguenza dire che nella natura individuale non
c’è nulla di più che nell’essenza dal punto di vista dell*essere prima
riamente intelligibile o dell’essere archetipo127. Da questo punto di
vista, tutti gli individui di una specie sono allo stesso livello d’esse
re; conoscere la loro essenza (universale) significa conoscere tutto
ciò che vi è da conoscere in essi: l’essere di Pietro in quanto Pietro
non è più completo o più determinato che l’essere di Pietro in quan
to uomo; è soltanto più delimitato.
Si comprende perciò che l’intelligenza umana, se non può co
noscere direttamente nella sua individualità l’essere delle cose, non
manca per questo alla sua natura di intelligenza né al suo oggetto
formale, poiché essa conosce bene l’essere delle cose in quanto pri
mariamente intelligibile e in quanto essere archetipo125. Essa è per
tanto imperfetta, ma non è vana né falsa.
d) Notiamo che i termini sinonimi, essenza, quiddità, natura, che
designano tutti e tre un universale, possono essere tirati sino a signi
ficare qualche cosa di singolare, quando si considera l’essenza (l’u
manità, per esempio) secondo che è individualizzata dalla materia
(in Pietro, per esempio), in altre parole secondo che è nel reale un
modo d’esistenza singolare.
Per parlare con esattezza, tuttavia, il termine natura può sol
tanto comportare l’epiteto individuale, mentre le espressioni essen
za individuale o quiddità individuale sono improprie129.
Si è visto in realtà che i termini essenza e quiddità si usano in ri
ferimento d\Yesistenza e alla definizione della cosa. Ora, la defini
zione non può esprimere che l’essereprimariamente intelligibile del-
167
la cosa; poiché essa fa conoscere gli elementi costitutivi della cosa i
quali sono in essa, mediante la loro nozione stessa, principi d’intel
ligibilità; essa non può quindi assegnare i principi materiali indivi
duanti della cosa, ed è per questo che la natura individuale come ta
le non è definibile. Pertanto, la quiddità, cioè quel che la cosa èt
considerata come definibile, non potendo consistere se non nell’es
sere primariamente intelligibile della cosa, non può essere che uni
versale. Allo stesso modo, ciò in ragione del quale la cosa richiede
quella perfezione suprema che consiste nell 'esistere, non può essere
evidentemente altro che l'essere immateriale della cosa; poiché non
è grazie a ciò che in essa ha come puro principio la materia, che essa
richiede resistenza: Γindividualità della cosa pertanto non è che una
condizione sotto la quale si deve trovare per esistere. E Yessenza,
cioè quel che la cosa è considerata precisamente come ciò in ragione
del quale la cosa riceve resistenza, non potendo consistere se non
ne\Vessere immateriale di questa, non può essere altro che universa
le130.
Al contrario, il termine natura si usa in riferimento alle opera
zioni che la cosa è fatta per produrre. Ora, la cosa non agisce sol
tanto secondo il suo essere archetipo, o primariamente intelligibile,
ma anche secondo che essa si trovi sotto determinate condizioni ma
teriali ed abbia una determinata individualità. Nulla impedisce per
tanto che la parola natura sia distolta dal suo significato primo per
designare in secondo luogo ciò che la cosa è a titolo individuale.
ε) Osserviamo infine che in una serie di concetti come sostan
za, corpo vivente, animale, uomo, ariano, bretone, eccetera, il con
cetto uomo designa soltanto propriamente l’essenza di Pietro: i con
cetti sostanza, corpo vivente, animale non designano se non certi
elementi o aspetti intelligibili costitutivi di questa essenza, in altre
parole non designano questa essenza se non in una parte delle sue
determinazioni; e i concetti ariano o bretone non indicano questa
essenza se non delimitata e differenziata da certe note addizionali,
che provengono dalie disposizioni della materia. Ariano o bretone
sono quindi, come l’essenza uomo, oggetti di pensiero universali
percepiti dalla mente nell’individuo Pietro, e purificati, mediante
l’astrazione, dalle condizioni della materia individuale, ma si tratta
di universali meno estesi dell’essenza, i quali convengono solo ad
una certa classe {razza) estratta in una moltitudine di individui
aventi la stessa essenza e che, non potendo essere delimitati se non
grazie a caratteristiche di cui certe disposizioni della materia sono la
radice, non possono comportare una nozione propriamente distinta
o una definizione vera.
168
essere considerati sinonimi)"1: ciò che una cosa è anzi
tutto come intelligibile.
Consideriamo ora Tessere delle cose non più in ri
ferimento alPintelligibilità, ma in riferimento all’E-
SISTENZA.
1) Qual è, da questo nuovo punto di vista, Fesse-
re che s’impone immediatamente alla considerazione
dell’intelligenza e al quale essa si volge in primo luo
go? In altri termini, qual è l’essere primariamente còl
to dall’intelletto, in quanto esistente? A questo pro
blema abbiamo già risposto"; ciò che la nostra mente
coglie innanzitutto come esistente, sono degli esseri
come Pietro, Paolo, questo uomo, questo cane, que
sto uccello, soggetti individuali concreti e indipenden
ti, interamente equipaggiati per essere e per agire e che
abbiamo chiamato
PRIMI SOGGETTI D ’AZIONE
(sostanze personali o persone)0. È qui ciò che esercita
anzitutto l’atto d’essere.
Come definire il soggetto d’azione in rapporto al
l’esistenza? Esso esiste per sé unicamente o per i suoi
propri mezzi, non nel senso che non abbia bisogno di
una causa (Pietro è stato generato e molte cause con
corrono a conservarlo nell’essere), ma nel senso che Il soggetto d’azione
egli basta a se stesso per essere fuori del nulla median- ovvero Cl° CHEan-
te le cause delF essere; considerato a parte, ha m se o
nella sua propria natura tutto ciò che è necessario per
ricevere l’esistenza131: diciamo in tale senso che è
UN ESSERE ESISTENTE PER SE
STESSO (perse)
o in ragione di se stesso, in ragione della sua propria
natura, ens p er se exsistens. Un tale essere esistente
come un tutto e per nulla affatto come parte di un es
sere o di un soggetto nel quale esisterebbe, si può dire
anche che esiste in se stesso, in se.
Un essere che esiste per se, o meglio132, un essere
°) Si riserva il nome di persona alle sostanze personali che sono di natura intellettuale, di
conseguenza padrone delle loro azioni e al vertice dell’indipendenza.
169
immediatamente capace di esistere per se, ecco dun
que, se ci si pone dal punto di vista dell’esistenza, il
dato primo dell’intelligenza. Osserviamo che, volgen
dosi a questo essere, Pintelligenza supera i limiti che
defini
scono
l’essenza ì ciò CHE UNA COSA È
(o ciò PER CUI)
propria- CIÒ che è: J
mente essenza in ciò CHE anzitutto
senso largo esiste: primo soggetto
detta o d'azione (sostanza
essere <
la natura personale, persona)
(ciò che ATTO d’essere:
una cosa esistenza
è, o me
glio —
se si prende l’essenza allo stato puro, considerandola
separatamente dal soggetto in cui si trova — , ciò per
cui una cosa è quello che è)133; si tratta qui, come pri
ma abbiamo detto, di ciò che è nel senso proprio, di
Pietro , per esempio, e non di ciò per cui Pietro è quel
che è (de\V umanità, determinazione di Pietro a causa
della quale egli è uomo, o della sua natura individua
le, dell 'umanità petrina , si potesse dire così, per opera
della quale egli è Pietro).
170
cernente (,simpliciter); la natura di Pietro considerato La n a tu r a del sogget
to d’azione o CIÒ
come soggetto d’azione è ciò per cui posso dire pura PER CUI esso è ido
mente e semplicementep che Pietro esiste. neo a esistere pura
mente e semplice-
3) A colpo sicuro, esistere puramente e mente.
semplice-
mente è per Pietro P esistenza primordiale o primaria.
Pietro tuttavia esiste solo a questo titolo? Egli è oggi
triste, ieri era contento; esiste oggi in quanto triste,
esisteva ieri in quanto contento; ha perduto uno di
questi esistere, ha acquisito l’altro, ma non ha cessato
di esistere puramente e semplicemente. Vi è dunque in
lui una quantità di determinazioni secondarie, in ra
gione delle quali egli esìste non più soltanto simplici
ter, ma anche sotto questo o quel rapporto (secundum
quind). Così perciò è, per esempio, musicista o filoso
fo, malato o in salute, contento o triste, eccetera; tutte
queste determinazioni vengono ad aggiungersi (acci
dere) a ciò che egli è primariamente per esistere, sono
degli esseri di sovrappiù, degli
ACCIDENTI.
Filosofia, salute, gioia, tristezza, altrettante es
senze137 alle quali la nostra attenzione non si era rivol
ta sino ad ora e che non stanno esse stesse nell’essere;
al contrario, sono conservate nell’essere solo come dei
rivestimenti, per così dire, del soggetto d’azione. Per
analogia con le cose sensibili, si può dire metaforica Contrariamente agli
mente che questi si tiene sotto gli accidenti (sub-stat) e accidenti, la nozione
p) Cioè senza far menzione di alcun punto di vista particolare, senza modificare il mio
pensiero con una qualche aggiunta.
171
di s o s t a n z a si esplici che li sostiene. Lo si chiamerà pertanto, da questo
ta come conveniente
al soggetto d’azione e punto di vista, una sostanza 138; così, per esempio di
alla sua natura costi ciamo: «Pietro è una sostanza». Quanto alla sua natu
tutiva. ra considerata precisamente come tale (ciò che egli è,
ciò per cui egli è quel che è, ciò per cui è capace di esi
stere puramente e semplicemente), dal momento che
essa si tiene sotto gli accidenti esattamente come lui, il
nome di sostanza conviene pure ad essa. Si dice quin
di, per esempio: «La sostanza di Pietro». Ecco la no
zione di
SOSTANZA
messa in evidenza esplicitamente, in opposizione a
quella di accidente139.
B) La sostanza. — Il nome di sostanza conviene
contemporaneamente (lo abbiamo appena detto) al
soggetto d'azione stesso (ciò che prima di tutto esiste)
e alla natura di questi, considerata precisamente come
natura o essenza (ciò che una cosa è, ciò per cui il sog
getto d’azione è quel che è, e chiede di esistere pura
mente e semplicemente)140. Come definire dunque la
sostanza? Mediante l’espressione essere ricevente tra
mite se stesso (per se) oppure in ragione di sé l'esisten
za, ens per se, nel senso assoluto in cui l’intendevamo
prima? No, poiché questa espressione così intesa si
applica esclusivamente al soggetto d'azione: assoluta-
mente parlando, lui solo (Pietro, per esempio) esiste
come un tutto e non come parte di un essere o sogget
to in cui esisterebbe. La sua natura invece fa parte di
lui ed esiste in lui, la natura di Pietro esiste in Pietro e
fa parte di Pietro. È vero che essendo Pietro stesso
costituito da essa natura ed esistendo per suo mezzo
(per earrì), tale natura non esiste in qualcosa di già
esistente che la riceve (come la tristezza, per esempio,
esiste in Pietro già esistente). Si può dire quindi che es
sa esiste (è idonea a esistere) per se, in questo senso
preciso: che essa non ha bisogno per esistere di essere
parte di un altro essere già esìstente che la riceverebbe
in sé; al contrario, essa costituisce il tutto (il soggetto
d’azione) che sta in se stesso per esistere. In questo
senso e alla condizione di precisarne e di limitarne la
Definizione della so portata, l’espressione ens per se exsistens può conve
stanza. nire non soltanto al soggetto d’azione, ma anche alla
natura di questi, può dunque servire a designare la
sostanza141.
172
(E accade la stessa cosa con l’espressione ens in se
exsistens.)
Diremo pertanto142 che la sostanza è una cosa o
una natura fatta per esistere per sé o in ragione di sé
(per se), e non in un*altra cosa, in alio , cioè in un sog
getto già posto nell’essere143. (Si dice parimenti che la
sostanza è una cosa o una natura alla quale conviene
di esistere in sé .)
CONCLUSIONE XV. — La
sostanza è una cosa o una natura
alla quale conviene di esistere per
sé o in ragione di sé (per se), e
non in un*altra cosa.
173
proprio la sostanza di Pietro che i miei occhi vedono, come è pro
prio Gesù che vedevano i discepoli a Emmaus; ma i miei occhi non
colgono così la sostanza se non nella realtà e materialmente, non
formalmente.
In altri termini, l’oggetto visto o toccato è qualche cosa che,
nello stesso tempo in cui è visto o toccato, è anche sostanza; ma non
è visto o toccato in quanto sostanza. In quanto sostanza è concepi
to, e non visto né toccato; e in quanto visto e toccato, è qualcosa di
colorato e di resistente, non è essere e sostanza. È quello che i filo
sofi esprimono dicendo che la sostanza è intelligibile per se stessa
(perse), e dicendo che è sensibile solo per accidente {per accidens).
Perciò, quello che più ci preme nelle cose sfugge alla presa di
retta dei nostri sensi e della nostra immaginazione, è pure oggetto
d’intelligenza, poiché l’intelligenza soltanto afferra l’essere sotto
l’ordine dell’essere {sub ratione entis).
d) Si osservi che se la sostanza nelle cose, dal punto di vis
dell’esistenza, è l’essere al quale si volge l’intelligenza anzitutto e di
primo acchito, per contro, al fine di conoscere non solo che questo
soggetto ha una sostanza, ma in che cosa consiste tale sostanza,
qual è la sua natura, noi dobbiamo necessariamente basarci su ciò
che la manifesta ai nostri sensi, cioè sulle operazioni, i fenomeni, o
accidenti della sostanza. In questo senso conosciamo la sostanza
mediante gli accidenti.
CONCLUSIONE XVI. —
L ’accidente è una natura o
un’essenza a cui conviene esistere
in un’altra cosa.
q) Già, se non con una priorità di tempo, almeno con una priorità di natura.
174
Si comprende con ciò come un accidente è sì un
essere, ma che non esiste tuttavia come un essere; è es
senzialmente di un essere, ens entis, è fatto per esistere
solo a titolo di complemento o di compimento di un
essere. Pertanto il termine essere si applica all’àcci-
dente solo in un senso secondario e obliquo; e mentre
l’essere, nel significato primo della parola, è, dal pun
to di vista dell’esistenza, il soggetto d’azione, in modo
che la nostra intelligenza si volge immediatamente e
da se stessa al soggetto d’azione e alla sostanza, a ciò
che esiste in sé, ci è difficile in realtà concepire bene
l’accidente; ci occorre pertanto elaborare la nostra
idea dell’essere, renderla malleabile, affinarla, piegar
la al reale, in breve, cogliere per analogia con la so
stanza l’accidente, che ad essa si oppone.
175
senza)147. L’intelligenza e la volontà perciò sono in noi cose reali
distinte dalla nostra sostanza, degli accidenti di conseguenza (che
appartengono, come vedremo più avanti, alla categoria qualità). Vi
sono pertanto accidenti necessari (cioè che non possono mancare al
soggetto), reali e realmente distinti dalla sostanza.
c) Le diverse scuole che si oppongono le une alle altre sul pr
blema della sostanza, possono essere rappresentate sommariamente
nello schema seguente:
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso.
Vi sono tante sostan
ze quanti sono gli indivi
dui. Mediante la sua so
stanza ognuno di essi ha
Tessere primo; ma vi sono
in ciascun individuo acci
denti reali e realmente di
stinti dalla sostanza.
Sostanzialisti. Fenomenisti.
Non vi sono accidenti Non esiste la sostan
reali e realmente distinti za; gli accidenti che ap
dalla sostanza, che è l’uni paiono ai sensi o alla co
ca realtà (Descartes, Leib scienza (fenomeni) sono
niz, e soprattutto Spino l’unica realtà (sensualisti
za. Panteisti tedeschi del in glesi, scuola neo-
XIX secolo). criticista. Filosofia del di
venire puro).
176
benché facciano della cosa in sé uno sfondo della mente che produ
ce l’oggetto e non più un oggetto che s’impone alla mente, i metafi
sici tedeschi successori di Kant ( Fichte, Schelling, Hegel) possono
essere collegati allo sostanziammo panteistico, nel senso che pongo
no un unico principio che, sviluppandosi, costituirebbe la trama e la
realtà di ogni cosa.
Dalla parte fenomenista, i sensualisti ed associazionisti inglesi
pretendono che gli stati di coscienza (sensazioni, emozioni, idee, ec
cetera) siano la sola realtà che noi possiamo cogliere e vogliono
spiegare tutto in psicologia mediante Passociazione di tali stati fra
loro; i filosofi del divenire puro {Bergson, che si rifà ad Eraclito con
un salto di 25 secoli) pretendono che non vi sia nulla di stabile nelle
cose e che il cambiamento, senza soggetto che cambi, sia la sola
realtà. (In psicologia questi filosofi si oppongono ai precedenti per
il fatto che sostituiscono una corrente continua di coscienza (W. Ja
mes) ad un mosaico o ad una moltitudine di stati di coscienza. Ma
sono egualmente nemici della nozione di sostanza.)
Kant (XVIII secolo) aveva sostituito la distinzione di sostanza
ed accidenti nelle cose (sostanza ed accidenti ugualmente conoscibi
li, la prima mediante i secondi (ved. sopra p. 174, d), con l’opposi
zione di due mondi separati, il mondo delle cose così come sono in
se stesse (cose in sé, noùmeni) e il mondo dei fenomeni costruito
dalla nostra mente. Per lui la cosa in sé era interamente inconoscibi
le, egli però ne affermava l’esistenza. È a questa cosa in sé, ricercata
dalla parte del soggetto, che si attaccheranno i panteisti tedeschi del
XIX secolo. Renouvierei neo-criticisti francesi dichiareranno inve
ce che la cosa in sé, che la sostanza è non solo inconoscibile, ma as
solutamente inesistente, e che il concepirla è una chimera.
I vari filosofi fenomenisti di cui abbiamo ora parlato non vedo
no che quel che essi distruggono in realtà è l’accidente, non la so
stanza: ciò che chiamano fenomeni non è, a dire il vero, che una
pseudo-sostanza pensata con un concetto disonorevole in se stesso e
contraddittorio; una sostanza polverizzata o liquefatta o svuotata
di sussistenza reale, non è l’accidente, essere di un essere, puro
complemento d’essere, e che non può essere concepito se non corre
lativamente alla sostanza. Non avendo mai compreso veramente la
sostanza e ponendo, sotto il nome di fenomeni, delle pseudo
sostanze, è naturale che essi si rifiutino di riconoscere un’altra so
stanza dietro a queste pseudo-sostanze che immaginano.
177
a) È vero che la nostra intelligenza non può conoscere dirett
mente questa sostanza nella sua individualità; essa sa soltanto, vol
gendosi verso le immagini da cui trae le sue idee, che questa sostan
za è individuale, non sa in che cosa consiste la sua individualità e la
sostanza di Pietro le è mostrata direttamente solo mediante un’idea
universale. La sostanza di Pietro così percepita, fatta astrazione
dalla sua individualità, non è altro allora che la natura di Pietro
considerata nelle determinazioni che costituiscono Vessenza pro
priamente detta di Pietro. E poiché si dice dell 'uomo che si muove,
che ride, che ha un’intelligenza e una volontà, eccetera, come lo si
dice (primariamente e innanzitutto) di Pietro o di Paolo, poiché di
La sostanza nel se conseguenza la proprietà di stare sotto gli accidenti, che appartiene
condo significato del in proprio al soggetto e alla sua natura individuale, passa oltre la
la parola (s u b s ta n -
natura del soggetto disindividualizzato dall’astrazione, si chiamerà
tia s e c u n d a ) è univer
sale. ancora sostanza (ma in un senso secondario, substantia secunda) la
natura di Pietro afferrata dopo aver fatto astrazione della sua indi
vidualità, cioè l’essenza universale uomo o umanità. Si chiamerà in
vece sostanza nel primo significato, substantia prima, la sostanza
individuale148.
b) Si comprende con ciò che, se si considera l’essere primari
mente còlto dall’intelligenza nelle cose materiali, l’accento si pone
sia sull’essere individuale
sia sull’essere universale,
secondo che questo essere primariamente còlto è considerato
in riferimento all 'esistenza
o in riferimento all’intelligibilità.
In riferimento all’intelligibilità, l’essere primariamente còlto
nelle cose dall’intelligenza è Vessenza propriamente detta, che in se
stessa non è individuale e che esiste nella mente sotto uno stato di
universalità; ed è in un senso improprio che il termine essenza verrà
applicato all’essenza individuata dalla materia individuale (cioè alla
natura individuale).
Al contrario, in riferimento all’esistenza, l’essere primariamen
te còlto nelle cose dall’intelligenza è la sostanza individuale149; ed è
in un senso secondario che il termine sostanza verrà applicato alla
natura disindividualizzata dall’astrazione (cioè all’essenza propria
mente detta)150.
Ricordiamo ciò che è stato detto prima (ved. sopra p. 165, b)
riguardo alla natura individuale. Vediamo subito come occorre
raggruppare151 i differenti concetti che abbiamo incontrato sino ad
ora:
178
c) Per se, a se, in se. — Per definire la sostanza, siamo ricorsi
all’espressione di cosa a cui conviene esistere da sé {per sé) o anche
in sé (in sé). Bisogna precisare con cura il significato di queste espres
sioni. Si dice che una cosa esiste in sé {in se) quando non esiste come In s e .
parte di un tutto già esistente, ma quando costituisce il tutto stesso
che esiste. Così Pietro esiste in sé.
Si dice che una cosa esiste da sé o in ragione di sé (per se),
quando è in ragione di se stessa o della sua propria natura che è po
sta nell’esistenza {mediante le cause da cui dipende, se si tratta di P er se.
una sostanza creata). Così Pietro esiste p erse 152.
Questa espressione per se è molto usata in filosofia. Significa
sempre in ragione di se stessa, in ragione della sua propria essenza,
(per suam essentiam), sia che l’attributo considerato faccia parte
dell’essenza della cosa o ne derivi necessariamente come dal suo
principio (in tale caso per se si oppone a per accidensy, sia che si
voglia dire semplicemente che l’attributo considerato conviene im
mediatamente alla cosa, che non lo riceve mediante altra cosa che
non sia la sua propria essenza (in tale caso per se si oppone a per
aliud. Così il soggetto d’azione esiste perse, mentre l’accidente esi
ste per aliud).
Ma questa espressione per se non significa affatto « in ragione
di sé o della propria natura COME PRINCIPIO ASSOLUTA-
MENTE PRIMO, O COME RAGIONE INTERA E ULTIMA». Vi
è qui qualcosa di completamente diverso, che si esprime con la locu
zione a se, da sé (che si oppone a ah alio).
Ciò che è a se è evidentemente perse, ma ciò che è perse, non è A se.
s) Così Pietro è perse vivente, intelligente, dotato della facoltà di ridere, l’artista è perse
un creatore di oggetti. Ma Pietro è per accidens colpito dall’influenza o erede di una gran
de fortuna, l’artista è per accidens celibe o sposato, eccetera.
179
affatto per ciò stesso a se. Quel che esiste a se oda sé, avendo in se
stesso TUTTA la ragione della propria esistenza, è non causato;
Dio soltanto è da sé, a se. Al contrario, le sostanze create (soggetti
d’azione creati) sono causate; esistono per se, in ragione della loro
essenza, ma non esistono a se. Esse hanno nella loro natura tutto
ciò che occorre per ricevere 1’esistenza, ma non per godere di un’e
sistenza non ricevuta. Esse bastano a se stesse per esistere sotto
questo aspetto esattamente, che cioè non esistono come qualche co
sa di un altro essere; ma assolutamente parlando, non bastano af
fatto a se stesse per esistere. Ciò che è a se non può cessare di esiste
re; ciò che è perse senza essere a se può perdere l’esistenza5bis.
La distinzione fra ciò che esiste a se e ciò che esiste per se è per
fettamente chiara. Alcuni filosofi tuttavia l’anno trascurata, parti
colarmente Spinoza, che attribuisce Vaseità (a - se - itas) ad ogni
sostanza (donde consegue immediatamente che non vi è una sola
sostanza e che tutto è Dio, monismo e panteismo). Quando in realtà
Spinoza definisce la sostanza ciò che è in sé ed è concepito da sé, in
tende effettivamente, come è dimostrato dal contesto153, ciò che ha
bisogno soltanto di sé assolutamente per essere e per essere concepi
to. Già Descartes aveva definito la sostanza in una maniera anfibo
logica res quae ita exsistit ut nulla alia re indigeat ad exsistendum154.
5>bis) Si osservi che in francese F espressione da sé può generare equivoco, e significare sia
perse sia a se. Donde un rischio di confusione contro il quale si deve stare in guardia. Pe
raltro, converrà usare esclusivamente da sé per tradurre a se, e per sé o in ragione di sé per
tradurre per se.
180
tà), o anche che ciò che è, non può non essere nello
stesso tempo e sotto lo stesso rapporto (principio di
non-contraddizione). Questo significa dire che ogni
cosa è ciò che è, che è solo ciò che è, e che è tutto ciò
che è.
E le cose, che cosa fanno le cose? Come si com
portano nella natura? Qual è il primo fatto d’espe
rienza còlto dai sensi e dalla coscienza? Le cose cam
biano, La freccia vola, l’animale corre, ciò che è fred
do diviene caldo sotto l’azione del fuoco, il cibo divie
ne carne, ciò che vive muore, e ad ogni primavera ciò
che non era viene all’esistenza.
In che cosa consiste questo grande fatto del cam- n fatto del cambia-
biamento o movimento? Ognuno lo sa per esperienza, mento,
benché la nozione del cambiamento sia, come tutte le
nozioni prime, ben difficile da spiegare scientifica-
mente. Diciamo che ovunque c’è cambiamento c’è
passaggio (passaggio da un essere ad un altro essere, o
di un modo d’essere ad un altro modo d’essere). E
perché vi sia passaggio, bisogna che vi sia qualcosa
che passa, qualcosa che subisce il mutamento, dicia
mo un soggetto che cessa d’essere qui o questo ( termi
nus a quo , la freccia sull’arco, — il cibo, — il germe),
per essere là o quello ( terminus ad quem , la freccia sul
bersaglio, la carne, la pianta).
181
come fallace (con l’idea di essere) il principio d’identità che gli è le
gato e si penserebbe che il pensiero è ingannatore per natura: e que
sto è parimenti assurdo.
Bisogna dunque assolutamente tener fermo il principio che
l’essere viene prima del cambiamento e che non c’è cambiamento
senza un soggetto che venga cambiato e che sia questo o quello pri
ma di cambiare; o, come dicono i filosofi, non si dà mutamento
senza un soggetto che sia mosso.
182
IL POTER ESSERE.
La realtà precedente diviene la realtà nuova conside
rata non secondo ciò che è, non secondo ciò che non
è, ma secondo ciò che può essere.
183
no, le cose sono, in una certa maniera inferiore.
Eccoci dinanzi a qualcosa che non merita di esse
re chiamato un essere, cui si può dare questo nome so
lo secondariamente, impropriamente e per così dire a
mo’ d’elemosina e che nondimeno è reale. È quel che i
filosofi chiamano potenza o potenzialità.
184
Diciamo che ratto è l’essere stesso nel senso
proprio della parola quanto alla pienezza così indica
ta, o anche il completo, il determinato o il perfetto co
me tale; quanto alla potenza , essa è il completabile, il
determinabile o il perfettibile come tale, essa non è un
essere, ma una reale capacità di essere.
CONCLUSIONE XVII. —
L’ESSERE considerato in
rapporto alla pienezza e alla
perfezione che questa parola
significa, si divide in ESSERE
PROPRIAMENTE DETTO o
ATTO e CAPACITÀ D ’ESSERE
o POTENZA.
185
fredda, ma può essere calda) la determinazione (un
calore di una determina intensità) che la caratterizza
al termine del cambiamento. Il cambiamento è il pas
saggio dalla potenza all’atto o, più esattamente, se
condo una definizione che più avanti dovremo ripren
dere, è l’atto di una cosa in potenza, considerata
proprio sotto il rapporto in cui è in potenza: actus ex
sistentis in potentia prout in potentia .
D. A tto e potenza nelle cose. — Si comprende, da
ciò che ora abbiamo detto, che tutte le cose mutevoli,
sotto qualsiasi rapporto, sono composte , come si dice,
di potenza e di atto . Dio soltanto, essendo assoluta-
mente immutabile, è puro da qualunque potenzialità:
essendo l’Essere stesso sussistente o la Pienezza del
l’essere, non può diventare nulla, non c’è perfezione
che Egli non abbia, che Egli non sia, è atto puro .
Tutte le altre cose invece hanno un essere troppo
povero e troppo debole per realizzare di colpo tutto
ciò che possono essere; vi è per ciascuna di esse come
un immenso margine di possibilità realmente aperte,
di cui ciascuna di esse non può mai attuare se non dei
frammenti, a condizione di cambiare.
186
Osserviamo d’altra parte che ogni accidente (la bianchezza, la
forza, la virtù, eccetera) è un atto {forma accidentale) che determina
il soggetto e che talvolta è esso stesso in potenza riguardo a determi
nazioni ulteriori. Così, Γintelligenza, per esempio, è un accidente
(una forma accidentale) avente l’anima come soggetto, ed è in po
tenza riguardo a questo o a quell’atto di pensiero.
Vediamo perciò che tutte le nozioni che abbiamo trovato sino
ad ora possono essere raggruppate nella maniera seguente:
“) La materia prima perciò non può esistere da sola, senza questa o quella forma sostan
ziale che la attui. Parimenti, l'essenza è, in rapporto all’atto di esistere, un potenza real
mente distinta da questo, ma attuale grazie all’atto medesimo.
v) Questo assioma ci dà la ragione metafisica della verità enunciata prima: l’essere è prima
del divenire o del mutamento. (È così assolutamente parlando. Ma nell’ordine della causa
lità materiale, la potenza è prima dell’atto, il divenire prima dell’essere, il germe prima del
l’albero. Ma il germe stesso presuppone l’albero, che lo ha prodotto, e anzitutto l’attualità
della causa prima).
187
IV. La potenza è essenzialmente relativa all'atto ed è per l'atto
(potentia dicitur ad actum). Effettivamente, è solo in riferimento al
l’atto che la potenza può essere concepita (è solo in riferimento al-
Vessere bianco che si può concepire il potere essere bianco); ed è pu
re solo per la determinazione e per il completamento che esiste come
tale il determinaMe e il completabile.
V. L'atto e la potenza sono sulla stessa linea, cioè ambedue sul
la linea della sostanza o sulla linea dell’accidente. È chiaro che, in
realtà, qualsiasi atto che completa e specifica contemporaneamente
una potenza, deve essere del medesimo ordine di questa. Così, per
esempio, l’azione di pensare è nell’ordine dell’accidente come la fa
coltà stessa da cui emana e che è in potenza rispetto a questa azione.
VI. Ogni cosa agisce secondo che è in atto. L’azione effettiva
mente è un atto {actus operationis) che è posto nell’essere dal sog
getto da cui emana e che presuppone di conseguenza (assioma II)
che questi sia in atto nella misura in cui esso lo fa emanare da sé. Si
dice in un senso simile che l’azione o l’operazione è la manifestazio
ne dell’essere, operatio sequitur esse.
VII. Da due esseri in atto non può derivare qualcosa di uno per
sé. Si definisce uno per sé (unum per se), in contrasto con uno per
accidente, una cosa che costituisce un solo essere e non una riunione
di esseri; in altri termini una cosa che è una in ragione della natura
stessa per la quale esiste. Così, per esempio, un organismo vivente è
qualcosa di uno per sé, mentre una macchina o una casa è qualcosa
di uno per accidente'1'. Da ciò è evidente che due esseri in atto, che
costituiscono come tali due esseri, non potranno mai, se li si unisce,
costituire altro che una riunione di esseri o qualcosa di uno per acci
denti*.
w) Sopprimete l’unità della macchina e della casa, distruggerete senza dubbio e la macchi
na e la casa; ma non potete distruggere le nature stesse (o le sostanze) che vi esistono (fer
ro, acciaio, mattoni, eccetera).
Sopprimete invece l’unità di un organismo, distruggerete la natura stessa (o la sostanza)
che vi esiste.
*) Questo assioma è molto importante nella filosofia naturale e soprattutto nella psicolo
gia. Così, per esempio, la concezione cartesiana, che fa dell’anima e del corpo due sostan
ze complete ciascuna a parte, è incapace di spiegare l’unità sostanziale dell’essere umano,
poiché due sostanze complete sono due esseri in atto.
188
L’anti-intellettualismo (Eradito, Bergson) rigetta parimenti la
distinzione fra la potenza e l’atto, ma per il fatto che la nozione
d’essere gli sembra ingannatrice. Di conseguenza, il divenire o il
cambiamento puro si sostituisce all’essere, non vi è più atto puro e
Dio, qualsiasi cosa si faccia, ha la stessa natura delle cose {pantei
smo).
Intellettualismo
moderato (scuola di Ari
stotele
e di Tommaso).
Potenza e atto nelle
cose. Dio o l’atto puro è
assolutam ente distinto
dalle cose.
189
si considerano le cose di cui si parla, sotto le determinazioni stesse
che significano i vocaboli usati; si parla formalmente quando si
considera nelle cose di cui si parla non tanto il soggetto che riceve
quelle determinazioni, quanto quelle determinazioni stesse e il fine
profilo, la pura linea che esse disegnano in lui. Tale distinzione è
molto importante; in effetti, il filosofo deve mirare sempre a parla-
re formalmente e d’altra parte numerose sue proposizioni sono vere
formaliter loquendo, mentre sarebbero false materialiter loquende,
e inversamente.
Per esempio, proposizioni come:
«tutto ciò che è, è buono» (in quanto è);
«il bene comune prevale sempre sul bene individuale» (con
siderando bene comune in una maniera formale, nel qual caso l’u
nione dell’anima con Dio, cioè con il bene comune trascendente tut
te le creature, prevale su tutto il resto);
«bisogna sempre obbedire ai superiori» (in quanto sono su
periori, cioè in quanto non comandano nulla di contrario agli ordi
ni di un superiore di grado più elevato);
«vi sono uomini naturalmente schiavi» (considerando schia
vo formalmente, cioè nel significato di destinato al lavoro manuale
o servile);
«ogni virtù è stabile» (considerando unicamente la sua natu
ra di virtù);
«la scienza è infallibile» (in quanto scienza);
sono vere formalmente parlando, ma sarebbero false se venissero
intese materialmente.
Al contrario, proposizioni come:
«questo quadro è l’adorazione dei magi»;
«questo libro è la dottrina di Pitagora»;
«la parola è stata data all’uomo perché dissimuli il suo pen
siero»;
«la filosofia è orgogliosa»;
«la costituzione inglese è buona per il fatto che è illogica»;
sono vere solo sotto un certo rapporto e se vengono intese material
mente155.
y) Ora, distinguiamo bene il termine inpotenza e il termine
VIRTUALE,
V irtu a le e f o r m a l e (o che significano cose del tutto diverse156. Si dice che una cosa qua
a ttu a le ). lunque è virtuale o che esiste virtualmente, quando si trova contenu
ta in un’altra più elevata, non con il suo essere o con la sua determi
nazione (la sua formalità) propria, ma sotto un altro essere o un’al
tra determinazione (un’altra formalità), in modo che ivi esiste sì, se
condo la virtù o il grado di perfezione che comporta, ma non
FORMALMENTE o ATTUALMENTE.
Se così accade, non è perché l’essere in cui si trova sia inpoten
za a suo riguardo, ma perché esso è in atto in una maniera più eleva
ta. La sua elevazione è per così dire un ostacolo che impedisce alla
cosa, che esso contiene virtualmente, di esservi con la sua determi
nazione (la sua formalità) propria e meno alta.
Perciò, la perfezione di tutte le cose corporali esistono virtual
mente in Dio, le conclusioni esistono virtualmente nel principio,
delle vite parziali esistono virtualmente nella vita dell’organismo,
ione fra
IMPLICITO ed ESPLICITO
190
è diversa dall’opposizione fra virtuale e formale (e attuale). Una co In a tt o v is s u to e in a t
sa implicitamente contenuta in un’altra può esservi formalmente o t o s ig n if ic a to .
attualmente e non virtualmente: ma vi si trova in una maniera con
fusa, avviluppata, o nascosta, come un fiore racchiuso e ripiegato
nel bocciolo. In questa verità perciò Pietro è un uomo (per fare un
esempio) è implicitamente contenuta quest’altra verità Pietro è un
animale ragionevole.
ε) Infine, una cosa data in un modo formale ed esplicito può
ancora essere detta in atto in due maniere diverse. Consideriamo, I m p lic ito ed e s p lic i
per esempio, un uomo che corre a perdifiato inseguito da nemici. to .
Che cosa fa? Se risponde: fugge, indico quel che fa
IN ATTO SIGNIFICATO
(in actu signato)
(quel che fa come sottolineato o dichiarato per così dire dall’inten
zione della sua volontà). Se rispondo: affretta il suo ritmo respira
torio, indico quel che fa
IN ATTO VISSUTO soltanto
(in actu exercito).
Poniamo ora un uomo che legga Ronsard, Lamartine e Victor
Hugo per rilevare il numero di volte in cui usano il termine amare e
il termine voler bene. Questo uomo legge i poeti a colpo sicuro, li
legge formalmente ed esplicitamente, ma è proprio questo ciò che
egli fa , considerandolo come mosso dalla direzione stessa della sua
volontà? No, riflettendo su ciò a cui mira leggendo questi poeti, bi
sogna dire che prepara un lavoro di critica letteraria stilometrica.
Diciamo che legge i poeti effettivamente o in atto vissuto, ma che in
atto significato o espressamente prepara il lavoro in questione.
Poniamo ancora questo: che noi diciamo lilia agri non labo
rant, neque nent, pensando unicamente al senso di tale frase; ciò
che conosciamo allora in atto significato, sono / gigli del campo che
ci vengono presentati come creature che non lavorano e non filano.
Ma contemporaneamente conosciamo, in atto vissuto, il nominati
vo plurale lilia, che conosceremo a sua volta in atto significato, se
ritorniamo con la riflessione sulla frase in questione per analizzarla
dal punto i vista grammaticale.
L’espressione in atto significato quindi (in actu signató) si dice
delle cose a cui si volge l’intelligenza o la volontà, quando costitui
scono l’oggetto di un concetto dell’intelligenza e di un’intenzione
della volontà particolarmente formate a loro riguardo, e quando so
no così presentate alla mente o poste nella realtà sotto il titolo stesso
o sotto la ragione espressa dal loro nome. Quando invece queste co
se sono presentate alla mente o poste nella realtà in occasione di
qualcos’altro e senza essere osservate in se stesse, si dice che vi sono
in atto vissuto o effettuato (in actu exercito).
3. TEODICEA
191
na, verte su Colui che è l’essere stesso sussistente. Si
chiama questa parte della metafisica teologia naturale
Problemi della teolo (scienza di Dio in quanto Egli è accessibile alla ragione
gia naturale, o meta naturale o anche in quanto è causa delle cose e autore
fisica dell ’e s s e r e s t e s
s o s u s s is te n te . dell’ordine naturale); la si chiama pure, dopo Leibniz,
teodicea , con un nome molto mal scelto.
192
dine complesso dell’universo o la disposizione struttu
rale degli organismi viventi, ma anche il semplice ordi
ne di un agente qualsiasi rispetto alla sua azione speci
fica.
Per rendere ragione di questi diversi fenomeni,
bisogna, in definitiva (poiché è assolutamente neces
sario fermarsi, sotto pena di assurdità, su una prima
ragion d’essere), ammettere una causa che muove sen
za essere mossa, che causa senza essere causata, che
sia senza poter non essere, nella quale si trovi allo sta
to puro la perfezione stessa di cui le cose partecipano
più o meno, la cui intelligenza, infine, sia il fonda
mento supremo delle nature e il principio delle cose.
Una causa di tal genere è ciò che noi chiamiamo Dio;
essa è atto puro, esiste da sé (a sé); in altre parole l’es
sere stesso è la sua natura o la sua essenza, essa è l’es
sere stesso sussistente, Colui che è . Questo ragiona
mento, che coinvolge per il filosofo le più alte verità
della metafisica, s’impone al senso comune nella ma
niera più semplice; si tratta infatti dell’atto più pro
fondamente naturale della ragione umana, cosicché
bisogna, per distruggerlo, distruggere la ragione stessa
ed i suoi principi primi (principio d’identità o di
non-contraddizione, di ragion d’essere, di causalità) e
la mente non ha altra scelta (come dimostra troppo
bene la storia della filosofia) se non tra i due corni di
questa alternativa: il vero Dio, o Vassurdità radica
le^1.
La teodicea deve inoltre stabilire secondo quale
modo di conoscenza Dio è conosciuto da noi e succes
sivamente puntare il suo sguardo sulla natura e sulle
perfezioni di Dio, in particolare sulla sua unità, la sua
semplicità, la sua immutabilità, che si deducono im
mediatamente da quella perfezione di essere da sé
(aseità) che anzitutto caratterizza l’atto puro e che
manifestano nella maniera più chiara che egli è distin
to dal mondo assolutamente e per essenza; poi, sulle
sue relazioni col mondo, sulla sua scienza, sulla sua
azione creatrice e motrice; infine, sui problemi che so
no connessi con la prescienza divina degli avvenimenti
contingenti e degli atti liberi dell’uomo e su quelli che
pone l’esistenza del male nell’universo.
193
La scuola di Aristotele e di Tommaso insegna che Dio è cono
sciuto, dalla ragione naturale, con una conoscenza analogica, che ci
fa vedere nelle specchio delle cose create le perfezioni divine (essere,
unità, bontà, intelligenza, amore, eccetera), senza porre alcuna uni
tà di natura, alcuna comune misura, alcuna proporzione, alcuna
sorta di mescolanza o di confusione tra Dio e le cose. Questa dottri
na si oppone a due errori contrari: Terrore degli agnostici, che pon
gono Tessere divino fuori dalla portata della nostra intelligenza,
dichiarando che Dio è inconoscibile alla ragione (scettici; fenome-
nisti; positivisti come Comte e Spencer, scuola di Kant soprattutto);
e Terrore dei panteisti, che confondono Tessere divino con Tessere
delle cose (Parmenide, Eraclito, gli stoici, Spinoza, i metafisici te
deschi dopo Lessing e Kant; modernisti e immanentisti).
Filosofia di A ristotele
e di Tommaso.
Dio è conosciuto per
analogia ed è assoluta-
mente distinto dalle cose.
Panteismo. Agnosticismo.
Dio viene confuso Dio è inconoscibile.
con le cose.
194
SEZIONE III
FILOSOFIA PRATICA
195
causa o di principio) in riferimento al fine ultimo (be
ne assoluto dell’uomo).
Queste scienze pratiche non sono nemmeno vere
scienze propriamente dette, poiché non procedono
con un metodo dimostrativo, e risolvendo delle con
clusioni nei loro principi. Ben più che scienze, esse so
no arti; e rientrano direttamente nella grande catego
ria dell’arte, non in quella della scienza.
Qual è dunque la caratteristica essenziale dell’ar
te considerata in tutta la sua generalità? È quella di di
rigere un*opera da farsi , in modo che sia costruita,
plasmata o disposta come deve esserlo, e di assicurare
pertanto la perfezione o la bontà non dell’uomo che
agisce, ma della cosa stessa o dell’opera compiuta dal
l’uomo. L’arte quindi appartiene all’ordine pratico
per questo, perché guida e orienta un*opera che deve
essere prodotta , non in riferimento all’uso che dob
biamo fare del nostro libero arbitrio, ma in riferimen
to alla maniera in cui l’opera come tale e in se stessa
deve essere eseguita. Diciamo che l’arte concerne ciò
che deve essere fatto (o, come si dice, il factibile , ποιη-
τ ό ν ).
196
ca, dal momento che mira dXYopera da farsi e tende a Filosofia dell’o p e r a
d a fa rsi o filosofia
regolare dall’alto delle discipline pratiche. Essa non dell’arte.
può tuttavia, essendo una scienza propriamente detta,
essere essenzialmente pratica , rimane essenzialmente
speculativa a causa del suo oggetto e del suo modo di
procedere e inoltre rimane estremamente lontana dal-
l’operazione stessa: non solo in realtà resta estranea
all’applicazione delle regole artistiche all’opera parti
colare da prodursi, ma anche le regole che dà sono di
gran lunga troppo generali per essere immediatamente
applicabili a tale opera e per meritare il nome di regole
artistiche propriamente dette; essa è pertanto solo
impropriamente e molto imperfettamente pratica .
197
B — FILOSOFIA DELL’«AGIRE»
ovvero
ETICA
198
(se ce ne serviamo) ci fa sempre e ben giudicare circa
l’atto che deve essere compiuto e volere senza errore
ciò che è stato così giudicato buono.
D ’altra parte, l’etica non fornisce le regole della
condotta umana se non nell’ordine naturale e in riferi
mento al fine ultimo dell’uomo così come sarebbe se
Uuomo avesse per fine una beatitudine naturale. Ora,
avendo l’uomo per fine ultimo, in realtà, un fine so
prannaturale (Dio posseduto non mediante la cono
scenza imperfetta della ragione umana, come tale, ma
mediante la visione beatifica e deificante dell’essenza
divina) e dovendo i suoi atti essere regolati in rapporto
a questo fine soprannaturale e in modo da condurve-
lo, l’etica o morale filosofica è evidentemente insuffi Problemi dell’Etica.
ciente ad insegnargli tutto ciò che deve sapere per agi
re bene. Essa deve essere completata e innalzata dagli
insegnamenti della rivelazione.
199
eterna e la legge naturale), sia
LA LORO REGOLA IMMEDIATA
(donde le questioni concernenti la coscienza); occorre
che rifletta infine su
I PRINCÌPI i n t r i n s e c i
da cui procedono questi atti, cioè le virtù morali e i vi
zi.
Ma essendo 1’etica una scienza pratica, non deve
fermarsi a queste considerazioni universali, deve an
che scendere alla determinazione più particolare degli
atti umani e delle loro regole; da ciò Fobbbligo per es
sa di studiare in un modo più dettagliato le regole che
governano la condotta delFuomo, innanzitutto per
quanto concerne
IL SUO PROPRIO BENE,
successivamente per quanto concerne
IL BENE ALTRUI
(e di conseguenza la virtù di giustizia).
Quest’ultima considerazione introduce una quan
tità di problemi di grande importanza, che sfociano in
quel che viene detto il diritto naturale, e che riguarda
no in primo luogo ciò che l’uomo deve
A DIO
(problema della religione naturale)2, in secondo luogo
ciò che egli deve
AGLI ALTRI UOMINI;
e qui si pongono i problemi concernenti gli uomini
CONSIDERATI INDIVIDUALMEN
TE,
(diritto individuale, questione della proprietà, per
esempio) e quelli concernenti gli uomini
CONSIDERATI COME MEMBRA
di un tutto naturale, al bene del quale gli individui
debbono servire, famiglia e società politica (diritto so
ciale).
z) Cioè della religione così come sarebbe facendo astrazione dall’ordine soprannaturale,
cui l’uomo in realtà è stato elevato.
200
come individuo, o etica (nel senso stretto della parola); scienza degli
atti dell’uomo come membro della società domestica, o economia;
scienza degli atti dell’uomo come membro della città (società civile)
opolitica161.
b) Riguardo al problema capitale della morale (problema del
fine ultimo dell’uomo), possiamo ritrovare un’ultima volta la di
stinzione sommaria delle scuole filosofiche in tre gruppi.
La scuola di Aristotele e di Tommaso insegna che tutta la vita
morale dipende dalla tendenza al bene sovrano dell’uomo o alla
beatitudine e che l’oggetto in cui consiste tale beatitudine è Dio, Dio
che noi dobbiamo amare non per noi ma per lui (proprio perché egli
è la nostra mèta ultima, cioè voluta e amata per se stessa, e non per
alcun’altra mèta).
Le scuole che condizionano gli atti umani al piacere {edonismo,
Aristippo, Epicuro) o all’utile ( utilitarismo, Bentham, Stuart Mill),
o allo Stato (Hegel e i sociologisti contemporanei), o all’umanità
(Augusto Comte), o al progresso (Spencer), o alla simpatia (scuola
scozzese), o alla pietà (Schopenhauer), o alla produzione del supe
ruomo (Nietzsche), attribuiscono all’uomo come fine ultimo qual
cosa di creato e con ciò abbassano l’uomo al di sotto di se stesso.
Le scuole che pretendono che la virtù (stoici, Spinoza) o il do
vere (Kant) basti a se stesso, sia perché la virtù è la beatitudine stes
sa, sia perché la ricerca della beatitudine offende la moralità, attri
buiscono all’uomo come fine ultimo l’uomo stesso e con ciò, ben
ché sembrino divinizzare l’uomo, in realtà lo abbassano al di sotto
di se stesso, come le scuole precedenti; la sua grandezza d’uomo
consiste infatti nell’avere come unico fine il bene increato.
Filosofia tomista
(morale della beatitudine
o del bene sovrano).
L’uomo è ordinato
verso un fine ultimo diver
so da sé e tale fine ultimo
è Dio.
201
La verità, in effetti, non può trovarsi in una filosofia che tenga
la via di mezzo tra errori contrari per mediocrità e cadendo al di sot
to di essi, cioè fondandosi su elementi presi a prestito e dall’uno e
dall’altro, mettendoli in equilibrio l’uno con l’altro e mescolandoli
mediante una scelta fatta senza lume di sapienza (<eclettismo); ma
deve trovarsi in una filosofia che tenga la via di mezzo fra errori
contrari per superiorità e dominandoli, in modo che questi appaia
no come frammenti caduti, staccati dalla sua unità. Poiché è chiaro
che se è vera, tale filosofia deve vedere in pieno quel che l’errore ve
de solo in una maniera parziale e ingiusta e deve pure giudicare e
salvare, grazie ai suoi propri principi e alla sua propria luce, quel
che l’errore, senza saperlo comprendere nemmeno esso, comporta
di verità.
202
CONCLUSIONE
203
La divisione della filosofia in filosofia speculativa e filosofia
pratica è in rapporto con la specificazione delle varie scienze filoso
fiche, ma con il fine al quale esse sono ordinate. Se il fine che si per
segue è unicamente il conoscere, si ha la filosofia speculativa; se il
fine che si persegue è il bene dell’uomo, si ha \&filosofia pratica162.
Dal punto di vista della specificazione delle scienze filosòfi
che163, l’etica, che tratta delle virtù morali dell’uom o164 e che ha co
me oggetto formale «l'agire» umano, e la filosofia dell’arte, che
tratta delle virtù intellettuali pratiche dell’uomo e che ha come og
getto formale «il fare» umano, sono parti della scienza dell’uomo,
che appartiene anch’essa alla filosofia naturale (pur facendo parte
della metafisica). Da questo punto di vista si debbono riconoscere
come scienze filosofiche specificatamente distinte solo la logica, la
metafisica, la filosofia della natura, e la filosofia delle matemati
che, se però non si riduce questa parte della filosofia alla metafisica
o alla filosofia della natura.
204
APPENDICE
INDICAZIONI PRATICHE
1.
aa) I numeri 50, 51 e 52 sono stati contrassegnati con un asterisco, perché non sono stretta-
mente utili alla preparazione del baccalaureato. Gli argomenti di cui trattano sono peral
tro così importanti che conviene dedicare loro alcune lezioni (alcuni paragrafi del testo
scritti in corpo minore possono del resto essere omessi, su indicazione dell’insegnante).
207
XV. La sostanza e l’accidente (n. 51).
XVI. La sostanza e l’accidente (fine).
XVII. L’atto e la potenza (n. 52).
XVIII. L’atto e la potenza (fine).
XIX. I problemi della teodicea (n. 53).
XX. I problemi della filosofia dell’arte e i problemi
della morale(nn. 54-57).
XXI. Divisione generale della filosofia (n. 58).
2.
3.
208
mente per studiare le sue lezioni*. Tale disposizione6*
ci è parsa di molto preferibile a quella che pone i rias
sunti alla fine del volume o alla fine del capitolo. Essa
permette allo studente di tenere il riassunto sotto gli
occhi mentre legge le pagine corrispondenti del ma
nuale e studia la lezione; inoltre faciliterà di molto il
lavoro di revisione.
Lo studente dovrà imparare a memoria la parte
del riassunto pro-memoria corrispondente ad ogni le
zione.
4.
bb) Questa distinzione ci è stata suggerita dal nostro collega. Jeanjean, professore di psico
logia pedagogica alTInstitut Catholique di Parigi, che qui ringraziamo per i suoi utili con
sigli.
* Tale riassunto pro-memoria risulta qui stampato con il volume stesso, sotto una
nuova numerazione delle pagine, nell’edizione francese che traduciamo. Quanto sopra si
riferisce ovviamente ad un’edizione in dispense o fascicoli separati, n.d.t.
209
tale ordine cede alla tendenza soggettivista che regna
nella filosofia dopo Descartes e che fa considerare i
fatti della coscienza come l’oggetto per eccellenza del
filosofo e come l’unica realtà a cui possa giungere di
rettamente il pensiero.
5.
cc) Il problema della materia, che concerne propriamente la filosofia naturale, è posto nel
programma nella sezione Metafisica.
210
correrà per questa dissertazione all* indice di una buona edizione di
Pascal.)
— Che pensate della pena di morte?
— Di quali elementi è composta l’idea dell’uguaglianza di tutti
gli uomini? (Caen). E quali significati diversi comporta questa idea?
— La sincerità. I suoi gradi. Si può mentire a se stessi?
(Nancy).
— Il duello.
6 .
Xénophon: Mémorables.
Platon: Apologie de Socrate.
Criton.
[Phédon.]
Euthydème.
[Gorgias.]
Aristote: [Ethique à Nicomaque, in particolare libri I, IV, V, V ili, IX o
X.]
[Politique, in particolare libri I, III, IV ο V.]
[Poétique.J
Bossuet: * Connaissance de Dieu et de soi-mème.
Pascal: Pensée et opuscules.
J. de Maistre: Les soirées de Saint-Pétersbourg.
Le pape.
Considérations sur la France.
Blanc de Saint-Bonnet: La douleur.
Ernest Hello: L ’homme.
La philosophie et Vathéisme.
211
Ollé-Laprune: * Le prix de la vie.
e La philosophie et le temps présent.
Mgr. d’Hulst: * Mélanges philosophiques.
Nouveaux mélanges philosophiques.
A.-D. Sertillanges: Les sources de la croyance en Dieu.
La vie intellectuelle.
M. Grabmann: Saint Thomas d'Aquin.
212
RIASSUNTO PROMEMORIA
/ numeri messi tra parentesi rinviano alle pagine del testo.
1. NATURA DELLA FILOSOFIA
1.1. Nozioni Storiche
215
vo del mondo corporale alla considerazione dell’uomo e delle cose uma
ne (CONOSCI TE STESSO).
(pp. da 54 a 61)
1.1.4. Platone tenta una grande sintesi dottrinale, che se rimane vi
ziata da errori, racchiude però in sé un germe senza pari. La sua filoso
fia è la filosofia delle idee (archetipi sovrasensibili eterni, L’UOMO IN
SÉ). Il mondo sensibile non è che un’ombra ingannatrice e può essere
solo oggetto di opinione, non di scienza. Sapere è ricordarsi; (INNEI-
SMO METEMPSICOSI). L’uomo è una mente che usa degli organi fisi
ci (DUALISMO PSICOLOGICO). Un peccatore non è che un ignoran
te.
(pp. da 61 a 68)
1.1.5. Aristotele , correggendo Platone, riesce ad assicurare in mo
do definitivo la presa del’intelligenza sul reale. Critica la teoria delle idee
e mostra che le essenze sono sotto uno stato di universalità solo nella
mente. Le cose sensibili sono reali, sono composte di materia e di form a.
Tutte le nostre idee provengono dai sensi, per l’effetto dell’attività im
materiale della mente. L’uomo è un animale ragionevole, UNA sostanza
COMPOSTA (composta di un CORPO e di un’ANIMA SPIRITUA
LE). Il peccatore fa il male che conosce (distinzione fra giudizio specula
tivo e giudizio pratico).
Aristotele, malgrado le deficienze che attestano in lui l’imperfezio
ne della ragione umana, si innalza sino alla conoscenza del vero Dio,
perfettamente uno, separato dal mondo, beato in se stesso, vivente e in
telligente per essenza, atto puro.
Nel XIII secolo Tommaso d 3Acquino, introducendo la filosofia di
Aristotele nella luce superiore della teologia, la purifica, la sistematizza,
l’approfondisce, e l’arricchisce di nuove sintesi. La filosofia di Aristote
le e di Tommaso è la PHILOSOPHIA PERENNIS.
(pp. da 68 a 78)
1.2. CONCLUSIONI
216
1.2.2. La filosofia è la più alta delle conoscenze umane ed è vera
mente una SAPIENZA. Le scienze particolari le sono sottomesse, nel
senso che essa le GIUDICA, le DIRIGE e DIFENDE i loro principi. Es
sa poi è libera nei loro confronti e non ne dipende se non come da
STRUMENTI di cui si serve.
(pp. da 87 a 95)
1.2.3. La teologia o scienza di Dio, secondo quanto Egli di sé ci ha
fatto conoscere mediante la rivelazione, è al di sopra della filosofia. La
filosofia le è SOTTOMESSA non nei suoi principi né nel suo sviluppo,
ma NELLE SUE CONCLUSIONI, sulle quali la teologia esercita un
controllo, essendo pertanto REGOLA NEGATIVA per la filosofia e li
mitando la sua libertà di sbagliare.
La teologia, d’altro canto, usa come di uno STRUMENTO, per
stabilire le sue proprie dimostrazioni, della filosofia e delle verità rico
nosciute dalla ragione.
(pp. da 95 a 99)
1.2.4. Il senso comune, giudizio istintivo e spontaneo della ragione
umana, comporta tre gruppi di certezze naturali (DATI DELL’EVI
DENZA SENSIBILE, PRINCÌPI INTELLIGIBILI EVIDENTI PER
SE STESSI, CONCLUSIONI PROSSIME).
La filosofia non è fondata sull’autorità del senso comune, conside
rato come consenso generale o come istinto comune dell’umanità; trae
nondimeno dal senso comune, se lo si considera in se stesso, Vintelligen-
za dei primi principi immediatamente evidenti. Essa è superiore al senso
comune, come lo stato perfetto o scientifico di una conoscenza vera è
superiore allo stato imperfetto o volgare di questa stessa conoscenza.
Tuttavia, la filosofia può essere ACCIDENTALMENTE giudicata dal
senso comune.
(pp. da 98 a 105)
1.2.5. La filosofia ha come principi formali i primi principi eviden
ti per se stessi, còlti nella nozione dell’essere e come materia l’esperienza
e i fatti, gli accadimenti più semplici e più evidenti.
(pp. da 105 a 106)
217
COSE (essere REALE); III. La filosofia pratica o morale, che ha come
oggetto gli ATTI UMANI.
(pp. da 107 a 119)
2 .2 .1 principali problemi
218
2.2.4. Terza parte della filosofia speculativa: metafisica (ENS IN
QUANTUM ENS). La metafisica comprende a sua volta la CRITICA,
ΓONTOLOGIA e la TEOLOGIA NATURALE o teodicea.
Critica o metafisica della verità. Problema della verità. La verità
della conoscenza consiste nella CONFORMITÀ DELLA MENTE AL
LA COSA. È assurdo mettere in dubbio la veracità delle nostre facoltà
di conoscere. Problema dellOGGETTO DELL’INTELLIGENZA.
L’oggetto formale dell’intelligenza è TESSERE. Essa è fatta per com
prendere quello che sono le cose, indipendentemente da noi. L’essere co
me tale è INTELLIGIBILE, ogni cosa è intelligibile, proprio nella misu
ra in cui è.
(pp. da 143 a 151)
2.2.5. ONTOLOGIA, o metafisica dell’essere in generale. Quali
sono i dati assolutamente primi dell’intelligenza considerando Tessere?
2.2.5. a. L’ESSENZÀ. Divisione dell’essere in essenza ed esisten
L'essenza propriamente detta di una cosa è ciò che questa cosa è NE
CESSARIAMENTE e PRIMARIAMENTE a titolo di PRINCIPIO
PRIMO D ’INTELLIGIBILITÀ.
La nostra intelligenza può conoscere le essenze delle cose (distinta-
mente o confusamente).
Le essenze delle cose sono UNIVERSALI NELLA MENTE e
CONSIDERATE IN SE STESSE fanno astrazione da qualunque modo
di esistere e NON SONO né universali NÉ INDIVIDUALI.
(pp. da 151 a 168)
2.2.5. b. LA SOSTANZA E L’ACCIDENTE. Considerando Te
re delle cose non più in rapporto all’intelligibilità, ma in rapporto all’E-
SISTENZA, si vede che ciò che anzitutto esiste è il SOGGETTO D ’A
ZIONE {sostanzapersonale , persona). Contrariamente agli ACCIDEN
TI (esseri di sovrappiù), la nozione di SOSTANZA si esplicita come con
veniente al SOGGETTO D ’AZIONE e alla sua NATURA COSTITUTI
VA {ciò per cui è idoneo a esistere puramente e semplicemente).
La sostanza è una cosa o una natura a cui conviene esistere PER SÉ
o IN RAGIONE DI SÉ (per sé) o anche IN SÉ (in sé) e non in un’altra
cosa (IN ALIO).
L 'accidente è una natura o essenza a cui conviene esistere IN
U N ’ALTRA COSA (in alio).
(Si distingua bene l’espressione p erse , per sé o in ragione di sé, dal
l’espressione a se , da sé, in ragione di sé COME PRINCIPIO ASSOLU
TAMENTE PRIMO O COME RAGIONE INTERA ED ULTIMA).
(pp. da 168 a 180)
2.2.5. C. L’ATTO E LA POTENZA. Considerando Tessere d
cose in riferimento alla maniera in cui queste SI COMPORTANO nella
realtà, si vede che il fatto del MUTAMENTO, in apparenza incompati
219
bile con il PRINCIPIO D ’IDENTITÀ (ciò che è, è), si concilia con que
st’ultimo solo grazie alla nozione d’ESSERE IN POTENZA o DI PO
TENZIALITÀ (capacità reale).
Pertanto, TESSERE considerato in rapporto alla pienezza e alla
perfezione che questa parola significa, si divide in un ESSERE PRO
PRIAMENTE DETTO o atto e CAPACITÀ D ’ESSERE o potenza,. Il
CAMBIAMENTO è il passaggio dalla potenza all’atto, o meglio Tatto
di una cosa in potenza, considerato precisamente sotto il rapporto in cui
essa è in potenza (ACTUS EXSISTENTIS IN POTENTIA PROUT IN
POTENTIA).
(pp. da 180 a 191)
2.2.6. TEOLOGIA NATURALE o teodicea (metafisica dell’essere
stesso sussistente). La teodicea tratta in primo luogo dell’ESISTENZA
DI DIO; (le cinque vie di Tommaso dimostrano l’esistenza di Dio come
primo motore, prima causa efficiente, primo necessario, primo essere
sorgente di ogni perfezione, prima intelligenza che ordina tutte le cose).
Tratta successivamente della NATURA DI DIO e delle sue perfe
zioni, di cui la prima (secondo la nostra maniera di conoscere) è L’A-
SEITÀ (essere da sé, a sé),
(La ragione conosce Dio con una conoscenza ANALOGICA).
(pp, da 191 a 194)
2.2.7. Nella filosofia pratica si può distinguere la FILOSOFIA
DELL’ARTE e la MORALE o FILOSOFIA PRATICA PROPRIA
MENTE DETTA. La filosofia delVarte tratta in generale della natura
delle ARTI (cioè delle virtù intellettuali pratiche che tendono all’OPE
RA DA FARSI — factibile — e alla perfezione dell’opera stessa fatta
dall’uomo) e tratta in particolare della natura delle BELLE ARTI.
(pp, da 195 a 197)
2.2.8. La morale o etica tratta degli ATTI UMANI e delle loro re
gole (si occupa dell’AGIRE UMANO — agibile — o dell’uso del libero
arbitrio e della perfezione dell’uomo stesso che opera). Essa ci fa cono
scere ciò che dobbiamo sapere per agire bene, non ci fa agire bene (que
sto è compito della virtù della prudenza e delle virtù morali). Inoltre,
non ci insegna se non ciò che dobbiamo sapere per agire bene nell’ordine
NATURALE, fatta astrazione dal fine soprannaturale a cui in realtà
siamo chiamati.
PROBLEMI GENERALI dell’ETICA: in che consiste IL FINE
ULTIMO dell’uomo? (Morale della beatitudine o del bene sovrano: Dio
è il fine ultimo dell’uomo.) Qual è il meccanismo degli atti umani? Che
cosa li rende moralmente buoni o cattivi? Qual è la loro regola suprema?
La loro regola immediata? Che cosa viene chiamato virtù o vizio?
PROBLEMI PARTICOLARI dell’ETICA: quali sono i nostri do
veri concernenti il nostro bene personale? Quali sono i nostri doveri con
220
cernenti il bene altrui? (Diritto naturale, comprendente il diritto indivi
duale, il diritto sociale e la religione naturale).
(pp. da 198 a 202)
221
BIBLIOGRAFIA
E
NOTE
BIBLIOGRAFIA
Una bibliografia definitiva delle opere di Jacques e Raissa Maritain è difficile da rico
struire, ed esigerebbe anni di ricerche in Europa e in America, tanti sono gli interventi dei
Maritain nel dibattito culturale e politico contemporaneo attraverso volumi, articoli, con
ferenze, inchieste, interviste, lettere, prefazioni, scritti frequentemente espressi in diverse
lingue e con redazioni differenti. Donald e Ideila Gallagher in America nel 1962 elencano
91 volumi, 111 collaborazioni, 57 prefazioni e 457 articoli !, ma Jacques Maritain tra il
1962 e il 1973 ha continuato a pubblicare e molti volumi sono stati presentati in nuove edi
zioni e molti articoli raccolti in volumi. Laura Fraga de Almeida Sampaio nel 1963 elenca
364 scritti dei Maritain, e Henry Bars nella sua introduzione alle Opere scelte , nel 1975,
presenta 96 titoli delle opere più importanti della bibliografia maritainiana 12. Questa bi
bliografia, sulla base degli autori sopracitati e con le necessarie integrazioni ricavate dalla
rivista Notes et documents de VInstitut International Jacques Maritain, vuole essere un
contributo alla definizione della bibliografia maritainiana maggiore, trascurando di neces
sità gli scritti minimi, come le singole lettere, inchieste, interviste, presentazioni di catalo
ghi, recensioni, dibattiti. Vengono così elencati, in ordine cronologico, alla data della pri
ma edizione, i volumi, gli articoli e le collaborazioni, le prefazioni, le antologie, le corri
spondenze, con l’avvertenza che non sono stati elencati gli articoli e le collaborazioni che
Maritain ha riportato nei volumi. Poiché gli articoli sono stati pubblicati in riviste di tutto
il mondo, per ciascuna rivista è pure indicato il luogo di edizione, in occasione del primo
numero riportato.
Le traduzioni in lingua italiana sono precedute da un riferimento numerico all’opera
originale, in modo che il lettore possa individuare con facilità sia le opere tradotte sia la
collocazione delle medesime nella bibliografia maritainiana. Pertanto, il numero indicato
prima della traduzione si riferisce agli elenchi delle opere originali. Per bibliografie specia
lizzate nei diversi settori della ricerca maritainiana si vedano i riferimenti in nota 3.
1) Donald and Ideila Gallagher, The Achievement o f Jacques and Raissa Maritain: A
Biblìography 1906-1961, Doubleday & Company, Ine., New York 1962, pp. 256.
2) Laura Fraga de Almeida Sampaio, L ’ìntuition dans laphilosophìe de J. Maritain,
Librairie Vrin, Paris 1963, pp. 169-211; Jacques Maritain, Oeuvres 1912 1939, Desclée de
Brouwer, Paris, pp. 49-67; Henry Bars, Maritain en notre temps, Grasset, Paris 1959, pp.
365-394.
3) Epistemologia: J. Maritain, Sulla filosofia cristiana, Vita e Pensiero, Milano
1978, pp. 137-142. Filosofia morale: J. Maritain, Nove lezioni sulle prime nozioni della f i
losofia morale, Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 247-263. Filosofia politica: A A .V V ., Il
pensiero politico di J. Maritain, Massimo, Milano 1978, pp. 418-433. Pedagogia:
A A .VV ., Jacques Maritain: verità, ideologia, educazione, Vita e Pensiero, Milano 1977,
225
pp. 251-268. Filosofia del diritto: Jacques Maritain, Idiritti dell’uomo e la legge naturale,
Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 107-114. Estetica: Jacques Maritain, Arte e scolastica,
Morcelliana, Brescia 1980, pp. 176-189.
I. VOLUMI
1 Laphilosophie bergsonienne: études critiques, Marcel Rivière, Paris 1914, pp. 477;
II edizione, Téqui, Paris 1930, pp. XIX-383, riveduta e ampliata, con una nuova prefazio
ne ed un’appendice Glosessur Aristote; III edizione, Téqui, Paris 1948, come la preceden
te, con l ’aggiunta di un postscriptum.
2 Art et scholastique. Librairie à l ’Art Catholique, Paris 1920, pp. 188; II edizione,
Librairie à l ’Art Catholique, Paris 1927, pp. 352, con l ’aggiunta di Frontière de la poesie ;
III edizione , Louis Rouart et Fils, Paris 1935, con diverse aggiunte rispetto alla preceden
te, ma senza Frontières de la poesie; IV edizione, Desclée de Brouwer, Paris 1965, p p . 278,
come la precedente, ma con diversa impaginazione.
4 Théonas, ou les entretiens d ’un sage et de deux philosophes sur diverses matières
inégalement actuelles, Nouvelle Librairie Nationale, Paris 1921, pp. 220; II edizione, Nou-
velle Librairie Nationale, Paris 1925, pp. 220, riveduta e corretta; III edizione, Desclée de
Brouwer, Paris 1932, pp. 220, come la precedente.
5 Antimoderne, Éditions de la Revue des Jeunes, Paris 1922, pp. 247; II edizione,
Desclée de Brouwer, Pajis 1922, pp. 266. Riveduta ed ampliata con un capitolo aggiunti
vo: Connaissance de TÉtre.
226
15 Religion et culture, Desclée de Brouwer, Paris 1930, pp. 115; II edizione, Desclée
de Brouwer, Paris 1946, con una prefazione, pp. 115; III edizione nella collezione tascabi
le Foi vivante, Paris 1968, pp. 188, con l ’aggiunta di Religion et culture II, tratto da Du ré-
gime tempo rei et de la liberté, vedi n. 19.
16 Le songe de Descartes, Éditions Corréa, Paris 1932, pp. XII-344; II edizione,
Buchet-Chastel, Paris 1965, pp. 346, come la precedente.
17 Distinguer pour unir, ou les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Paris 1932, p p .
XVII-919; II edizione, Desclée de Brouwer, Paris 1935, pp. 922, con postscriptum; III edi
zione, Desclée de Brouwer, Paris 1939, pp. 925, con un nuovo postscriptum; si può consi
derare definitiva la VII edizione, Desclée de Brouwer, Paris 1963, pp. 1000, riveduta e cor
retta, comprendente nove appendici.
18 De la philosophie chrétienne, Desclée de Brouwer, Paris 1933, pp. 166.
19 Du régime temporei et de la liberté, Desclée de Brouwer, Paris 1933, pp. 284.
20 Sept legons sur Tètre et les premières principes de la raison speculative, Pierre Té-
qui, Paris 1934, pp. 166.
21 Frontières de la poésie, Louis Rouart et Fils, Paris 1935, pp. 226.
22 La philosophie de la nature, essai critique sur ses frontières et son objet, Pierre
Téqui, Paris 1935, pp. 146.
23 Lettre sur Findépendance, Desclée de Brouwer, Paris 1935, pp. 66.
24 Science et sagesse, suivi d ’éclaircissements sur la philosophie morale, Labergerie,
Paris 1935, pp. 393.
25 Humanisme intégral:problèmes temporels et spirituels d ’une nouvelle chrétienté,
Fernand Aubier, Paris 1936, pp. 334. La prima versione di questa opera è apparsa in lin
gua spagnola, Signo, Madrid 1935.
26 Situation de la poésie, Desclée de Brouwer, Paris 1938, pp. 166; sono di Jacques
Maritain i capitoli III e IV.
27 Questions de conscience: essais et allocutions, Desclée de Brouwer, Paris 1938,
pp. 279.
28 Le crépuscule de la civilisation, Éditions Les Nouvelles Lettres, Paris 1939, pp.
31.
29 Quatre essais sur Vesprit dans sa condition charnelle, Desclée de Brouwer, Paris
1939, pp. 266; II edizione, Alsatia, Paris 1956, pp. 266, con l ’aggiunta di due appendici e
una nota: Signe et symbole , La philosophie et l ’unité des Sciences, Intuition et conceptuali-
sation.
30 De la justicepolitique: notes sur la présente guerre, Librairie P lon, Paris 1940, p p .
XIII-114; II edizione, Paul Flartmann, Paris 1945, pp. X III-114, come la precedente.
31 À travers le désastre, Éditions de la Maison F r a n o se , New York 1941, ρρ. 149;
edizione clandestina pubblicata in Francia dai fratelli Ribaud a Gap; Il edizione, Éditions
de Minuit, Paris 1942, pp. 42; III edizione, Éditions des Deux-Rives, Paris 1946, pp. 137.
32 La pensée de Saint Paul, Éditions de la Maison Frangaise, New York 1941, pp.
252.
33 Les droits de Fhomme et la loi naturelle, Éditions de la Maison Frangaise, New
227
York 1942, pp. 142; II edizione, Paul Hartmann, Paris 1945, pp. 116.
35 Educat io n at thè crossroads, Yale University Press, New Haven 1943, pp. X-120;
II edizione, L ’éducation à la croisée des chemins, Egloff, Paris 1947, pp. 239, con ra g
giunta di un’appendice: Leproblème de l ’écolepublique en France.
36 De Bergson à Thomas d ’Aquin: essais de méthaphysique et de morale, Éditions de
la Maison Francaise, New York 1944, pp. 269; II edizione, Paul Hartmann, Paris 1947,
pp. 333.
39 Messages 1941-1945, Éditions de la Maison Francaise, New York 1945, pp. 221; II
edizione, Paul Hartmann, Paris 1945, pp. 200.
41 Court traité de Texistence et de Texistant, Paul Hartmann, Paris 1947, pp. 239.
42 Lapersonne et le bien commun, Desclée de Brouwer, Paris 1947, pp. 93.
43 Raison et raisons: essais détachés, Egloff, Paris 1947, pp. 358; l ’edizione in lingua
inglese The Range o f Reason, Charles Scribner’s Sons, New York 1952, pp. 227, compren
de testi diversi tra cui due non più ripresi in altre opere dall’autore, On Knowledge
Through Connaturality e Christian Humanism.
44 La signification de Tathéisme contemporain, Desclée de Brouwer, Paris 1949, pp.
42.
45 Man and thè State, The University o f Chicago Press, Chicago 1951, pp. X-219.
46 Neuflegons sur les notions premières de la philosophie morale, Pierre Téqui, Pa
ris 1951, pp. IV-195.
48 Creative Intùition in Art and Poetry, Pantheon Books, New York 1953.
49 George Rouault, Harry N. Abrams, New York 1954, pp. 74.
50 On thèphilosophy o f History, Charles Scribner’s Sons, New York 1957, pp. XI-
180.
51 Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, pp. 205.
52 Luturgie et contemplation, Desclée de Brouwer, Paris 1959, pp. 98, scritto in col
laborazione con Raissa Maritain.
53 Pour unephilosophie de Téducation, Arthème Fayard, Paris 1959, pp. 249; II edi
zione, Arthème Fayard, Paris 1969, pp. 269, con diverse variazioni ed aggiunte che modi
ficano la precedente edizione.
228
55 The Responsability o f the Artist, Charles Scribner’s Sons, New York 1960, pp.
120.
56 La philosophie morale: I. Examen historique et critique des grands systèmes, G al
lim ard, Paris 1960, pp. 588.
57 La contemplation sur les chemins: notes sur le “Pater”, Desclée de Brouwer, P a
ris 1962, pp. 106, riflessioni di Raissa sul Padre nostro ricostruite ed integrate da Jacques
M aritain.
58 Dieu et la permission du mal, Desclée de Brouwer, Paris 1963, pp. 82.
59 Journal de Raissa publié par Jacques Maritain, Desclée de Brouwer, Paris 1963,
pp. 384, raccolta di testi autobiografici di Raissa con una avvertenza di Jacques M aritain
ed una lettera di Olivier Lacombe.
60 Carnet de notes, Desclée de Brouwer, Paris 1965, pp. 430, raccolta di brevi testi
autobiografici scritti tra il 1906 e il 1938 e di alcuni scritti più am pi: Amour et amitié, À
propos de ΓEglise du Ciel, riportati in seguito in Approches sans entraves, vedi n. 65.
61 Lé mystère d ’Israël et autres essais, Desclée de Brouwer, Paris 1965, raccolta di te
sti sul problem a ebraico scritti dal 1926 al 1961, con un postscriptum del 1964.
62 Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Paris 1966, pp. 410.
63 De la grâce et de l ’humanité de Jésus, Desclée de Brouwer, Paris 1967, pp. 156.
229
10 Le témoignage d ’Ernest Psichari, in Revue des Jeunes, 25 dicembre 1921, pp. 670-
686 .
11 Jean-Jacques Rousseau et la pensée moderne, in Annales de VInstitut Supérieur
de Philosophie, Louvain, dicembre 1921, pp. 221-262.
12 Sainte Gertrude, in Revue des Jeunes, 8 aprile 1922, pp. 143-156.
23 Poetry and religion in The New Criterion, London, gennaio 1927, pp. 7-22.
230
32 Notes sur la personnalité, in A A .V V ., Essais et poèmes 1931, Librairie Plon, Pa
ris 1931, pp. 177-190.
33 Notes sur la connaissance, in Rivista di filosofia neoscolastica, Milano, gennaio
1932, pp. 13-23.
34 Picasso in Cahiers d ’Art, 1932, pp. 171.
35 Lettre sur le monde bourgeois, in Esprit, Paris, marzo 1933, pp. 897-908.
36 Catholic Layman: On Teaching, numero unico del St. MichaeTs College, Toronto
1933, pp. 7.
37 Mission de la pensée chrétienne, in La Vie Intellectuelle, 25 febbraio 1934, pp. 41-
47.
38 La philosophie de la nature: philosophie et science, in La Vie Intellectuelle, 25 o t
tobre 1934, pp. 228-259.
39 Un génie catholique ( Paul Claudel), in La Vie Intellectuelle, luglio 1935, pp. 26-
29.
40 Reflexions on Sacred Art, in Liturgical Art, New York, luglio-agosto-settembre
1935, pp. 131-133.
41 Notes pour un programme d ’enseignement de la philosophie de la nature et d ’en
seignement des sciences dans une faculté de philosophie, in Bollettino filosofico, Roma η.
2, 1935, pp. 15-31.
42 Entretien, in A A .V V ., André Gide et notre temps, Paris, Gallimard 1935, pp. 38-
48.
43 Nature de la politique, in La Relève, Montreal, gennaio 1936, pp. 131-139.
44 Léon Bloy, in The Colosseum, London, marzo 1936, pp. 11-21.
231
54 The Educatìon o f Women, in The Inauguration o f George N. Shuster, th'e Fifth
President numero unico, Hunter College o f thè City o f New York, New York 1941, pp.
31-36.
57 Science, Philosophy and Faith, negli atti della conferenza Science, philosophy,
and Religion: a Symposium, New York 1941, pp. 162-193.
58 Si la democracia tiene una realidad, està es cristiana, in Lectura, Città di M essico,
ottobre 1942, pp. 158-161.
59 Whence This Crisis?, in The Catholic Universe Bulletin, Cleveland, Ohio, 18 di
cembre 1942, pp. 22.
60 El cuarto centenario de san Juan de la Cruz, in Revista de las Indias, Bogotà, Co
lombia, febbraio 1943, pp. 289-297.
69 The Meaning o f Human Rights, opuscolo della Brandeis Lawyers Society Phila
delphia, 1949, pp. 27. Questa conferenza è stata anche ripresa col titolo On thè Philoso
phy o f Human Rights, in AA .VV ., Human Rights: Comments and Interpretation, Co
lumbia University Press, New York 1949, pp. 72-77, ed in edizione francese Les droits de
Thomme, in La République Frangaise, VII, 1950, pp. 6-24.
70 Science, Materìalism and thè Human Spirit, in The Catholic Mind, New York
1949, pp. 417-420.
71 Religion and thè Intellectuals, in The Partisan Review, New York, aprile 1950,
pp. 322-327.
72 The Church and thè Earth ’s Cultures, in Mission Studies, New York, 1 settembre
1950, pp. 16-17.
232
73 Convocation Addres nell’opuscolo Academic Convocatio , Manhattan College,
New York 1951, pp. 15-19.
74 On Knowledge Through Connaturality, in The Review o f Metaphysics, New Ha-
ven, Connecticut, giugno 1951, pp. 473-481.
75 Larmes de lumières, in Marie, Nicolet P. Q. Canada, maggio-giugno-luglio 1951,
pp. 55.
76 Reflections on thè Mission, in Mission, New York, giugno-luglio 1951, pp. 3-4.
77 A Synthesis in Modem Sacred Art, in Liturgical Art, novembre 1951, pp. 8-9.
78 Educat ion and thè Humanities, in un opuscolo di Centenary Lecture St. MichaeVs
College, Toronto 1952, pp. 9.
79 Ode aux morts confédérés, in The Sewanee Review, Sewanee, Tennessee, gennaio-
marzo 1953, pp. 1-11.
80 Dedication to thè Mother o f Wisdom, in Thought, New York, inverno 1954, pp.
485-486.
81 A Faithful Friend, in Review o f Politics, gennaio 1955, p. 43.
82 Le Pape maitre de la parole, in A A .VV ., Pio XII Pontifex Maximus, Tipografia
Poliglotta Vaticana, Roma 1956, pp. 381-397.
83 La péché de TAnge, essai de ré-interprétation des positions thomistes, in Revue
Thomiste, febbraio 1956, pp. 197-239.
84 Place unique de Tlmmaculée dans VÉglise et sa royauté d ’amour, in Marie,
novembre-dicembre 1956, pp. 279.
85 Hommage à Rouault, in Recherches et débats, Paris, dicembre 1958, pp. 185-187;
sviluppa l ’articolo Georges Rouault 1871-1958, pubblicato in The Commonweal, 11 aprile
1958, p. 1.
86 Moral and Spiritual Values in Education, nell’opuscolo Proceedings o f thè
Eighty-ninth Convocation o f thè Board o f Regent o f thè State o f New York, New York
1958, pp. 14-21.
87 Philosophy and thè Unity o f Sciences, in American Journal o f Economics and So-
ciology, Lancaster, Pennsylvania, luglio 1960, p. 368.
88 About Christian Philosophy, in A A .VV ., The Human Person and thè World o f
Values.
89 Yves Simon, in Jubilée, New York, agosto 1961, pp. 2-3; edizione francese: Yves
Simon, mon frère d ’armes, in Nova et Vetera, Fribourg, gennaio-marzo 1973, pp. 43-45.
90 À propos de la fo i de Jeanne en ses voix, in Bulletin des Amis du Vieux Chiron,
1962, n. 7, pp. 319-322.
91 Dieu et la Science, in La Table Ronde, Paris, dicembre 1962.
92 Points de vue actuels sur la vie monastique, opuscolo, Montserrat, 1966.
233
95 A propos de la vocation des Petits Frères de Jesus, opuscolo, Toulouse 1973, pp.
16.
96 VEglise et le monde, in Nova et Vetera, Marzo-aprile 1973, p p .170-173.
97 Quelques remarques sur la loi naturelle, in Nova et Vetera, gennaio-marzo 1978,
pp. 1-12; la traduzione inglese di questo testo edito postumo: Naturai Law and Moral
Law, è stata pubblicata in A A .V V ., Moral Principies o f Action: Man ’s Ethical Imperati
ve, Harper and Brothers, New York 1952, pp. 62-76.
III. PREFAZIONI
1 Clerissac Humbert, O .P ., Le mystère de VEglise, George Crès, Paris 1918, pp. III-
XXII.
5 Levaux Lepold, Quand Dieu parie, Bloud et Gay, Paris 1926, prefazione, pp. XI-
XIV.
9 Bloy Léon, Lettres à sesfilleuls, Jacques Maritain et Pierre van der Meer de Wal-
cheren, Librairie Stock, Parigi 1928, prefazione, pp. IX-XIX.
10 Bruno De Jesus-Marie, O .C .D ., Saint Jean de la Croix, Plon, Paris 1929, introdu
zione, pp. 1-28.
14 Cayrè Fulbert, Lessources de Γamour divin, Desclée de Brouwer, Paris 1933, pre
fazione, pp. I-VII.
15 Meer de Walcheren Pierre van der, Le paradis blanc, Desclée de Brouwer, Paris
1933, introduzione, pp. 11-24.
16 Biver Paul, Apòtre et mystique: le Pére Lamy, Gabriel Enault, Paris 1934, prefa
zione, pp. III-XIV.
17 Meer de Walchere Pieter van der, Mijn dagboek, Fidelitas, Amsterdam 1934.
234
18 Gardeil Ambroise, O .P ., La vraie vie chrétienne, Desclée de Brouwer, Paris 1935,
prefazione, pp. VII-IX.
19 Gracanin G., La personnalité morale d'après Kant. Son exposé, sa critique à la lu
mière du thomisme, Mignard, Paris 1935, prefazione, pp. 7-9.
20 Peterson Erik, Le mystère des Juifs et des gentils dans l'Eglise, traduzione dal te
desco di E. Kamnitzer e P. Corps, Desclée de Brouwer, Paris 1935, prefazione all’edizione
francese, pp. V-XI.
21 Ghika Vladimir, Pensées pour la suite des jours (Seconde série), Gabriel Beauche-
sne, Paris 1936, introduzione, pp. 17-19.
22 Briefs Goetz, Le prolétariat industriel, traduzione dal tedesco di Y. R. Simon, De
sclée de Brouwer, Paris 1937, prefazione alla traduzione francese, pp. VII-XII.
23 Mendizabal Alfred, Aux origines d'une tragédie: la politique espagnole de 1923 à
1936, Desclée de Brouwer, Paris 1937, prefazione, pp. 7-56.
24 Siwek Paul, Spinoza et le panthéisme religieux, Desclée de Brouwer, Paris 1937,
prefazione, pp. VIII-XII.
25 Thompson W .R., Science and Common Sense: an Aristotelian Excursion, Long
mans Green and Co., New York 1937, prefazione, pp. V-VI.
26 Ameal Joao, Sâo Tomas de Aquia, Livrairia Tavares Martins, Porto 1938, prefa
zione, pp. VII-IX.
27 Pages choisies de St. Thomas d ’Aquin, Gallimard, Paris 1939.
28 Adler Mortimer, Problems fo r Thomists: the Problem o f Species, Sheed and
Ward, New York 1940, prefazione, pp. VII-XII.
29 Limagne Pierre, Témoignage sur la situation actuelle en France, par un dirigeant
français d ’Action Catholique, Editions de l’Arbre, Montreal 1941, prefazione, pp. 7-13.
30 Iswolsky Helen, Light before Dusk: a Russian Catholic in France, 1923-1941,
Longmans, Green and Co., New York 1942, prefazione, pp. VII-IX.
31 O ’Connor William R., The Layman's Call, P.J. Kennedy and Sons, New York
1942, prefazione, pp. IX-XVI.
32 Aglion Raoul, L ’épopée de la France combattante, Éditions de la Maison Françai
se, New York 1943, prefazione (non appare nella traduzione inglese), pp. 9-12.
33 Albert André, In French Cameroon’s Bandjoon, traduzione di Brother John Ma
ry, Éditions de l’Arbre, Ottawa 1943, prefazione, pp. 9-12.
34 Oesterreicher John M ., Racisme, antisémitisme, antichristianisme, Éditions de la
Maison Française, New York 1943, prefazione, pp. 11-20.
35 Vignaux Paul (a cura di), France prends garde de perdre ton âme (selezione dai
Cahiers du Témoignage Chrétien), Éditions de la Maison Française, New York 1943, pre
fazione, pp. 7-11.
36 Vignaux Paul, Traditionalisme et sindacalisme, Essai d'histoire sociale 1884-1941,
Éditions de la Maison Française, New York 1943, prefazione, pp. 7-16.
37 A A .V V ., Le droit raciste à l'assaut de la civilisation (Studi di E. Hamburger, Μ.
Gottschalk, P. Jacob, J. Maritain), Éditions de la Maison Française, New York 1943, pre-
235
fazione, pp. 13-15.
38 Frenkley Alexandre, Pierres de gioire, pierres de France: suite d ’images des
grands monuments d ’architecture de la France, International University Press, New York
1944.
41 David André, Mon Pére répondez-moi, Éditions du Mail, Paris 1946, lettera di
prefazione.
42 Bloy Léon, Pilgrim o f thè Absolute, testi scelti da Raissa Maritain, traduzione di
J. Coleman e H.L. Binsse, Pantheon Books, New York 1947, introduzione, pp. 7-23.
43 Psichari Ernest, Le voyage du centurion, Louis Conard, Paris, 1947, prefazione,
pp. I-X.
48 Bahya ben Joseph Ibn Paquda, Introduction aux devoirs des coeurs, traduzione e
introduzione di A. Chouraki, Desclée de Brouwer, Paris 1950, prefazione, pp. IX-XIX.
49 Kelley C .F., The Spirit o f Love Based on thè Teachings o f St. Francis de Sales,
Harper and Brothers, New York 1951, prefazione, pp. IX-X.
50 Bloy Léon, Pages choisies (a cura di Raissa Maritain), Mercure de France, Paris
1951, pp. 1-18.
51 Lanza del Vasto Joseph Jean, Judas, Bernard Grasset, Paris 1951, lettera di pre
fazione che porta la data 24 aprile 1939, pp. 1-3.
52 Oesterreicher John M ., Walls are Crumbling, The Devin-Adair Co., New York
1952, prefazione, pp. VII-IX.
53 Vayron Marie-Anne, Aux iles fleuries: soeur Geneviève Termier 1897-1946, Édi
tions Spès, Paris 1952, prefazione, pp. 7-12.
54 Renard Henry, The Philosophy o f Morality, The Bruce Publishing Co., Milwau
kee 1953, prefazione, pp. VII-VIII.
55 Lahaye Simon, Un homme libre parmi les morts, Durassié et Cie., Paris 1954,
prefazione, pp. 9-11.
236
57 A A .V V ., The material Logic o f John ofst. Thomas: basic treatises, University o f
Chicago Press, Chicago 1955.
58 Brittain Robert, La guerre contre la faim, traduzione dall’inglese di A. Girard,
Éditions Alsatia, Colmar-Paris 1956.
59 Reith Herman, C.S.C ., An Introduction to Philosophical Psychology, Prentice-
Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, prefazione, pp. II1-IV.
60 Simonsen Vagn Lundgard, L ’esthétique de J. Maritain, Munksgaard, Copena
ghen 1956, lettera di prefazione, pp. V-VI.
61 Bars Henri, La politique selon Jacques Maritain, Les éditions ouvrières, Paris
1961.
62 Green Julien, Pamphlet contre les catholiques de France, Plon, Paris 1963, prefa
zione, pp. 9-13.
63 Lanza del Vasto Joseph Jean, Judas, Denoël, Paris 1968, pp. X-251, preceduto da
una lettera di J.M. e da una risposta dell’autore.
64 Bruckberger Raymond Léopold, O .P ., L ’histoire de Jésus-Christ, Le livre de po
che, Paris 1971, pp. 635 (nuova edizione accresciuta di note e di una lettera di J.M .).
65 Raissa Maritain, Poèmes et essais, Desclée de Brouwer, Paris 1968, pp. 7-11.
66 Nicolas M .J., Evolution et Christianisme, Arthème Fayard, Paris 1973, pp. 1-5.
IV. LE ANTOLOGIE
1 Para una filosofia de la persona umana, Cursos de cultura catolica, Buenos Aires
1937, pp. 242.
2 Accion catolica y accion politica, a cura di Ernesto Palacio e Manuel Rio, Editorial
Losada, Buenos Aires 1939, pp. 223.
3 Scholasticism and Politics, a cura di Mortmer J. Adler, The Macmillan Company,
New York 1940, pp. VIII-248; nuova edizione: The Centenary Press, London 1954, pp.
VIII-197; nuova edizione: Image Book, New York 1960, pp. 233.
4 Ransoming the Time, Charles Scribner’s Sons, New York, 1941, pp. XII-322; nuo
va edizione: Reddeming the Time, The Centenary Press, London, 1943, pp. VI 11-273;
nuova edizione: Hilary House, New York 1957.
5 Sort de l ’homme, a cura di C. Journet, Éditions de la Baconnière, Neuchâtel 1943,
pp. 155.
6 The Social and Political Philosophy o f Jacques Maritain, a cura di Joseph W.
Evans e Leo R. Ward, Charles Scribner’s Sons, New York 1955, pp. 348.
7 The education o f Man: the educational Philosophy o f Jacques Maritain, a cura di
Donald and Ideila Gallagher, University o f Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana,
1962, pp. 192.
V. CORRISPONDENZE
237
2 Une grande amitié: Jacques Maritain - Julien Green 1926-1972, corresponda
présentée et annotée par Jean-Pierre Pirion, preface de Julien Green, Plon, Paris 1979,
pp. 220.
TRADUZIONI ITALIANE
A. VOLUMI
238
26 Situazione della poesia, traduzione di M. Mazzoiani, Morcelliana, Brescia 1979.
27 Questioni di coscienza, traduzione di L. Frattini, Vita e Pensiero, Milano 1979.
28 II crepuscolo della civiltà in Scritti e manifesti politici 1933-1939, ed. cit.
46 Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, traduzione di L. Frattini,
introduzione di V. Possenti, nota bibliografica di P. Viotto, Vita e Pensiero, Milano 1979.
47 Alla ricerca di Dio, traduzione a cura di M. Mazzoiani, Edizioni Paoline, Roma
1968, pp. 117; nuova edizione con annessi a cura di U. Pellegrino, Massimo, Milano 1980.
48 L ’intuizione creativa nell’arte e nella poesia, traduzione a cura di C. Bussola e G.
Tansini, Morcelliana, Brescia 1957, pp. 453.
49 La passione secondo Roualt, traduzione di Paola Viotto, in II Sabato n. 14, 29
marzo 1980, pp. 17-19.
50 Per una filosofia della storia, traduzione a cura di E. Maccagnolo, Morcelliana,
Brescia 1967, pp. 142.
239
51 Riflessioni sull’America, traduzione a cura di A. Barbieri, Morcelliana, Brescia
1960, pp. 210.
B. ARTICOLI E COLLABORAZIONI
35 Lettera sul mondo borghese in Scritti e manifesti politici 1933-1939, ed. cit.
36 Sull’insegnamento, traduzione di Paola Viotto, Humanitas, marzo-aprile 1975,
pp. 91-93.
240
56 II conflitto dei metodi alla fine del medioevo, traduzione di A. Viotto, in Humani
tas, ottobre 1979, pp. 553-564.
57 Scienza, filosofia e fede, traduzione di A. Viotto, in Humanitas, ottobre 1978, pp.
543-562.
65 L \educazione morale-religiosa nelle scuole, traduzione di E. Carletti, in La scuola
e ruom o, marzo-aprile 1977, pp. 83-89.
67 Le civiltà umane e il compito dei cristiani, in Studium, giugno 1947, pp. 187-1
ed anche in J. Maritain, La persona umana e l'impegno nella storia, La Locusta, Vicenza
1979, pp. 47-77.
75 La Madonna della Salette, in A A .V V ., Il breviario dei credenti, Massimo, Milano
1962, pp. 876-880.
78 L ’educazione e le umanità, traduzione di Paola Viotto, in La scuola e l'uomo,
luglio-agosto 1979, pp. 187-192.
86 I valori spirituali e morali nell'educazione, traduzione di Paola Viotto, in La
Scuola e l'uomo, settembre-ottobre 1978, pp. 258-260.
91 Dio e la scienza, in Sapienza, ottobre-dicembre 1966, pp. 399-415.
C. PREFAZIONI
D. ANTOLOGIE ITALIANE
241
3 Jacques Maritain - La conquista della libertà, a cura di P. Viotto, La Scuola, Bre
scia 1977, pp. 180.
E. CORRISPONDENZE
242
NOTIZIA
243
Quest’opera di iniziazione dei giovani alla filosofia sarà una co
stante nella ricerca maritainiana, che mai si è indirizzata alla pura specu
lazione e sempre si è rivolta aH’insegnamento. Presso il medesimo edito
re francese, che tra il 1921 e il 1966 ha pubblicato più di venti edizioni
degli “ Elements de philosophie” , nel 1934 sono apparse le Sette lezioni
sull9essere e i primi principi della ragione speculativa e nel 1951 le Nove
lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale. I problemi dell’essere,
del conoscere e dell’agire sono stati così presentati nei principi fonda-
mentali in opere didattiche, che permettono un primo approccio sostan
ziale al discorso filosofico anche per coloro che non sono specialisti.
La vita e l'opera
244
ne poetica di Raissa e la riflessione filosofica di Jacques si completano
vicendevolemente in un’esperienza culturale eccezionale1. Uniti nella di
sperazione negli anni della giovinezza, sono uniti nella passione per la
verità durante tutta la vita, fino a fare loro scrivere: «Certamente, se ci
fosse una salvezza fuori della verità, non vorrei questa salvezza, perché
amo più la verità della mia gioia e della mia libertà, o piuttosto so bene
che la verità sola può fare la mia gioia e la mia liberazione»2.
Rientrati in Francia, i Maritain si stabiliscono a Versailles e partecF
pano vivacemente al dibattito culturale, sviluppando una polemica con
tro lo scientifismo ed il razionalismo da una parte e contro lo spirituali
smo antintelletualista di Bergson e di Blondel dall’altra per recuperare il
valore dell’intelligenza in una prospettiva di realismo critico. Il primo
articolo di Maritain, La scienza moderna e la ragione, pubblicato nel
1910 nella Revue de Philosophie combatte la presunzione dello scientifi
smo positivista, il primo volume La filosofia bergsoniana, del 1914, che
raccoglie le lezioni universitarie dlVInstitut Catholique, segna la rinasci
ta della filosofia tomista in Francia. In una lettera a Jean Cocteau nel
1926, Maritain si lamenterà di questo inizio polemico della sua avventu
ra culturale: «Ho dovuto cominciare con le controversie, ma queste mi
annoiano sempre di più...Il nostro compito è di cercare ciò che c’è di po
sitivo in tutte le cose, di usare la verità meno per rompere che per guari
re»3. Ma la sua passione per la verità lo terrà in trincea per tutta la vita a
combattere gli errori, la eresie, le ipocrisie, i compromessi, diventando
lui stesso, per amore della verità, oggetto di contestazione e di scandalo
per le sue chiare ed esplicite prese di posizione. Il primato dello spritua-
le, che nel 1926segna il distacco di Maritain dal movimento dell3'Action
Frangaise e Vaffermazione della distinzione tra il piano politico e il pia
no spirituale, senza separazione tra l'ordine morale e l'ordine sociale. Il
contadino della Garonna, che nel 1969 contrappone Maritain al neomo
dernismo delle correnti teologiche post conciliari, sono i confini di una
presenza permanente nelle battaglie politiche e culturali contemporanee.
Con i Maritain il tomismo esce dai conventi e dalle sacrestie per impe
gnarsi nei problemi di ogni giorno dell’uomo della strada, per diventare
un metodo di analisi e di proposta per i problemi della politica, del dirit
to, dell’educazione, dell’arte, dell’economia.
Tra il 1928 e il 1939 la casa dei Maritain a Meudon alla periferia di
Parigi diventa un punto di incontro culturale e di spiritualità ove si pos
sono incontrare filosofi come Berdjaev e Gilson, letterati come Mauriac
e Claudel, pittori come Rouault, Chagall e Severini, musicisti come Sa
tie uniti nella ricerca della verità e della bellezza. Si organizzano circoli
di studi tomisti e ritiri annuali, si dibattono i problemi del momento, si
preparano manifesti culturali e politici, ma alla radice di questo movi
mento c’è il lavoro dei Maritain che in Arte e Scolastica, nel 1920, e I
gradi del sapere, nel 1932, hanno definito in prospettiva aperta la filoso
245
fia dell’arte e l’epistemologia individuando i diversi livelli della cono
scenza e dell’opera d’are nell’unità dello spirito umano. La collabora
zione con Mounier nella fondazione di Esprit conferma l ’impegno poli
tico, pur nella distinzione precisa tra i compiti dell’uomo di azione e
dell’uomo di cultura affermata nella Lettera sull'indipendenza, del
19354. Pur continuando il suo insegnamento all’Institut Catholique, pri
ma nella cattedra di storia della filosofia e poi in quella di critica e di
metafisica, Maritain ha modo di partecipare a congressi internazionali e
tiene lezioni a Lovanio, a Friburgo, a Roma, a Poznam, a Chicago, a
Santander, a Buenos Aires suscitando consensi, ma anche polemiche,
per la coerenza del suo pensiero incapace di piegarsi ai compromessi,
pronto a firmare i manifesti più impegnativi contro ogni forma di op
pressione politica o di imperialismo culturale. È di questo periodo l ’ope
ra Umanesimo integrale (1936), lavoro di filosofia della storia che segna
la mediazione tra la prima ricerca su i Tre riformatori, Lutero, Cartesio,
Rousseau (1925) e la conclusione delle sue riflessioni in La Chiesa del
Cristo, la sua persona e il suo personale, nel 1970, confermando la co
stante storiografia nella filosofia maritainiana.
La filosofia della storia di Maritain è una filosofia morale adegua
tamente intesa, che non può esprimersi compiutamente che nella filoso
fia cristiana, che considera l ’uomo e il suo destino individuale e sociale
alla luce della fede. Bisogna pertanto partire dal dibattito della società
francese di filosofia, tenutosi a Parigi nel 1931, nel quale Blondel, Gil-
son, Maritain, Brehier, Brunschwicg confrontarono le loro posizioni,
per comprendere in che modo debba essere inteso il rapporto tra ragione
e fede nella filosofia speculativa e nella filosofia pratica. Maritain dedi
cò a questo problema due volumi: La filosofia cristiana, nel 1933, e
Scienza e saggezza, nel 1935.
A partire dall’anno accademico 1932-1933, Maritain è incaricato di
un corso di filosofia presso il Medieval Institute di Toronto in Canada e,
nel 1940, dopo l ’invasione tedesca della Francia, non può rientrare in
patria perché ricercato dalla polizia nazista; ripara negli Stati Uniti ove
resterà fino al 1960 insegnando alla Princeton University e alla Colum
bia University e partecipando con scritti diffusi clandestinamente in
Francia e con radiomessaggi alla resistenza contro gli occupanti5. Il perio
do americano è caratterizzato dalla pubblicazione delle opere più impor
tanti della produzione maritainiana, dalla pedagogia, L'educazione al
bivio, che raccoglie le lezioni alla Yale Universiy, nel 1943, alla politica,
L'uomo e lo Stato, del 1951, che raccoglie alcune conferenze tenute alla
Chicago University, dall’estetica, L'intuizione creativa nella poesia e
nell'arte, tratto nel 1953 dalle conferenze alla National Gallery o f Art di
Washington, all’etica, con la pubblicazione dei suoi corsi a Princeton,
La filosofia morale, nel 1960. I Maritain continuano in America il loro
apostolato intellettuale avvicinando filosofi, politici, artisti, giuristi e
246
collaborando alla fondazione delYEcole libre des hautes études che ra
duna nella ricerca e neirinsegnamento gli intellettuali europei di lingua
francese profughi in America e si esprime attraverso una casa editrice in
lingua francese nelle Editions de la Maison Frangaise.
Alla fine della seconda guerra mondiale, Maritain accetta l’incarico
di ambasciatore della Repubblica Francese presso il Vaticano e vive per
due anni a Roma, ove tiene alcune conferenze presso le Università Pon
tifice e pubblica il volume La persona e il bene comune, nel 1947, che
rappresenta come una sintesi della sua antropologia. Lasciato l’incarico
di ambasciatore, per poter tornare allo studio e alFinsegnamento, Mari
tain è incaricato di presiedere la delegazione francese alla seconda con
ferenza dell’Unesco che si tenne a Città di Messico nel 1947. Tiene il di
scorso inaugurale sul tema Le possibilità di cooperazione di un mondo
diviso, nel quale afferma la possibilità di comprensione e di collabora
zione tra uomini e popoli professanti ideologie diverse nel rispetto della
libertà di coscienza in una prospettiva pluralistica delle relazioni sociali6.
Nel 1949,1’Unesco incarica Maritain di stendere la prefazione al volume
sui diritti dell’uomo, che raccoglie il contributo di filosofi di tutto il
mondo e di diverse convinzioni ideologiche in preparazione della Di
chiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre
19487. In questo periodo, diverse riviste culturali dedicano un numero
monografico all’opera e al pensiero di Maritain, La Nouvelle Relève in
Canada nel 1942, The Thomist negli U.S.A. nel 1943, A Ordem in Bra
sile nel 1946, la Revue Thomiste in Francia nel 1948 e presso l’Università
di Notre Dame nell’Indiana si apre il Jacques Maritain Center per racco
gliere tutte le sue opere e promuovere lo studio del suo pensiero. Mari
tain stesso riflette sulla sua esperienza americana nel volume Riflessioni
sull'America, del 1958.
Durante un soggiorno in Francia nel 1960 muore Raissa Maritain
ed il filosofo si ritira a Tolosa presso i Piccoli Fratelli di Gesù, condivi
dendo la loro vita di povertà e di contemplazione, dedicando gli ultimi
anni della sua vita a studi prevalentemente teologici, ma sempre nella
prospettiva filosofica, per approfondire l’intelligenza dei misteri della
fede. Della grazia e della umanità di Gesù, del 1967, è una meditazione
filosofica sul mistero antropologico della persona del Cristo, interamen
te umana e interamente divina. L’ultimo volume, Approches sans entra-
ves — scritti di filosofia cristiana, che Maritain potè solo vedere in boz
ze nel 1973, poco prima di morire, raccoglie articoli su l’aseità divina, il
sacrificio della messa, il valore della preghiera, la condizione dei santi e
dei dannati e, insieme, studi sull’evoluzione della specie umana, sulla
condizione femminile, sull’istinto animale, confermando l’ampiezza de
gli interessi speculativi che si estendono dalla microfisica alla mistica,
dalla psicologia alla sociologia, dall’etnologia al diritto, dall’etica alla
politica, dall’estetica alla linguistica. Ma anche in questo ultimo periodo
247
della sua vita terrena, Maritain non ha trascurato il suo impegno politi
co, continuando ad essere presente nel dibattito culturale con interventi
altamente qualificati, come il suo discorso airUnesco nel 1966 su Le
condizioni spirituali del progresso e della p a c e 8e il suo ultimo testo, ap
parso postumo nel 1973 su Le Monde , Le due grandi patrie 9, messaggio
di speranza per un mondo in crisi ed una società internazionale lacerata:
«Poiché io penso che la meravigliosa pazienza di Dio non sia ancora
esaurita, e che il giudizio finale non avverrà domani»10.
Quando nel 1965 Paolo VI, al termine del Concilio Vaticano II,
volle consegnare il messaggio del Concilio agli intellettuali, chiamò a
Roma Jacques Maritain riconoscendo in lui un maestro del pensiero
contemporaneo, un cristiano coerente, riabilitando agli occhi del mon
do un pensatore che era stato discusso e rifiutato anche negli ambienti
cattolici e che pur tutta la vita aveva lottato per affermare i diritti della
verità, il primato dello spirituale, la validità deirintelligenza11.
Il realismo critico
248
con la dialettica, per ritrovare nel realismo critico la distinzione tra l ’es
sere e il pensiero, riconoscendo all’intelligenza e alla ragione la capacità
di conoscere la realtà senza identificarsi con la realtà13. E questo il signi
ficato dell’Introduzione alla filosofia e della Piccola logica.
Bisogna quindi essere antimoderni, non nel senso di rifiutare le
conquiste dello sviluppo della cultura e della civiltà che ha portato al
differenziarsi delle scienze e all’affermarsi della democrazia di fronte
aH’imperialismo dei filosofi e all’assolutismo dei politici (perché biso
gna distinguere tra scienza e saggezza, tra politica e morale, tra Stato e
Chiesa) ma nel senso ultramoderno di ritrovare una unità alla moltepli
cità del sapere ed una ispirazione trascendente al divenire della società
pluralistica. Non si tratta solo di combattere ma di recuperare, ed in
questa missione culturale Maritain ha recuperato il tomismo come me
todo di lavoro. «Guai a me se non tomistizzo, scrivevo in uno dei miei
primi libri. E per trenta anni di lotte e di lavori, ho camminato sulla stes
sa via, sentendo di simpatizzare tanto più profondamente con le ricer
che, le scoperte, le angosce del pensiero moderno, quanto più cercavo di
farvi penetrare la luce che ci viene da una sapienza elaborata dai secoli e
che resiste alle fluttuazioni del tempo», scriveva Maritain in Confessio
ne di fede, nel 194114.
La filosofia di Maritain non è il tomismo, se per tomismo si intende
la ripetizione della filosofia di Tommaso, ma un realismo critico, che at
traversa tutta la storia della riflessione umana, che non appartiene ad al
cuna cultura particolare, che non si risolve nella ricerca di un solo uo
mo, sia pure di un uomo eccezionale come Tommaso. «Il tomismo è una
saggezza. Tra il tomismo e le diverse forme particolari di cultura debbo
no esistere degli scambi vitali incessanti, ma esso è, nella sua essenza, ri
gorosamente indipendente da queste forme particolari»15. Il tomismo
non è un ritorno al medioevo, non c’è per Maritain paleo-tomismo o
neo-tomismo, ma un metodo universale dell’intelletto umano di con
frontarsi con la realtà e la società alla ricerca dei principi fondamentali
del sapere e del vivere, che può essere condiviso da uomini appartenenti
a diverse aree culturali, a diverse fedi religiose, a diversi sistemi politici.
Così Maritain, al termine della sua avventura intellettuale, nel 1965, de
scrive le caratteristiche della filosofia tomista, intesa come un realismo
integrale16: «Il tomismo autentico è sempre nell’angoscia di verità nuove
da scoprire, da integrare, da riconoscere. Le chiavi che esso si ingegna a
fabbricare servono ad aprire le porte, non a chiuderle. Non è un sistema
chiuso, è una saggezza essenzialmente aperta e senza frontiere, per il fat
to stesso di essere una dottrina in movimento e in sviluppo vitale. Esso è
aperto ai problemi nuovi e alle nuove verità che l’evoluzione della cultu
ra e della scienza permettono a lui stesso di mettere in risalto. Esso è
aperto ai contributi delle nuove filosofie che sorgono in ogni epoca e alle
nuove verità, sia pure viziate da errore, apportate da queste flosofie.
249
Voglio notare che una tale apertura presuppone uno sforzo dell’intellet-
to per trascendere, per un istante, il suo proprio linguaggio concettuale
al fine di entrare nel linguaggio concettuale degli altri, ritornando poi da
quel viaggio dopo aver còlto l’intuizione di cui vive la filosofia nuova in
questione. Il tomismo autentico è aperto alle diverse problematiche (alle
diverse organizzazioni dei problemi) che gli può convenire di usare, sia
che le susciti esso stesso con il progredire del tempo, sia che vada a cer
carle in altri universi di pensiero. Si può così comprendere come sia pos
sibile avere delle medesime intuizioni prime e della medesima sapienza
filosofica (e airinterno della stessa saggezza e dottrina) insieme a pro
blematiche diverse, anche espressioni linguistiche diverse, secondo i
tempi e i luoghi e secondo il genio individuale di questo o quello dei par
tecipanti a tale vasto e ininterrotto concerto. Ecco ciò che è per natura il
tomismo e in che senso esso è chiamato a prendere forma tra gli uomini
nel corso dei tempi a venire: perché esso è, innanzi tutto, una fame e una
sete mai saziate della verità da cogliere e da assimilare17».
In questo senso il tomismo è una filosofia progressiva e libera, libe
ra da tutto, anche da se stessa, fuorché dal vero, e non è la dottrina di un
uomo, di una scuola, di un dato tempo o di una certa parte politica. «Il
tomismo non è né di destra né di sinistra; non è situato nello spazio, ma
nello spirito»18.
In questo senso il tomismo è uno spiritualismo, un esistenzialismo,
una filosofia della libertà, che si sviluppa per un processo di approfon
dimento, trascinando nel suo sviluppo tutte le verità che incontra nel
cammino, accompagnandosi con tutti gli uomini in cerca della verità,
qualunque sia la strada che stanno percorrendo19.
Maritain, in diverse opere, ha impostato il confronto tra il realismo
critico e la fisica, la biologia, la psicoanalisi, l’etnologia. «La filosofia
tomista e la scienza moderna non hanno bisogno di essere riconciliate,
esse vanno naturalmente d’accordo, a condizione che noi non si sogni di
mettere il fisico al servizio della nostra filosofia, o la nostra filosofia al
servizio del fisico e che non si tenti di costruire una filosofia della natura
sullo spazio-tempo di Einstein, o di fondare la realtà del libero arbitrio
suH’indeterminismo dei fisici; oppure, inversamente, che non ci si creda
obbligati dalla fisica nucleare a rifiutare la teoria filosofica della materia
e della forma. Dobbiamo distinguere l’approccio empiriologico della
realtà dall’approccio ontologico, e molto più nettamente di quanto non
facciano i filosofi moderni, e mettere in luce, con una delucidazione cri
tica dei gradi del sapere, il fatto che sia lo scienziato sia il filosofo posso
no entrambi progredire all’infinito nel loro proprio campo, senza entra
re in conflitto, perché non cacciano sullo stesso terreno»20.
Maritain affronta anche il problema politico e didattico dell’inse
gnamento del tomismo, da una parte per sottolineare come la filosofia
non sia una questione di fede e di autorità ecclesiali e dall’altra per evi
250
denziare le difficoltà oggettive di apprendere con sicurezza la metodolo
gia della ricerca filosofica, pur riconoscendo che il realismo critico è la
dottrina filosofica più connaturale all’intelligenza umana e più vicina al
senso comune. «Ma il tomismo avrà sempre due cose contro di sé: l’in-
segnamento stesso che lo volgarizza nelle scuole, con i suoi testi, le sue
formule stereotipate, le sue inevitabili semplificazioni e le sue inevitabili
routines; e la sua stessa perfezione tecnica, che spaventa gli spiriti che si
ritengono originali e che non hanno capito come le chiavi preparate con
tante cura da Tommaso siano destinate ad aprire le porte, non a chiu
derle»21. In una Lettera sulla filosofia nelVora del Concilio indirizzata a
Jersy Kalinowsky e Stefan Swiezawski il 20 agosto 1965, faceva il punto
sul problema dell’insegnamento filosofico, accettando quanto i due filo
sofi polacchi avevo scritto sulla pluralità storica “delle” filosofie e
sulVunità essenziale “della” filosofia22, riconosceva il primato dell’in-
tuizione, del vedere, più che del capire e del sapere nella ricerca filosofi
ca. «La sfortuna dell’insegnamento scolastico ordinario, e soprattutto
dei manuali, è stata di trascurare praticamente questo elemento intuitivo
essenziale e di sostituirlo fin dall’inizio con una pseudo-dialettica di con
cetti e di formule. Non c’è niente da fare finché l’intelletto non ha visto,
finché il filosofo o l’allievo-filosofo non ha avuto l ’intuizione intellet
tuale dell’essere. Si potrebbe osservare da questo punto di vista il grande
interesse pedagogico di un anno di iniziazione alla filosofia interamente
centrato sulla necessità di condurre le intelligenze all’intuizione dell’es
sere e alle altre intuizioni fondamentali di cui vive la filosofia
tom ista»23. In un passaggio fondamentale della sua opera pedagogica
Per una filosofia dell9educazione, così Maritain individuava i due errori
fondamentali dell’educazione intellettuale: «La verità nell’educazione
può essere tradita in due maniere: sia sostituendo allo slancio verso il sa
pere un esercizio meccanico e una semplice indicazione per risolvere dif
ficoltà; sia addormentando l’intelletto dello studente con formule pre
fabbricate, che egli accetta e manda a memoria senza impegnare il suo io
nello sforzo di appropriarsi ciò che esse hanno il compito di comunicar
gli. Un’autentica istruzione contemplativa e per possesso della verità
tradisce la sua stessa natura se non sviluppa insieme un’attività critica e
una specie di angoscia, la cui ricompensa sarà la gioia stessa di percepire
la verità»24. Autoritarismo e scetticismo possono viziare l’iniziazione al
la filosofia, perché all’inizio della ricerca filosofica non c’è solo un pro
blema, ma soprattutto un mistero: «Un mistero dalla parte della cosa,
dell’oggetto e della sua realtà extramentale, un problema dalla parte del
le nostre formule»25 e la relazione tra il problema e il mistero è data
dall’intuizione, dalla visione ai diversi gradi del sapere. L’aspetto pro
blema predomina naturalmente là dove la conoscenza è meno ontologi
ca, nelle scienze dei fenomeni, nelle matematiche e nelle tecniche;
l’aspetto mistero predomina là dove la conoscenza è più ontologica, nel
251
la filosofia della natura, nella metafisica e più ancora nella teologia e
nella morale26. Nella prospettiva tomistica di Maritain il primato dello
spirituale non significa il primato deirintelligenza e della razionalità,
bensì il primato della contemplazione, ove teoresi e prassi, filosofia,
poesia e mistica coincidono nell’unità dello spirito.
252
nuto ontologico, in modo da diventare completamente verificabile
nell’esperienza sensibile. Il concetto filosofico-religioso dell’uomo, al
contrario, è un concetto ontologico. Esso non è interamente verificabile
nell’esperienza dei sensi, benché possegga criteri e prove che gli sono
propri; e verte sui caratteri essenziali ed intrinseci e sulla densità intelli
gibile di quell’essere che chiamiamo uomo » 30.
L’oggetto della ricerca filosofica è sempre l’essere, visto nella sua
intelligibilità, ma l’essere non si esaurisce nella sua intelligibilità, presen
ta aspetti che sono infraintelligibili o sovraintelligibili, non concettualiz-
zabili dall’uomo. Il realismo critico supera l’identificazione idealistica
tra essere e pensiero, l’essere ha intelligibilità, non è l’intelligibilità;
l’ontologia non coincide con la logica, la dialettica è solo un metodo per
avvicinare la realtà, la filosofia va ben oltre la dialettica. L’essere è così
oggetto di tre tipi di conoscenze o di intellezioni, una “conoscenzaperi
ferica”, avvolgente o circoscrittiva, che conosce mediante l’esperienza e
il calcolo la superficie del reale nei suoi aspetti sensibili, spiegando il
particolare con il particolare o con formule matematiche, che è propria
delle scienze naturali che studiano gli aspetti infraintelligibili del reale
mediante schemi, figure e calcoli; una “conoscenza raziocinante”, che
va dalla periferia al centro dell’essere, dal sensibile all’intelligibile, con-
cettualizzando l’esperienza senza esaurirla nel concetto e che è specifica
del sapere filosofico; e una “conoscenza rivelata” che riguarda il centro
dell’essere, nella sua unità so vr aintelligibile, nell’Assoluto, che intelligi
bile a se stesso è sovraintelligibile all’uomo e può essere conosciuto solo
se si manifesta mediante una rivelazione che stende l’intellezione umana
oltre i suoi limiti, mediante la fede, a cogliere enigmaticamente l’essere
nella sua profondità abissale, mediante la saggezza teologica e mistica31.
Tra questi diversi approcci all’essere vi è una continuità di soluzione,
pur nella diversità qualitativa, perché l’essere è analogico. Dio è transin
telligibile: «Non certo perché sia inintelligibile in se stesso (al contrario,
il dominio dell’intelligibilità) né che sia inintelligibile per noi; ma perché
è sproporzionato alla nostra intelligenza di uomini, esso non ci è intelli
gibile né per via sperimentale né per via dianoetica, cioè non è connatu
rale al nostro potere di conoscenza; ma ci è intelligibile solo per analo
gia. I nostri occhi da uccelli notturni non possono discernere nulla in
questa luce troppo pura, se non interponendo le cose oscure di quaggiù.
Penetrare in questo transintelligibile è il desiderio più profondo della
nostra intelligenza; essa istintivamente sa fin dalla nascita che soltanto
là troverò il suo riposo»32.
Vi sono così due gradi di scienze e due gradi di saggezze mediate
dal’intelligenza matematica e filosofica che costituisce il tipo umano del
sapere per eccellenza, al di là del quale si ha la pura esperienza naturale
nei suoi aspetti infraintelligibili e la rivelazione divina nei suoi aspetti so-
vraintelligibili (vedi tav. 1). Al primo livello abbiamo le scienze naturali
253
di tipo sperimentale, che sono scienze percettive, ma limitate al sensibi
le; al secondo livello troviamo le scienze matematiche, che sono scienze
costruttive, perché si servono di simboli e di calcoli ragionando su enti
di ragione, al terzo grado troviamo le saggezze filosofiche , che sono
scienze percettive a livello della percezione intelligibile, al quarto grado
troviamo le saggezze teologiche, fondate sulla rivelazione del sovraintel-
ligibile e che pertanto sono saggezze superiori all’uomo, partecipate da
Dio alFuomo.
La saggezza filosofica si articola in tre livelli di astrazione, successi
vamente dipendenti dal senso, daH’immaginazione e dall’intellezione,
che nei primi gradi si accompagnano alle scienze naturali e alle scienze
matematiche, come filosofia della natura e filosofia della matematica e
nel terzo grado si esprimono nella metafisica, che è la filosofia per eccel
lenza perché riguarda l’intelligibile in quanto intelligibile all’uom o33.
Non si può dire che la filosofia della natura e la filosofia della matemati
ca siano delle vere e proprie saggezze, ma piuttosto delle mediazioni tra
le scienze sperimentali e matematiche e la metafisica che non si limita a
conoscere le cause fisiche degli eventi naturali ma si pone alla ricerca
delle cause ultime. Infatti, la metafisica non ha più per oggetto la natura
sensibile, ma l’essere intelligibile puro e la sua causa, cioè Dio. «La pri
ma di queste saggezze, la meno alta, è la saggezza metafisica, scienza su
prema dell’ordine puramente razionale o naturale. Partendo dalle cose
visibili, di cui cerca la ragione ultima, essa riconosce naturalmente resi
stenza di Dio, causa prima e autore della natura»34, (vedi tav. 2)
La conoscenza intelligibile della realtà, costruttivamente mediante
la matematica che attraverso i suoi segni cerca di conoscere le leggi
dell’universo, e intuitivamente mediante la filosofia che va alla ricerca
delle cause prime e del legislatore, non esaurisce il mistero dell’essere.
La saggezza filosofica aspira a superare se stessa per andare oltre l’intel
ligibile, impresa in cui può riuscire solo se viene aiutata dalla fede, solo
se riceve una sopraelevazione con un apporto trascendente. L’oggetto
della saggezza teologica è Dio stesso, conosciuto in se stesso alla luce de
la rivelazione. «Essa ha per oggetto proprio, non più Dio come causa
prima e creatore del mondo, ma Dio in se stesso, nella sua essenza, nel
suo mistero sovraintelligibile all’uomo, cioè non Dio in ciò che ha di
analogicamente comune con gli altri esseri, ma in ciò che ha di esclusiva-
mente proprio, in ciò che appartiene a Lui solo»35. La saggezza teologi
ca non è più un sapere di puro ragionamento; nell’elaborare i dati forni
ti dalla rivelazione, la ragione procede nella luce della fede: «Proceden
do secondo il modo e le concatenazioni della ragione, ma ratificata nella
fede, da cui riceve i suoi principi, attinti alla scienza di Dio, la luce pro
pria della teologia non è la luce della ragione sola, ma è la luce della ra
gione illuminata dalla fede»36. Nell’ordine delle saggezze, dopo la sag
gezza filosofica e la saggezza teologica, Maritain pone la saggezza misti
254
ca, anticipatrice della visione di Dio, della beatitudine eterna (vedi tav.
3). Questa saggezza non è più di modo conoscitivo, non è più una sem
plice conoscenza ma è un’esperienza, una fruizione dell’Assoluto pro
pria dei santi, perciò nell’unità della vita dello spirito non va più consi
derata sulla linea del pura conoscere. La teologia è ancora una cono
scenza, che procede secondo i modi della ragione umana con tutti gli er
rori possibili alla conoscenza umana37, la vita di religione mediante la
fede e i doni dello Spirito Santo ci porta oltre la conoscenza nella intimi
tà della vita divina38.
Dall’esame di tutte le opere di Maritain dedicate ai problemi della
conoscenza, dagli “ Elementi di filosofia” (1931) al Contadino della Ga-
ronna (1969), si possono così individuare tre livelli di conoscenza. Una
conoscenza perinoetica circonferenziale, che conosce mediante le scien
ze naturali la natura della realtà fisica superficialmente per mezzo di se
gni e di simboli, una conoscenza che fenomenologicamente descrive ciò
che è al di sotto dell’intelligenza pura perché espresso nella materia sen
sibile, ciò che si può chiamare infraintelligibile. Una conoscenza dianoe
tica, per analogia perfettamente intelligibile all’uomo mediante la con
cettualizzazione, che procede in modo costruttivo con enti di ragione
nella matematica ed in modo intuitivo, percependo l’intelligibilità
dell’essere, cioè enti reali, nella filosofia39. Una conoscenza ananoetica,
che procede per sovranalogia a cogliere il sovraintelligibile, usando la
ragione illuminata dalla fede per una certa intelligenza del mistero divi
no.
La filosofia non basta all’uomo, l’intelligenza non si placa in se
stessa, l’intelligibile non esaurisce il reale, e così l’uomo cerca nella poe
sia e nella mistica una conoscenza transintelligibile, un cibo che l ’intelli
genza umana non può fornire ma di cui lo spirito ha fame. In questa ri
cerca dei valori conoscitivi della poesia e della mistica, Jacques Maritain
ha trovato in Raissa, poetessa e anima mistica, non solo una collabora
trice, ma un’ispiratrice e una testimone. La filosofia realista parte sem
pre dall’esperienza. Secondo Jacques e Raissa Maritain la poesia non è
solo una fruizione della bellezza ma anche una conoscenza perché mette
l’uomo a contatto con l ’essere oltre la sua intelligibilità40. L’intuizione
poetica nasce nelle profondità dello spirito ed è insieme immagine, senti
mento, intelligenza; la poesia non è la logica, ma coinvolge un senso lo
gico che rende trasparente il significato delle immagini permettendo allo
spirito di cogliere l’essere. La poesia si sviluppa nel sovraconscio dello
spirito, è una esperienza oscura e saporosa, fatta di raccoglimento e di
quiete, nel quale il soggetto e l’oggetto entrano in una specie di comu
nione transintelligibile, ma che porta verso il cuore dell’essere a cogliere il
segreto delle cose. Ma fare di questa poesia una magia , pensare di utiliz
zare la creazione artistica per possedere e trasformare la realtà è demo
niaco. «I primitivi e i partigiani della poesia-magia confondono la pre
255
senza di conoscibilità del significato nel segno, con una presenza fisica e
una efficacia operativa»41. Scambiare i segni della poesia per la realtà si
gnifica snaturare l’esperienza poetica, come hanno fatto i surrealisti. La
poesia non può dare la salvezza, anche la poesia non può esaurire Tesse
re, solo la mistica può introdurre Tuomo negli abissi delTAssoluto. La
poesia è una conoscenza oscura che lascia delusi, perché non si possono
trovare parole e segni per comprendere il significato ultimo della realtà.
«Questo sentimento di delusione appare come un carattere distintivo
d’importanza essenziale, sufficiente a mostrare che la poesia non è mi
stica e che il poeta si prepara degli amari insuccessi se chiede alla poesia
quella pienezza di conoscenza spirituale che si trova al termine del cam
mino delTascetica e della mistica»42.
Ma Tesperienza mistica non è una conquista, è un dono sopranna
turale, il frutto della contemplazione dei santi, che è fatta di amore e si
manifesta nelle profondità abissali, oltre la poesia, del sovraconscio del
lo spirito42bis. Non bisogna confondere la contemplazione dei filosofi,
frutto dello sforzo intellettuale, fatto di autocoscienza, che nella traspa
renza dello spirito a se stesso coglie Tintelligibilità dell’essere mediante
uno sforzo naturale delTintelligenza, con la contemplazione religiosa
dell’anima che si abbandona a Dio e che soprannaturalmente viene so
praelevata alla vita divina, contemplazione più di affettività che di
pensiero43. C’è nell’uomo una premistica naturale, una disponibilità na
turale alla contemplazione dell’Assoluto che solo Dio può soddisfare; se
Tuomo pretende da sé, con le sue forze naturali, di raggiungere l’Asso
luto oltre la sensibilità, Timmaginazione e il pensiero, finisce per cadere
nel nulla, nell’annientamento del suo io, nell’esperienza del vuoto, come
capita nella mistica induistica. Come la poesia può degenerare nella ma
gia, così la mistica può isterilirsi nella negazione, affermazione di sé co
me assoluto44.
La saggezza mistica, dono soprannaturale, rappresenta il vertice
della saggezza, la fruizione di quell’Assoluto nella cui somma spirituali
tà il vero, il bello e il bene si identificano nell’essere; ma per Tuomo, per
la creatura, per lo spirito limitato, bisogna distinguere tra l’ordine spe
culativo e l ’ordine pratico, tra conoscere per conoscere e conoscere per
agire, e ridiscendere dall’unità alla molteplicità, dall’intelligibile al sen
sibile per tradurre nell’azione la contemplazione. Si tratta di due anda
ture diverse della intelligenza: «La filosofia speculativa considera Tuo
mo e l’esistenza umana dal punto di vista non delle loro condizioni stori
che, ma delle strutture e delle necessità intelligibili, dell’essenze del co
noscere. Al contrario, la filosofia pratica considera Tuomo e l’esistenza
umana dal punto di vista concreto e storico che li conduce al loro fine,
dal punto di vista degli atti umani da porsi nell’essere, hic et nunc, con
formemente alle loro regole. Sia l ’uno che l’altro, il sapere speculativo e
il sapere pratico, differiscono caratteristicamente fin dall’origine: il primo
256
si innalza verso l ’intemporale attraverso i tre momenti di rappresenta
zione astrattiva, il secondo, ridiscendendo verso il temporale, secondo
un flusso continuo di pensiero che, dopo un momento in cui lo specula
tivo si mescola ancora con il pratico, e che è la filosofia pratica stessa,
non si arresta che ad un ultimo momento tutto pratico, che è il giudizio
prudenziale»45 (vedi tav. 2). Anche nell’ordine pratico si distinguono
dunque le saggezze le le scienze; al livello speculativamente pratico , ove
la filosofia della prassi pone i principi fondamentali del fare e dell’agire
umano, si ha la filosofia morale, la saggezza, mentre al livello pratica-
mente pratico, ove la filosofia deve costituirsi con laxcollaborazione del
le scienze umane positive, quali la psicologia e la sociologia, si hanno le
diverse scienze morali pratiche, come la pedagogia, la politica, la medi
cina, la legislatura, l’economia, che si preparano a dirigere da vicino
l ’azione concreta da intraprendere46. In questo concretizzarsi del pensie
ro verso l’azione, lo spirito si nuove a tradurre nell’esperienza storica le
proprie convinzioni tenendo conto della realtà concreta nella multifor-
mità degli aspetti che comporta, senza sovrapporre al reale un’ideologia
utopistica. Solo nel realismo critico è possibile una autentica filosofia
della storia , nell’idealismo e nella sua traduzione materialistica del mar
xismo si ha una identificazione tra essere e divenire, e la storia si svilup
pa deterministicamente secondo schemi ideologici posti a priori47. Per
Maritain, è sempre una questione di intelligenza, le saggezze , anche di
modo pratico, sono al livello dei principi intelligibili, ma le scienze nel
loro complicarsi verso la realtà incorporano direttamente l’esperienza
nel loro stesso porsi come scienze; proprio come avveniva nel sapere teo
retico a partire dalle scienze naturali e matematiche. «Nelle scienze spe
culativamente pratiche (le saggezze) i concetti conservano il loro proprio
valore di astrazione e di intelligibilità, nelle scienze praticamente prati
che (scienze), al contrario, si incorporano nell’insieme dei dati concreti
in rapporto con i momenti dinamici attraverso i quali l’azione deve veni
re all’esistenza»49. La filosofia morale, nell’unità delle sue fondazioni
del dover essere in relazione ai valori, si esprime nella pluralità delle
scienze umane che studiano nel concreto l’azione da compiere sul piano
economico, sociale, culturale, politico (vedi tav. 4). Viene così confer
mata quella differenziazione tra la filosofia, sapere universale proprio
dell’uomo in quanto uomo, e le diverse culture e civiltà che si esprimono
nel divenire storico, che è una delle note caratteristiche del tomismo.
La filosofia cristiana
257
il metodo tomista permetteva di superare il dualismo tra cultura e reli
gione che la filosofia di Bergson trascinava con sé. Da allora, i Maritain
si sono impegnati neirindividuare le differenze e le articolazioni tra
l’opera della ragione e l ’opera della fede, scoprendo gli apporti oggettivi
della rivelazione alla ricerca filosofica, per conoscere la realtà esistenzia
le dell’uomo nella sua concretezza storica, e concludendo in una esplo
razione filosofica dei misteri, della fede e della vita eterna.
La distinzione preliminare tra filosofia , storia della filosofia e filo
sofare , fatta all’inizio di questa prefazione, tra la filosofia come sistema
organico, scientificamente strutturato, e il filosofare come situazione
umana condizionata dallo sviluppo della cultura e della civiltà, dal dive
nire storico, non è che una applicazione della distinzione tomista, più
volte utilizzata da Maritain, tra Vordine di specificazione e l ’ordine di
esercizio, tra la natura di una scienza e lo stato in cui essa viene a tro
varsi nel soggetto in un dato momento storico48. Questa distinzione si ri
ferisce sia al sapere speculativo, che al sapere pratico e alla creatività ar
tistica. Sul piano del sapere teoretico , la filosofia in se stessa non è che
filosofia, procede con i suoi metodi di ricerca verso il suo oggetto speci
fico, senza interferenze che possano alterare i suoi processi di conoscen
za: «La filosofia tomista è interamente razionale, nessun argomento de
rivato dalla fede si inserisce nella sua struttura, essa dipende intrinseca
mente solo dalla ragione e dalla critica razionale, essa deriva la propria
stabilità di foiosofia solo dall’evidenza sperimentale o intellettuale e dal
la dimostrazione»49. Ma nelle condizioni soggettive del filosofare, nella
personalità del filosofo, nel suo stato esistenziale, dipende (non deriva)
dalle sue condizioni di esercizio e pertanto estrinsecamente è cristiana,
acristiana o anticristiana, secondo le condizioni di fede del filosofo, se
condo il clima di cultura e di civiltà in cui storicamente si sviluppa. Sul
piano del sapere pratico , la distinzione tra l ’ordine di specificazione e
l’ordine di esercizio permette di superare da una parte l’amoralismo di
chi vuole risolvere il divenire storico nella realtà effettuale senza riferi
mento ai valori morali e l ’ipermoralismo di chi vuole giudicare gli avve
nimenti senza tenere conto della realtà esistenziale nella concretezza del
le situazioni umane50.1 diritti dell’uomo sono inalienabili, ma la loro ri
chiesta deve essere compatibile con le possibilità concrete di una data so
cietà. Sul piano della creazione artistica , Maritain, pur riconoscendo
una piena autonomia estetica all’opera d’arte, non può non sottolineare
la responsabilità morale dell’artista, che nell’esercizio della sua attività
resta un uomo impegnato davanti ai valori morali, per cui «l’arte è indi
rettamente ed estrinsecamente subordinata alla morale»51. «In altre pa
role, è vero che arte e morale sono due mondi autonomi, ciascuno so
vrano nella sua sfera, ma non possono ignorarsi o trascurarsi a vicenda
perché l’uomo appartiene a questi due mondi come produttore intellet
tuale e agente morale, soggetto responsabile di azioni che impegnano il
258
suo destino»52. In questa prospettiva esistenziale si avrà quindi una filo
sofia cristiana, una politica cristiana, un 'arte cristiana, senza confonde
re i due piani intersecantesi deirumanesimo e del cristianesimo, distin
guendo tra religione e cultura, Chiesa e Stato, arte e morale.
Considerando questo statuto cristiano della filosofia in relazione
alle condizioni psicologiche del filosofare e alle situazioni socio-culturali
della storia della filosofia, Maritain individua gli apporti oggettivi pro
v en ien ti dal fatto storico della rivelazione cristiana e gli aiuti soggettivi
provenienti dalla fede a dai doni dello Spirito Santo. «Innanzi tutto, ci
sono degli oggetti appartenenti di per sé al campo della filosofia, ma che
i foioso fi non avevano! riconosciuto esplicitamente e che la rivelazione
cristiana ha messo in prirrio piano»53, ad esempio il concetto di creazio
ne, di natura aperta alla soprannatura, di persona, di peccato, di Dio
come essere sussistente. Questi apporti oggettivi hanno favorito lo svi
luppo della filosofia, senza interferenze sul piano metodologico del filo
sofare. Gli aiuti soggettivi sono come dei rafforzamenti del filosofare al
suo livello di ricerca, il senso comune viene rafforzato dalla virtù della
religione e l’intelligenza può muoversi con maggiore sicurezza sul suo
terreno di lavoro. Poiché, ad esempio, «le virtù superiori dànno forza
alle inferiori nel loro proprio ordine, la virtù della fede fa sì che la filo
sofia, che conosce resistenza di Dio per vie puramente razionali, aderi
sca razionalmente con più forza a questa verità»54.
Questo modo di essere cristiano della filosofia è particolarmente
importante nelle scienze umane, cioè nella conoscenza della realtà esi
stenziale dell’uomo nella concretezza del suo divenire storico; perché se,
come ci informa la rivelazione, ruom o reale è in rapporto soprannatu
rale con Dio, in stato di grazia o di disgrazia rispetto al suo fine ultimo,
non tenere conto in antropologia dei dati forniti dalla fede significa la
vorare attorno ad un uomo ipotetico, che non è mai esistito e che non
può esistere. Soprattutto nel sapere pratico è necessario tenere conto di
questi dati, per potere impostare una morale, una politica ed una peda
gogia adeguate alla realtà della condizione umana. Pertanto, una filoso
fia pratica non può scientificamente costituirsi senza subalternarsi alla
teologia, perché i fini dell’azione umana, sia pure nella loro autonomia,
sono fini provvisori, intermediari, rispetto al fine ultimo dell’uomo, la
vita eterna. Quindi, sia per conoscere la realtà dell’uomo, sia per orienta
re l’azione umana al suo ultimo fine, è necessario che il discorso filosofi-
co si riferisca al discorso teologico. Così, Maritain precisa il suo pensie
ro: «Una scienza è subalteranata ad un’altra scienza non solo in quanto
infraposta, come per esempio la filosofia della natura è infraposta alla
metafisica e la metafisica alla teologia; essa non può esistere come scien
za pratica senza i lumi che essa riceve dalla scienza sùbalternante; essa
non possiede la sua costituzione di scienza, cioè di conoscenza vera e
adeguata al suo oggetto, che ricevendo dalla scienza subalternante i
259
principi di cui ha bisogno, come l’ottica geometrica riceve i suoi principi
dalla geometria, come la teologia riceve i suoi per mezzo della fede e del
la scienza intuitiva degli spiriti che vedono Dio. Quindi, la filosofia pra
tica non può costituirsi come scienza se non ottiene quelle informazioni
che sono indispensabili per conoscere la realtà del suo oggetto, che è
l’uomo in carne e ossa»55. Sulla base di questa epistemologia, Maritain
elabora la teoria della filosofia morale adeguatamente presa 56, che è sta
ta oggetto di diverse polemiche per i fraintendimenti con cui è stata inte
sa. Infatti Maritain non intende negare l’esistenza di una morale natura
le né subordinare la filosofia alla fede, ma sottolineare la necessità che il
discorso filosofico, procedendo al suo livello, tenga presente le informa
zioni che la teologia può fornire per un’esatta individuazione del suo og
getto di conoscenza, di fruizione, di azione. Anche un pagano potrebbe
filosofare in questa filosofia morale adeguatamente presa, tenendo con
to dei dati della rivelazione come dati oggettivi nel contesto del discorso,
senza con questo dover essere battezzato e riconoscere il valore corisma-
tico del sacramento. Maritain è molto preciso al riguardo, non vuole
confondere la filosofia morale con la teologia morale, che sono livelli
diversi di conoscenza: «Nella filosofia morale adeguatamente presa, la
ragione filosofica conserva l’iniziativa del movimento, agisce come cau
sa principale, non come causa strumentale o ministeriale mossa dalla fe
de; la fede è necessaria, è condizione per il costituirsi della filosofia mo
rale, ma essa non gioca un ruolo formale nella determinazione delle con
clusioni filosofiche»57.
In questa prospettiva metodologica si può parlare di una filosofia
cristiana, di una politica cristiana, di una pedagogia cristiana, senza
confondere i due livelli dell’umanesimo e del cristianesimo, ma com
prendendoli nella distinzione e reciprocità del piano naturale e del piano
soprannaturale, delle virtù naturali e delle virtù soprannaturali, dello
Stato e della Chiesa, della cultura e della religione, della ragione e della
fede. È questo il senso àùVesistenzialismo di Maritain, questo sapere
cogliere l’Assoluto senza separarlo dal divenire, questo collegare Γog
gettività con la soggettività, la teoresi con la prassi, la verità e la libertà,
la persona e la società, i valori concreti della storia con il fine definitivo
dell’avvenura umana, in un’interpretazione della realtà e del destino
umano insieme filosofica e teologica, razionale e biblica, laica e
cristiana57bis.
A queste conclusioni epistemologiche, giuridiche e politiche, esteti
che e pedagogiche, Maritain è pervenuto nella fedeltà allo spirito di
Tommaso, attraverso la mediazione di Bergson e di san Giovanni della
Croce, rinnovando il realismo critico senza impersonarlo nella sua filo
sofia, perché il tomismo è patrimonio di tutta l’umanità, come perenne
ricerca dell’essere, aperta a tutte le future integrazioni ma coerente con
le sue ispirazioni profonde che attraverso i Padri della Chiesa risalgono
260
alla tradizione ebraico-cristiana. Questa conclusione di Maritain può
bene significare il valore della sua testimonianza. «Per dire il vero, il to
mismo è un'opera comune. Non si è tomisti per il fatto che nel magazzi
no dei sistemi si sceglie il tomismo come un sistema in mezzo a tanti, alla
guisa con cui scegliereste un paio di scarpe in un magazzino di calzature,
fino a che troviate un modello che calzi bene il vostro piede. A questa
stregua, sarebbe più stimolante costruirsi un sistema personale su misu
ra. Si è tomisti perché si è rinunciato a trovare la verità filosofica in un
sistema fabbricato da un individuo, anche se questo individuo si chia
masse ego, e perché si vuole cercare il vero (da se stessi, certo, e con la
propria ragione) facendosi discepoli di tutto il pensiero umano, per non
trascurare nulla di ciò che è » 58.
PIERO VIOTTO
261
T AVO LA N . 1
T A V O LA N . 2
NOTIZIA
1) Cfr. Raissa Maritain, I grandi amici, tr.it., Vita e Pensiero, Milano 1973, terza
edizione; Jacques Maritain, Ricordi e appunti, tr.it., Morcelliana, Brescia 1967;Jacques
Maritain (a cura di), Diario di Raissa, tr.it., Morcelliana, Brescia 1970, settima edizione.
2) Jacques Maritain, Per una politica più umana, tr.it., Morcelliana, Brescia 1968,
p. 98.
3) Jacques Maritain, Réponse à Jean Cocteau, Stock, Paris 1926, p. 50.
4) Cfr. Jacques Maritain, Scritti e manifesti politici 1933-1939, tr.it., Morcelliana, Bre
scia 1978 ; Maritain-Mounier, Corrispondenza 1929-1939, tr.it., Morcelliana, Brescia 1976.
5) Cfr. Jacques Maritain, Messages 1941-1945, Editions de la Maison Frangaise,
New York 1945; Pour la justice, articles et discours (1940-1945), Editions de la Maison
Frangaise, New York 1945.
6) Cfr. Il filosofo nella società, tr.it., Morcelliana, Brescia 1976, pp. 29-43.
7) AA.VV. I diritti dell’uomo, tr.it., Comunità, Milano 1952.
8) Jacques Maritain, Approches sans entraves, tr.it., Città nuova editrice, Roma
1977, voi. I, pp. 245-252.
9) Jacques Maritain, Les deux grandes patries, in Le Monde , 2-3 settembre 1973.
10) Jacques Maritain, Le due grandi patrie, in Studi Cattolici, n. 153, novembre
1973, p. 697.
11) L’opera di testimonianza di Maritain viene continuata àa\YInstitut International
Jacques Maritain, con sezioni nazionali a Roma, Madrid, Caracas, Washington, Santiago
del Cile, Ottawa e che si esprime attraverso la rivista Notes et documents (Editrice Massi
mo di Milano). L’Institut ha già organizzato diversi convegni internazionali sulla politica
(Ancona 1973), sulla pedagogia (Brescia 1975), l’antropologia (Louvain 1976), sulla filo
sofia del diritto (Washinghton 1978), sull’estetica (Venezia 1979).
12) Jacques Maritain, Le docteur angélique, Desclée de Brouwer, Paris 1930, p. 86.
13) «L ’antica nozione di logica come scienza delle intenzioni seconde della mente
presupponeva una concezione realistica del mondo. Il concetto era anzitutto una presa del
reale extramentale, poi la logica lo considerava a parte, in uno stato e con proprietà che es
so ha nella mente; il ragionamento, del quale la logica studiava le leggi, serviva da stru
mento alla scienza del reale, ma questa era distinta per natura dalla logica e la forma più
elevata di questa scienza del reale distinta per natura dalla logica era la filosofia. La dialet
tica, invece, faceva parte della logica; e restare nella logica per avere la scienza del reale e
per edificare l’opus philosophicum era per gli antichi un puro non-senso; era fare della lo
gica un sapere, e un sapere supremo, quando invece non è che un primo tentativo di esplo
razione delle cose, preliminare al sapere e incapace per natura di procurare il sapere», Jac
ques Maritain, La filosofia morale, tr.it., Morcelliana, Brescia 1971, pp. 152-153.
14) Jacques Maritain, Il filosofo nella società, tr.it., Morcelliana, Brescia 1976,
p. 14.
267
15) Le docteur angélique, ed.cit., p. XIII.
16) Jacques Maritain, Il contadino della Garonna, tr.it., Morcelliana, Brescia 1969,
p. 198.
17) Approchesans entraves, ed. cit., pp. 43-44.
18) le docteur angélique, ed. cit., p. XIII.
19) Nella premessa al suo volume Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente che può
essere considerato un saggio sull'esistenzialismo di Tommaso, Maritain scrive: «L’esisten
zialismo di Tommaso è completamente diverso da quello delle filosofie di oggi; dicendo
che a mio avviso è il solo esistenzialismo autentico, non è che io stia cercando di ringiova
nire il tomismo con artifizi verbali, cosa di cui mi vergognerei, o che stia tentando di rimo
dernare Tommaso, secondo un costume alla moda. Non sono un neo-tomista, tutto som
mato preferirei essere un paleo-tomista; sono, almeno spero di essere, un tomista. Da più
di treni’anni constato quanto sia difficile ottenere che i nostri contemporanei non confon
dano le facoltà di invenzioni dei filosofi con quelle degli artisti delle grandi case di moda».
Tr. it., Morcelliana, Brescia 1965, p.9. Nella premessa al volume Strutture politiche e li
bertà, osserva: «Il nostro intento, nel presente saggio, è di mostrare brevemente come la
filosofia di Tommaso non sia soltanto una filosofia della natura o più generalmente
ùq\Vessere, ma sia anche, e questo particolarmente nella prospettiva della vita morale, una
filosofia della libertà (così come nella prospettiva della vita di conoscenza essa è anche una
filosofia dello spirito : filosofia della libertà e filosofia dello spirito, d’altronde, connesse e
infine convergenti)». Tr.it., Morcelliana, Brescia 1968, pp. 9-10.
20) Jacques Maritain, Quattro saggi sullo spirito incarnato, tr.it., Morcelliana, Bre
scia 1978, p. 191. Si veda inoltre per la fisica: De la métaphysique desphysicìens ou de la
simultanéité selon Einstein in Réflexions sur l'intelligence et sursa viepropre, Desclée de
Brouwer, Paris 1932, pp. 202-261 e Nouveaux débats éinsteiniens in La revue universelle,
aprile 1924, pp. 56-77; per la biologia: Verso un'idea tomista dell'evoluzione in Approches
sans entraves, ed.cit., I, pp. 87-153 e^4 proposito dell'istinto animale, ivi, pp. 155-180; per
la psicoanalisi: Notes sur le freudisme in Etudes Carmélitaines, aprile 1938, pp. 128-139 e
Freudismo e psicoanalisi in Quattro saggi sullo spirito incarnato, ed.cit., pp. 13-45; per
l’etnologia: Segno e simbolo e II linguaggio e la teoria del segno in Quattro saggi sullo spi
rito incarnato, ed.cit., pp. 47-102.
21) Jacques Maritain, Il filosofo nella società, ed.cit., p. 103. Maritain si è interessa
to durante tutta la sua vita di filosofo al problema della didattica degli insegnamenti filo
sofici. Si vedano i due articoli del 1914 L'étude et l'enseignement de la scholastique, il 13
febbraio sul Feuilleton de l'Univers e L'enseignement de laphilosophie, il 2 marzo su Le
soleil, l’allocuzione L'activité dupére Peillaube dans la fondation et l'organisation de la
Faculté de Philosophie à l'Institut Catholique in Revue de philosophie, gennaio-febbraio
1931, pp. 20-31, e le N otespour un programme d'enseignement de la philosophie de la na
ture et des Sciences dans une faculté de philosophie in Bollettino Filosofico del Pontificio
Ateneo del Seminario romano, anno I, numero 2 (1931) pp. 16-31, fino alla lettera del
1965 citata nel testo.
22) Approches sans entraves, ed.cit. I, pp. 53-61.
23) Ivi, pp. 55-56.
24) Jacques Maritain, Pour une philosophie de l ’éducation, Fayard, Paris 1959, par
ziale traduzione italiana, L'educazione della persona, La Scuola, Brescia, 1962, pp. 43-44.
25) Jacques Maritain, Sept legons sur Tètre et lespremìersprincipes de la raison spe
culative, Téqui, Paris 1934, p. 8.
26) Precisa la critica di Maritain al pragmatismo, al problematicismo e alla logica
strumentale: « È un disgraziato errore quello di definire il pensiero umano come un orga
no di risposta agli stimoli e alle situazioni attuali del pensiero, vale a dire in termini di co
noscenza e reazioni animali, poiché una simile definizione si applica esattemente al modo
di pensare degli animali senza ragione. Al contrario, è perché ogni idea umana, per avere
un senso, deve attingere in qualche modo (sia pure nei simboli di un’interpretazione mate
matica dei fenomeni) ciò che le cose sono o ciò in cui esse consistono; è perché il pensiero
umano è uno strumento o piuttosto un’ energia vitale di conoscenza o d’intuizione spiri
268
tuale; è perché l’attività pensante comincia non solo con delle difficoltà ma con delle vedu
te (insights) o percezioni e termina in vedute che sono rese vere dalla dimostrazione razio
nale o dalla verifica sperimentale e non dalla sanzione pragmatica, che il penserò umano è
capace di illuminare l’esperienza, realizzare dei desideri che sono umani perché sono radi
cati nel desiderio primordiale del bene illimitato e di dominare, controllare e foggiare di
nuovo il mondo. Al principio dell’azione umana in quanto umana c’è la verità, conosciuta
(o che si crede di conoscere) per se stessa, per amore cioè della verità. Senza la fede nella
verità non c’è efficacia umana. Questa è, a parer mio, la critica principale da fare alla teo
ria pragmatistica e strumentalista della conoscenza». Pour unephilosophie de l ’éducation,
ed.cit., parziale traduzione italiana, L'educazione al bivio, La Scuola, Brescia 1975, p. 28.
27) Cfr. Jacques Maritain, Contemplazione e spiritualità, antologia a cura di Gian
carlo Galeazzi, A .V .E ., Roma 1978.
28) Jacques Maritain, Scienza e saggezza, tr.it., Boria, Torino 1964, p. 55.
29) «Per il reale sensibile considerato in quanto tale, ci sarà dunque una risoluzione
di concetti e di definizioni che possiamo chiamare ascendente o ontologica verso l’essere
intelligibile; in essa il sensibile è sempre presente con un ruolo indispensabile, ma indiretta
mente, e al servizio dell’essere intelligibile, come connotato da esso; e ci sarà, d’altra par
te, una risoluzione discendente, verso il sensibile, verso l’osservabile in quanto tale, in
quanto osservabile; questo non significa che lo spirito cessi di riferirsi all’essere, il che è
anche possibile; l’essere rimane sempre là, presente, ma passa al servizio del sensibile,
dell’osservabile, è innanzi tutto del misurabile; diventa una incognita che assicura la co
stanza di certe determinazioni sensibili e di certe misure», Quattro saggi sullo spirito incar
nato, ed.cit., p. 146, cfr. anche I gradi del sapere, tr.it., Morcelliana, Brescia 1974, pp.
55-58.
30) Jacques Maritain, L ’educazione al bivio, ed.cit., p. 17.
31) «Ciò che abbiamo chiamato intellezione dianoetica ci appare qui come presa tra
un’intellezione imperfetta in ragione della stessa imperfezione ontologica e della sotto
intelligibilità della realtà cui si applica (intellezione perinoetica) e una intellezione imper
fetta in ragione della troppo grande perfezione ontologica e della sovra-intelligibilità delle
realtà che conosce (intellezione ananoetica). Da una parte e dall’altra del registro dianoeti
co queste due imperfezioni in certo modo si corrispondono, ma la loro condizione pro
pria, il loro stile è del tutto diverso. L ’in teilezione perinoetica si arresta alla superficie, a
surrogati dell’essenza, tuttavia i mezzi che usa sono ricchi e danno all’intelletto la massima
soddisfazione (non senza qualche amarezza finale). Vintellezione ananoetica impiega
mezzi poveri, che danno all’intelletto solamente poca soddisfazione (è dall’oggetto che gli
viene la gioia), che lo rendono, via via che conosce meglio, più cosciente della sua spropor
zione nei confronti di ciò che conosce; tuttavia, grazie all’analogia dell’essere e dei tra
scendentali che gli servono da strumento, questa intellezione, per imperfetta e precaria che
ne sia la maniera, si porta ancora fino all’essenza del suo oggetto, colta enigmaticamente
in altre nature che la riflettono e senza che nulla di quanto le appartiene sia conosciuto in
se stesso», I gradi del sapere, ed.cit., p. 261.
32) I gradi del sapere, ed.cit. p. 260.
33) Non bisogna confondere la filosofia della natura, che è ricerca dell’intelligibilità
della vita e del movimento, con le scienze naturali o le scienze fisico-matematiche, perché
la filosofia usa un’analisi ontologica ascendente e le scienze naturali una analisi empiriolo-
gica discendente. (Cfr. Jacques Maritain, La filosofia della natura, tr.it., Morcelliana,
Brescia 1974). Pertanto, i tre gradi di astrazione, fisica, matematica e metafisica, di cui
parla Maritain ne I gradi del sapere, riguardano il sapere filosofico nel suo scandirsi a tre
livelli ben differenziati di filosofia della natura (o cosmologia, o fisica) e filosofia della
matematica, e filosofia prima. «La divisione dei tre ordini di astrazione è una suddivisione
analogica; non fanno parte di un medesimo genere, ma costituiscono dei generi fonda
mentalmente differenti; non sono classificabili l’uno al di sopra dell’altro sulla stessa linea
generica, ma c’è tra loro una vera eterogeneità noetica. Ed è per questo che Tommaso in
segna che nell’ordine metafisico non dobbiamo riferirci, come campo nel quale si verifica
no i nostri giudizi, né ai sensi né alPimmaginazione; che nell’ordine matematico i nostri
269
giudizi si realizzano nel mondo della immaginazione e non dei sensi; e che nell’ordine fisi
co il giudizio si realizza nel mondo stesso del senso. Ed è per questo, aggiunge, che si fa un
peccato intellettuale a voler procedere nel medesimo modo nei tre gradi della conoscenza
speculativa», Scienza e saggezza, ed.cit., p. 87.
34) I gradi del sapere, ed.cit., p. 293.
35) I gradi del sapere, ed.cit., p. 295.
36) I gradi del sapere, ed.cit., p. 295.
37) Maritain in II contadino della Garonna affronta polemicamente gli indirizzi della
teologia contemporanea che naturalizzano il cristianesimo con il neomodernismo che si in
ginocchia davanti al mondo in una nuova sofistica: «Poveri cristiani sofisticati, di Socrate
avrebbero bisogno!». Ed. cit., p. 21.
38) Cfr. Giovanni di Tommaso, Les dons du Saint-Esprit, traduzione di Raissa Mari
tain, Téqui, Paris 1950.
39) Nel passaggio dal mondo del sensibile al mondo dell’intelligibile, dalla natura a
Dio, dalla fisica (cosmologia) alla metafisica, la matematica rappresenta una deviazione
nel processo conoscitivo, nel senso che la sua conoscenza, essendo una conoscenza co
struttiva per segni-simboli prodotti dalla mente umana, non è una conoscenza diretta ma
obliqua della realtà naturale, i cui dati sensibili sono manipolati dalle formule matemati
che. Non confondiamo la fisica, come cosmologia, capitolo della filosofia della natura,
preludio alla metafisica, sapere percettivo, primo grado del processo astrattivo, con la
fisico-matematica, sapere costruttivo. Cfr. La filosofia della natura, ed.cit. pp. 91-93.
40) Cfr. Jacques Maritain, Arte e Scolastica, tr.it., Morcelliana, Brescia 1980; Jac
ques Maritain, L'intuizione creatrice nella poesia e nell'arte, tr.it., Morcelliana, Brescia
1957; Raissa e Jacques Maritain, Situazione della poesia, tr.it., Morcelliana, Brescia 1979.
41) Situazione della poesia, ed.cit., p. 35 (testo di Raissa).
42) Situazione della poesia, ed.cit., p. 39 (testo di Raissa). Queste sono ìe conclusioni
sulla natura della conoscenza poetica e sui rapporti tra poesia, magia e mistica: I) La co
noscenza poetica è una conoscenza per connaturalità affettiva di tipo operativo, tendente
ad esprimersi in un’opera. II) La conoscenza poetica non è concettualizzabile. Ili) Per la
legge della trasgressione, la poesia tende alla creazione pura, come la metafisica alla visio
ne di Dio, ma questa aspirazione transnaturale non è umanamente soddisfacibile, perché
l’uomo non può infinitizzare la sua esperienza se non ad opera della grazia, delle virtù teo
logali e dei doni dello Spirito Santo.
42bis) La poesia e la mistica si muovono nel mondo dell’ “ inconscio” , ma questo
mondo ha due aspetti, uno “ subconscio” , istintuale, materiale evidenziato da Freud, ed
uno “ sovraconscio” , musicale, spirituale evidenziato da Maritain. «Queste due specie di
vita inconscia sono in stretto rapporto e in continua comunicazione l’una con l’altra;
nell’esistenza concreta esse di solito si mescolano e si frammischiano in modo più o meno
grande; e io credo che mai — eccetto in qualche raro esempio di suprema purificazione
spirituale — l’inconscio spirituale operi senza che l’altro sia presente, anche se in misura
minima. Ma sono essenzialmente distinti e di natura completamente diversa.» L'intuizio
ne creativa nella poesia e nell'arte, ed. cit. p. 101.
43) Cfr. Azione e contemplazione in Jacques Maritain, Questioni di coscienza, tr.it.,
Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 90-151.
44) Cfr. L'esperienza mistica naturale e il vuoto nei Quattro saggi sullo spirito incar
nato, ed.cit., pp. 103-136.
45) Scienza e saggezza, ed.cit., pp. 149-150.
46) Cfr. Piero Viotto, La filosofia della prassi, in A A .VV ., Storia e cristianesimo in
J. Maritain, Massimo, Milano 1980, pp. 145-163.
47) Jacques Maritain, Per una filosofia della storia, tr.it., Morcelliana, Brescia 1967.
48) Cfr. La filosofia cristiana, tr.it., Vita e Pensiero, Milano 1978, pp. 34-58.
49) La filosofia cristiana, ed.cit., p. 38.
50) Cfr. La fine del machiavellismo in Jacques Maritain, Per una politica più umana,
ed.cit., pp. 117-155.
51) La responsabilità dell'artista, tr.it., Morcelliana, Brescia 1973, p. 25.
270
52) La responsabilità dell’artista, ed.cit., p. 24.
53) La filosofia cristiana, ed.cit., pp. 41-42.
54) La filosofia cristiana, ed.cit., p. 50.
55) La filosofia cristiana, ed.cit., p. 93.
56) Su questo argomento confrontare Sulla filosofia morale in La filosofia cristiana,
ed.cit., pp. 86-125, e Eclaircissements sur laphilosophie morale in Science et Sagesse, La-
bergerie, Paris 1935, pp. 227-392.
57) La filosofia cristiana, ed.cit., p. 104.
57 bis) Cfr. H. Bars, Suje t et Subjectivité selon J. Maritain, in Les études philoso-
phiques, gennaio-marzo 1975, pp. 31-46; S. Mosso, Fede, assolutezza e storicità nel pen
siero morale di Jacques Maritain, in La civiltà cattolica, 3 novembre 1979, pp. 222-233.
58) I gradi del sapere, ed.cit., p. 12.
CAPITOLO PRIMO
1) R.P. Ed. Hugon o.p., professore al Collegio Angelico, Cursus philosophiae tho-
misticae, 6 voli., Lethielleux 1903.
2) R.P. Joseph Gredt osb, Elementa Philosophiae aristotelico-thomisticae, Friburgo
in Brisgovia, Herder, 1909.
3) R.P. Paul Gény, professore aH’Università Gregoriana, Questions d ’enseignement
de philosophie scolastique, Parigi, Beauchesne, 1913.
4) Op. cit., p. 12. Nella prefazione della sua Logica (quinta edizione, 1905) il cardina
le Mercier scriveva che ai suoi occhi, per colui che vuole rimanere fedele allo spirito peripa
tetico, l’ordine d’insegnamento deve essere il seguente: introduzione alla filosofia, cosmo
logia, psicologia, criteriologia, ontologia, teodicea, logica, morale, storia della filosofia.
È proprio l’ordine da noi adottato, salvo quanto concerne la logica che deve, secondo
noi, costituire la prima parte del corso di filosofia, e pertanto seguire immediatamente
l’introduzione, conformemente all’insegnamento di Tommaso e alla tradizione scolastica.
L’ordine d’insegnamento che seguiremo (introduzione generale alla filosofia, logica,
filosofia naturale e psicologia, critica, ontologia, teodicea, morale) concorda con quello
del Cursus del padre Hugon, tranne questa differenza, che egli fa rientrare la critica nella
logica maggiore e rinvia per la teodicea e la morale allo studio diretto di Tommaso. Il no
stro ordine di insegnamento concorda pure con l’ordine degli Elementa del padre Gredt.
Ma noi crediamo necessario sviluppare l’introduzione molto più di quanto hanno fatto
questi autori.
5) Nei notevoli studi da noi prima citati, il padre Gény propone di scindere la metafi
sica in quattro parti, ove le prime due costituiscono una introduzione alla filosofia reale e
debbono seguire immediatamente la logica, mentre le altre due possono, senza inconve
nienti, anzi con un considerevole vantaggio, riprendere il loro posto d ’un tempo tra la psi
cologia e la teologia naturale (op. cit., p.102). La soluzione che proponiamo ci sembra pre
sentare i medesimi vantaggi, con in più quello di non smembrare il trattato dell’essere co
me essere e qùello di iniziare gli allievi sin dal principio alle nozioni fondamentali, che essi
hanno bisogno di conoscere per studiare con frutto la logica stessa (soprattutto la logica
maggiore).
6) Cicerone, Tusculanae., V, 8; cfr. Diogene Laerzio, I, 12.
7) Aristotele, Metafisica , I, 2, 982 b. Commentario di Tommaso, lezione III. Cfr. De
Ventate, q.7, art. 7.
8) Cfr. P. Lemonnyer o.p. (secondo Schmidt), La Révélation primitive et les données
actuelles de la Science, Paris, Lecoffre, 1914.
9) Trattando sommariamente le grandi religioni ariane, abbiamo dovuto non solo
isolare per astrazione in queste religioni l’aspetto intellettuale che interessa il filosofo, ma
anche semplificare e schematizzare considerevolmente dottrine la cui complessità immensa
e toccante (soprattutto nel caso del brahmanesimo e del buddismo), l’imprecisione e talora
271
l’incoerenza, scoraggiano lo storico. Aggiungiamo che le interpretazioni che i nostri erudi
ti ci danno circa il pensiero orientale restano ancora a livello di congettura e debbono vero
similmente, per quanto concerne la filosofia, essere spesso molto inadeguate.
10) Il termine panteismo è un termine relativamente recente, introdotto nel XVIII se
colo da Toland nel vocabolario filosofico. Ma la realtà che indica è antica quanto i primi
errori filosofici.
Perché una dottrina sia a buon diritto qualificata come panteista, non è affatto neces
sario che dichiari formalmente che Dio e le cose sono una cosa sola (da questo punto di
vista ben pochi panteisti si professano tali); basta che le affermazioni da essa fatte siano
logicamente inconciliabili con la distinzione assoluta di Dio e delle cose.
Questa osservazione è particolarmente importante per quanto riguarda le filosofie
orientali, il cui panteismo è il peccato comune. Esso proviene effettivamente, in tali filoso
fie, dal modo stesso di pensare che usano e che pare consistere innanzitutto nelP usare con
cetti analoghi (che si realizzano diversamente in cose diverse) come se esistessero tali e qua
li fuori dello spirito, come se esistessero, di conseguenza, delle cose che rimanessero le me
desime pur divenendo, in piani diversi del reale, essenzialmente altre. Perciò Atman è con
temporaneamente il principio supremo dell’universo, superiore ad ogni molteplicità, e il
principio costitutitvo e distintivo di ogni personalità. (Come gli scolastici, ma per motivi
diversi, gli indù distinguevano del resto la personalità , che è per noi la sussistenza spiritua
le delPanima, dall*individualità materiale, che proviene dalle disposizioni del corpo.)
Questo modo di pensare (che si ritrova più o meno accentuato in tutte le dottrine a
tendenza teosofica) permette di sfuggire in apparenza all’accusa di panteismo, poiché, gra
zie alla contraddizione profonda che comporta, permette di affermare diversità essenziali
fra termini che logicamente dovrebbero essere identificati. Ma proprio perché affermazio
ni simili non sono possibili se non per una contraddizione di fondo, questo modo di pensa
re implica in realtà un panteismo inestirpabile.
11) Si potrebbe dire da questo punto di vista che il pensiero induista offre un esempio
eminente di puro intellettualismo metafisico. Considerando le cose unicamente in riferi
mento alla speculazione intellettuale e all’ordine universale e non in riferimento alla retti
tudine della volontà umana e a quell’ordine particolare che è l’ordine dell’uomo al suo fine
ultimo, il pensiero induista arriva quasi a cancellare la nozione del bene e del male morale
e la morale che comporta consiste innanzitutto in una purificazione metafisica orientata
esclusivamente verso un certo ideale di conoscenza intellettuale.
Si ritrova una tendenza analoga in tutte le dottrine che, per un esagerato intellettuali
smo, confondono l’ordine morale con l’ordine metafisico (confusione che colpisce nell’i:-
tica di Spinoza, per esempio) e che, non capendo che Dio non è solo il provisor universalis
della creazione, ma anche il provisor particularis della vita morale (cfr. Tommaso, Summa
Theologiae I, a, q.103, art. 8, con il commento di Caietano), pretendono in ultima analisi
di elevarsi al di sopra della distinzione fra il bene e il male e di negare l’esistenza del male
morale.
12) Tale è almeno l’interpretazione corrente della metempsicosi. Non è inverosimile
che questa interpretazione sia una traduzione popolare di una dottrina meno grossolana,
secondo la quale ogni essere passa per una serie indefinita di stati o di cicli d’esistenza;
ogni ciclo deve essere percorso una volta sola e l’esistenza terrena non è che uno stato par
ticolare in mezzo a tutti gli altri. L’idea di reincarnazioni successive deriverebbe così da
una deformazione abbastanza povera di questa teoria, che si sarebbe corrotta notevolmen
te passando in Occidente (benché ci si possa chiedere se, all’origine, i pitagorici e gli orfici
non intendessero soprattutto la trasmigrazione delle anime in un senso simbolico).
E può essere anche accaduto, al contrario, che la teoria in questione sia un’interpreta
zione dotta elaborata dai metafisici indù sulla base di una credenza popolare nella trasmi
grazione.
13) Ved. nota 11 e nota j, cap. I.
14) Kanada attribuisce del resto a questi atomi delle qualità reali, per opera delle qua
li ha luogo la loro unione. Notiamo che il brahmanesimo, che rifiuta l’atomismo, ammette
cinque elementi ( Teiere costituisce il quinto elemento); il buddismo invece, che ha accolto
272
Γatomismo, ammette solo quattro elementi.
15) Qualunque sia la razza dalla quale è opportuno far derivare i cinesi, in ogni caso
la loro storia ha rapporti molto più stretti con quella degli ariani che non con quella dei se
miti. Per questo trattiamo della filosofia dei cinesi nella presente sezione.
16) Essa insegnava resistenza di un solo Dio (Shang-ti) personale, intelligente, distin
to dal mondo, sublime sovrano dei popoli; insegnava pure Pimmaterialità e Pimmortalità
dell’anima umana e persino offriva alle anime degli antenati i medesimi sacrifici e gli stessi
onori che tributava agli spiriti buoni, custodi degli uomini.
17) Secondo ogni verosimiglianza, il cielo ( Tien) non era un tempo che il sinonimo
metaforico del sublime sovrano (Shang-ti).
18) Raimondo Lullo nei suoi tentativi di algebra ideografica procederà in una manie
ra analoga.
19) Ved. nota 10.
20) Aggiungiamo che nel secolo XII della nostra èra, Tchou-Hi, che è stato conside
rato, a torto, pare, come un materialista, ha formulato (riferendosi alla tradizione di Lao-
Tzu) una dottrina che è diventata nell’insegnamento cinese una specie di filosofia ufficiale;
egli vi spiega la costituzione delle cose con una dualità di principi (// e ki) che ricorda la
dualità della forma e della materia in Aristotele e negli alessandrini.
21) Aristotele, De Anima, I, 5, 411 a 7.
22) Plac, p hilos., V, 19, 1. DOX. 430, 15.
23) PLUT. Strom., fr. 2 DOX. 579, 17.
24) PLUT., Symp. , Quaest. V ili, 579, 17.
25) Metafisica , IV, 5, 1010 a 13.
26) Fisica, 1,2, 185 b 19.
27) Con il suo maestro Leucippo. Leucippo e Democrito forse hanno subito l’in
fluenza del filosofo indiano Kanada? Si può credere piuttosto ad una coincidenza dovuta
ad una somiglianza di preoccupazioni intellettuali (soprattutto se è vero che Kanada, la cui
cronologia è molto incerta, fu contemporaneo a Democrito o anche posteriore a lui).
In generale non sembra che il pensiero orientale abbia mai agito sul pensiero greco per
insegnargli qualcosa, nei senso proprio di questo termine né per trasmettergli questo o
quel sistema particolare. Che invece esso abbia agito sui greci stimolandoli alla riflessione
e fornendo loro materiale intellettuale (che essi soli sono giunti a trattare scientificamen
te), questo emerge chiaramente dalla costatazione che la filosofia greca è nata nelle regioni
del mondo ellenico in contatto con l’Oriente.
28) Cfr. Aristotele, Fisica, I, 4, 187 a 26. Simplicio, Fisica, 155, 23.
29) Metafisica, 1,3, 984 b 18.
30) In questa società regnava un’obbedienza assoluta persino in materia intellettuale.
È nella società pitagorica, e non nelle scuole del medio evo cristiano, che tutto si piegava
dinanzi al Magister dixit, αυτός εφα.
31) Come osserva Gomperz: «I greci asiatici e una parte della nazione indiana obbe
divano già, prima che Pitagora lasciasse la sua patria ionica, al medesimo padrone, al fon
datore dell’impero persiano, a Ciro» (Les Penseurs de la Grèc, I. V.).
Più generalmente, sembra davvero che attraverso la scuola pitagorica alcune conce
zioni e alcune maniere di pensare proprie dell’oriente penetrarono innanzitutto in Grecia,
per passare dal pitagorismo al platonismo e al neo-platonismo, e di qui, accresciuta da
nuovi apporti, alla gnosi e alla corrente più o meno occulta dei metafisici eterodossi. Ved.
nota 12.
32) Simplicio, Fisica, 732, 30 D. Nietzsche, che era ossessionato e sconvolto dal pen
siero del ritorno eterno delle cose, aveva preso dalla filosofia greca questa idea singolare.
33) Metafisica, 1,5, 986 a. De Caelo, II, 13, 293 a.
34) Simplicio, Fisica, 144, 25 - 145 23. (Diels, framm. 8, 22).
35) Aristotele, Fisica, I, 3.
36) Per Crizia, per esempio, la credenza negli dèi era l’invenzione di un uomo di stato
avveduto, desideroso di mantenere i cittadini nell’obbedienza, avvolgendo la verità di fan
tasie e finzioni.
273
37) Era Protagora che voleva sottomettere alla ragione i generi dei nomi: così μήνις
(la collera) doveva secondo lui diventare maschile; πηληξ (il casco) parimenti, eccetera.
38) Ricordiamo, per esempio, la famosa discussione che, in séguito ad un omicidio
accidentale avvenuto durante un gioco, Protagora sostenne con Pericle, sul fatto di sapere
chi meritasse la punizione: l’organizzatore del gioco, il maldestro tiratore, oppure il giavel
lotto stesso.
39) Magna Moralia, VII, 8. Cfr. E t. , VII, 1.
40) Questione alla quale sembrava lui stesso non rispondere se non in una maniera
piuttosto oscura.
41) Cfr. Tommaso, Summa theologiae, I, q. 117, art. 1.
42) Cfr. Aristotele, Metafisica , XI, 4 1078 b 17-32.
43) Parmenide stesso non si era innalzato alla nozione metafisica deH’essere se non
fissando il suo sguardo sul solo mondo corporeo.
44) Lib. II, 362 A.
45) «Plato habuit malum modum docendi; omnia enim figurate dicit et per symbola,
intendens aliud per verba, quam sonent ipsa verba»: Tommaso, in I De Anima, VIII.
46) Per questo ci fermiamo ad Aristotele con questo schizzo preliminare di storia del
la filosofia o più esattamente di storia della formazione della filosofia. La storia della filo
sofia antica dopo Aristotele e la storia della filosofia moderna saranno riassunte nell’ulti
mo fascicolo di questo manuale.
47) E innanzitutto nell’intelligenza divina, preciseranno gli scolastici, dando la sua
giusta parte all’esemplarismo platonico.
48) Cfr. Tommaso, Commento sulla Metafisica di Aristotele, lib. I, lez. 10, n. 158
(ed. Cathala).
49) Metafisica, I, 9, 992 a 25 - 992 b 10.
50) Metafisica, XII, 7,1072 b; IX, 1074 b 35.
51) Ib id .,X II, 10, 1076a.
52) Alessandro, Commento alla Metafisica, ad 1045 a 36.
53) Descartes lo dice molto chiaramente nel suo Discorso sul metodo : «Non vi è tan
ta perfezione nelle opere composte da diversi elementi e fatte dalla mano di diversi artefici,
quanta ce c’è in quelle alle quali uno solo ha lavorato».
Ma aveva il torto: I. di credere che fosse proprio compito suo di fondare la filosofia,
non avendo saputo l’antichità adempiere questo ufficio; II. di pensare che lui solo era ca
pace (se però il tempo e le esperienze non gli fossero venuti meno) non solo di fondare, ma
anche di portare a compimento la scienza; III. di buttar via con disprezzo tutto lo sforzo
delle generazioni precedenti e della tradizione umana, mentre Aristotele non è riuscito nel
la sua opera se non consultando, discutendo e analizzando il pensiero dei suoi predecesso
ri, e traendo profitto da tutto il lavoro umano accumulato prima di lui.
54) Si sono attribuiti spesso ad Aristotele errori commessi dai suoi discepoli o dai
suoi commentatori, particolarmente riguardo all’anima umana e riguardo alla scienza e al
la causalità divine. Ma un esame attento delle sue opere mostra che il filosofo, allorché af
ferma che Vintelletto è separato, intende dire che è separato dalla materia e non dairanima
stessa (cfr. Comm. di Tommaso in III De Anima, 4 e 5) e di conseguenza non ha negato,
come si dice sovente, l’immortalità personale dell’anima umana (cfr. anche Metafisica,
XII, 3, 1070 a 26). Così pure egli non ha insegnato che Dio non è causa efficiente del mon
do e non muove il mondo che a titolo di fine o di bene desiderato. (Il testo della Metafisi
ca, XII, 7, significa unicamente che Dio muove a titolo di causa finale o di oggetto d’amo
re lo spirito che muove il primo cielo; egli non dice che Dio non può agire che a titolo di
causa finale e che egli non ha fatto le cose. Al contrario, nel libro II della Metafisica, 1,
993 b 28, viene detto che i corpi celesti dipendono dalla causa prima non soltanto quanto
al loro movimento, ma quanto al loro stesso essere. Cfr. Metafisica, VI, 1, 1026 b 17. Cfr.
pure il passo di Alessandro citato prima nel testo, ove la causalità efficiente di Dio nella
dottrina di Aristotele è mirabilmente messa in luce). Quanto poi al testo {Metafisica, XII,
9) in cui Aristotele, cercando di determinare qual è l’oggetto formale dell’intelligenza divi
na, osserva che sarebbe meglio ignorare che conoscere certe cose inferiori, questo non ha
274
affatto il valore di una conclusione che voglia affermare che Dio non conosce le cose del
mondo, ma è detto a questo punto solo per preparare la soluzione della questione posta.
Tale soluzione, così come Aristotele la indica, è formalmente vera e consiste nel dire, come
farà poi più esplicitamente Tommaso, che Pintelligenza divina, a causa della sua indipen
denza assoluta, non ha per oggetto formale altro che l’essenza divina stessa; essa non co
nosce pertanto le cose del mondo in se stesse, ma in questa essenza, ove tutto è vita.
Rimane tuttavia vero che Aristotele ha commesso errori molto gravi (come il voler di
mostrare che il mondo è esistito ab aeterno) e che gli si possono rimproverare numerose
omissioni: in particolare l’idea di creazione, che emana dai suoi principi con una rigorosa
necessità, non è in alcun luogo esplicitamente da lui formulata (nessun filosofo pagano,
del resto, si è innalzato alla nozione chiara della creazione ex nihilo); e sulle questioni più
difficili da risolvere senza l’aiuto della rivelazione, benché accessibili in se stesse alle di
mostrazioni della ragione (relazione del mondo a Dio, sorte dell’anima dopo la morte),
egli mantiene una riserva, forse assai prudente in sé, ma che dà alla sua opera un carattere
evidente d’incompiutezza.
55) Riprendendo il tema della stupenda Scuola d ’Atene di Raffaello, ove Platone è
rappresentato come un vegliardo ispirato, il volto levato verso il cielo e Aristotele come un
uomo giovane e pieno di forza, in atto di mostrare con gesto trionfante la terra e la realtà,
Goethe ha tracciato nella sua Teoria dei Colori (2. Abteil, Ueberliefertes) un interessante
parallelo tra Platone e Aristotele: «Platone» dice «sembra agire come uno spirito sceso dal
cielo, al quale è piaciuto abitare per qualche tempo sulla terra. Egli non cerca affatto di co
noscere questo mondo: egli se ne è fatta già un’idea sufficiente e ciò che desidera soprat
tutto è di comunicare agli uomini, che ne hanno un così grande bisogno, le verità che ha
portato e che è felice di trasmettere a loro. Se penetra nel cuore delle cose, lo fa più per
riempirle della sua anima che non per analizzarle. Egli brama sempre e ardentemente di in
nalzarsi, per riguadagnare la dimora donde è disceso. Per mezzo dei suoi discorsi, cerca di
risvegliare in tutte le menti l’idea dell’essere unico ed eterno, del bene, del vero, del bello.
Il suo metodo, la sua parola sembrano fondere, ridurre in fumo i fenomeni scientifici che
ha potuto prendere a prestito dalla terra. Aristotele al contrario tratta col mondo sempli
cemente come un uomo. Pare che egli sia un architetto incaricato di dirigere una costruzio
ne. Qui egli si trova, qui pertanto deve lavorare e costruire. Egli si accerta sulla natura del
suolo, ma unicamente sino alla profondità delle fondamenta. Quanto a ciò che si estende
oltre, sino al centro della terra, non se ne occupa affatto. Egli dà al suo edificio una base
immensa: va a cercare ovunque del materiale, lo classifica e costruisce a poco a poco. Così
egli s’innalza, simile a una piramide regolare, mentre Platone è salito velocemente verso il
cielo come l’obelisco, come la punta aguzza della fiamma. Questi due uomini, che rappre
sentano qualità ugualmente preziose e raramente unite insieme, si sono per così dire divisa
l’umanità».
56) «Aggiungiamo che Stagira, città della Penisola Calcidica, era una colonia greca e
che vi si parlava il greco: si ha dunque torto a qualificare talora Aristotele come un mezzo
greco; egli è un puro elleno, un buon elleno come Parmenide, per esempio, o come Anas
sagora» (Hamelin, Le Système d ’Aristote, p.4).
57) Le opere di Aristotele sono: 1. L’insieme dei trattati (Κατηγορίαι , Categorie,
Α να λύτιχα πρότερα, ϋστερα , Analitici primi e secondi, Tórrixa, Topici, Περί σοφιστικών
ελέγχω ν, Elenchi sofistici, Περί ερμηνείας , Sull*interpretazione, cioè sulla proposizione,
opera che, malgrado l’opinione di Andronico, bisogna considerare autentica) che riguar
dano la logica e che sòno stati riuniti sotto il titolo di Organo (o Strumento di ricerca).
2. La Fisica (Φυσιχή άχρόασις, il libro VII è incerto) alla quale si possono aggiunge
Trattati sul Cielo (Περί ούρανου), Sulla generazione e la corruzione (Περί γενεοεως χαι φ ϋ ο -
ρας), Sulle parti degli animali (Περί ζ ώ ω ν μορίων ), Sull’anima (Περί ψυχής), Sulla sensazio
ne (Περί αισϋήσεως χαι αίσΰητών), Sulla memoria (ΤΙερι μνημης χ α ι άναμνήσεως), Sulla me
teorologia (Μετεωρολογικά), La storia degli animali (Περί τά ζ ώ α Ιστορίαι, il libro è incerto)
e numerosi altri trattati, molti dei quali sono incerti, particolarmente il De mundo. (Il trat
tato sulla Fisiognomica è spurio, ma sembra composto da diversi frammenti autentici.)
275
3. La Metafìsica (τά μετά τά φυσικά), il cui secondo libro ( a ϊλαττον) è stato redatto da
uno dei suoi discepoli, Pasicle di Rodi.
4. L*Etica Nicomachea (’Htfixcr Νιχομάχεια) e PEtica Eudemia (Ηθικά Eύόήμεια, que
st’ultima opera è stata composta non da Aristotele ma da Eudemo stesso) alle quali si può
aggiungere la Grande Etica (Magna Moralia, Ηθικά μεγάλα , opera questa che è il riassunto
delle due precedenti e di conseguenza non è originale di Aristotele), la Politica (Πολιτικά),
la Poetica (Περί ποιητικής) e la Retorica (Τέχνη ρητορική ). Il De Virtutibus et Vitiis, VEco
nomico, la Retorica ad A lessandro sono opere non autentiche. È stata scoperta e pubblica
ta nel 1891 la Costituzione degli Ateniesi (frammento di una raccolta — ΠολιτεΤαι — nella
quale Aristotele aveva riassunto le costituzioni di 158 stati della Grecia).
I commenti moderni più utili da segnalare sono quelli di Bonitz sulla Metafìsica, di
Rodier sul De Anima e di Hamelin sul II libro della Fisica.
Fra gli scolastici che hanno lavorato per spiegare le opere di Aristotele, si debbono ci
tare in primo luogo Alberto Magno, Tommaso e Silvestro Mauro, la cui esposizione lette
rale e la parafrasi possono essere ancora utilmente consultate. Tommaso ha scritto alcuni
commenti: 1) sul trattato Deirinterpretazione (commento incompiuto, sostituito da quelli
di Caietano per le lezioni 3-14 del libro II); 2) sui secondi Analitici; 3) sulla Fisica; 4) sul De
Coelo et Mundo (Tommaso morì prima d’aver terminato il suo lavoro, che fu continuato,
dopo il libro III, lezione 8, dal suo discepolo Pietro d’Auvergne); 5) sul De generatione et
corruptione (il commento di Tommaso, incompiuto, è stato completato traendo soprattut
to dal commento di Alberto Magno); 6) sulla Meteorologia (commento terminato da una
persona diversa da Tommaso dopo il libro II, lezione 11). 7) Sul De anima (il commento
dei libri II e III è di Tommaso stesso, quello del libro I è stato redatto da un uditore delle
sue lezioni, Rainaldo da Piperno); 8) sui Parva naturalia (de sensu et sensato, de memoria
et reminiscentia, de somno et vigilantia); 9) sulla Metafìsica (edizione recente fatta dal P.
Cathala, Torino, Marietti, 1915); 10) sxx\YEtica Nicomachea; 11) sulla Politica (commento
terminato da Pietro d’Auvergne, dopo il libro III, lezione 6; o, secondo altri, dopo il libro
IV); cfr. De Rubeis, Dissert. 23 in voi. I Op. Omn. S. Thomae A q . , edizione leonina.
Sugli scritti di Tommaso e sull’autenticità dei suoi diversi opuscoli, ved. Mandonnet
o.p ., Des Ecrits authentiques de saint Thomas (estratto dalla Revue Thomiste, 1909-1910),
Friburgo (Svizzera), Convict Albertinum.
58) Strabone, Geogr., XIII, 1, 54; Plutarco, Vita di Siila, c. 26. La testimonianza di
Strabone ha una considerevole autorità. È dimostrato tuttavia che alcuni dei testi scientifi
ci più importanti di Aristotele erano conosciuti dai peripatetici e dai loro avversari nel III e
II secolo a.C. Bisogna dunque ammettere che il racconto di Strabone è esatto nella sua
parte positiva, per quanto cioè concerne la storia dei manoscritti acroamatici di Aristotele;
ma è inesatto o per lo meno esagerato nella sua parte negativa: copie più o meno complete
dei libri del filosofo dovevano circolare nella scuola peripatetica prima della scoperta di
Apellico. Si può tuttavia supporre con Hamelin che «non si leggeva affatto l’Aristotele
scientifico, nemmeno nella scuola peripatetica, che era degenerata. La scoperta d’Apellico
sarebbe venuta a rimettere in auge questo Aristotele». E sarebbe pertanto vero che prima
di questa scoperta e prima dei lavori di Andronico, gli scritti scientifici di Aristotele erano
non sconosciuti, come dice Strabone, ma almeno poco e male conosciuti.
59) Inoltre, essendo andato in parte perduto il lavoro di Boezio, certi libri dc\YOrga
no, ritrovati grazie agli arabi, vennero solo dopo il 1141 a figurare nella biblioteca filosofi
ca del medio evo, per costituire quel che allora si chiamava la logica nova (Analitici primi e
secondi, Topici, Sofismi). Cfr. De Wulf, Histoire de la Philosophie médiévale, seconda
edizione p. 149 sgg.
60) Alcune censure (decretate nel 1210 da un concilio della provincia di Sens riunito a
Parigi, rinnovate nel 1215 nello statuto concesso all’università di Parigi dal legato Roberto
de Cour?on, statuto confermato nel 1231 da Gregorio IX e nel 1263 da urbano IV) proibi
rono l’uso dei libri di Aristotele nelle lezioni pubbliche o private.
Si noti però che ognuno per conto suo e per suo uso personale, rimaneva libero, dice
M. Forget (Rapp. au Congr. scientif. intern. descath ., Bruxelles, 1894), di leggere questi
libri, di studiarli, di scrivere su di essi dei commenti. Inoltre tali censure valevano solo per
276
l’università di Parigi. Nel 1229 l’università di Tolosa, fondata e organizzata sotto l’alto
patronato del legato pontificio, attirava gli studenti annunciando la spiegazione dei libri
proibiti a Parigi. Infine proprio a Parigi, quando la facoltà delle arti inserì nel suo pro
gramma, a partire dal 1255, l’insegnamento pubblico della fisica e della metafisica, l’auto
rità ecclesiastica non pensò nemmeno di intervenire. Anzi, alcuni anni più tardi il papa Ur
bano IV stesso incoraggiava a proseguire nel loro lavoro Guglielmo di Moerbèke e Tom
maso d’Aquino, che rispettivamente traducevano e commentavano i trattati di Aristotele.
Cfr. Chollet, art. Aristotélisme de la Scolastique, nel Dictionnaire de Théologie, di Vacant
et Mangenet; De Wulf, Hist, de la Philosophie médiévale , 1900, p. 242.
61) Alcuni libri di Aristotele sembrano essere stati utilizzati in un primo tempo nella
versione arabo-latina; altri nella versione greco-latina.
Quest’ultima in ogni caso non tardò a soppiantare completamente l’altra. Tommaso
ha usato solamente versioni derivate direttamente dal greco.
62) La migliore di queste traduzioni è quella che, in seguito alla richiesta e secondo le
indicazioni di Tommaso, fece Guglielmo di Moerbèke, dal 1260 al 1270; è una traduzione
dell’opera intera di Aristotele, che ricalca per così dire il testo greco in una maniera assolu
tamente letterale.
63) Giustino, In IIApoi. cap. 13.
64) Omne verum a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est.
65) Summa Theologiae, I, q. 1, art. 3, a d 2.
66) Senza dubbio essi si occupavano anche di molti problemi riguardanti le scienze
particolari, poiché la differenziazione della conoscenza umana era allora molto meno
progredita che non ai nostri giorni; tuttavia il punto sul quale il loro sforzo verteva innan
zitutto non era questo e, almeno dopo Socrate, quelle fra le scienze particolari (astrono
mia, geometria, aritmetica, musica, medicina, geografia...) che l’antichità coltivò con
frutto, si svilupparono a parte, distinguendosi nettamente dalla filosofia. La storia stessa
delle scienze particolari, che nei tempi moderni hanno fatto così enormi progressi differen
ziandosi dalla filosofia e costituendosi in una struttura autonoma, mostra chiaramente che
esse non fanno parte della filosofia.
67) «έι μεν φ ιλοοοφ η τέον , φ ιλοσοφ η τέον , καί, εί μή φ ιλοσοφ η τέον , φ ιλοσοψ ητέον ,
π ά ν τ ω ς αρα φιλοσοφ ητεόν.»
Questo dilemma si trovava nel Προτρεπτικός, opera oggi perduta, di cui ci sono perve
nuti solo alcuni frammenti (cfr. fr. 50, 1483 b 29, 42; 1484, a, 2, 8, 18).
68) Per gli antichi, il termine filosofia indicava Tinsieme delle grandi discipline scien
tifiche (fisica o scienza della natura, matematica o scienza delle proporzioni, metafisica o
scienza dell’essere in quanto essere, logica ed etica). Non c’era dunque per loro il problema
di distinguere la filosofia dalle scienze. Il solo problema che avevano era di distinguere la
filosofia prima o metafisica dalle altre scienze. Noi invece, dopo l’immenso sviluppo rea
lizzato dalle scienze particolari, dobbiamo distinguere da queste scienze non solo la meta
fisica (scienza dei primi principi assolutamente parlando), ma anche lo studio dei primi
principi analizzati in un campo determinato (nel campo della matematica o in quello della
fisica, per esempio); costituendo questo insieme quel che chiamiamo la filosofia.
69) Soltanto la metafisica e la logica costituiscono ognuna, come si vedrà a suo tem
po, una scienza universale specificamente una.
70) Per esprimerci con precisione, diremo che non sussiste un oggetto formale unico
della filosofia, poiché la filosofia nel suo insieme non è puramente e semplicemente una,
ma consiste invece in numerose scienze distinte (logica, filosofia naturale, metafisica...),
specificate ciascuna di un oggetto formale distinto ( ens rationis logicum, ens mobile, ens in
quantum ens... Ved. più avanti cap. II). Ma fra questi oggetti formali delle diverse scienze
filosofiche c’è qualcosa di analogicamente comune: essi infatti fanno riferimento, ciascu
no nel suo ordine, alle cause più alte e più universali ovvero sono considerati dal punto di
vista di queste cause. Si può dire perciò che le cause più elevate costituiscono Toggetto fo r
male o il punto di vista formale analogicamente comune della filosofia presa nel suo insie
me.
71) Queste deviazioni e queste usurpazioni sono veramente molto frequenti. C’è, per
277
esempio, una maniera di trattare le geometrie non euclidee che fa deviare le matematiche
dal loro fine; le matematiche d’altra parte hanno invaso con Descartes il dominio di tutte
le scienze; ai nostri giorni, la fisica e la chimica usurpano costantemente i diritti della bio
logia, la medicina quelli della psicologia. Quanto poi alle usurpazioni della fisica o della
biologia sulla filosofia stessa, non si contano! (Citiamo, per esempio, le teorie pseudo
scientifiche sulla inesistenza delle cause finali , sulla irrealtà delle qualità, sul determini
smo, sull’atomismo, eccetera; o anche, dalla parte della biologia, il dogma trasformista e
il dogma meccanicista).
72) T. Richard, Philosophie du raisonnement dans la Science d ’après saint Thomas,
Parigi 1919, p.14.
73) Tommaso, Commento sulla Metafisica di Aristotele, proemium.
74) In realtà, secondo Comte, è la sociologia che ha il compito di scientia rectrix, ma
ordinando le scienze soltanto in funzione del soggetto umano, non in se stesse {sintesi sog
gettiva).
75) «Licet locus ab auctoritate, quae fundatur super ratione humana, sit infirmissi
mus, locus tamen ab auctoritate quae fundatur super revelatione divina, est efficacissi-
mus», Tommaso, Summa Thelogiae, I, q .l, art. S,ad2.
76) La teologia è la sapienza teorica per eccellenza; sapienza che conosce Dio per
mezzo dell’intelligenza e delle idee, cioè mediante i procedimenti normali della scienza
umana. Vi è un’altra sapienza più elevata ancora, che è un dono dello Spirito Santo; que
sta fa conoscere Dio sperimentalmente e attraverso la carità. Essa permette di giudicare
delle cose divine istintivamente, come l’uomo virtuoso giudica della virtù {per modum in
clinationis) e non scientificamente, come il moralista giudica della virtù {per modum co
gnitionis). Cfr. Tommaso, Summa Theologiae, I, q .l, art. 6, a d 3.
77) Questa luce ha valore in se stessa e nella filosofia basta a se stessa; la qual cosa
non impedisce che essa possa anche (ma nella teologia , non nella filosofia) servire come
strumento per una luce più alta; e questo non vuol dire certamente che la ragione umana
nei suoi principi stessi non sia subordinata all’intelligenza prima.
78) La teologia può orientare le ricerche del filosofo in un senso piuttosto che in un
altro; si può dire allora che essa lo dirige positivamente PER CASO. Ma ASSOLUTA-
MENTE PARLANDO, bisogna dire che la teologia dirige la filosofia solo negativamente,
come è stato spiegato sopra; essa non la dirige positivamente né in una maniera diretta,
fornendole i suoi mezzi di prova (come la fede riguardo all’apologetica) né in una maniera
indiretta, ordinando le sue diverse parti (come la filosofia stessa ordina le scienze).
79) Si potrebbe dire, è vero, che secondo le intenzioni di Descartes stesso si trattava
piuttosto di emancipare la filosofia dall’autorità di una certa teologia (della teologia sco
lastica) che egli considerava senza valore per il fatto che si appoggia, nella filosofia e nella
metafisica di cui si serve, sui principi di Aristotele.
In realtà, tuttavia, è con la teologia stessa che egli rompeva rompendo con la teologia
scolastica, che è la teologia tradizionale della Chiesa, poiché l’idea che egli si faceva della
scienza implicava dopo tutto la negazione del valore della teologia come scienza. E in ogni
caso la sua riforma ha avuto come effetto di condurre la filosofia a proclamare la sua indi-
pendenza assoluta riguardo alla teologia (cfr. Blondel, Le christianisme de Descartes, Re-
vue de Métaph. et de Morale , 1896).
80) La teoria della doppia verità , secondo la quale la stessa cosa può essere vera in fi
losofia e falsa in teologia, è stata inventata dagli averroisti del medio evo, che volevano in
tal modo sfuggire alle censure della Chiesa. Sotto forme diverse essa è stata ripresa nei
tempi moderni da tutti coloro che, come i modernisti d’oggi, [per comprendere il valore di
questo inciso dell’autore, occorre riferirsi alla data di composizione delTopera stessa,
n.d.t.] vogliono conservare la qualifica di cattolici e professare liberamente, in filosofia,
dottrine distruttrici di questa o quella verità dogmatica.
81) Questa differenza tra il caso della teologia in rapporto alla filosofia e quello della
filosofia in rapporto alle scienze particolari, proviene dal fatto che essendo la teologia una
partecipazione della sapienza divina, il soggetto umano si trova troppo debole nei suoi
confronti, ed è costretto, per trarre delle conclusioni, ad aiutarsi (come con premesse) con
278
le conclusioni a cui è giunta una disciplina inferiore.
Ma essendo la filosofia una sapienza umana, alla quale la ragione può attingere,
benché difficilmente, con le sue sole forze naturali, lo spirito umano deve poterne dedurre
le conclusioni sicure (e innanzitutto le conclusioni sicure metafisicamente) senza servirsi,
come di premesse, delle conclusioni delle scienze alle quali essa è superiore in dignità e in
certezza.
82) Ved. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, Parigi, Gabalda 1918, voi. I, cap. II.
83) Kleutgen, La philosophie scolastique, t.I, p.439.
84) Lettera del 5 marzo 1649.
85) Aristotele (Metafisica, I, 2) dice che la causa occasionale della filosofia è Γadmi
ratio (το θαυμάζειν), cioè lo stupore misto a timore, stupore che la conoscenza ha come ri
sultato di far scomparire. Intendiamo con questo termine lo stupore che non comprende,
non l’ammirazione che comprende. Il saggio non si stupisce di nulla, poiché conosce le ra
gioni supreme di tutte le cose, ma ammira molto più dell’ignorante. Cfr. De pari. anim., I,
5, 645 a 16: lv ηασι τόΐς φυσικοΤς ϊνεστι τί θαυμαστόν.
CAPITOLO SECONDO
86) «Res autem de quibus est Logica, non quaeruntur ad cognoscendum propter seip-
sas, sed ut adminiculum quoddam ad alias scientias. Et ideo logica non continetur sub phi
losophia speculativa quasi principalis pars, sed quasi quoddam reductum ad eam, prout
ministrat speculationi sua instrumenta, scilicet syllogismos et definitiones, et alia huiu
smodi, quibus in speculativis scientiis indigemus. Unde et secundum Boethium in Com-
ment. sup. Porphyrium , non tam est scientia quam scientiae instrumentum» (Tommaso,
Super Boethii de Trinitate, q.5, art. 1, ad 2). È pertanto solo riduttivamente che la logica
appartiene alla filosofia speculativa.
87) Cfr. Tommaso, Super Boethii de Trinitate, q.6, art. 1, ad 3: «Dicendum quod in
addiscendo incipimus ab eo, quod est magis facile, nisi necessitas aliud requirat. Quando
que enim necesse est in addiscendo non incipere ab eo quod est facilius, sed ab eo a cuius
cognitione cognitio sequentium dependet. Et hac positione oportet in addiscendo incipere
a Logica nop quia ipsa sit facilior scientiis ceteris; habet enim maximam difficultatem,
cum sit de secundo intellectis; sed quia aliae scientiae ab ipsa dependent, inquantum ipsa
docet modum procedendi in omnibus scientiis. Oportet enim primum scire modum scien
tiae (le condizioni proprie o i procedimenti del sapere) quam scientiam ipsam, ut dicitur II
Metaph».
88) Metafisica, II, 995 a 12; e Tommaso, lezione 5: «Quia enim diversi secundum di
versos modos veritatem inquirunt, ideo oportet quod homo instruatur per quem modum
in singulis scientiis sint recipienda ea quae dicuntur. Et quia non est facile, qud homo si
mul duo capiat, sed dum ad duo attendit, neutrum capere potest: absurdum est, quod ho
mo simul quaerat scientiam et modum qui convenit scientiae. Et propter hoc debet prius
addiscere logicam quam alias scientias, quia Logica tradit communem modum procedendi
in omnibus scientiis».
89) Si osservi che questa divisione della filosofia in speculativa e pratica si riferisce al
fine non alVoggetto stesso della scienza che, come tale, rimane sempre speculativa. Inol
tre, non riguarda la specificazione propriamente detta delle scienze filosofiche. Ved. più
avanti n. 58, testo a carattere minore, pp. 204.
90) Aggiungiamo che tra le scienze pratiche, una sola a dire il vero, l’etica, è vere et
proprie scientia, cioè procede dimostrativamente, in materia necessaria e comporta una
verità che consiste nel conoscere le cose conformemente a ciò che è, non nel dirigere come
si deve un’azione contingente. Le altre scienze pratiche (medicina, architettura, arte mili
tare, eccetera) sono arti e non scienze vere e proprie (cfr. Giovanni di San Tommaso, Logi
ca, II P ., q .l, art. 5, p. 209).
Ma se l’etica è una scienza vera e propria, non è (precisamente per questo) che im
propriamente pratica: poiché procede facendo conoscere (speculabiliter) non facendo agi
re (operabiliter) e dà molte regole prossime applicabili ai casi particolari, ma non è da essa,
279
è dalla virtù della prudenza che deriva la buona applicazione stessa e il buon uso di quelle
regole nel nostro agire (ved. più avanti, p. 198; Osservazione, e nota 160).
D ’altra parte, vedremo più avanti che anche la filosofia dell’arte è, in un certo senso,
una filosofia pratica. Ma è molto lontana dall’essere una scienza pratica, anche nel senso
improprio in cui lo è la morale; essa non considera che i principi e non può scendere sino a
regole prossime applicabili all’opera particolare da eseguire.
91) Perciò la filosofia pratica stessa è una sapienza teorica o per modo di conoscenza
(ved. sopra p. 81).
92) Cfr. T. Richard, op. cit. , p. 21.
93) Il problema dell’universale deve essere studiato in logica, in psicologia o in meta
fisica (critica)? In realtà deve essere studiato in queste tre trattazioni, da tre punti di vista
diversi, secondo che si consideri ciò che costituisce la natura dell’universale (punto di vista
della causa formale) o la maniera in cui l’universale viene formato dalla mente (punto di
vista della causa efficiente) o il valore dell’universale per la conoscenza (punto di vista del
la causa finale).
94) Si studiano comunemente in filosofia naturale o in metafisica le questioni concer
nenti la filosofia delle matematiche. Vi è nondimeno, come sembra, una profonda necessi
tà d’ordine da mantenere in quello che noi oggi chiamiamo la filosofia (conoscenza scienti
fica delle cose attraverso le cause prime), dato che la divisione fondamentale delle scienze
(il cui insieme costituiva per gli antichi la filosofia speculativa) in tre grandi parti: fisica,
matematica, metafisica, corrisponde ai tre gradi di astrazione (ved. p. 118, testo a caratte
re minore). Cfr. Aristotele, Metafisica, VI, 1: τρεΤς αν είεν φιλοσοφίαι θεωρητικοί, μαθη
ματική, φυσική, θεολγική. (1026 a 18).
È vero che, come più avanti si vedrà, la filosofia delle matematiche, per il fatto stesso
che studia l’essenza della quantità, e che è pertanto, almeno risolutivamente, metafisica,
esce dal campo specifico delle scienze matematiche e rimane propriamente distinta da
queste. È però altrettanto vero che essa ha rapporto col secondo grado di astrazione e che
richiede, a causa di questo, di essere studiata in una sezione speciale.
95) Nell’ordine logico delle scienze, le scienze della natura, che corrispondono al pri
mo grado di astrazione (ved. p. 118, testo a carattere minore) precedono le scienze mate
matiche, che corrispondono al sécondo grado di astrazione, in modo che, seguendo questo
ordine, bisognerebbe dividere la filosofia speculativa in: 1) filosofia della natura (corri
spondente al primo grado di astrazione); 2) filosofia delle matematiche (corrispondente al
secondo grado di astrazione); 3) metafisica (corrispondente al terzo grado di astrazione).
Conviene però porre la filosofia delle matematiche prima della filosofia della natura,
e questo per due ragioni.
Per un verso le verità d’ordine matematico sono più facili che non le verità d’ordine
naturale, che postulano l’esperienza; per questo in una maniera generale le matematiche
debbono essere insegnate ai bambini prima delle scienze della natura, per lo studio delle
quali bisogna essere più avanti negli anni (Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, VI; Tomma
so, Super Boethii de Trinitate, q.5, art. 1, ad 3).
Sarà pertanto opportuno osservare la traccia di questo ordine nella filosofia e iniziare
la mente allo studio della filosofia naturale, mediante lo studio della filosofia delle mate
matiche.
Dall’altro verso, e soprattutto, la filosofia della natura viene a contatto, attraverso
l’ultima e la più nobile delle sue parti (la psicologia) con la metafisica. E tale continuità
verrebbe infranta se si frapponesse tra la filosofia della natura e la metafisica, la filosofia
delle matematiche.
Nel XVII secolo, Silvestro Mauro affermava (in questo non era che l’interprete della
tradizione aristotelica) che l’ordine naturale da seguire nell’insegnamento è: 1) logica; 2)
matematica; 3) fisica; 4) metafisica {Quaestionesphilosophicae, lib. I, q.VII. Citato da p.
Gény, Questions d*enseignement dephilosphie scolastique, p. 40).
Circa il posto assegnato alla metafisica e particolarmente all’ontologia, ved. sopra
prefazione, par. II.
96) La scienza dell’uomo ha pertanto questa particolarità singolare (che le deriva dal
280
la natura stessa del suo oggetto), di essere a cavallo di due scienze distinte, filosofia della
natura e metafisica. Per questo, tutte le questioni che riguardano Γintelligenza e la parte
propriamente spirituale della psicologia, comportano nell’uomo una così grande comples
sità e sono per così dire obumbrate dalla materia. E si comprende perciò come i tomisti,
per meglio studiare tali questioni allo stato puro, le abbiano considerate non nell’uomo ma
nell’angelo. Donde l’estrema importanza, non soltanto teologica, ma anche filosofica e
metafisica, del trattato De Angelis.
97) Si noti che la psicologia dei moderni non corrisponde esattamente al trattato sull’a
nima degli antichi. Il περί ψυχής (De anima) di Aristotele non studia soltanto l’anima uma
na, ma anche l’anima in generale come principio di vita (vita vegetativa come vita sensitiva
e vita intellettiva). Questo trattato corrisponde quindi contemporaneamente a ciò che si
chiama oggi la biologia e la psicologia.
98) Questa tendenza si ritrova anche in Kant (in morale, Soprattutto), benché egli
neghi con i fenomenisti che la ragione possa dimostrare l’esistenza dell’anima.
99) Il nome di metafisica deriva dal fatto che nel catalogo delle opere di Aristotele re
datto da Andronico di Rodi, il trattato consacrato alla filosofia prima (περί της πρώτης φ ι
λοσοφίας, era questo verosimilmente il titolo che Aristotele stesso voleva dargli) vine dopo
i libri che trattano della natura (μετά τά φυσικά). Sembra peraltro che Aristotele abbia se
guito cronologicamente il medesimo ordine nella composizione stessa delle sue opere.
100) Distinguendo così la critica della logica e facendo della critica la prima parte o i
priliminari specifici o anche, se si vuole, Vintroduzione apologetica della metafisica, se
guiamo l’ordine e le divisioni di Aristotele stesso, che tratta sommariamente della critica
nel IV libro della Metafisica , prima di abbordare i grandi problemi dell’essere in quanto
essere.
101) Cfr. Summa theologiae, II - II, q. 172, art. 6: «Sicut se habet bonum in rebus,
ita verum in cognitione. Impossibile est autem inveniri aliquid in rebus, quod totaliter bo
no privetur: unde etiam impossibile est esse aliquam cognitionem quae totaliter sit falsa
absque admixtione alicuius veritatis».
102) Tesi di Descartes, e dopo di lui di tutta la filosofia soggettivistica.
103) La conoscenza intellettuale ha luogo per mezzo delle idee. Ma le idee sono pura
mente ciò per cui (id quo) e non ciò che (id quod) noi conosciamo direttamente; esse sono
un puro mezzo di conoscere e non (se non in modo riflesse) un oggetto o termine conosciu
to; per questo bisogna dire che l’essere delle cose è l’oggetto immediato della nostra cono
scenza intellettuale ( immediato , cioè conosciuto senza l’intermediario di un altro termine o
oggetto prima conosciuto).
104) Cfr. Aristotele, Metafisica , V.
105) Le nozioni esposte nei nn. 50, 51, 52 presentano per dei principianti, a causa del
loro carattere molto astratto, una certa difficoltà. Tuttavia è impossibile ometterle, poiché
la loro importanza è veramente primordiale. Crediamo particolarmente che sia molto im
portante precisare con la più grande cura, sin dall’introduzione, la nozione capitale di es
senza. Come osserva il p. Gény (Questions d ’enseignement dephilosophie scolastique, op.
cit. , pp. 79-81), l’assenza, nei corsi classici, di uno studio speciale consacrato a tale nozio
ne costituisce una lacuna delle più deplorevoli. I materiali per uno studio del genere sono
sparsi qua e là, ma «non è forse per il fatto che ci si dimentica di riunirli, che il termine es
senza, alle soglie della metafisica, suscita oggi tanta diffidenza o, se si fa accettare, lascia
nelle menti tanto di vago?».
Si dovranno pertanto studiare con una cura speciale le nozioni qui esposte, ma senza
tentare ancora di penetrarle perfettamente. È sufficiente per il momento prendere con esse
un primo contatto. Più tardi, quando le si ritroveranno in ontologia, dopo essersi fami-
gliarizzati un po’ di più con la filosofia, appariranno molto più facili.
106) Si osservi che nell’esistenza stessa si possono considerare due cose: l’esistenza
come fatto di esistere (exsistere in actu exercito) e l’esistenza cóme oggetto di pensiero (ex
sistentia ut quod quid est); da questo secondo punto di vista 1’esistenza stessa riveste la
condizione oggettiva di ogni oggetto di pensiero, ed è davanti all’intelligenza come un’es
senza determinata o quiddità. «Esse dupliciter sumi potest, scilicet in actu exercito ipsius
281
exsistentiae, et per modum quidditatis; et ut exercet exsistentiam, addit supra seipsum ut
quod quid est; et consequenter ut objectum intellectus est abstractus (quam ut objectum
voluntatis): quia est objectum voluntatis secundum quod stat in actu exercito exsistentiae,
intellectus autem secundum quod rationem habet quidditatis cuiusdam in seipso» Caieta-
no, In Iam, q. 82, a.3.
107) «Non enim res intelligibilis est nisi per suam definitionem et essentiam.» Tom
maso, De Ente et Essentia, Cap. 1.
108) L’essenza, considerata in quanto è attribuita alla cosa {uomo, quando si dice,
per esempio, Pietro è un uomo) è propriamente ciò che la cosa è necessariamente e innan
zitutto come intelligibile. L’essenza considerata a parte o allo stato puro (come quando si
dice, per esempio, l'umanità o l'essere uomo, e non si può dire allora Pietro è l'umanità o
Pietro è l'essere uomo) è propriamente ciò per cui una cosa è quello che è necessariamente
e innanzitutto come intelligibile, o ancora ciò per cui essa è costituita in un grado determi
nato d’essere primieramente intelligibile. È pertanto opportuno, se si considera l’essenza
allo stato puro, sostituire nelle nostre sinossi l’espressione ciò che una cosa è con l’espres
sione ciò per cui:
109) Il ricalco latino dell’espressione greca è quod quid erat esse, id est, dice Tomma
so {De Ente et Essentia, cap. 1) hoc per quod aliquid habet esse quid, quel che fa sì che un
oggetto qualunque di pensiero sia questo o quello.
110) O anche, in una forma più sviluppata: id quod primo in re concipitur, sine quo
res esse non potest, estque fundamentum et causa caeterorum quae sunt in éadem re; ut
animal rationale est hominis essentia.
111) Fatta eccezione per gli esseri di ragione, di cui non si può dire propriamente che
abbiano un’essenza (ved. prima, nota h, cap. II).
112) Essentia dicitur secundum quod per eam et in ea res habet esse, Tommaso, De
Ente et Essentia, cap. 1.
113) «Quidditas est ipsa rei entitas considerata in ordine ad definitionem explicantem
quid illa sit. Entitas vero rei considerata in ordine ad esse, dicitur essentia; in ordine ad
operationem dicitur natura.»
114) E può afferrare direttamente (mediante un concetto proprio) queste essenze
complete o completamente determinate, almeno se si tratta delle cose che sono alla nostra
portata immediata, cioè, come si vedrà in psicologia, delle cose corporali. (Noi cogliamo,
per esempio, completa o completamente determinata, l’essenza di Pietro, quando le co
nosciamo non soltanto come essere vivente o come animale, ma come uomo.)
115) Anche in tal caso essa può determinarle solo mediante l’aiuto di una caratteristi
ca apparente, prima conosciuta da noi (la facoltà di ragionare, per esempio, per la natura
umana), di cui essa vede che la necessità entra nella loro costituzione.
116) Se, per esempio, posso dire Pietro è un uomo, ciò avviene perché la cosa (l’og
getto materiale) che percepisco sotto l’oggetto di pensiero uomo è identica alla cosa che
percepisco sotto l’oggetto di pensiero Pietro. Quando vado dall’esistenza delle cose nella
mia mente alla loro esistenza nel reale, devo dire pertanto che l’oggetto di pensiero uomo,
che è uno nella mia mente, si moltiplica in tutti gli individui in cui si trova realizzato e si
identifica con ciascuno d’essi.
282
117) Cfr. Aristotele, Metafisica, VII,8, 1033 b 22, 10, 1035 b 14. Noi parliamo qui
soltanto delle cose corporali, le sole che siano alla nostra portata immediata (che siano
connaturali all’intelligenza umana), le sole perciò di cui possiamo conoscere l’essenza di
rettamente (in altro modo che per analogia) e di cui possiamo conoscere l’essenza comple
ta o completamente determinata.
118) Da tutte queste osservazioni consegue che quando diciamo, per esempio, «Pie
tro e Paolo hanno la medesima essenza o la medesima natura» il termine medesima si rife
risce all’essenza di Pietro e di Paolo sotto lo stato in cui si trova nella mente (poiché ivi es
sa è un oggetto di pensiero uno e il medesimo), non sotto lo stato in cui è nel reale (poiché
ivi esa è identificata a Pietro e a Paolo, individui differenti). Ma poiché l’essenza in que
stione non è individuale in se stessa (secundum se), in altre parole, poiché non è distinta in
Pietro e in Paolo come essenza , bisogna dire che essa è in Pietro e in Paolo tale che può es
sere còlta dalla mente in un solo concetto e costituire in esso un oggetto di pensiero uno e il
medesimo. È quello che si esprime dicendo che l’essenza, formalmente universale nella
mente, è fondamentalmente universale nelle cose o nel reale. (Come si vedrà in logica mag
giore, la natura si trova, nella mente , sotto uno stato di universalità logica o formale , co
me quando diciamo: uomo è l ’essenza di Pietro e di Paolo , o sotto uno stato di universali
tà metafisica o fondamentale, come quando diciamo: l’uomo è mortale. Il vocabolo fon
damentale si riferisce in questo caso fondamento prossimo dell’universalità. Quando in
vece diciamo che la natura o l’essenza è fondamentalmente universale nel reale, si tratta
qui άύ fondamento remoto dell’universalità.)
119) Noi parliamo qui delle cose conosciute dalla nostra intelligenza, non trattiamo il
problema di sapere come essa conosca il suo proprio atto individuale e immateriale.
120) Cfr. Tommaso, De Veritate, q.2, art. A. a d ì : «Intellectus noster singularia non
cognoscens, propriam habet cognitionem de rebus, cognoscens eas secundum proprias ra
tiones speciei».
121) Non parliamo qui delle caratteristiche puramente contingenti che differenziano
un individuo da un altro: Pietro è a Parigi, per esempio, mentre Paolo è a Roma; Pietro è
ricco mentre Paolo è povero, eccetera. Parliamo delle caratteristiche che dipendono dal
l’essere costitutivo dell’individuo, dalle caratteristiche innate, che, almeno in radice, non
possono mutare.
122) Benché in tutt’altro modo di quanto non lo siano le caratteristiche che derivano
dall’essenza (le proprietà). Ved. più avanti la nota 128.
123) In quanto materia signata quantitate, come si vedrà in filosofia naturale. È chia
ro che gli esseri assolutamente incorporei o immateriali (spiriti puri) non possono derivare
la loro individuazione dalla materia prima. Essi l’hanno solo dalla loro essenza stessa e
ognuno differisce perciò dall’altro come il cavallo, per esempio, è differente dall’uomo,
essendo ognuno un’essenza specifica propria a lui solo. Non vi sono due esseri essenzial
mente eguali in quel mondo. Negli spiriti puri di conseguenza (ma unicamente qui) l’essen
za è qualcosa di individuale, e la nozione di essenza completa si confonde con quella di na
tura individuale.
124) In questo senso T ommaso scrive che formae et perfectiones rerum per materiam
determinantur {De Veritate, q.2, art. 2).
125) Aristotele , Metafisica, VII, 7, 1032 b 14: λέγω ό’ούσίαν ανευ ϋλης rò τι 7jv είναι.
126) Cfr. Tommaso, De Ente et Essentia, cap. 2: «Haec materia {signata) in defini
tione hominis in quantum homo non ponitur; sed poneretur in definitione Socratis, si So
crates definitionem haberet. In definitione autem hominis ponitur materia non signa
ta...». Ne consegue: 1) che Socrate ha la sua essenza non precisamente in quanto è Socra
te, ma in quanto è uomo, poiché l’essenza è quel che esprime la definizione. Cfr. De Veri-
tate, q.2, art. 2, ad 9) e non c’è definizione di Socrate in quanto Socrate. La natura indivi
duale di Socrate è l’essenza uomo individuata dalla materia signata', 2) che l’essenza consi
derata allo stato puro o separato, come quando diciamo l’umanità o l’essere uomo, può
essere considerata come l’essere reso immateriale (purificato dalle designazioni provenien
ti dalla materia signata) o come l’essere formale della cosa tutt’intera (materia — non indi
viduale — e forma compresa). È in questo senso che gli antichi davano all’essenza (com
283
prendente essa stessa la materia — non individuale — e la forma) il nome di forma (forma
totius ): «Et ideo humanitas significatur ut forma quaedam. Et dicitur quod est forma to
tius,... sed magis est forma quae est totum, scilicet formam complectens et materiam, cum
praecisione tamen eorum per quae materia est nata designari» Ibid . , cap. 3). Si osservi be
ne che se la materia individuale (cioè haec ossa, hae carnes) non è parte dell’essenza o na
tura specifica, per contro, la materia non individuale o materia comune ( ossa et carnes) ne
è parte. Quello che costituisce l’uomo, non è l’anima soltanto, ma il composto anima e
corpo. (Cfr. Metafisica , 1. VII, lez. 10 di Tommaso, nn. 1492 e 1496, ediz. Cathala.)
Questa materia non individuale o comune, essendo considerata semplicemente in quanto
riceve la forma ed è da questa determinata e non in quanto prima radice di certe designa
zioni (designazioni individuali) del soggetto, è conosciuta da noi mediante la forma ( mate
ria cognoscitur per formam, a qua sumitur ratio universalis, Tommaso, op.cit. Cfr. De
Ventate., q. 10, art. 4 e 5) ed è parte di ciò che noi qui chiamiamo l’essere immateriale (es
sere archetipo) o essere formale della cosa (forma totius, seu potius forma quae est totum).
127) C’è di più (queste note individuanti, questo temperamento, per esempio) nella
natura individuale che non nell’essenza, ma dal lato della materia, non da quello dell’esse
re puramente intelligibile o essere immateriale. Le note individuanti non fanno parte di
questo essere e non gli aggiungono niente, nel suo ordine.
Si osservi qui che le caratteristiche individuali (biondo, sanguigno, eccetera), per il
fatto che sono dalla parte della materia, sono necessarie e immutabili, diversamente dalle
caratteristiche che derivano dall’essenza (le proprietà). Queste ultime sono necessarie di di
ritto , come derivanti da un principio costitutivo dell’essenza e che le esige per la sua nozio
ne stessa: è assolutamente impossibile che Pietro sia, senza essere mortale. Le caratteristi
che individuali, al contrario non sono necessarie che di una necessità di fa tto , come deri
vanti da determinate disposizioni della materia, supposte come date. Se è impossibile che
Pietro sia senza avere quel temperamento, è supposto che sussitano determinate condizio
ni materiali, in ragione elle quali Pietro ha quella natura individuale, ma che in se stesse
non sono necessarie. Queste caratteristiche peraltro possono modificarsi in una certa mi
sura e sono immutabili solo nella loro radice.
128) Noi parliamo sempre delle cose che sono alla nostra portata immediata, cioè del
le cose corporali, che l’intelligenza umana non può cogliere direttamente nella loro indivi
dualità per il fatto che, costretta a trarre dalle immagini le sue idee del tutto immateriali,
essa deve per ciò stesso fare astrazione da ciò che costituisce la materialità della conoscen
za sensitiva, cioè la materia individuale.
Quanto alle cose immateriali (puri spiriti), la nostra intelligenza è parimenti incapace
di afferrarle nella loro individualità, ma per una ben diversa ragione: poiché i puri spiriti
sono al di fuori della nostra portata immediata e non possono essere conosciuti da noi se
non per analogia, non per la loro essenza e senza che noi possiamo cogliere la loro essenza
completa.
129) Almeno se si tratta del mondo delle cose corporali. Nel mondo degli spiriti puri
invece l’essenza è individuale (ved. sopra nota 124). E se conosciamo le essenze delle cose
spirituali alla maniera di un universale, ciò accade perché non le conosciamo che in una
maniera inadeguata e per analogia con le cose corporali prima conosciute da noi.
L’espressione natura individuale non è rara in Tommaso (cfr. De Veritate, q.2, art. 5,
natura singularis; Summa theologiae I-II, q.51, art. 1, natura individui, eccetera); si trova
anche in lui, ma in un caso eccezionale, l’espresione essentia singularis (cfr. De Ventate,
q.2, art. 7); checché ne sia della proprietà del termine, questo, in ogni caso, non significa
per Tommaso altro che l’essenza individualizzata dalla materia (e non, in un senso spino-
zista, l’essenza in quanto non sarebbe completa come essenza se non nell’individuo).
130) Ved. nota 150.
131) Noi parliamo qui dei soggetti creati; una persona increata (divina) ha in se stessa
tutto ciò che occorre per esistere d’una esistenza non ricevuta. Quando diciamo che la so
stanza personale non è in alcun modo parte di un tutto nel quale essa esisterebbe, il termi
ne tutto designa evidentemente un tutto che è uno per sé (ved. p. 188) e non un tutto collet
tivo come l’universo, per esempio.
284
132) Tale formula è preferibile, poiché resistenza stessa non può entrare come parte
costitutiva nella definizione di alcuna cosa creata. Cfr. peraltro Tommaso, Quodlibet, 2,
q. 2, art. 4, ad 2: ipsum esse non est de ratione suppositi.
133) Ved. nota 108.
134) Per il fatto che io la concepisco come provvista di un certo modo o di una certa
maniera di essere, che i filosofi chiamano sussistenza o personalità e che la termina un po’
come un punto termina una linea.
In questa introduzione non pretendiamo di apportare la soluzione del problema della
sussistenza (distinzione della natura e della persona), che costituisce uno dei più importan
ti problemi dell’ontologia. Ponendoci dal punto di vista pedagogico della coerenza dell’e
sposizione, abbiamo voluto soltanto presentare e distinguere le nozioni in modo tale che
siano nettamente precisate in una sintesi completa sin dall’inizio e indicare in nota i punti
di contatto di questa sintesi con le soluzioni che proporremo più avanti.
135) La concepisco allora facendo astrazione da quel modo d’essere chiamato sussi
stenza o personalità, che la termina. Posso parimenti pensare ad una linea, facendo astra
zione dal punto che la termina; in tal caso la linea così esaminata non è più altro che una
parte nel tutto costituito dalla linea e dal punto considerato insieme ed essa esiste in questo
tutto.
136) In ragione della sua essenza nel senso proprio, se si tratta di un soggetto pura
mente spirituale; in ragione della sua natura, nel senso di natura individuale, se si tratta di
un soggetto corporale. Ved. nota 150.
137) La definizione dell’essenza data prima (a p. 161) conviene agli accidenti se si
pensa al soggetto sotto un certo rapporto. Considerato in un senso concreto, come attri
buito alla cosa ( triste, quando si dice, per esempio, Pietro è triste), l’accidente è ciò che
una cosa è anzitutto come intelligibile sotto questo o quel rapporto (essere triste è per Pie
tro la ragion d’essere di queste e quelle caratteristiche che derivano necessariamente dalla
tristezza). Considerato in una maniera astratta, a parte o allo stato puro (come quando si
dice, per esempio, la tristezza), è ciò per cui una cosa è quello che è prima di tutto come in
telligibile sotto questo o quel rapporto.
Si può anche prendere qui il termine essenza non piu in riferimento al soggetto Pietro,
ma in riferimento agli accidenti stessi, e dire che la tristezza è ciò per cui una determinata
passione è ciò che è anzitutto come intelligibile.
138) Si denomina anche il soggetto d’azione «ύπόστασις (ipò-stasi)», «πρώτον υποκεί
μενον, primum subjectum attributionis».
139) Si osservi che il vocabolo sostanza (substantia) corrisponde alla parola greca ou-
sìa ( ούσία) presa in senso stretto. La parola ουσία significa in primo luogo essenza o natu
ra; ma le sostanze, essendo il primo oggetto al quale si volge l’intelligenza quando riflette
su ciò che esiste, sono pure per ciò stesso il primo oggetto in cui l’intelligenza incontra la
nozione d’essenza, in altre parole sono le prime cui spetta il nome di essehza o di natura.
Pertanto, il termine ούσία, che preso in generale significa essenza e si suddivide allora in
sostanza ed accidente, è giunto a designare in modo del tutto naturale, in senso stretto, il
primo membro di questa suddivisione, cioè la sostanza.
140) Si vedrà più avanti (in ontologia) che il soggetto d ’azione {sostanza personale o
persona) non è altro che la natura sostanziale compiuta in un certo modo (sussistenza o
personalità), che la termina, come un punto termina una linea (senza nulla aggiungere ad
essa nel suo ordine di natura) e che la rende assolutamente incomunicabile.
La parola sostanza (corrispondente al greco ουσία, che significa in primo luogo essen
za , ved. la nota precedente) la parola sostanza indica la natura sostanziale senza precisare
se è terminata o no dalla sussistenza; conviene perciò contemporaneamente e alla natura
(percepita dalla mente senza la sussistenza che la termina) e al soggetto d’azione (natura
terminata oppure natura compiuta). Ma quando si distingue e si oppone l’uno all’altra la
natura (non terminata) e il soggetto d’azione, il vocabolo sostanza rimane congiunto alla
natura (non terminata) e si oppone allora al soggetto d’azione considerato come tale. Così,
per esempio, dicendo la sostanza di Pietro , si designa precisamente la natura per la quale il
soggetto d’azione Pietro ha l’essere primo e che fa parte di lui. Così pure d’altra parte i
285
teologi dicono che nella Trinità divina il Padre e il Figlio (che sono due persone distinte)
hanno la stessa sostanza, sono consustanziali, δμοούσιοι.
Invece il termine greco ύπόστασις (ipòstasi, che ha la stessa formazione etimologica di
sub-stantia ) si è fissato, dopo alcune oscillazioni, sul soggetto d’azione considerato come
tale {persona), al quale esclusivamente si riferisce; e si oppone a sostanza considerata nel
senso di natura non terminata dalla sussistenza.
Se si fosse tentati di misconoscere Pimportanza vitale di queste nozioni e di queste di
stinzioni astratte, ci si potrebbe ricordare che per il termine ομοούσιος, da cui dipende la
vera conoscenza della Trinità e che non differisce che per uno iota dal vocabolo eterodosso
δμοιούσιος, i cattolici, al tempo dell’eresia ariana, hanno sofferto ogni genere di persecu
zioni e talora la morte.
141) Cfr. Giovanni di san Tommaso, Cursus philosophicus, t.I, Logica , II P ., q. 15,
a. l.
142) L’esistenza stessa non può essere una parte costitutiva di alcuna natura creata.
Per qusto bisogna definire la sostanza una cosa o natura fatta per esistere per se, o alla
quale conviene esistere per se. La stessa osservazione è stata fatta sopra riguardo alla so
stanza personale (nota 131).
Precisiamo il senso della definizione proposta: se si intende perse (o in se) nel senso li
mitato che qui indichiamo nel testo, tale definizione significherà: la sostanza è una natura
cui conviene esistere per se (o in se) a titolo di natura o essenza, nella sostanza personale
che essa costituisce una volta che è terminata dalla sussistenza. Se si intende perse (o in se)
nel senso assoluto in cui questa espressione è stata da noi usata prima (p. 169), la definizio
ne proposta significherà: la sostanza è una natura cui conviene essitere perse (o in se) a ti
tolo di soggetto d’azione (sostanza personale o persona).
143) Quello che il termine sostanza indica è una cosa fatta per esistere in sé, o per sus
sistere, cioè per tenersi in se stessa esistendo (funzione di subsistere), in modo che, una vol
ta che esiste, essa sostiene nell’essere le realtà aggiunte o accidenti che la rivestono (funzio
ne di substare). Ma è solo in quanto sostanza personale che la sostanza è immediatamente
idonea ad esercitare queste due funzioni. Considerata come natura o essenza, essa chiede
soltanto di esercitarle.
144) Metafisica, VII, 1.
145) Indubbiamente, quando Pietro cresce, questo cambiamento tocca la sua sostan
za stessa, che aumenta; ma la tocca unicamente sotto il rapporto della quantità, non la toc
ca certo in quanto sostanza.
146) L’accidente di cui parliamo qui è l’accidente predicamentale, che si oppone alla
sostanza. Il termine accidente, in quanto si oppone alla proprietà e in quanto indica un
predicato che non deriva dall’essenza (accidente predicabile), ha un altro significato, che
sarà studiato in logica.
Se si pensa all’accidente predicamentale o all’opposizione tra sostanza e accidente
(opposizione tra esseri reali), l’espressione capace di ridere, per esempio, si riferisce ad un
accidente (l’intelligenza, grazie alla quale l’uomo è capace di ridere, è un accidente real
mente distinto dalla sostanza). Se invece si pensa all’accidente predicabile, cioè all’opposi
zione fra quegli esseri di ragione logici {predicabili) che vengono chiamati genere, specie,
differenza specifica, proprio o proprietà, accidente, allora l’espressione capace di ridere
indica non un accidente, ma una proprietà (un predicato che vien detto del soggetto come
qualcosa che non entra nella costituzione del suo essere specifico ma che ne deriva necessa
riamente).
Inversamente, se si pensa all’accidente predicamentale, bisogna dire che le caratteri
stiche individuanti (avere questo temperamento, quell’ereditarietà) sono, almeno nella lo
ro radice, d’ordine sostanziale e non d’ordine accidentale). Se al contrario si pensa all’ac
cidente predicabile, bisogna dire che si tratta di accidenti (di predicati che si dicono del
soggetto, come qualcosa che non entra nella costituzione della sua essenza specifica e che
non ne deriva).
147) Possiamo ragionare così per il fatto che si tratta di cose che sono proporzionate
alla nostra intelligenza, che le afferra mediante un concetto proprio e distinto (di cose che
286
sono, come si dice, conosciute per la loro essenza). In un caso simile, se due concetti sono
interamente esteriori l’uno all’altro, ciò avviene perché le cose che presentano alla mente
differiscono realmente l’una dall’altra, altrimenti la nostra intelligenza sarebbe falsa. Si
dimostra con ciò, per esempio, che la quantità o l’estensione è un accidente realmente di
stinto dalla sostanza corporale e che in ogni cosa creata l’essenza è realmente distinta dal
l’esistenza. (Cfr. su quest’ultimo punto Giovanni di San Tommaso, Cursus philosophicus,
t. II, Philosophia Naturales, q.7, a.4). (Nel caso della distinzione di ragione — Ved. Logi
ca Maggiore — abbiamo sì due concetti distinti, ma non interamente esteriori l’uno all’al
tro. Così si distingue in Pietro l’essere uomo e l’essere animale, che nella realtà fanno un
essere solo. Ma il concetto di uomo, lungi dall’essere esteriore a quello di animale, al con
trario lo implica).
148) Nel vocabolario aristotelico-scolastico, l’espressione substantia prima , ούοία
πρώτη, indica (ved. sopra nota 141) la natura individuale del soggetto d’azione senza preci
sare se è terminata o no dalla sussistenza, e assai di frequente si trova in realtà a designare
la natura terminata o soggetto d’azione, Vhoc aliquid ; essa non significa tuttavia formal
mente il soggetto d’azione considerato come tale e in opposizione alla natura (non termi
nata); questo compito è riservato ai termini suppositum e persona (υπόστοσις).
Si osservi che la distinzione tra il soggetto d’azione e la natura (non terminata dalla
sussistenza) è soprattutto opera degli scolastici. Aristotele stesso non l’ha esplicitamente
sviluppata.
149) Considerata proprio come ciò per cui il soggetto ha l’essere primo, la sostanza
— substantia prima — è pertanto la natura individuale del soggetto. Abbiamo detto prima
(pp. 167-168) che ciò per cui la cosa postula l’esistenza è l’essenza universale e l’abbiamo
detto perché consideravamo precisamente ciò che è la ragione grazie alla quale la cosa po
stula 1’esistenza, in opposizione a ciò che non è altro che una condizione o uno stato sotto
il quale la cosa deve trovarsi per esistere. Ma qui si tratta di ciò in ragione del quale la cosa
esiste, considerato precisamente sotto lo stato richiesto per esistere; e ci troviamo dinanzi
non all’essenza universale, ma alla natura individuale del soggetto.
150) Così nel mondo degli spiriti puri e là soltanto (ove non c’è alcuna distinzione da
fare tra natura individuale ed essenza, cfr. sopra nota 124 e nota 130), la sostanza , nel si
gnificato primo della parola è anche l’essenza propriamente detta. Nel mondo materiale,
al contrario, la sostanza nel significato primo della parola è la natura individuale del sog
getto, e l’essenza propriamente detta è solo secondariamente chiamata sostanza.
151) Il quod e il quo. Abbiamo già osservato (ved. sopra nota 108) che l’essenza con
siderata in un modo concreto o come attribuita alla cosa (CIÒ CHE una cosa è anzitutto
come intelligibile), non è presentata alla mente allo stato puro ; in effetti essa viene allora
presentata alla mente con la cosa o il soggetto che determina. Per averla allo stato puro bi
sogna pensarla a parte, senza la cosa o il soggetto che determina, come quando si dice, per
esempio l’umanità, o, forzando il linguaggio, l ’essere uomo, l ’entità uomo. Essa si defini
sce in tal caso CIÒ PER CUI una cosa è quel che è anzitutto come intelligibile, o anche
CIÒ PER CUI una cosa è costituita in un grado determinato d’essere primariamente intel
ligibile. Per questo conviene sostituire nelle nostre sinossi l’espressione CIÒ CHE con
l’espressione CIÒ PER CUI. Si ottiene così in definitiva il seguente schema:
287
Come vedremo più tardi, in ontologia, la distinzione del quod e del quo ha una parte
di primo piano nell’analisi metafisica delle cose.
152) Esistere per se o in se può, come abbiamo visto, (ved. sopra p. 150 e pp. 153-
154) essere inteso in una maniera più o meno rigorosa in modo da applicarsi sia alla so
stanza , in generale, (in questo senso, ciò che esiste perse e in se ha in sé ciò che occorre per
ricevere Γesistenza e non è parte di un tutto già esistente), sia esclusivamente al soggetto
d ’azione (sostanza personale o persona , che ha in sé TUTTO ciò che occorre per ricevere
1’esistenza e che non esiste IN ALCUN MODO come parte di un tutto).
153) Cfr. Etica , p. I, prop. VII.
154) Principia philosóphiae, lib. I, art. 51.
155) Sarebbe interessante mostrare come la filosofia, dopo che ha abbandonato la
tecnicità scolastica, si è messa progressivamente a parlare in una maniera materiale e non
più formale. Donde molti problemi mal formulati e una moltitudine di malintesi, sia tra fi
losofi moderni, sia soprattutto tra filosofi moderni e filosofi antichi, attaccati alle locuzio
ni formali.
Si può osservare inoltre che certi termini filosofici, presi in un senso materiale, hanno
acquisito un significato interamente diverso dal loro significato primitivo. Così è accadu
to, per esempio, con la parola oggetto. Per gli antichi, oggetto significava ciò che è posto
dinanzi alla mente o presentato alla mente, considerato formalmente come tale. Donde nel
caso degli esseri di ragione come la chimera, si dirà che questi esseri esistono oggettiva
mente o a titolo di oggetti presentati alla mente, ma non realmente o a titolo di cose situate
fuori della mente. Al contrario, i moderni intendono per oggetto la cosa stessa, o il sogget
to, che si trova ad essere presentato alla mente; ed esistere oggettivamente diventa sinoni
mo di esistere realmente o fuori della mente.
156) Si osservi tuttavia che si trova talvolta l’espressione potenzialmente, in potentia,
usata impropriamente nel senso di virtualmente.
157) Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence, sa nature, Parigi, Beauchesne, terza
edizione, 1920.
158) Il termine estetica, che è diventato d’uso corrente, sarebbe qui doppiamente
improprio: gli autori moderni intendono effettivamente con questa parola la teoria del bel
lo e dell*arte, come se le questioni concernenti il bello considerato in se stesso dovessero es
sere trattate nella filosofia dell’arte (mentre questi problemi debbono venire trattati in on
tologia) e come se non ci fossero che le belle-arti da considerare nell’arte (la qual cosa vizia
tutta la teoria dell’arte). D ’altra parte, il termine estetica si riferisce etimologicamente alla
sensibilità ( α ισ θ ά ν ο μ α ι = sentire): ora, l’arte, come il bello del resto, riguardano l’intelli
genza almeno tanto quanto la sensibilità.
I trattati scolastici generalmente non assegnano un posto a parte alla filosofia dell’ar-
288
te e non studiano i problemi che la riguardano se non in psicologia o, per meglio spiegare il
concetto di prudenza, in morale. La filosofia dell’arte peraltro, come la morale stessa,
dovrebbe rientrare nella filosofia naturale, se ci si mettesse dal solo punto di vista della
specificazione dele scienze filosofiche grazie al loro oggetto formale. Ma se ci si mette dal
punto di vista più generale del fine al quale queste scienze sono ordinate, è necessario di
stinguere la filosofia pratica dalla filosofia speculativa, ed è non meno necessario (sembra)
distinguere nella filosofia pratica stessa la filosofia del fare e quella de\Y agire. Si ha con
ciò il doppio vantaggio di rispondere ad una preoccupazione molto accentuata del pensie
ro moderno, che tende a dedicare un trattato speciale {Estetica) alle questioni che riguar
dano l’arte; e di ritornare a una delle divisioni fondamentali stabilite da Aristotele: n a c a
ό ίά ν ο ια η π ρ α κ τ ικ ή ή , π ο ιη τ ικ ή ή θ ε ω ρ η τ ικ ή , {Metafisica, II, 1, 1025 b 25). Cfr. Topici VI,
6, 145 a 15, e V ili, 1, 157 a 10; Metafisica, VI, 1; EticaNicomachea, VI, 2, 1139 a 27. Ha-
melin {Système d ’Aristote, pp. 81 sgg.) difende molto bene su questo punto, contro Zeller,
il vero pensiero di Aristotele.
159) Invece, le scienze essenzialmente pratiche, cioè le arti, procedono esse stesse al-
l’applicazione delle loro regole ai casi particolari. Queste scienze sono propriamente pra
tiche, ma non si tratta di vere scienze propriamente dette; esse sono scienze solo impro
priamente.
Vi sono pertanto molti gradi nel pratico. La filosofia dell’arte (il cui fine è pratico e il
cui oggetto è un operabile, ma da conoscersi) non ha regole prossime applicabili ai casi
particolari: essa è solo impropriamente e molto imperfettamente pratica.
L’etica (il cui fine è pratico e il cui oggetto è un operabile, ma parimenti da conoscer
si) non applica, ma ha regole prossime applicabili ai casi particolari: essa è pratica quanto
può esserlo una scienza propriamente detta, ma non è propriamente né perfettamente pra
tica.
Le arti (la medicina, per esempio, l’arte dell’ingegnere, eccetera; il loro oggetto è il da
farsi, non è solo un operabile, ma è anche considerato come operabiliter) hanno regole im
mediatamente applicabili e le applicano ai casi particolari, ma solo facendoci giudicare,
non facendoci volere (poiché l’artista può, rimanendo artista, fare un errore perché lo
vuole)', esse sono propriamente pratiche, ma non si trovano ancora all’ultimo grado del
pratico.
Infine, la prudenza (il cui oggetto è parimenti il da farsi) applica ai casi particolari le
regole della scienza morale e della ragione, non soltanto facendoci giudicare circa l’atto da
compiere, ma facendoci usare come si conviene la nostra libera attività stessa (poiché il
prudente come tale Vuole sempre bene); essa è propriamente pratica, ed è al grado supre
mo del pratico.
160) Cfr. Tommaso, Super Boethii de Trinitate, q.5, art. ad 3: «Scientia moralis,
quamvis sit propter operationem, tamen illa operatio non est actus scientiae, sed actus vir
tutis, ut patet V Ethic. Unde non potest dici ars, sed magis in illis operationibus se habet
virtus loco artis et ideo veteres diffinierunt virtutem esse artem bene recteque vivendi, ut
dicit August. X De Civ. Dei».
161) Ved. su questo punto Etica Nicomachea, VI, 9, 1142 a 9; Etica Eudemia, I, 8,
1218 b 13, e i due primi capitoli della Politia. Cfr. Hamelin, Le Système d ’Aristote, p. 85.
162) Cfr. Tommaso, Super Boethii de Trinitate, q.5, ad A.
163) Questa specificazione, come si vedrà in Logica Maggiore, dipende essenzialmen
te dal grado di astrazione, cioè dal grado di immaterialità deW oggetto da conoscere.
164) «Sic pertinet ad Philosophiam (naturalem), et est pars illius, quia agii de anima
ut est actus corporis, et consequenter de moralibus eius» (Giovanni di san Tommaso, Cur
sus philosophicus, 1.1, p.732; Logica IL P., q.27, a .l).
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