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Taglio nel cemento armato

prof.ing. Salvatore Noè


Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale
Università di Trieste
rev. 2 – 18.05.08

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Per consultazione e approfondimenti suggerisco :

da cui sono state tratte alcune parti riportate nel seguito.

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Meccanismi e modelli di comportamento a taglio oltre il limite lineare

I modelli utilizzati per esaminare una trave in c.a. soggetta a flessione e taglio nelle ipotesi di
comportamento lineare lasciano alquanto insoddisfatti.

In assenza di una specifica armatura a taglio, ha senso determinare lo stato tensionale mediante la
trattazione di Jourawski solo fino al raggiungimento della resistenza a trazione del calcestruzzo, cioè per
valori molto bassi del taglio.

Discutibili appaiono anche i modelli usati in presenza di armatura a taglio. Il riferimento alla risultante
delle tensioni principali di trazione risente del limite di validità delle formule con cui tali tensioni sono
ricavate; ed il modello di traliccio di Ritter - Mörsch parte da un comportamento di trave fessurata ben
lontano dalle ipotesi di comportamento lineare del materiale.

Inoltre l’evidenza sperimentale mostra che tali modelli forniscono risultati cautelativi, ma spesso ben
lontani dal vero.

Occorre quindi riesaminare il comportamento di una trave soggetta a flessione e taglio per individuare
modelli che, superando il limite lineare, risultino più verosimili.

È opportuno innanzitutto ricordare che la teoria di De Saint Venant non vale per aste tozze né in
prossimità di carichi concentrati (e quindi degli appoggi), cioè proprio nelle situazioni in cui il taglio può
essere più preoccupante.

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Per comprendere il meccanismo di comportamento in tali situazioni si può fare una analogia col
comportamento di una parete in muratura.

Anche questo materiale, come il calcestruzzo, è dotato di una bassissima resistenza a trazione.

Quando si verifica un cedimento localizzato al di sotto di una parete muraria, l’andamento delle lesioni
mostra il raggiungimento di una nuova configurazione di equilibrio, nella quale la parte superiore della
muratura è sostenuta mediante un meccanismo ad arco.

L’arco è infatti uno schema statico nel quale i carichi verticali producono esclusivamente sforzo normale
(purché esso abbia una forma opportuna, cioè sia funicolare dei carichi).

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In maniera analoga nelle zone di una trave in cui sono applicate forze concentrate, o in prossimità degli
appoggi, le azioni vengono trasmesse mediante puntoni compressi (trasferimento diretto del carico, o
“effetto arco”).

L’ampiezza della zona interessata è direttamente proporzionale all’altezza della trave. In questa zona
non ha senso parlare di flessione e taglio.

Si noti che per l’equilibrio dell’estremità dell’arco occorrono azioni orizzontali che nel caso della parete
muraria sono fornite dal vincolo di base, assimilabile ad un incastro.

In altre situazioni queste azioni vengono assorbite da un apposito tirante orizzontale. Nella trave la
funzione di tirante è svolta dall’armatura inferiore, disposta per la flessione, e si può dimostrare che i
due modelli (flessionale o ad arco) richiedono sostanzialmente la stessa quantità di barre. Per mensole
molto corte si adotta esplicitamente un modello “strut and tie”, cioè puntone e tirante.

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Ad una distanza dagli appoggi, o da forze concentrate, superiore all’altezza utile d occorre invece far
riferimento al comportamento a flessione e taglio.

In assenza di specifiche armature a taglio, finché il carico è molto basso le sollecitazioni taglianti
sono assorbite grazie alla resistenza del calcestruzzo a trazione.

Appena questo cresce un po’ si formano le tipiche lesioni a taglio e flessione.

Sperimentalmente si può dimostrare che la trave è in grado di sopportare ulteriori incrementi di carico,
fino al formarsi di lesioni che mostrano la rottura per pressoflessione del puntone inclinato compreso
tra due fessure (figura a) o la rottura del corrente compresso per compressione e taglio (figura b).

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Per descrivere il comportamento a taglio in questa fase è stato proposto, nell’ambito dello stato limite
ultimo, un modello, detto “a pettine”, che parte da una base teorica ed è opportunamente tarato in
maniera tale da rappresentare adeguatamente i dati sperimentali.

In presenza di armature a taglio, si è cercato di cogliere il comportamento reale della trave con
modelli che rappresentano una evoluzione del traliccio di Mörsch.

Considerando un vincolo di incastro tra puntone compresso e corrente compresso, più verosimile della
cerniera prevista nel modello a traliccio tradizionale, in un ambito non lineare si riesce a tener conto del
contributo resistente del calcestruzzo (trascurato nel metodo delle tensioni ammissibili).

Il modello inizialmente proposto, che sommava direttamente questo contributo a quello dell’armatura
(denominato “metodo normale”) è stato affiancato, anzi superato, da un modello che tiene conto della
variazione di inclinazione delle tensioni di compressione (“metodo dell’inclinazione variabile del
traliccio”).

Equivalente a quest’ultimo ai fini pratici, ma non concettualmente, è il modello di “campi di tensione”,


che supera la limitazione introdotta dall’uso di aste “discrete” del traliccio al posto del reale “continuo”
strutturale

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Effetto arco - indicazioni normativa italiana

NTC08 - 4.1.2.1.3.3
Carichi in prossimità degli appoggi
Il taglio all’appoggio determinato da carichi applicati alla distanza a v ≤ 2d dall’appoggio stesso si potrà
ridurre nel rapporto a v / 2d , con l’osservanza delle seguenti prescrizioni:

- nel caso di appoggio di estremità, l’armatura di trazione necessaria nella sezione ove è applicato il
carico più vicino all’appoggio sia prolungata e ancorata al di là dell’asse teorico di appoggio;
- nel caso di appoggio intermedio l’armatura di trazione all’appoggio sia prolungata sin dove necessario
e comunque fino alla sezione ove è applicato il carico più lontano compreso nella zona con a v ≤ 2d .

Nel caso di elementi con armature trasversali resistenti al taglio, si deve verificare che lo sforzo di taglio
VEd , calcolato in questo modo, soddisfi la condizione VEd ≤ Asf yd sin α dove Asf yd è la resistenza
dell’armatura trasversale contenuta nella zona di lunghezza 0.75 a v centrata tra carico ed appoggio e che
attraversa la fessura di taglio inclinata ivi compresa.

Lo sforzo di taglio VEd , calcolato senza la riduzione a v / 2d , deve comunque sempre rispettare la
condizione VEd ≤ 0.5b w d ν f cd essendo ν = 0,5 un coefficiente di riduzione della resistenza del
calcestruzzo fessurato per taglio.

Indicazioni analoghe erano date dal DM96 al punto 4.2.2.4.2

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Modello non lineare - resistenza in assenza di armature

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Il modello “a pettine”
Il modello a pettine nasce dall’osservazione che una trave fessurata a taglio può vedersi come costituita
da un corrente compresso, corrispondente alla costola del pettine, e dagli elementi compresi tra le
lesioni, corrispondenti ai denti del pettine, inclinati a 45 gradi rispetto alla costola (vedi figura).

I denti del pettine sono attraversati, nella parte inferiore, dall’armatura disposta per la flessione (la figura
si riferisce ad una trave appoggiata agli estremi, sollecitata da un momento flettente positivo; se il
momento fosse negativo la costola sarebbe posta inferiormente ed i denti superiormente, ma le formule
non cambierebbero).

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L’armatura è soggetta ad una forza di trazione proporzionale al momento flettente M e pari a
M
Ns =
z
essendo z il braccio della coppia interna. Questa azione varia di sezione in sezione, al variare di M.

In un modello lineare, in assenza di fessurazione, la variazione di N è bilanciata dalle τ di aderenza.

In presenza di fessurazione la variazione di N s diventa invece un’azione orizzontale ∆N s sul dente (vedi
figura).
Ricordando che la variazione del momento flettente è legata al taglio ( ∆M = V∆z ), si ha
∆M V ∆z
∆N s = =
z z

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Verifica del dente.
La forza orizzontale ∆N s genera nel dente uno sforzo normale di compressione ed un momento flettente
rispetto alla sezione d’incastro, tratteggiata in figura.

La resistenza del dente, e quindi la capacità della sezione di sopportare taglio, può essere determinata
esprimendo in funzione di V la massima tensione di trazione e confrontandola con la resistenza a
trazione del calcestruzzo.

Nel fare ciò si devono applicare le formule valide per calcestruzzo nel primo stadio, cioè capace di
resistere a trazione.

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Le caratteristiche della sollecitazione provocate dalla forza ∆N s valgono:
∆N s V ∆z
N=− =−
2 2
∆z V ∆z ⎛ ∆z ⎞
M = −∆N s ⎛⎜ d − x − ⎞⎟ = − ⎜ d − x − ⎟
⎝ 4 ⎠ z ⎝ 4 ⎠
La sezione resistente ha base b ed altezza ∆z 2 ; la sua area è quindi A = b ∆z 2 ed il modulo di
( )
2
resistenza W = b ∆z 2 6.

La massima tensione di trazione è di conseguenza pari a:

N M N M V 12V ( d − x − ∆z 4 )
σ= − = − =− +
( ) b z ∆z
A W b ∆z 2 b ∆z 2 2 bz
6

In base a considerazioni sperimentali si può assumere che sia: ∆z = d ; x = 0.2d e quindi d − x = 0.8d
Si ottiene così:
5.6V 6.2V
σ= =
bz bd
e, considerando la resistenza a trazione per flessione f ctfd = 1.6 f ctd pari a si ottiene

VRd = 0.25b d f ctd

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Verifica del corrente compresso.
Se si prende in esame il concio di estremità della trave in corrispondenza dell’appoggio, delimitato dalla
prima lesione a taglio (vedi figura ), si ricava dall’equilibrio alla rotazione rispetto all’appoggio:
Nc = V

La sezione del corrente è soggetta a sforzo normale di compressione e taglio. Supponendo per semplicità
che le tensioni dovute a ciascuna delle caratteristiche di sollecitazione siano costanti nella sezione, si ha
N V
σ= c τ=
bx bx
e quindi σ = τ .

Il cerchio di Mohr corrispondente a questo stato tensionale ha per centro il punto C = ( σ 2,0 ) e per
raggio R = ( σ 2 )2 + τ2 . La tensione principale vale σξ = ( σ 2 )2 + τ2 − σ 2 .

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V
Sostituendo in questa espressione i valori innanzi determinati si ha: σξ = 0.62 τ = 0.62
bx
Se si impone che la tensione principale di trazione sia uguale al valore di resistenza a trazione del
calcestruzzo si ottiene un valore limite del taglio pari a

VRd = 1.6 b x f ctd

Man mano che ci si sposta verso il centro della campata lo sforzo normale aumenta mentre il taglio
diminuisce. Ciò comporta una riduzione della tensione principale di trazione ed un aumento della
resistenza del corrente.

Confrontando il valore ora determinato con quello fornito dalla verifica del dente, si ha che la resistenza
del corrente compresso è minore di quella del dente se 1.6 x < 0.25 d, ovvero se x < 0.156 d.

Questa situazione normalmente non si verifica in sezioni soggette a flessione semplice, a meno che
l’armatura a flessione non sia estremamente bassa; diventa invece molto probabile se la sezione è
soggetta a tensoflessione

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Altri contributi alla resistenza del dente
Tutti gli studi sperimentali sulla rottura di sezioni non armate a taglio mostrano valori in genere
maggiori di quelli forniti dalle espressioni ricavate mediante il modello a pettine. Occorre quindi
integrare il modello con ulteriori considerazioni.

Ingranamento degli inerti.


Le lesioni non sono mai perfettamente lisce; quando i denti si deformano a pressoflessione, lo
scorrimento tra le due facce della fessura (mostrato in scala molto amplificata nella figura a) viene
limitato dall’attrito dovuto alla scabrosità delle superfici e soprattutto dal contatto diretto tra gli inerti. Le
azioni mutue così generate riducono l’entità del momento flettente e limitano la deformazione del dente.
Questo effetto, detto di ingranamento degli inerti, è particolarmente rilevante per travi basse, per le
quali le fessure sono particolarmente strette; al crescere dell’altezza della trave l’ampiezza della lesione
aumenta e l’effetto dell’ingranamento si riduce.

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Effetto spinotto.
Lo scorrimento tra le due facce di una fessura comporta anche una deformazione dell’armatura
flessionale, mostrata in maniera esageratamente accentuata nella figura b, che però comporta che salti
almeno in parte il calcestruzzo di ricoprimento. Anche le barre di armatura esercitano quindi un’azione
mutua che riduce il momento flettente nel dente e ne aumentano la resistenza (effetto spinotto, o effetto
bietta). Il contributo delle barre longitudinali può essere quantizzato proprio valutando la resistenza del
calcestruzzo di ricoprimento e dipende dalla quantità di armatura disposta.

Effetto dello sforzo assiale.


La presenza di uno sforzo assiale di compressione incrementa la resistenza a taglio di una sezione non
armata. Esso infatti aumenta le dimensioni del corrente superiore rendendone più difficile la rottura;
contemporaneamente i denti del modello a pettine vengono accorciati e si riduce in essi l’effetto
flettente.
Il contrario accade in presenza di trazione: la diminuzione di dimensione del corrente compresso e
l’incremento di flessione nel dente riducono sensibilmente la capacità di portare taglio, rendendo quasi
sempre necessaria la disposizione di specifiche armature per il taglio.

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Prescrizioni della normativa italiana

Il DM96 (punto 4.2.2.2.2) prescriveva come limite della resistenza a taglio di una sezione priva di
armature a taglio il valore
0.25 f ctd r (1 + 50 ρl ) b w d δ
Il fattore r rappresentava il contributo dell’ingranamento degli inerti e valeva:
r = 1.6 − d con d ≤ 0.6 (in metri)
Il fattore 1 + 50 ρl teneva conto invece dell’effetto bietta; ρl era la percentuale geometrica di armatura
tesa,
A
ρl = sl ≤ 2%
bwd
con Asl area di armature tese “ben” ancorate rispetto alla sezione in esame.
Il coefficiente δ teneva conto della presenza di una sforzo normale.
In assenza di questo, il coefficiente δ è pari ad 1. In presenza di un apprezzabile sforzo normale di
trazione si deve assumere δ = 0 , cioè considerare nulla la resistenza a taglio. In presenza di
compressione si assumeva invece
M
δ = 1+ 0
M Sd
essendo M Sd il momento sollecitante e M 0 il momento di decompressione, cioè il valore di M che,
unitamente allo sforzo normale N Sd , porta a un diagramma triangolare di tensioni (passaggio tra sezione
tutta compressa e sezione parzializzata). Se per effetto di N Sd e di M Sd la sezione è tutta compressa, si
assumeva δ = 2 .
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NTC08 – 4.1.2.1.3.1 Elementi senza armature trasversali resistenti a taglio

È consentito l’impiego di solai, piastre e membrature a comportamento analogo, sprovviste di armature


trasversali resistenti a taglio. La resistenza a taglio VRd di tali elementi deve essere valutata, utilizzando
formule di comprovata affidabilità, sulla base della resistenza a trazione del calcestruzzo.

La verifica di resistenza (SLU) si pone con : VRd ≥ VEd dove VEd è il valore di calcolo dello sforzo
di taglio agente.

Con riferimento all’elemento fessurato da momento flettente, la resistenza al taglio si valuta con:

{
VRd = 0.18 k (100 ρl f ck )
13
}
γ c + 0.15 σcp b w d ≥ ( v min + 0.15 σcp ) bwd
con:
k = 1 + ( 200 d ) ≤ 2
12
d : altezza utile della sezione (in mm)
32
12
v min = 0.035k f ck

e dove:
ρl = Asl ( b w d ) ≤ 2% è il rapporto geometrico di armatura longitudinale;
σcp = N Ed A c ≤ 0.2 f cd è la tensione media di compressione nella sezione;
b w è la larghezza minima della sezione (in mm).

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Nel caso di elementi in cemento armato precompresso disposti in semplice appoggio, nelle zone non
fessurate da momento flettente (con tensioni di trazione non superiori a f ctd ) la resistenza può valutarsi,
in via semplificativa, con la formula:

( )
2 12
VRd = 0.7 b w d f ctd + σcpf ctd

In presenza di significativi sforzi di trazione, la resistenza a taglio del calcestruzzo è da considerarsi


nulla e, in tal caso, non è possibile adottare elementi sprovvisti di armatura trasversale.

Le armature longitudinali, oltre ad assorbire gli sforzi conseguenti alle sollecitazioni di flessione, devono
assorbire quelli provocati dal taglio dovuti all’inclinazione delle fessure rispetto all’asse della trave,
inclinazione assunta pari a 45°.

In particolare, in corrispondenza degli appoggi, le armature longitudinali devono assorbire uno sforzo
pari al taglio sull’appoggio.

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Modello non lineare - armatura a taglio

23
24
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26
27
Metodo normale

Il modello di traliccio, proposto da Moersch ed utilizzato per il metodo delle tensioni ammissibili, fa in
realtà riferimento ad una situazione ben diversa da quella di materiale omogeneo ed isotropo, perché le
diagonali compresse (puntoni inclinati di calcestruzzo) sono individuate dalle fessure provocate dal
taglio.

Appare quindi logico utilizzare tale modello anche nell’ambito delle verifiche allo stato limite ultimo.

Occorre però notare che il modello proposto da Moersch è un traliccio isostatico, nel quale tutte le aste
sono incernierate nei nodi.

Nella realtà il puntone diagonale compresso è incastrato al corrente superiore (come già detto parlando
di dente e dorso del pettine); appare quindi più corretto tenere conto di tale vincolo utilizzando un
modello di traliccio iperstatico.

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Il cosiddetto “metodo normale” per la valutazione della resistenza a taglio di una trave dotata di
specifica armatura per il taglio consiste nell’analizzare il modello di traliccio iperstatico, con puntoni
compressi inclinati a 45° ed incastrati nel corrente compresso (vedi figura).

Le diagonali tese possono essere costituite da ferri sagomati o da staffe; nella trattazione si indicherà
genericamente con α l’inclinazione di tali elementi rispetto all’orizzontale, essendo quindi α = 45° a45°
per i sagomati e α = 90° per le staffe.

Finché il comportamento si mantiene in campo elastico, lo schema iperstatico lavora sostanzialmente


come il traliccio isostatico. Infatti la rigidezza estensionale è molto maggiore rispetto a quella flessionale
e si può quindi trascurare la flessione che nasce nelle aste.

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Al crescere del taglio, si può giungere allo schiacciamento del puntone o allo snervamento
dell’armatura a taglio.

Nel primo caso si ha una rottura fragile, con piccole deformazioni.

Nel secondo caso, invece, si può sfruttare l’iperstaticità iniziale dello schema: l’armatura snervata si
deforma ed i puntoni inclinati iniziano a lavorare a flessione. Il collasso avviene, alla fine, per la rottura
a pressoflessione del dente, in presenza di grandi deformazioni.

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Collasso a taglio per schiacciamento del puntone (collasso taglio-compressione)

Come appena detto, le sollecitazioni nel puntone in fase elastica possono essere determinate trascurando
l’iperstaticità del traliccio.

La forza di compressione che in esso agisce, può essere determinata effettuando una sezione verticale ed
imponendo che la sua componente verticale sia uguale al taglio. Si ha così

V
N pun = =V 2
sin 45°

Poiché la distanza tra i puntoni, misurata in orizzontale, è pari a z (1 + cot α ) , la loro sezione trasversale
ha altezza z (1 + cot α ) 2 e larghezza b w .

La rottura per schiacciamento si avrà quando la tensione raggiunge il valore ν f cd , essendo ν un


opportuno fattore che tiene conto della riduzione di resistenza per la presenza contemporanea di tensioni
di trazione nella direzione perpendicolare.

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La rottura a compressione del puntone si ha quindi quando

V 2 f ck
σpun = =ν
z (1 + cot α ) 2 γc

cioè per un valore del taglio, che indicheremo col simbolo VRd2 , pari a:

1
VRd2 = ν f cd b w z (1 + cot α )
2

Il DM96 fornisce una espressione analoga, indicando il valore 0.30/0.85 = 0.35 al posto di ν 2

f ck
VRd2 = 0.30 f cd,DM96 b w z (1 + cot α ) = 0.30 b w z (1 + cot α )
γc

Inoltre precisa che si deve utilizzare


cautelativamente il valore cot α = 0 ovvero
(1 + cot α ) = 1 in presenza di sagomati, per
tenere conto della ridotta efficienza dei ferri
piegati rispetto alle staffe inclinate a 45°.

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Collasso a taglio per snervamento dell’ armatura (collasso taglio-trazione)

Finché si mantiene in regime elastico, nel traliccio iperstatico sono preponderanti le azioni assiali ed è
molto piccolo il momento flettente nel puntone.

Quando nell’armatura a taglio si raggiunge la tensione di snervamento, gli ulteriori incrementi di carico
producono un incremento della sollecitazione flessionale nel puntone inclinato, fino alla sua rottura,
mentre l’armatura si deforma a tensione costante.

Il valore del taglio che porta alla rottura, che indichiamo con VRd3 , è quindi somma del valore Vwd che
si avrebbe in uno schema isostatico e dell’aliquota Vcd dovuta alla resistenza aggiuntiva offerta dalla
resistenza a presso-flessione del puntone compresso impegnato a taglio (visto come dente del pettine)

VRd3 = Vwd + Vcd

La forza di trazione N diag nella diagonale tesa del traliccio è data, in base alle condizioni di equilibrio,
da:
V
N diag =
sin α

Se si indica con Asw l’area di armatura a taglio disposta in un tratto s, l’area della diagonale tesa è
A
A diag = sw z (1 + cot α )
s

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ed imponendo che la tensione nella diagonale, N diag A diag , sia pari a f yd si determina il taglio che
provoca lo snervamento dell’armatura

Asw A
Vwd = z f yd (1 + cot α ) sin α = sw 0.9 d f yd ( sin α + cos α )
s s
Tale espressione coincide con quella prevista dal DM96.

Il contributo del puntone compresso è valutato, secondo il DM96 con il già descritto modello di pettine.

Per la normativa italiana (DM96) il contributo del puntone compresso doveva essere determinato
mediante l’espressione:

Vcd = 0.60 f ctd b w d δ

nella quale il coefficiente δ tiene conto della presenza di uno sforzo assiale. La normativa imponeva
inoltre di non fare affidamento su un valore di Vcd superiore a Vwd . Per essa si aveva quindi, più
precisamente

VRd3 = min ( Vwd + Vcd ; 2Vwd )

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Verifica della sezione e progetto dell’armatura

In base a quanto esposto, la resistenza a taglio di una sezione è il minore tra i valori di VRd2 e VRd3 .

La verifica di una sezione, con armatura a taglio assegnata, consiste quindi semplicemente nel
confrontare il taglio sollecitante col VRd2 e VRd3 e controllare che sia più piccolo di entrambi.

Usualmente, però, si ha a che fare con sezioni già dimensionate (per la flessione) e bisogna quindi
controllare la correttezza del dimensionamento e calcolare le armature necessarie.

In questo caso, una volta deciso se usare staffe verticali o inclinate si deve calcolare il valore di VRd2 e,
confrontandolo col taglio agente VSd , verificare l’accettabilità della sezione.

Se essa va bene, si deve calcolare il valore di Vcd e quindi la resistenza a taglio necessaria per l’armatura:

Vwd,min = VSd − Vcd

Infine si deve calcolare l’area di armatura a taglio necessaria utilizzando la formula inversa:
Vwd,min s
Asw,min =
0.9 d f yd ( sin α + cos α )

Ovviamente quando l’armatura è costituita da staffe occorre tenere conto anche del numero di bracci,
come già mostrato per il modello lineare.

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Metodo dell’inclinazione variabile del traliccio

Le prove di carico condotte su travi, fino alla rottura per taglio, mostrano che l’inclinazione delle
isostatiche di compressione rispetto all’orizzontale tende a ridursi dopo lo snervamento dell’armatura a
taglio.

Finché le armature sono in campo elastico, si può ritenere che lo stato tensionale sia quello determinato
col cerchio di Mohr a partire dalle sole τ (figura a), perché quando si formano le lesioni a 45° le tensioni
principali di trazione sono sopportate dalle armature a taglio.

Quando queste si snervano tendono ad esserci sensibili scorrimenti lungo le lesioni a taglio; per
l’ingranamento degli inerti viene così trasmessa una tensione tangenziale τ1 . Aggiungendo queste
tensioni il cerchio di Mohr si modifica (figura b) e le direzioni principali di compressione non sono più a
45°, ma sono inclinate rispetto all’orizzontale di un angolo θ, più piccolo.

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Partendo da questa constatazione, si può schematizzare la trave come un traliccio isostatico,
generalizzazione di quello di Moersch, nel quale il puntone compresso ha una generica inclinazione θ;
l’armatura a taglio può sempre essere costituita da sagomati e staffe e quindi se ne indica l’inclinazione
con α (figura).

Raggiunto lo snervamento dell’armatura il taglio può ancora crescere, grazie al progressivo inclinarsi del
puntone, fino a quando questo arriverò allo schiacciamento.

La normativa parla quindi di “metodo di inclinazione variabile del traliccio” (anche se sarebbe più
corretto dire “inclinazione variabile del puntone”).

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Si noti che anche in questo modo si tiene contro del contributo del calcestruzzo, trascurato nel metodo
delle tensioni ammissibili.

Lo si fa però non sommando la resistenza a flessione del puntone (come nel metodo normale, che
considera un traliccio iperstatico) bensì considerando variabile l’inclinazione del puntone stesso.

La resistenza a schiacciamento del puntone e quella a snervamento dell’armatura possono essere valutate
immediatamente, generalizzando le espressioni determinate per il metodo normale.

Si ha infatti
V
N pun =
sin θ
e l’altezza della sezione del puntone è z ( cot θ + cot α ) sin θ . Quindi il taglio che porta a rottura il puntone
è
f f 1
VRd2 = ν ck b w z ( cot θ + cot α ) sin 2 θ = ν ck b w z ( cot θ + cot α )
γc γc 1 + cot 2 θ

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La forza che agisce nell’armatura inclinata vale ancora

V
N diag =
sin α

mentre l’area della diagonale tesa è, in funzione dell’area di armatura a taglio disposta in un tratto s,

Asw
A diag = z ( cot θ + cot α )
s

Il taglio che provoca lo snervamento dell’armatura è quindi

Asw
Vwd = z f yd ( cot θ + cot α ) sin α
s

Dalle due espressioni si può notare che, partendo da un’inclinazione del puntone θ = 45° (cioè cot θ = 1),
se si riduce il valore di θ (e cresce cot θ) si ha una riduzione di VRd2 ed un aumento di VRd3 .

Si può allora pensare che nelle fasi iniziali del processo di carico le isostatiche di compressione siano a
45°.

Quando, dopo aver raggiunto lo snervamento, si incrementano ulteriormente i carichi iniziano a


verificarsi grosse deformazioni e scorrimenti tra le fessure e le isostatiche di compressione si inclinano.

In questo modo l’armatura può portare un taglio maggiore.


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Contemporaneamente si riduce la resistenza del puntone compresso ed il collasso sarà sempre dovuto
allo schiacciamento di questo e sarà raggiunto per quel valore di θ per il quale VRd2 e VRd3 diventano
uguali.

La normativa italiana (NTC08) fissa: 1 ≤ cot θ ≤ 2.5

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Alle stesse relazioni è possibile pervenire per altra via:

numero di armature che attraversano la


fessura:

z ( cot θ + cot α )
s

z ( cot θ + cot α )
V= σs Asw sin α
s

Equilibrio alla traslazione verticale del


“prisma” su cui scarica la compressione
della “biella”, ripresa dalla trazione della
armatura:

σs Aswsin α = ( σc b w s sin θ ) sin θ

σc b w z ( cot θ + cot α )
V = σc b w z [ ( cot θ + cot α ) sin θ] sin θ =
1 + cot 2 θ

41
Verifica della sezione e progetto dell’armatura

In base a quanto esposto, la resistenza a taglio di una sezione è il valore comune di VRd2 e VRd3 ,
determinato per un opportuno valore di θ, oppure il minore tra i due valori determinati per cot θ = 2.5 .

Operativamente, conviene iniziare a calcolare il valore di VRd2 e VRd3 per cot θ = 2.5 . Se entrambi sono
maggiori del taglio sollecitante, la sezione è sicuramente verificata, mentre se VRd3 è minore di VSd la
sezione non va bene.

Nelle altre situazioni, occorre trovare il valore di θ che massimizza la resistenza imponendo la
condizione:

VRd2 = VRd3

Si ottiene
ν f cd b w
cot θ =
Asw s f yd sin α
che deve essere eventualmente limitato rispettando i limiti 1 ≤ cot θ ≤ 2.5

Usando questo valore si calcola la resistenza a taglio, da confrontare con l’azione sollecitante.

42
Traslazione del diagramma dei momenti

I modelli utilizzati per analizzare il comportamento a taglio della trave hanno dei risvolti anche sul
comportamento flessionale.

Si consideri il modello a pettine, usato per valutare la resistenza a taglio in assenza di specifiche
armature per tale caratteristica (vedi figura).

La forza di trazione N s costituisce, insieme con la forza di compressione N c , una coppia che bilancia il
momento flettente M 2 = M ( z 2 ) = M ( z1 + ∆z ) . La forza N s non è però applicata sulla stessa verticale di
N c bensì ad una distanza ∆z = d − x ≅ z Si può quindi concludere che in una sezione che dista z1
dall’appoggio l’armatura flessionale è sollecitata non dal momento M1 = M ( z1 ) corrispondente ma dal
momento M 2 = M ( z 2 ) calcolato ad una distanza ∆z .

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Un problema analogo sussiste anche in presenza di armatura a taglio. Si consideri una sezione con
ordinata zi, nella quale agisce il momento flettente M(zi).

La forza di trazione nelle armature può essere ricavata dall’equilibrio alla rotazione rispetto al punto P,
in cui è applicata la risultante di compressione, e vale, in un modello “tradizionale” (figura a)
M ( z1 )
Ns =
z
Tenendo conto dell’inclinazione θ del puntone compresso e α dell’armatura (figura b), la condizione di
equilibrio alla rotazione rispetto a P diventa invece:
z z z
M ( z1 ) = N s z + V cot α − V cot θ = N s z − V ( cot θ − cot α )
2 2 2
e quindi lo sforzo normale nelle armature è incrementato, rispetto al valore previsto dalla teoria
dell’elasticità, della quantità V 2 ( cot θ − cot α ) .

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Ciò equivale a dire che l’armatura a flessione deve essere progettata per il valore del momento flettente
che si ha in una sezione posta a distanza ∆z = z 2 ( cot θ − cot α ) , ovvero che bisogna “traslare” di tale
quantità il diagramma del momento per ottenere i valori da usare nel dimensionamento delle armature.

Si noti che quando si usano staffe questa quantità può valere al massimo z (se cot θ = 2 ), mentre quando
si usano sagomati essa è nulla se cot θ = 1 e arriva a z 2 quando cot θ = 2 .

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Prescrizioni normative

NTC08

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Minimi di armatura nel metodo degli stati limite

DM96
Il DM96 (punto 5.3.2) richiedeva che fossero disposte “staffe aventi sezione complessiva non inferiore a
Ast,min = 0.10 (1 + 0.15d b w ) b w cm 2 m
essendo d l’altezza utile della sezione e b w lo spessore minimo dell’anima in cm, con un minimo di tre
staffe al metro”.
La norma ribadiva poi le indicazioni relative al passo massimo già citate con riferimento al metodo delle
tensioni ammissibili (DM92) (mai superiore a 0.8 volte l’altezza utile della sezione, con l’ulteriore limite
di 12 ∅sl,min in prossimità di carichi concentrati e delle zone di appoggio).

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Taglio tra anima e piattabanda

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