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Pedagogia dei new media.

I dati della ricerca, le linee per l’educazione delle


giovani generazioni, oggi

Pier Cesare Rivoltella, UCSC

1. La ricerca Mediappro: overview

Sono 50 milioni i giovani europei in Internet. Cosa fanno? Cosa facciamo noi (genitori, educatori)?
Cosa fare in futuro perché la loro relazione con la Rete sia adeguata, sicura, tale da liberare le
potenzialità positive della tecnologia?

E’ questo il dato e sono queste le domande da cui è partita alla fine del 2004 la ricerca
internazionale MEDIAPPRO, un’indagine quali-quantitativa sull’uso, la rappresentazione e
l’appropriazione dei media digitali (Internet, cellulare, consolle videogames) da parte degli
adolescenti, tra i 14 e i 19 anni, che si è chiusa il 12-13 giugno scorsi a Bruxelles con la
presentazione ufficiale del rapporto finale alla Comunità Europea1.
Gli strumenti utilizzati sono stati un questionario di 63 domande, le stesse per tutti i Paesi, che ha
consentito di costruire un campione di 7393 rispondenti; tra questi sono stati scelti 25 soggetti per
ogni Paese con cui sono state condotte delle interviste in profondità. Il taglio della ricerca – che ha
coinvolto 10 paesi tra cui l’Italia, rappresentata dall’équipe di ricerca di chi scrive presso
l’Università Cattolica di Milano – è stato decisamente pedagogico: questo significa che obiettivo
della ricerca non era certo quello di determinare delle medie statistiche riguardo ai comportamenti
di consumo degli adolescenti, quanto piuttosto di individuare dei profili d’uso che possano tornare
utili agli educatori nella progettazione delle loro strategie di intervento.

A livello internazionale il dato più rilevante è che Internet appartiene ormai alla vita delle giovani
generazioni (più del 90% dichiara di farne uso abitualmente).

Per quanto riguarda gli usi tre rilievi si impongono:


- le attività di recupero dell’informazione sono molto diffuse (9 adolescenti su 10 utilizzano motori
di ricerca; più del 60% scarica abitualmente materiali da Internet), decisamente più delle attività di
costruzione (come aprire un sito Internet o tenere un blog);
- abbastanza diffuso è anche l’uso della posta elettronica (68%) e di MSN (7 adolescenti su 10
dichiarano di farne un uso frequente, anche se in Italia il dato è sottorappresentato rispetto ad altri
Paesi);
- l’ascolto/scambio di files musicali è una delle attività più frequentate.
Il luogo principale della connessione (80%) è la casa; in scuola sono decisamente ridotte le attività
didattiche che prevedono l’uso di Internet e dall’indagine emerge un quadro abbastanza negativo sia
in ordine alle competenze degli insegnanti al riguardo, sia in relazione agli spazi di
programmazione dedicati ai media e alle tecnologie.

Particolarmente interessante è la rappresentazione dei rischi che vengono associati alla Rete. Gli
adolescenti non sono sprovveduti al riguardo: dichiarano di non parlare mai (47%) o raramente
(22%) con persone non conosciute incontrate in chat; il 79% dimostra di conoscere molto bene
come funziona Internet; il 52% ritiene di essere sufficientemente capace di valutare l’appropriatezza
di un’informazione reperita in Rete. In sostanza la ricerca mette in evidenza che i giovani sono
molto più consapevoli di quanto i discorsi sociali circolanti non ritengano. La rappresentazione del

1
Cfr. in Internet, URL: http://www.mediappro.org. Per quanto attiene al parte italiana della ricerca, cfr. in Internet,
URL: http://omero.unicatt.it/mediappro.
giovane come ingenuo ed esposto ai rischi della Rete è appunto solo una rappresentazione, tanto è
vero che quando l’adolescente viene richiesto di restituire la sua rappresentazione di tali rischi,
finisce per riportare i contenuti dei discorsi dei media o degli adulti (pornografia, pedofilia, ecc.),
quando invece gli viene chiesto di raccontare la sua effettiva percezione del rischio la identifica con
i virus o con la possibilità di rimanere vittima di un attacco hacker.

Ma il dato più eclatante (vero marcatore differenziale tra i giovani europei e quelli canadesi che
pure erano inclusi nel campione e, tra quelli europei, tra gli italiani e tutti gli altri) è relativo al
possesso e all’uso del telefono cellulare. Il 95% degli intervistati ha un cellulare personale; il 79%
ci gestisce soprattutto SMS. Ci troviamo di fronte realmente a una “digit generation”, a una
generazione del dito (o del pollice, thumb, come qualcuno preferisce dire facendo riferimento al
dito più utilizzato nella composizione degli SMS ma, in generale, nell’uso delle interfaccia dei
telefoni mobili). Un dato che sottolinea come per questi giovani sia importante restare in contatto
con i coetanei, sentirsi parte del cerchio affettivo del gruppo; un bisogno questo che pare
configurarsi come una forma di horror vacui, la stessa che coglie noi adulti ormai incapaci di
silenzio e impegnati a riempire ogni spazio/tempo libero della giornata “messaggiando” o
chiamando qualcuno.

Da ultimo è interessante il dato relativo all’uso dei videogiochi, equamente diviso tra computer
(52%) e consolle come la Playstation (49%). Gli adolescenti in genere non giocano on line,
preferiscono giocare con gli amici, quindi identificano l’attività ludica come attività sociale.
Più in generale e in linea conclusiva l’immagine di adolescente che la ricerca ci consegna è quella
di un utente consapevole ed esperto, che tende a fare un uso specializzato dei diversi media in
relazione ai loro possibili usi: il computer e Internet per cercare e trattare informazioni; il cellulare
per comunicare; la consolle videogame per divertirsi. Un risultato che se da una parte ci incoraggia
a non considerare la Rete e i nuovi media solo in termini negativi e censori ma in relazione alle loro
potenzialità espressive, dall’altra chiede agli educatori – genitori ed insegnanti innanzitutto – di
sviluppare competenze specifiche per essere in grado di accompagnare l’adolescente nella sua
pratica mediale non tanto dal punto di vista delle competenze tecniche, quanto piuttosto da quello di
un utilizzo sempre più critico e riflessivo

2. Il nuovo quadro dei consumi giovanili

L’insieme delle trasformazioni cui abbiamo fatto rapidamente cenno2 disegna evidentemente un
paesaggio di comportamenti sociali e significati culturali di grande interesse, soprattutto in chiave
educativa. Di questo paesaggio i consumi dei giovani rappresentano un osservatorio (oltre che,
prima, un laboratorio) privilegiato (Morcellini, 2005). Prendendo spunto dalla ricerca cui facevamo
cenno in apertura, proviamo a comporre le linee generali di questi consumi evidenziandone i risvolti
più urgenti in chiave educativa.
Un primo elemento significativo è costituito dalla perdita di centralità della televisione
nell’esperienza del consumo. Per anni, le preoccupazioni educative di chi si occupa del rapporto tra
i media e i minori, si erano organizzate proprio attorno a questo protagonismo: la televisione ne
costituiva l’oggetto principale tanto che educare ai media, in modo particolare in famiglia,
significava soprattutto educare alla TV. La comparsa dei new media ha prodotto un progressivo
differenziarsi delle diete mediali giovanili: il consumo televisivo si va a inserire all’interno di un
sistema di comportamenti entro cui trova posto sicuramente il cellulare, seguito da Internet, lettori
MP3, consolle videogiochi. Lo stesso televisore subisce una trasformazione che lo rende sempre
meno strumento dedicato per sintonizzarsi sulla programmazione delle televisioni e sempre più

2
Per un quadro più analitico, cfr. Rivoltella, 20062.
punto di accesso multimediale a contenuti e servizi disparati, dalla Play-station, ai DVD, al digitale
terrestre.
Proprio in relazione a questo quadro, il consumo diviene un’attività complessa e multitask. Spesso
l’adolescente, seduto davanti alla televisione, ascolta musica in cuffia dal suo lettore MP3 e intanto
scorre sullo schermo del suo cellulare gli SMS che gli sono stati inviati. Si tratta indubbiamente di
un tipo di skill (fare più cose contemporaneamente) che può essere assunto come un risvolto
positivo dei new media sul dispositivo della cognizione, ma indubbiamente comporta anche che
l’attenzione non sia mai interamente garantita a qualcosa ma si sposti sempre superficialmente da
un oggetto all’altro secondo una discontinuità che è nemica della riflessione e
dell’approfondimento.
Ma lo specifico dei new media, al di là di queste trasformazioni nelle modalità di ricezione dei
messaggi, va registrato anche sul versante della produzione degli stessi, anzi si può dire che uno dei
processi più interessanti attivati dal consumo di new media è proprio la graduale trasformazione del
profilo dell’utente dallo status di spettatore a quello di produttore. In Internet si può aprire e gestire
con grande facilità un blog, si può comunicare con MSN o con Skype; con il telefonino si possono
scattare fotografie, si può girare un video, si possono spedire – fotografie e video – e scaricare su un
computer. Queste immagini vanno a ridefinire la memoria del cellulare come il surrogato
tecnologico dei diari di un tempo, cui si confidavano segreti e ove si custodiva tutto ciò che di più
caro e personale si aveva; divengono protagoniste della seduzione e della comunicazione giovanili
(ci si può videochiamare, magari mentre si fa la doccia, oppure, come abbiamo verificato nella
nostra ricerca, ci si può inviare scatti improvvisati delle diverse parti del corpo); ancora, funzionano
da testimonianza giornalistica, come durante i disordini nelle banlieux parigine dello scorso anno,
quando gli scontri con la polizia e le auto date alle fiamme sono stati visti in televisione grazie ai
video sui cellulari degli stessi giovani che degli scontri sono stati protagonisti.
Proprio il cellulare consente un ultimo rilievo. Gli adolescenti lo tengono tendenzialmente sempre
acceso, anche di notte, e a portata di mano. Si inviano continuamente messaggi. Si tratta di una
comunicazione fàtica, il più delle volte: non si ha bisogno realmente di comunicare dei contenuti,
ma si intende esclusivamente rimanere connessi. Questo porta a consentire al telefonino di
sovrapporsi ad altre attività che gli adolescenti stanno svolgendo (è acceso sotto il banco in scuola,
interrompe continuamente le conversazioni in presenza che stanno avendo con altri, …) e di
riempire anche quei tempi vuoti che tradizionalmente nella giornata erano riservati ad altro. In
questa ansia compulsiva di connessione si può leggere un fenomeno di progressiva fuga dal silenzio
che nasconde probabilmente anche una presa di distanza da tutto ciò che è riflessione su di sé per
disegnare un tempo sempre pieno e sempre più appiattito sulla dimensione del presente (Ardrizzo,
2004).

3. La società multischermo

Qualsiasi riflessione pedagogica su come si possano educare le nuove generazioni in relazione ai


new media deve prendere le mosse da una definizione chiara di questi strumenti e della cultura che
essi contribuiscono a costruire.

Con il termine “new media” si designano una serie di applicazione tecnologiche che ormai non sono
più affatto nuove. Esse risalgono, almeno per quanto attiene alla rivoluzione che le ha rese possibili,
alla metà degli anni ’80 del secolo scorso quando, insieme alla comparsa dei cavi in fibra ottica
(quelli che oggi rendono possibili le connessioni a banda larga a Internet) e del satellite a
trasmissione diretta (gli abbonati di Sky ne fanno quotidianamente uso) fece la sua comparsa anche
quello che oggi sinteticamente viene designato come “il digitale” (Olivi e Somalvico, 1997).
Tecnicamente il digitale è un linguaggio, meglio, un sistema di codifica dei segnali che, per non
addentrarci in dettagli eccessivamente tecnici, diremo che consiste nell’elaborare le informazioni
(qualsiasi tipo di informazioni) attraverso stringhe di valori numerici binari: in buona sostanza una
serie di 0 e 1.

Al di là dei vantaggi che questo tipo di codifica presenta rispetto alla vecchia codifica analogica (il
messaggio non necessita di rinforzo e non subisce interferenze), essa rappresenta una vera e propria
rivoluzione del nostro modo di comunicare poiché rende possibile elaborare tutti i tipi di segnale in
uno stesso linguaggio che è poi il linguaggio di cui il computer si serve per funzionare.

Questa rivoluzione è ciò che consente oggi di parlare di multimedialità e di intermedialiità (due
delle caratteristiche strutturali dei cosiddetti nuovi media).
Se tutti i tipi di comunicazione (scritta, orale, musicale, iconica) subiscono la stessa codifica, allora
tutti i tipi di comunicazione sono costituiti di valori numerici: questo rende possibile gestire
comunicazioni e linguaggi diversi nello stesso ambiente mediale (multimedialità)(Rivoltella, 2000).
Il Web ne costituisce un esempio significativo: mentre leggo una pagina, posso aprire una finestra
in cui visualizzo un video, ascoltare musica in sottofondo o una voce che mi commenta una
fotografia.
Dall’altra parte (intermedialità), proprio il digitale (o meglio, il processo di convergenza dei media
al digitale) ha già prodotto e sempre più produrrà un processo di contaminazione e
plurispecializzazione dei diversi supporti: oggi si può ascoltare la radio in Internet, navigare nel
Web e scaricare la propria posta elettronica dal televisore di casa, telefonare, scrivere messaggi,
scattare fotografie e tenere un’agenda di appuntamenti con un telefono cellulare (si tratta dei
cosiddetti smart phone, telefoni “intelligenti” che sono in grado di svolgere funzioni differenziate
rispetto a quella, classica, del collegamento viva voce).

Lo scenario che queste trasformazioni stanno descrivendo è completamente nuovo rispetto a quello
caratterizzato dalla presenza dei media tradizionali, dal cinema alla televisione.
A una logica comunicativa del tipo uno-a-molti, che configurava la condizione dello spettatore
come quella di un terminale più o meno passivo del sistema di comunicazione, subentra una logica
di comunicazione molti-a-molti a forte struttura interattiva per la quale lo spettatore si trasforma in
utente di servizi. La logica comunicativa si rovescia: la centralità dei media viene sostituita dalla
centralità dei soggetti. Sono loro a divenire protagonisti di uno scenario sociale e culturale
caratterizzato da una moltiplicazione degli schermi disponibili (agli schermi della televisione si
aggiungono quelli del computer, del cellulare, del palmare, della play-station, dell’I-pod) e da una
navigazione da uno all’altro di questi schermi che è guidata solo dall’interesse personale e dal
bisogno del momento. Nella società multischermo lo zapping televisivo diviene zapping
(multi)mediale: i nuovi media non sono più media di massa, ma personal media (Ferri, 2004).

4. La parte dell’educazione

Di fronte a queste trasformazioni, l’adolescente si sente lasciato solo. Dalla nostra ricerca è emerso
chiaramente: si vorrebbe una maggior presenza della scuola, piacerebbe discutere di Internet in
classe, si attende dagli insegnanti un contributo competente a pensare in maniera critica il proprio
rapporto con i media; in famiglia si registra una latitanza dei genitori, scarsamente competenti,
incapaci di ritagliare tempo per parlare dei media con i figli, scarsamente attenti persino al controllo
di cosa facciano quando sono in Internet o del loro uso del cellulare.
La ragione di questo fatto, oltre al ritardo endemico delle istituzioni, va cercato nel gap che separa
l’adulto dalle nuove generazioni; un gap di conoscenza, culturale, oltre che tecnologico, che
richiederebbe una nuova attenzione formativa e che invece tende ad essere risolto attraverso
l’adozione di dispositivi di controllo parentale (come i filtri per Internet). In sostanza, nella misura
in cui non ho la capacità o il tempo per governare il processo di socializzazione mediale dei ragazzi,
delego questo lavoro a dispositivi tecnologici che dovrebbero farlo al mio posto. Ma in questo caso
non si tiene conto del fatto che questi dispositivi sono aggirabili, spesso poco efficaci, soprattutto si
confonde la protezione con l’educazione: posso illudermi che mio figlio navighi sicuro in Internet
poiché la sua postazione telematica è filtrata, ma facendolo navigare sicuro non otterrò mai che si
educhi a riconoscere e valutare in maniera critica i siti che sta visitando.
Proprio questa sostituzione della logica educativa con quella della protezione è oggi il punto di
partenza di qualsiasi strategia di intervento educativo sui nuovi media: l’impegno è a riaffermare
con decisione il primato dell’educazione recuperando la lezione della Media Education (Rivoltella,
2005). Sicuramente i suoi principi fondamentali, in primo luogo lo sviluppo di un atteggiamento
critico e consapevole nei soggetti, costituiscono una lezione ancora valida anche nell’età dei media
digitali. Ma è indubbio che i nuovi media presentano delle sfide assolutamente nuove che
comportano una revisione di quei principi e delle scelte di metodo che ne derivano.
Di fronte a questo compito paiono due le strade da seguire. O si gettano le basi per guidare un
cambio di paradigma verso una New Media Education, come tra agli altri teorizza David
Buckingham, dell’Università di Londra (nel duplice senso di una educazione ai new media e di una
nuova Media Education), oppure – come buona parte della ricerca internazionale, compreso chi
scrive, ritiene – si lavora a ripensare la Media Education semplicemente come educazione.
In una società digitale come la nostra è difficile trovare un ambito della vita individuale e sociale
che non sia popolato dai media e probabilmente questo dato costituirà il trend di sviluppo costante
dei prossimi anni. Questo comporta che i media non costituiscano più un interesse particolare
relativo a uno degli aspetti di cui l’educazione si può occupare (insieme alla salute, all’ambiente,
all’affettività, alla sicurezza stradale), ma divengano lo spazio sociale e culturale entro cui passano
tutte le nostre pratiche individuali e sociali. L’educazione, dunque, non può che occuparsi dei
media, è naturalmente una Media Education.
Il fulcro di questa nuova attenzione educativa è costituito dal tema della cittadinanza. Se i media
sono il nuovo ambiente in cui i soggetti devono vivere, educare ai media significa educare i soggetti
a essere cittadini di questo ambiente recuperando, rideclinandoli opportunamente, i temi classici
dell’educazione alla cittadinanza:
- i diritti civili. Si possono iscrivere qui le questioni legate alla libertà e al controllo, alla tutela dei
dati personali, al rispetto e alla violazione della privacy;
- la cittadinanza politica. A questo riguardo il paesaggio multimediale della società multischermo
incide sia sulle rappresentazioni della politica e dei politici, sia sulle forme della partecipazione (dal
sondaggio al televoto);
- la cittadinanza sociale. Trova spazio qui il problema della riconfigurazione del tempo libero nella
società digitale, segnata dal telelavoro e dall’e-learning;
- la cittadinanza culturale. Si collocano qui i temi che hanno a che fare con l’appartenenza culturale
dei cittadini, un’appartenenza che si definisce secondo caratteri completamente nuovi – come
abbiamo visto – e che nuovi criteri di educazione richiede.
Bibliografia

Ardrizzo, G. (a cura di)(2004), L’esilio del tempo, Meltemi, Roma.

Ferri, P. (2004), La fine dei mass media. Le nuove tecnologie della comunicazione e le
trasformazioni dell’industria culturale, Guerini & Associati, Milano.

Morcellini, M. (a cura di) (2005), Il mediaevo italiano, Industria culturale, TV e tecnologie tra XX e
XXI secolo, Carocci, Roma.

Olivi B., Somalvico B. (1997), La fine delle comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna.

Rivoltella. P.C. (2000), La multimedialità, in C. Scurati (a cura di), Tecniche e significati, Vita e
Pensiero, Milano, pp. 219-258.

Rivoltella, P.C. (20012), Teoria della comunicazione, La Scuola, Brescia.

Rivoltella, P.C. (2005), Media Education, Fondamenti didattici e prospettive di ricerca, La Scuola,
Brescia.

Rivoltella, P.C. (2006), Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive dell’educazione nell’età
dei media digitali, Vita e Pensiero, Milano.

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