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Platone e la scrittura
della filosofia
Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza
e della maturità alla luce di un nuovo
paradigma ermeneutico
Introduzione e traduzione di
G io vanni R eale
V IT A E PENSIERO
Pubblicazioni della
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano 1988
Pubblicazioni del
C E N T R O D I R IC E R C H E D I M E T A F ÍS IC A
Introduzione 45
I. «Fedro». La critica délia scrittura 53
II. «Fedro». Lo svolgimento dei dialogo 73
III. «Eutidemo». La beffa di Socrate sulla «segretezza» 101
IV. Il «soccofso al logos» come principio strutturale dei dia
logo platonico 121
V. «L e Leggi», libro X. Il superamento come essenza dei
«soccorso» 127
VI. «Ippia Minore». Chi inganna e chi è ingannato? 135
VII. «Ippia Maggiore». Socrate e il suo sosia. 149
V III. «Eutifrone». Inversione di marcia poco prima délia mèta 168
IX. «Liside». Il dialettico e i ragazzi 179
X. «Carmide». Il giovane e il «cattivo ricercatore» 190
XI. «Lachete». Il maestro si sottrae agli allievi 217
X II. «Protagora». Il sofista è migliore rispetto al suo libro? 228
X III. «Menone». La tendenza ad allontanarsi davanti ai mi-
steri 250
XIV. «G orgia». L ’interlocutore ideale e i piccoli misteri 264
XV. «Cratilo». Il sapere segreto dell’eracliteo 283
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone». La difesa a tre livelli 298
X V II. «Simposio». Chi è l’ amante e chi è l’amato? 334
X V III. «L a Repubblica». Non farsi scappare il filosofo. 354
Osservazioni conclusive 416
8 SOMMARIO
Appendici
I. La teoria moderna della forma del dialogo 423
II. II significato di auyypoc^fjia 463
III. Sulla «Lettera V II» 472
IV. Su alcuni passi platonici che sembrano suggerire una in-
terpretazione antiesoterica 489
V. La critica della scrittura espressa nel «Fedro», 274 B 6
- 278 E 3. Testo e traduzione 494
VI. Approfondimenti e implicanze gnoseologiche della cri
tica della scrittura nella «Lettera Y II», 340 B 1 - 345
C 2. Testo e traduzione 506
Bibliografía e indici
I. Letteratura citata e utilizzata 521
II. Indice dei termini greci esprimenti le idee-base di que-
st’opera 531
III. Indice dei principali concetti 532
IV. Indice dei nomi e dei passi degli autori antichi citati ol-
tre Platone 536
V. Indice dei nomi degli autori moderni citati 539
VI. Indice analítico della materia trattata 543
Introduzione di Giovanni Reale
dialoghi, giá a partiré dai primi, non siano se non una precisa at-
tuazione e concreta espressione delle idee di base di questa gran
diosa autotestimonianza, che non é affatto una tarda riflessione
di un autore esperto e forse ormai rassegnato, ma, appunto, é la
convinzione di fo n d o che ha guidato tutta la sua attivitá di scrit-
tore e di filo s o fo .
Dunque, la prova che emerge chiaramente dalle analisi di Szle-
zák incentrate soprattutto sui dialoghi della giovinezza e della
maturitá (pero con una cospicua puntata anche sul décimo libro
delle L egg i), é la seguente: P la t one, dal prin cip io alia fin e della
sua opera, ha messo in atto i concetti base della critica della
scrittura e della concezione del filo s o fo quali aveva espresso ap
p u n to neirautotestimonianza del Fedro.
L a «critica della scrittura» del Fedro é ben lungi dalPessere una
teoría del dialogo in generale inteso come adeguato strumento di
comunicazione indiretta della filosofía, come Schleiermacher ed
altri con lui hanno inteso, ma é, senza eccezioni, una critica di
tutte le fo r m e della scrittura (e, quindi, anche del dialogo scrit-
to), a causa della strutturale debolezza che ogni fo rm a di scrittu
ra ha per la comunicazione della conoscenza. Di conseguenza, la
«critica della scrittura» presentata nel Fedro é una inequivocabi-
le afferm azione di una netta preminenza dell’ oralitá.
A d un tempo, pero, questa autotestimonianza puntualizza, in
positivo, anche il m odo in cui il filo s o fo , com e dialettico, faccia
uso dei suoi discorsi (scritti e orali) p er comunicare la conoscen
za filoso fica , e p e r raggiungere la medesima.
I termini della contrapposizione che Platone istituisce fra il di-
scorso scritto e quello orale sono ben noti: il discorso scritto (an
che se fatto da chi sa) resta immobile e privo di vita, é mera im-
magine sbiadita del discorso orale, non é capace di creare la me
moria ma solo di richiamare alia memoria cose apprese per altra
via, crea pura dossosofia ossia pura conoscenza opinativa e
quindi non chiara e instabile, non sa parlare con chi bisogna
parlare o tacere con chi bisogna tacere, non é in grado di portare
«so cco rso » a se medesimo; il discorso orale di chi sa é, invece,
vivo, capace di comunicare conoscenze chiare e stabili, sa con
chi bisogna parlare e con chi bisogna tacere, sa portare adeguato
«so cco rso » a se medesimo. Inoltre lo scritto é un «g io c o », con-
dotto mediante mere narrazioni di storie e puó essere, quando
venga fatto con giusta arte, anche bello; il discorso orale impli-
IM PO R TAN ZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 15
ne dice, appunto, che un aúyypafjifxa sulle cose che per lui sono
di maggior valore, ossia sui Principi primi e supremi, non solo
non c’ è, ma non ci sarà mai (341 C 4-5). Il che significa un ver-
detto categórico contro l ’autarchia degli scritti.
E a questo punto, per salvare il paradigma tradizionale e artico-
lare questo controfatto in m odo da togliergli proprio la «con tra
rié té », è stata proposta questa soluzione: i auyypajx^axa sono
manuali, scritti dottrinali sistematici e non coincidono con i dia-
loghi. Pertanto, ció che Platone ha detto contro lo scritto non
puó valere contro i dialoghi, ma solo contro gli scritti sistematici
in form a manualistica.
È appena il caso di ricordare che la soluzione di questo proble
ma ha convinto quasi tutti, compresi studiosi — ricorda Szlezàk
— délia statura di Jaspers, Düring, Gadamer, Guthrie, e molti
altri ancora. Ció non deve stupire, e chi rileggerà i rilievi che sul
la base dell’ epistemología di Thomas Kuhn abbiamo fatto nel
nostro P la ton e, si renderá perfettamente conto che questo rien-
tra nel tipico procedimento dell’ evolversi delle ricerche sciéntifi-
che, secondo i suoi canoni e i suoi ritmi. Infatti, quando un pa
radigma ermeneu tico ha guadagnato Padesione délia comunità
scientifica, articola i fatti e le catégorie concettuali con grande
inventività ed efficacia, fino a che il paradigma non venga ad
esaurirsi nel suo complesso.
M a anche su questo punto Szlezák apporta uno dei suoi più co-
spicui contributi, dimostrando l ’impossibilità storica oggettiva
di articolare il fatto di cui stiamo parlando in quel m odo, per il
m otivo che già gli autori antichi hanno chiamato il dialogo p la
tónico p ro p rio con il termine avjypocjjijjia (addirittura 1’ aut ore
della Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone), e dimostran
do inoltre che auyypa^pia non vuole affatto dire «trattato dot-
trinale», «manuale sistemático», come comprova Puso che gli
autori greci fanno di questo termine.
Le pagine che concernono questo complesso e importantissimo
problema si troveranno soprattutto nelle appendici (particolar-
mente nelPAppendice 11, passim). Szlezák ha scelto questo crite
rio, al fine di tenere un poco al margine la Lettera V II, perché la
tesi di fon do del suo libro reggerebbe perfettamente anche se,
per ipotesi (naturalmente, data ma non ammessa), la Lettera
V II, accettata ormai da quasi tutti gli studiosi come autentica,
tornasse ad essere atetizzata (cfr. Appendice III).
IM PO R TANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 23
M a giá nel capitolo sul Fedro egli rileva assai bene che il concet
to di «m an u ale» é del tutto estraneo alia critica della scrittura,
dove si parla, invece, di due tipi di ben distinti «discorsi»: quelli
scritti in generale, da un canto, e quelli orali, dall’ altro, i primi
scritti su rotoli di carta, i secondi, invece, scritti nelle anime. Or-
bene, nello scritto in generale di cui tratta il F ed ro, entra tutto
ció che in Grecia era stato composto per iscritto, e non solo in
prosa, ma altresi in poesia, senza alcuna eccezione. Evidente
mente, in una critica alia «scrittura» cosi globale come é fatta da
Platone nel Fedro, rientrano senza possibilitá di dubbio anche i
dialoghi (addirittura Platone fa cenno persino alia trattazione
della Repubblica, come di recente é stato dimostrato su precise
basi filologiche). Per non rientrare nella critica della «scrittu
ra », i dialoghi dovrebbero essere qualcosa che si differenzia da
ogni form a di scrittura, sia in poesia sia in prosa, il che é, ovvia-
mente, impossibile.
N elle appendici, poi, Szlezák dimostra che in greco auyYpocfjifjia é
qualcosa che non si oppone affatto al dialogo in nessuno dei te-
sti pervenutici, bensi al poem a, scritto in versi. Talora aúyypa¡x-
[xoc indica (perfino in Platone, Leggi, 858 C 10) addirittura an
che lo scritto in poesia. Perianto, si verifica proprio il contrario
di quella restrizione che si richiederebbe, invece, come necessa-
ria per eliminare quel controfatto di cui stiamo parlando.
Oltre alia Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone, Szlezák ri-
porta altri autori greci, alcuni dei quali molto dotti e informati,
che indicano i dialoghi di Platone appunto con il termine aúy-
YpapLfxa, come Isocrate, Diogene Laerzio, Temistio e Proclo,
nonché M arcellino e Filone di Alessandria.
D opo tutto questo, l ’ afferm azione che Platone fa nella Lettera
V I I si impone veramente come categórica: « .. . si deve conclude-
re che, allorché si vedono opere scritte di qualcuno, siano leggi
di legislatore o scritti di qualsiasi altro genere, le cose scritte non
erano, per questo autore, le cose piü serie, se egli é serio, perché
queste stanno riposte nella parte piü bella di lu i» (344 C 3-7). E
questo significa che, sulle cose «piü serie», chi é «s e rio » non
compone degli scritti; e, si badi, non solo non compone scritti di
un certo genere, ma di qualunque genere essi siano.
L a «scrittura» della filosofía dei dialoghi di Platone si pone,
dunque, in maniera non differente rispetto a quella in cui si po
ne ogni form a di scrittura, entro quei precisi limiti stabiliti da
24 GIOVANNI REALE
vol. II, p. 4 15) di Theodor Gomperz, che sul finire dell’ Otto-
cento, nei suoi celebri Griechische Denker, riassumeva in una
maniera veramente emblematica questa istanza: «Accordiam o-
ci per un momento il lusso di un bei sogno. Supponiamo che
uno degli intimi di Platone, per esempio suo nipote Speusippo
(...), avesse fatto quello che non gli avrebbe richiesto più di un
quarto d ’ ora dei suoi ozi, e ehe lo avrebbe reso inestimabil-
mente benemerito delia storia delia filosofia: ehe avesse, cioè,
segnato su una tavoletta Pelenco, per ordine di data, degli
scritti di suo zio, e ehe una copia di tale elenco fosse pervenuta
fino a noi. Possederemmo, in tal caso, 1’ ausilio migliore per lo
studio dello svolgimento spirituale di P laton e» (traduzione ita
liana, Pensatori greci, vol. I l l , p. 49).
Ebbene, la critica della scrittura ehe fa Platone e il suo giudi-
zio circa la limitata portata delia capacità delia scrittura di ai-
tuare la comunicazione dei messaggio filosofico nei suoi punti
essenziali, rovescia le conclusioni di coloro ehe hanno puntato
sul canone ermeneutico storico-genetico, e ehe Gomperz rias-
sume nel passo riportato.
In effetti Platone non ha mai avuto 1’ intento «d i consegnare
alia scrittura il punto estremo dei pensiero ehe egli aveva di
volta in volta raggiunto» (p. 416), proprio a m otivo dei suo
giudizio negativo delia scrittura sui rotoli di carta, e quindi
non c’ è stato per lui alcuno stimolo a pubblicare, e meno ehe
mai un bisogno di pubblicare quale Puom o di oggi sente; anzi,
egli senti alcuni stimoli esattamente opposti a quelli che 1’ uo-
mo moderno prova. Scrive Szlezák: «S e Platone non era co-
stretto a pubblicare il più velocemente possibile il risultato di
volta in volta più recente — se, in altre parole, non stava sotto
la legge del “ pubblica o sei perduto” — , allora perdono molto
della loro forza di persuasione gli argomenti storico-evolutivi
che fanno i conti su un completamento successivo dell’ opera
scritta che corre in parallelo alle più recenti acquisizioni del-
l ’ autore. Può essere perfeitamente giusto dire che VA p olog ia
precede il Fedone\ solo che essa non lo precede perché non cono-
sce ancora la dottrina dell’ immortalité. Sara meglio ehe l’indagi-
ne cronologica del corpus platonico rinunci a siffatti confronti di
contenuto. Forse in futuro una raffinata statistica linguistica o f
frira la soluzione. M a si tratta di una soluzione ehe, comunque, è
di minore urgenza di quanto credeva il X IX secolo; per un autore
GIOVANNI REALE
26
Giovanni Reale
A . L ib ri
B. Saggi
C. Recensioni
** *
Th. A . Szlezák
Introduzione
! Cosi nel Giuramento di Ippocrate, similmente in Legg i (IV 630, 643 Littré); a
proposito della «tradizione legata ai gruppi dell’arte greca» ancora nella generazio-
ne di Eschilo cfr. A . Lesky, D ie tragische D ichtung der Hellenen, Göttingen 19723,
p. 69; a proposito della segretezza presso i Pitagorici cfr. E. Zeller, D ie Philosophie
der Griechen in ihrer geschichtlichen Entw icklung, I, Leipzig 1923 1, p. 409; W .
Burkert, L o re and Science in A n cien t Pythagoreanism, Cambridge (Mass.) 1972,
pp. 178 s. ; a proposito della organizzazione arcaica della trasmissione del sapere
nelle corporazioni presso i medici, i cantori, gli artigiani, gli indovini, i Pitagorici e
gli O rfici, cfr. W . Burkert, Neue Funde zur O rph ik, in «Inform ation zum altspra
chlichen Unterricht», II, 2, Graz (1980), p. 41; idem, C ra ft versus Sect: The P r o
blem o f Orphics and Pythagoreans, in: B.F. M eyer - E .P. Sanders (curatori), Self-
D efin ition in the G reco-Rom an W orld, London 1982, pp. 18 ss.
48 INTRODUZIONE
«S ocra te» ci possa aver attirato, proprio qui, sulla traccia sba-
gliata.
M a, in effetti, possiamo davvero dire che noi abbiamo, da altre
parti, Pimmagine di un Platone rappresentante delPapertura de
mocrática e della liberalitá progressiva? H a forse previsto per il
suo Stato ideale o per il suo Stato fondato sulle leggi un sistema
pubblico di inform azione e di educazione? In realtá, nelíe Leggi,
come é noto, non solo é protetto dalla possibilitá di venire a co-
noscenza dei non destinati a governare il contenuto dellJeduca
zione dei destinati a governare, ma deve restare nascosto, agli
esclusi, addirittura anche il semplice fatto della loro esclusione:
qui nelle L e gg i Platone, rafforzando le strutture che dividono le
classi in m odo piü netto che nel suo primo progetto di Stato
espresso nella Repubblica, esige che venga tenuto segreto anche
il tener segreto (cfr. L e g g i, 961 B 4-6 con 952 A 7 e 968 D-E). A l
contrario, Platone mette in bocca al democrático e relativista
Protagora la decisione di condurre la discussione, per principio,
in m odo aperto, decisione non turbata da alcuna ironia (.Prota
g ora , 317 B-C).
Dunque, sarebbe necessario interrogare piü a fondo la presa in
giro di Platone dell’ apparente tener segreto da parte degli inter-
locutori di Socrate. Infatti il dialogo Eutidem o porta in primo
piano in maniera esemplare proprio il tema del «tener nasco
sto», trattato di solito come tema concomitante; dobbiamo
quindi rivolgerci a questo dialogo, se vogliam o capire il senso
del topos platonico del «tener nascosto» (dntoxpúitTsaOaL).
É stato riconosciuto da tempo che lo strano m odo di condurre
questo dialogo da parte di Socrate, che porta ad un risultato, al-
Papparenza assurdo, che ognuno sa tutto e l’ha giá da sempre
saputo, diventa comprensibile solo sullo sfondo della dottrina
dell’anamnesi che viene taciuta. Ció che finora non é stato rico
nosciuto é Pimportanza di questo rilievo per Pimmagine del filo
sofo che Platone traccia nel F e d ro: « filo s o fo » (cpiXósocpo«;) é co-
lui che é in grado di «ven ire in soccorso» alie sue afferm azioni,
di difenderle e di sostenerle mediante «cose di maggior valore»
(,u[jitá)'c£pa). N elPE utidem o viene trasferita nelPazione dram-
matica proprio questa differenza fra opinione comunicata e opi-
nione tenuta in serbo potenzialmente pronta, che costituisce il
« filo s o fo » . Socrate, se fosse interrogato piü a fondo come con-
duttore del dialogo, potrebbe sviluppare la teoria delPanamnesi
INTRODUZIONE 49
1. «F e d r o », 274 B - 278 E
a) «F e d ro », 274 A 6 - 275 D 3
b) «F e d r o », 275 D 4 - 276 A 9
porta, come prima cosa, alia possibilitá che anche «ch i sa»
possa scrivere qualcosa.
La sua capacita di «so cco rso » é, comunque, del tutto indipen-
dente da questa possibilitá. Essa si basa, evidentemente, su un
sopravanzare del contenuto del discorso «che soccorre», rispet-
to a quello che viene soccorso. Infatti, se il «d iscorso» scritto
(esposizione, Xófos) non puó soccorrere se stesso, ma dice sem
p re la medesima cosa, quello che é in grado di soccorrerlo dovrá
appunto esser in grado di non ripetere sempre la stessa cosa,
bensi dovrá esprimere altre cose: precisamente, dovrá esprimere
non altre tesi (come G. Vlastos ha erróneamente in teso3), ma,
naturalmente, dovrá esprimere altri argomenti per giustificare le
stesse tesi.
L a capacitá di soccorso viene presentata, anche nel brano che
segue, ancora per intero alFinterno della discussione órale; solo
nell’ ultimo brano questa stessa capacitá viene impiegata per di
stinguere il « filo s o fo » (cpiXóaocpoi;) come autore da «scritto ri»
nel senso comune del termine e da poeti.
L ’ esposizione scritta é «im m a gin e» ( eiScoXgv) di quella órale.
N on si deve, qui, pensare tanto a riproduzioni «realistiche» di
veri discorsi e nemmeno ad una precisione protocollare nella an-
notazione, quanto soprattutto — in sintonia con il disprezzo
della scrittura nel paragrafo precedente e in questo (275 D 5 - E
5) — alia forte svalutazione che in Platone é sempre connessa
con questo vocabolo: 1’ «im m agin e», in linea di principio, é di
grado inferiore rispetto al «p ro to tip o », non ne possiede la stessa
«v e ritá » e la stessa « fo r z a » . N el nostro contesto questo signifi
ca: la esposizione scritta non puó assolutamente realizzare ció
che quella órale, quale suo prototipo, é in grado di compiere,
vale a dire uno «scrivere» n eir«a n im a », ossia una vera comuni-
cazione di conoscenza4.
c) «F e d ro », 276 B 1 - 277 A 5
276 A : Xôyoç, ÇcÔv xat ’¿[xfyuyoç, ~ Alcidamante, Tlepl aocpicmôv 28: ejjlcJjuxoç ècru xat
Çïj (del discorso parlato) — , non ha perô determinato la sua formulazione della
questione, né ne ha anticipato la soluzione. Robin, loc. c it., ha dichiarato che i pa-
ralleli storici in proposito non approdano fondamentalmente a nulla.
i II libro quinto, non dialogico, delle Legg i è un’ «im m agin e» di una viva discus-
sione filosofica esattamente come i restanti libri che Platone ha condotto in forma
dialogica. Cio avrebbe ugualmente valore, anche se venissero eliminati il riferimen-
to ad una figura del dialogo (I’ «A te n ie s e») e l’immaginaria ambientazione cretese:
anche se la vivacità della rappresentazione si atténuasse, o se infine andasse del tut-
to perduta, lo scritto resterebbe comunque un’ «im m agine».
6 N el Tim eo, l ’uomo di Stato dell’ Italia méridionale, che nel dialogo rappresenta
senza dubbio ii «sapiente», fa un discorso della durata di alcune ore. Dal momento
che egli parla ad un pubblico scelto (a persone «a d a tte », cfr. F ed ro, 276 E 6 Aapwv
c|>uxriv Tîpoa^xouaav — Tim eo ha certo scelto il pubblico adatto per il suo discorso),
e dal momento che egli sarebbe senz’ altro in grado di rispondere allé loro domande
(cosa che nei dialogo non viene descritta, ma accennata: in 28 C e 53 D Tim eo ac-
cenna alla possibilité di fondare più profondamente le sue asserzioni), dobbiamo
intendere il suo discorso, alPinterno della cor ni ce drammaturgica immaginata, co
me il discorso senz’ altro « v iv o » , pur non essendo stato condotto in forma dialogi
ca, fatto da un sapiente, e perciô dobbiamo intendere la stesura per iscritto del suo
m onologo come un’ «im m agin e» nel senso del Fedro. (Fa parte della natura della
rappresentazione-immagine scritta il non poter fornire una più profonda fondazio-
ne, cosa che il sapiente potrebbe esporre, se gli venisse richiesto). Si mostrerà, sot-
to, che anche il lungo discorso non dialogico di Socrate nel Fedro va inteso come
discorso « v i v o » del «sapiente».
60 «FEDRO»
d) «F e d r o », 277 A 6 - 278 E 4
blema (Retraktationen zum Prob lem des esoterischen Platon, «Museum Helveti-
cum », 21 [1964], p. 153 e nota 39; D ie grundsätzlichen Fragen der indirekten P la to
nüberlieferung, in; H .G . Gadamer e W . Schadewaldt (curatori), Idee und Zahl.
Studien zur platonischen Philosophie, Heidelberg 1968, p. 136 e p. 150) viene, per
quanío mi consta, semplicemente ignorata da parte degli oppositori (in particolare,
la risposta di Vlastos a Krämer, in: P la ton ic Studies, Princeton 1973, pp. 339-403,
non affronta affatto la questione). — Del resto, riesce difficile capire come si sia
potuti giungere a interpretare scorrettamente il termine tpaüXa; infatti esso rarissi-
mamente assume in greco il significato di «sbagliato, scorretto» (fuorché «scorret-
t o » in senso m orale), mentre il significato consueto é «scadente», con la sfumatura
di «m odesto, semplice, di scarso rilievo, insignificante». L ’impiego che Euripide fa
di questo termine puó chiarirne il normale uso attico: Elettra , 760: oü-uoi ßaatXea
cpaüXov x-cavEÍv («nessuna piccolezza»); Ifigenia in A u lid e, 734: au Be 90CÜX’ rj-fTÍ 'c“ ‘
Se ( « l o ritiene di poco c on to»), ivi, 850: ápieXía 8ó<; auxá x a í cpaúX(o<; epépe («prendi-
lo per facile»); importanti anche le indicazioni del frammento 473, 1 N auck2, in cui
cpaüXot; e axo¡j.(jjo<; vengono usati come sinonimi; a questo corrisponde la frequente
opposizione di cpaüXoi; - aocpós (A ndrom aca, 379; Baccanti, 430; lo n e, 834; Fenicie,
496, cfr. anche frr. 635 e 641 N au ck 2). Per casi sinaili m Platone si vedano, ad
esempio, Ippia m inore, 369 D 3/6, crocpó^-cpaüXoi;, oppure Ippia maggiore, 286 E 8,
cpaüXov x a í ÍBtw uxóv (come endiadi di «p r o fa n o »). Anche nella formulazione di
Platone xa "fs.'ypa^évoc cpaüXa aT roB ^at si dovrebbe sentire questa opposizione: i
cpaüXa sono, rispetto a Tifzuoxtpa, «n on specialistici, non tecnici, semplici» (cfr.
sotto, p. 98, nota 47); che, comunque, essi siano «g iu s ti» ce lo dice Platone nella
Repubblica, 449 C (cfr. sotto, pp. 370 s.). Del resto, giä Diogene Laerzio rilevö l’ u-
so platonico del termine: ó youv, “ cpauXo^” XsyexaL rcap’ aux¿p I 71I xoü árcXoC (III
63). A proposito delPIppia minore, 372 B, cfr. sotto, p. 139, nota 8.
68 «FEDRO»
3 II libro — come il Fedro stesso — puó comunque comunicare che esiste una libe
razione e puó fornire indicazioni sulla strada che conduce a quest’ ultima. Va ovvia-
mente oltre la portata del libro il sapere se la comunicazione è stata capita e se si
giunge alia liberazione dalla fede nello scritto.
4 È chiaro che quell’interpretazione che vede nella critica della scrittura, presente
nella parte conclusiva, un’ indicazione mascherata a favore della form a di comuni
cazione indiretta costituita dal dialogo scritto, fraintende, oltre ad altre cose, anche
Pazione del dialogo. Tradotta nel linguaggio delPazione drammatica, questa Ínter-
pretazione direbbe che Socrate toglie di mano a Fedro, che ha fede nello scritto, il
libro di Lisia solo per consegnargli un nuovo libro da Ieggere, questa volta di Plato
ne — e con questo andrebbe persa l ’ intera scrupolosa costruzione simbólica del-
l ’ opposizione «libro-discorso».
76 «FEDRO»
2 . A zion e eterna
6 A ltri ulteriori argomenti: exepa xoúxtov, 234 E 3; aXXa, 235 B 4, rnxpà xaüxa...
sx&pa, C 6 , exepa D 7 e 236 B 2; napa xt)v ixtívou aocpíav txepóv t i , B 7; quantitá de-
gli argomenti: TiXetto, 234 E 3; 235 B 4; 236 B 2; [xr| eXáxxto, 235 D 7; significato de-
gli argomenti: ^&CÇto, 234 E 3; ¡j.r¡ 235 C 6; [kXxtw, 235 D 6; soprattutto
^Xe-íovoç aÇia («d i maggior va lore»), 235 B 5; 236 B 2.
7 Naturalmente Socrate fa i complimenti — come Fedro in precedenza: 228 A B —
e assicura di non poter certo superare Lisia nel contenuto (236 B 7). E questa etpto-
veícc socratica non elimina ovviamente la richiesta che un logos superiore debba of-
frire cose migliori. L a ripresa del m otivo del xaXX(o7u£&aQGU (236 D 6, cfr. ¿ópúírce-
to, 228 C 2) vuole mostrare che Socrate è tanto desideroso di offrire una esposizio
ne migliore quanto Fedro lo era di recitare. — G. J. de Vries non nota né che Socra
te riconosce espressamente la richiesta di Fedro, né che, di fatto, egli nei suoi di-
scorsi Ia soddisfa, perciò è stato possibile per de Vries, in un articolo volto a critica
re la mia interpretazione («M useum H elveticum », 35 [1978], p. 28), sostenere l ’ opi-
nione secondo la quale il richiamo a ¡jlêíÇoj xai tcXeíco servirebbe soltanto a caratte-
rizzare il çiXóXoyoi; Fedro («M useum Helveticum », 36 [1979], p. 62). M a ovvia
mente conta qui riconoscere come Socrate trasformi la richiesta ingenua in un in
terrogatorio filosoficamente significativo.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 79
18 Klein, A Com mentary ... (cfr. sopra, p. 60, nota 7), pp. 14 s., rileva che nella
seconda parte Socrate e Fedro riprendono regolarmente il discorso parlato «invece
di scambiare discorsi elaborad, cioé parole scritte o dettate» (p. 15). Con «p arole
dettate» Klein si riferisce al fatto che Socrate attribuisce a forze estranee il suo insó
lito fiume di parole. C fr ., a questo proposito, la nota seguente.
19 Solo piü tardi di venta chiaro quanto poco Socrate si sia avvicinato a Lisia e ai
suoi colleghi per mezzo del suo improvvisato controllo degli strumenti retorici, e
quanto, invece, abbia in questo m odo illustrato il programma della retorica dialet-
tica ideale: l’ oratore dialettico impiegherá i Tipo xr\q xíyyt^ ávorpccuoc [xa6r¡[j.ocTO
(269 B 7- 8), cioé la conoscenza e le possibilitá della retorica consueta, in modo so-
vrano,'a seconda della sua conoscenza delle leggi della vera retorica, e collocandola
entro un discorso órale personale: 271 E 2 - 272 A 8.
20 In un al tro senso si puó parlare, anche qui, di una superior itá della seconda par
te: cfr. sotto, pp. 92 ss.
84 «FEDRO»
II confronto del valore del contenuto, in cui Lisia e con lui l’ edu-
cazione ricevuta dai libri alla fine soccombono, è, di fatto, ini-
ziato giá m olto prima délia seconda parte principale: e precisa
mente là dove Socrate dubita della eccellenza del discorso di L i
sia e si dichiara pronto a scendere in gara con quello (234 E ss.).
Da questo momento Socrate — il quale è, per cosi dire, l ’incar-
nazione del filosofare orale — prende la parola, e quindi da que
sto momento fino alla fine possiamo attenderci inform azioni su
quello che per lui è essenziale.
Che dobbiamo iniziare proprio qui, ce lo dice Platone stesso:
entrambi i discorsi di Socrate contengono cose che chi vuol fare
un’indagine sui discorsi deve conoscere (264 E 7 -8)21. Viene qui
fatto riferimento alia precisa definizione delPEros per mezzo di
un’analisi dialettica del con cetto22, i cui momenti di distinzione
diairetica (Siaipeatç) e di unificazione (auvaycojr\) sono le basi
del corretto pensare e parlare (266 B 4-5) e, quindi, anche della
retorica ideale generale che regola ogni discorso umano (261 E
1-2). In confronto con questo procedimento «secondo le rególe
dell’ arte», che compare quasi casualmente nei discorsi di Socra
te (265 C 9), le rególe della retorica tradizionale si rivelano un
23 Pero solo fino ad un certo punto; a proposito delle limitazioni di Platone, cfr.
sotto, pp. 94 ss.
24 Questo é detto espressamente in 243 E 4-8; 257 B 4-7, ed era giá stato accennato
in 238 D 7. La vera arte dell’ oratore si dispiega solo oralmente, di fronte all’ ascol-
tatore personalmente «presente»: Tiapa'ytYvófJLevov, 271 E 3; íiapoüaa, 272 A 2. C o
sí anche Fedro, per Socrate, é «presente» (•jtápea-ci.v, 243 E 7).
25 I discorsi di Socrate non illustrano solo il Xexxáov, bensi anche V im a x tiio v (272
A 4): in proposito, cfr. sotto pp. 96 ss.
26 A proposito di Xó^co cfr. sopra, nota 21. — La contrapposizione al consueto
non sapere di Socrate (235 C 7- 8; 262 D 5) viene mitigata dalla assicurazione che gli
esempi di un uso sapiente del discorso vi si trovano solo «p er caso». Cfr. pp. 93 ss.
86 «FEDRO»
avrebbe rinunciato alia gara con Socrate (257 C). Questo pro
gresso degli eventi, in cui Fedro si trasforma a poco a poco da
entusiástico sostenitore del libro di Lisia ad ascoltatore aperto
alie parole di Socrate, implica certamente che, dal canto suo,
egli non critica affatto la superiore esposizione órale di questo.
L a situazione del «ven ire in soccorso al discorso» (por)0eív tw
Xóyto) non è giocata quindi fino in fondo da Socrate, e proprio
questo illumina, paradossalmente, il suo successo educativo.
Questo, però, non significa assolutamente che i discorsi di So
crate vengano protetti dalla prova decisiva delia capacità di soc-
correre se stessi. Poiché Socrate è in gara con il discorso lisiano
sull’Eros, fin da quando questo è stato letto ad alta voce (235 C
ss.), tutte le domande critiche che provano l ’ assenza di valore
del discorso delPavversario sono, al tempo stesso, anche do-
mande rivolte al proprio discorso. Dunque, Platone fa svolgere
a Socrate stesso il ruolo di colui che mette alia prova i suoi di
scorsi, poiché a Fedro mancano la chiarezza e la determinatezza
spirituali. Osservata da questo punto di vista, la prova che nei
suoi discorsi si possa rintracciare il procedimento dialettico della
divisione (dihairesis) e della unificazione (synagogé), mentre tale
procedimento è assente in quello di Lisia (262 E - 266 B), non si
gnifica nient’ altro se non che Socrate sa soccorrere i suoi discor
si, cosa di cui è incapace Fedro quale rappresentante di L is ia 29.
È vero che la parola «soccorrere» non è usata in questo paragra-
fo ; ma in m odo ancora piü chiaro la situazione corrisponde al
senso di questa parola: la discussione va intesa come attacco 30
alia retorica tradizionale, che, nel caso concreto, si appunta sul
la domanda di come Lisia abbia voluto giustificare il suo concet-
to di Eros (263 A - E); il suo discorso e il suo allievo restaño de-
bitori della risposta (263 E - 264 A ), mentre Socrate puó richia-
marsi, per il suo discorso, al método della dihairesis che ha vali-
ditá per ogni discorso (265 A - 266 B). «Soccorrere se stessi» si
gnifica, allora, fondare il particolare sul generale, o rivelare le
31 Socrate sfida ancora una volta Fedro a farlo in 272 C, àXV et xivá izr\ poriOeiav
£X£tç £7tocxT]Xotbç Auatoo T] Ttvoç aXXou, Tceipco Xáyeiv àvo:[xi[j.vr]axó[j.evoç. Qui il ter
mine ^o^Geia non significa altro che «m ezzo e strumento» per appropriarsi della re
tórica piü rapidamente che non attraverso la dialettica; ma, poiché 1’ attacco di So
crate si è appena concluso, la prova che esiste questa via piü breve nel senso della
retórica corrente sarebbe anche un «so cco rso» nel senso di 278 C 5. Naturalmente
Fedro non conosce nessuna ¡3or)0e.ia.
32 L a conoscenza della verità e Ia capacità di soccorrere vanno di pari passo: 278 C
4-5; cfr. 276 A , E.
90 «FEDRO»
tiene in pronto egli stesso, sullo sfondo, quel sapere che viene
supposto nascosto dagli a ltri33.
P oco prima, il richiamo a Pericle e ad Ippocrate ha alluso al fat-
to che la conoscenza dialettica, la quale garantisce la superioritá
oratoria, funge da conoscenza di sfondo che fa da supporto alia
discussione particolare, intesa nel senso di una fondazione piü
profonda che non fa parte della discussione stessa. Pericle, Po-
ratore piü perfetto (269 E 1-2), fu condotto da Anassagora alia
conoscenza della natura delFIntelligenza, del N ous — che, se-
condo la teoria platónica d e ir anima, é una parte di quest’ ulti-
ma — , e trasse da questa conoscenza piü profonda utili stru-
menti per la sua retorica (270 A ). Come la speculazione di Anas
sagora sul N ous quale «discorso campato in aria sulla natura»
(pt£T£copoXoyta cpuueo)^ rcepi) é qualcosa di piü ampio e fondante
della psicología retorica di Pericle, cosi anche la conoscenza del-
l ’ anima da parte dell’ oratore dialettico deve fondarsi su una
compiuta conoscenza dialettica della natura del tutto (xfis xoü
oXou cpúaeco;, 270 C 2). Ippocrate pero, come osserva Fedro (C
3-5), sostiene quest’ esigenza giá per la conoscenza del corpo.
Si é tentato di diminuiré il valore assertivo di questo passo per la
concezione platónica della dialettica, spiegando che r] toü oXou
cpbats non significava «la natura del tu tto» bensi l ’ «essenza» (<pu-
ffi?) del tutto (di volta in volta con sidéralo)34. Questa interpreta-
zione non riconosce, tuttavia, il contesto in cui si svolge il pen-
siero, ossia « i l medesimo m odo di procedere della medicina e
della retorica» (ó ocutó? 7cou xpÓTioi; taxpixfji; xa! pr]i:o-
pixrjs), come dice Socrate in 270 B 1-2; egli vede in entrambi gli
ámbiti lo stesso rapporto fra la teoria generale, compiuta e fon
dante, e la conoscenza degli ámbiti particolari di volta in volta
considerati. La speculazione di Anassagora si rivolgeva pero al
tutto, alia «n atu ra» in quanto tale (cpóa&co¡; irépi, 270 A l ) ; «in
maniera corrispondente» ( t ó v ocutóv xpórcov) anche la conoscen
za medica va ancorata alia piü ampia filosofía della natura35.
33 C fr. sotto, pp. 96 s. Per.il m otivo del «tener nascosto» come topos dello scher-
no socrático, cfr. sotto, pp. 101 ss.
34 W . Kranz, Pla ton über Hippokrates (1944), in: Studien zur antiken Literatur
und ihrem F o rt wirken, 1967, pp. 314-319, in particolare p. 318.
35 N on ha importanza se Ippocrate «in persona» era di questo avviso: quello che é
decisivo é che Platone fa intendere in questo m odo Ippocrate al suo Fedro. (Inoltre
Socrate non ha niente da obiettare contro questa interpretazione di Ippocrate: criti-
LO SVOLGÍMENTO DEL DIALOGO 91
ca solo che Fedro — cosa tipica per lui — si richiami ad un’ autoritä). A llo stesso
m odo non e decisivo, per il nostro passo, il fatto che, secondo il Carmide, 156 B -
157 A i medici greci considerassero ü corpo come 1’ oXov a cui doveva orientarsi la
terapia, mentre Zalmosside intendeva con questo termine l ’ unione di anima e cor
po. Ii Tim eo, invece, risulta illuminante: qui, infatti, Platone stesso dimostra come
la conoscenza dell’ anima cosi come quella degli elementi del mondo sensibile, di
pende dalla conoscenza di principi generali della filosofia della natura (e non si
esaurisce nella conoscenza delPunitä di anima e corpo). M a il Fedro stesso mostra,
soprattutto, l ’ anima in unione con l ’universo visibile (245 C-E; 246 B) ed invisibile
(247 C ss.). C fr. sotto, p. 97. — Kranz, Pla ton über Hippokrates, cit., p. 318, ha
preso in considerazione un riferimento del nostro passo alla prima parte del Fedro,
ma in seguito l ’ ha definita, tuttavia, «illogica, ... e proprio senza senso»; 270 A 1
^L£T£ü)poXoyia cpuaetos Ttdpi e stato da lui tradotto, op. cit., p. 316, con «elevata
espressione attorno auna (alla) essenza». ( L ’ osciliazione fra l’ uso dell’ articolo de-
terminativo o indeterminativo dimostra come la cosa sia stata pensata in m odo p o
co chiaro). II significato di «natura del tu tto» Kranz lo ha escluso in quanto «intor-
no ad essa ... non tratteranno «tutte le grandi xiyya.\» (Kranz ha perciö frainteso
7rpoaSeovTat 269 E 4 con «trattare intorno a qualcosa»). — G. M üller ha sostenuto
l ’ inesistenza di qualunque relazione fra <puaic in 270 A 1/5 e in 270 C 1 {Eine ver
kannte Lesart in Platons Phaidros, in: «H e rm e s », 104 [1976], pp. 243-246, la cita-
zione e di p. 246; Müller preferisce la lezione del Bodleianus otveu rrj? zoü Xoyou
CplJ<T£(OC).
92 «FEDRO»
36 Secondo Laborderie, L e dialogue platonicien ... (cfr. sopra, p. 65, nota 15), p.
436 la trasformazione del discorso di Lisia nel primo discorso di Socrate è «pura
mente fórm a le». Questo dimostra che non solo non è stato coito appieno il conte
nuto, ma anche che è stata trascurata la valutazione che di esso ne ha dato Socrate
(265 D 7).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 93
40 L ’ oratore ideale controlla i xcapoüig toü. teóte Aejctéov xai imtrx&'zíov, 272 A 4.
Rientra qui anche il fatto che ad ogni vera arte appartiene la conoscenza di questo,
ossia [¿¿xpi ójtósou i suoi mezzi siano da adoperare (268 B 7).
41 C fr. sopra, nota 10.
42 C fr. Friedländer, P la to n , III, p. 219: « É un imponente contributo che Platone
qui richiede e che in maniera prudente include in un sistema di scienze possibili e
per i suoi compiti necessarie» . Contemporáneamente, perö, Friedländer sembra ri-
tenere che nel secondo discorso socrático sull’Eros venga affrontata la questione
deH’unita o del poliform ism o dell’ anima {ibidem) e che siano gia traite le «conse-
guenze sistematiche» dagli esempi diairetici in 265 D ss. (p. 217). I due errori — che
la parte mancante sarebbe solo un progetto, e non una teoria completamente svol-
ta; e che quanto si puö vedere costituisca gia lo svolgimento «d ialettico » completo
— sono causa Tuno dell’ altro.
43 C fr. F ed ro, 253 C 7 - D 1, xaQánEp ¿v ápxü touSe xoG ¡j.ú0ou Tpixfi SieíXo{Ji£v
(Jjuxfy ¿xáatrjv, Í 7 t í : o | j l ó pepeo ¡ j l e v oúo xive s-íSrj, rjvtoxtxóv Se eiöo<; xpíxov, xai, vüv ixi
r)pv xauxa ¡j.e.v£t£o. L a diairesi solo in form a di immagine «rim an e» e viene prose-
guita alio stesso m odo, e non fondatacriticamente.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 97
44 L ’ espressione tí non andrebbe lasciata due volte nel testo; il parailelo 271 A
10 mostra che il secondo x õ non può essere giusto. L a corruttela si spiega in base
alia nota regola di Brinkmann.
45 L ’ espressione r) tou oXou çúolç (270 C 2) significa tanto «natura dei tu tto» come
«d e i cosm o», naturalmente solo neiram bito della filosofia preplatonica (si citano
Anassagora, Ippocrate). Per il dialettico PoXov comprende anche i Principi invisi-
bili dei cosmo visibile.
98 «FEDRO»
46 Fra gli ascoltatori di Tim eo si trova Socrate, il che indica in misura sufficiente il
livello. M a anche i fratelli di Platone, Glaucone e Adim anto, nella R epubblica, di-
mostrano m olto piü senso critico di quanto dimostri Fedro.
47 II dialettico tratterà deli’ anima àjtp$coç, tocgt] à^pi^eía (270 E 3; 271 A 5), poi
ché questa «p recisione» dialettica fonda la descrizione « a regola d ’ arte»: già i due
esempi «casu ali» di analisi concettuale fanno i discorsi sull’Eros Te.xvixtoTápou<; in
confronto a Lisia (263 D 5); ztyy\.x.úyiLç>o\. rispetto a questi sono gli argomenti preci-
si della Repubblica, ma anche questi non bastano a soddisfare la richiesta di una
completa àxpífkta (Repubblica, 435 D 1; 504 B 5; cfr. 611 B - 612 A ). —- Concetto
opposto alie esposizioni «p recise» è quello dei cpocuXa o esposizioni «n on tecniche»,
cfr. sopra, p. 67, nota 19.
48 Fedro, 276 E 3 (accenno alia Repubblica] cfr. sopra p. 61).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 99
4. Conclusioni riassuntive
49 Sui passi in cui Platone si trattiene dal parlare, che si tro vano nella Repubblica,
cfr. sotto, pp. 391 - 414.
100 «FEDRO»
3 Friedländer, Pla ton , II, p. 320, nota 16, era vicino a vedere il riferimento.
4 Oltre alia formulazione (o¿x cmr) icntv r¡ x¿jv Xoyotcoicöv t&xvy1> invece di oux
eortv r¡ Tcov Xoyo7ro!.wv xíyyr\\ é soprattutto Tassicurazione che segue immediata-
106 «EUTIDEM O»
8 L ’irruzione del dialogo-cornice nel dialogo narrato mostra che il rifiuto provie
ne, in realtá, da Socrate stesso.
9 A proposito di oux oa>Tr¡ di 289 D 8, cfr. sopra p. 105 e nota 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 109
t0 A volte viene messo in dubbio che in 301 A sia presente un riferimento alia dot
trina delle Idee, ad esempio da parte di Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 278 s., che
cita anche alcuni pareri analoghi espressi precedentemente da altri (p. 279, nota 1).
Parimenti sono preparato ad affrontare il rifiuto della mia proposta di vedere nella
(vera) XoYOJtouxrj un riferimento alia dialettica. Per coloro che desiderassero man-
tenere in proposito un certo scetticismo si not! che per lo scopo dimostrativo che è
qui perseguito sono sufficienti i rinvii unanimemente riconosciuti a teorie che con-
ducano piü avanti in 290 E (dialettica) e 293 B ss. (reminiscenza). II tentativo com-
piuto da Guthrie (A H istory ..., IV , p. 282) di separare ancora Eutidem o, 290 C,
d allaRepubbiica, 510 C ss., risultapiü che mai discutibile: nella sua frase conclusi
va per cui « il primo principio anipotetico è la form a del B ene», egli scomoda, tutta-
via, nuovamente un teorema della Repubbiica, che, per quanto lui ritiene, Platone
«n on è necessário che abbia avuto qui in mente». (A Guthrie, come anche ad altri
interpret!, è sfuggito il fatto che il sapersi volontariamente trattenere dal pariare di
certe cose costituisce il m otivo strutturale dell’ azione; in proposito, cfr. sotto, pp.
110-115).
11 Questo sapersi trattenere dal pariare di certe cose a seconda delPinterlocutore,
non ha niente a che fare con la segretezza: questo si ricava già dal fatto che, quando
Socrate (o «u no degli D e i»? ) introduce la dialettica, sono presenti anche Eutidemo
e Dionisodoro; ma il discorso, in questo passo, non li riguarda. A proposito della
distinzione fra segretezza ed esoterismo cfr. quanto diciamo sotto, pp. 484 - 487.
110 «EUTIDEM O»
12 N on esiste niente di meno platonico dell’idea che «la sofistica dei due maestri di
lo tta » si differenzi «d alla diaiettica socratica ... unicamente a m otivo dell’ intenzio-
ne e deli’orientam ento» (Friedländer, Pla ton , II, p. 167). Per Platone ia differenza
sta nella conoscenza o non conoscenza della reminiscenza, delle Idee, della diaietti
ca. (L a disponibilitä espressa da Socrate a soffermarsi su questi temi e regolata dal
la «disponibilitä e dalPorientam ento» degli interlocutori).
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 113
sofia per gradi, come in una iniziazione (277 D-E). Come tutti
sanno, la visione delle Idee viene presentata nel Fedro come
un’iniziazione ai Misteri (250 B 8 - C 4), e inoltre anche il paral
elism o tra filosofía e «m isteri» (TeXsioci) è frequente in Platone.
L a capacita, già data con questa rappresentazione, del control-
lato trattenersi dal dire certe cose — che come già si è visto de
termina Tintera «a z io n e » del dialogo — viene riconosciuta
espressamente, e con approvazione, anche agli avversari: «sai
quando bisogna tacere e quando no (oT<t0oc ot& Sel á 7roxpívaa0 ai
xat ote ptiq) (287 D 1) e «questo a ragione veduta hai passato sot-
to silenzio» (toüxo ¡jl&v éxwv 7tapT}xocç, 301 C 2). Dobbiam o, allo-
ra, intenderli come veri oratori che conoscono «le situazioni in
cui è il momento giusto di parlare o di astenersi dal parlare»
(xoupoùç Toü tcote Xextéov xal ¿7uax£TÉov) e che sanno «c o n chi si
deve tacere» (atyõcv rcpòç oOç B&I) (Fedro, 272 A 4; 276 A 6 ). Illu
minante per questa lode irónica è il passo in cui Dionisodoro fa
fare una cattiva figura alla sua arte, rispondendo in un momen
to inopportuno (297 A ). L ’ «a r te » dei sofisti riceve, poi, l ’ elogio
di Socrate a m otivo della sua «acribia dei discorsi» (axpípeia
Xóycov, 288 A 6 ), con la quale egli, certamente non a caso, le at-
tribuisce una caratteristica della competenza del dialettico (cfr.
F ed ro, 270 E - 271 A ; R epubblica, 435 D 1 e 504 B 5). Per lui è
sicuro che i fratelli non parlano a casaccio, bensi si presentano
quali maestri dell’ «a r te » ( t é x ^ ) del «discutere» (SiaXéyEaOaL);
egli dice ad Eutidemo che sa discutere meglio (xáXXtov ¿Tufcrraaoci
SiaXéyEaOat, 295 E 2), e che in generale i due fratelli parlano a
ragione d ’arte (t ^ ix c o ç ), mentre lui stesso parla solamente «in
m odo semplicistico» (i8icútixôSç, 303 E 5; 278 D 5). Essi sono,
dunque, lodati quali veri possessori delParte dei discorsi (ts,xv^
xoí Xóywv Tt&pi) nel senso del F e d ro , la cui «a r te » in quanto «a r
te dei discorsi» (Xóycov xéxvr)) o in quanto «arte dialettica» (8ia-
XexTtxr¡ xexvT]) può venir espressa con alcune perifrasi di F ed ro ,
273 D-E; 276 E. Poiché scopo del dialettico è la «assimilazione a
D io » (ó^oítoaiç Seto), comprendíanlo che anche Tinnalzamento
degli eristi a « D e i » (293 A ) non è solo uno scherzo spavaldo,
bensi anche un voluto elevamento al di sopra della vicinanza al
divino del « filo s o f o » ( 91 X0 0 0 9 0 $) (Fedro, 278 D ). (II contrasto
di questo passo con la presenza « d i uno degli esseri superiori» in
291 A — qui gli « D e i » non possono aiutare, là un D io fa entrare
nella discussione il concetto di dialettica, con cui si dovrebbe so-
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 117
20 Questo non vuole però certo dire che io ritenga il Fedro precedente dal punto di
vista cronologico. Analogamente, il fatto che in esso si presupponga la dottrina
completamente svolta della reminiscenza non deve affatto far concludere che YEu-
tidemo sia stato scritto piü tardi dei M enone. Nella sua prima esposizione coerente
la dottrina della reminiscenza può essere stata per Platone già un TcoXuflpúXrjtov,
come Ia dottrina delle Idee nel Fedone (100 B). Questo si può supporre con sicurez-
za per quanto riguarda la critica della scrittura e il concetto di (3or)6etv nel Fedro: la
prova piü sicura è costituita dalla utilità di questo concetto per Pinterpretazione dei
primi dialoghi.
21 tc\t]PI[jl£.XoÚ[jis.voç xal oux èv Bíxyi Xothoprfizíq, Fedro, 275 E 3 - 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 119
22 Sarebbe un grave equivoco ritenere che qui Socrate taccia, ma, proprio tacen-
do, «accenn i» al sapere piú alto e confermi, cosi, la teoría schleiermacheriana della
comunicazione indiretta, come se la form a specifica di comunicazione del dialogo
fosse proprio arfwvxa Xáysiv (la formulazione si trova proprio neíPEutidemo nella
cornice di una falsa conclusione: 300 B). É decisivo il fatto che i Ttfjctw'uepa, che
mancano n Eutidem o non potrebbero mai essere ricavati da questo solo dialogo:
invece, secondo la teoría schleiermacheriana, la comunicazione indiretta deve esse
re indipendente per quanto concerne Í1 contenuto del suo significato, e risultare,
quindi, senz’ altro decifrabile al lettore intelligente. Qui, invece, siamo in grado di
intravvedere oltre il testo i teoremi mancanti, soltanto perché in altri dialoghi ve-
niamo istruiti in proposito direttamente. N on avrebbe senso parlare di una comuni
cazione «in d iretta » della dottrina della reminiscenza núV Eutidemo'. essa non viene
comunicata, bensi presupposta. Anche l ’interpretazione in senso storico-evolutivo
di ció che manca viene sconfessata: quello che qui manca non si puó interpretare
come un progetto da svolgersi nel futuro, anzi, é molto evidente come esso sia co-
stituito, invece, da teorie pienamente formúlate.
120 «EUTIDEM O»
23 II m otivo del «nascondim ento» (spesso legato o sostituito da quello dell’ «ingan-
n o » — solo chi possiede un vantaggio rispetto alle conoscenze delPaltro puo ingan-
nare) e presente, fra l ’ altro, in Carmide, 174 A ; Protagora, 342 B C; Ippia in in ore,
370 E; 373 B; Ippia maggiore, 293 E; 300 C D; Eutifrone, 3 D; 11 B^ 14 C; 15 E; L i-
side\ 215 C; 219 B; lo n e, 541 E; Gorgia, 499 B C; Cratilo, 383 B - 384 A ; 427 D E;
Fedro, 271 C 1-3.
IV. II «soccorso al logos» come principio
strutturale del dialogo platonico
1 A l lettore non sarà sfuggito che nel corso delle anaüsi sin qui condotte, si è già ri-
sposto a queste obiezioni in parte esplicitamente, in parte in m odo implicito; le ri-
propongo qui, comunque, ancora una volta nel loro insieme, prima di passare al-
Panalisi dei singoli dialoghi, cosi che il lettore possa avere davanti agli occhi le al-
ternative possibili per Pinterpretazione dei passi sulla por^eia. A lia luce dei risuitati
cui siamo giunti nei capitoli precedenti, la risposta alie obiezioni può essere limitata
alPindicazione dei punti di vista piü generali.
2 Obiezione a! progetto preliminare di questa ricerca, da me esposto in «Museum
H elveticum », 35 (1978), pp. 18-32, fattami per leítera da un collegatedesco.
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 123
5 De Vries, H elping the Writings p. 61, sembra fondare la sua opinione secon-
do la quale « i l soccorso richiesto durante una conversazione non e la stessa cosa del
sostegno di cui necessita la parola scritta» sull’ interpretazione per cui |3or|0e.rv nella
Repubblica, 368 B C «riguarda la discussione nel suo complesso e non una teoria
specifica proposta durante tale discussione». M a la frase citata per ultim a e un er-
rore dovuto a de Vries e non un’ afferm azione del testo di Platone. E anche se aves-
se ragione, non potrebbe fondare la conclusione su due tipi di «so cco rso» diversi
per principio.
6 Cfr. sopra, pp. 56 ss., 68 ss.
7 Cosi soprattutto nel proemio del Teeteto, e analogamente nel Fedone e nel Sim-
p osio (cfr. sotto p. 342).
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 125
12 Difficilm ente si vorrá negare che Vlastos abbia concepito la sua spiegazione an
tiesoterica del concetto di «soccorso al log os», non essendo, evidentemente, a co-
noscenza del ricco materiale a sostegno di questo concetto che Pía tone ha messo a
nostra disposizione. Oltre a Leggi, 891 D E, gli é sfuggito, ad esempio, anche Fe-
dro, 88 D 6-7 (a proposito del quale cfr. sotto, p. 323, nota 77).
Y. «Le Leggi», libro X
Il superamento come essenza del «soccorso»
4 Ecco il testo di 891 A 1-2: xoc TCtpí vójaoui; TCpo<ycáyiJi.caa ¿v y p á ^ a a i T£0£vxa, tos
Síóaovxoc ei? u á v ta xpóvov íX syxp v, 7uávTco<; Tipsuet. Per r^peael, cfr. iVcrpce, Fedro
275 D 6 (sulle statue, che servono come analogía per la scrittura).
5 A d esempio, 893 B 5: eXeyxo JjLÉvw ¡j,ol
IL SUPERAMENTO COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 129
13 La notifica che egli stesso vuole interrogare e rispondere (893 A 3-5) é, senza
dubbio, una parafrasi del m odo di descrivere impiegato in 893 B 6 - E 5: PAteniese
domanda in nome delPavversario e risponde per se stesso. In questo m odo egli vo-
leva «percorrere Pintero lo g o s » fino alia dimostrazione della prioritá dell’ anima
(dunque, almeno fino a 896 B C, o, meglio, fino a 899 B). II capovolgimento, non
sottolineato da Platone, si verifica in 893 E 6 - 894 B 1; questo capitolo avrebbe do-
vuto appartenere all’ avversario immaginario, ma, nel proseguimento, risulta essere
una asserzione dell’ Ateniese.
IL SUPE RAMEN T O COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 133
17 Allusione alia conoscenza delle Idee ( t o Tipo; fiíav íSéav ßXsTtetv) 965 C 2, al Be
ne come concetto integrativo delle aptxaí, 965 D 1 - E 2.
18 C fr. le mié osservazioni in: Problem e der Platoninterpretation, «Göttingische
Gelehrte An zeigen », 230 (1978), pp. 29 s. a proposito dell’interpretazione scorretta
che di questo passo danno H . Cherniss (Recensione di G. Müller, Studien zu den
platonischen N o m o i, «G n o m o n », 25 [1953], pp. 374 e 376, nota 3) e L. Tarán
( Académica. P la to , P h ilip o f Opus, and the Pseudo-Platonic Epinom is, Philadel
phia 1975, p. 23, nota 85. L ’ Ateniese prometterebbe il suo soccorso «p e r quanto ri-
guarda la selezione dei candidati e l ’aiuto ad allenarli». Si tratterebbe,, quindi, di un
soccorso pratico, e di un insegnamento teoretico che non supera i confini del
dialogo).
19 968 E 3: artopprjxa ¡aiv Xtyftívxa oux av óp06>? Xíyoixo, árcpópprjTa Sc ...
20 Ovviamente, anche cntouSri di 966 C 2 va inteso come un concetto relativo.
VI. «Ippia minore»
Chi inganna e chi è ingannato?
1 La derisione della vanità di Ippia determina fin dall’inizio il tono (364 A 1-6, B
1-3), compare, rinforzata, nelP elogio irônico della sua poliedricità (368 A 8 - 369 A
2) e porta, infine, alio smascheramento delía vacuità della sapienza di Ippia nelPul-
tima frase dei dialogo.
136 «IP P IA MINORE»
2 365 C 8 - D 1: xov fièv *'0^.7]pov toivuv iàcrcojiE.v, èrcetSri xaî àSûvaxov lixavepé-
a0ai xi n o it votôv rain a inoir\atv xà F ed ro, 275 D 8-9 a proposito del logos
scritto: èàv 8c ti c'pr) tcov Xc^o^cvcov £}ouX6|xevoç ¡j.a9&ïv, cv it ar)^aiv&t ¡xovov xaù-
tèv àei. C fr. anche Protagora, 329 A ; 347 E.
3 365 D 2-4: ctù S’ èmiSri îpaivrj àvaScxojxcvoç trjv aïxiav, xaî aol auvSoxeî xaûxa
v.ntp cpr|ç r/0|j.r]pov X£yeiv, ¿Tcoxptvczi xoiv^ ùnip '0[x^pou te xat ctocutoû.
4 363 D 2: etç £7:î8e.l^iv Trapecxe-uaafievov. Questo è detto, letteralmente, solo delle
esibizioni di Ippia ad Olimpia; ma, dal momento che lui stesso sottolinea la somi-
glianza della situazione, dobbiamo immaginarci che il suo discorso ad Atene sia
dello stesso tipo. Anche in Ippia maggiore, 286 A - B, Ippia arriva ad Atene con un
discorso studiato fin nelle scelte lessicali (286 A 6) (e non pubblicato in preceden
za). La menzione di Eudico in entrambi i dialoghi sembra voglia accennare al fatto
che la cornice dialogica indica in tutti e due i casi lo stesso discorso, citato da Filo-
strato: il D ia log o troiano di Ippia (cfr. Diels-Kranz, 86 A 2; B 5). (L a storicità del
discorso e la sua successiva pubblicazione non sono, tuttavia, decisive per la nostra
forraulazione della domanda).
138 «IP P IA MINORE»
5 372 B 2-4: ... x&XXa i'x<ov Tiavu cpaüXa- tcüv piv yap jcpay^aTcov ex£l lacpaX-
|iou, xoci oijx oTS5 Sot] laxiv. Schleiermacher traduce xaXXa 7iavu cpauXa con
«übrigens (m ag) es schlecht genug um mich stehen», il che e incoerente, in quanto
egli rende il precedente xori xivSuveuco Sv ¡xövov toöto ayaöov con «u nd ich
mag wohl nur dies eine Gute haben». II parallelismo delle due mezze frasi richiede
di intendere i'xstv e tutte e due le volte come «a v e re », e xäXka. e cpaöXa non co
me neutri avverbiali, bensi come accusativi retti da &xeiv (come h> e ayaööv).
6 Questa e la spiegazione di G. Vlastos, che ha riscosso ampi consensi. C fr. sopra,
pp. 67 ss. e nota 20.
CHI IN G AN NA E CHI È INGANNATO? 139
dire che la sua assiduità nell’ interrogare e nell’ imparare sia Vtí
nico bene che gli si adatti, e che a questo atteggiamento pura
mente filosofico dal lato dei risultati corrisponderebbe solo la
tesi, effettivamente «c a ttiva », che il menzognero e il veritiero
siano identici7. In realtà non può esserci dubbio che Socrate
non solo ritenga giusta la tesi opposta — e questo fa anche Ip-
pia — , ma che saprebbe anche addurre m otivi che la sostengano
(su cui diremo di piü tra poco). M a se la conoscenza insufficien-
te delle cose (Tcpáy^axa), che si esprime nella proposizione sull’ i-
dentitá di « fa ls o » (cJjeuSri;) e di « v e r o » (àXr)0rjç), viene giusta-
mente definita « d i nessun va lo re » (cpocúXov), allora è ovvio che la
conoscenza ben fondata dell’ opposto è un «b e n e » (áyocGóv), e
che gli argomenti che dimostrerebbero il vero stato di cose in
confronto alie «cose di scarso valo re» (¡paüXoc) con cui Socrate
combatte fino in fondo la proposizione sbagliata, sarebbero
«cose di maggior valo re», nel senso pieno della parola. A lio
stesso tempo diventa, cosi, chiaro che, nella interpretazione m o
derna di Platone, la tanto amata negazione del postulato di con-
tenuti particolari, e la loro sostituzione con un «procedim ento»
migliore e un «atteggiam en to» piü filosófica, è soltanto una fin-
zione dell’ ironico Socrate per confondere Ippia, incompetente
di questioni filosofiche. Dal punto di vista di Platone, questa di-
visione tra contenuto e método, questo procedimento e questa
«p o s izio n e» m igliori, che non portassero anche a risultati mi-
gliori, risulterebbero essere del tutto insensati8.
Se Ippia fosse d a w ero quelPuomo dell’ «a r te » (t£Xvy1) e della
«scien za» che Socrate elogia (368 B ss.), egli dovreb-
be — secondo un pensiero portante del Fedro — sempre sapere
«quando ciascuna di queste cose vada fatta e in quale misura»
(ótcót£ SsIbxoccjtoc toótcov trot&iv xcu |X£)(pi otcouou, F ed ro, 268 B 7),
e dovrebbe altresi conoscere quali siano « i momenti giusti di par
lare e di trattenersi dal parlare» (xaipoüg xou k óxi Xexxéov xaí ém-
a^xeov, F edro, 272 A 4). Proprio questa concezione sembra na-
scondersi dietro I’ osservazione di scherno di Socrate, secondo cui
ora Ippia non farebbe uso della sua mnemotecnica; Socrate rileva
infatti espressamente: «evidentemente credi che non ce ne sia bi-
sogno» (BrjXov yocp Sxi oux ol'si Bsív, 369 A 7-8). La battuta si basa
sul fatto che Socrate fa del mnemotecnico Ippia uno che é padro
ne della propria memoria, mentre, di fatto, solo lacomunicazione
di un contenuto ricordato puó essere sospesa volontariamente,
ma non l’ esercizio stesso della memoria. Ció che qui (presumibil-
mente) Ippia esercita é analogo al «tacere nel confronto di coloro
con i quali si deve tacere» (atyav rcpó<; oÜ£ 8&I) del filosofo.
La rappresentazione del maestro superiore del discorso che sa piü
di quanto dice, é evocata in m odo ancor piü chiaro nell’accusa che
Socrate fa ad Ippia di ingannarlo: «tu mi inganni, o carissimo Ip-
pia, e tu stesso imiti Ulisse» (e£aTrocxas (xe, <£> cpiXxaTe 'ÍTOTÍa, xotí
ocutóc tóv ’ OSuaaea 370 E 10). L ’ azione del dialogo non ri-
sulta spiegabile in maniera migliore, se non ricorrendo alia do-
manda: chi inganna e chi é l ’ingannato, chi é l’ astuto Ulisse di
questa commedia?
(2) Naturalmente, Ippia non sa uscire dalYelenchos cui si é espo
sto con tanta fiducia (363 D - 364 A ). Egli aveva sostenuto che
Omero ha dipinto due caratteri opposti in Achille, Famante della
veritá, e in Ulisse, astuto e menzognero. Ora, guardando « le cose
stesse», egli deve ammettere che il veritiero e il menzognero sono,
in ogni ámbito, la stessa persona: precisamente, quella persona
che in quest’ ámbito é piü attiva e «b u o n a » (365 D - 369 B), e, con
siderando Omero, che Achille e Ulisse sono dipinti come caratteri
del tutto identici, che dominano in ugual misura la veritá e la men-
zogna (369 B - 370 E). Ippia pro va a spiegare che Achille, in Ome
ro, mente non di sua spontanea iniziativa; cosa, questa, che gli
viene confutata, in primo luogo, ricorrendo al testo, e che, in se
condo luogo, dovrebbe costringerlo, in conseguenza di quanto é
detto prima, a riconoscere la superioritá di Ulisse, che mente di
sua spontanea volontá (370 E - 371 E ) 9. L a discussione si estende
9 In realtà, troviam o qui il sofisma centrale delPintero dialogo, che Ippia senz’ altro
non coglie, e che non deve cogliere. Era stato dimostrato che le persone competenti in
CHI ING ANNA E CHI È INGANNATO? 141
qui, all’ inizio della seconda parte principale, alia domanda piu
generale se coloro che agiscono ingiustamente per loro sponta
nea volontá siano m igliori di chi sbaglia non per sua volontá
(372 A ).
Socrate, seguendo la lógica della sua confutazione di Ippia, ma-
nifesta come sua opinione la seguente: chi danneggia di sua vo
lontá i propri simili, compie una «in giustizia», inganna e fa del
male, é moralmente m igliore di chi lo fa non di sua volontá (372
D).
Questa afferm azione non é sostenibile. E allora, é davvero pos-
sibile che essa contenga la concezione di Socrate? « A volte, in-
vero, mi sembra anche il contrario, e oscillo in queste cose, evi
dentemente perché non ho nessuna conoscenza» (372 D 7 - E 1).
Socrate, come abbiamo visto, sa sempre con certezza che una
conoscenza delle cose che porti a questa afferm azione come suo
risultato é una conoscenza insufficiente («ca ttiv a », 372 B 2). La
presente concezione gli sembra essere come un attacco di malat-
tia (xocTTqpoXri, 372 E 1).
Poiché, comunque, Pignorante (372 B 6) Socrate é pur sempre
arrivato ad un’ asserzione positiva, toccherebbe ad Ippia confu
tarla, soccorrendo in questo m odo la concezione moralmente
corretta, che lui stesso rappresenta. Socrate lo invita a farlo:
« P e r favore, non privarmi della salvezza della mia anim a» 10.
Poiché P «attacco di m alattia» di Socrate costringe «o ra , per il
m om ento» ad una tesi immorale, egli deve subiré anche dei dan-
ni per la sua anima; la confutazione della sua tesi sarebbe, al
tempo stesso, la fine della malattia morale della sua anima.
Considerato in questo m odo, l ’invito « a guarirgli Fanim a» (t<x-
cracGai. ttjv í]>uX'5Ív non significa altro se non la preghiera che
invoca di «s a lv a r á » (aóáaca rjpLá^) áelVEutidemo (293 A ): i due
passi svolgono la funzione di invitare Pavversario a metiere in
atto quel «portare soccorso» (po7]0£Ív), ricorrendo alie «cose di
un settore possono dire con sicurezza, sul loro settore, il falso (mentre persone me-
no competenti potrebbero involontariamente dire il giusto, anche se avessero volu-
to dire il falso - 367 A ). Da questo non deriva che i «b u o n i» sono coloro che mento-
no volontariamente: perché «cap ace» di mentire non è la stessa cosa di «capace e
intenzionato» a mentire, il Buvcxtòç (jjaúSeaôou non è necessariamente uno c[>s.uSriç.
(L a soluzione del sofisma la offriva giá Aristotele, Metafísica, 1025 a 2-13).
10 372 E 6-7: a i ouv yjxptaai xa£ [ir] cp0ovY]ar]ç táaaaôat rr]v ({¡ux'nv [ioü.
142 «IP P IA MINORE»
le, chi ignora i passi dei dialoghi che esprimono questa limitazio-
ne, li minimizza e interpreta iñ maniera fuorviante, abbassa an-
che Timmagine di Socrate al livello di quelía del non-filosofo.
]1 Se Ippia sottolinea, nella serie di esempi induttivi, 373 D ss., che il risultato vale
sempre solo per I’esempio appena trattato (374 D 7; 375 B 4), é chiaro che il trasfe-
rimento al comportamento etico é discutibile.
18 W . Boder, D ie sokratische Iron ie in den platonischen Frühdialogen, Amster-
dam 1973, pp. 86-94.
19 C fr. W ilam owitz, P la tón , I, p. 102: «quaicosa di simile (sal. come “ astuto” ),
comunque ad onore dell’ eroe il poeta ha effettivamente pensato con il neologismo
“ polytropos” » .
20 Dal (supposto) entusiasmo di Ippia per una capacitá di compiere ingiustizie «si
pud dedurre vía negationis la rappresentazione di una capacitá che si decide per il
compiere giustizia — e solamente per questo» (Boder, D ie sokratische I r o n ie ..., p.
89). M a se l ’ ironia colpisce l ’ atteggiamento, e non Pafferm azione, di Ippia, allora
la negazione dovrebbe suonare: «n on dovrem m o entusiasmarci, bensi rattristarci
del fatto che chi inganna ha tanto potere — ad esempio, che I’ invidioso persuasore
del popolo abbia potuto costringere a cacciare il giusto A ristid e». Pariendo da una
tale preoccupazione, il pensiero greco non arriverebbe mai a sostenere che Aristide
non avrebbe potuto utilizzare le sue indiscusse capacitá anche per compiere ingiu
stizie, perché questo significherebbe sminuirne la giustizia. Boder é a tal punto pri-
gioniero degli schemi di pensiero platonici, da trattare come se non esistesse la con
sueta figura di Eracle al bivio, e, invece, a trattare come si trattasse della cosa piú
ovvia del m ondo il paradosso socrático della conoscenza della virtü. M a esso
146 «IP P IA MINORE»
era, e resta, un paradosso a cui solo uno puö giungere: chi non l ’ha imparato da
qualche parte con una comunicazione diretta non e soccorso da nessuna «iro n ia ».
21 Friedländer, P la to n , II, p. 128.
22 Boder, D ie sokratische Iron ie ..., p. 89. Analogamente, a proposito della nega-
zione di un’ intenzionale limitazione sostenuta da Guthrie, cfr. sopra, nota 11.
CHI ING ANNA E CHI È 1NGANNATO? 147
1. M o tiv i tipici
2 Cfr. 304 C: 7tXav<5f¿oc'. xod adopto áeí. C fr. inoltre 298 E 1 il sapere di non sapere.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 151
3 Questa potrebbe forse essere una spiegazione dell’ impiego, fatto per ben due
volte, di uno stesso personaggio che dà il nome al dialogo. Non si puô comunque
concludere, data l ’esistenza di due dialoghi che portano il nome di Ippia, che dei
due (o, in caso di dubbio, il maggiore) non sia autentico. Anche la citazione di A ri-
stotele È.v itù 'Imuioc, M etafisica, 1025 a 6, riferita slY Ippia minore, non prova che
egli non conoscesse Y Ippia maggiore (cfr. M. Soreth, D e r platonische D ialog H ip -
pias maior, München 1953, p. 2). Va piuttosto considerato corne riferimento &[YIp
pia maggiore, 298 A , il passo di Topici, 146 a 2Î-22 (D . Ross, P la to's Theory o f
Ideas, O xford 1951, pp. 3 s.). - Gli argomenti di contenuto a sfavore della non au-
tenticità sono forse ancora meno convincenti. G .M .A . Grube {On the Authenticity
o f the Hippias M a jo r, «Ciassical Quarterly», 20 [1926], pp. 134-148; On the L o g ic
and Language o f the Hippias M a jo r, «Classical P h ilo log y», 24 [1929], pp. 369-375)
e M . Soreth (cfr. sopra) offro n o difese convincenti del dialogo; cfr. anche Guthrie,
A H istory ..., IV , pp. 175 s. J. Moreau, L e Platonisme de l ’Hippias M ajeur, « R e
vue des Études Grecques», 54 (1941), pp. 19-42, adduce valide prove a favore della
platonicità del contenuto; quest’ultimo viene, tuttavia, rifiutato a causa delle d iffi-
coltà della collocazione cronologica: infatti, il «d ialogo giovanile» aporetico-elen-
chico, dal punto di vista del contenuto si pone al livello dei lavori della fase media e
tarda, cosa impossibile per Platone. (O ggi non è quasi più messo in dubbio che ar
gomenti di questo tipo screditano piuttosto il punto di vista storico-evolutivo che
non la autenticità di un dialogo).
152 «IP P IA M AGGIORE»
4 Grazie all’ introduzione dell’ anonimo interrogante, Socrate puó non essere cosí
scortese e dire: egli stesso riceverebbe le bastonate, se esponesse al sosia le risposte
di Ippia.
SOCRATE E 1L SUO SOSIA 153
compiuta dei dialettico, dei suo m odo di procedere e dei suo sco-
po. Accanto al Fedro, che resta, come sempre, importante per
Tindividuazione dei punti di vista decisivi, si profila, innanzitut-
to, la RepubbUca come lo sfondo che unisce e chiarisce ciò che
nel suo isolamento risulta poco appariscente o addirittura in-
comprensibile.
(1) II dialettico è colui che neWelenchos resta sempre vincitore.
Se si sente questa pretesa dalla bocca di Ip p ia 10, si è inclini a
non consideraria che una smargiassata sofistica, cui non corri-
sponde nulla dalla parte dei filosofo. Invece uno sguardo ai pri
mi dialoghi mostra che Socrate, di fatto, soddisfa la pretesa di
imbattibilità nel dialogo n . M a soprattutto la RepubbUca con la
sua definizione dei dialettico accoglie, anche teor eticamente, l’ i-
stanza già realizzata «in im m agine» nei drammi dei dialoghi: chi
non è in grado di definire, astraendola da tutto il resto, 1’ Idea
dei Bene, e «com e in battaglia passando attraverso tutte le prove
... non affronti tutte queste cose con un ragionamento che non
cro lla» (ÓSaTCEp iv [Jtáxxi Stà tkxvtcov i X í ^ x ^ BteÇiáv ..., èv Trãat
xotkoiç àraxcoTi t<í> Xóya) Siarcopeúirvtai), di costui non si potrà di-
re che conosca il Bene (534 B 8 - C 5) n . Poiché Platone ritiene
possibile la conoscenza dei Bene (511 B; 518 C; 519 D; 526 E 4 e
nimo interrogatore si com porti di solito con lui, quando egli as-
sume le opinioni dei «sapien ti» (aocpoí) su ció che é «b e llo » (xa-
Xóv): lo rimprovera per come egli si permetta di osare di giudica-
re le cose belle finché non sa che cosa sia il bello; una vita senza
questo sapere non é degna di essere vissuta (304 D 8 - E 3). Que-
sto interrogante, che « é párente stretto ed abita con m e» (304 D
3) si mostra qui di nuovo 16 come voce interiore di Socrate messa
in un personaggio del dialogo. L ’ immagine della «v ita in comu-
n e» dei due Socrati o ffre senza sforzo una nuova immagine per
il ritorno riflessivo su se stesso: «o g n i volta che torno a casa
presso me stesso» (eustSáv oüv siaeXBco oixaSs zl<; ¿¡Jtauxoü ...,
304 D 4). Sotto la spinta della sua voce interiore Socrate ha spes-
so 17 riflettuto sul bello, e ha trovato la risposta nella teoría delle
Idee. Grazie a questo vantaggio decisivo egli puó entrare nell’ e-
lenchos.
Accanto al dialogo agonistico sí intravvede anche un altro tipo
di dialogo. In un rovesciamento ironico della realtá, íppia é con-
cepito come il dialettico che deve comunicare aH’ allievo adatto
la capacita del portare «so cco rso » (cfr. sopra p. 157 a proposito
di 286 E ss.). Dice Socrate a Ippia: « ti ammiro perché mi sembri
che, nella misura del possibile, mi voglia portare soccorso in
m odo b en evolo» (aya¡jiaí aou oxt fxot SoxeT^ euvoixwi;, xaO’ oaov
oIÓ£ x’ el, (BorjGetv, 291 E 4 s.). L a benevolenza é ció che caratte-
rizza il dialogo del filo so fo con 1’ anima adatta (<|>uxt] 7rpoa7]xou-
aa); qui la riserva, che nel dialogo polémico é indispensabile,
non viene applicata. Pertanto si puó forse cogliere qui dall’ e-
spressione «n ella misura del possibile» (xoc0’ oaov otó? x* si) —
accanto alia allusione apertamente irónica all’ incapacitá di Ip-
pia — altresi l ’ ulteriore significato che anche il vero dialettico
nel dialogo benevolo andrá fino ai limiti della sua conoscenza,
oltre ai quali egli puré non avrá altro «sa p ere» da offrire.
Comunque sia, certo é che il libro scritto e diffuso fra il pubbli-
co non puó per principio contare sulla benevolenza del lettore:
quando viene « a torto insultato» (F ed ro, 275 E 4), non puó di-
18 Cfr. sotto, pp. 370 - 383, a proposito della struttura della Repubblica.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 161
19 Ippia stesso potrebbe formularlo solo come ipotesi:.se Socrate, dopo il suo inse-
gnamento, potesse ancora venir confutato, allora risulterebbe tò ijiòv 7rpãyp.a cpaG-
Xov xaí íBtcoxtxóv (286 E 8 s.).
20 Cfr. sopra, p. 154, nota 7.
162 «IP P IA M AGGIORE»
22 301 B 2: xà ¡jtiv ÖXa xtov Tcpay^áxtov ou axorceTç, B 5-7: otà xaüxa oüxoj ¡jLeyáXa
ó^i.ãç Xavôávsi xat tara xr\ç, ouaíaç (con la replica irónica da
parte di Socrate, E 3-4). 304 A 5-6 xvria|j.Gn;a (letteralmente: raschíatura) ... xat ?ce-
ptT|j.r]jjLaTa Xóycov ... xaxà ßpa^u StYipri[j.£va. M i sembra che non si possa dubitare
che qui e in xaTaT£|jivovx£.ç, 301 B 5 sia celata un’allusione alia diairesi come proce
dimento dialettico.
23 Cfr. sopra, pp. 156 s., a proposito delPinconfutabilità del dialettico.
24 W ilam owitz, Platon, II, p. 326, riteneva le parole omeriche |jtép[jte.poç (290 E 4) e
oiavexrjç come 53 «unverkennbares Stigm a» di inautenticità. Friedländer conside
rava |jLÉppL£poç come una citazione (Pla ton , II, p. 298, nota 1). II termine ^tavexrjç
164 «IP P IA M AGGIORE»
potrebbe, ancora meglio, essere un’ allusione ad una asserzione di Ippia. Suivejcrj; si
trova anche in Leggi, 839 A ; anche nel caso che questo termine fosse un anal; Xbjó -
[xevov, non dovrebbe suscitare dubbi, perché risulta comprensibile e significativo
nel passo in cui é collocato. — Sulla conoscenza generale dell’ essere della dialettica
platónica cfr. Krämer, loe. cit. (cfr. sopra, p. 156, nota 12), p. 41.
25 287 C D ; 289 C D; 291 D 1-5; 292 C D; 293 B 10 - C 1; 294 B; 302 C. In questi
passi la domanda t í icmv, che mira all’essenza, é distaccata, in m odo conseguente,
da una esemplificazione pura e semplice; il Bello (Giusto, Buono, ecc.) é qualcosa
di esistente; « i l Bello in sé» é una oúcía e un &TSo;, grazie al quale tutto ció che é bel
lo é bello; mentre la singóla cosa bella, cui si avvicina il Bello in sé, puö anche esse
re brutta alio stesso tempo, il Bello in sé non é mai brutto per nessuno, non é affat-
to mescolato al suo contrario.
26 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 190. Guthrie conta sul fatto che la sua posizione,
di fronte ai notevoli pareri coincidenti, «p u ö sembrare come una difesa ostinata di
una tesi». La debolezza della sua argomentazione, invece, non é dovuta alia sua ca-
parbietá, quanto piuttosto alia sua parzialitá: Guthrie separa i paralleli del vocabo-
lario delle Idee da quelli della concezione del Bene, mentre gli sono completamente
sfuggiti i riferimenti al Fedro (cfr. nota seguente).
27 Guthrie, loe. cit. (cfr. nota precedente), obietta alia sua soluzione con la do-
manda se la mancanza deíPesistenza separata delle Idee non possa essere anche un
caso. L ’ alternativa «n on ancora noto — lasciato via per caso» é incompleta giä dal
punto di vista logico, ed é, inoltre, palesemente inadeguata ai dialoghi platonici alia
luce del Fedro e dell’Eutidem o ( « í ’hai volutamente tralasciato», 301 C 2). Guthrie
rifiuta l ’idea della mancanza casuale «perché I ’ addizione della trascendenza non é
uno sviluppo banale, bensi rivoluzionario», perciö questa «a d d izio n e» dovrebbe
essere rintracciabile nel testo. (Guthrie confuta la propria opinione alia nota 2, do-
ve riconosce, a proposito di uno «sviluppo rivoluzionario» questo:,«N on ritengo
che questo fosse il parere di P laton e»). Qui troviamo con rara chiarezza la circola-
rita del punto di vista storico-evolutivo: é evidente che si presuppone che l ’esistenza
separata delle Idee sia una «aggiunta» o «a d d izio n e» ad una forma precedente (in
Eu tifron e e nelVIppia maggiore), ed é eliminata fin dall’inizio la possibilitá di con
siderare la supposta form a precedente come «sottrazion e» che il filosofo, in quan
to ¿7ucrcáfJ.£V0£ Aeyeiv oI<j oel ye xai ¡jLrj, completa volontariamente nella situazione
aporetico-elenchica. Chi tesse uno «svilu p p o» fra i dialoghi aporetici e quelli co-
SOCRATE E IL SUO SOSIA 165
struttivi combina cío che é incommensurabile e lascia che vada perduta la possibili-
tá di capire l ’ importanza della form a per il contenuto. Cfr. anche sotto, nota 31.
28 La distinzione, nelP em/rms, fra concetti di qualitá e di quantitá ha, senza dub-
bio, soltanto carattere paradigmatico (cfr. sopra, pp. 162 s., a proposito deM’ «inte-
ro »), Sui tentativi platonico-accademici di distinzioni categoriali cfr. Testimonia
Platonica, 39-48 Gaiser. É significativo, in questo contesto, che il passo 303 B C,
collegato alY excursus, alluda alia teoria matematica deíle grandezze irrazionali, che
senz’ altro ha svoíto un ruolo nella filosofía all’ interno dell’Accademia (cfr. Th.
Heath, A H istory o f Greek Mathematics, I, O xford 1921, p. 304; K. Gaiser, P la
tons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1968 2, pp. 370 s.). D. Ross vede in 302 A un
interesse per le Idee dei numeri che anticipa il tardo Platone (loe. cit., cfr. sopra.
nota 3, p. 17), H .G . Gadamer vede una chiara allusione alia dottrina delle Idee dei
numeri (Idee und W irklichkeit in Platons Timaios, Heidelberg 1974, p. 6). Negare,
con Guthrie, A H istory ..., IV , p. 188, nota 1, che Vexcursus abbia qualcosa a che
vedere con le Idee, significherebbe non riconoscere il contesto: si tratta sempre di
definire «il. Bello in sé», e i concetti chiamati in causa in quanto anaioghi (pari/di-
spari, 302 A ) devono, perció, avere uno status analogo; non é un caso che il pari e il
dispari compaiano anche nella descrizione delle Idee nel Fedone (103 E ss.). Del re
sto, la questione se si tratti, qui, di «fo rm e precedent!» delle rispettive teorie (net
senso, ad esempio, di R .E. Allen, P la to ’s Euthyphro and the Earlier Theory o f
Form s, London 1970) o non piuttosto giá di teorie compiutamente sviluppate, per-
de sensibiimente importanza, se si considera che anche le «fo rm e precedenti» sono
costruzioni che possiamo isolare nei dialoghi giovanili únicamente basandoci sulla
nostra conoscenza di quelü tardi, e che, quindi, per il lettore di allora, che non po-
teva ancora awalersi di indicazioni ulteriori, non erano affatto identificabili come
teorie. Se noi, allora, continuiamo a credere cosi profondamente a queste supposte
«fo rm e precedenti», dobbiamo ammettere, comunque, che esse non vengono qui
sviluppate, ma solo accennate, e che sono riconoscibili solo per chi ne sia giá a co
noscenza, che cioé, qui, esse sono utilizzate come sapere di sfondo.
29 Non si dovrebbero trarne conclusioni per la cronología: é presupposto il conte
nuto dei passaggi relativi delía Repubblica e non la loro pubblicazione in libro. Ol-
tre alie reminiscenze formulate nel testo, va aggiunto che la questione del Bene (296
E - 297 D ) é, anche qui, trattata in connessione a quella del piacevole e deil’ r¡8ovr]
(298 A - 303 E), anche se il collegamento oggettivo dei due temi puó essere meno
evidente che nella Repubblica, 505 B; 509 A .
166 «IP P IA MAGGIORE»
2 N ell’Eu tifron e scorgono la teoria platonica delle idee ad esempio Th. Gom-
perz, Griechische Denker, Leipzig 1911/123, II, p. 293; A .E . Taylor, Piato, The
M a n and H is W ork, London 1926, p. 149; P. Shorey, W hat Plato Said, Chicago
1933, p. 75; Ross, P la to ’s Theory o f Ideas, cit., p. 13, cfr. p. 228. E noto che H.
von Arnim , Platons Jugenddialoge und die Entstehungszeit des Phaidros, Leip
zig-Berlin 1914 (a proposito dell ’E u tifron e: pp. 141-154) sostiene ehe tutti i dialo-
ghi giovanili presuppongono «Pammissione di un mondo trascendente delPessere
ideale». Soprattutto Allen, P la to ’s Euthyphro ..., se ne aspetta una prima esposi-
zione; K .H . llting («G n o m o n » 44 [1972], pp. 326-335) cerca di mettere in crisi la
supposizione di Allen di una prima esposizione embrionale della teoria delle Idee
nei dialoghi giovanili basandosi soprattutto sulla prova, poco convincente, per
cui V E utifrone sarebbe successivo al M enone. Per llting (p. 332, nota 3), fra l’ al-
tro, e importante Gorgia, 480 A , in cui si invita, qualora il caso lo richieda, a far
punire anche i propri parenti; il rapporto di questo passo con E utifrone, 4 B e 5
D , renderebbe ovvia la prioritä del Gorgia. La prova risale a W ilam owitz, ehe,
perd, I’aveva, in un secondo momento, espressamente scartata: «n on sussiste fra
i passi alcun rapporto» {Platon, II, p. 80, nota 1).
3 W ilam owitz, P la to n , II, p. 80; E. Kapp, The Theory o f Ideas in P la t o ’s Ear
lier Dialogues, in: Ausgewählte Schriften, Berlin 1968, p. 108. L a posizione piü
ampia, secondo la quale, per il Platone di questo livello, PIdea sarebbe solo «nel-
le » cose singole (W ilam owitz, loc. cit., Guthrie, A H istory ..., IV , p. 121: « ...
esiste solamente nelle istanze») e ovviamente insostenibile come argumentum e si
lent io. L a «trascendenza» delle Idee non e tematizzata ndV E utifrone) per trarre
da queste una conclusione negativa occorrerebbe ehe, prima, si fornisse la prova
ehe la menzione della sua trascendenza e in un particolare passo del dialogo
«propriam ente» indispensabile. (Questa prova avrebbe, comunque, un limite in
14 C 1: enEiBri £rc’ aikco fjafla ajueTparcou; in proposito cfr. sotto, p. 176). In sen-
so contrario all’ipotesi di una dottrina delle Idee nelPE u tifron e si sono espressi,
ad esempio, E. Zeller, D ie Philos, d. G riech., II, 1, 19225, p. 525 e nota 1; C.
Ritter, Platon. Sein Leben, seine Schriften, seine Lehre, München 1910/1923, II,
p. 208; M . Pohlenz, A u s Platos Werdezeit, Berlin 1913, p. 310; G .M .A . Grube,
P la to ’s Thought, London 1935, pp. 8-10. N ella discussione sulPopera giovanile
non si dovrebbe perdere di vista quella tarda: anche nelle Leggi la dottrina delle
Idee non e indicata in m odo cosi chiaro da eliminare le possibilitä di dubbio sulla
sua validitä; tuttavia, nessuno piü sostiene la conclusione un tempo preferita, se
condo la quale Platone, nella sua ultima opera, «n on avrebbe piü creduto» alle
Idee.
170 «EUTIFRONE»
uno per uno, i quali indicano che anche in questo dialogo Plato-
ne gioca con la possibilita di una limitazione intenzionale della
comunicazione e la fa agire nello svolgimento del d ia lo go 6.
2. E u tifron e co m epseudo-esóterico
8 èxxEyjjjjivcúç, 3 D 7, implica con la m etafora del «versare» il sapere, che per So
crate non esiste un cosciente (cfr. Fedro, 272 A 4); esattamente traduce Lid-
dell- Scott, A Greek Lexikon , ad locum : «W ith ou t reserve».
9 Ovviamente, qui non si parla del Socrate «s to ric o », bensi della sua immagine nel
dialogo in questione. — Si potrebbe obiettare alia riflessione di cui sopra: «la folia
dà una valutazione sbagliata di Socrate, ma solo nella misura in cui essa lo ritiene
un maestro, mentre egli non era altri se non un interrogante». Forse questo può va
lere per il Socrate storico; non si è mai dubitato che il Socrate ddV Eu tifron e abbia
molto da imparare nel tratto del suo interrogare, cfr. ad esempio W ilam owitz, P la
ton, II, p. 79 a proposito dei punti di vista logici: «essi vengono trattati in maniera
cosi puntuale che l ’intento didattico non si può non riconoscere». Questa è, inizial-
mente, anche 1’ intenzione di Platone; ma quando egli fa dire a Socrate che egli, nel
suo dialogo, è «involontariam ente» saggio, allora è chiaro che Pautore attribuisce
anche al personaggio del dialogo quella che è la propria opinio ne (cfr. sotto, pp.
174 s.).
INVERSIONE DI M ARCIA POCO PRIM A D ELLA M ÉTA 173
10 Repubblica, 435 D; 504 B; cfr. 611 A - 612 A ; Fedro, 246 A ; 272 B; 273 E -
274 A.
n A proposito dei passi in cui Platone si trattiene dal parlare di certe cose che sono
contenute nelíaRepubblica, cfr. sotto, pp. 391 - 414.
12 Invece, per una volta, Eutifrone esce dal ruolo di sapiente: in 11 B 6 egli ammet-
te di non poter esprimere quello che pensa.
174 «EUTIFRONE»
deriderlo, col dire che gli capitava quello che succedeva al suo
avo Dédalo; ma, poiché sono le definizioni di Eutifrone che non
vogliono restare dove le si colloca, questa b effa cade. Invece Eu
tifrone ritiene che il beffardo confronto sia adeguato, poiché
Socrate fa «girare in torn o» le definizioni, che egli intendeva, in
vece, come fisse. A llora, dice Socrate, sono ancora piü abile di
Dédalo, che faceva muovere solo i suoi prodotti, mentre io pos
so metiere in moto anche quelli degli altri (11 B - D).
egli non e l ’ interlocutore adeguato per un dialogo fruttuoso; ma in nessuna fase del
dialogo la strutturazione di quest’ultimo e nelle sue mani.
16 V. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 149; Friedlander, Pla ton , II, p. 82;
W .G . Rabinowitz, P la ton ic Piety. A n Essay toward the Solution o f an Enigm a,
«Ph ronesis», 3 (1958), p. 115.
INVERSIONE Dí M AR CIA POCO PR IM A D ELLA MÉTA 177
1 W ilam owitz, P la to n , I, p. 141, parla di «lám em ele dei filosofi che giudicano
come frammentario I’ insieme». Un esempio di quest a svalutazione filosófica é in
Th. Gomperz, Griechische D enker, II, p. 308: il Liside é senza importanza dal
punto di vista del contenuto, é un «m odesto satellite» del Simposio. L o stesso
W ilam ow itz non é contento della capacita di Platone « d i presentare i suoi pen-
sieri filo s o ñ c i» (p. 141) (cosa che si suppone avvenire qui per la prima volta), e,
c o s í ritiene che, «d i contenuto teoretico» «n e l Liside non ce n’ é d aw ero m olto»
(p. 149); tuttavia, egli ritiene che chi consideri insieme form a e contenuto debba
respingere un giudizio negativo (p. 141). II giudizio di Guthrie é semplícemente
«ch e il Liside non é un successo» (A H istory ..., IV , p. 143); a sostegno egli cita
Cornford, secondo cui il Liside é «un saggio oscuro e m aldestro».
2 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 146, sostiene che l ’ aver inseguito due obíettivi:
quello della satira sull’ argomentare sofistico e quello della descrizione del pro
prio «h a posto oneri eccessivi anche per il genio di P latone». Cfr. IV , p. 143:
«A n ch e Platone puö sonnecchiare»..
180 «LISID E »
che é stato detto suo «fra tello g e m e llo »3. Come in altri dialo-
ghi giovanili, anche qui si cerca di circoscrivere una «v ir tü », nel-
la fattispecie P «a m ic izia » (cpiXíot)4. II Liside ha in comune con il
Carmide (ma non con il Lachete, con Y E utifrone e con il primo
libro della Repubblicd) il fatto che la discussione si allontana in
m odo evidentissimo dalla virtü cercata, e solleva questioni la cui
risposta (per usare termini moderni) non sarebbe piü «e tic a »
bensi «m e ta fís ic a »5. Questo elemento comune, che non deve es-
sere trascurato, ci lascia presupporre che nel Liside e nel Carm i
de ci imbatteremo nella stessa concezione della comunicazione
filosófica del sapere.
M eno evidente, ma forse non meno importante, é l ’ affinitá con
un dialogo di tutt’ altro genere. Socrate viene coinvolto ín una
gara a proposito dell’ arte di trattare a parole in m odo corretto
un amato (¿p(í>[jLEvo<;). Pariendo proprio da questa situazione
Platone ha sviluppato nel Fedro le condizioni generali della su-
perioritá di un’ esposizione sull’ altra. L a risposta si trovava nel
concetto di dialettica, che é un’ arte dei lo g o i e della loro utilizza-
zione psicagogicamente corretta, e, con questo, anche un’ «a r te »
dell’ amore filosofico. Per quanto il Liside non risponda alie do-
mande del Fedro con ampiezza teoretica, resta comunque legit-
tima la domanda se esso non presupponga, nel m odo di condur-
re il discorso, la stessa concezione del procedimento del dialetti-
6 Sui contatti contenutistici con il Sim posio cfr. Friedländer, Platone, II, p. 95;
inoltre Schoplick, pp. 72 s., il quale confronta anche la similitudine della caverna,
cosa che, in dettaglio, non risulta troppo ricca di risultati (é tuttavia calzante l’ os-
servazione che « il dialogo nel suo insieme é un tratto di salita nella caverna che So
crate si propone per amore dei giovani con cui tratta nel d ialogo» (p. 73).
7 Friedländer, P la ton , II, p. 295, nota 2, rifiuta, a ragione, la concezione di v. A r
nim, Platos Jugenddialoge..., p. 69, secondo la quale il «rivestim ento» non avreb-
be nessun «intrínseco nesso» con il contenuto filosofico. L ’ identitá della situazione
di fondo con quella del Fedro é pero sfuggita anche a Friedländer.
8 204 E 10 - 205 A 2: xaí \j.oi í9i E7tíSei.!jocL a xaí -rotaSe. ¿TtiSeíxvudai, iva siSco &í í k í -
araaai, a XP^I ¿pacmjv 7te.pt 7tai8i>c¿jv v:p6<; auxov y) rcpói; aXXou? X¿y£i.v. — In Fe-
d ro , 236 E 3, la lettura ad alta voce del discorso di Lisia viene giudicata come ém-
Seiiji?.
182 «LISID E »
9 Liside, 206 C 5-7: ... íatoç av §uvaí[jLY]v aoi ÍTuSeiÇai a /pr] aÜTcõ 8taX£y£.a6at àvtt
toútcov ¿>v oútot X¿y£LV i t xaí aSeiv çacrí oe. Questa formulazione della situazione
di concorrenza dei discorsi sull’ Eros potrebbe essere accolta senza alcuna modifica
(prescindendo dal «can tare») nel Fedro.
10 A questo proposito, cfr., sotto, pp. 187 s.
IL DIALETTICO E I RAG AZZI 183
17 N on si vorrà negare che l ’ amore per i cavalli e per i cani fa parte délia form a di
vita del cpiXoxpV]tJi.on;oç, ovvero del ßio<; àTuoXaucmxoç. La menzione di questi scopi
del desiderio inutili, accanto a xpuatov, ha lo scopo di far risaltare con minore evi-
denza la triade ehe ne sta alla base «denaro - onore - cptXia ( = cpiXoaocpta)». Questo
camouflage è riuscito perfettamente a Platone: i commentatori saltano il passo, co
rne se si traitasse di un collegamenio casuale (cost, ad esempio, Schopück, D e r pla
ton is ch e D ia lo g ..., p. 28; Friedländer, Pla ton ..., II, p. 88; il passo manca anche in
A .J . Festugière, Contem plation et vie contemplative chez Pla ton , Paris 19503 e R.
Joly, L e thème philosophique des genres de vie dans l ’A n tiqu ité Classique, Bruxel
les 1956).
18 Guthrie, A H is to ry ..., IV , p. 151, n. 3, considéra «un brutto scivolone da parte
di von A rn im » il fatto ehe questi abbia sostenuto ehe il Kp&zov cptXov venga défini-
to in 220 C corne il Bene. L ’ àyaôov, introdotto per la prima volta in 220 B, sarebbe
cio ehe è buono per un altro scopo, e in 220 D E Socrate direbbe anche ehe il 7tpôo-
tov cptXov non sarebbe affatto simile a questo. Guthrie sembra perciô riferire tou-
tCHç, 220 E 2, al Bene di cui si tratta in B 7 - D 7. Invece, àyaôov era nominato
esclusivamente al singolare, e perciô il plurale toutoiç si riferisce agli al tri yiXct, ehe
si chiamano cptXa a causa del primo cpiXov. Questo non solo risulta di per sé dalla
frase D 8 - E 2, ma anche dalla seguente frase unita con yoep: xaüxa faiv yàp cpiXou
186 :LISIDE»
zia cercata da Soer ate è, cosi, «am icizia dei Bene» (çiXíoc toô
àya0oú). Egli vuole far «suo p ro p rio » il Bene, e questo fa la sua
«am icizia » (tpiXia) per la «filo s o fia » (cptXoacxpía), poiché è dav-
vero proprio dell’ an im a 19 solo ció che è accessibile alla sua in-
telligenza (voû;). Abbiam o, cosi, un buon m otivo di chiamare
Socrate, desideroso di amicizia, col nome di rappresentante del
la «v ita contem plativa» (ßtoç 0 &6 )p7]Tt,xóç), di vero e proprio dia-
lettico. Ció a cui egli si rivolge come amante in senso totale
(ttocvu epcùXLxô);, 211 E 3) non sono amici umani che lo ricambie-
ranno con l ’ am ore20, bensi è il Bene come origine ultima. Par
iendo dalPoggetto del suo amore, si spiega anche la sua capacità
di riconoscere gli amanti: essa non è altro che la capacità del dia-
lettico di trovare l ’ anima « a ffin e » alla filosofía, l’ anima adatta
(cj)U%T] 7rpoar¡xousoc) 21.
ïvtxa (píXtx xéxXrjiai. Il falto che ció che è «veramente caro» (to õvu cpíXov) si è
mostrato corne ció che è caro «a causa di una cosa odiata» (E 3-4) rimanda a D 2,
dove del Bene è detto che lo amiamo « a causa del m aie», Questo rimando alPindie-
tro in avÊ-cpocvr) (E 4) implica Pidentità di cryocöov e di rcp&rov yiXov. Il «brutto scivo-
lon e» si trova in Guthrie.. Se si accetta, inoltre, che la concezione per cui il Bene vie
ne amato «a causa» ovvero «in grazia» del maie ( 8 ià xô xaxóv D 2; E
4 — il passaggio non logico fa parte dei coscienti «in ga n n i» d e r dialogo) viene
espressamente ritirato (220 E 5 - 6 ; 221 D 1) — , si 'ottiene la verità fondamentale di
Platone in tutta la chiarezza desiderabile: il upioxov cptXov è il Bene, a causa sua si
ama ed è Púnico vero «c a r o », fonte di tutti gli altri cp(Xa.
19 Non è un caso che il termine c[ii>xïj (222 A 3) cada subito dopo iî collegamento di
parentela con l ’ oggetto dell’amore (otxeîoç xw Ipcofxivo), 222 A 2) e dopo la separa-
zione da quello (ou ccv xt àcpouprjica, 221 E 2): si tratta, evidentemente, della «p a
rentela» delPanima con il m ondo divino delle Idee, della sua «antica natura» per-
duta (R epubbiica, 611 E 2 e D 2). K. Glaser, Gang und Ergebnis des Platonischen
Lysis, «W ien er Studien», 53 (1935), pp. 60-63, ha commentato con grande chiarez
za che cosa implichi, per Platone, l ’ idea della «parentela» con Toggetto della cono-
scenza. Cfr. anche Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 60-63 (ampiamente
sulla scia di Glaser).
20 Naturalmente, Socrate conquista anche gii uomjni: alia fine del dialogo egli
stesso si conta fra gli amici dei ragazzi (223 B 7). M a come si conquistino gli amici è
detto da lui nel discorso protrettico a Liside: diventando «sapienti» (210 D 1), e
quindi non cercando, allora, Pamicizia degü uomini. L a sapienza dei poeti, secon-
do i quali D io stesso fonda Pamicizia (214 A 3-4), ha anche un preciso senso plató
nico: il «d iv in o » mondo delle Idee unisce gli uomini, che, filosofando, mirano alia
ójjLoícúaiç ôecõi. (Sul rapporto deîP «am icizia per la cosa» e delP «am icizia per le per
sone» cfr. v. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 62; Glaser, Gang und Ergebnis
pp. 60-63; Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 62, 67 s.).
21 Si chiarisce, qui, anche la questione, una volta dibattuta animatamente, se il L i
side vada contato fra i dialoghi sulPEros oppure no. Per von Arnim , che si è oppo-
sto soprattutto all’interpretazione «e ro tic a » del Pohlenz, Aus Platos ..., pp. 365
ss., il Liside non ci fa «presagire nulla delPerotica del Simposio e del Fedro» (p.
40). Questo è giusto in ogni caso nel senso che, pariendo soltanto dal Liside, non è
IL DIALETTICO E I RAGAZZI 187
possibile ricostruire la filosofia sull’ Eros di quei dialoghi. M a von Arnim trascura il
fatto che Socrate vuol far vedere corne si debba parlare con un epcoptevo?, e che, co
si facendo, egli, in ultima analisi, tratta di filo so fia . Friedländer, Platon, II, pp. 94
s., mostra, in m odo convincente, che nel Liside i ’eros platonico e presente ovun-
que. Infine, risulta decisiva la fräse secondo la quäle i'pwi, ipiXia e ¿TctÖufxia si rivol-
gono al «p r o p r io » (che altro non e se non il Bene) (221 E 4). Si comprende dalla
concezione della graduazione dei veri e propri dialoghi (Simposio e F edro) sull’ eros
che queste diverse form e del desiderio debbono avere uno scopo comune.
22 C fr. sopra, pp. 182s.
23 Subito dopo viene confutata la fräse in cui e detto che il Bene fa parte della na
tura di ognuno ed e pertanto «c a r o » (222 C D ) — una fräse che appartiene, quindi,
al «ricavo filosofico n etto» (v. Arnim , Pla tos Jugenddialoge ..., p. 62) del Liside.
— Come giustamente osserva Schoplick, D e r platonische D ia log p. 74, nota 3,
con ¡i.e0uo|j.E.v Socrate accetta il rimprovero che gli era stato fatto ad esempio con
xapaxx£t n tW Ip p ia m inore, 373 B 4.
188 «LISID E »
A lla fine del Liside Socrate voleva «invitare alia discussione uno
fra quelli che fossero piü anziani dei due ragazzi». Questo é
esattamente ció che egli fa nel Carmide. Se il discorso sulPamici-
zia si era concluso con la sottolineatura delPindipendenza non
ancora ottenuta dagli interlocutori di Socrate, il discorso sulla
temperanza inizia, invece, con il riferimento al fatto che il per
sonaggio da cui prende il titolo il dialogo Carm ide, non é piü un
ragazzo ed é «g iá un giovan e» (¡Jisipáxtov, ve-avíaxo^, 154 B 5; D
1). Mentre la conversazione con i ragazzi Liside e Menesseno era
stata interrotta da un intervento di estranei, in cui gli innocui pe-
dagoghi si intromisero «com e dem oni» (¿Sotie-p 8 aí¡j.ov£<;) — o,
per diría con riferimento al testo del Liside, come oscuri «d em o
n i» (Saí^ove^) ostili — , il discorso con il «giovan e Carm ide» si
conclude, invece, con la libera decisione di quest’ultimo di met-
tersi a lungo in compagnia di Socrate per diventare «tem peran
te », e con questo, diventare felice, ossia, per diría con termine
greco, un buon-demone, eu-Saípiwvl . L a relazione antitética fra
le situazioni dei due dialoghi é manifesta. II Carmide, allora, é il
proseguimento della ricerca filosófica, cui si fa allusione nel L i
side, con un interlocutore piü maturo e ad un livello piü alto? 2.
1 Socrate a Carmide: ... ocwTrep afoçpovéatepoç &Í, toaoúxqj sívai xaí eu8ou[j.ové-
cxepov, 176 A 4-5. N el dialogo si era in precedenza cercato di spezzare il nesso fra
sophrosyne e «fe lic itá » (173 A -E , a proposito del quäle cfr. sotto, p. 205).
2 La domanda non ha intenti cronologici. Se si dovesse mostrare operante, in en-
trambi i dialoghi, la stessa immagine, consistente, della dialettica, che ritroviamo
nel Fedro e nella Repubblica, allora dovrebbe risulíare chiaro che, per Platone,
non puó aver avuto grande importanza quale parte del grande quadro complessivo
egli ha, per prima, messa per iscritto. L a datazione dei due dialoghi in rapporto Tu
no con 1’ altro non si puó stabilire con sicurezza. Per quanto riguarda la daíazione
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICER CAT ORE» 191
assoluta del Carmide, e stata proposta giä da vari autori, ehe hanno addotto d iffe
rent! m otivi a sostegno, la datazione «ta rd a » degli anni 80 del IV secolo, non lonta-
na dai dialoghi «m etafisici» del periodo di mezzo, che Kahn sostiene come novitä
«eretica » (C h.H . Kahn, D id P la to W rite Socratic Dialogues?, «Classical Quar
terly», N.S. 31 [1981], pp. 305-320); a proposito dei vari autori di cui si e detto,
cfr., ad esempio, B. Witte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen. Interpretatio
nen zu Platons «C h a rm id es», Berlin 1970, pp. 42-46; G. Müller, Philosophische
D ialogkunst Platons (am Beispiel des Charmides), «Museum Helveticum », 33
(1976), pp. 129-161 (il Carmide «n on e necessariamente un dialogo giovanile», p.
160).
3 Secondo il programma della Repubblica, 537 B ss., la scelta dei futuri dialettici
ha inizio fra coloro i quali hanno superato il trentesimo anno di etä; dal cinquante-
simo anno essi entrano nella fase finale decisiva (540 A ).
4 156 D - 158 E. II significato della metafora della «m edicin a» e deir«ihcantesi-
m o » verrä spiegato in m odo piü dettagliato alia fine del presente capitolo.
5 II significato di awcppoauvr] non e reso in m odo adeguato da nessun termine tede-
sco. Per il momento ci atteniamo al termine che tradizionalmente si utilizza nella
traduzione: «avvedutezza». La nostra interpretazione rivelerä che la sfumatura che
piü si aw icina a quello che Platone intende dire con questo termine e «autocontrol-
lo » , controllo cosciente delle proprie azioni. (Guthrie, IV , p. 157, nota 2, fornisce
una lista trilingue di possibili traduzioni.) [Anche in lingua italiana non c ’e un ter
mine corrispondente. Comunemente si utilizzano, per la traduzione, i termini «sag-
gezza» o «tem peranza». Abbiam o preferito quest’ultimo che, tra l ’ altro, corri-
sponde ad «a u tocon trollo»].
192 «CAR M ID E»
6 176 B 9 -. ¿o? otxoXoü0r]aovTo<, etpy), xaí ¡ir) áftoXei^of/évou. C 4: ano TocuriqaL xí\q
rj[jipac; ápíjápisvoí;. B 4: eTcáSeaOai w tó aoG oaat r¡¡jtip a t, t<x>c, ocv 9^5 aü txav¿ú¡; v / tiv .
7 175 E 6 : oioiJLat ... í\ii yaÜAOv that ^rjxrjTriv. 176 A 3: ¿Súvaxov Xóyoj óttouv Cr)-
m v . 173 A 3: olfxai ¡xív, ... XrjpeTv ji t . 176 A 3: Xfjpov. 175 A 10: oúSév izz-
pl (jaxppoaúviQi; cxoticú. C fr. 172 C 4.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 193
10 157 D 5 ss.; 158 B 2-5: t i 7tpo<; <jG>9 poaüvr¡v ... jrécpuxac;’ ... í y t i Se
ou-tco?. L a domanda di Socrate era: t i xrjv <t>uxfy xüyxáve. t tx> ntyvxáx;, 154 E l . —
L a costatazione della predisposizione naturale di Carmide alia avvedutezza conclu
de I’elogio entusiástico della sua famiglia — la stessa di Platone — . II problema é,
ora, vedere quanto tale disposizione naturale si sia giá sviluppata (et ¡jív jo i rjSr]
mxpecmv, 158 B 5).
11 In 159 E - 160 A , inoltre, con £¿¡j.a0ía, i presupposti intellet-
tuali vengono sviluppati alio stesso m odo come nellaRepubblica, 503 C; cfr. Lette-
ra V I I , 344 A . L ’aspirante diventa Guy^evrii; xou írpáy^axoi; solamente se possiede
anche il carattere adeguato.
12 E noto che Carmide si affianco a suo cugino Crizia e divento membro dei
«trenta».
196 «CAR M ID E»
14 II calzolaio saggio o temperante non fa solo le proprie scarpe ecc. (161 D 3 -162
A 8). Questo m odo di intendere la formula «fa re le proprie cose» viene rifiutata, in
quanto inadeguata, nella Repubblica, 369 E - 370 D. L ’introduzione, apparente-
mente immotivata, della parola chiave 7ió)u£, 161 E 10, mostra che Platone nel
Carmide considera la aaxppoaúvri nella stessa prospettiva della sua opera maggiore.
E la costatazione conclusiva che la acocppooúvr] non puó essere «fa re le proprie co
se» in questo senso (ouxto, 162 A 7), mostra con sufficiente chiarezza che la corre-
zione, formúlala piü tardi, dell’interpretazione troppo letterale fa parte, anche qui,
delTargomento. V a costatato, come sempre avviene in questi casi, che, senza Pas-
serzione diretta della Repubblica, non potremmo riconoscere che la correzione pro
posta da Crizia corrisponda in pieno all’ opinione di Platone: infatti, Socrate non si
sofferm a suIPinsegnamento semántico (163 D 5). — Cfr. sotto, pp. 204 s., a propo
sito del secondo accenno, piü importante, alia polis.
198 «CAR M ID E»
IS 165 E 1: ¿TttCTTTÍjjLT) ... locuxoö, 166 C 3: iTcurrrjfAT] ... íau-r/jç, 169 B 6 : èmazr\[í,r\
¿7iioTf){JLriç. J. Stenzel denomino il passaggio come «logicam ente non si curo» in
Studien zur Entwicklung der platonischen D ialektik von Sokrates zu Aristoteles,
Leipzig 19312, p. 11, seguendo qui von Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 117.
Per Platone stesso non faceva nessuna differenza se indicava come soggetto di una
conoscenza la craxppocsúvT] o il awcppojv, come, sulla base dell’ uso linguistico platoni
co, ha dimostrato in maniera convincente Herter, Selbsterkenntnis der Sophrosyne
..., pp, 74-88. La correttezza del passaggio, stando alle premesse di Platone, è già
stata sostenuta da Friedländer, P la to n , II, p. 290, nota 8 .
IL GIOVANE E IL «CATTJVO RICERCATORE» 201
19 Questo significa l ’ immagine del dio marino Glauco, la cui «antica natura» puö
tornare ad essere riconoscibile solamente allorche vengano eliminati i muschi e le
alghe che lo ricoprono (Repubblica, 611 DE).
20 I nessi, qui solo accennati piuttosto che descritti, vengono esposti con estrema
sinteticitä da Stenzel, Studien, zur Entwicklung p. 12, e in modo piü dettagliato
da Friedländer, P la ton , II, pp. 67-73; nello stesso senso Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., pp. 129 ss. II testo piü importante per spiegare il Carmide, e, se
condo Friedländer, P la ton , II, p. 73, YAlcibiade maggiore (che egli ritiene autenti-
co); per Müller, Philosophische D ia lo g k u n s t..., pp. 133 s., 136, si tratta, invece,
del F ed ro, che interpreta la conoscenza di se stessi come domanda sulla struttura
dell’ anima (230 A ), e nel m ito dell’ ascensione delle anime al luogo ultraceleste, in
cui la sophrosyne e nominata fra gli oggetti della conoscenza (247 D - Müller tra-
scura, comunque, la differenza oniologica fra anima e Idea). Oltre a questi testi,
mi pare importante soprattutto anche Repubblica, 611 A - 612 A , secondo cui la
natura vera, originaria, delPanima viene riconosciuta solo se si guarda aüa sua <pi-
Xoaocpia e alla sua frequentazione dell’ eterno (611 E 1-3). La conoscenza delle Idee
e, quindi, la condizione della conoscenza di se stessi. Poiche la natura originaria
dell’anima e concepita come una condizione etica di purezza, questo passo, anche
se non compare il termine sophrosyne, costituisce, al tempo stesso, il collegamento
alla conoscenza di se, intesa come perfezionamento nelle virtü (cui si fa brevemente
cenno in 611 C 5). — K. Oehler, D ie Lehre vom noetischen und dianoetischen D en
ken bei Platon und Aristoteles, München 1962, a p. 108 egli ha visto una «funesta
semplificazione» nella giustificazione del passaggio da ¿7tiax%r| eau-coö a £7ucrTri|ji-7]
eao-rfj^, poiche, nella conoscenza della struttura oggettiva dell’anima da parte del-
l ’ anima, «soggetto e oggetto non sono identici». Rifacendosi a Bonitz, Platonische
Studien, p. 236, Oehler spiega la scienza della scienza: «C iö che qui improvvisa-
mente eolpisee la vista e che altrettanto improvvisamente viene respinto come as-
surdo e esattamente ciö che costituisce la moderna comprensione del mondo, ossia
la soggettivitä che fonda autonomamente se medesima e il m ondo» (p. 109). E perö
chiaramente inadeguata l ’ asserzione che la i%iGzr\[i.r\ venga respinta:
Platone impedisce attentamente che questo accada di fronte alla forza (apparente)
degli argomenti (168 A 10-11, E 3-169 A 1). E Herter ha mostrato (Selbstverständ
nis der Sophrosyne ..., pp. 74-88) che la supposta «funesta semplificazione» e una
funzione nel!’ uso linguistico di Platone. Contrari alle tesi di Oehler sono anche
Witte, Die Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 117, nota 23; Müller, P h ilo
sophische D ia log k u n st..., p . 135, nota 4 e p. 140, nota 8 .
202 «C AR M ID E »
Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 123, e da Bloch, Platons Charmides
p. 122 .
24 168 A 10: jrriSev yap ttco SuaxupiC^I^Qa oux eaxiv, 169 A 1 ... tois ¡xev ootl-
crtiav < av > mxpaaxot, Xaoiq öe naiv ou. D opo quello che precede sarebbe consen-
tita solo la prima posizione.
25 Cfr. in particolare 170 D 5: aXXov ... aaai cpaaxovxa t i iiziaxaaQai.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 205
27 Cfr. an che sotto, nota 35, circa il rapporto di Carmide, 166 D 4-6 e Lettera V II,
341E 1-2.
208 «C AR M ID E»
non gli sono sfuggiti il rifiuto della stesura per iscritto e i paralleli della tcoXXt}
auvouaía nella Lettera V II. Bloch considera anche un’ intersezione del dialogo nar-
rato con la successiva ItcwBy), in quanto il fatto che Carmide si renda conto della
sua nécessitá costituisce «u n elemento essenziale della éi«oSr¡». N on ci sembra, a
nostro avviso, che ci siano obiezioni da sollevare in proposito: una distinzione as-
solutamente rigorosa sarebbe da aspettarsi da una dottrina segreta, ma non dal
concetto platonico del filosofare orale (cfr. anche sotto, nota 36). Anche Bloch no
ta come sia decisivo, per la ¿7tto8 r|, Finsegnamento personale. — W itte avvicina
troppo l ’uso di ¿ftwóri fatto nel Carmide a quello che di questo termine viene fatto
nelle L egg i (659 D E; 664 B; 666 C e di frequente) e giunge, cosi, a ritenere che essa
abbia «carattere protrettico» (p. 61, nota 124). M a i Xóyoi. che generano nell’ anima
la sophrosyne (157 A 5 s.) sono necessariamente piü che protrettici. — R. Dieterle,
Platons Laches und Charmides. Untersuchungen zur elenktisch- aporetischen
Struktur der platonischen Frühdialoge, Diss., Freiburg i. Br. 1966, pp. 149 s., so
stiene che il dialogo incentrato suWelenchos crei giá la sophrosyne nell’ anima di
Carmide e che, pertanto, sia esso stesso r«in can tesim o». Qui é evidente lä confu-
sione di sophrosyne intesa come disposizione dell’ anima con la sophrosyne della
conoscenza filosófica di se stessi; inoltre, Dieterle ignora l ’ azione del dialogo, che
va intesa come «conversion e» di Carmide, come, cioé, entrata in un processo arcó
'toum}<ri xfj? r)fjL£potij áp?áp.&vo?, 176 C 4. C fr. sotto, nota 39.
210 «CAR M ID E»
31 Zalmosside non era un D io, bensi un ex-schiavo di Pitagora che, con un trucco,
aveva destato nei Traci creduloni speranze di immortalitá: questa é, in ogni caso, la
versione dei fatti secondo i Greci del Ponto (Erodoto, 4, 95).
32 Socrate deve jipoajíonqaaaGai. ¿ jiia - r a a S a í t i X£cpaXijç cpáp[xaxov, 155 B 5; la so
phrosyne che «d o m in a » nello Stato avrebbe dovuto smascherare latpòç ... Ttpoc-
TCQt.oú|jL£vóç xt eiSevat. o [xt) oI8 e.v (173 B 2-4; cfr. 170 E 1: ó npoGTcotoújxevoç úxxpóç).
La coincidenza nella scelta lessicale è difficilmente dovuta al caso.
33 Si noti, di passaggio, che il fatto che il farmaco non venga piü nominato alia fi
ne non deve far concludere che esso non ci sia; dal momento che Carmide sa che
egli necessita per prima cosa deiPincantesimo, il ricorso al farmaco non sarebbe
attuale.
212 «CAR M ID E»
36 La responsabilité nei confronti dell’ oggetto e dello sviluppo corretto del discen
te costituisce un m otivo sufficiente per tenere il riserbo su quanto non puô ancora
risultare utile. A che cosa mirava, allora, il giuramento che Socrate aveva dovuto
fare al Tracio (ò[xtó[jioxa yàp atmô, xaí ¡jloi àvàyxri 7ie.t6e.a0ai, 157 C 1-2)? L ’ obbli-
go alla riservatezza, sia esso religioso o sociale, caratterizza le dottrine segrete; l ’e-
soterica platonica, invece, si fonda sulla conoscenza da parte delPinsegnante delle
necessità dovute alla situazione didattica (cfr. sotto, pp. 484 ss.). Il Carmide con-
traddice, perciô, la nostra concezione di esoterica? N on credo: Tintera storia incre-
dibile dello sciamano tracio da cui Socrate dice di aver imparato è inventata con
molto umorismo e distacco. Fa parte delP ironia della cornice «tra c ia » se la riserva
tezza del dialettico, fondata sulla conoscenza e sul giudizio personale, viene sosti-
tuita dall’obbiigo rigido di un giuramento. Il Platone délia Lettera V II, comunque,
non rimprovera affatto Dionigi di aver rotto un giuramento. — Witte, D ie Wissen
schaft vom Guten und Bösen ..., p. 145, vede, a ragione nel racconto del giuramen
to la «m itica prefigurazione del circolo esoterico delPAccadem ia»; W itte non si po
ne questioni circa èventuali differenze fra la «comunità arcaica dei sacerdoti» dei
Traci e PAccadem ia a proposito del vincolo a rególe di trasmissione.
37 N el seguente riassunto, dunque, si presuppone che anche la metafora del <páp-
fjiaxov abbia un significato, che è possibile indicare, per la trasmissione del sapere
filosofico, conformemente alPimportanza che viene attribuita a tale metaforá nel
dialogo introduttivo. Chi non fosse stato convinto dalla riabilitazione del farmaco,
apparentemente inesistente, si ricordi, ancora una volta, che i tratti fondamentali
della nostra interpretazione, mutatis mutandis, rimangono gli stessi, se trascuriamo
la differenza ¿utuBrj - cpápjjtaxov e se parliamo unicamente della differenza fra dia
logo scritto - in(ùhr\.
214 «CAR M ID E»
38 Dieterle, Platons Laches und Charmides ..., pp. 145 s.; Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., p. 135.
216 «CAR M ID E»
11 187 E 9-10: fxr¡ Traú&cGcci utto t o ú x o u (scil. Sajxpáxou?) 7ie.piaY0fiE.vov xco Xóytú,
Tcptv < av > &Í£ xó StSóvca 7re.pt aúxoü Xó^ov.
12 194 C 8-9: o yap k«X¿>; X ^ o ^ to s (scil. Stoxpáxou^) áxr¡xoa, xoúxto ou
XP^oBe. II m otivo del «fa r girare in circolo» e quello del «n on fare u so» ( ~ «na-
scondere») sono riuniti nel Carmide, 174 B 11: rcáXat ¡jl e TreptéXxei? xúxXco,
á7toxpü7t:xó[/,evoí oxi ... L ’iniziativa, almeno nel primo stadio deH’ insegnamento fí-
losofico, riprodotto mimeticamente nel dialogo, risulta essere del tutto in mano al
dialettico.
13 Cosí, ad esempio, 196 A -D : é perfettamente corrispondente alia concezione pla
tónica il fatto che il vero coraggio (inteso come sapere ció che genera timore) non é
una conquista alia portata di chiunque; di conseguenza Socrate si guarda bene dal-
l ’ accogliere il rimprovero di Lachete, secondo i! quale N icia avrebbe voluto soltan-
to scusarsi. — A proposito del vano attacco di Lachete a ció che di platonico é con-
tenuto nelle afferm azioni di Nicia, cfr. quanto dice Friedlánder, P la tó n , II, p. 40.
IL MAESTRO SI SOTTRAE A G L IA L L IE V I 223
14 Lachete , 194 E l i s.: r¡ t¿ov óe.lv¿3v xaí GappaXéojv iniazí}\j:f\ ~ Repubblica, 430
B; Protagora, 360 D.
15 Cfr. sopra, p. 197.
16 a voel? tco Xóyq) 194 C 5-6.
224 «LAC H E TE »
derato « la virtü nella sua glob alitá», per osservare poi, súbito,
che la sua definizione era «u n compito forse troppo grande»
(tcXéov yocp taco? &pY0V> 190 C), per cui era meglio iniziare da una
parte della virtü (190 B 7 - C 10). M a la scienza del Bene e del
M ale, che spuntava alia fine dei vari tentativi di definizione,
avrebbe, pero, procurato al suo possessore non solo una parte
della virtü, ma la virtü nella sua interezza (199 D ). Nicia aveva
ragione quando diceva che Socrate fa «girare in circolo» (187 E
9) l’ interlocutore: dopo un veloce sguardo alia virtü tutta intera,
egli 1’ aveva condotto via verso un’ analisi che ha quale único ri-
sultato positivo la scoperta che ció che é stato accantonato é ció
che effettivamente meriterebbe di essere saputo, e che sarebbe
necessario per 1’ anima. É per la mancanza di un sapere migliore
che Socrate ha allontanato dall’ unica cosa di cui c’ é bisogno?
É meglio che cerchiamo di comprendere il suo comportamento
come quello dell’esperto nella cura dell’ anima (del texvlxó? Trept
cjjux'ñí OepaTreíav) che egli stesso consiglia di cercarsi (185 E 4-6,
ripreso nella raccomandazione alia ricerca «d e l maestro m iglio
re », 201 A ). II tener lontano il «com p ito piü grosso» che viene
sottolineato, allora, non é altro che l ’ esitazione del conoscitore
deiranim a ad imboccare la «strada piü lunga» della dialettica,
se mancano i requisiti. L a sua «cu ra dell’ anim a» (4>ox^íí Q^pot-
TCsía) non consiste solo nelle parole di chi prende cura dell’ani-
ma, bensi in una «gu id a dell’ anim a» (c|>uxaywyía) basata sulla
conoscenza, che sa quale é il momento giusto in cui parlare o ta-
cere, che sa quali mezzi dell’arte adoperare e fino a che punto
adoperarli o — per usare di nuovo una formulazione del Lache-
te — che sa se e quando « fa r u so» di una conoscenza giá acquisi-
ta. II vero «esp erto » ('ztyyw.óc,) della cura deH’ anima non puó es
sere altri che il vero «esperto dei discorsi» {xtyyw.be, Xóycov Tiépt,).
Socrate mostra nei confronti di Nicia la vera «guida dell’anim a»
(c[>uxayü)YÍa), «facen dolo girare in circo lo » non piü in la di un
lontano sguardo alia scienza del Bene: N icia conferma ció suc-
cessivamente, quando afferm a di credere di poter ottenere l’ ap-
profondim ento della sua conoscenza anche presso altri che non
siano solo «esp erti» della guida dell’ anim a20.
pa ó 8óç) che porti alia dialetlica, cosi che non dobbiamo percorrere inutilmente
quella piü lunga e faticosa. N el Lachete Socrate stesso stimola verso una pácov axá-
(Jhç, 190 D 1: egli non ha affatto l ’intenzione di imboccare, qui, la strada piü lunga,
e questo è essenziale per la comprensione del dialogo (niente circa la struttura del-
ranim a, la reminiscenza, la conoscenza delle Idee ecc.). Friedländer, Platon, II, p.
37, ha espresso con una formula molto calzante il fatto che il dialogo è condotto da
Socrate su di una «rotta intenzionalmente sbagliata»; ma anche Friedländer non si
è accorto che egli ha dovuto farlo proprio in quanto T£Xvix °Ç-
21 Con la sua fede ingenua nel fatto che il sapere parziale, ricevuto da Socrate, puó
essere condotto alia meta integrándolo con il proprio sapere (e altri, non socratici),
Nicia è quasi una figura simbólica della moderna teoria del dialogo, che considera
il dialogo platonico come uno scritto autarchico e che si illude di poter ricavare au
tonomamente il contenuto senza una comunicazione autentica dei xi^ifóxepa, che
volutamente non vi sono stati inclusi. (L'auto-inganno m etodologico di questo ten
tativo di interpretazione puó restare nascosto soltanto perché nella Repubblica è
presente una parte sostanziale dei Ttfitwitpoc necessari per i dialoghi sulle virtú; ci si
è cosí potuti illudere di aver ricavato dalle opere giovanili quello che, in realtà, si è
proiettato al loro interno prendendolo dalla Repubblica). L ’ awersario di Nicia,
Lachete, lo supera per ingenuità, in quanto ritiene che Socrate sia coinvolto nell’a-
poria tanto quanto lo è lui stesso (196 B 2-4): anche Lachete può rappresentare sim
bolicamente proprio quell’indirizzo interpretativo storico-evolutivo che sostiene se
riamente che Platone stesso è tormentato dalle stesse aporie che egli mette in scena
con tanta arte.
IL MAESTRO SI SOTTRAE AG LI ALLIEVI 227
11 L a scienza generale del Bene e del M ale, in cui viene introdotta la scienza di ció
che incute timore e di ció che ispira fiducia, 199 C D é, senza dubbio, idéntica a
quella che porta lo stesso nome in Carmide, 174 B C, la cui possibilita dipende da
una analisi dell’ esser e generale precedente (cfr. sopra, p. 214). A differenza del
Carmide, il Lachete non dubita della possibilitá di un tale sapere. — Friedländer,
P la ton , II, pp. 38 s., 40, 42, 44, ha cautamente indicato il fatto che nel Lachete si
tende alia «arte regia» della dialettica. II punto di vista della Repubblica, plena
mente sviluppato, che fa da sfondo e da presupposto del dialogo «a p o rético », é
stato sottolineato con enfasi da Schulz, Das Problem der A p o rie ..., e da Erbse,
Ü ber Platons M ethod e ..., pp. 25-32 (poco convincente risulta soltanto la convin-
zione di Erbse, secondo il quale i dialoghi giovanili voíevano fornire una prova in-
diretta della dottrina delle Idee: senza la descrizione diretta successiva né Erbse né
alcun lettore sarebbero andati piú avanti di quanto abbiano fatto i generali Lachete
e Nicia).
23 II trasferimento del rifiuto di insegnare al figlio (200 D ) alPinsegnamento filoso-
fico del padre non é un arbitrio intepretativo. Platone, al contrario, fa dire a Nicia
stesso che, in presenza di Socrate, ci si deve occupare non dei figli ma dei padri (188
B 6 - C 1). L a nostra interpretazione puó essere intesa come una applicazione di
questo accenno all’ azione-comice.
XII. «Protagora»
II sofista é migliore rispetto al suo libro?
nel loro insieme i m otivi del dialogo rilevanti per quest’ aspet-
t o 3.
3 I] caratíere agonístico non si ricava solo dal tono che domina in un discorso. La
discussione tagliente e aspra, che caratterizza il Gorgia, é evitata nel Protagora, ma
questo non significa che la situazione sia meno agonale: nella atmosfera civile delía
casa di Callia é possibile condurre una battaglia sostenuta, pur salvaguardando la
cortesia. Guthrie, A H i s t o r y IV , p. 233, confonde il tono del discorso e la situa
zione agonale, ricavando dal m odo córtese di conversare l ’intenzione di Socrate di
trarre il massimo dei vantaggi dalla posizione delPavversario e di mostrarne la fo r
za rispettabile.
4 349 C 8 s.: ou fá p av Qau^á^otpu &£to ts ooto7teip(Ó^e.vÓ(; ¡xou xaüxa Zkzyh;.
5 341 D 8 : sí oió; x ’ L'ar¡ t<o aautoü Xó^co PoriQetv.
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 231
6 341 D 6 s.: xat iy<x> oífjwu ... IIpóBtxóv “ys xóvSe e.i8£vai, àXXà iza.íÇzi\> ...
7 È evidente che almeno Protagora si è schierato per la diversità delle virtü, senza
secondi fini (329 D E).
232 «PR O TAG O R A»
stessa cosa nei suoi confront! (oppure fra l o r o ) 16. Solo il «sag-
giare» (à 7tO7r£ipâ<T0 at,) e la possibilita del trattenere il sapere, già
ampiamente messa in gioco, danno il vero peso dell’afferm azio-
ne di Socrate per cui, nel corso del suo esame del logos, tanto
l ’interrogato quanto egli stesso, in quanto inquisitore, sono sot-
toposti alla prova (333 C 7). Ciò che Socrate vuol sapere è ciò
che egli mette in bocca a Prodico: se Protagora è in grado «d i
portare soccorso al suo lo g o s ». Anche il suo comportamento,
perciò, va visto secondo ií medesimo aspetto. In altri termini:
solo chi fosse in grado di «portare soccorso» a se stesso può ese-
guire il test del filosofo nel senso delia critica dei testo. E costui
è lo stesso che, secondo la maniera lacedemone, sa anche «na-
scondere» il suo sapere in caso di bisogno.
20 E poiché i testi non li si puó interrogare, ognuno legge nel testo una cosa diversa
(E 4-7). L ’interpretazione di Socrate ha appena dimostrato che questo si puó fare a
piacere. II Socrate storico sembra aver attribuito all’ intepretazione dei poeti un va
lore non piccolo, cfr. Senofonte, M em ora bili, I 6,14 e IV 2, 8 ss. (e l ’ osservazione
in proposito di W . Jaeger, Paideia, II, Berlin 1944, pp. 77 e 372, nota 4).
21 Nella prima argomentazione si era mostrato che la giustizia non è diversa dalla
devozione (330 B - 332 A ), nella seconda erano state equipárate temperanza e sa
pienza (332 A - 333 B); la terza argomentazione (333 B ss.) volevam ostrare l ’identitá
di giustizia e temperanza, ma era stata interrotta dalla discussione sui metodi (334 C
ss.). Comunque, Protagora accetta anche questa prova, riconosce l’ unitá delle virtü
della giustizia, della devozione, della temperanza e della sapienza e tiene distinta da
queste solo la virtü del coraggio (349 D ). — Già H. Bonitz (Platonische Studien, pp.
265 s.; analogamente Friedlãnder, P la to n , II, p. 15) ha spiegato il fatto che Socrate,
nella prima discussione (330 B ss.), voglia dimostrare Yidentità delle virtü motivan-
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO AL SUO LIBRO? 241
dolo con l ’intenzione di metiere alla prova Protagora; nella seconda discussione
(349 D ss.), e, in particolare, alla fine del dialogo (361 B), diventa chiaro che cosa si
intende: la fondazione comune délie virtú sulla conoscenza (che è per forza cono-
scenza del Bene e del M ale, 352 C 4-5). O. Gigon, Studien ..., p. 105, credeva in una
«contraddizione nel pensiero m edesim o», che, di conseguenza, trovava addirittura
«allettante» «g io c a re » «c o n il pensiero di una soluzione radicale», cioè con la atetesi
del dialogo (p. 108).
242 «PR O TAG O R A»
non avrebbe dovuto fargli ammettere ehe chi ha sicurezza ce l’ ha solo in quanto si
basa sulla conoscenza e ehe la fiducia senza la conoscenza sarebbe aiaxpov (350 A
2; B 5). Se Socrate deve aver ragione, allora egli dovrebbe formulare 350 C 3 in m o
do diverso o, almeno, rifiutare la correzione logica. Se si tenta di considerare, a
parte la logica, anche la tattica del diaiogo, allora la reazione di Socrate si rivela
sensata, indipendentemente, quindi, dall’ analisi logica: se il rimprovero colpisce
nel segno, allora l ’ intera dimostrazione 349 E - 350 C costituirebbe un caso di quell’
àrcoTietpconevov Xé^eiv, che determina 1’intero dialogo, paragonabile alFingannevo-
le scambio dei concetti di «fa r e » e «occu parsi» nel Carmide, 161 D ss. — anche là
Crizia intuisce 1’ errore (163 A B), il ehe rende necessário un nuovo inizio da parte
di Socrate ehe, del resto, non è affatto confuso; se il rimprovero non coglie nel se
gno, allora il logos di Socrate, nonostante tutta 1’ apparenza delia legittimità, è tut-
tavia « a torto denigrato» (oux Iv SiJtrj Xot8opr)0£Íç, Fedro, 275 E 4), e perciò il dia-
lettico potrebbe certo rispondere rettificando le implicazioni logiche ehe vengono
propriamente intese, ma, invece, può anche, andando oltre quanto già ha detto, fa
re rotta verso ía sua mèta con nuovi strumenti di pensiero, senza difficoltà e in m o
do nettamente superiore.
25 Analogamente, Socrate anche in 354 E 3-8 insiste su un punto la cui importanza
per quel ehe segue gli è già chiara. — Anche B. Manuwald, ehe nega nei dettagii il
nesso speculativo fra il brano suí piacere e quello sul coraggio come conoscenza, ri-
conosce ehe la discussione sul piacere svolge nelPinsieme una funzione importante
per il risultato: essa sarebbe rappresentata dal «superamento delia posizione oppo-
sta, ehe il sapere soccombe al piacere» (Lust und Tapferkeit: Zum gedanklichen
Verhältnis zweier Abschnitte in Platons Protagoras, «Ph ronesis», 20 [1975], pp.
22-50, la citazione è a p . 50). Oltre a tutto questo, bisognerebbe ricordare l ’ «arte
del misurare», che comprenderebbe, e fonderebbe, nella sua naturale forma platô
nica, anche il coraggio inteso come conoscenza di ciò che incute timore; cfr. sotto,
nota 32.
351 E 2-3; 355 A 1; 358 A 5.
244 «PR O TAG O R A»
27 Repubblica, 504 A -D , che riprende 435 B-D: la teoria dei Bene e la dottrina dei*
1’ anima sono oggetto delia «v ia piü lunga». Cfr. sotto pp, 394 ss.
28 352 A 1 - C 7. Inoltre, se qui si richiede a Protagora di «svelare» (àrcoxáÀucjjov,
B 1) oltre alia sua visione dei piacere anche quella deH’ Ê7ttarfyn], ciò sottolinea let-
teralmente solo la necessita di superamento dei proprio contributo, 351 D E . M a
dal momento, che il ruolo delia ¿7ttcr^mr] ( ~ crtKpía) era stato decisivo anche nella
discussione precedente (330 B ss.), senza che essa venisse effettivamente spiegata,
risulta necessário andare oltre quanto è stato detto fino a questo momento. L ’ im-
magine incisiva delPestendersi delia visita dei medico dal viso e dalle mani all’intero
corpo (352 A 2-6) concretizza 1’ ixtòç ¡3cuve.iv nel senso delle Leggi, 891 D E; cfr. so
pra, pp. 127 -134.
29 Protagora non dice atjxòç iripavov (360 D 8) solo in occasione delia conclusione
logica, per lui sgradita, bensi già quando gli viene fatto ricordare il ruolo principale
svolto da Socrate dice: rcépoctve óScnrep T}p?co, 353 B 6 . D i fatto, con 1’ introduzione
delia voce dei pubblico (353 A 4), Protagora è diventato supérfluo per lo sviluppo
delTargomentazione; egli deve soltanto ancora confermare che Socrate, nella sua
disputa immaginaria con il pubblico, formula correttamente le loro risposte. È sol
tanto in seguito airim piego dei risultato delia discussione sul piacevole che P rota
gora rientra pienamente nel dialogo (359 A ss.); ma, ora, non gli resta altro che am-
mettere che gli assensi trovati in precedenza (nel dialogo in parte con il «p u b b lico»
e in parte con Ippia e Prodico [358 A -D ]) hanno già deciso a sfavore delle sue tesi.
IL SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 245
Bene, e quanto di piü lontano si possa immaginare dalle sue convinzioni. Perciö la
tesi piü volte sostenuta a partire da Hermann, Geschichte und System ..., secondo
la quale Platone accetterebbe, qui, perfino Pedonismo dei naXkoi (ehe egli, tutta-
via, accantona con disprezzo in Fedone, 69 A ), non trova un appoggio nel tesio, e
si pud considerare oggi superata (cfr. Jaeger, Paideia I I , pp. 208 s.; Friedländer,
P la ton , II, p. 24 e nota 24; Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 232 s.; Manuwald, Lust
und T a p fe rk e it..., pp. 24 s., con indicazioni bibliografiche ulteriori a p. 25, nota
14). Esistono, invece, segni innegabili del fatto ehe Platone presenta il proprio pen-
siero mediante concetti ehe prende da altri, cosi ad esempio (a) la descrizione degli
effetti della proiettata «arte della misurazione», 356 D 3 - E 2 (breve parafrasi del-
Yeudaimonia come risultato della filosofia), (b) l ’ insistenza sul carattere di mu-
di quest’ arte (357 B 6), (c) Pinvincibilitä e il dominio della imaxr\\±T\, ehe co-
nosce il Bene e il Male, sopra le altre forze presenti nell’uomo (352 C 3-7), (d) la in-
dipendenza dalPidea di un’ arte della misurazione del concetto di piacere della fo l
ia, cui fa riferimento la menzione di un’ arte della misurazione delle grandezze e di
una della misurazione dei numeri (356 D - 357 A ): «bisogna soltanto porre al posto
del piacere come misura il B ene», secondo la formulazione di Jaeger, loc. cit. P er
ciö P «a rte della m isurazione» e, accanto all’«arte regia» dell'Eutidem o e alia
«scienza del Bene e del M a le » del Carmide, una ulteriore maschera della dialettica
platonica. Friedländer, Pla ton , II, pp. 25 s., accenna al riferimento all’ arte della
misurazione nel P o litic o (283 C - 284 E), Krämer, A rete ..., pp. 490-493, lo com-
menta in modo piü preciso.
33 Si presenta un insegnamento e non una ricerca in comune: all’inizio del passo
352E - 357 E, Socrate dice di voler convincere e istruire la folia (rceiGetv xat Stoa-
1L SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 247
oxeiv, 352 E 5 s.). Egli vuol farlo insieme a Protagora, ma, come abbiamo visto,
non ricorre a lui nello svolgimento (cfr. sopra, nota 29). L o spostamento verso l ’in-
terlocutore immaginario (la « f o lla » ), é, come nelPIppia maggiore, solo un mezzo
per daré alio stesso Protagora un insegnamento (limitato).
34 Cfr. sopra, pp. 236 s., a proposito di 31! B E e d i3 1 8 B-D.
248 «PR O TAG O R A»
36 L ’ altra «b u g ia » di Socrate, il riferimento alia sua cattiva memória e alia sua in-
capacità di tenere lunghí discorsi nelío stile di Protagora, si rivela facilmente già
neiram bito dei dialogo narrato come ironia: egli usa in modo magistrale il metodo
protagoreo nel passo su Simonide, e dimostra una eccellente memória ad esempio
in 3 5 7 C e 3 5 9 B ; inoltre in 336 D egli respinge la scusa di Alcibiade come maschera-
mento. Per contro, la storia deli’ «im p e gn o » è priva di qualsivoglia punta irônica.
In linea di principio, essa potrebbe anche essere vera, e comunque la sua falsità non
deve essere coita dai partecipanti alia conversazione. Ed è proprio questo che assi-
cura che tale dettaglio vuol essere significativo; significativo, beninteso, solo per
chi già conosce rim m agine platônica dei filosofo.
37 Perciò Socrate non può tollerare nessun arbitro al di sopra di lui nella gara dei
discorsi (338 B 4- C 6).
Cfr. 356E 1-2.
XIII. «Menone»
La tendenza ad allontanarsi davanti
ai misteri
1 L o schiavo viene coinvoíto dopo la domanda di Menone (81 E 3-4): ctXka. 7tü<;
Xé-yziz xovzo, (fot o¿ ¡j.av0ávo¡ji£v, áXXá r¡v xaXoO(JL£V }xá0r¡aiv ává[xv7]aíq ¿axiv .
2 L a prima risposta, che il lato del quadrato doppio deve avere una lunghezza
doppia di quella del quadrato originario (82 E 3) viene si dallo schiavo, ma solo
perché Socrate gli ha suggerito che la superficie cercata va cercata a partiré dal lato
e ha insistito sul raddoppiamento (D 8 - E 2). L a «presentazione» (tramite disegno)
e l ’interrogazione di questo lato (tramite ü calcolo della superficie del quadrato che
gli appartiene) avvengono grazie a Socrate, 83 E 4 - C 1. L a seconda risposta («lun-
go tre piedi», 83 E 2) si ottiene perché Socrate «presenta» il lato cercato come com
preso fra 2 e 4 piedi (D 4-5). In 84 E 4 - 85 A 3 Socrate disegna il quadrato cercato e
chiede che dimensioni abbia; al che lo schiavo risponde: ou ¡j.av9ávw . É necessario
il nuovo punto di vista, secondo il quale il quadrato cercato va posto in relazione a
quello originario, dimezzato. Nonostante questo chiaro rapporto tra maestro e di-
scente, Socrate dice che lo schiavo cerca «c o n lu i» la soluzione, 84 C 11, cosi come
anche Menone (80 D 4; 81 E 2; 86 C 5) ed A n ito (90 B 5; 91 A 1) cercano insieme
252 «M ENONE»
a lui. L ’ analisi del dialogo sulla geometria avrebbe dovuto prevenire un’interpreta-
zione filosofico-esistenziale.
3 Nessuno vorrä, ovviamente, chiamare in causa il fatto ehe a Platone sia sfuggita
inavvertitamente la differenza delle situazioni: infatti, la aporia «com u n e», in un
caso, e quella del solo schiavo, nell’ altro, sono costruite con troppa chiarezza. La
questione delPutilitä della lezione di geometria pe r M enone viene quasi sempre pre-
sa troppo alia leggera, perfino da K. Gaiser, Platons M enon und die Akademie,
1964, ristampato in: J. Wippern (curatore), Das Problem der ungeschriebenen
Lehre Platons, Darmstadt 1972, p. 354, nota 35: «A n ch e la considerazione ehe lo
schiavo venga condotto alia conoscenza ad opera di uno ehe possiede conoscenza,
mentre per la questione che concerne Varete tutti e due gli interlocutori si trovano
nell’ aporia, non e sufficiente. Se esiste la “ parentela” di tutte le cose fra loro ehe
viene ammessa da Socrate, allora nella struttura stessa dell’ essere sta la possibilitä
di procedere in m odo corretto verso la veritä». Per quanto sia importante la «pa-
rentela» di tutte le cose come condizione della possibilitä della conoscenza — essa
non spiega pero ancora come un’ anima ignorante e «alterata» (nel senso di Repub-
blica, 611 D ) possa rendersi conto dell’ordine ontologico. Se a Platone fosse im-
portato in primo luogo il tema della parentela ehe hanno le cose fra di loro, avreb
be potuto rinunciare al dialogo didattico sulla geometria; la lunga permanenza sui
processi di apprendimento dello schiavo mostra ehe egli vuol tematizzare, qui, Pa-
spetto «u m a n o » della guida alia veritä, e ehe Paspetto ontologico del suo fonda-
mento e tema, qui, secondario.
LA TENDENZA AD ALLO N TANAR SI DAVANTI A I MISTERI 253
2. Dialettica e amicizia
quelle che hai d etto?» (e'x&ic TifAuóxepoc cov eXeyei;) nel senso di
Fedro 278 C 5 - D 8 , noi rischieremmo il rimprovero, da parte di
interpreti «scettici», di metiere forzatamente in relazione, in
m odo arbitrario, passi distinti; ma la risposta di Socrate mostra
la legittimitá dell’ apparente arbitrio: a giustificazione del suo
giudizio deciso, 1’ ignorante porta in primo piano, in modo af-
fatto immediato, la convinzione delFimmortalitá dell’ anima e
della visione ultraterrena che essa ha di tutti i nessi del reale. Si
tratta di «cose di m aggior va lo re » (TtjJuwTepa) nel senso piü vero
della parola, che vanno m olto al di la dei tentativi di definizione
finora compiuti, e il loro «live llo superiore» viene indicato dal
richiamo a sacerdoti e sacerdotesse che sono sapienti e che san-
no rendere conto delle cose di cui si occupano (81 A 5 - B 1). II
sapere superiore delle condizioni ultraterrene della conoscenza
proprie delFanima, solo schizzato, risulta evidente nella positiva
tesi che il sapere é reminiscenza (81 D 4 - 5). Menone é su ficien
temente sveglio per non limitarsi ad accogliere per buona tale te-
si e rinnova Velenchos, domandando ancora: «S a i insegnarmi
che é cosi?» (81 E 5). Socrate viene perció sfidato a passare dalle
«cose di maggior va lo re » (Ti[xtá>T£pa) fin qui svelate ai lo ro fon-
damenti.
Una tale fondazione dovrebbe mostrare che 1’ anima é davvero
immortale, come sostengono i sacerdoti, e che davvero esiste
qualcosa che essa puó «v e d e re » senza strumenti sensoriali in
una condizione che si rende libera dal corporeo, ossia che esisto-
no le Idee trascendenti, e che esse, a m otivo della «a ffin itá » glo-
bale dell’intera realtá (cpúais) (81 C 9 - D 1), sono anche qui pre
sentí e attive, cosi che 1’ anima si puó ora «ricord a re» di esse. M a
Socrate non inizia cosi, e o ffre un esempio pratico, anziché una
dimostrazione teoretica, a conferma della sua tesi: egli chiama
uno schiavo di Menone e gli fa fare l ’ esperimento come si «ri-
cord i» del raddoppiamento del quadrato.
16 É espresso con chiarezza solo il fatto che la virtü non é insegnabile in 96 C 10;
tuttavia, poiché ogni é insegnabile (87 C 5), viene colpita anche I’ ipotesi
che «la virtü é conoscenza», cfr. 89 D.
17 Invece Socrate dice di aver fatto irrigidire lo schiavo come avrebbe fatto «u na
torpedine ñera», 84 B 6 .
18 Eutifrone, 11 D 7; Ippia m in ore, 373 B 6 ; a proposito di questi passi cfr. sopra,
pp. 142 s. e pp. 174 s.
260 «M ENONE»
dell’ intelligibile, del vot)tóv. Questo non viene pero detto in que-
sti termini; infatti, per quale m otivo Socrate dovrebbe esporre
Pipotesi delle Idee al cospetto di Menone? Perció, non si potrá
sostenere, nemmeno qui, la «certezza» su questo punto contro
le obiezioni «scettiche» 19. Chi insiste a sostenere che il Fedone e
la R epubblica, in quanto non ancora pubblicati, non possono
neppure essere stati ancora concepiti, quando fu composto il
M en on e, non potrá venir confutato stando a tale lógica. M a non
potrá nemmeno spiegare in base a che cosa Socrate, nella stessa
frase in cui afferm a il suo non-sapere, possa presentare il dato di
fatto delia diversitá tra vera opinione e scienza come un sapere
sicuro (98 B 1-5). È spiegabile, questo, senza la distinzione onto-
logica di «o ggetto di opin ion e» (Bo^octtóv) ed «oggetto di scien
z a » (èTctarTjTÓv), dunque in ultima analisi di «sensibile» (oua07}-
■uóv) e «in telligibile» (vorjxóv), che si trovano nella Repubblica
(475-480)? E Pimmortalitá dell’ anima e la visione delle Idee nel
luogo sopra i cieli non sono teoremi necessariamente riferiti l ’ u-
no all’ altro ?20.
Ció che, dunque, dal punto di vista del testo puro e semplice del
M en one doveva restare ancora poco chiaro ed enigmático, non
poteva essere oggetto di dubbio per chi avesse avuto consuetudi-
19 È strano che Guthrie, che assume a proposito dei dialoghi definitori una posi-
zione storico-evolutiva restrittiva, e che ritiene insuperable il vuoto che esiste fra
l ’interpretazione prolettica orientata alia metafísica della Repubblica, e quella scet-
tica, che non si allontana da quanto viene espressamente detto (A H istory ..., IV , p.
169, nota 3), sia pronto improvvisamente, a proposito del M enone, a riconoscere
comunque la dottrina delle Idee, percepibile in m odo molto discreto (IV , pp. 235
s.). Guthrie non può confutare l ’ opinione di Ross (P la to ’s Theory o f Ideas, p. 18),
per cui nel M enone la dottrina delle Idee non è sviluppata in modo piü ampio di
quanto avvenga nei dialoghi precedenti, egli la trova, comunque, «in credibile» a
causa dei paralleli della reminiscenza in Fedone, 1A A ss. Guthrie avrebbe potuto
mantenere la sua posizione restrittiva facendo riferimento a Bluck, P la to ’s M e
n o..., pp. 46 s., che ritiene fuori iuogo la questione delle Idee nel M enone, perché
Platone non si sarebbe preoccupato della natura delle cose che l ’ anima aveva visto
nell’aldilá. (P er molti interpreti certo difficilmente esisterebbe un’ idea piü incredi
bile di quella che «S ocrate», istruito da «sacerdoti e da sacerdotesse» sulle espe-
rienze dell’ anima nell'aldilá, riguardanti fra l ’ altro anche Vareté [81 C 8], abbia po
tuto proprio nel nostro caso reprimere la domanda sulT effettivo significato di que
sto: Vareté di uomini o di donne, di Iiberi o di schiavi — o forse tò &tu Ttãsiv toútoiç
x a ü tó v ? ).
20 Rim an diamo, ancora una volta (cfr. sopra, note 3 e 11), all’ interpretazione dei
passi matematici proposta da Gaiser, secondo la quale Porizzonte concettuale del
M enone non è determinato solo dalla dottrina delle Idee bensi anche dalla teoria
dei Principi.
262 «M ENONE»
22 87 D 2-3: áXXo t i r] áyaGóv aúxó <pa¡J,£v rivai xr¡v áper r¡v, xa i <xvvr¡ r) vnóOeaiç y.é-
v£i àyaOòv otvxò etvai . Le ipotesi sono i gradini sulla via dell’ origine non con-
dizionata del tutto (Repubblica, 511 B 6-7). L a frase « ia virtü è buona», non è af-
fatto, in particolare in seguito alia limitazione di «b u o n o » ad «u tile » (87 E 1 - 89 A
2), la cosa ultima, bensi andrebbe fondata a partiré tanto dalla natura del Bene
quanto da quella delPuomo (cfr. Gaiser, Platons M e n o n ..., p. 380; a proposito del
legame fra l ’esempio delPipotesi geométrica in 86 E s. e il concetto di Bene come a
metá strada fra ¿n:£.pPoXri e eXX&i.<J>u;, cfr. Gaiser, pp. 383 s.).
XIV. «Gorgia»
L’interlocutore ideale e i piccoli misteri
11 527 B 2 áXX’ iv xqgoúxoiç Xòyoiç io3v aXXcov i\¿y/o\iív<úv ¡¿óvoç oóto;; T|pe¡J.£l ó
Xóyoç, euXapr]T£ov iaxlv xò aSixEiv jjiãXXov rj xò áSixetaGai. A proposito del lo
gos che «resta saldo» ovvero «viene tenuto saldamente», cfr. sotto, p. 273.
12 II fatto che la capacité del dialettico prenda il posto delle mere pretese e promes-
se della retorica, si comprende anche dal seguente dettaglio; Gorgia è fiero della
sua capacitá di rispondere in modo breve e sintético, ma sostiene, al tempo stesso,
che alcune risposte debbono essere necessariamente lunghe (449 B 9 - C 8 ). N ell’ in-
tero dialogo è però Socrate che si rivela il garante della brevitá e della concretezza
delle prese di posizione (448 D - 449 C; 453 C I- 4; 454 B 9 - C 5; 461 D - 462 A ; 463
C); comunque, egli è anche in grado di fare altresi lunghi discorsi e sa anche dare
fondamento a questo: P olo «aveva b isogno» di una esposizione continuata poiché
non sapeva comportarsi con il método socrático (di per sé migliore), che procede
per domanda e risposta (465 E 4-6). In quanto «v e r o » oratore, Socrate sa trovare il
tipo di discorso adeguato ad ogni interlocutore.
13 486 B 6 : c ü j t o v o x ¡x ú j Buvá¡j.evov P o t ] 9 e lv ¡j.T )8 ’ éxawaai ex t ¿ ú v p L E f í a x t o v
xtvSúvtov.
14 486 A 5 e483 B 1-4.
268 «G O RG IA»
ehe Panima conosce, gli toeca al tempo stesso, insieme all’ esca-
tologico «portar soccorso a se stesso» (ßoiriGelv é.otuxtõ), la supé
riorité non delimitata nel discorso quale frutto dei «portar soc
corso al discorso» (ßorßetv tw Xóycp)19.
Il «disvelam ento» della retorica gorgian a20 genera un chiari-
mento graduale sulla posizione degli avversari. Ci si potrebbe
qui aspettare un parallelo «disvelam ento» délia posizione del
dialettico. In un certo senso anche questo risulta verificarsi: la
«vera retorica» — ehe altro non è se non una perifrasi délia dia-
lettica platónica — diventa, a poco a poco, la misura délia reto
rica sofistica21.
D ’ altro canto, Socrate — diversamente, per esempio, che nel
Fedone e nella Repubblica — non è, qui, l’ assalito, bensi è egli
stesso l ’ assalitore22, e quindi non sente una forte spinta ad inol-
trarsi nell’ ambito delle «cose di maggior v a lo re» (xipitá>x&pa): è
sufficiente mostrare la debolezza della posizione degli avversari
in un ambito cui essi possono ancora accedere. M a non manca-
no anche allusioni, le quali chiariscono che la discussione è co-
struita come sempre al livello di conoscenza che è proprio degli
avversari.
19 Sull’ importahza della dottrina deli’ anima per il Gorgia cfr. sotto, pp. 275 ss.
20 Cfr. sopra, p. 265 en o ta5 .
21 In proposito, cfr. sotto, pp. 279 ss.
22 Nella prima parte, dedicata a Gorgia, non e ’ era bisogno, per questo, di nessuna
prova. E vero che la seconda e la terza parte iniziano con attacchi violenti da parte
di P o lo e di Callicle al punto di vista e al metodo di Socrate (461 B ss; 482 C ss.); ma
dal momento che si tratta di ricostituire di volta in volta il logos precipitato di chi
ha preceduto, P o lo e Callicle sono, dopo poco, anch’ essi nel ruolo difensivo di
Gorgia. — E stata spesso commentata la somiglianza deli’attacco di Callicle con
quello di Trasimaco all’inizio della Repubblica; anche in quest’ultimo caso trovia-
mo Socrate che passa al contrattacco. Tuttavia, per 1’ impianto della Repubblica, e
il secondo attacco, all’inizio del secondo Libro, che risulta decisivo, e ad esso non
corrisponde niente di simile nel Gorgia. Solo in questa fase Socrate finisce con il
doversi difendere, il che lo costringe a fondare piii in profondita il suo punto di v i
sta. C fr. sotto, pp. 363 ss., 374 ss.
270 «G O R G IA»
30 495 A 7-9: Siôtç0E.Lp£tç, á KaXXCxXe.iç, tou; Ttpwxouç Xó-youç, x<xl oúx av exi |i.£x’
è[xoü ixavcoç xà ovxa íÇetoÇoiç, dji£p rcapà xà BoxoOvxa aauxcÕ ipsíç. Con i TcpcoxoL
Xóyôi Socrate intende la critica di Callicle alio scarso coraggio di Gorgia e di P olo
(482 C-E) e il suo stesso elogio della Tcapprjaía in 487 A B.
31 497 A 7 - B 10/
32 504 C 4: x£ 8 è òOx aòxòç Xi"f&tç, w Hwxpaxsç. Questo è il secondo tentativo da
parte di Callicle per sottrarsi; il terzo tentativo 505 C l - 506 C 4 ha successo: Socra
te prosegue da solo la discussione. Callicle ri entra piü tardi neí discorso, senza, tut-
tavia, fornire effettivamente un suo contributo (cfr. 510 A 1; 515 C 4; 516 C 10; 519
D 6).
33 A 505 C 1 : òíXXov xtvà epa>xa, Socrate risponde in C 3-4: oòxoç àvr)p oú)( Ú7to[xé-
v£L co^pE-XoújjiÊVOÇ xat auxòç xoüxo Káayiov Ttepí ou ó Xóyoç iaxí, xoXa£ó|j.E.voç.
34 521 A 2-8.
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 273
35 490 E 10 con 491 B 5 - C 2; Socrate dice a si xauxá, Callicle dice: oüSéno-ce xauxá
Ttepi tcúv auxcáv (B 6 s.); 499 C 1-2; 527 B 4, ó Xóyo<; (su Socrate) contro D 7
ouSéiTOxe xauToc Soxet 7re.pt xtov aúxcov (su Callicle).
36 Su Callicle come sapiente, a cui é pero sfuggito il significato dell’.equivalenza
geométrica, si veda 508 A 5 (cfr. anche 497 A 8). — In 518 C 2 é detto íizaiíu; ou-
Sáv, in un ragionamento ipotetico, che, comunque, é chiaramente utilizzabile per
Callicle (cfr. 518 E 1-2).
37 497 B 6-7: á.X\' asi zoioüxóq ¿crctv Ecoxpá'cr]?, rop yta. afitxpá xai óXí'fou a^ta
ávspcora xat i\zkíyyt\.. — 497 C 1-2: ¿pa>xa 8r¡ au xa a¡aixpá iz xat oxevá xaOxa,
¿TcetTcep Fopyía Soxeí ouxco¡;.
274 «G O R G IA»
38 497 C 3-4: euSaíp.wv &Í, ¿b KaXXótXeti;, otl toc ^i&YáXa |j.&pi.Ú7iaai Ttpív xa a¡i.Lxpá'
ly w 8 ’ oux wjjirjv Qe^ltov eívcu.
39 Cfr. Schol. ad loe. (p. 160 Greene), Plutarco, D em etrio, 26, 1; Schol. ad
Aristoph., P lu t., 845 e Ran., 745; Clemente, Stromata, IV 3, 1 e V 70, 7. La termi
nología dei diversi livelli di iniziazione non é univoca nelle fonti. Secondo Plutarco
tra i Piccoli Misteri e i Grandi Misteri intercorrono sette mesi; il terzo livello, quello
piü alto, la epoptia, era addirittura distanziata dai Grandi Misteri dairintervallo di
un anno. C fr. L. Deubner, Attische Feste, Berlin 1932, p. 70; W . Burkert, H o m o
necans, Berlin 1972, pp. 292 s.
40 Sarebbe ou Gquióv, come l ’inversione della successione.
41 toui; Se. ávorixou^ a¡j.uriTOD¡;.
L ’ INTERLOCUTORE iDEALE E I PICCOLIM ISTERI 275
42 È la domanda sulla «conoscenza» del xpsiTxtov, 489 E, sul suo coraggio 491 C,
sulla sua temper anza 491 D E . Come c’ era da aspettarsi, Platone non ha evidenzia-
to la sistematicitá di queste domande, anzi, l ’ha piuttosto nascosta, discutendo l ’ u-
guaglianza di xpeíxTcov = jkXxúov — ia%ijpóx£.poç (488 B 9 ss.) e facendo introdur-
re la virtü del coraggio non da Socrate ma, questa volta, da Callicle (491 B 2). Co-
munque, è chiaro che si tratta del contesto delle platoniche virtü cardinali (<ppóvt¡j.o<;
e <ppóvr)stç sono sinonimi di aocpóç e crocpía nella Repubblica, cfr., ad esempio, 428 B
1 ; 433 B 8). Questo contesto è chiarito nella Repubblica: la giustizia intesa come il
«fa re ció che è p ro p rio » è il presupposto per la comparsa delle altre virtü. Perció,
276 «G O R G IA»
nel corpo equivale alia morte. Anche se non viene detta la paro
la «im m orta litá » (áGavaaía), non possono esserci dubbi sul fat-
to che qui venga fatto riferimento appunto alia fede neU’immor-
talitá.
Su questo sfondo di una dottrina delTanima e deirim m ortalitá
orientata escatologicamente, Callicle é deñnito come «n on ini-
zia to », non pero personalmente, tuttavia con un accenno suffi-
cientemente chiaro: infatti « g li irragionevoli sono i non-iniziati»
(493 A 7); ma irragionevole é colui in cui la parte non passionale
delT anima (dunque la.9póv7jai£ o il XoyiaTixóv)serve solo quella
passionale e si fa simile ad essa, cioé bucata (493 G 2), e ció si
gnifica: incostante e mutevole (493 A 4-7). M a Callicle stesso
aveva descritto la «sa ggezza» ({ppóvrjat?) come al servizio dei de
si deri (492 A ), e Socrate aveva dimostrato poco prima che la
«ra g io n e » di Callicle giudicava ora in un modo ora in un altro
(491 C ) 4*.
N on iniziato e non razionale (á|i,Ó7iTO?, ávÓ7jTos) é Callicle; e
questo implica due cose: la errata posizione etica da lui esaltata
e, causa di questo, la completa ignoranza della dottrina dell’ ani
ma, che Socrate gli presenta come posizione radicalmente oppo-
sta. M a, giá qui, prima della vera discussione, appare chiaro che
Callicle resterá un «n on -in iziato». Infatti, Socrate non fa nes-
sun tentativo di fondare argomentativamente la dottrina dell’a-
nima, che implica la fede nelPimmortalitá. A l contrario: la de-
scrizione di questa dottrina in una form a straniata (come dottri
na di poeti, di sapienti e di loro interpreti anonimi) ha, evidente
mente, lo scopo di evitargli il dovere di giustificare la sua opi-
n ion e47. Tuttavia, egli presenta la posizione opposta, non fon-
data, come proposta di cui potrebbe «con vincere» Callicle, e
che questi potrebbe accettare (493 C 4 - D 3). (II non-iniziato,
come ad Eleusi, deve essere disposto per diventare iniziando).
Invece, Callicle dichiara di non voler cambiare idea (493 D 4).
Con questo, il corso del dialogo é deciso giá da ora nel punto piü
importante: 1’ antropología che fonda il concetto platonico della
giustizia e che distingue fra una parte delPanima irrazionale e
48 Ii fatto che negli allusivi accenni ad una fede nell’ aldilá compaiano solo due
partí dell’ anima, una volitiva ed un’ altra, non significa necessariamente, é ovvio,
che Platone «n on ha ancora messo a punto qu i» la successiva teoría della tripartí-
zione dell’ anima. Infatti, anche ía «classica» tricotomia dell’ anima si fonda su una
dicotomía ontologica (cfr. sotto, pp. 409 s., a proposito di Repubblica, 611/2).
N on era necessario andaré* qui, al di lá di un accenno. Poiché il concetto di giusti
zia di Callicle é stato messo alia prova delle tre virtü platoniche, cui sono coordina-
te, nella R epubblica, le tre partí dell’ anima (cfr. sopra, pp. 275 s.), risulta come piü
probabile la supposizione che Platone non abbia sostenuto, nella stesura del G or
gia , una psicológica dífferente da quella presentata neíla sua opera principale.
49 p er j i rwin. P la to 's M o ra l Theory, O xford 1977, pp. 127-131, il Gorgia é un
colpo non andato a segno, in quanto Platone non direbbe se egli intenda ammettere
«good-independent desires» o no, e in quanto egli non é in grado di dimostrare che
quell’autocontrollo, di cui alia fine anche Callicle riconosce la necessitá, coincide
con l ’ ordine interno delPanima, che si fonda sulla virtü. Irwin sembra non vedere
che questi problemi possono essere discussi in m odo sensato solo alPinterno della
psicologia metafísica di Platone. Si deve per forza considerare il Gorgia un «insuc-
cesso» filosofico se si pretendono da questo dialogo le risposte proprio a quelle
questioni che, limitando in m odo attento il discorso, Platone vuole escludere. A
proposito del commento di Irwin al G orgia (loe. cit., cfr. sopra, nota 24) cfr. la mia
recensione in «Phiiosophische Rundschau», 30 (1983), pp. 138-141. .
280 «G O R G IA»
Parte culinaria come arte per la cura del corpo sarebbe infonda-
to e arrogante per chi non avesse una conoscenza sicura della su-
perioritá delle altre arti; cosi, il disprezzo platonico della retori
ca consueta sarebbe inconsistente e vano, se l’ autore non scri-
vesse nella certezza di aver ottenuto una conoscenza sicura circa
le domande sull’ánima e sul Bene, che sonó decisive per la «vera
retorica».
A l tempo della composizione del Gorgia, perció, « c ’ é » giá l’ idea
di una dialettica come concreta teoria della fondazione delP etica
su un’ antropología e su una metafísica. Di essa Callicle «n on ha
capito nulla » 58 fino alia fine. Anche il lettore odierno non
avrebbe forse la possibilitá di completare i contorni dell’ imma-
gine appena abbozzata, se non possedesse la descrizione moho
piü ricca della Repubblica e del Fedro. Callicle, il non-iniziato,
non é un possibile destinatario di quel contenuto. II passaggio
decisivo ad una teoria superiore, piü fondante, non ha luogo:
Callicle torna sempre alie sue vecchie p osizion i59. I suoi impulsi
non controllati gli impediscono di avvicinarsi, spregiudicata-
mente, alia v eritá 60. Cosi egli si deve accontentare di quello che
Socrate gli vuole o ffr ir e 61.
1 C ratilo, 383 B 8 - 384 A 4: xaí ¿|J.oü ¿p<oxcoxo<; xaí ftpoGufxoujjtivou etSévai oxt n o
l i Xíy&i, ouxe. áTOcoccpEl oóoev sipwvtútxaí xe upó; ¡J.e, ‘Kpoa-izoioúy.zvóc, xi aoxó<; iv
iauxw óLavoetaOat. (ó? -nxpt. auxoü, o si (jouXolto túq bíjceIv, rcotri<J£(,sv av
xaí i\ii b[ioXoyzí\> xaí Xéyetv oarep auxóc Xéyzi.
2 427 D 3-7: x a í [¿rjv, to S tó x p a x ^ , TtoXXá y í ptoi 7toXXáxi<; upáyjjiaxa Ttapé/st
KpaxúXo?, toartep x a x ’ ápxá<; ÍXzyov, tpáaxtov fjiv d v a i ópOóxrpra óvofxáxcov, rjxt<;
8 ’ ¿ctxlv ouSev aacpi? X íy < ¿ v , ¿Saxe ¡j.£ [ir] Súvaa&ai eíSívat Ttóxepov ix w v axtov
oux cúq ácraípco? áxáaroxs 7is.pl aux¿¡>v X é r £i.
284 «C R A T IL O »
3 Se avessimo solo i passi precedenti, sarebbero possibili dei dubbi. Infatti, l ’ og-
getto su cui Cratilo dà ad intendere di saperne di piü sembra essere — se si segue il
testo «rigorosam ente» — unicamente il nome di Ermogene (citato in 383 B 7), e
non la teoria generale della correttezza delle parole (in questo senso si veda 384 A 2:
eíScòç 7rspi auTOü, spiegato da J.C. Rijlaarsdam, Pla ton über die Sprache. Ein
Kom m entar zum Kratylos, Utrecht 1978, p. 18, nota 4). II richiamo esplicito alPini-
zio, cioè a 383 B 8 - 384 A 4, in 427 D 4 w<rrce.p xoct’ àp^àç eXeyov, mostra, tuttavia,
che Cratilo, secondo Ermogene, serba il silenzio a proposito delia teoria nel suo
complesso. ( L ’ interpretazione «letterale», inoltre, non si accorderebbe neanche
con il contesto dell’inizio 383 A 1 - 384 C 8 , come si mostrerà di seguito).
4 384 B 2 - C 3: ¡xâv ouv eyw rjor| rjxrjxór] rcapà IIpoSíxou -c^v TTEvtrjXovráopayjjiov
¿tu8el£iv (B 6 ) vüv Sè oux à xrp co a, àXXà xr)v Spax^uaiav. oüxouv o lò a Ttr} ttote. tò à -
Xtj0êç ty ti TCE.pt Ttõv xoioútoiv <tu^y]xe.Tv ¡aávtOL Eiotjxóç ELjjit xat aoi. xai KpaxúXco
XOtvfj.
5 384 B 5 s:... ouSèv av IxwXuív ae autíxa uáXa eiSévat tt]v aXfiSeiav Ttepi ovo-
[ l á t ò J V ¿ p G Ó t T jT O Ç .
IL SAPERE SEGRETO DELL’ERACLITEO 285
altresi, per ben due volte, quella comunanza nella ricerca, che
era stata respinta da Cratilo (384 C 2 - C 7 ) 6.
Concettualizzando la situazione, si potrebbe tentare di espri-
merla, seguendo un diffuso schema di pensiero del ventesimo se-
colo, nel m odo seguente: comunicazione esistenziale contro eso
térica non filosófica. Chi, pero, oltre a moderne abitudini di
pensiero, possiede ancora un poco di sensibilitá per quanto l’ i-
ronia platónica mantiene sullo sfondo e osserva lo sviluppo
drammaturgico dei m otivi nel testo, andando oltre l’ orienta-
mento verso il «risu ltato», eviterá di trasporre il sottile risalto di
Socrate contro i due (pseudo)-esoterici in una semplice immagi-
ne in bianco-e-nero. L a nostra domanda concreta al Cratilo sa-
rá, piuttosto, la seguente: come si realizza il «cercare insieme»
(au^tEÍv) che Socrate offre?
9 L ’ ammonimento cpúXat'íc yáp jxe p.r¡ tít¡ 7iapaxpoúaa>fxaí a i non eselude che il
passo seguente contenga pensieri importanti (cfr. Gaiser, Ñam e und Sache, cit.).
L ’ «in ga n n o » consiste, evidentemente, nel fatto che Socrate da questo momento é
libero di interpretare a suo piacere ogni parola: piü tardi egli rivelerá come non sia
possibile sostenere un simile método (437 A ss.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 287
10 397 A 4: uóQev ¡lefia, C 4: Síxaiov áito xa>v 0£<Sv apyj-aQaa. C fr. Gaiser, Ñ a
me undSache p. 58.
11 399 A , E s.; 407 D 7; 409 D 1; cfr. 428 C 7.
288 «C R A T IL O »
<ptoe) può avere solo un valore lim ita to 12; ciò che di essa soprav-
vive potrà dirlo solo chi si intende di «pu rificazion e», «sia esso
uno dei sacerdoti o uno dei sofisti» (397 A 1). Nella parte etimo-
logica Soer ate non rivela chi egli abbia in mente.
M a il lettore, in una precedente sezione, ha già avuto un accen-
no su come debba essere la persona a cui Socrate riconosce un
giudizio competente. Nella sua argomentazione a favore di una
giustezza delle parole esistente per natura, Socrate aveva ottenu-
to da Ermogene la approvazione sui seguenti punti: la parola (o
il nome, ovojjia) è uno strumento che serve a istruire e a distin-
guere la rea ltà 13; produttore di questo strumento è il «legislato-
re » ovvero « il costruttore delle parole»: un tipo estremamente
raro di artefice H; egli porta a termine il suo prodotto non osser-
vando altri prodotti simili, bensi osservando Veidos delia paro
la 15; il giudizio sulla bontà dello strumento spetta, come avviene
anche in altre arti, alio specialista di quell’ arte che utilizza lo
strumento: cosi come il nocchiero dice se il costruttore delia na
ve ha fornito un buon prodotto, chi si intende di domande e ri-
sposte dirà se il costruttore delia parola le ha costruiie corretta-
mente; questa persona competente è il «d ia lettico» (BiocXsxxt-
xóç), cui spetta, analogamente al nocchiero, addirittura il con-
trollo sul lavoro dell’ onomaturgo 16.
II dialettico, che viene qui presentato come ultima istanza per la
valutazione dei linguaggio, deve, in primo luogo, in quanto con-
17 Si ricordi che giá una volta Socrate ha laseiato che il termine «s o fis ta » sostituis-
se queílo di dialettico: in 391 B C egli ha richiamato su questo termine l’ attenzione
di Ermogene, e questo poco dopo aver attribuito al dialettico ogni competenza (390
C D). — È anche l ’ opinione di Gaiser, Ñam e und Sache ..., p. 50, che la «purifica-
zion e» alluda al dialettico.
290 «C R A T ILO »
22 424 C 5 - 425 B 6 , in particolare 425 A 6 ss.: rj^á? B&Í, eírc&p xtyyw.(h<; emaxr]-
aó|ji&0a cxOTtelaöai aüxá uávxa, ouxco oisXo[j.évou^, etxe xaxoc xpónov xá xt Tipwta
óvóf¿axoc xetxat xaí xa üaxE-pa úxz ¡arj, ouxgj 0eáa0cu\.. (B 5) xí oSv; au maxe.Ú£i<;
aauxco otó<; t ’ av eivat xaüxoc ouxto SiE.X¿a0ou; ¿yto fxev yáp-ou. — II testo non parla
di Idee, di dialettica o addirittura di Principi, ma risulta chiaro, comunque, che
questo e l ’ ambito inteso. Infatti, il compito di verificare «secondo le rególe dell’ar-
te » la correttezza delle parole é, senza dubbio, idéntico a quello attribuito al dialet-
tico in 388 B - 390 E; ma l ’ arte di quest’ ultimo appare, nel passo indicato, come di
sciplina in certo qual m odo superiore alia conoscenza delle Idee deí creatore delle
parole (cfr. sopra, pp. 288 s.). L a diairesi delle cose qui richiesta (424 D 1 ss.) non é
altro che il «guardare alie Id e e » che, secondo 389 D ss., contraddistingue anche il
creatore delle parole. Le parole costruite «in m odo corretto» sarebbero strumenti
«atti a distinguere l ’essere» (388 C 1), in quanto poggerebbero sulla diairesi dialetti
ca delle Idee. In 424 D 2 é accennato che la diairesi condurrebbe ai Principi, o «ele
m enti», ultimi ( l ’espressione axoiyéiov é scelta per la sua analogia con le lettere). —
A proposito della terminología segnaliamo: Statpeat?, 424 B 7, BtatpitaGoct, 424 B
10; C 2; C 6 ; D 1; 425 B 1; C 4; 5. Oggetto delPanalisi sono x<&Tipoq^axa 424 E 4, e
in riferimento alia loro oúata 423 E 8 . — Socrate «é incapace» , secondo Friedlän-
der, Platon, II, p. 194, di fornire «quel coordinamento degli elementi linguistici
con quelli oggettivi e con le form e piü alte». II testo é diverso: Socrate crede di non
essere capace di operare la diairesi necessaria prim a della coordinazione dei due
ambiti fra loro (425 B 1: ouxto SieXopivou?, B 5: xaüxot ouxto SieXéaQai.). Poiché la
diairesi dei suoni é gia stata fornita (424 C 1-9), Socrate rifiuta, per quanto lo ri-
guarda, di fare una precisa diairesi dell’essere. Pariendo dalPimpossibilitá oggetti-
va di quella «coordin azione», cioé di una lingua ideale fondata ontologicamente,
non si deve pero, secondo Friedländer, in nessun caso concludere «che Platone ri-
nunci al sistema delle form e delPessere» {ibidem). (Sul rifiuto di una lingua ideale
cfr. Gaiser, N am e und Sache..., pp. 79 s., e Guthrie, A H istory..., V [The Later
P la to and the Academy, 1978], p. 31). — Purtroppo non posso concordare neppu-
re con Pinterpretazione di 425 B C proposta da Gaiser: invece dell’ «incapacita» di
Socrate di fare una diairesi delle Idee, egli parla della verifica della coordinazione
degli ambiti come di un compito che «com e Socrate rileva, supera la possibilitá co-
noscitiva che é propria dell’ uomo (425 B C )» (pp. 82 s.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 293
23 439 B 4-5: ovxiva }j¿v xoívuv xpóitov SeI [xavGávetv r] tupíam v xà ovxa, ¡x&iÇov
ujtúç èaxív ?) xat ai. Che gÜ ovxa (cfr. 440 B 6 i'axt S i Uv exaaxov
t¿ ú v ov-rcov) siano le Idee, poiché le cose «flu e n ti» di Eraclito non «s o n o » affatto,
risulta chiaro a partiré da 439 C 6 ss.
24 4 3 8 C 1-4: ol^oci ¡¿èv l y à t ò v àXrjôéaTaTov Àóyov ntpi t o ó t o j v dvcti, co Súxpoc-
T E .Ç , [itít.iú T t v á o ú v o c ¡ j . i v E i v o u T, (xvGpoiTieíav Q e j j í v T jV xa 7ip¿jxa òvójxaxa xoíç
30 A proposito della dottrina delle Idee e della dialettica in 388 B - 390 E, cfr. so
pra, pp. 288 s.
31 A proposito del richiamo implícito al concetto di dialettica in 424 B - 425 B, cfr.
sopra, p. 292 e nota 22.
32 II possesso o la mancanza dei xL(xiwt£pa resta, naturalmente, la pietra di para-
gone; di qui le domande coincident! di Ermogene e di Socrate: ^x£l? 71Tl ãXXr) xáX-
Xiov Xéyetv; e £i ¡xívioi zytiç ti au xáXXtov toútgjv Xé^eiv, 427 E 2 e 428 B 1 .
33 È vero che Ermogene carpisce a Cratilo (427 E) la prima asserzione dopo il suo
eí cot SoxeT in 383 A 3, ma si tratta, come è caratteristico, di una risposta di rifiuto.
Socrate conquista Cratilo al dialogo per mezzo di due cose: attraverso le etimologie
egli ha dimostrato le sue capacità, e, cosi facendo, anche la sua dignitá di imparare
da Cratilo, e, in secondo luogo, anch’ egli dimostra interesse a diventare «a llie v o »
del maestro. Anche qui, dietro la canzonatura, si riconoscono i tratti della SiSaaxa-
Xía filosófica, in senso platonico: essa si rivolge alia c[>ux?l 7ipoar)xouaoc, che deve
portare con sé, oltre alia disposizione intellettuale, anche la disponibilitá ad affi-
darsi alia guida delPesperto dialettico.
34 431 E - 433 B contro 429 C 3-4. è'0oç ~ auvó^XTi, 434 E s.
35 438 E - 439 B contro 436 A ; 436 C D.
296 «C R A T IL O »
39 440 D 5-6: crxEcjjá|ji.Evov Sé, éáv £opr)¡;, [/.eTaSiSóvai xaí £[¿ot . Cratilo, da parte
sua, non chiede una comunicazione, bensi chiede a Socrate solamente di considera
re ancora un p o ’ la cosa (440 E 6-7). L ’ ironia derivante dalPinversione dei ruoli ri-
mane, cosi, fino alPultima riga.
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone»
La difesa a tre livelli
1 Repubblica, 517 A ; Teeteto, 210 D; cfr. P o lítico , 299 B C. Tra i primi dialoghi è
soprattutto il Gorgia, con le sue numeróse allusioni al processo a Socrate e con la
sua prova che Socrate soltanto è il vero político (521 C - 522 B), che svolge la fun-
zione di un’ apologia; cfr. anche 1’episodio di An ito in M enone, 89 E - 95 A .
LA DIFESA A TRE LIVELLI 299
2 54 B 4-5: Iva d<; ''AlSou ¿X0¿>v txXlí Tíávxa xauxa a 7raXoyiícraa0a[. toT; exet ap-
X o u a iv .
3 63 B 1-2: xp^l (¿z itpoc; xaüxa á 7CoXoyr¡aacr0at ÓSarcep ev 8 ixacrc7)pícü. 63 D 2: aTio-
Xoyía. 63 E 8 : áXX’ újJÁv Sí] toÍ£ 8 ixaaTaí<; (EoúXo¡j.ai xóv Xóyov áuoSoüvai. 69 E
3-5: el' t i o5v ú|atv 7ti 0av<¿T£pói; el¡j,i év ir\ aTroXoyía r] xol<; ’AGrjvaíojv Bixaaxac<;, eu
av e'xoi.
4 La trattazione comune di A p o lo g ía , C ritone e Fedone non ha niente a che vedere
con I’unione di E utifrone, A p o log ía , C ritone e Fedone in una «tetralogía» nella
trasmissione del testo. L ’ immaginaria successione temporale delle situazioni narra-
te ha costituito, evidentemente, Pelemento unificante di que! raggruppamento; ma,
oltre a questi dialoghi, si dovrebbero aggiungere il Teeteto (cfr. Teeteto, 210 D ), e,
di conseguenza, I’intera trilogía, correlata anche dal punto di vista temporale, co-
stituita da Teeteto - Sofista - P o lític o , formando cosi, insieme alie opere considera-
te, una nuova «eb d om ad e» unitaria. I tratti comuni delle tre «d ife s e » sono, invece,
di carattere insieme contenutistico e strutturale.
300 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
17 29 C ss..
18 Cfr. sopra, p. 311, nota 11.
19 47 A - 48 A . ó eIç xat autrj r) áXr¡0£ia 48 a 6 . ... xoü ¿vóç, el'tíç ecmv ircocícov, 47
D 1.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 303
sce giá: Simmia é venuto apposta da Tebe con dei soldi per por
tar via Socrate dalla prigione, e anche Cebete, il suo conterrá
neo, é pronto a pagare per lo stesso m otivo ( C riton e, 45 B 3-5).
Tuttavia, il piano della fuga viene poi discusso senza la loro col-
laborazione con il solo Critone; Platone si é riservato le figure
dei giovani tebani per una «d ife s a » di Socrate piü impegnativa.
Diversamente da Critone, essi sí contraddistinguono per la par-
ticolare propensione alia critica e al dubbio. Cebete cerca sem-
pre controargomentazioni e non é súbito pronto a lasciarsi con-
vincere (.Fedone, 63 A ). Questo costituisce, soprattutto in bocca
a Socrate, un’ alta lode; Pamico Simmia lo chiama «P u o m o piü
saldo» nel non voler accettare m o tiv i22. L o stesso Simmia eleva
la scepsi a programma; per lui é debolezza intellettuale il rinun-
ciare prima del tempo ad un esame critico (85 C).
Uom ini che sono tanto vincolati a domande indagatrici devono
sembrare p rim a fa cie persone spiritualmente affini a Socrate, e
in una certa misura alia pari con lui. II lettore si aspetta che la
«d ife s a » di fronte a questi «giu d ici » 23 debba diventare senz’ al-
tro difficile, se non addirittura senza speranza.
Platone ha fatto rientrare nel dialogo questa attesa del lettore.
D opo aver fatto si che Simmia e Cebete portino argomenti con-
sistenti contro le prime dimostrazioni delPimmortalitá delPani
ma e che venga danneggiata la fiducia degli ascoltatori, Platone
inscena un’ interruzione del dialogo narrato: Echecrate, l’ ascol-
tatore del resoconto di Fedone, noto perché facente parte del
racconto-cornice, prende la parola e formula, prendendo il po
sto del supposto ascoltatore o lettore del libro, la terribile do-
manda, se Socrate sia stato in grado di «portare soccorso» in
m odo adeguato nei confronti di una critica cosi insólitamente
impressionante24.
II lettore odierno é, rispetto al contemporáneo di Platone, mag-
giormente in grado di valutare giustamente la reazione delPa-
scoltatore, integrata nel dialogo. Tenendo presente Pimmagine,
che presenta il Fedro, del rapporto del dialettico con i Xóyot, egli
non considererá la paura di Echecrate come la reazione semplice-
25 90 B 6-7: EJitiSáv xtç Ttiaxeuar] Xoyto xlvi àXr\6et eivou aveu rîjç Ttepï xoùç Xóyouç
TÍyynç,-
26 Questo è mostrato dal confronto di 88 C 1-7 con 90 B 6-9.
306 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
27 Cfr. Fedro, 271 D E ; 273 D E; cfr. sopra, pp. 73-100, in particolare pp. 99 s. —
A proposito dell’ espressione Tuept touç Xóyouç te x viKóç, cfr. la designazione dei co-
muni retori quali ot Tie.pi xouç Xóyouç 7tpoa7iotoú[XE.vot eivou, Fedro, 273
A 3.
28 Fedone, 89 A 1-7. A ll’ iníerpretazione storico-evolutiva resta, común que, aper
ta la scappatoia dell’afferm azione che, qui, si trova «per caso» annesso quello che,
in se güito ad una riñessione teo retica «successiva», nel F ed ro , si era scoperto, con
sorpresa, essere necessariamente collegato.
29 L ’esitazione di Cebete e di Simmia nel criticare la fede nelPimmortalitá di So
crate destinato alia morte (84 D 4-7) colloca effettivamente loro stessi al livello del
la folla, come è accennato, senza asprezza ma anche senzapossibilitá di fraintendi-
mento, nella risposta di Socrate (84 D 8 - E 3). — Questo passo chiarisce anche che
la Tuepí Toúç Xóyouç xíyyr\ non manca solo alie altre persone presenti, ma anche ai
due che sono dubitanti e critici: essi non sanno quali «discorsi» sono adeguati, in
che momento essi vanno fatti e a quale interlocutore vanno rivolti. II fatto che nella
LA DIFESA A TRE L1VELLI 307
loro valutazione sbagliata della situazione si manifesti anche un senso di umana de-
licatezza non muta la sostanza delle cose: si tratta di una valutazione sbagliata; chi
non conosce la veritá non conosce neppure « l ’ uno».
30 96 A 1-2: croí Stetjxt... xá yz ¿piá mx0T].
31 Le lunghe discussioni, íatte a partiré dal X I X secolo, sulPautenticitá socratica
e/o piatonica di questa «autobiografía intellettuale» (un buon compendio delle po-
sizioni fondamentali é offerto da Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., pp. 127-130) sof-
frono del fatto che esse considerano questo passo isolatamente. Per contro, cerche-
remo, qui, di comprenderlo come parte del ruolo di Socrate nelPintero dialogo.
Questo ruolo é, pero, quello del dialettico che lascia libero gioco alia sua Tcept touc;
Xóyoo¡; lí'/ y t ]. N on stupisce, se si tiene presente lo sfondo della fondazione teoréti
ca platónica del filosofare rivolto ad una persona (cioé «esoterico»), esposta nel
F ed ro, che la narrazione sia stata sentita come fortemente superpersonale (cosi Z el
ler, D ie Philos, d. G riechen...., I I 15, p. 398, nota 1) ma anche come fortemente
personale (cosi Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., p. 130, in contrasto con Zeller).
32 Si veda 102 D 5: Xáyco Sr| xouS’ evexa, [3ouXó^e.vo£ aoí ojisp l(j.oí in con
fronto a 91 A 5, dove dei prepotenti é detto che 7rpo0uf¿oüvToa otiíúz « «uxot l'0evxo
xaíixa tol^ Ttapoüaiv. II tentativo, altrimenti dubbio, di autoaffermazione nel
la discussione é sempre regolato in Socrate, e solo in lui, dalla considerazione della
cosa stessa.
308 «A P O LO G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
41 C ír.F ed o n e , 89 A 5.
312 «A P O LO G IA » - «CR1TONE» - «FEDONE»
42 o¿8 ’ av ... -r\x(úv izoXkfúv §úvaf¿i£ ¿Soit£p naíSa? r][jLotc [j.op^LoXÚTTri'cca, Critone,
46 C 3-5.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 313
49 40 C 5 - E 4; 40 E 4 - 41 C 7.
5,1 II termine decisivo, áGávaxo^, viene anzi introdotto, come di sfuggita, soltanto
alia fine della riflessione (41 C 6 ).
51 xa X^yó^e-va, 40 C 7, E 6 .
52 Símilmente, nella prima possibilitá, 40 E 2.
316 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDQNE»
fase precedente» (Platon , III, p. 31). Anche se VApologia fosse stata scritta con
notevole anticipo (sui m otivi e sulla letteratura relativa ad una datazione relativa
mente piü tarda riferisce H. Thesleff, Studies in Platonic Chronology, Helsinki
1982, p. 113), le differenze osservabili non fornirebbero, comunque, nessun moti
vo per introdurre una «fa s e » precedente; e, in ogni caso, il progetto deU’ intera «d i-
fesa» in tre partí avrebbe dovuto esser concepito nella «fase precedente». — Anche
Guthrie, A H istory..., I ll, pp. 481-3, discute la possibilitä di leggere il Fedone co
me il proseguimento de\V Apologia, pero soltanto ponendosi la domanda, fuori po
sto, se la dottrina delFanima del Socrate storico possa essere ricavata dal Fedone.
Inoltre, le osservazioni di Guthrie poggiano su una considerazione insufficiente del
testo, a proposito della qual cosa si veda sotto, Appendice IV, nota 3. N on si puo
fare a meno di parlare di un passo indietro rispetto a Friedländer.
57 Guthrie, A H istory..., IV , pp. 90/91: «N e lle circostanze di un processo sarebbe
fuori luogo, per Socrate, il tentare una difesa filosófica di questi punti». « L a veritä
intera, come Socrate la vedeva, é rivelatanel Gorgia ».
58 H. Erbse, Zur Entstehungszeit von Platons A pologie des Sokrates, in: «R h ein i
sches M useum», 118 (1975), pp. 22-47, citazioni pp. 29 e 34. — Erbse si ricollega ai
risultati di E. W o lff, Platos Apologie, Berlin 1929, e di Meyer, Platons Apologie,
cit., i quali avevano rilevato il carattere platonico che permea VA pologia, e W o lff
senza soilevare ancora dubbi sulla datazione in epoca giovanile (subito dopo il 399).
59 Cosi la fiducia apparentemente minore nella morte in confronto al Fedone o il
richiamo alPincarico divino (A pologia , 29 C ss.), invece di una fondazione del suo
m odo di agiré basata solo sulla ragione (come in Gorgia, 521 A ss.). — Erbse, Zur
Entstehungszeit ..., pp. 24 e 30.
318 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
62 46 C ss.; 49 A ss.
63 II rovesciamento ironico conferma la nostra interpretazione del modello dram-
matico del pezzo come «perdita e recupero della soliditá di C rito n e ».
320 «A P O L O G IA » - «CRITO N E» - «FEDONE»
pá, che significa tanto praesidium che custodia cfr, Friedlánder, Platón, III, p.
436, n o ta 7.
67 Cfr. 99 B 1: T7¡ xou (SeX-cíaTOu aípáa£i. Questa richiesta va, naturalmente, consi-
derata alia luce della m otivazione che l ’ ipotesi inizialmente «píú forte » riceve da
quella posta al livello immediatamente superiore (100 A/101 D ), il che, in ultima
analisi, fa entrare nel campo visivo l ’ Idea del Bene.
68 A proposito dell’inizio di questa apología cfr. sopra, pp. 315 s.
69 Fedone, 69 D 7 - E 5: xaS-c’ ouv ¿ya>, ¿97], <£> St[a.[i.ía ts xaí Ké¡3r]<;, á 7ioAoyou-
¡j.ai, £Íxótco<; te. a 7:oXBÍ7rcov xod &v6áSt Ss-arcó-tas ou x<xX£7t<iós cpépco
oüS’ á'yavaxxoj, r)yoú¡i&vos xáxel ouSev fjxTOv r¡ ¿v0áSe SeaTiótaií; zt áyaGoT; iv t&ú-
£&a0ou xat im ípot?- xovc Si 7toXXcK£ aiuaxíav %ap¿x^' ti ou v ujjlTv TriGavíó-rspói; el -
¡ju ¿v tt¡ a 7ioXoyía r¡ toT? ’ ABtjvocúúv ocxaaxaic, eO av ¿x0L
322 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
70 84 C 5-7: xí; ecprj, ò[ilv xà Xzyfiívia fxcüv ¡jlt] SoxeI ivSecõç XéyeaGai.; TtoXXàç yàp
8 r) ixi ÚTtocJnaç xaí àvxiXaPáç, z íy t Br; xtç auxà ^.£XXet ixavõjç Sieíjiivoa.
71 84 D ss. Sul significato di questo aspetto cfr. sopra, pp. 304 ss.
72 85 D 9; cfr. C l .
73 85 E 2 e 86 E 1 ; xí au o 8 e ¿yxaXeí xco Xóytp.
74 86 E 4: ¿7i£pSix£Ív xoC Xóyou.
75 Cfr. sopra, pp. 313 s.
76 Cfr. sopra, pp. 304 s., e nota 24.
77 88 D 9 - 89 A 7. II significato dei nuovo inízio risulta chiaro (oltre che grazie al
ia richiesta di Simmia di un rcavxí xpórao IXíyyjzw, 85 C 5) in particolare dalla for
mulazione di Echecrate: xat uávu oéojxat TiáXiv ¿jcmsp IÇ àpx^Ç aXXou xlvòç Xóyou,
88 D 6-7. La risposta alPeXeyxoç deve essere un àXXoç Xóyo!;, e non un rimanere a
quanto si è detto fino a questo momento. Cfr. sopra, pp. 129 ss., a proposito di
Leggi, 891 D s.
324 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
78 Cebete, 107 A 2-3: ouxouv eycoye. 1'x.co Ttapa xaOxa oiXXo xi Xly e tv ouSe 7t 7] am -
axe.Iv xol^ Xoyot?. Simmia, 107 A 8-9: ¿XXa \ir\\> ou8 ’ amoq i'xto exi otiiq <X7tioxto ex
ye xwv Xe.yo[jL£voi)v. — E noto che l’ ultima «p r o v a », vista oggettivamente, e tutt’ al-
tro che non problematica: il passaggio da a- 0avaxo^ «n on -m o rto » (cioe non coesi-
stente con la «m o rte »), a ocOavaxoi; «perpetuo, im m ortale» (105 E -106 B), in realta
presuppone quelio che si vuol dimostrare. Pero, questo non cambia la sostanza del
fatto che nella rappresentazione che ci offre Platone il «so cco rso» di Socrate al suo
logos raggiunge senza problemi il suo scopo. — Gia Zeller, D ie Philos, d. Grie-
chen...., II, 1, 19225, p .826 nota, aveva osservato che Platone ritiene l ’ultima pro
va «perfettamente sufficiente e inconfutabile». Benche a Zeller non fosse nota la
struttura della [BorjBELa, le sue analisi della struttura del Fedone e le sue osservazioni
sulla portata volutamente divers a degli argomenti (ibi, pp. 824-826 nota) colgono
in pieno nel segno.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 325
manda sulla causa della natura delle cose, migliore di quella da
ta dai filo so fi della natura: le cose belle, ad esempio, sono belle
in quanto partecipano del Bello in sé (100 C3 ss.); in generale, le
cose diventano ció che diventano per mezzo della loro partecipa-
zione alia corrispettiva essenza (oüaía) (101 C 2-4). La spiegazio-
ne del mondo mediante il suo riferimento alie Idee conferisce al
ie sue risposte una nuova sicurezza e inattaccabilitá (100 D-E).
Un attacco contro tali risposte dovrebbe iniziare dall’ ipotesi
stessa. Se questa viene posta in primo piano, i possibili atteggia-
menti sono due: nel primo caso, si lascia il proprio interlocutore
da parte senza risposta fino a che non si sia provata la possibilitá
di mostrare la conciliabilitá che hanno fra loro le conseguenze
derivate dall’ ip otesi82; ma se ci si deve davvero rendere ragione
delPipotesi stessa, allora occorrerá attingere ad un’ altra ipotesi,
piü precisamente a quella fra le ipotesi «su periori» che sembra
essere la migliore. Questo procedimento va continuato, finché si
giunge a «qualcosa di su fficien te»83. Va evitata la confusione di
argomenti riguardanti il punto di partenza ( a p ^ ) con quelli che
riguardano ció che deriva da esso. Cebete vorrá, d ’ altra parte,
seguire questo m odo di procedere, se é un « filo s o fo » (cptXóao-
901; ) 84.
É questa la spiegazione a cui fa seguito, nel dialogo narrato, la
contemporánea approvazione di Simmia e di Cebete e, nel dialo-
go-cornice, direttamente rappresentato, 1’ enfático plauso di
Echecrate. II primo intervento di Echecrate nel racconto di Fe-
done riguardava la domanda sulla capacita da parte di Socrate
di portare soccorso al proprio logos; il secondo intervento segna
la svolta su cui poggia principalmente il successo del «soccor
so». II segnale per il lettore é chiaro: si richiede non tanto il suo
consenso per questo o per quel «risu ltato», bensi sul procedi
mento che consentirá un superamento del livello di motivazione
raggiunto nel dialogo sino a quel punto. Questo procedimento
viene chiamato, con insistenza, il procedimento del « filo s o fo »
82 101 D 3-5: £t M -cu; aúxrís xrj<; ÓTtoOáaecos í j o l i o , ^otíps-iv ¿cí)r¡s av xai oux «Tioxpt-
vai.0 av xa áit’ ixzívr\(¡ óp¡x7)9évxa axécjmo eí coi áXXriXok; au^ 90úV£Í r) Siacpojvsl.
83 101 D 5 - E 1: e7ü£tSr¡ Se ix.dvr\<; auxr\<; Seoi <xe StSóvai Xóyov, ¿óaaúxo*; av St-
SoÍY];, áXXrjv aü ú-jróGeaiv ÚTtoOép.Evoc r¡xi£ xojv avwQev p£.Xx(axr] cpaívono, eco? ¿til xt
íxavóv &X8oi?.
84 101 E 1 - 102 A 1 ; 101 E 6 s.: aü S’ , tÍTitp et xa>v cpiXoaócpwv, oi^cat av ¿ycib
Xiyco tcoloTi
L A DIFESA A TRE LIVELLI 327
190 s.; Loriaux, L e P M d o n II, pp. 106-108), e pero solo un problema apparen-
te: neila presentazione del proprio pensiero, il dialettico non ha bisogno di andare
oltre quel tanto che basta a soddisfare la sete di conoscenza dell’ interlocutore che
egli si trova di volta in volta di fronte; la sua capacita di «soccorso» in ogni elen-
c h o s poggia percio sul fatto che egli non si e fermato prima di aver raggiunto qual-
cosa che lo soddisfacesse personalmente, e questo pud essere solo un principio ulti
mo, non ipotetico.
92 Secondo Hackforth, P la to ’s Phaedo..., p. 166, Platone «o scilla » a proposito
della questione della raggiungibilita del fine ultimo della conoscenza: « la prima
parte del dialogo sembra suggerire che esso non pud [essere raggiunto], il passo in
questione (107 A B) e la Repubblica sembrano, invece, suggerire che cio e possibi
le »; M a fra I’inizto e la fine di un dialogo non esiste, naturalmente, un’ «oscillazio-
n e», ma un m oto in avanti; e alia fine si trova proprio la certezza.
93 Simmia la accetta 65 D; 74 B; 92 D E e in particolare 77 A , con sorprendente en-
tusiasmo; Cebete lo fa in m odo un p o ’ piu moderato, 100 C. Le Idee sono, per gli
ascoltatori, TroXu'OpuXrjxoc, 100 B 5. E del tutto fuorviante I’ ipotesi di Hackforth,
Pla to's Phaedo..., p. i42, per cui l ’espressione si spiegherebbe «unicam ente» con
la menzione delle Idee in passi precedenti del dialogo. Una volta e detto ei Iotvv a
QpuXoupiev a d gia in 76 D 6-7, ove le brevi menzioni precedenti dell’ esistenza delle
Idee (65 D ; 74 A B) non potrebbero certo giustificare la drastica espressione 0po-
Xe.lv; inoltre, Socrate rimanda espressamente ad occasioni precedenti (aei xe aXXo-
te, 100 B 1-2). Anche la spiegazione di W . Wieland, secondo il quale con OpuXoujxe-
vov sarebbe costituita semplicemente «la continuity con i dialoghi precedenti e con
la loro probiematica volta alia definizione» ( Platon und die Formen des Wissens,
Gottingen 1982, p. 134; cfr. p. 156) risulta insufficiente. Quello che il Fedone pre-
suppone sin dall’ inizio e, piuttosto, una comunicazione esplicita dell’esistenza delle
Idee intese come entita indipendenti da tutte le cose sensibili (ouaSiycd), ed e pro
prio questo che manca notoriamente nei dialoghi definitori. — Anche Guthrie, A
History ..., IV , p. 340, nota 2, ha cercato di minimizzare il fatto che l ’ assunzione
330 ¡APOLOGIA» - «C R ITO N E» - «FEDONE:
delle idee in 65 D; 67 E ecc., venga accettata come una teoría particolare, e assoluía-
mente non evidente: chiunque avrebbe ammesso che «esiste» qualcosa che si chiama
giustizia. M a Socrate pretende decisamente di piú: il riconoscimento di un «b ello in
sé» che si sottrae per principio alia percezione — e questo non 1’ avrebbe ammesso
nessuno al di fuori dell’Accademia; cfr, J.L. Ackrill, Anamnesis in thePhaedo: Re
marks on 73 C - 75 C, in: A A .V V ., Exegesis und Argum ent, Festschrift G. Vlastos,
Assen 1973, p. 191: «la te o ria delle form e (é) accettabile per Socrate e per i suoi allie-
vi, manon, chiaramente, p e rl’ uomo della strada».
94 C fr. Gallop, P la to ’s Phaedo ..., p. 97: la teoria delle Idee «n on é difesa in nessun
passo», tuttavia «g li argomenti a favore dell’immortaiita devono necessariamente
restare inconcludenti senza una difesa della teoria delle fo r m e ».
95 D opo una azzeccatissima osservazione a proposito d elP«affinam ento» (cioé del
movimento verso Palto e della gradualitá) delle prove dell’immortalita, Friedländer,
P la to n , III, p. 51, prosegue: « É m otivo di stupore o fá parte della natura del logos
umano il fatto che questo affinamento non raggiunga la pura perfezione?». A nes
suno é impedito rassegnarsi, come Sirmnia, di fronte alla«debolezza umana» (107 B
1) — ma, come interpret!, dovremmo prima stabilire ancora che l ’ imperfezione deile
prove, che Platone ha chiaramente rilevato, non é in ogni caso, per come Platone ve
de la cosa, né un «m otivo di sorpresa», né la conseguenza della «natura del Logos
um ano» in generale, bensi é in primo luogo e innanzitutto un postulate del rapporto
filosofico con il logos scritto.
96 Cfr. sopra, pp. 305 ss.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 331
97 Questa gradazione non significa che Socrate abbia negato nç\YA p o log ia la mera
ricerca della verità, o che egli, nel Fedone, abbia rinunciato completamente ai mez-
zi non argomentativi per esercitare un influsso sugli altri (basti pensare al mito).
Tuttavia la distribuzione dei peso degli elementi non argomentativi è diversa. In
questo senso il C ritone, nonostante la prosopopea delle Leggi, è piú vicino al Fedo
ne di quanto non risulti essere VA pologia , come mostra il richiamo alPobbedienza
di fronte al logos piú forte (invece delPobbedienza a D io) (46 B).
332 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
105 Per l'interpretazione di questa svolta dell’ azione cfr. anche Appendice IV, pp.
491 s.
106 Critone, 48 E 1.
107 C riton e, 54 D 2-7; in particolare D 6 : iàv Xéyrjç rcapà xaöxa, ¡j.á"T]v ipzíç.
108 Cfr. sopra, pp. 308 s., 310ss.
XVII. «Simposio»
Chi è r amante e chi è 1’amato?
outoç TtatStxà ¡jiãXXov
auxòç xaOtcjxatai àvx’ ¿paa-coü
222 B 3-4.
9 195 A 5-7. Descrizione della bellezza del dio 195 A 7 -196 B 3, della sua virtü 196
B 4 -197 B 9.
10 Ritrattazione della bellezza di Eros 201 B 11, delia sua virtü (come possesso de
gli àyaôá) 201 c 6 .
11 199 B 3: TiEpi "Eponoç xakr\§f\. Cfr. 198 D 3: ¿Sfxev Setv xáXr¡Qf¡ Xéyetv (Socrate
si sentiva in grado di compiere questo fin dall’inizio), inoltre 199 A 1-2: solo a chi
non sa Eros appare come « i l piü b e llo » e « il m igliore», o¿ yap 8r¡7iou touç ye eíáó-
atv; c o sí puó parlare solo 1’ s.l8 có<;.
12 199 D 5-6: tínzç av'Sf¡7uou piot, ti ¿(3oúXou xaXtòç <x7uoxpivaa6ai, o n ... La sotto-
lineatura della «giu stezza» di una risposta nelFambito dell’ esempio induttivo non
lascia scelta ad Agatone per la sua risposta. Analogamente 200 D 6 .
13 200 A 1: çúXa^ov rcapà cau-ctõ.
14 200 B 4: xaXü>ç 201 A 8 : xat £7rL£txâjç ye Xé^eiç. A Socrate non è suffi-
ciente l ’ accordo espresso da «probabilm ente», 200 A 7; quello che egli dice a pro
posito di Eros è necessariamente corrispondente alia realtà delle cose.
338 «SIMPOSIO»
15 200 B 1: £[j.oí ¡iiv yáp 0au|i.aaT¿úc; BoxeI (cioé: che chi desidera, desidera ció che
non possiede).
16 201 C 8-9. L ’ ambiguitá di questa asserzione — che puó essere letta come la dis-
sociazione della figura di Socrate dalla veritá, pero anche come una form a piü sot-
tile di fusione di entrambe — é idéntica a quella di Fedone, 91 C.
17 201 E 3-7: o%thov yáp t i xa i iyco 7tpós auxrjv tzzpct Toiaika eXeyov olántp vuv
rcpóc; £[ii ’AyáQtov, a>¡; et'r] ó ’ Epcos jx£ya<; 0eó?, elrj Se xüv xa\£>v TÍXeyxE- $r| [ae
toútolí; Xóyou; otcntep ¿yco toutov, coi; oute. xocXót; zir\ xatá tov e.pt.óv Xóyov ouxe
áya9Ó£.
CHI É L ’AM ANTE E CHI É L ’AMATO? 339
18 Socrate definisce <pot-cav (206 B 6) il suo rapporto con Diotima. Socrate e Dioti-
ma hanno «spesso» discusso sul fine di Eros ( 7ioXXáx(.¡; tb¡xoXoy7Íxa|j.£,v, 207 c 9),
cosa che in 201 E s. appare riassunta in un evento verificatosi una sola volta. In 207
A 5-6, l ’imperfetto e Pottativo iterativo denotano i colloqui protrattisi con regola-
rita, dai quali, in seguíto, verrá richiamata un’ occasione particolare: xaCxá xe oúv
mxvxa l§íSaax£ [ae, qtióxz 7tepl xá>v éparaxcov Xóyou<; 7totouo, xaí tcote r¡pzxo* T í
otei, w £á>xpv.xec, ...
19 I due discorsi di Ippia non sono concepiti come inizio e proseguimento. Nel C ri-
tone, Socrate si rifa a precedenti om ologie (cfr., in proposito, sopra, pp. 318 ss.)
senza che si parli, in questo caso, di un SioácrxE.iv regolare. Tim eo e Crizja erano
stati concepiti come parti di una tetralogía con quattro relatori su quattro temi di
versi. Anche in Teeteto - Sofista - P o lític o (- F ilo s o fo ) mutano le domande, chi do-
manda e chi risponde. Tuttavia questa serie di dialoghi é quella che si avvicina di
piü ali’insegnamento filosofico della sezione di Diotima.
20 Nonostante la confutazione della sua risposta, completamente sbagliata (201 E
6), Socrate chiede ancora senza perdersi d’ animo: egli vuol sapere se, allora, Eros é
brutto e cattivo, dal momento che non é né buono né bello (201 E 8 ); se Eros é m or
íale, dal momento che Diotima non lo ritiene un dio (202 D 8); quale sia la funzione
di un demone (202 E 2); da dove provenga Eros (203 A 9); chi, allora, filosofi, se
non lo fanno né i sapienti né gli irragionevoli (204 A 8); e, infine, chiede un chiari-
mento sulla natura di Eros, e su quale sia, dunque, la sua utilitá per gli uomini (204
C 7-8).
21 Le risposte alie domande elencate alia nota 20 non sono mai introdotte «maieu-
ticamente». Diotim a stabilisce partendo da se stessa di che caso si tratti, ad esem-
pio che il Bene é l ’unico scopo della tensione e del desiderio umani (205 E s .): que
sta é la sua concezione (ó Xóyoi;), che viene enunciata per correggere opinioni
altrui. La superioritá di Diotima si aw erte fin dall’inizio: essa ride per una risposta
di Socrate e dichiara essere facile quello che per lui é incomprensibile (202 B 10, C
6). C fr. anche sotto, nota 23. N otificazioni come ¿yw gol, ecpirj, ¿pw e eyeó, fj 8 ’ r],
aacpéoTspov ¿peo (206 B 7, C 1) allontanano l ’ idea che Diotima possa addivenire, per
mancanza di conoscenze proprie, ad una ricerca comune (come fa Socrate, ad
esempio, in Gorgia, 506 A 3-4).
340 «SIMPOSIO»
22 206 B 5-6: ou ¡jievxav ai, i'cprjv eycó, <£> Atóxica, ¿GctújjLot^ov ¿til aocpta xcá icpoixwv
uapà aè aùxà xaûxa [j.a0ritjó[x£voç. 207 C 5-6: àXXà SLà xaûxoc x o i , <ï> Aioxi[j.a, Oîtep
vuvSt) SÍ7IOV, mxpà cri 7]xto, yvoùç oxi BiSaaxâXtov Séo^at. 201 D 5: r¡ 8t¡ xat ¿¡aè xà
èpcoxtxà èBtSaÇev, 207 A 5 s. (testo alla nota 18).
23 209 E 5 - 210 A 2: Taûxa [Jtèv o£>v xà èpcoxixà íotoç, ¿o Hcôxpax£ç, xav aù ¡j.u-
7] 9&ît]ç- xà Sè xéXe.a xat èîroTtxtxà, ¿ v evexk xat xaûxa eaxtv, iáv xiç ópQcõç [A£x£t],
oùx ol8 ’ st oíóç x’ av êÎVjç. L a m etafora dei misteri domina in tutto il passo seguen-
te: c’ è una persona che introduce gli iniziandi (ó rpfoújxevoç), 210 A 7; guida e pro
gresso autonomo Tuna accanto all’altro, 211 C 1 : luí xà spomxà tévai r¡ útc’ aXXoç
àyeoQat. L o scopo è un «guardare» che rende beato colui che guarda (211 D ), l ’ og-
getto della visione è presentato con evidente analogia all’improvvisa comparsa del
la luce nei misteri eleusini. — Chr. Riedweg nella trattazione Mysterienterm inolo-
gie bei Pla tón und P h ilo n yon Alexandria (Berlin 1987), ha esaminato le analogie,
precise fin nei dettagli, fra la realtá dei misteri eleusini e la lingua mistérica di
Platone.
CHI É L ’AM ANTE E C H IÉ L ’AMATO? 341
( G orgia, 497 C 3-4; cfr. sopra, pp. 273 s.), ci sia concesso di parlare anche in questo
caso di «p ic c o li» e di «grandi misteri». — Riedweg ha riconosciuto la tripartizione
dell’intera struttura, e nel suo lavoro si trovano anche le prove della struttura corri-
spondente delle iniziazioni eleusine. 11 livello successivo alia purificazione, i «p icco
li m isteri», conteneva la trasmissione didattica (mxpáôoaLç) dei logos sacro apparte-
nente al culto; ad esso Riedweg, Mysterienterminologie bei Pla ton ..., pp. 15 ss.,
ha paragonato, in m odo calzante, 1’insegnamento mitico sulla genealogia di Eros,
203 B ss.
26 Cfr. sopra, pp. 336-339.
21 Questo, comunque, è anche un livello introduttivo di cui non si può fare a me-
no; tuttavia, viene propriamente sottolineato che quello che verrà dopo è costruito
sulla base della prima parte; 201 D 6 : ... Tteipáao^icu 6[xTv SieXÔE-ív ¿x xÔ>v có|i.oXo-
yrjjxévcov i\iol xai ’ AyáOíovi.
28 N on si deve fraintendere: il dialogo con Diotima, fortemente ironizzato, non
vuole affatto dare una rappresentazione realística di come si svolgessero le lezioni
nelTAccademia. Gli aspetti elencati sopra, pp. 338 ss., mostrano comunque ad
abundantiam che siamo di fronte, qui, a qualcosa di nuovo (nuovo solo per quanto
riguarda i dialoghi, e non certo per Platone stesso).
CHI È L ’AM ANTE E CHI È L ’ AMATO? 343
29 215 C 5: xaí 8r]Xot xouç xcõv ôecov xe xaí Seofievouç (detto di Marsia, cui
Socrate si paragona).
30 201 D 1: xai crè fiiv ye. Y]ãr] iacroa.
31 195 A , approvato da Socrate in 199 C; 201 D E.
32 201 C 6-7.
33 Krämer, A re te ..., pp. 439 ss., e H. Happ, Hyle. Studien zum aristotelischen
M aterie-B egriff, Berlin 1971, pp. 199 ss., hanno sottolineato con ragione che il mi
to deH’ origine di Eros da Poros e Penia si può comprendere solo se si parte dalla
teoria platônica dei Principi.
344 «SIMPOSIO»
34 175 E 7-9: xaí "rauta |J¿v xaí óXíyov uax£pov SiaStxaaó^eQa éycó xe xaí au rcepí
xvjs aoipíoc?, Sixacrcfí xpcifievoi tcú Alovúcto). A proposito del termine giurídico oia-
SixáCeaGou cfr. R .G . Bury, The Symposium o f Pla to, Cambridge 1909, p. 14.
CHI È L ’AM ANTE E CHI È L ’AMATO? 345
delía persona di Socrate. Gli sfugge la visione dei m otivi che so-
no piü che individuali del comportamento di Socrate e del carat-
tere esemplare dell’ esistenza socratica.
N on che Alcibiade sia, per principio, inadatto alie cose della fi
losofía. Egli si classifica come un’anima non priva di doti (<[>u)(7]
¡jtTj depura, 218 A 6 ), il che non é mera vanitá: il fatto che Socrate
si sia occupato a lungo di lui testimonia che Alcibiade si vede
nella giusta luce. M a perché Panima non priva di doti (^ux^l [¿í]
¿ 9 0 7 )1; ) non é diventata anima adatta 'rcpoafjxouaoc) che ser
ve al dialettico per seminarvi lo g o i vivi e duraturi? L o dice lo
stesso Alcibiade: é troppo debole per fare ció che Socrate pre
tende da lui; é troppo forte in lui la tentazione di godere di pre
stigio e rispetto presso le f o lie 39, cosa inconciliabile con un’ esi-
stenza filosófica. Le ambizioni di onori (cpiXoxi(jt.íoc) in Alcibiade
sconfiggono la filosofía (cptAoaocpta). Egli é sufficientemente f i
losofo per riconoscere di non condurre una vita degna di essere
vissuta (216 A 1). II risultato del conflitto fra coscienza e incapa
cita é la fuga dalla filosofía, o, il che é uguale, da Socrate: « lo
tradisco come schiavo che se ne scappa e fu g g o » (SpaTrexsúco oóv
aÚTÓv xat 9 &uyco, 216 B 5).
Í1 fraintendimento di Alcibiade del corteggiamento «e r o tic o » di
Socrate fa parte della preistoria di questa condizione lontana da
D io di fuga dalla filosofía. Secondo 1’ etica greca tradizionale
della pederastia, Alcibiade voleva concedere la soddisfazione
erótica a\Vamante trovato degno in cambio dell’ educazione al-
Y areté40.
Egli interpreta il rifiuto di questa pretesa come esempio glorioso
della capacita di Socrate di controllarsi41. Si potrebbero dire le
stesse cose anche dal punto di vista dell’ etica platónica, ma nella
valutazione che Alcibiade da dell’ episodio manca ogni com-
prensione per ció che questa temperanza (a<o9 poaúv7]) ha di spe-
cificamente filosofico. Alcibiade, da un lato, si é sentito disono-
39 216 B 3-5: auvotSa yap ¿}i.aux<£ avxiXiyetv [xev ou Suvaptivq) to? ou Sel 7:oittv a
06x0 ? xeXe.us.1, ¿TreiSav Si arceXBco, yixxrj|iiva> xfj? x i u t c o xwv ttoXX&v. — Nella
descrizione dei pericoli per una natura filosofica, nella Repubblica, 494 C, Platone
puo aver pensato ad Alcibiade.
40 218 C 7 - D 5. Alcibiade vuole oxl ¡3£Xxtcxoi y£.vEa0ca, Socrate e ripair\c, a£io<;
[j.ovo<;, e non fare la sua volonta sarebbe un errore. Questo corrisponde pienamente
alPopinione della pederastia che presenta Pausania, cfr. in particolare 183 D ss.
41 216 D 7: otocppoauvY], 219 D 5-7: oo^poauvTj xal avSpeia, <ppov7]ai? xai xapxepta.
348 «SIM POSIO»
rato dal fallimento della sua bellezza presso Socrate; dall’ altro,
non abbandona l ’ idea di conquistare Socrate, anche se non sa
piü c o m e 42. N on avrebbe potuto reagire cosi, se avesse davvero
capito le parole in occasione del rifiuto da parte di Socrate della
sua offerta (parole che ha sempre tenuto a mente). Socrate, in-
fatti, parla della capacita di educare al meglio, che Alcibiade so
stiene di aver scoperto in lui, come di una form a di «b e lle zza » di
gran lunga superiore alia bellezza corporea di Alcibiade. Se dun-
que Alcibiade volesse scambiare solo bellezza con bellezza egli
avrebbe in mente uno scambio rholto egoístico; egli dovrebbe,
pero, vedere se Socrate possiede davvero quella bellezza supe
riore; ma la forza visiva che é richiesta alio spirito per vederla
inizia solo in un’ etá dalla quale Alcibiade é ancora lontano (218
D 7 - 219 A 4).
Per il lettore della parte di Diotim a é quasi incomprensibile co
me, dopo questo chiaro rifiuto, Alcibiade possa scivolare sotto
il mantello di Socrate e abbracciarlo (219 B 3 - C 2), nella spe-
ranza che egli voglia ancora corrispondergli il bramato amore
pederasta. M a proprio qui é il problema: Alcibiade non ha senti-
to il discorso di Diotima, né ora né prima, e il rifiuto é «ch ia ro »
evidentemente solo per chi conosce quel discorso. Platone ci
propone mediante Vazione il fatto che Paccenno del filosofo,
che puó essere perfettamente chiaro all’iniziato, resta incom
prensibile anche ad un’ «anim a non priva di d o ti» come quella di
Alcibiade, finché manca la comunicazione esplicita dello sfondo
filosofico. Socrate confronta fra loro due form e di «b ellezza », e
ad una di loro da senz’ altro la preferenza; nessun lettore assen-
nato del Sim posio ha contestato il fatto che il punto di riferi^-
mento concreto di questo confronto sia la ripartizione in cinque
gradi del bello (xáXXo?) nel discorso di Diotima, 210 A ss.43. La
bellezza di Alcibiade é la bellezza del grado piü basso, la bellez
za dei corpi (to ercí iv l awfj.a'u xáXXo^). L a «b e lle zza » dell’era-
stes attivo nell’ educazione sarebbe quella del terzo grado, la bel-
lezza che sta nelle attività umane e nelle leggi (to iv xolç ¿m-
T7i§£u^aat.v xaî toTç vopioiç xaXov), Alcibiade porta con sé l’ idea
ingenua tradizionale che le due form e si possano, per cosi dire,
scambiare fra loro. Questo sarebbe ragionevole, se esse fossero
quasi dello stesso valore. Perciô Socrate deve indicare al bell’ e-
romenos il potente dislivello di valore. Alcibiade non è nemme-
no passato al secondo grado di comprensione che, considerando
il bello del corporeo in generale, ritiene di poco valore i singoli
corpi (210 A 8 - B 6 ), altrimenti non potrebbe credere di poter
impressionare Socrate con la sua beilezza personale. Se Alcibia
de avesse veramente compreso il disprezzo délia beilezza corpo-
rea, allora non avrebbe inteso corne un disonore personale il ri-
fiuto dell’ amore pederasta oppostogli da Socrate, né ci avrebbe
più pensato; si sarebbe, anzi, dedicato a cio che Socrate ancora
gli nega: allô sviluppo délia forza visiva dello spirito. M a dal
momento che il cenno protrettico non viene colto, anche la de-
scrizione dell’intera gradazione del bello dal singolo corpo all’ I-
dea del bello non viene fatta. Alcibiade non è maturo per un ul-
teriore avanzamento filosofico. N on Io è mai stato44.
Quello che ha evidenziato la struttura drammaturgica del dialo-
go viene confermato anche dal contenuto: Alcibiade, giunto
troppo tardi, rappresenta il non-iniziato ai «m isteri» di Eros.
Nessuna meraviglia, quindi, che Alcibiade non si sia ancora ac-
corto del significato principale del netto vantaggio del sapere di
Socrate. Il tratto fondamentale dell’ immagine del dialettico
manca, in certo quai m odo, ironicamente: proprio perché A lc i
biade si trova in una posizione che sta m olto all’ indietro, non gli
è possibile vedere il vantaggio di Socrate45. Per gli altri convitati
che hanno ascoltato il pensiero di Socrate più ricco sull’ Eros e
44 L o stesso risultato si puó ricavare dalio stesso passo anche in un altro modo. Se,
per una volta, noi osserviamo il rifiuto di Socrate non secondo la metafora platóni
ca dell’ascesa, bensi, facendo un tentativo, secondo Pottica delle concezioni dei va-
lori del circolo dei partecipanti om ofili, che Platone, nel presente dialogo — con
trariamente a Fedro, 251 A 1 — non critica mai apertamente, nell’ interesse del
mantenimento dell’ atmosfera del simposio. Secondo queste idee di valore, pero, il
compimento della pederastía é lo scopo «p r o p r io » cui mira l ’intero rapporto comu
nicativo erotico. Se Socrate, in una situazione chiaramente erótica, lascia Alcibiade
indisturbato, allora egli gli ha negato esattamente il «proprium ». L a metafora eró
tica platónica esprime, per la mentalitá ateniese, proprio quello a cui ha condotto
l ’ analisi della comunicazione filosófica.
45 A proposito di un riflesso indiretto del vantaggio di conoscenze nella relazione
di Alcibiade cfr. sotto, p. 351.
350 «SIMPOSIO»
Anche per Alcibiade, dei resto, Socrate non è solo hybris nell’ a-
more e lo g o i da «a p rire ». Durante la campagna di Potidea si era
potuto vedere, cosi racconta (220 C -D ), come Socrate avesse
trascorso un’ intera giornata e un’ intera nottata fino ali’ alba re
stando in piedi fermo alio stesso posto, riflettendo su un proble
ma. L o strano episodio, confrontato col carattere socievole dei
dialoghi nel simposio appare un p o ’ strano, fuori luogo. Tutta-
via Platone ha istituito un rapporto fra 1’ episodio un tempo os-
servato e il discorso centrale qui raccontato: con precisa inten-
zione, poco prima della fine dei dialogo, egli richiama il solita
rio riflettere dei filo so fo con cui è iniziata P a zio n e 50. A l l ’ inizio,
il narratore aveva dato un’ ulteriore inform azione che è tutt’al-
tro che supérflua: il riflettere in solitudine non è un fatto curioso
che capita una sola volta, come sembra ad Alcibiade, bensi è
una abitudine dei filo s o fo 51.
Accanto al ripetuto dialogo istruttivo, che la parte di Diotima
presuppone, cogliamo con questa «abitu din e» un secondo tipo
di attività dei filo so fo , che si differenzia notevolmente dai con-
sueti dialoghi occasionali su calzolai e conciatori. Sul rapporto
intimo tra queste due form e di ricerca delia verità il testo non di
ce nulla di esplicito. Tuttavia, la posizione e la funzione delle
parti rilevanti nel complesso del dialogo autorizzano la seguente
riflessione.
rivolge anche una preghiera alia Dea (327 B 1). M a con questo,
per lui, lo spettacolo é concluso: egli torna « a casa» (327 B 2).
Se prima é disceso, ora il filo so fo — anche se non é di nuovo
sottolineato — sta per « salire» nel suo proprio ámbito. Rispetto
al gruppo di Polemarco, che cerca di contattarlo, Socrate ha un
vantaggio notevole: egli viene scorto «d a lon tan o» (7rópp<o0E,v,
327 B 2). Per lasciarli avvicinare Socrate deve aspettare (327 B
7). L a decisione di aspettare viene pero da Glaucone, non da lui.
Polem arco dice, scherzando, che il gruppo potrebbe catturare
con la forza Socrate e costringerlo a restare. Socrate, tuttavia,
evita lo scherzo e ricorda la possibilitá che egli sappia pacifica
mente convincere gli altri a lasciarlo andaré l . Polemarco ribatte
che non ci si lascerebbe proprio coinvolgere in qualcosa di simi-
le. La soluzione del conflitto, rappresentato umoristicamente,
non si attua certo mediante la violenza, ma per il fatto che So
crate, invece di convincere gli altri, viene lui stesso convinto a
restare: ci sará ancora una corsa con le fiaccole, una festa popo-
lare fino a notte inoltrata e, soprattutto, discorsi con giovani.
Questo tentativo di convincere é introdotto da Adimanto (328 A
1), solo in seguito é continuato da Polem arco (328 A 6 - B 1), e,
alia fine, é portato ad una felice eonclusione da un secondo in-
tervento di Glaucone (328 B 2).
Fino a questo punto, per ció, F «a z io n e » si presenta come segue:
il filosofo viene fermato mentre sta risalendo «verso casa»; al-
Tintervento, troppo brusco, di Polem arco — che, in quanto me*
teco, é residente al Pireo — egli contrappone la sua liberta. La
mediazione avviene per mezzo di Glaucone e di Adim anto, i fra-
telli di Platone, che, in quanto Ateniesi, sono piü vicini all’ ám-
bito di Socrate, ma dei quali uno, Adim anto, si é unito al grup
po che gravita attorno a Polemarco.
É sempre stato notato che questo inizio é, in qualche modo, si
gnificativo 2. Forse la seguente riflessione puó aiutare a mostra
re quale significato esso abbia e di che portata sia.
Se pensiamo di scambiare i ruoli, risulterebbe, allora, che il me-
teco Polem arco sta salendo verso casa; egli avrebbe un vantag-
1 327 C 10-11: Ouxoöv, f\v 8 ’ èyco, eti ev Xzíizvcou, to 7]v Ttetacojxtv úpxç XP'H
rjpiãç àcpÊÍvca;
2 In Friedländer, Platon, I, pp. 46 s., troviam o delle osservazioni di rilievo a pro
posito del testo; inoltre, egli ha indicato, in m odo adeguato, la differenza fra la fe
sta di Ben dis ed il socrático «servizio d iv in o » nel senso dt\Y A pologia .
356 « L A REPUBBLÍCA»
3 Wieland, loc. cit, (cfr. sopra, p. 329, nota 93), p. 72, interpreta il nostro passo
nel senso di una «disp on ibilitä» indifferenziata «d eg li interlocutori», cioe senza
che ci si renda conto della differente dipendenza dalla disponibilitä dell’ altro.
4 L ’interesse del gruppo riunito attorno a Polemarco si rivolge principaimente a
Socrate, come mostra Pinvocazione <o Ecoxpocxe?, 327 C 4, anche se, in seguito, a
m otivo di Glaucone, viene mantenuto il plurale.
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 357
5 519 E 4 - 520 A 4: (o vofjio?...) cjuvapfxoxxiov xous %oXiza<; TceiöoT xs. xat ava-fxr},
tcouüv [AexaStSovai &XXr)Xcu<; xrj<; wcpsXia? 7]V av exoccfxoi to xolvöv Buvaxot ¿baiv <bcpe-
X&tv xcd ambq &{jwcot£iv xolouxouij avSpa^ iv xr\ TCoXet, oux tva acpif] xptTceaöat otct]
L'xaaxoi; ßooXtxoa, aXX’ Iva xataxp fj™ i olvtoc; atlxoTij ¿ tcl to v cnivSea^ov xrj^ hoXcco?.
6 592 A 5-9, A 7: tv y t xfj eauxoü tcoXsi xai (xaXa, ou [iivxoi i'aox; ev yt xrj TcocxptSt.
7 Ci si rivolge direttamente a Glaucone e ad Adim anto come ai fondatori della cit-
tä e ai legislatori 379 A * l; 458 C 6 ~ 497 D 1 (cfr. 462 A 4). L ’ intero progetto di
Stato, ehe viene discusso insieme, e soprattutto una vofjioSecua (427 B 1; 502 C 5); di
qui deriva anche l ’impiego frequente di vo\±oftzxr\azLq, vo|j.o9ex7jacj0^£v e di forme
analoghe (398 B 3; 403 B 4; 409 E 5; 417 B 8 ; 463 C 9 ecc.).
s 449 b 6-9 (Polem arco ad Adim anto): ’A<prj<j0[j.£v oüv, t i 8 paao|j.ev; —
f'H x ia x a y t, ecpr) 6 ’ A S e t f A a v T o ? \xiya. rjSri Xrfcov. — K a i iy co, T i [xaXtaxa, ecp7]V,
ufxet; oux ocyitxe; — Se, rj S’ o (Per commenti ulteriori circa il m otivo del ¡jltj
acpttvat cfr. sotto, pp. 376 s., 379 s., 396 s.). — 509 C 3 (d o p o lo stupore di Glauco
ne per la fräse sulla «trascendenza» del Bene): £u yap, rjv S’ ¿'fco, aixio?, ocvay-
xa^aiv xoc ¿.[jLOt Soxouvxa rc&pt auxou Xiyetv.
358 « L A REPUBBLICA»
2. Possibili obiezioni
12 C fr. 592 A (testo sopra, nota 6). — Si é variamente sostenuto (cfr., ad esempio,
Vretska, P la tón ica ..., p. 42 e nota) che non é senza signifícalo il fatto che Socrate
sviluppi il progetto dello Stato ideale fuori da Atene. Forse questa simbologia spa-
ziale aveva anche lo scopo di indicare la partenza spirituale di Platone, ma non si
dovrebbe trascurare di notare che la casa di Polemarco viene nominata solo nei li
bro I; nei libri costruttivi II-X , essa non viene piü ricordata come luogo in cui é am-
bientata la discussione (mentre il m otivo dell’ obbligo, presente all’ inizio, viene
mantenuto e sviluppato in m odo conseguente, cfr, sotto pp. 379 ss., 391 ss.). Non
si pud, perö, concludere che, in casa di Polem arco, Socrate si trova giá «n el pro
prio stato». — Si vorrä forse cogíiere una «contraddizione» nel fatto che l ’andata
verso casa (oixctSs, 327 B 2) di Socrate é stata interpretata come un ritorno al suo
proprio ámbito (cfr. sopra, pp. 354 s.), mentre Atene (compreso il P ireo) puó, pe
ro, comunque essere la sua «C ittá natale». «A te n e », ovviamente, puó pero rappre-
sentare molte cose diverse: la Cittá che ha ucciso Socrate é l ’opposto delPimmagine
della futura Cittá della filosofía; ma, confrontata con la festa tracia di Bendis e con
il luogo in cui essa si svolge, Atene é anche il luogo del filosofare socrático. La si-
tuazione, e i riferimenti che in essa acquistano valore, sono decisivi; sarebbe inade-
guato pretendere un solido sistema di simbologia spaziale.
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 361
coloro cui bisogna parlare o tacere (Xéyeiv te xai at-yocv Tipo? oü<;
Bel) egli si rivelerebbe come il dialettico nel senso della critica del-
la scrittura. Invece che dalla costruzione insensata di una «con -
traddizione» fra la liberta di Socrate e la «costrizion e» riuscita
da parte dei fratelli di Platone, la domanda-guida nell’interpre-
tazione dovrebbe esserci fornita dal conflitto apparente di questi
motivi: f in o a che p u n to riesce a Glaucone e ad Adim anto di far
parlare Socrate e fin o a che p u n to é possibile a Socrate, pur pár-
tecipando al discorso, convincere, al tempo stesso, gli altri a «la-
sciarlo andaré» 13 (riguardo ad alcune questioni)?
che avrebbe compreso anche la prova deirim mortalitä e ü mito conclusivo tratti dal
libro X {Kleine Schriften, cit., pp. 235-250). Von Arnim ha tentato di provare il
fatto che il libro I fosse stato composto presto ricorrendo sia a rilievi di statistica
linguistica sia a un confronto dettagliato del contenuto con il G orgia e con i dialo-
ghi definitori {Sprachliche Forschungen zur C hronologie der platonischen D ialoge,
«Sitzungsberichte der Wiener A kadem ie», 169/3 [1912], pp. 70, 130, 172, 211, 230
ss.; Platos Jugenddialoge..., pp. 71-109). Uiteriore letteratura in Friedländer, Pla
to n , II, pp. 286 s.; Thesleff, loc. cit., p. 107.
15 Fedro, 264 C 2-5: S eIv tox v to c X o 'fo v to c n ts p C & ov a u v E a i a v a t a<L[j.d x l Zyov'zu a u -
töv auToö, le parti devono essere -jipejiovToi aXkr\koi<; xod x<o oXco.
16 W ilam owitz, P la to n , II, p. 185, sembra orientarsi in questo senso: era ovvio,
per Platone, «u tilizzare» negli scritti posteriori sulla giustizia «g li appunti lasciati
da parte».
17 Vretska, Platonica ..., ha riassunto i dubbi, espressi giä molto presto, sulla pos-
sibilitä di separare il libro I. C fr. anche Guthrie, A H istory ..., IV , p. 437; Thesleff,
Studies..., pp. 107-110.
18 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 441 «e g li guida i suoi lettori ... attraverso le fasi
del suo stesso pellegrinaggio».
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 363
21 Si confronti anche la formula con cui Platone indica il suo trattenersi dal parla
re su certe cose in 347 E 2, a proposito della quale cfr. sotto, p. 373.
22 p o r jQ t ív ó i x a t o a ú v r j , 362 D 9; analogamente 368 B 4 - C 5.
23 368 C 4: ¿Séovto t o x v t i xpÓTuo ¡3o7]0r¡aaL xou ¡at] áveívca tóv lóy ov.
24 362 D 9; 368 B 4; B 7; C 1; C 5 .
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 365
25 A proposito delía caratterizzazione dei partecipanti cfr. sotto, pp. 298 ss.
26 II fatto che nella confutazione si intravveda qualcosa di positivo non contrasta
con questo, in quanto le negazioni delle opinioni di Trasimaco non si riallacciano
direttamente al concetto píatonico di giustizia quale viene sviluppato nel libro IV .
A proposito della parte di Polemarco, ancor meno soddisfacente, Dümmler ha giá
fornito la spiegazione degna di nota, secondo la quale « i l fatto che egli si dichiari
soddisfatto della confutazione incompleta serve a caratterizzare P olem arco» (K lei
ne Schriften, I, p. 240). Stranamente sembra che Dümmler non abbia mai tentato
di utilizzare questi pensieri anche per la parte di Trasimaco. Von Arnim , invece, ri-
ñette sulla possibilita che Platone «abbia volutamente mantenuto la dimostrazione
nel “ Trasimaco su un piano piü basso” » (Platos Jugenddialoge, p. 79); pero egli
non si é accorto del rapporto esistente fra il m odo di svolgere I’argomentazione e il
tipo di interlocutore, e, di conseguenza, ha scartato questa spiegazione, adducendo
argomenti non sufficienti — Vretska ha visto nella discussione eristica «Púnico stile
adeguato» alia «distruzione del sofista» (Pla tón ica..., p. 41; é comunque discutibi-
le l ’impiego di questa riflessione come arma contro l ’ipotesi cronologica, cfr. sotto
nota 32).
27 A partiré da 350 D E. Per I’interpretazione di questa svolta del discorso cfr. sot
to, pp. 385 s.
28 Cfr. in proposito sotto, pp. 386 ss.
366 «L A REPUBBLICA»
33 Cosi Wilam owitz, Platon, II, pp. 182 s., ha spiegato l’entrata in scena di Glau-
cone, 347 A - 348 B, come intrusione nella struttura dei libro I, intesa considerando
il suo ruolo a partire dal libro II, mentre Friedländer, Platon, I I 3, p. 287, fa comin-
ciare la rielaboräzione con 345 B. Anche Dümmler e von Arnim hanno creduto di
poter dare indicazioni precise a proposito della ristrutturazione, analogamente, in
un período successivo, R. Preiswerk, Neue philologische Untersuchungen zum I.
Buch des platonischen Staates, Diss., Zürich 1939. Vretska, Platônica ..., pp. 35 s.,
ha osservato che non si trovano in nessun passo tracce linguistiche di una stesura
successiva.
34 Cfr. sopra, pp. 355 ss., sotto, pp. 376 ss., 389 ss. — Secondo una testimonianza
antica (D ionigi di Alicarnasso, D e compositione verborum, 208 Reiske; Diogene
Laerzio, III, 37; Quintiliano, Inst, orat., V I I I 6 , 64) Platone ha piü volte modificato
Tinizio della Repubblica. M a dal momento che non sappiamo se le m odifiche ri-
guardassero il contenuto o semplicemente lo stile (cosa senza dubbio piü probabile,
cfr. K. Gaiser, «G n o m o n », 51 [1979], p. 109), e nemmeno se Platone abbia vera
mente sostituito la prima versione con una versione successiva, o se abbia solo pen-
sato di farlo, sarebbe assölutamente arbitrario voler veder nell’inizio della R ep u b
blica qualcosa di diverso da quello che essa vuol essere, cioè l’ apertura del discorso
di Trasimaco e di quello di Glaucone e Adim anto. Di conseguenza, il libro I era stato
progettato come grado introduttivo e Tcpooifxtov (357 A 2) del discorso principale.
35 I riferimenti piü importanti sono: i ) La simbologia dell’ inizio, 327 A - 328 B.
2). La «tirannia delle bram e», 329 A -D (cfr. IV , 444 B; IX , 589 D E). 3) II tema del-
le condizioni materiali presupposte dalla giustizia, 329 E ss. (ripreso nella mancan-
za di beni propri dei guardiani, 416 D ss.). 4) II destino dell’ anima nell’A de, 330 D -
331 B (accolto in X , 608 C - 621 D ). 5). II richiamo ai poeti, 331 A , D; 334 A (critica
della poesia nei libri II/ III, X ). 6 ) Analogia della techne: giustizia e salute, 332 C;
340 D; 342 A D (cfr. IV , 444 C ss.). 7) M etodo ed etica della conduzione del discor
so, 336 B - 338 B; 344 D - 345 B; 348 A B; 354 A B (accolto in 487 B C; 497 D - 502
E e soprattutto nel concetto di dialettica). 8) II tema delle forme di Stato, 338 D (ac
colto nei libri V III/ IX ). 9) Infallibüita dell’ eTttaTrjfxr), 340 D ss. (accolto nell'ideale
del governo dei filosofi). 10) II tiranno come ideale della perfetta ingiustizia, 344 C
ss. (ripreso neH’immagine del tiranno IX , 571 A ss.). 11) Ricompensa deH’ ingiusti-
zia 343 C ss. (risponde 588 B). 12) II governare non è la cosa piü desiderabile, 346 E
ss.; primo accenno ai progetto di uno Stato ideale, 347 D 2-3. 13) L ’ ingiustizia ren
de il singolo in disaccordo con se stesso, 351 E s. (la giustizia come armonia interio-
re, 443 C-E; 444 B). 14) La funzione specifica delPanima e la apE/crj che ad essa ap-
partiene, 353 D E (accolta nella teoria delle parti dell’ anima e delle loro funzioni
nel libro IV ; I’ingiustizia come male specifico dell’anima, 609 A ss.).
370 «L A REPUBBLICA»
gina di «in terrogare» Simonide stesso (per cosi dire come soc-
corritore del soccorritore Polem arco) (332 C). Come concezione
di Polem arco risnlta che « il rendere ció di cui si é debitore» non
significa altro se non giovare agli amici e nuocere ai nemici (332
D ). N e segue che la giustizia puó anche causare danno, cosa che
Socrate confuta, e Polem arco sottoscrive la confutazione e si la-
scia strappare di mano con la definizione anche il richiamo al
saggio poeta. L a immorale affermazione che é giusto giovare
agli amici e nuocere ai nemici andrebbe riferita, piuttosto, a un
qualche tiranno (335 E - 336 A ).
Interviene, a questo punto, Trasimaco e troviam o qui il secondo
caso di «soccorso al lo g o s ». Infatti, benché il rozzo sofista inse-
risca anche Polem arco nei rimproveri alia discussione fin qui
fatta, la sua tesi é, contenutisticamente, un sostegno e un raffor-
zamento delPopinione di Polemarco: la giustizia non é altro che
il vantaggio del piü forte (338 C), che non solo comporta il
«danno ai nem ici», ma anzi fa di tutti dei veri e propri nemici
del piü forte, il cui diritto naturale 39 consiste nel danneggiarli.
N on é difficile per Socrate dimostrare che il governare come te-
chne della giustizia política mira al bene e non al danno dei go-
vernati (341 C - 342 E ); e, con questo, siamo giunti non al terzo
caso di «so cco rso », ma al posto in cui é chiaramente sottolinea-
to che tale soccorso manca. Infatti toccherebbe ora a Trasimaco
dimostrare, mediante strumenti di pensiero piü adatti, di essere
in grado, ntW elenchos, di superare se stesso. In effetti, Platone
gli fa pronunciare un discorso lungo e impegnato in difesa della
sua posizione (343 B - 344 C). Tuttavia, quello che viene alia ri-
balta non supera quanto é giá stato presentato in precedenza40.
39 É vero che Trasimaco, a differenza di Callicle ( Gorgia , 484 B 1; cfr. 482 E - 484
C ), non usa mai la formula t o xf)? tpúaeto? oíxaiov per la pretesa di potere da parte
del piü forte, per cui la sua posizione puó anche essere fraintesa come pura e sem
plice analisi descrittiva dello stato di cose (cfr., in proposito, Guthrie, A History...,
I l l , pp. 94 s.). Pero la sua reinterpretazione dei valori tradizionali (348 C 2 - 349 A
3) dimostra che egli, esattamente come Callicle, si schiera a favore di una sottomis-
sione del piü debole da parte del piü forte. L ’identitä delle due posizioni é stata so-
stenuta, fra gli altri, anche da Dümmler, Kleine Schriften I, p. 240 nota 1, e, in m o
do piü dettagliato, da G .B. Kerferd, The Doctrine o f Thrasymachus in P la to’s R e
public, «D urham University Journal», 40 (1947), pp. 19-27 (in tedesco anche in
C.J. Classen [curatore], Sophistik, Darmstadt 1976, pp. 545-563, inparticolarepp.
561 s.).
40 Si é m olto scritto a proposito della questione se la definizione che Trasimaco of-
fre di giustizia come áXXóxptov á-focQóv, 343 C 3 rap presen ti qualcosa di nuovo ri-
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 373
spetto alia prima definizione di «vantaggio del piu fo r te » e se le due spiegazioni sia-
no in qualche m odo unificabili. Si e pero prestata troppo poca attenzione al fatto
che la nuova formula e, fin dall’inizio, introdotta solo come commento a quella
originale (7} Stxaioauvrj xai Stxaiov aXXoxpiov a y a 8ov t u ovxi, xou xpeivcovo^ xod
apxovxoi cru[j.cp£pov, 343 C 3-4) e che Trasimaco, alia fine del suo discorso, sottoli-
nea, ancora una voita, di aver nuovamente rappresentato solo il suo punto di vista
originario (344 C 6-8). In realta, il discorso e solo uno sviluppo piu ampio di quello
che e compreso nell’idea popolare di «p iu fo r te » e «va n ta g gio » (chi e superiore e
piu scaltro del semplice giusto, 343 C 6 ss., e piu forte nel senso di piu violento, 344
A 6 ss., e «lib e r o » [C 5] di fare cid che gli pare; e chi e in grado di procurarsi tutto il
potere e tutti i beni materiali e generalmente ritenuto «b e a to »[B 6 ss.]). Quello che
palesemente manca e una fondazione nuova e piu profonda. Dovrebbe, percio, es-
sere chiaro che per Platone il personaggio di Trasimaco non intendeva andar oltre
la sua esposizione precedente. Kerferd, The D octrin e o f Thrasymachos ..., ha di-
mostrato che anche la posizione stessa di Trasimaco, indipendentemente dalla sua
presentazione dialogica, si capisce meglio come una posizione consistente: otXXo-
tptov ayaOov indica l ’ essenza della giustizia, « il vantaggio del piu fo rte » indica la
stessa cosa solo dal punto di vista del piu debole. (D i diverso parere e Guthrie, A
H istory ..., I l l , pp. 88-97; P . Nicholson, Unravelling Thrasymachos’ Arguments in
the Republic, «Ph ronesis», 19 [1974], pp. 210-232 ha cercato di comprovare l’ in-
terpretazione di Kerferd).
41 345 B - 346 E (ogni techne ed ogni a re ti mirano alPutilita di chi e ad esse sotto-
posto) corrisponde a 341 C - 342 E, sottolineatura di questo fatto 345 C 1: £tl yap
za I'ptpoo 6 &v £7ciaxEc[id)fXE,0o', 346 E 5: om p mxXoa eX£yo[xev.
42 L e parole ocXXa touxo ¡a.iv Sr) xai etc ax£cJ;6|jL£.0a sono rivolte a Glaucone
che ha interrotto il dialogo con Trasimaco. E con Glaucone — non con Trasimaco
374 «L A REPUBBLICA»
— viene effettivamente ripresa la domanda sulla giustizia nel libro II. Wilamowitz,
P la ton , II, p. 183 nota Í, non ha notato questo fatto e nemmeno il rapporto del
passo con 354 B, e ha voluto mettere da parte la formula di spostamento, corne se si
traitasse di una frase retorica senza importanza. — Fra i frammenti di Trasimaco si
trova Paneddoto di un pancraziasta che, dopo moite vittorie, a colpi nell’aria dava
ad intendere di avere altri colpi in serbo per i futuri avversari (Diels- Kranz, 85 B 4
= Ateneo, X 416 A ). È certo possibile ehe Platone avesse presente questo aneddo-
to, quando scriveva 345 B 4-6. Comunque Io svolgimento del dialogo mostra che
non Trasimaco, ma Socrate assomiglia a quel pancraziasta vittorioso. Gigon, Ge
genwärtigkeit und Utopie, p. 63, ritiene «spiacevole» il riconoscimento da parte del
sofista di non avere a disposizione niente di meglio; è evidente ehe gli è sfuggita
l ’ opposizione a Socrate e il significato di questa opposizione sullo sfondo delia cri
tica dello scritto (cfr. sopra, nota 38). — La successiva assicurazione di Trasimaco,
che egli potrebbe senz’ altro portare argomenti contro quelli di Socrate, sembra
contraddire 345 B 4-6; ma se egli pariasse per tutto il tempo che gli sembra oppor-
tuno, Socrate gli rimprovererebbe di tenere discorsi popolari (350 D 10 s.). Il sofi
sta accenna di nuovo di sentirsi svantaggiato, perché la discussione (in rapporto
agli accordi presi in 348 A B) segue il metodo dialettico del suo avversario. Platone,
però, ha tolto ogni credibilità al fatto che dal metodo seguito da Trasimaco della
esposizione prolungata possa emergere qualcosa di fondamentalmente nuovo, in
quanto, dopo la prima confutazione da parte di Socrate (339 B - 342 E), Platone gli
ha concesso la possibilita di sviluppare ancora una volta la sua opinione secondo il
metodo suo personale (343 B - 344 C). Il lettore non ha m otivo di credere che un se
condo tentativo darebbe esiti m igliori del precedente. In questa fase avanzata de!
dialogo, perciò, il passo in questione può servire solo a far vedere come il sofista
colpito cerchi di ripararsi il viso.
43 354 B 6 : rimando ai passi 349 B - 350 C e 352 D - 354 A . Il tema della «fo rz a del-
Pingiusto» (350 E - 352 B) è trascurato.
44 Cfr. 354 B 1: Socrate non è stato servito bene, Si’ í^ocutòv àXX’ où 8 tà aé.
NON FARSI SCAPPAR EIL FILOSOFO 375
- 445 B). N on si potra negare che quanto qui succede si possa de-
scrivere nel m odo piü adeguato col linguaggio della critica della
scrittura: costretto a «soccorrere» il suo logos a favore della giu
stizia, il filo so fo attinge immediatamente ad un tesoro immenso
di aspetti nuovi, di concetti piü chiari, di teorie piü progredite, e
dunque attinge ad un apparato filosofico e speculativo «d i vola
re piü a lto » con cui mostra a posteriori la (relativa) incompletez-
za del suo primo logos, volutamente tenuto a livello modesto
(tpocüXov).
II ricorso a «cose di maggior valo re» (•ui[JLLtüT£pa) ha permesso a
Socrate di esaudire le richieste dei due fratelli: é stato trovato in
che cosa consiste la giustizia; il raggiungimento dello scopo é
espressamente comunicato (444 A ). La determinazione delí’ in-
giustizia, anch’essa richiesta, si ottiene ora senza difficoltá (444
B-E): essa é la condizione contro natura della rivolta e della
disunione delle parti delPanima e sta, rispetto alia giustizia, nel-
lo stesso rapporto in cui si trova la malattia rispetto alia salute.
L ’ invito ulteriore da parte dei due fratelli di spiegare anche l’ «u-
tilitá» della giustizia e dell’ ingiustizia conosciute prima nella lo
ro natura (368 C 6 ), é perció diventata una domanda di una faci
lita «rid ic o la » (445 A 5, B 5): se giá la malattia del corpo puó
rendere la vita non piü degna di essere vissuta, quanto piü lo fa-
rá la malattia dell’ anima (445 A -B ). Quello che resta ancora da
fare sarebbe osservare le quattro piü importanti form e di vizio
tra le infinite esistenti (445 C ), pariendo dalle altezze cui si é
giunti (445 C 4) per chiarire (445 B 6 ) ció che si é giá conosciuto.
Anche alia fine del quarto libro Socrate, senza indugi, inizia la
sua esposizione (445 C-E); ma viene interrotto da Adim anto e
da Polem arco alPinizio del quinto libro (449 B). Come é noto, il
completamento del com pito qui iniziato si ha solo nei libri V III
e IX .
Diversamente che nel caso del passaggio dal libro I al libro II ci
si é a mala pena chiesti, a proposito di questa svolta ugualmente
importante, che cosa Platone si sia proposto di fare con questa
strana ed evidente finta di introdurre formalmente un tema co-
minciando con poche frasi, per poi lasciare tutto in sospeso per
la lunghezza di ben tre ponderosi libri. Evidentemente, é sem-
brata sufficiente la spiegazione ritenuta ovvia di esigenze stilisti-
che di «ra vviva m en to» del dialogo. Invece sta ben di piü dietro a
tutto questo. Con la dichiarazione decisa di Adim anto e Pole-
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 377
52 472 A 3-4: iWút; yac o¿x otaBa cm u.ot tgj 8úo xú ^axe excpu'fóvu vüv xó fié-
yiaTOv x a i x<x\e.Tz<óxazov xr\q Tpixufiía? ejtáyeu:.
53 Cfr. il riassunto 457 B 7 - C 2.
54 Platone ricorda per la terza volta questo stato di cose, per Jui, evidentemente,
significativo, in 502 D 4-8.
380 « L A REPUBBL1CA»
dalle pressioni dei due fratelli, ma porta a cose che vanno ben
oltre le loro intenzioni; i libri centrali contengono, perció,
un’ eccedenza di fondazioni filosofiche senza le quali, come Pla-
tone accenna alPinizio del quinto libro, Topera si reggerebbe be
ne lo stesso. E, in effetti, Platone ha presentato nelle Leggi un
secondo progetto di Stato che non contiene nessuna corrispon-
denza con questa parte del precedente tentativo. L a comprensio-
ne delPintera opera dipende, perció, in un certo senso, da una
valutazione corretta della funzione e della portata dei ragiona-
menti dei libri centrali. Poiché i passaggi da un livello all’ altro
vanno attribuiti volta per volta alia decisa iniziativa degli inter-
locutori, é opportuno che noi consideriamo concretamente nel
loro insieme la caratterizzazione che Platone da dei personaggi,
le cui pressioni determinano Pandamento del dialogo.
Glaucone e Adim anto si fanno avvocati dell’ ingiustizia; essi
«rin n ovan o » la tesi di Trasimaco (358 B 7). Platone lascia per-
ció che lo stesso contenuto teoretico venga rappresentato due
volte. Scopo di questo raddoppiamento é quello di rendere per-
cepibile l ’importanza dell’ atteggiamento interiore dell’ uomo
verso Poggetto della filosofía. N on si puó stabilire come si deb-
ba fare filosofía senza considerare lo stato delPanima. La tratta-
zione diversa della stessa tesi con interlocutori diversi si spiega
con la diversitá dei caratteri. Solo il confronto con Trasimaco
mostra chi siano Glaucone e Adim anto.
Nella caratterizzazione di Trasimaco ogni particolare mira a
mostrare la sua sostanziale estraneitá alie cose della filosofía.
Giá il fatto che egli desideri essere pagato per aver comunicato le
sue opinioni (337 D 6 ) contiene, in nuce, il giudizio conclusivo: a
differenza del dialettico, egli non si orienta alPadeguatezza del-
Pinterlocutore bensi al denaro, che livella tutte le differenze.
II tono delle sue afferm azioni é rozzo e beffardo e non rifugge
dagli insulti: egli definisce Socrate «nauseante» e inoltre un «s i
cofan te» (338 D 3; 340 D I ) ; infine ne fa addirittura un ragazzo
con il m occio al naso che ha bisogno della balia perché glielo pu-
lisca (343 A 3-8). É poi significativa la sua irritazione per il m o
do di Socrate di condurre il dialogo procurandosi il consenso
dell’ interlocutore: questo gli appare come cedevolezza e pura
64 C fr. J. Adam , The Republic o f Pla to, ed. with crit. notes, Cambridge 1905, I,
p. 24.
65 C fr. sotto, pp. 390 ss.
66 N on si deve per questo concludere, con Guthrie, A H istory..,, I ll, pp. 90 s., che
Platone abbia voluto descrivere un Trasimaco che non avesse affatto bisogno di
sentirsi confutato. M ol to prima del tentativo di ritirata effettuato da Trasimaco in
386 «L A REPU BBLIG A »
350 D E, Platone mostra che il sofista deve stare sottomesso anche quando dice la
sua vera opinione (cfr. 351 C 4-5; a proposito di 350 D 10 s. cfr. anche sopra, nota
42). II fatto che Trasimaco venga a poco a poco «d o m a to » deve anzi dimostrare
che non ci si puó sottrarre a Socrate.
67 354 A 12: Tipãoç è^évou. J.H. Quincey ha messo in relazione, in m odo pertinen
te, il percorso emozionale di Trasimaco da selvaggio attaccante a mite assertore con
il passo di Fedro, 267 C 7 - D 2, in cui si dice di Trasimaco e di come egli si fosse
vantato di possedere l ’ abilitá particolare di far arrabbiare gli ascoltatori e poi di
placarli nuovamente (A n oth er Purpose f o r Pla to, Republic 1, «H erm es», 109
[1981], p. 313).
68 Coraggio dei guardiani militari: 375 A . Tra questi guardiani vengono destinad
al comando coloro i quali abbiano la capacitá di conservare, in ogni situazione, le
giuste opinioni con cui sono stati allevati (412 E - 414 A ); il coraggio viene definito
proprio come questa capacitá di conservazione (430 B), che, di conseguenza, trova
posto anche nell’elenco delle qualitá del filosofo (486 B 3-4; 487 A 5; 535 A 11).
69 Questa capacitá di resistenza dei futuri governanti va messa alia prova, nello
Stato ideale, nelle situazioni paurose e in quelle piacevoli (413 D 10). Si potrebbe
dire, per analogia, che Glaucone e Adim anto non hanno né avuto paura di passare
per persone all’ antica difendendo la giustizia, accanto a Trasimaco, Pintellettuale
NON FARSI SCAFPARE IL FILOSOFO 387
in mente tutto quello che egli vuole insegnare», l ’espressione dell’ essere trascinati
dal vento della conversazione é usata come «scusa». (W ilam owitz dice questo a
proposito dell’ autore; osservando la cosa dal punto di vista drammaturgico inter
no, per la figura di Socrate non é, naturalmente, una scusa pura e semplice: come
in tutti i dialoghi, egli rende nota una quantitá m aggiore o minore del suo sapere a
seconda del «v e n to » della comprensione che spira dall’interlocutore).
81 Cfr. sopra, p. 374 a proposito di 354 B 2 (Xt/vo^); ápyóq, [jiaX0a)tL^o¡xac, 458 A
1 , B 1 (spostamento della trattazione della comunitá femminile); [BXaxixóv ye rn¿<íiv
tó 7iá 0oí, 432 D 5 (a proposito della guida cauta verso il concetto di giustizia).
82 507 A 8 prima del ricordo del pensiero fondamentaíe dell’ ipotesi delle Idee (ri-
volto a Glaucone): -rá.... xaí. aXXote rjSr) TraXXáxii; dpr¡[iíva, analogamente 505 A
2-3 (ad Adim anto): Sxi ye 7] toü áyctOou iSéa [i,á0r)[xa, TuoXXáxt? áx^xoa?.
83 608 D 7: ouSév yáp x^Xetcóv. Rimando ad altre dimostrazioni in 611 B 9-10. —
Ci si puó comunque chiedere se Platone é del tutto consistente riguardo alia prepa-
razione filosófica dei suoi fratelli: é probabile che qualcuno che ha «spesso» sentito
parlare dell’ipotesi delle Idee e del Bene, senta parlare ora, per la prima volta, del-
l’ immortalitá dell’anima (cfr. 608 D 3-6)? — I rimandi alie discussioni precedenti
hanno, oltre al significato drammatico interno, anche un significato storico-filoso-
fico, come accenni agli scritti di Platone (dimostrazione dell’immortalitá nel Fedo-
né) o a discussioni interne alPAccademia: il fatto che l ’ Idea del Bene sia giá stata
spesso oggetto di discorso puó ben voler dire (in rapporto alie strette somiglianze di
505 A B con Carmide, 173 A - 175 A ; Eutidem o, 281 D E; 292 B; M en on e , 88 C-E)
che essa é giá presente dietro ai cosiddetti dialoghi «g io v a n ili».
390 «L A REPUBBLICA»
a) «R ep u b blica», 509 C
S4 Cfr. sotto, pp. 397 ss. G. Müller, Das sokratische Wissen des Nichtwissens in
den platonischen D ia logen , in: A A .V V ., Aúpr¡(jia, Festschrift H . Diller, Atene
1975, pp. 147-173, ha dimostrato che in Platone il non sapere non rimanda ad una
mancanza di m etodi, concetti e asserzioni sull’ oggetto in questione, bensi alia dif-
ferenza filosofica di due diversi modi di vedere.
85 474 A 5: ouxouv aú ¡x o l t o u t í o v amoq\ Glaucone insiste sul fatto di aver agito
correttamente.
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 391
509 C 7, si puo capire, allora, solo con riferimento alia similitudine del sole, e il fu-
turo oox aTtoXetyco, C 10, solo con riferimento a quella della linea e da quella della
caverna: cosi si crede di trovare espresso il fatto che le tre similitudini esauriscono,
ne] loro complesso, la totalita delle possibili asserzioni sul Bene. (Cosi scrive W ie-
land, P la to n ..., p. 48: «T u tto quelio che si puo dire deve, dunque, anche essere
espresso», a sostegno della qual tesi egli adduce unicamente le parole, ixw v oux
arcoXeic|>to, naturalmente tralasciando le righe che precedono, perche solo in questo
modo la parola citata puo «p ro v a re » quello per cui essa viene qui chiamata in
causa. Analogamente, Th. Ebert, M einung und Wissen..., p. 160, sembra credere
che la richiesta di Glaucone sia soddisfatta nel m odo piii completo possibile con
1’integrazione della similitudine del sole nelle similitudini successive). M a, a pre-
scindere dalPinsostembilita del presupposto sul senso della limitazione (in proposi-
to cfr. sotto, pp. 404 ss.), questa interpretazione trascura il fatto che Pimperativo
H-rjBi CTjj-Lxpov 7iapaXtitr)<; (C 8) rimanda naturalmente alle osservazioni che seguono,
e che Socrate risponde a questo of^at [iiv xai teoXu. Risulta, percio, del tutto cor-
retta Pestensione da parte del traduttore del verbo futuro omoXei^w (C 10) anche a
questa parte delPasserzione (F. Schleiermacher: «Penso che dovro tralasciare m ol
te cose»; A . Bloom : [Th e R epublic o f Pla to, transl. with notes, N ew Y ork 1968]:
«Suppongo che tralascerd un bel p o ’ di cose»). L ’ opposizione completo-incomple-
to non riguarda, dunque, quanto e stato detto e quanto verra detto in seguito, bensi
le discussion! che ancora restano da fare: esse sono, da un lato (¡jtiv), oggettivamen-
te incomplete, dall’ altro (Se), didatticamente, cioe relativamente alia capacita di
comprensione degli interlocutori, complete. Solo questa opposizione rende sensato
Puso di Se e della particella limitativa ye..
90 In questa direzione si muove 1’ interpretazione di Ebert (M einung und Wissen...,
p. 173) che, come fanno anche altri interpreti, si guarda dall’ interpretare, e addirit-
tura anche solo dal citarle, le limitazioni poste dallo stesso Socrate.
91 Per la caratterizzazione dei partecipanti al dialogo si veda sopra, pp. 386 ss.
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 393
b) «R ep u b blica», 347 E
A lla serie di queste limitazioni appartiene già quel passo del pri
m o libro (347 E ), in cui Socrate lascia da parte la domanda sulla
essenza della giustizia e dichiara piü importanti altre domande,
solo per poter rivelare, alia fine, ehe il non aver risposto al «che
cos’ è » (t£ écTtv) priva di valore tutto il d ia lo g o 93. Trasimaco de
ve accettare la limitazione e, per quanto lo riguarda, Socrate
avrebbe terminato ($|xt]v Xóyou a 7:r]XXax6 ai, 357 A ). Avrebbe
terminato, si intende, tralasciando le cose decisive.
95 435 C 9 - D 5: xoti e.5 y ’ i'cjfli, <L rXau.xtov, ci)? tj ¿¡jlti So^a, axpißw? [ilv xoöto ix
toioütcov fjteöoScov, olaitj vuv iv xoic; Xöyoti; xpco^efia, o 6 ¡jir] jtot£ Xaß<o[xev •— aXXrj
yap (jLaxpoTepa xai rcXeitov 6 Sö^ rj em xoöto ayousa — iaco<; fiiv-toi xö v ye. 7cpo£ipr|-
[ i £ v w v TE. j c a i HpO£OX£[JLjJL£V(jJV
96 L a limitazione formulata da Glaucone, Lv yz tw irapovxi, D 6 , e accolta, o w ia -
mente, anche nell’espressione immediatamente seguente che esprime il parere con-
corde di Socrate.
97 Cfr. sotto, pp. 408 ss.
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 395
% 504 A 7-9: ¡j.r¡ yáp fj.vr][j.ovsúcov, i iá Xoirox av eir¡v Síxatoç [xr¡ áxoúeiv.
99 C ’é una certa ironia nel fatto che Adim anto dichiari «avven tati» coloro che ri-
tengono di non dover proseguiré la ricerca; e, cosi facendo, coípisce anche se stes
so. C ’ è ironia anche nella descrizione della sua reazione in 504 A 4-10 (cfr. sopra
nel testo). Queste osservazioni non contrastano con l ’ esclusione di un’ interpreta-
zione irónica di 509 C (cfr. sopra, pp. 392 s.; sotto, pp. 405 s.), perché l’ ironia che
troviamo qui è ad un altro livello: qui l ’autore mostra uno dei suoi personaggi in
una (mite) luce irónica, invece, dal punto di vista drammaturgico interno, cioé fra i
due personaggi, non si avverte nessuna ironia; o, se proprio la si vuol trovare, essa
viene comunque nuovamente. eliminata dalPesplicito accordo sul fatto che i «guar-
diani» devono percorrere la via che Adim anto non vuole (o non puó) percorrere.
396 «L A REPUBBLICA»
sarebbe bene per un futuro «gu ard ian o», tuttavia la sua «corag-
giosa» spinta verso una vera istruzione resta aneora efficace.
Egli ha capito esattamente l ’ allusione di Socrate alla strada più
lunga, intendendola come un ritirarsi da una comunicazione og-
gettivamente esigibile e percio non vuole, aneora una volta, « la-
sciarlo andare» (504 E 5): «credi tu che qualcuno ti lascerà an-
dare, senza domandarti in che cosa consiste la conoscenza mas-
sim a?» (ol'si xiv’ av a&, ecprj, à<p£Îvoct [xrj èpwxriaavxa xt eaxtv, scil. :
xo [¿eyiaxov fjià0 Y){Jiûc;).
Socrate rafforza Adim anto nella sua sete di sapere (504 E 7), ma
non esclude che egli voglia preparargîi solo difficoltà (505 A 1);
comunque non è disposto a dargli una risposta diversa da quella
che gli ha già dato «spesso», che, cioè, r id e a del Bene è il più al
to oggetto délia dottrina e che non ne abbiamo una conoscenza
sufficiente (505 A 2-5). La conoscenza lacunosa del Bene è
espressa da Socrate servendosi di due spiegazioni desunte da al-
tri, che si rivelano sia circolari, sia contraddittorie: il Bene è il
pensare ovvero il piacere (505 B 5 - D 4); partendo di qui, e pas-
sando attraverso la rinnovata sottolineatura dell’ importanza
che tutti gli uomini attribuiscono alla conoscenza del Bene (505
D-E), egli riconduce alla considerazione che aveva provocato la
domanda che portava a risalire a ll’oggetto più alto délia dottri
na 10°, cioè l ’ afferm azione che i futuri governanti devono cono-
scere il Bene che tutti cercano e che tutti non colgono; senza
questo tipo di sapere, anche le cose giuste e buone (cioè le virtù,
finora coite nei loro grandi tratti) non sono conosciute in modo
sufficiente; invece lo Stato di cui si è in cerca risulterebbe «com -
piutamente organizzato» (xsXétoç xexoafxrjaexat.), se ci fosse a ca
po un guardiano che fosse in possesso di scienza (ETuaxrifjitov) ri-
guardo al Bene (506 A 1 - B 1).
Il fatto che Socrate annunci la conclusione délia costruzione del-
lo Stato a questo punto significa, evidentemente, che crede di
aver condotto a termine il tema del fine ultimo (che consiste nel
¡ji-yiaxov ¡jtà0 Y][xa), pur senza aver detto riguardo al suo contenu-
to più di quanto in fondo dicono tutti, e cioè che esso è il Be
ne 101. La situaziône si puô paragonare a quella delPinizio del li-
to 109; invece egli propone di parlare del «ra m p o llo » del Bene
(vale a dire con rim m agine del solé). Anche di questo Glaucone
si accontenta e spera «in un’ altra v o lta » per la descrizione del
«p a d re». A l che Socrate non solo ripete il suo timore di poter
non essere in grado di paríame (507 A 1; cfr. 506 D 7), ma nomi
na anche il secondo fattore che determina la sua esitazione:
«V o rrei essere in grado di saldarla e voi di riscuoterla, e non, co
me ora, presentare solo gli interessi» (506 D 7 - 507 A 2) no.
É qui chiarito al di lá di ogni equivoco quanto segue: (1) Socra
te ha una risposta alia domanda sulla natura del Bene, un’ opi-
nione che ora gli sembra corretta (to BoxoGv s¡jloI toc vüv).
( 2 ) questa sua opinione non deve essere esposta qui; (3) Socrate
non vuole fare nessuna afferm azione impegnativa riguardo la
fondatezza della sua opinione. Abbiam o qui, perció, una dop-
pia limitazione d elP «op in ion e» di Socrate: una, per cosi dire,
109 506 D 8 - E 3: :ipo9u|jU)ú|j,6voi; Si. aaxT]fxovcov yéXcoxa bykrpsiú. aXk\ (£> [xaxá-
piot, a¿xó [jl I v x í Jtox’ ¿cixt xáyaOov eáaco|o.ev xo vüv elvai — 7iXéov yáp [xot cpaívexai
r¡ xaxá x t j v 7tapouaav óp(j.r]v ¿cpixéaGai xoü ye ó q x o ü v t o <; c j j l o i xa vüv — ... Adam ,
The Republic o f P la to, II, p. 55, vorrebbe riferire xa vüv in E 3 a ¿cptxéaflat, ma, dal
momento che una determinazione temporale di ecpixiaöat é giá compresa in xaxá
xíjv Ttapoüaav ópjxriv, sara meglio collegare xa vüv con xoü Soxoüvxo; ¿{/.oí, come fa
la maggior parte dei traduttori. — nXéov (E 1) contiene senz’ altro, nel senso di Fe-
dro, 235 B 4 izkzíoi xaí teXelovcx; a£ta, tanto un elemento quantitativo quanto uno
qualitativo; vanno intesi in senso quaíitativo («s ig n ific a to ») 504 E 4: ¡xéytoxov
fiáOTip.a, D 4: &xi x l ¡jl &í C w v , 509 A 4: [xe^óvco? ii^rjxéov, B 9 : 7tpeaߣta xai 8uvá¡xei
Tj7iep¿xovxa; in senso quantitativo («estensione») 503 E 3: ¡Jia9r|¡xacri. tcoXXoic;, 504 D
6 s.: úrcoypa<pr¡ / xeXetoxáxr] árrepyacua, 506 C 7: áuxvá ánoXzÍKíú, cfr. a proposito
dellá dialettica in generale, 531 D (rapporto quantitativo con la matematica prope
déutica); 534 A 7: TcoXXauXáaLOL Xóyoi. — Wieland, nella sua interpretazione di
506D E {P la to n ..,, p. 197), tralascia la parentesi (rcXiov - xa vüv), il che é caratteri-
stico, cosi come trascura anche {ibidem é p. 48) ¿v x¿p ícapóvti in 509 C 9-10. Anche
il senso di auto piv xí rcox’ ¿axi xáyaGóv laaco^e-v xó vüv &ívaL risulta piuttosto stra-
volto che non chiarito dalla parafrasí «p ercio egli (scil. Socrate) non vuole ora af-
fatto tentare di definire il Bene stesso» (p. 197); Socrate non parla di rinuncia ad un
(prim o?) «ten tativo » di definire il Bene stesso — tentativo che, secondo Wieland,
sarebbe, comunque, insensato — , bensi del fatto che bisogna mettere fra parentesi
una domanda che « o r a », nel dialogo, non sarebbe possibile discutere con successo,
benché Socrate abbia senz’ altro una sua opinione in proposito.
110 Nella traduzione di Schleiermacher («V o le v o potervi pagare Tintero debito co
si che voi poteste intascare quello che vi é dovuto e non soltanto gli interessi, come
aw iene o r a ») non viene espresso il fatto che anche l ’ apprendimento é una capacita
vera e propria, alia quale si deve intonare la descrizione. Come sembra, il tradutto-
re non aveva presenti i parallel! contenutistici di 533 A l (cfr. in proposito, sotto,
pp. 402 s.). M igliore la traduzione di Bloom , The Republic o f Plato\ «V o rre i pro
prio essere in grado di pagare e che voi foste in grado di ricevere esso stesso, e non
solo gli interessi, come sta succedendo».
400 « L A REPUBBLICA»
111 Questa interpretazione non vuole affatto sostituire Pinterpretazione del richia-
mo socrático al non sapere (cfr. sopra, pp. 389 s., 397 s.) volta a cogliere gli aspetti
tattici del dialogo. Le due interpretazioni si integrano, anzi, a vicenda, se si è dispo-
sti a riconoscere anche qui quello che, nell’interpretazione di Platone, è stato sempre
riconosciuto, e cioè che le asserzioni di chi conduce il dialogo possono avere, per lui
stesso, un altro significato, ovvero anche un altro significato, rispetto a quello se-
condo il quale egli si rivolge al destinatario.
1,2 Quando Socrate dice ßouXoi|j.rjv av i\d iz Suvaaöai (507 A 1), ¿¡xe mostra che a
lui importa se laswo domanda.colga nel segno, e non della comunicabilità come tale.
L o stesso vale per 506 D 7-8.
113 A proposito del fatto che Adim anto ha trascurato le asserzioni sullo stato filo-
sofico della discussione (504 A 4-10), cfr. sopra, p. 395. — Le due differenze.posso
no essere descritte anche nel seguente m odo, considerando 533 A (a proposito del
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 401
Non soltanto dal m odo in cui si giunge, come abbiamo visto, al
ia serie delle tre similitudini, che nonostante tutto vogliono spie-
gare il Bene in certa misura, é possibile ricavare quanto poco
questa moderna concezione corrisponda alie intenzioni di Plato-
ne. Egli non si é vergognato di sviluppare di nuovo, con totale
chiarezza, alia fine delle riflessioni sull’ educazione dei gover-
nanti, la fondamentale doppia differenza. Quando si tratta di
introdurre, dopo lo schizzo delle scienze matematiche propedeu-
tiche (522 E - 531 D ), la scienza decisiva della dialettica (531 D -
535 A ), Socrate riprende le similitudini che aveva offerto come
sostituto della esposizione della sua opinione della essenza del
Bene. Egli paragona il rapporto tra matematica e dialettica al
rapporto fra «p relu d io » e «ca n zo n e» ( 7tpootpttov-vó¡jio<;, 531 D 7-
8 ). La «ca n zo n e» dialettica deve trattare quello che, nel parago-
ne del sole e della caverna, era stato rappresentato dal sole come
la piíi alta méta di conoscenza nell’ ámbito delle cose visibili,
cioe il Bene stesso (531 D - 532 B). La funzione del «prelu d io»
della matematica viene spiegata, nel linguaggio della similitudi-
ne della caverna, come la «lib era zion e» necessaria dell’ anima
dai legami della sensibilitá e il suo rivolgersi all’ intelligibile (532
B-C).
M a, di nuovó, Glaucone non si vuole accontentare di quanto
Socrate o ffre volontariamente. Egli ha, si, difficoltá a imposses-
sarsi di ció che é stato descritto, ma ora egli vuole lasciar correre
e invita a passare ormai alia «ca n zo n e» stessa. Socrate deve in
dicare il « t ip o » di capacita della dialettica, poi la sua suddivisio-
n¡e in specie ( slBt]) e le vie che essa percorre; queste vie condur-
rebbero a quella méta a cui, una volta giunta, la ricerca trove-
rebbe p a c e 114. Quello che pensa Glaucone si ricava soprattutto
quale diremo súbito di piü): ( 1 ) auto to áXr¡6 £<; — tá ¿¡jloÍ Soxoüvta, ( 2 ) xa ¿fxoí 5o-
xoGvta =f= oaa ¿v itapóvti Suvatóv. Sólitamente il segno di uguaglianza negato
viene spostato, senza tanti problémi, da ( 2 ) a ( 1), per poter poi, in questo modo,
tralasciare completamente ( 2); un breve elenco di autori che procedono in questo
m odo si trova sotto, nota 144.
114 532 D 2 - E 3, D 6 ss.: -rauta 9£vtE<; í 'x e i v w ; vüv Xéy&tai, ít z ’ autóv St) t ó v vó-
^jlov uofiev, xai 8i£X0<o¡jt,ev oütto<; toaTtep tó 7cpoo(fjuov 8t.r|X9o¡j.s.v. X íy t ouv t í ; ó tpó-
tíoi; t % tou StaXíyeaQat Suvó^ieío?, xai x a tá 7tota 8 r) eV5r) Siéctrjxev, xa i t£ve? au
óooí' autai yáp av T]8ri, ¿be soix&v, ai rcpó$ auto ayouaai eTev, ot ¿Kpixofjtívto £><mep
óSoü áváícauXa av £irj xaí t£Xo£ tf¡£ Ttopeta^.
402 «L A REPUBBLICA»
115 533 A 1-5: OCxet’ , íjv 8 ’ w cpíXe. rXaúxcov, olóq x’ i'ar] áxoXou9&rv — ¿tteÍ
xó y ’ &¡j,óy ouSév av -jrpoOuptíai; ¿tcoXíjioi — ouS’ eixóva av e tl ou Xi^ojiev íSolc,
áXX’ auxó xó áXY]0£(;, o y s 8r¡ p.oi ^ aívsxai — ei S ’ ovtoji; r] pirí, ou xéx’ a^iov xoüxo
SLtaxupíC£-a0ar áXX’ oxt |i£v 8r¡ xotoüxóv xt íSelv, fa)(l>Plc 't:^0V-
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 403
116 Si intende la dialettica, ovvero il suo oggetto, l ’ ambito di idee nella sua intera
estensione, come si ricava chiaramente da 532 D E; con 532 A 1 - B 2 e 533 B 2. La
similitudine della linea e quella. della caverna si riferivano alio stesso vasto ámbito
del voT]xóv nei suo insieme, mentre la similitudine del sole tematizzava soprattutto il
punto piü alto di quest’ ambito (cfr. 532 B 2: xó xoü vor¡xoij x¿Xo<;).
117 Per la differenza fra 507 A 1-2 e 533 A 1-2 puó essere importante anche il fatto
che il dialettico puó esigere una maggior sicurezza a proposito dei metodi e della
struttura della dialettica nel suo complesso, che non a proposito della comprensio-
ne del xiXoi; (che, nel passo precedente, era in primo piano).
118 Cfr. Adam , The R epublic o f P la to II, p. 139.
119 Adam , The R epublic o f P la to ..., II, p. 168: «Socrate sostiene di declinare 1’ in
vito di Glaucone adesporre la dialettica».
404 «L A REPUBBLICA»
Gli viene invece fatto notare che, in questa sede, viene lasciato
non esposto un ampio campo delia ricerca filosófica, cioé lo
schizzo di una costruzione ontologica graduata, quale si ricave-
rebbe analogamente ai diversi m odi di conoscenza distinti nella
similitudine della linea 120 (534 A 5-8). Notevole é la reazione che
Platone provoca in Glaucone, altrimenti sempre teso a spingere
in avanti; invece di pretendere di piü, come sarebbe pienamente
giustificato dal presunto significato della suddivisione accenna-
ta dell’ essere (Siaípéati;), egli si dichiara d ’ accordo, ma aggiun-
gendo, questa volta, «p e r quanto posso seguire» (534 B 1 - 2).
C o s í facendo, egli ha accettato che Socrate esprimesse aperta-
mente i limiti della sua capacita di capire. II che significa che So
crate é riuscito a convincerlo che é meglio non insistere ulterior
mente, o, come si diceva alTinizio, che é meglio «lasciarlo
andaré».
La delimitazione circostanziata che Píatone fa della opinione di
Socrate sul Bene e sulla dialettica rispetto alia comunicazione
offerta qui e ora di tali opinioni non deve certo indurre a consi
derare assoluta la divisione delle due cose. Le formulazioni, alia
fine, della similitudine del solé e della caverna 121 non lasciano
dubbi sul fatto che sono stati espressi elementi importanti delle
opinioni (Soxouvxa) socratiche, nonostante ravvicinamento al-
Toggetto solamente mediante semplici immagini (eíxóve^). Infat-
ti, tanto é importante prendere sul serio questi passi, quanto lo é
il non trascurare le rispettive limitazioni. Attraverso di essi viene
chiarito, superando ogni dubbio, che il parlare per immagini e
metáfora non é Túnico m odo di parlare del Bene, e che le opi
nioni sostenute ora dal dialettico — non solo, quindi, una pro-
gettata dialettica ideale del futuro 122 — comprendono cose che
farebbero saltare la cornice del dialogo per quanto riguarda Te-
stensione e anche, in particolare, per quanto riguarda ia pretesa
120 Si puó intendere senz’ altro in senso letterale l ’ affermazione (534 A 7) per cui la
fondazione di un tale progetto porterebbe ad un moltiplicarsi delle discussioni fin
qui fatte.
121 509 C 3 (citato sopra, p. 390); 517 B 6 /8 : rj y ’ èXmç, ià ¿¡jloi cpaivó¡xeva
(con riferimento, qui, alia possibile differenza con la «v e ritá »).
122 Per Adam , The Republic o f P la to ..., II, p. 139, la dialettica platónica è «senza
dubbio ... un ideale non realizzato». La cosa sta «senza dubbio cosi» per chi (come
Adam , II, p. 55, a proposito di 506 C ) presuppone che la possibile realizzazione
deH’ «id e a le » al di fuori dei dialoghi non debba essere fin dall’inizio presa in consi-
derazione. A proposito di tó Boxoüv ¿[¿oí xa vöv cfr. sopra, nota 109.
NON FARSi SCAPPARE IL FILOSOFO 405
I passi che sono stati discussi per stabilire lo status del «presente
tentativo» permettono di formulare un giudizio conclusivo sulla
cosiddetta interpretazione irónica di 509 C 123. II contesto dei
passi paralleli rilevanti mostra che il richiamo delle limitazioni
del dialogo — é il quarto 124 — , che segue Fafferm azione sulla
«d ig n itá » d eirid ea di Bene, non puó essere intesa irónicamente.
Glaucone, che pretende ulterior i e piü precise afferm azioni sul
Bene, e Socrate, che sottolinea con forza Fincompletezza e l’im-
perfezione dell’ attuale impresa, si basano sulla stessa convinzio-
ne comune che sono possibili ulteriori afferm azioni e che sareb-
bero anche necessarie, se si osserva il tutto pariendo dalla cosa
stessa. Manca, perció, la discrepanza fra atteggiamenti ed opi-
nioni che costituisce ogni situazione irónica. Glaucone e Socrate
sono di opinione diversa solo sulla questione di quanto lontano
debba (o possa) spingersi la presente esposizione. E questa que
stione viene affrontata nella sinceritá che é propria fra amici e
non in una rifrazione nascosta e irónica. La interpretazione iró
nica di 509 C comporterebbe una lettura irónica anche dei tre
passi che precedono e preparano, cosa del tutto impossibile in
quanto, in questi passi, é sempre Socrate, il sapiente (e non
Glaucone, che si suppone non in grado di comprendere), che in
siste sul fatto de debbono venir dette cose piü ampie e precise a
proposito deirargom ento trattato. Se ora Socrate, nel quarto
passo, intendesse con le parole «n e tralascio m olte» (ao^vá ye
obroX£L7t 6i>) il contrario di quello che esse significano immediata
mente, non si tratterebbe di ironia bensi di un imbroglio, molto
rozzo e privo di spirito, da parte di Socrate ai danni di Glauco
ne. M a faremo meglio a non attribuire una cosa simile al sottile
ironico Platone.
Pereió la «strada piü lunga» era, per Platone, una vera e propria
strada percorribile dalla persona adatta. Su questo stato di cose
Pultimo dei passi in cui si parla di tenere da parte alcune cose,
porta un chiarimento ulteriore inatteso. G li accenni di Platone
alia «vera natura» dell*anima, nel libro X (611 B - 612 A ), non
solo lasciano riconoscere che egli pensa ad un particolare teore
ma ben delineato, che manca alia presente indagine, perché que-
sta diventi piü sicura e motivata piü profondamente; bensi di
venta possibile, a questo punto, determinare, con sicurezza suf-
ficiente, il contenuto del teorema mancante, ma di cui non si
puó, comunque, fare a meno, basandosi su accenni presenti nel-
la R epubblica stessa e in altri dialoghi.
Platone parla della «ve ra natura» delP anima come aggiunta alia
prova delPimmortalitá delP anima umana (608 C - 611 Á ). In
questa dimostrazione non viene utilizzato il risultato piü im por
tante della psicologia della Repubblica, la «trip artizion e» dell’ a-
nima. M a che, anche al contrario, nelPanalisi del IV libro che
porterá alia tricotomía, Platone non si sia affatto curato del-
Timmortalitá delP anima — che ne costituisce il predicato onto-
logico piü importante — , Platone stesso alPinizio della dim o
strazione lo ricorda, facendo chiedere da Socrate a Glaucone se
questi abbia conoscenza delPimmortalitá dell’ anima. M a Glau
cone, nonostante che il fratdllo Adim anto ancora a meta del dia
logo avesse rassicurato con enfasi del fatto che egli si ricordava
perfettamente della tripartizione delP anima (504 A ), ora che il
dialogo volge alia fine, non sa nulla della sua indistruttibilitá; il
pensiero lo lascia a bocea aperta (608 D 3-6). Da parte sua, la
reazione di Glaucone deve stupire il lettore: é credibile che un in-
terlocutore che ha sentito «p iü v o lte » la fondamentale distinzio-
ne ontologica fra Idea e singóla cosa, e anche che secondo So
crate la méta piü alta della conoscenza é l’ Idea del Bene (t8 ea
tou áyaGoú), non abbia mai sentito parlare proprio della fede
nell’immortalitá? Platone ha qui accettato un contrasto da non
prendere alia Ieggera 125, solo per far prendere coscienza al letto-
re del fatto che il teorema delle «p a r ti» dell’ anima non dice nien-
te sul loro status ontologico. Per Socrate il non poter descrivere
questo status sarebbe stato quasi come il compiere un’ingiusti-
z ia 126: la risposta «giu sta » alia domanda sulla giustizia richiede
non solo la considerazione della struttura tricotomica dell’ ani
ma, ma anche quelladeirim m ortalitá.
Questo viene ora recuperato, ma i due teoremi rimangono per il
momento separati. Socrate inizia a spiegare in che rapporto essi
stiano soltanto alla fine della prova dell’ immortalité.
N on dobbiamo pensare, egli dice (611 B 1 ss.), che l’ anima sia,
per sua vera natura, varia, irregolare e piena di contrasti. Cosi
come l ’ anima si è mostrata « o r a » a noi, ossia come un qualcosa
di composto, e inoltre che non dispone della composizione mi-
gliore, non può essere facilmente non soggetta a caducità. D ’ al-
tra parte, la sua immortalité è assicurata dalla prova appena ad-
dotta, come anche da altre prove, Si deve, perianto, osservarla
cosi come essa è realmente, non deformata dalla comunanza con
il corpo. Si scoprirà, allora, che essa è qualcosa di gran lunga più
bello e «s i conosceranno giustizie, e ingiustizie e tutto quello di
cui abbiamo discusso, in m odo più chiaro» (C 4-5). Certo, anche
quello che « o r a » è stato detto di lei è vero; solo che noi l’ abbiamo
osservato in una condizione di deformità, con ogni tipo di ag-
giunte estranee, che ne ha reso irriconoscibile la «vecchia natu
r a » (xrjv àp%atav çúaiv, D 2). Si deve, invece, guardare alla sua
«filo s o fía », alla sua parentela col divino e con l ’ eterno, e pensare
a come sarebbe, se seguisse completamente l ’ eterno e potesse get-
tare via tut te le aggiunte estranee alla sua natura (611 E 1 - 612 À
3). Solo allora, si vedrebbe la sua vera natura, se è sempïice o
molteplice; « o r a » , invece, la sorte che soffre e la forma che assu
me ( 7ta 0 r| T£ xaï elSr}) nella vita dell’uomo sono State discusse a
sufficienza (612 A 3 -6 )12T.
piú alto dell’ apprendimento, quale é stata fornita da Socrate. Tuttavia, dal m o
mento che Platone non accennamai ad una differenza significativa del livello di co-
noscenza filosofica dei due fratelli, il passo puo essere considerato in questa sede.
126 A lia domanda di Glaucone, se egli possa, dunque, mostrare Timmortalitä,
questi risponde zi ¡Jirj á8ix¿3 yz, 608 D 7.
127 In Unsterblichkeit und Trichotom ie der Seele im zehnten Buch der Politeia,
«Ph ronesis», 21 (1976), pp. 31-58, ho discusso in modo esteso il linguaggio e i ragio-
namenti di questo passo. La presente interpretazione riprende questo mio lavoro
precedente e lo integra; posso essere piú sintético, in questa sede, per quanto riguar-
da i passi platonici di conferma e, soprättutto, la discussione delle altre interpre-
tazioni.
408 « L A REPUBBLICA»
131 Friedländer, Pla ton , III, pp. 104 s.; R .C. Cross - A .D . W oozley, P la to's Repu
blic, A Philosophical Commentary, London 1964, pp. 112-115 e 200; Gigon, G e
genwärtigkeit und U top ie..., pp. 502-505, hanno o fferto spiegazioni oggettivamen-
te insufficienti di 435 C D - 504 A B, senza considerare 611 B - 612 A . W ilamowitz,
P la ton , II, pp. 218- 220 ha si trattato 611 B ss. di seguito ai due passi sulla via più
lunga, perö, come lui stesso dice, «in m odo indipendente da questi». Cosi egli è
giunto alla conclusione sorprendente ehe il rapporto fra quei passi «n on è profon-
d o » (p. 220 ).
132 L ’ opinio ne secondo la quale Platone avrebbe voluto tenere aperta la questione
delle parti delPanima è m otivata male; questa interpretazione trascura, fra 1’ altro,
anche il no categorico, posto all’inizio del capitolo, riguardo al m odo di vedere le
cose sin qui seguito (611 B 1. C fr. «Ph ronesis», 21 [1976], pp. 41 s.).
410 « L A REPUBBLICA»
144 Prin cip alm en te si tratta del fa tto che sonó state trascurate le seguenti semplici
rególe fon d am en tali d e ll’ interpretazione, com e sem pre avviene quando si tratta di
passi in cui P la to n e si trattiene dal parlare di certe cose: 1) puntellam ento del giudi-
zio in base a tu tto il m ateriale rilevante, 2) esclusione di ab b reviazion i tendenziöse
nelle citazioni testuali, 3) distinzione fra la presentazione e l ’ in terpretazione del te
sto (in particolare nelle trad u zion i), 4) utilizzazion é dei punti di vista messi a dispo-
sizione d a ll’ autore stesso prim a e separatam ente d all’ im p iego di punti di vista pér-
sonali d e ll’ interprete.. — F orn isco una p iccola selezione di intepretazion i che con-
travven gon o ad una o piu, qu an do non di rado anche a tutte, le rególe fon dam en ta
li: W ila m o w itz, Platon, II, pp. 218-220; Friedlän der, Pla ton , I, p. 157, I I I , pp. 104
s., 119; C ro s s-W o o zle y, P la to ’s Republic, pp. 112-115, 200 s.; B loon i, Interpretati
ve Essay (in: The Republic o f Pla to, 1968), p. 435; Ebert, M einung und Wissen...,
pp. 133, 139, 160; G uthrie, A H istory..., IV , pp. 474,475 s., 505, 512, 519, 556 s.,
V , 434; G . W atso n , P la to ’s Unwritten Teaching, D ublin 1^973, p. 55; G igo n , Ge
genwärtigkeit und Utopie, pp. 502-505; H .-G . G adam er, D ie ldee des Guten zwi
schen P la to und Aristoteles , H eid elb erg 1978, p. 53; J. Annas, A n Introduction to
P la to ’s Republic, O x fo rd 1981, pp. 244, 346; W ielan d, Pla ton ..., pp. 48, 197. — A
pro p o sito di W ila m o w itz, Friedländer, G igo n , cfr. sopra, n ota 131; a p ro p o sito di
W iela n d c fr. sopra, note 89 e 109; a p ro p o sito di Ebert, cfr. sopra, note 89 e 90.
C fr. anche le m ie recensioni in «G ö ttin gis c h e G elehrte A n z e ig e n », 230 (1978), pp.
13*26 (d i E bert e W a tso n ) e « G n o m o n » , 52 (1980), pp. 290-293 (su G adam er). —
N o n é senza sórridere che si legge la ingenua assicurazione di G igo n secondo il qua
le P lato n e avrebbe «tr a t t a t o » nei passi in cui egli si trattiene dal parlare 435 C e 503
E ss., « in m o d o trop p o fretto lo so un m o tiv o scenico sign ificativo e carino [j/c/]»
( Gegenwärtigkeit und U topie, p. 504). D o vreb b e orm ai essere risultato chiaramen-
te chi se n ’ é occupato « in m o d o fr e tto lo s o », se P lato n e, con i suoi m o tivi struttu-
ranti, o la m odern a ricerca testuale platónica. — D i gran lunga superiore agli studi
citati é la spiegazione, relativam ente non tendenziosa e un p o ’ m eno incom pleta,
che ci o ffr e A d a m nel suo com m en to ai passi rilevanti; m a, dal m om en to che A d a m
non ha c oito P in tim o collegam en to c o l m o tiv o della costrizione, anche a lui é sfug-
gita la fun zion e strutturante e l ’ unitá piu p ro fo n d a di questo com plesso. Fra gli in
terpret! che hanno riconosciu to la fo rm a esoterica del filo s o fa re p laton ico e hanno
cercato di interpretarlo, é soprattutto H .J . K räm er che ha valutato da sempre in
m o d o corretto il sign ificato dei passi in cui P laton e si trattiene dal parlare (cfr. giá
A P A 24, pp. 389 ss., 484-6, p oi in «M u se u m H e lve tic u m », 21 [1964], pp. 154-6;
« A r c h iv für Geschichte der P h ilo s o p h ie », 51 [1969], p. 23, n ota 67; in A A . V V . ,
Idee und Zahl, H eid elb erg 1978, p. 128); in Platone e i fondam enti della metafísi
ca, M ila n o 1982, pp. 358-369, K räm er ha p oi rip ortato una serie di passi fo n d a
m entali, riuniti non secondo il punto di vista della struttura del d ialo go , m a secon
d o qu ello dei rim andi in essi contenuti alia teoría non scritta dei P r in c ip i..
NON FARSI SCAPPARE IL FILOSOFO 415
1 Platons Werke von F. Schleiermacher, Ersten Theiles erster Band, Berlin 1804 (3.
Au flage Berlin 1855 ; citeremo, in seguito, da questa edizione). Einleitung: pp. 5-36. (Ri-
stampa della Einleitung in K. Gaiser [curatore], Das Platonbild. Zehn Beiträge zum Pla
tonverständnis, Hildesheim 1969, pp. 1-32). Una p rofon da critica dell’ impostazione
schleiermacheriana é stata condotta da H .J. Krämer, Arete bei Platon und Aristoteles,
giä piü volte citato, pp. 17 ss. Le osservazioni seguenti devono m olto a Krämer per
quanto riguarda i fondamenti, singolarmente esse sono state scritte consapevolmente
senza considerare e confrontare continuamente i suoi argomenti. L a seconda discussione
di Krämer sulla teoría di Schleiermacher, comprendente la storia della filosofía, e fonda-
mentale dal punto di vista sistemático (Platone e i fondamenti della metafísica, M ilano
1982, pp. 31-149), non era ancora disponibile all’ época della stesura di questa esposizio-
ne (estate 1979).
2 «M o d e r n o » significa, in questa sede, niente di piü di «n o n an tico». Invece di «teoría
moderna del d ialo go » verrá impiegata anche la designazione di «teo ría della form a del
d ia lo go », in quanto si tratta essenzialmente delle possibilitá ermeneutiche della forma
del dialogo (com e form a di comunicazione indiretta).
3 II tentativo compiuto da E .N . Tigerstedt, The Decline and Fall o f the Neoplatonic in
terpretation o f Plato, Helsinki 1974, di minimizzare l ’ importanza di Schleiermacher
(cfr. in particolare pp. 5 s.), non si puö considerare riuscito. Nonostante la stupefacente
quantitá di materiale, Tigerstedt non ha addotto nemmeno una singóla citazione a soste-
gno del fatto che la diffusione della valutazione schleiermacheriana del dialogo platóni
co potrebbe dimostrarsi come precedente al 1804; analogamente manca una prova del
fatto che prima di Schleiermacher l’ esoterica platónica sia stata negata dalla maggioran-
za degli studiosi (il materiale prodotto dimostra piuttosto il contrario; cfr. la mia recen-
sione «Göttingische Gelehrte A n zeigen », 230 [1978], pp. 33-37, in particolare p. 36). —
C on nuove form e di impostazione schleiermacheriana mi riferisco, fra gli altri, a Ebert,
424 APPENDICE I
(1)
A Platone importa provocare nel lettore un movimento vivo di pensiero e
sviluppare la sua autonomía di pensiero; a questo scopo egli eselude la co-
municazione diretta di contenuti di sapere; gli scritti che impongono al let
tore conoscenze pronte in form a sistemática non lasciano libero il suo spi-
rito; Platone chiama questi scritti «trattati» o «scritti sistematici» (si vuole
rendere in questo modo il termine greco aúyypa^fjia); ma i dialoghi non
sono trattati sistematici; e, perció, non implicano Ferrore, che é proprio di
quelli, di conquistare e incatenare lo spirito, e, cosi facendo, di generare
una sapienza che é mera opinione (8 0^0009 ía); essi, anzi, lo mantengono
aperto e in movimento, e possono, cosi, trasmettere un «sapere» vivo, una
vera conoscenza filosófica; poiché questo é lo scopo di Platone, la forma
del dialogo é, per lui, Púnica forma di esposizione possibile; perianto, per
lui, questa é necessaria.
( 2)
Per molti interpreti la forma del dialogo é necessaria anche per un altro
aspetto, ancora piü importante: la veritá, su cui si incentra I’ interesse della
comunicazione filosófica, in quanto infinita, non é di quel tipo che la lin-
gua, la quale tende al finito, possa cogliere. Resta quindi solo Pavvicina-
mento per allusioni a ció che direttamente non é dicibile. La forma di rap-
presentazione indiretta é, dunque, una conseguenza che deriva dall’essen-
za dellinguaggio.
(3)
(4)
II dialogo, che mostra uomini che filosofano Puno con Paltro, possiede
anche la capacitá di realizzare la reciprocitá, come tratto fondamentale del
filosofare, nel rapporto con il lettore. La stimolazione del pensiero va di
426 APPENDICE I
(5)
I mezzi con cui il dialogo tiene vivo e aperto il pensiero, sono quelli
delia comunicazione indiretta, e precisamente: il guidare nell’ aporia,
dietro cui si cela, accennata, la soluzione; il gioco con apparenti con-
traddizioni; ma, soprattutto, il nascondere ironicamente dietro un velo
ció che si intende. In Platone tutto è avvolto dalPironia, ma lo è, in
modo particolare, la cosa piü è importante, che è la meno idónea ad es-
sere espressa mediante la comunicazione diretta. (Una linea piü recente
della teoria del dialogo fa i conti non solo con le contraddizioni appá-
renti, ma anche con quelle effettive, che Platone avrebbe introdotto ap-
posta, come anche con altre «insufficienze logiche», tra cuí «dimostra-
zioni insufficienti realizzate con presupposti ottenuti con l’inganno, as-
siomi discutibili, analogie errate, considerazioni contrarie alia veritá o
addirittura senza senso, deduzioni scorrette, che rasentano d’un pelo
Pessenza della cosa» [R o lo ff, p. 22]).
(6)
(7)
(8)
II secondo strato del dialogo, che è quello decisivo, è adatto e destinato a
dire tutto: benché non tutto sia esprimibile in una comunicazione diretta,
la comunicazione indiretta rivolta a chi deve capire non tralascia niente di
quello che è necessário per comprendere perfeitamente la cosa. La forma
del dialogo sostituisce una filosofia esoterica (órale) che porta oltre lo
scritto, poiché esso svolge e attua meglio e in modo piü duraturo il compi
to di quella, ossia la non rivelazione della conoscenza filosófica nei con-
fronti delle persone non adatte e la comunicazione a quelle adatte.
Nella teoria del dialogo che abbiamo schizzato sono dette molte cose giu-
ste e importanti. Nessuno vorrá negare agli scritti platonici una forza
straordinaria di stimolo al pensare autonomo, nessuno vorrá mettere in
dubbio che il dialogo (talvolta) corre su due piani paralleli, nessuno puó
negare 1’imp or tanza dell’ironia e dell’aporetica per il contenuto.
Pero le cose giuste sono legate in modo cosi sottile a quelle sbagliate e su
bordinate in modo cosi suggestivo ad uno scopo scorretto che non é facile
separare súbito gli elementi platonici dalle trasfigurazioni di provenienza
estranea e capire nel suo complesso ció che di non-platonico contiene que-
sta teoria. Per evitare malintesi sottolineamo giá ora che non si tratta di ri-
nunciare alie conquiste della teoria della forma del dialogo — sono ben
lontano dalPingiungere di leggere in futuro i dialoghi non piü come dialo-
ghi, ma, ad esempio, come trattati sistematici (lo mostrano in modo abba-
stanza chiaro, spero, le mié analisi). Si tratta, anzi, di provare che, fin dal-
l ’inizio, la linea della tradizione interpretativa di Plat one che fa capo a
Schleiermacher — ed é questa la linea oggi per lo piü dominante — ha
428 APPENDICE I
(1)
Alia radice della teoría della forma del dialogo sta la convinzione che Pla
tone, riconoscendo i difetti principali della scrittura e criticaridoli, si pre-
figgesse, nel medesimo tempo, di superare questi stessi difetti nei suoi pro-
pri scritti.
Questa finalitá non sarebbe conciliabile con la critica della scrittura che
viene presentata nel Fedro. Essa collocherebbe Platone alio stesso livello
del non-filosofo o del mero auyypa9 &ú?.
( 2)
(3)
5 Le dieci tesi non sono coordinate ognuna ad un paragrafo della relazione sulla teoria
della form a del dialogo (cfr. sopra, pp. 425-427).
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 429
(4)
La teoria della forma del dialogo produce una ingenua mistificazione del
dialogo che risulta caratterizzata dalla fuga verso mere metafore.
(5)
La teoria della forma del dialogo deve far passare per pregi specifici del
dialogo tratti non specifici che sono propri di una gran quantitá di forme
di espressione scritta.
(6)
La selettivitá abituale delPinterpretazione dei testi indica le debolezze della
teoria.
(7)
Per Schleiermacher all’ origine della teoría della forma del dialogo stava la
sua avversione per un’ «esoterica» fraintesa, e la sua quasi totale ignoranza
delle testímonianze storiche sulla filosofía órale di Platone. Ancora oggi
quest’ origine polémica é viva. La decisione a priori di eliminare r«eso téri
ca» precede l ’ apparato dottrinario che si ripromette di eliminarla.
( 8)
(9)
( 10)
La lotta della teoria della forma dei dialogo contro una filosofia orale di
Platone che va oltre i dialoghi nel contenuto, è vana: la sua supposizione
per cui 1’utilizzazione della forma di comunicazione indiretta nelP opera
430 APPENDICE I
( 1)
II fatto che questa supposizione circa lo scopo perseguito da Platone costi-
tuisca il nucleo in cui e gia predisposto tutto il resto, e che essa non sia
nient’ altro che una supposizione che pare a noi oggi troppo plausibile, non
e mai stato esposto in modo piu chiaro di come avvenga nella esposizione
della teoria moderna del dialogo che e sempre la piu rilevante e la piu de-
gna di essere letta, ossia la Introduzione di Schleiermacher.
«Poiche, dunque, nonostante queste lamentele (scil.: sull’esito positivo in-
certo della comunicazione della conoscenza filosofica per mezzo della
scrittura), Platone ha scritto veramente tanto dalla giovane eta fino all’eta
piu avanzata: ebbene, e di conseguenza ovvio che egli deve necessariamen-
te aver cercato di rendere Pinsegnamento scritto il piu possibile simile a
quello migliore (scil.: orale), e deve necessariamente anche essere riuscito»
( Introduzione, p. 15).
E opportuno richiamare alia mente separatamente le due affermazioni di
questa frase. Primo: lo scopo di Platone era Pavvicinamento del dialogo
scritto all’ insegnamento orale. Secondo: egli ha anche raggiunto questo
scopo.
L ’avvicinamento della scrittura al dialogo non riguarda affatto, per
Schleiermacher, solo la mimesis della forma dialogica 6, bensi soprattutto
la capacity di mettere in moto «0 pensiero come attivita autonoma», e
dunque la qualita maieutica, ossia destinata a risvegliare la conoscenza,
della scrittura. Solo cosi si pud capire la misura in cui la frase citata costi-
tuisca il fondamento di tutto il resto, tanto in positivo quanto in negativo.
Poiche Platone non riconosce alia scrittura la capacita di trasmettere una
conoscenza sicura, e cioe una conoscenza compresa come se la si fosse ot-
tenuta di persona, mentre Pavvicinamento supposto degli scritti platonici
al filosofare orale presuppone proprio questa capacita, la teoria della for*
ma del dialogo deve preoccuparsi di spiegare positivamente come la scrit
tura possa sviluppare delle prestazioni che non le competono: percio, alia
considerazione di quello che Platone «deve aver cercato di fare» con i suoi
6 «P ero questa forma (quella dialogica) non esaurisce affatto la totalitá del suo meto-
d o » (Einleitung, pp. 15 s.). Non si discute il fatto, non problemático, che Pimitazione
della forma del dialogo fa apparire la trattazione piü vivace e che a Platone importasse
questo effetto. L ’ adeguamento formale-mimetico deílo scritto al dialogo non supera,
pero, mai i confini di un puro e semplice efóoAov delio stesso. Sia che questo adegua-
mento abbia luogo, sia che non l’ abbia, permane la debolezza del Xóyo<;
Schleiermacher se ne é accorto e ha postúlalo, di conseguenza, un adeguamento funzio-
nale, e non solo formale.
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 431
i Einleitung, p. 16. Le cose piü imporfanti di questo elenco sono citate sotto, p. 437.
8 Non viene esposto in modo palese solamente il punto speculativo decisivo con cui
Schleiermacher intende sottrarsi al riconoscimento di una filosofia orale di Platone. Ri-
sultano, invece, fin troppo chiare l ’intenzione polemica e la sua funzione di ostacolo alla
conoscenza, cfr. sotto, tesi 7 e 8 .
9 E molto chiaro anche Chr. A . Brandis, Handbuch der Geschichte der griechisch-römi
schen Philosophie, Berlin 1835- 1860, II 1, p. 159 (rtello stesso contesto e richiamandosi
a Schleiermacher): «s o lo presupponendo una tale intenzione...».
10 Schleiermacher intendeva la sua teoria del dialogo come un’esegesi della parte con-
clusiva del Fedro : Einleitung, pp. 14 s., 29.
432 APPENDICE I
to, inteso come equivalenza11 — viene escluso dalla essenzialitá della criti
ca di Platone alia ypoccpT), alia scrittura in quanto tale.
La fede schleiermacheriana nella idéntica dignitá raggiunta nella forma
del dialogo, da parte dello scritto, con il parlato non si mostra soltanto la
dove si annuncia, in una formulazione generale, un «superamento» del li
bro a dialogo-e-libro (Friedlánder, I, p. 177) o in una «elim inazione» dei
difetti della scrittura (Ebert, p. 3 1 )12, bensi ovunque vengono attribuiti al
dialogo gli strumenti di cui dispone il filosofo che filosofa oralmente, cioé
la capacita di decidere liberamente se rispondere o no (si vedano a questo
proposito, sotto, i punti 4 e 5). Senza impegnarsi con il successo di Platone
nella realizzazione di uno scopo che si presume evidente, Schleiermacher e
i suoi successori avrebbero dovuto verificare, avvalendosi del testo fonda-
mentale sulla scrittura di Platone, se esso ammetta un tale scopo. Avreb
bero dovuto riconoscere che il Fedro classifica come un non-filosofo pro-
prio colui per il quale scrittura e parola possono essere uguali, e perció co-
lui la cui esposizione órale non porta alia luce «cose di maggior valore»
(TijXKÓT&pa) rispetto al suo scritto.
Attribuire a Platone lo scopo di voler raggiungere le sue cose dette a voce
con le cose messe per iscritto e attestargli un successo grandioso in questo
scopo, significa svalutare il suo «soccorso» filosofico, prima ancora di
metterlo alia prova, e collocarlo alio stesso livello di uno scrittore di di
scor si (Xóytov auYYpacpeús),
(2)
>1 È vero che Paffermazione di Schleiermacher, secondo la quale Platone avrebbe volu-
to rendere Pinsegnamento scritto «quanto piü possibile simile» a quello orale, suona co
me una Jimitazione. Troviamo formulazioni simili in numerosi autori della forma del
dialogo (ad esempio Brandis, Handbuch ..., II 1, p. 151; Friedländer, Platon , I, p. 177;
Klein, A Commentary ..., p. 17; K. von Fritz, Schriften zur griechischen Logik , Stutt
gart 1978,1, p. 204). Ma finché non emerge la domanda decisiva su dove siano posti i li-
miti di principio delPadeguamento, non abbiamo motivo di vedere in queste espressioni
qualcosa di piü che urbane chiacchiere platonizzanti. L ’ingenua sincerità di Meißner e
Watson si distingue beneficamente: essi dichiarano apertamente ehe lo scrivere è supe-
riore al dialogare e non fanno misteri dei fatto ehe essi ritengano essere questa anche Po-
pinione di Platone (Watson, Plato’s Unwritten..., p. 115, cfr. p. 131; Meißner, Der tie
fere L o g o s . passim, in particolare il capitolo dedicato dl Fedro, pp. 70-117).
12 «II dialogo è Punica forma di Iibro che sembra superare il libro stesso», Friedländer,
Platon, I, p. 177; «... il tentativo (di Platone) di cancellare i difetti del discorso scritto
facendo in modo di trasformare il discorso mimetico fra i personaggi dei dialogo in un
mezzo che permette domande e risposte fra Pautore e il lettore», Ebert, Meinung und
Wissen ..., p. 31. Troviamo, inoltre, la supposizione sbagliata sulle intenzioni di Platone
anche in H. Gundert, Der platonische Dialog, Heidelberg 1968, pp. 15 s.; von Fritz,
Schriften ..., I, p. 204; R oloff, Platonische Ironie ..., pp. 27, 32 s. (e passim); Klein,
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 433
A Commentary..., pp. 6 , 17, 20 («U n testo scritto come si deve tenderá a trasformare l’ i-
nevitabile mancanza della scrittura in una leva per Finsegnamento e la comprensione»,
p. 17); Rosen, Plato’s Symposium ..., pp. X V III, X X V; Laborderie, Le dialogue plato
nicien ..., pp. 84 s., 113. J. Mittelstrass, Versuch über den Sokratischen Dialog, in
A A .V V ., Das Gespräch, München 1984 («Poetik und Hermeneutik», 11), p. 23. (Della
Ietteratura meno recente si veda ad esempio Brandis, Handbuch ..., II, 1, p. 151).
13 Cosi Roloff, Platonische Ironie ..., p. 22, considera il «tralasciare proprio quello che
importa» come uno dei mezzi del método della comunicazione indiretta da lui definito
«ironia II». Riferito al nostro problema, questo significherebbe che la comunicazione
indiretta impiega i mezzi suoi propri esaîtamente nella descrizione di se stessa — si dà
per scontato che il Fedro descriva la comunicazione indiretta — , e che, perianto, essa
sia costretta a tralasciare proprio l’essenziale. In questo senso R oloff può perciô, poi,
ammettere che la «via dell’ allusione», decisiva secondo la sua concezione, nel Fedro non
è indicata — è, piü precisamente, «taciuta» (p. 30), cosa che, però, evidentemente, fa so
lo parte dell’incompletezza costiíutiva dell’ allusione. Analogamente Meißner, Der tiefe
re Logos..., p. 203, respinge la possibile obiezione che la sua interpretazione « logo lógi
ca» della similitudine del sole non è difesa dal punto di vista linguistico, avvertendo che
non si deve «pretendere una misura di chiarezza alla quale Platone, con le sue convinzio-
ni, non può essere disposto». Si vede facilmente come, con questo método, si puó mo
strare semplicemente qualunque pensiero come parte integrante del testo: si deve solo as-
sicurare che a Platone importava «tacere» appunto quel pensiero e già risulta evidente
che egli, proprio grazie alia assenza di quest’ultimo, ne annuncia con voce tanto più alta
la presenza. (11 método ricorda quella seena di una commedia fran cese di spiriti, in cui,
durante la caccia all’uomö invisibile, si apre una porta, non compare nessuno, ma si ode
una voce che dice: «Sono l’uomo invisibile. Se qualcuno dovesse chiedere di me, potete
tranquillamente dire che non mi avete visto». E la porta si richiude,).
434 APPENDICE I
indica tutto cio che e scritto, purche non in linguaggio legato alia metrica.
Nello stesso Platone e spesso documentato, in modo chiaro, questo signi-
ficato consueto di auyypafjiijta come «scritto in prosa», e una volta il termi-
ne include anche la poesia (.Leggi, 858 C 10): la tendenza che si riscontra e
quella di un’ estensione dell’area concettuale. Non e mai attestata, invece,
ne prima ne dopo Platone, una limitazione del termine che ne faccia un
concetto opposto a «d ia lo g o » 15.
La Lettera I I (pseudo) platonica mostra che e possibile riferirsi in greco, in
modo del tutto ovvio, ai dialoghi come a auyYpoc^iJLaTa; essa cerca di am-
morbidire Taffermazione della Lettera VII secondo cui non esiste nessun
auyypafjifxa di Platone sulle cose per lui piu serie, spiegando che quello che
ora si chiama cosi — cioe le cose che ora si chiamano nXaxajvo? au-p-paM-'
¡xaxa — , appartiene a un Socrate risorto i6.
Nessuno avrebbe fatto ricorso a questa strana spiegazione, se la lingua
greca avesse consentito l’ alternativa per cui i dialoghi non sono au'ffpafx*
¡xara. Tra gli autori che chiamano i dialoghi direttamente ai>YYpa[ji|i.aTOc ci
sono, oltre al ben informato Diogene Laerzio, anche dotti come Temist;o
e Proclo 17, per i quali si pud supporre che avrebbero saputo delPesistenza
di eventuali obiezioni a questa denominazione nella precedente letteratura
su Platone e ne avrebbero tenuto conto.
L*interpretazione di Platone del secolo X X , salvo poche eccezioni18, ha
accettato l ’ingannevole spiegazione di auYTPa(JLtJLa e ne ha fatto un pilastro
angolare della propria interpretazione del carattere della scrittura di Plato
ne. Se ne sono appropriati tanto i filologi quanto i filosofi; tra i suoi soste-
nitori troviamo anche nomi conosciuti quali K. Jaspers, I. During, H .G .
Gadamer, W .K .C . Guthrie19.
>5 Le testimonianze sul aúyypu.\L[La fino a Platone sono apórtate nell’ Appendice II.
16 Lettera II, 314 C .
17 Cfr. sotto, Appendice II, pp. 466 s.
is Fra questi W . Jaeger, Studien zur Entwicklungsgeschichte der aristotelischen Meta
physik, Berlin 1912, p. 146, nota 3; Stenzel, Kleine Schriften..., p. 46 (Stenzel riferisce le
osservazioni di Platone nel Politico a proposito della variabilita delle determinazioni dei
propri auyypáy.¡j.ai<x — il termine in 300 A 1, C 1 e spesso — alia Repubblica mostrando
cosi che per Platone la sua opera principaie era un itoXmxóv o ú yypa(i.(Jia); Krämer,
«Museum Helveticum», 21 (1964), p. 144 e nota 17.
>9 Nel capitolo che Karl Jaspers, Die großen Philosophen, 1, München 1959, pp. 234-
318, dedica a Platone, la condanna dello «scritto didattico» ovvero del «discorso didat-
tico» svolge un ruoio importante (ad esempio pp. 260, 261, 266 s.). I. Düring, Aristote
les, Heidelberg 1966, p. 109, nota 408, cita come parole di Platone (rimandando a P e
dro, 275 C; Lettera VII, 341 C D): «N on ho mai scritto libri didattici». Gadamer, D ie
Idee des Guten ..., p. 60, oppone la «mimesis di dialoghi veri» ai «trattati teoretici». Gu
thrie, A History ..., IV, p. 65 e V, p. 411: non esiste nessun «trattato ( syngramma o te-
chne)y> di Platone, la Repubblica non é un oúyypa|j.fjia. Análogamente si sono espressi
— scegliamo alcuni nomi a caso, ma 1’ elenco potrebbe comprenderne ancora molti altri
— Hackforth, Plato’s Phaedrus ..., p. 163 («un manuale della sua dottrina»); I.M .
Crombie, A n Examination o f Plato’s Doctrines I, London 1962, p. 18 («trattato siste
mático»); N .P. White,^ Plato on Knowledge and Reality, Indianapolis 1975, pp. 207 s.
(opposizione «dialogo - trattato»): Friedländer, Platon, I, 19643, pp. 118 - 120; H.
436 APPENDICE 1
Gundert, Dialog und Dialektik, Amsterdam 1971, p. 5; R. Thurnher, Der Siebte Platon
brief, Meisenheim 1975, p. 94 («com pendio»); E. Schmalzriedt, Platon. Der Schriftstel
ler und die Wahrheit, München 1969, pp. 16 e 358 nota 14; Roloff, Platonische Ironie
..., p. 29. Wieland, Platon ..., p. 36 («trattato»), - Meißner, Der tiefere Logos ..., p.
121 , inventa un nuovo significato particolare di auyypa|j,[jia: «trattazione aperta, com-
prensibileatutti».
20 Meißner si spinge, qui, piü lontano di tutti; egli e costretto dalla sua teoria del «logos
piü profondo» a escogitare proprio per ogni asserzione di Platone una interpretazione
che dovrebbe essere quella che, di fatto, Platone aveva in mente, mentre il significato co-
munemente accettato costituirebbe solo il «logos superficiale», concepito da Platone per
trarre in inganno e sviare le persone non adatte. Diamo solo alcuni esempi: il seminare
«serio» e quello «scherzoso», nel Fedro, non significherebbero il filosofare orale e quel-
lo scritto, bensi due «liv e lli» del dialogo scritto {Der tiefere Logos..., p. 76); infatti «non
e il logos orale del discorso . ..ad essere.. .vivo», nel senso di Fedro, 276 A , bensi il «logos
che sta sullo sfondo» nello scritto (p. 87). II termine Sia^eyedOai non mira, secondo
Meißner, «a i discorsi orali» (p. 187), quanto «ad una specie di “ dialogo a due” con il te-
sto» (p. 116), «per cosi dire ad un dialogo con il testo» (p. 216), e la dialettica non e af-
fatto il metodo del pensare filosofico, come si e pensato fino ad ora, bensi «il metodo
della apertura del testo platonico» (p. 193). ouvouoia e au£fjv ( Lettera VII, 341 C) non si-
gnificano lo stare in comune e il vivere in comune riferito a persone, bensi quello riferito
al lettore con il testo (pp. 123, 125). otiaia significa, nella Lettera V II , 344 B, «quello di
cui si parla» (pp. 153 s.), nella Repubblica, 509 B, invece, significa «Pessere presente nel
LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 437
(3)
Poiché la comunicazione indiretta è «una conseguenza naturale dei pensie-
ri di Platone sulla comunicazione filosofica», essa deve essere «riscontra-
bile ovunque, per tutta Tampiezza in cui si estende». Questo pensiero —
reso, qui, nella formulazione datagli da Schleiermacher ( Introduzione, p.
29) — risulta vincolante per chi si fonda sulla supposizione fondamentale
discussa sopra al punto primo. Le «a r ti» o strumenti di rappresentazione
che costituiscono in dettaglio la «vera forma platônica» nel senso delia
teoria moderna dei dialogo, vengono letti in modo palese nei primi dialo
ghi aporetici; essi consistono «nel fatto che la fine deH’esame non ... viene
messa per iscritto letteralmente», che « si intesse un enigma, basandosi
sulle contraddizioni, la cui única soluzione possibile è data dal pensiero
che l’autore si era proposto», che «spesso viene gettato via qualche accen-
no in modo stranissimo e casuale», o nel fatto che « I ’ esame vero e proprio
(viene) ... coperto come da una pelle aggiuntiva che ... nasconde proprio
quello a cui si deve fare attenzione o che deve essere trovato», inoltre nel
fatto che un tutto «viene accennato da tratti slegati» (Schleiermacher, In-
troduzione, p. 16) 21.
logos platonico» (p. 203), Ttoaáiá significa in realíá 7iatSe.ía (p. 93), gli strumenti mnemo-
nici dell’etá avanzata sono quelli dell’infanzia nell’ altra vita del filosofo (sie: p. 103).
újuóôeaiç Índica per Meißner «quello che sottostà» al senso «superficiale» fuorvianíe det
testo (sic: pp. 188 s.). — Avrei rinunciato a comunicare queste strane testimonianze di
una ingeniositá mal gestita se Meißner non fosse, fra i rappresentanti della teoria della
forma del dialogo, quello che finora si è preoccupato, nel modo piü conseguente e piü
sincero, di interpretare i testi fondamentali fin nelle piü riposte particolarità linguistiche.
Questo conferisce al suo caso il valore di un esempio: fondandosi su questa teoria, resta
ño solo due possibili scelte: o rifugiarsi nella selettivitá, o scivolare in ipotesi fuorvianti.
Cfr. sotto, a proposito della tesi 6 .
21 Si è mostrato sopra, p. 59 (e note 5 e 6) , come, anche partendo dalla definizione del-
I’ esposizione scritta come «immagine» di quella orale (Fedro, 276 A 9), non si possa ri-
cavare nessun accenno ad una forma di «rappresentazione per immagine» necessaria
mente dialogico-indiretta, e, di conseguenza, nemmeno una teoria del dialogo. — A pro
posito dell’ «apertura» dei logo i socratici (Simposio, 221 D - 222 A ) cfr. sopra, pp. 350 s.
e nota 49.
11 Schleiermacher, Einleitung, pp. 29-30, ha ampliato ancora una volta, con qualche
dettaglio in piü, ¡’ elenco di queste «a rti», ma senza aggiungervi qualcosa di fondamen-
438 APPENDICE I
talmente nuovo. L ’ elenco dei mezzi dell’«allusione indiretta» proposto da Zeller, Die
Philos. d. Griechen..., II, 1, p. 487, si ricollega chiaramente a Schleiermacher; cfr. an-
che Brandis, Handbuch..., II, 1, p. 159. Elenchi analoghi, anche se meno azzeccati, nel
la ktteratura piü recente, ad esempio in Rosen, Plato's Symposium, p. X V III; Roloff,
Platonische Ironie, p. 22.
23 Platone stesso dice che le dottrine dell’anima e della virtü nella Repubblica andreb-
bero fondate ulteriormente, richiamandosi ai Principi della dialettica platonica (cfr. so
pra, pp. 406 ss.). Rimproverare al dialogo un’incompletezza in questo senso e, perciö,
cosa ben diversa dal dichiarare che, al livello di fondazione qui scelto da Platone, quello
che ci troviamo di fronte e, in se, non coerente.
24 Friedländer, Platon, I, p. 134 («Platone non ha voluto che sentissimo il suo io »). Ph.
Merlan, Form and Content in Plato's Philosophy (1947), in: Kleine philosophische
Schriften, Hildesheim/New York 1976, pp. 26-50, passim, in particolare pp. 42-50.
Merlan ritiene autentica la Lettera II, il che gli consente di credere ad un distacco di prin-
cipio da parte di Platone rispetto a tutto quello che seriveva; Platone sarebbe riuscito a
scrivere per 60 anni «eppure a non impegnarsi in prima persona filosoficamente» (p.
LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 439
43); ci lascia nell’ incertezza riguardo a ogni cosa,, e questo impedisce di confondere allu-
sioni e cose a cui si allude (p. 49). — Le idee di Merlan sono state accolte da L. Edelstein
(Platonic Anonymity , «American Journal o f Philology», 83 [1962], pp. 1-22), che ha an
che ricuperato lo slogan della «Platonic Anonym ity» (lo si incontra giá in H. von Stein,
Sieben Bücher zur Geschichte des Platonismus, Göttingen 1864, I, pp. 11 s.). Restando
anonimo, Platone dirige lo sguardo del lettore sulla veritá assoluta Cp. 21); anche Edel
stein ritiene che il lettore sia «prigioniero» della bellezza del mondo letterario dei dialoghi
(ibidem)', il ritenere che ['«anonimitá» dell’ autore serva da «correlativo e correctivo» alia
personalizzazione letteraria della veritá nelle figure del dialogo, che possa, allora, spezza-
re r«incantesimo)> della forma letteraria, fa parte di quella ingenua mistificazione della
forma del dialogo di cui discuteremo diffusamente piü sotto. — A proposito del «silenzio
deO’autore» cfr. Rosen, Plato’s Symposium , pp. X V III s.; inoltre Ebert, Meinung und
Wissen ..., p. 31: «il nascondimento mim etico deU’ autore Piatone sbarra la strada ad una
domanda diretta suü’opinione deU’ autore».
25 Cosi come Soren Kierkegaard ha notoriamente pubblicato numeróse sue opere sotto
un altro nome. Probabilmente Pesempio di Kierkegaard ha inñuito direttamente sui ma-
lintesi a proposito dell’ «anonimitá» di Platone. Le osservazioni di A . MacIntyre a pro
posito del método compositivo di Kierkegaard sono indicative: «Sulla base dei suoi fon-
damenti, egli non puo sperare di generare nei suoi lettori una convinzione puramente in-
tellettuale; tutto quello che puo fare é di porli davanti a delle sceite. Ne segue che egli
non avrebbe dovuto pro vare a presentare una singóla posizione. Questo spiega il método
kierkegaardiano di esporre punti di vista incompatibili in libri diversi e usando pseudo-
nimi differenti per opere che presentavano posizioni differenti. L ’ autore deve nascon-
dersi; deve avere un modo indiretto di accostare le cose» (in: The Encyclopedia o f Philo
sophy, a cura di P. Edwards, New York 1967, IV, p. 337).
440 APPENDICE I
siero (come anche ogni altro pensiero) che io metteró alia prova per verifí
came la veritá, avrá come risposta: in Platone nel tale o nel talaltro passo e
non: in «T im e o » o nelF«Eleate». Cioé, al fatto che l’ espressione di certi
pensieri sia stata pubblicata da Platone in libri che portano il suo nome
spetta, ad un’ osservazione distaccata, la preminenza rispetto all’effetto
dissociante dell’ attribuzione di affermazioni a personaggi del dialogo; so-
prattutto quando non si trascuri che l ’ apparente privatizzazione delle opi-
nioni presentate viene superata dal motivo drammaturgico dell’ omologia,
che diventa sempre piu importante. Socrate porta sia gli awersari sia gli
amici ad essere completamente d’accordo con lui, e tanto piü tempo occor-
re, tanto meglio. Di fronte alia preminenza della domanda sulla veritá la
rappresentazione mimetica di tale accordo non si giustificherebbe, se l ’ au-
tore non scrivesse nella convinzione di rappresentare al tempo stesso l’ ac-
cordo su posizioni su cui persone che pensano ragionevolmente dovrebbero
essere d ’ accordo. Le convinzioni fondamentali di un autore che cerca in
modo cosi chiaro di suscitare simpatía come Platone nel Gorgia, nel Fedo-
ne, neir Apología o nella Repubblica restaño tanto poco nascoste dietro la
sua opera quanto lo sono la religiositá di Eschilo dietro YOrestea o quella di
Sofocle dietro VEdipoRe. Sarebbe del tutto fuori posto chiedersi, neir ám
bito delFaccordo di tutti sulla superioritá della giustizia, alia fine della Re
pubblica, se Platone «stesso» si voglia nascondere anche qui. Se suppones-
simo che egli abbia scelto la forma del dialogo per sottrarsi ad una presa di
posizione «personale» attraverso F«anonim itá», faremmo di Platone una
figura che non meriterebbe quasi piü di essere presa sul serio26.
Piü importante del mantenimento di personaggi immaginari é il fatto che
T apertura aporética e la copertura irónica dei primi dialoghi sulla virtü vie
ne presto sostituita daH’omoIogia esplicita degli interlocutori. Non si puó
interpretare in modo sensato l’ espressione per mezzo di solé dramatisper-
sonae come un nascondersi dell’autore o come comunicazione «indiretta»;
é decisiva, piuttosto, la considerazione dello svolgimento del dialogo. M a il
movimento drammaturgico giá nei dialoghi centrali non finisce nell’ indeci-
sione o nelFambiguitá.
Si sono compiuti anche tentativi di leggere altresi i dialoghi centrali e tardi
in modo consistente come comunicazione indiretta sulPesempio dei primi
26 Nella Lettera V II la cosiddetta frase del re-filosofo, in cui, come é noto, viene con
céntrate Tintero contenuto filosofico della Repubblica, viene trattata direttamente come
espressione della posizione di Platone (326 A B; cfr. 328 C 1). Per chi non dubiti deü’ au-
tenticitá di questo documento, questo dovrebbe offrire la risposta alia domanda su qua-
le sia I’importanza della natura «indiretta» delía forma di comunicazione dialogica nel-
l ’opera principale di Platone: Platone riconosce espressamente il risultato che la mimesis
dell’ omologia filosófica aveva prodotto, come la propria concezione. Ma anche chi ri-
tenga non autentica questa lettera, testimonianza scritta in modo elevato da un uomo
deil’época immediatamente successiva a quella di Platone, concorda con Aristotele e
con Senocrate nel sostenere che, oltre alia filosofía órale di Platone, vanno considérate
come espressione valida delle sue convinzioni anche le frasi concordemente accettate dai
personaggi dei dialoghi.
LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO
27 L ’accettazione da parte della critica ha poi mostrato anche una rara unanimitá fra i
recensori. A proposito di Ebert cfr. K.H. Ilting, «Archiv für Geschichte der Philoso
phie», 58 (1976), pp. 187-189; D. Frede, «Philosophische Rundschau», 24 (1977), pp.
209-215 e la mia recensione «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 13-21; G.
Müller, «G nom on», 49 (1977), pp. 553-561, ha mostrato con grande chiarezza che le in
finite manovre di Platone per ingannare immaginate da R oloff, portano a pure e sempli-
ci banalitä; cfr. inoltre, a proposito di H. Meißner, Der tiefere Logos..., la mia recensio
ne (piuttosto indulgente) in «Gnom on», 52 (1980), pp. 301-304, A proposito della pro
posta di Gadamer circa una «lettura dialettica» dei diaioghi cfr. sotto, nota 72.
2S Cfr. gli elenchi, non troppo distinti cronológicamente, stesi da diversi autori, che
D.Ross, Plato's Theory o f Ideas, p. 2, ha messo insieme. Cfr, anche Guthrie, A History
..., IV, pp. 41-54: Chronology. Perfino Thesleff, Studies..., nonostante qualche devia-
zione originale, resta, nel complesso, di gran lunga piü vicino al consenso del X X secolo
che non alia cronología di Schleiermacher.
29 Schleiermacher credeva di poter stabilire una cronología sicura osservandó la «vera
forma platónica», e, inoltre, di poter distinguere 1’autentico dal falso (Einleitung, p.
29). É una strana ironía della storia della ricerca che un tipo di interpretazione che ha vi
sto naufragare cosi completamente due degli scopi che si prefiggeva — la ricerca della
442 APPENDICE I
(4)
Non ci si è stupiti a sufficienza del tipo di prestazione che il dialogo è chia-
mato a fare in quanto mezzo di diffusione scritta di conoscenza: come il li
bro, che, secondo quanto crede la teoria della forma del dialogo, va oltre il
carattere proprio del libro, il dialogo non parla a tutti indifferentemente,
come altri libri, bensi parla ad alcuni e per altri «ta ce»; esso si «sceglie»
perciò da solo i suoi lettori, mentre gli altri libri vengono scelti dagli acqui-
renti. II dialogo lascia che i dialoghi rappresentati si estendano al lettore,
in cui esso continua a vivere nel discorso a due del lettore con il testo che
nel rapporto vivo attraverso le fasi di comprensione del lettore ñon dice,
come altri scritti, «sempre le stesse cose». Con la sua forma indiretta esso
protegge il lettore dal fraintendimento, dal sapere apparente e dal dogma
tismo, mentre ogni altro tipo di scritto spinge a questo, e si puó «protegge-
re» dagli attacchi sottraendosi, non divulgando il suo senso ai quattro ven-
ti. E, infine, il dialogo comunicherá a colui che ha preservato da fraínten-
dimenti, positivamente, il suo senso come «única soluzione possibile», co
me «ció che si intende chiaramente». Insomma: mentre, secondo Platone,
la scrittura (ypoccpri) è passiva sotto ogni profilo, nel rapporto con il lettore,
il dialogo, secondo la teoría moderna, è attivo sotto ogni profilo nei con
fro n t del ricevente «a d eg u a to »31,
U n ’osservazione piú atienta mostrerá che quello che qui si dice del dialogo
cronologia e dell’ autenticitä degli scritti del corpusplatonicum e stata piü ostacolata che
non facilitata dagli argomenti che si fondano sulla forma del dialogo — abbia ancor og-
gi un credito a causa del suo terzo e fondamentaie obiettivo, ossia Paggiramento del ri-
conoscimento di una filosofia orale di Platone.
30 Cosi, ad esempio, Gadamer parla di una «svolta messa ben in rilievo» dalla negativi-
tä dei dialoghi aporetici alla «penetrante positivitä» della Repubblica (Die Idee des Gu
ten 1978, p. 18), senza sentirsi per questo obbligato ad un uso piü prudente del suo
metodo della «lettura dialettica»: ad esempio, per Gadamer la lettura dialettica della si-
militudine della caverna significa che «rinunciamo a sottometterla ad una interpretazio-
ne scientifico-teoretica» (ibi, p. 47). Cfr. sotto, nota 72.
31 La fede in un testo «a ttivo» del dialogo si trova, espressa globalmente oppure svilup-
pata in molti punti, raramente in tutti, fra gli altri in: Friedländer, Platon, I, p. 177;
Merlan, Kleine philos. Schriften, p. 49; W. Bröcker, Platons Gespräche, Frankfurt 1964
(1967 2), p. 9; Gundert, D er Platon. Dialog, p. 16 (ripreso da Guthrie, A History ..., IV,
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 443
p. 65); Klein, A C o m m e n t a r y pp. 3-31 (in particolare pp. 8 , 13); Rosen, Plato’s Sym
posium ..., pp. X I-X X X V III (in particolare pp. X V III s., X X I, X X V ); Ebert, Meinung
und Wissen pp. 32-35 (in particolare p. 31); R oloff, Platonische Ironie pp. 3-37
(in particolare pp. 5-8, 18, 27-34); Tigerstedt, The Decline and F a l l p. 98; Meißner,
passim (le straordinarie capacitä del libro «a ttivo» sembrano anche a Meißner «un vero
miracolo»; D er tiefere Logos ..., p. 83); Laborderie, L e dialogue platonicien p. 114;
R. Burger, Plato’s Phaedrus. A Defense o f a Philosophic A rt o f Writings, Alabama
1980, p. 91; Ch.L. Griswold, Self-Knowledge in Plato’s Phaedrus, Yale University
Press, 1986, pp. 221- ss.
444 APPENDICE I
In realtà nel «dialogo con il testo» il lettore è solo con se stesso. Il testo de
ve diventare, per lui, mater iale, non puô sostituire la alterità irriducibile
délia spontanéité di un estraneo. L ’uso metaforico delia parola «d ia lo g o »
nasconde la differenza fondamentale dell’ «interlocutore» nel rapporto
con lo scritto e nel rapporto con un interlocutore vivo. Tuttavia nel Fedro
Platone vuole accennare a questa differenza con la sottolineatura del ca-
rattere inerte, fisso, incapace di reagire délia scrittura32.
Metaforico è, allora, anche tutto quello che segue da questa fondamentale
çancellazione delle barriere per quanto concerne le determinazioni del dia
logo: la «capacità» di «tacere» di fronte ad una persona non adatta, di
non dichiarare ai quattro venti cio che si intende veramente, è, in realtà, la
sfortuna, subita passivamente dal dialogo, di essere interpretato a livello
troppo basso; la «capacità» di scegliersi «attivamente» gli interlocutori è,
in realtà, il caso fortunato, non influenzabile, di essere colto da una perso
na che pensa filosoficamente; la «capacità» di proteggersi dagli attacchi
restando nascosto non è una difesa attiva, bensi il giudizio di quel lettore
secondo il quale l ’altro lettore che ha fatto la critica non ha colto Pessen-
ziale; mentre il fatto delPattacco cui l ’ autore del libro non ha risposto re
sta senza possibilita di superamento.
Questa interpretazione metafórica con il Fedro non ha niente a che fare:
infatti nel Fedro si tratta della scelta persónate di un individuo con cui filo
sofare (Xa^wv 7ipoar)xouaav, 276 E ) 33, della scelta filósofico-peda-
gogica, perció, e anche della libertá da parte del «sapiente» di valutare
quando proseguiré il dialogo o quando interromperlo a seconda del gua-
dagno di conoscenze che si aspetta dall’interlocutore, e, ihfine, la capacita
di difendere, secondo una libera valutazione, il proprio scritto da nuove
domande e nuovi argomenti non compresi in esso con delíe nuove risposte
e, perció, di superarlo oralmente. Nel Fedro si tratta, in una parola, della
preminenza del filosofare órale.
II tirare in bailo nei dialoghi aspettative inscindibili e la supposizione, indi-
scussa, che queste aspettative siano senza dubbio esaudite, hanno por tato
adunamistificazione ingenua, adun sogno del libro del dialogo inteso co
me superlibro, come F interlocutore filosofico che guida in modo attivo e
con sicurezza attraverso i secoli. Questa mistificazione é ingenua in due
sensi: da un lato, perché cerca comunque di eludere, in ultima analisi, la
profonda sfiducia che Platone nutriva nella sicurezza e nell’ affidabilitá
della comunicazione filosófica ottenuta per mezzo della scrittura e, in se
condo luogo, perché essa elude la ovvia controprova storica alie sue affer-
mazioni.
Infatti, si puó davvero sostenere che Platone sia stato in grado per mezzo
della forma di comunicazione indiretta di proteggere i suoi pensieri da
equivoci e in particolare da un’ interpretazione dogmatica, e di comunicare
ció che propriamente si intendeva, ma che non era espresso direttamente,
in modo «chiaro»? Secondo una variante estrema portata alie ultime con-
seguenze della teoría della forma del dialogo questa domanda non costi-
tuirebbe un ostacolo: se, ad esempio, il «logos piü profon do» delíe tre si-
militudini della parte centrale della Repubblica — cioé il fatto che esse so-
no similitudini «logolo gich e» e non ontologiche — é stato scoperto solo
nell’ultimo quarto del secolo X X , questo significherebbe solo, a rigore,
che F opera di Platone non avrebbe trovato fino ad oggi nessun lettore
«a d a t t o » 34; la comunicazione indiretta, secondo questa interpretazione,
ha mantenuto per piü di 2300 anni la «capacita» di «tacere» di fronte ai
non-filosofi. M a questo porta di nuovo al solipsismo della teoria della fo r
ma del dialogo pensata fino alie ultime conseguenze, di cui diremo.
Invece per le varianti piü pretenziose dal punto di vista intellettuale, ma
piü moderate, che prendono le mosse da qui, ossia che Platone voleva rag-
giungere, e raggiunse, i suoi scopi «quasi con ciascuno» — cosi pensava
ancora Schleiermacher — o comunque con molti, il risultato storico non
puó essere indifferente. Si dovrá riconoscere onorevolmente che, nella in
terpretazione di Platone, Funanimitá a proposito di ció che non é diretta-
33 Meißner, D er tiefere Logos p. 85, nota 3, tenta di reinterpretare il passo: esso in-
dicherebbe il caso in cui «lo scritto trova un lettore adatto». II che in greco suonerebbe
7r£piTt>X(i>v c|>uxÄ npocrrpcouaT] (con il X6yo<; Y&ypa[i.fjivo<; come soggetto), e non Xaßojv
cJ)UYT)v upoarpcouaav (con ¡1 dialettico come soggetto).
w E Meißner che ha scoperto il logos piü profondo delle similitudini (p. 194).
446 APPENDICE I
35 Cfr. sopra. pp. 438 ss., a proposito delP«anonimita» di Platone, in particolare la ci-
tazione da Ebert (nota 24).
36 II cosiddetto Didaskalikos di Albino (o Alcinoo, II s e c . d.C.) inizia: t ¿ j v Jtu p ta n á -tc o v
nXá-rcL>vo<; Scrf^áxcov -totaú-CT) av t u ; SLöacraaXia yévoixo.
37 Giá Schleiermacher, Einleitung, p. 16, aveva sostenuto che quello che nel dialogo
manca va inteso come «Fuñica soluzione possibile» (come se la comprensione di un dia
logo non fosse altro che la soluzione di un esempio di calcolo). Questa idea, costitutiva
per la teoria, assume un peso particolare in R oloff, Platonische Ironie (ad esempio pp.
24, 26, 27, 30 s.) e in Meißner, Der tiefere Logos ..., passim.
38 E ancor meno con la Lettera VII. Rispettando i dubbi sull’inautenticitá — peraltro
infondati — rinuncio, in questo capitolo, a considerare per I’ aspetto in questione Panco-
ra piti chiaro «excursus filosofico» (342 A - 344 D). Cfr. Appendice III.
LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 447
(5)
Per la teoría della forma del dialogo é necessario intendere i pregi e le ca
pacita del dialogo di cui si é detto come caratteristiche che si addicono solo
alia comunicazione indiretta del dialogo filosofico. Infatti, se si puó otte-
nere per altra strada la stessa prestazione per il compito della trasmissione
della conoscenza, allora cade la possibilitá di sostenere che la forma del
dialogo é necessaria per il contenuto; se altre forme di comunicazione
scritta possono fare le stesse cose, allora anch’esse, come si é finora fatto
per i dialoghi, vanno escluse dalla critica platónica della scrittura. M a il ri-
conoscere piü di un’eccezione significativa priverebbe oggettivamente di
valore questa critica nel suo complesso. Oscillerebbero le fondamenta del
la teoría della forma del dialogo, se la sua descrizione deH’ efficacia del
dialogo non portasse ad individuare caratteristiche specifiche del dialogo.
Ora, una delle conseguenze delle distorsioni metaforiche, discusse nel pa-
ragrafo precedente, é che le caratteristiche, intese da Platone in senso let-
terale e attribuite solo all’esposizione órale del filosofo, possono (e devo-
no) essere estese, nel nuovo senso metafórico, non solo al dialogo scritto,
ma anche ad altri tipi di comunicazione scritta di conoscenza. La metáfo
ra, destínala a salvare la posizione particolare del dialogo nel contesto del
la critica dello scritto, la elimina di nuovo.
39 L ’interesse per Î’interlocutore fa parte della guida dell’ anima da parte del dialettico.
In Roloff, ad esempio, la lettura corretta del lettore «adatto» si riduce alia soluzione del
le innumerevoli «illiceitá logiche» del testo (Platonische Ironie, p. 27 e di frequente), e la
«adeguatezza» della <i>ux^ 7tpoar|xouaa all’acume e alia lógica. Quanto questi rilievi sia-
no poco platonici è mostrato (oltre che dalla Lettera VII, ad esempio anche) dalla Re-
pubblica, 519 A . Quello che in Platone poteva la BiSax^l filosófica da sola, per R oloff
puo farlo anche un insegnamento di lógica fórmale: eg!i trascura il fatto che la scoperta
di strafalcioni e di trappole logiche è insegnabile e trasmettibile «direttamente», che
semmai è pr|tov toç aXka ¡¿afir^a-ca. Questo elimina il motivo preciso della fuga di Pla
tone nella comunicazione indiretta.
448 APPENDICE I
Infatti, per principio, in caso di una lettura diversa, le cose per il lettore
non vanno diversamente che per Platone: anche una poesia di Holderlin
«ta ce » di fronte alia persona inádeguata, anche lo Zarathustra di Nietz-
sche «si sceglie» da sempre i suoi lettori da solo, e cosi anche la Fenomeno
logía dello Spirito di Hegel. Anche Essere e tempo di Heidegger vuole es
ser letto in modo che il lettore si inserisca nel ragionamento, e questo vale-
va giá per le Confessioni di Agostino e per le Massime capitali di Epicuro.
Anche i Sentieri ínterrotti di Heidegger devono essere interrogati in un
lungo «dialogo con il testo», prima di «rispondere» alia persona adatta (e
solo a questa)40. L'Antigone di Sofocle libera il suo senso solo se Pinter-
prete cerca il «d ia lo g o » cón il testo (e non la conferma di uno schema di
pensiero precostituito imposto al testo, come abbiamo ad esempio nella
errata interpretazione di Hegel che intende Creonte e Antigone come tesi e
antitesi a ugual diritto). E Pultimo discorso di Antigone é stato in grado,
owiam ente, di «difendersi» anche dall’ attacco di Goethe, in quanto ha
sottratto il suo senso piü profondo alia comprensione del critico incompe
tente 41.
Ci accorgiamo, qui, di un ulteriore aspetto della giá descritta mistificazio-
40 Norbert von Hellingrath ha parlato delle poesie di Hölderlin come di «opere che con-
fidano sempre solo a pochissimi il loro segreto e che per i piü tacciono» (citato da B. von
Heiseier, Einleitung a Friedrich Hölderlin, Gesammelte Werke, 1954, p. 5). Adalbert
Stifter diceva dei suoi lavori: «il meglio lo compongono in aggiunta le anime nobili, che
leggono con il sentimento» (citato da M. Pape, «Neue Zürcher Zeitung» dell’ 8/9 agosto
1981, Nr. 185, p. 59); Jaspers descriveva la sua Psychologie der Weltanschauungen
(1919, 19544) nella prefazione come «appello alla spiritualitä e all’attivitä libera della vi-
ta»; i pregi che un ingenuo entusiasmo per Platone attribuisce solo al dialogo apparten-
gono ovviamente anche alle favole popolari, cfr. B. Bettelheim, Kinder brauchen M är
chen (ed. i'ngl. 1975), ed. ted, 1980, dtv- Ausgabe, pp. 53, 55, 194. E Platone non e il so
lo che «ci invita a leggere la sua Opera a piü di un livello», questo puö valer ugualmente
per il romanzo di Longo (cosi a propositö R .L. Hunter, A Study ofDaphnis and Chloe,
1983, p. 16). Non soltanto Platone desidera un lettore che pensi, ma anche Erodoto, il
(cosl, in modo convincente, F. Hellmann, Herodotos Kroisos-Logos, 1934,
p. 116). Da sempre nella tragedia si e trovata un’ opera poetica per due diversi ricettori e
un «doppio dialogo» (cfr., ad esempio, A .W . Verrall, Euripides the Rationalist, 1885,
pp. 75-77, o di recente J.-P. Vemant, in: OxfordReadings in Greek Tragedy [a cura di
E. Segal], 1983, p. 190). Di una chiarezza inimitabile e la massima di Wittgenstein: « I I ii-
bro deve provocare automaticamente la separazione di chi capisce da chi non capisce».
( Vermischte Bemerkungen, Frankfurt am Main 1977, p, 23). Pero per far questo W itt
genstein non riteneva di dover ricorrere alla forma del dialogo.
41 E una opinione diffusa nella letteratura su Sofocle che la critica di Goethe ad Anti
gone, 904 ss. (nei colloqui con Eckermann, 28.3.1827) non coglie Pessenziale; da parte
mia non ne sono cosi sicuro (cfr. Bemerkungen zur Diskussion um Soph. Ant. 904-920,
«Rheinisches Museum», 124 [1981], pp. 108-142), comunque non importa in questa sede
chi abbia ragione: 1’esempio vuole semplicemente far vedere che, intendendo metafori-
camente il ßor)6&Tv ttb Xo*fo> anche il testo sofocleo acquista la capacita di «soccorrere se
stesso». Ma che in questo modo anche gli autori di teatro diventassero senz’altro cpiXo-
00901, non era certo quello che intendeva Platone. Anche Laborderie, p. 104, riconosce
che per Platone la poesia non poteva stare sullo stesso livello della filosofia, benche l ’in-
tero salvataggio dei corpus dei dialoghi dalla critica della scrittura si fondi su una corre-
zione della critica platonica dei poeti.
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 449
ne del dialogo: la teoria della forma del dialogo non ha soltanto trascurato
di controllare la sua concezione sulla base del destino delPopera platónica
neirámbito del platonismo, ma ha anche evitato un confronto critico fra
la prestazione di stimolazione della conoscenza, propria del dialogo, e la
prestazione di altre forme scritte di trasmissione di pensieri. Fra l’ altro,
non é stato osservato che la teoria di un’ arte dello scrivere «con sottinte-
si», che salverebbe solo il dialogo filosofico dalla critica della scrittura, era
nota proprio ad Isocrate, contemporáneo non-filosofo di Platone, che
mette in discussione l ’applicabilitá di questa teoria alia sua opera non dia-
logica (senza assumere in proposito una posizione, cosa che risulta molto
stimolante per la riflessione)42.
Un tale confronto delPeffetto risvegliante della conoscenza dei diversi tipi
di impiego della scrittura si sarebbe bene adattato a quei sostenitori avve-
duti della teoria, che parlano assai poco della «scelta» delPinterlocutore,
di «tacere» e di «portare soccorso a se stessi», bensi parlano in generale
della capacita della scrittura di mettere in moto « il pensare come attivitá
autonoma». É senza dubbio una considerazione sensata, quella secondo la
quale i dialoghi platonici, in particolare i primi, posseggono in grande mi-
sura questa capacita. Per poter giungere, pariendo da qui, alia conclusio-
ne che il dialogo é Túnica forma «legittim a» della comunicazione filosófi
ca, occorrerebbe, pero, Pulteriore considerazione che le opere filosofiche
aventi una struttura interna diversa o non posseggono affatto questa capa
cita, o la posseggono solo in misura minima. Non richiederá una lunga di
scussione, fra le persone competenti, il fatto che questa seconda afferma-
zione é senz’altro tanto insensata quanto la prima era sensata: ai tempi di
Platone il poema didascalico di Parmenide e i detti di Eraclito fornivano
una prova vívente del contrario. Parimenti in época moderna: il tentativo
scettico di Hume nelle Ricerche sulVintelletto umano, la rivoluzione co-
pernicana di Kant nella Critica della ragion pura, il doppio tentativo com-
piuto da Wittgenstein, nel Trattato e nelle Ricerche filosofiche, di supera
re la filosofía stessa, fin dalla loro pubblicazione hanno attirato nel loro
fascino, con uguale intensitá della «conversione di tutta Panima» nello
Stato di Platone, le persone filosóficamente dótate, e presumibilmente lo
faranno anche in futuro. In ultima analisi, é solo il significato di quello
che é detto ció che tiene sempre in moto il pensiero critico autonomo.
42- Nel Panatenaico, 240 ss., Isocrate schizza una teoria dei Xoyoi ¿[xcptßoXoi, che agi-
scono in modo differente sui diversi lettori, su quelli superficiali e su quelli piii attenti.
Scrivere in questo modo e xocXov xal cfiiXoaocpov. Cfr. in proposito Chr. Eucken, Leiten
de Gedanken des isokratischen Panathenaikos, «Museum Helveticum», 39 (1982), pp.
43-70; Chr. Schäublin, Selbstinterpretation im Panathenaikos des Isokrates?, «Museum
Helveticum», 39 (1982), pp. 165-178. — Sarebbe da ricordare, poi, che nella tarda anti-
chitä, la capacitä di rivelarsi solo al lettore competente era attribuita proprio a quella
forma di rappresentazione che la moderna teoria del dialogo vuole opporre al dialogo in
un modo che non ammette mediazioni: allo «scritto dottrinale» del tipo delle trattazioni
aristoteiiche (cosi nella lettera pseudoaristotelica ad Alessandro in Gellio 20.5.12 =
Simplicio, Phys. 8.26 - 29 Diels).
450 APPENDICE I
(6)
Come strumenti teoretici della teoria della forma del dialogo abbiamo in-
contrato finora Panticipazione a priori della meta della dimostrazione, la
definizione arbitraria del significato di termini greci, la reinterpretazione
metafórica di concetti platonici indipendentemente dalle intenzioni del te
sto, il rifiuto di operare un confronto di controllo con la realtá storica. Per
completare accenneremo — non dimostreremo in modo particolareggiato,
in quanto questo é un compito secondario di tutta la nostra anali-
si — al fatto che la teoria della forma del dialogo non potrebbe continuare
a sussistere, se non si aggirassero precise posizioni e precisi concetti pla-
tonici.
E, in primo luogo, per restare al testo fondamentale del Fedro: quando il
tacere del filosofo non viene reinterpretato come il «tacere» del libro-dia
logo, allora esso é passato sotto silenzio43. Comunque niente é piü sor
prendente e piü estraneo alio spirito liberale dei tempi moderni della prete-
sa che il filosofo debba tacere; il nostro secolo si aspetta da ognuno che
parli apertamente, indipendentemente da chi ascolta. Di questo fa parte
anche la disapprovazione platónica della diffusione piü ampia possibile
del lib ro 44, mentre per noi la diffusione del sapere e delle opinioni costitui-
sce qualcosa di illimitatamente positivo. Perció, qui, bisognerebbe coglie-
re in modo chiaro la prima differenza tra il nostro atteggiamento e quello
di Platone. M a proprio per tale motivo questi tratti del testo vengono
ignorati.
Piü importante é il rifiuto della possibilitá di sfruttare i ragionamenti del
Fedro per l ’interpretazione della parte conclusiva: essa eselude, — come
anche del resto la parte conclusiva correttamente compresa — , che un tipo
particolare di esposizione scritta non sia colpito dalla critica generale della
scrittura45. Decisivo risulta, infine, Paver trascurato di sottoporre ad
4f> Anche Meißner, che sólitamente adduce volentieri «paralleli» a sostegno dei suoi
« logoi piú profondi» (cfr. sopra, p. 436, nota 20), rinuncia a farlo nel caso della sua
reinterpretazione di ßor[0£lv.
47 A proposito dei passi in cui Platone si trattiene dal parlare di certe cose nella Repub-
blica, cfr. pp. 391-414. — A proposito della corrente trattazione priva di método delle
allusioni di Platone su quello che manca cfr. la mia recensione panoramica «Göttingi
sche Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 12, 19, 24.
48 Schaerer {La question platonicienne, études sur les rapports de la pensée et de l'ex
pression dans les Dialogues, Neuchâtel 1938 [ = Paris 19692]), p. 16; R oloff, Platoni
sche Ironie, pp. 5 ss.; Meißner, D er tiefere Logos..., passim. R oloff sa che a-jiixpà èv-
BslÇlç non appartiene al Fedro: essa vi è «taciuta» (p. 30). Ma dal momento che il tacere
è per lui una caratteristica del modo platonico di descrivere, egli puô integrare la evBetçiç
ogni volta che gli sembra opportuno farlo. Cfr. sopra, p. 433 e nota 13.
49 Rosen, P la to ’s Symposium, p. X IX ; Meißner, Der tiefere Logos ..., p. 211; cfr. so
pra, p. 437, nota 21.
50 Lettera II, 314 C e Lettera VII, 341 C riunite insieme in Merlan, Kleine philos.
Schriften, p. 34, cfr. p. 43; análogamente Rosen, Plato’s Symposium ..., p. X III; La-
borderie, Le dialogue platonicien ..., p. 86, avanza dubbi sulPauîenticità della Lettera
II, ma per il resto non sembra ammettere nessuna differenza fra le due lettere. — Frie
dländer, Platon, I, pp. 254-259, ha tentato un’ínterpretazione «irónica» della Lettera II.
(Se ci fossero altri esempi di un’ «ironia» ad un livello cosi basso in Platone, quasi nessu-
no oggi lo troverebbe ancora leggibiie).
51 «Corne dieeVEpinomide (992 B) l ’uomo più genuinamente saggio è, al tempo stesso,
scherzoso e serio»: Guthrie, A History..., IV, p. 64; con anche il rimando alla Lettera
VI, 323 D: cmouSfi ¡j.r¡ àp.oùacp. Il capitolo di Guthrie dedicato al «g io c o » e alla «serietà»
(come anche quello di R oloff, Platonische Ironie, pp. 8 ss.) soffre dei fatto che non è
mai in grado di dimostrare un rapporto concreto dei numerosi passi citati con la proble-
452 APPENDICE I
notare che questa formula apparentemente molto utile é giá presente nel
Fedro con il titolo del «gio co bello» del filosofo, naturalmente non come
superamento dell’ alternativa scherzo-serietá, bensi come qualificazione
del gioco scritto.
Non si tratta, qui, di rimproverare ai singoli interpreti ció che ognuno ha
trascurato o le singóle incoerenze. Va tuttavia ammesso che nessuno puó
trattare tutto con la stessa scrupolositá. Si tratta di dimostrare che si é ri-
fiutato di sottoporre ad un’analisi con i metodi filologici consueti, come
da tempo era dovuto, un coerente complesso di domande, che si ricavano
immediatamente dalla lettura del testo fondamentale spesso discusso, e
questo rifiuto non é casuale, ma é dettato dalPinteresse specificamente an-
ti-esoterico della teoria della forma del dialogo.
(7)
In quasi tutti gli interpreti che hanno assunto, in tutto o in parte, la teoria
della forma del dialogo, si trova la polémica contro rimmagine esoterica
di Platon e52. Di solito essa compare come semplice corollario, come risul-
tato accessorio non cercato: non si é piü consapevoli del fatto che lo schie-
ramento massiccio contro un’esoterica interpretata male, ha fatto da pa
drino alia nascita della teoria, e ha contribuito a determíname in modo es-
senziale non solo il fine ma anche il contenuto.
II sospetto di una deformazione polémica dell’ ottica giá alPinizio sembra
certo immotivato, tuttavia il progetto di Schleiermacher si basa, come egli
dice, su di un «esame c r itic o »53 delle idee di «esoterica» e di «essoterica» il
cui risultato é il seguente: «Pinsegnamento immediato (é) stato la sua (di
matica del Fedro. II passo át\VEpinomide é, inoltre, reso in modo scorretto: Pautore —
che non dobbiamo identificare con Platone, cfr. Tarán, Académica ..., pp. 24-27 — dice
di garantiré ixaíCcov xai aTtouBá^ojv ócp.a, che il saggio sará felice al momento di moriré.
— La contaminazione dei passi della jiouSiá non é una innovazione di Guthrie; cfr. giá
Klein, A Commentary ..., pp. 18, 27, che, dal canto suo, sembra influenzato da Frie
dländer, Platon, I, pp. 125 ss.; per Schaerer, p. 20, anche la stessa dialettica é un gioco (i
passi che lo «comprovano» tratti dalla Repubblica, 536 C e 378 D traggono in inganno);
il dribblaggio del confine fra serietä e gioco é anche il pensiero guida di Gundert, Der
platonische Dialog, particolarmente p. 16 (ripreso alia lettera da Guthrie, A History...,
IV, p. 65) e di R olo ff («G ioco e serietä...si fondono», Platonische Ironie , p. 5). Ebert,
Meinung und Wissen..., p. 27, cerca di restringere storicamente il concetto di muSiá alia
7iaíyvia retorica e, cosi facendo, di tenerlo lontano dai dialoghi. (Giá in Friedländer,
Platon, I, p. 126, troviamo una simile restrizione, mediante il concetto di mimesis, con il
quale Platone avrebbe voluto colpire « i poeti del suo tem po»).
52 Ad esempio Friedländer, Platon, I, p. 68; Merlan, Kleine phil. Schriften, pp. 45 s.;
Klein, A Commentary ..., p. 21; Rosen, Plato's Symposium ..., pp. X V s., X X V I s.
(Rosen tenta di assumere un atteggiamento positivo di fronte al complesso di questioni
circa Pesoterica; ma, trovando nei dialoghi un «insegnamento esoterico» (p. X V II) e vo-
lendo eliminare P«esoterismo» ricorrendo all’ironia, egli, in ultima analisi, si distingue a
malapena dagli altri antiesoterici); Ebert, p. 2 (cfr. p. 213); Meißner, D er tiefere Logos
..., p. 11; Laborderie, Ledialogueplatonicien ..., pp. 63 s.
53 «Infatti quella concezione di un esoterico e di un essoterico necessitano di un esame
critico» (Einleitung, p. 11).
L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 453
Platone) sola attività esoterica, invece lo scrivere soltanto la sua sola esso-
terica». Platone poteva «esprimere i propri pensieri in modo puro e com
p leto» solo nell’insegnamento immediato, perciò nell’ «attività esoterica»,
e dunque precisamente solo quando «e g li era sufficientemente sicuro che
gli ascoltatori lo avrebbero seguito come desiderava»54.
Sembra, qui, che 1’esoterica platônica venga accettata e venga, inoltre,
correttamente intesa: non ha niente a che fare con la «ricerca del segreto»
e con 1’oscurantismo, ma è anzi motivata dalla preoccupazione per una
comprensione adeguata del contenuto da comunicare. E questo contenuto
Platone l ’ ha presentato «in modo puro e com pleto» solo oralmente.
Invece 1’ accettazione delTesoterica da parte di Schleiermacher è solo appa-
rente: le parole citate sono solo un’ appendice alia sua reinterpretazione,
ancora da discutere, deli’ esoterica riferita al contenuto in un’esoterica «in
terna» e trovano proseguimento nell’ assicurazione che la rappresentazione
delia filosofia nelle opere di Platone è «progressiva nello stesso senso» del
ia dottrina orale. «Progressiva nello stesso senso» significa, però, che essa
percorre gli stessi contenuti (secondo il piano dialettico-sistematico dell’in-
tera opera platônica accettato da Schleiermacher). E la precisazione che
sembrava sostenere un plus contenutistico delia dottrina esoterica — cioè
che Platone esponesse «in modo puro e com pleto» i suoi pensieri solo di
fronte ad ascoltatori che lo avevano seguito sufficientemente a lungo — , si
riferisce nel suo significato solo all’ opposizione rispetto ai mezzi delia co-
municazione indiretta, nominati poco prima, tra cui i piü importanti sono
Talludere slegato, il nascondere e il non dire espressamente ciò che si in
tende55. M a poiché ciò che si intende è pur sempre riconoscibile dietro Ia
comunicazione incompleta e tendente a nascondere (cioè non «p u ra ») co
me la «unica soluzione possibile» 56, la trasfigurazione delia comunicazio
ne indiretta in un dire «puro e com pleto» nel caso dei filosofare orale non
può, fin dall’inizio, portare a contenuti supplemental!, naturalmente sem
pre presupponendo che Tesposizione delia filosofia nella dottrina e nello
scritto sia «progressiva nello stesso senso»: ed essa deve certo esserlo stata,
se il compito delia scrittura è, peraltro, quello di conseguire le stesse pre-
stazioni per la trasmissione di conoscenza delia dottrina orale. Anche da
questo la to 57 si è chiaramente dimostrato che 1’esclusione di un’esoterica
del contenuto non è affatto il risultato di un’analisi senza preconcetti dei
procedimento oggettivo dei dialoghi platonici, ma è piuttosto il presuppo-
sto inespresso delia teoria delia forma dei dialogo.
Visto come si deve, 1’ « es ame critico» di Schleiermacher è quanto di piü
acritico sia pensabile. Non si può rendere ragione alie differenti considera-
zioni platoniche sulle condizioni umane e oggettive delia comunicazione
54 Einleitung, p. 17.
55 Cfr. sopra, p. 437 e nota 22.
56 Cfr. sopra, p. 446, nota 37.
57 Cfr. le osservazioni sulla assunzione 1'ondamentale delia teoria delia l:orma dei dialo
go, sopra, pp. 430-432.
454 APPENDICE I
filosófica con una rozza alternativa che conosca solo, da un lato, la asso-
ciazione segreta política dei pitagorici e, dall’ altro, la presentazione diretta
al pubblico di discorsi facili («essoterici») e di discor si difficili («esoteri-
c i») neU’Ellenism o58.
Non meno sorprendente è il quadro che si è fatto Schleiermacher del con-
tenuto e delia attestazione delia filosofia orale di Platone. Egli nega che se
ne possano trovare «tracce veramente storiche» ( Inîroduzione, p. 12). Egli
nega che Aristotele conoscesse fonti delia filosofia platónica diverse dai
dialoghi (.Inîroduzione, p. 13). Il che è giusto dal punto di vista formale, se
con «fo n te » va inteso, con Schleiermacher, uno scritto esoterico di Plato*
ne; perô non avrebbe dovuto parimenti mancare, in questo contesto, il fat
to che Aristotele nella Física si richiama a «dottrine non scritte» (crfpaça
Sóyfjiaxa) di Platone, e che le oppone come fonte al dialogo Timeo, Invece
Schleiermacher concede solo vagamente che Aristotele «qui e là cita inse-
gnamenti diversi perduti o forse anche orali», che, comunque, non con-
tengono «niente che non si possa udire nei nostri scritti, o del tutto diverso
da quanto tro viam o in essi». Chi dà questo tipo di formulazione non può
aver conosciuto l ’immagine di Platone della Metafísica aristotélica e tanto
meno la testimonianza di Alessandro degli appunti aristotelici della lezio-
ne SulBene o la critica di Teofrasto alia metafísica di Platone39.
Alia mancanza di conoscenza dello stato delle fonti e alia motivazione del-
1’esoterica platónica si aggiunge Tinsistenza su un concetto di esotérica to
talmente fuori strada: come dimostrano numerosi passi della sua Introdu-
zione, per Schleiermacher esoterica significava in primo luogo scritti eso-
terici che andrebbero sottoposti ad un’interpretazione segreta60. Questa
idea, il cui modello è stato dato senz’altro da sogni settaristici di una «v e
ra» interpretazione di scritti come YApocalisse di S. Giovanni, può essere
stata diffusa a quei tem pi61, ed è certo un guadagno che essa sia sempre
58 Einleitung, p. 11. II tentativo di mostrare che il íipo ellenistico di esoterica non è uti-
lizzabile per Platone è un esempio paradigmático di un’argomeníazio.ne puramente reto
rica: dal momento che gli avversari accettano il fatto che i dialoghi sono difficili, essi do-
vrebbero anche «riconoscere che Platone avrebbe potuto ugualmente affidare loro le co
se piú difficili e segrete della sua sapienza, esattamente come anche le altre» {Einleitung,
pp. 11). Questo suggestivo «ugualmente» viene confutato da passi quali Timeo, 28 C (è
difficile «trovare» il Demiurgo, e impossibile comunicare a tutti ció che si è trovato) o
Repubblica, 533 A (la discussione dialettica del concetto di bene sarebbe troppo difficile
per Glaucone, e cioè: per il dialogo della Repubblica pubblicato).
59 Sarebbe certamente scorretto pretendere da Schleiermacher la conoscenza dei risul-
tati della ricerca sul flspl Tàfaôoô del X X secolo. Tuttavia sembra che in questo campo
egli non avesse grande familiarità nemmeno con le cose fondamentali.
60 Einleitung, p. 11: «quali scritti di Platone sarebbero essoterici e quali esoterici», p.
12: «le dottrine segrete degli scritti esoterici». Il fatto che Aristotele non conoscesse una
fonte della filosofía platónica diversa da quella che anche noi conosciamo risulta, secon-
do Schleiermacher, dal fatto che Aristotele non cita nessuno scritto esoterico (p. 13). Ta
li scritti richiederebbero «una comprensione segreta», «una interpretazione segreta»
{ibidem).
6' Laborderie, Le dialogue platonicien ..., p. 63, cita in proposito Tennemann, System
der platonischen Philosophie, Leipzig 1792-95, p. 128.
LA TEORIA MODERNA D ELLA FORMA DEL DIALOGO 455
(8 )
la conoscenza» (D er tiefere Logos..., pp. 86, 134) cui egli crede, in sintonia con R oloff
(ma in contrasto con Fedro, 275 D E), suonano ancora piü elitari ed esoterici. Con «as-
serzioni false e superficiali» (p. 112), «Platone si preoccupa» (p. 136) che la massa dei
lettori — della cui sconfinata stupiditä Meißner e profondamente convinto — non capi-
sca il suo «logos piü profondo»; cosi egli Io «nasconde» e lo «vela» per il lettore cui non
e «consentito» comprenderlo (pp. 202, 209; cfr. 68, 97 s., 114, 118, 121, 132, e di fre
quente).
69 Einleitung, p. 16. — Si osservi la differenza rispetto all’ atteggiamento volutamente
esoterico di R olo ff e Meißner (cfr. nota 68). Cfr. anche Zeller, Die Philos. d. Griechen
..., II, 1, p. 487: «questa forma di rappresentazione non ostacolerä in modo insuperabile
la comprensione a nessuno di quelli che hanno imparato ... a penetrare nelle intenzioni e
nel piano dei suoi dialoghi».
458 APPENDICE I
(9)
L ’accenno al fascino della parola magica «iro n ia » non va inteso come se
fosse una semplice annotazione psicológica. L a supposta superiorità di
tutto ció che è ironico su tutto quello che non lo è porta, anzi, alia posizio-
ne teoretico-gnoseologica della teoría della forma del dialogo. È la posi-
zione del solipsismo. Chi deve passare per «un vero ascoltatore dell’inter-
n o » non puó giudicarlo se non lo stesso vero ascoltatore dell’interno. Chi
gli si oppone, deve volere e potere necessariamente richiamarsi al testo.
Ma la veritá del testo — questo è il presupposto della teoria — si trova al
di lá di quello che è comunicato direttamente, a cui solo ci si puó richiama-
re. Chi non è d ’accordo con il vero ascoltatore delFinterno e crede di do-
ver porre il testo piü in alto del «vero ascoltatore» dimostra, cosi facendo,
che non è un vero ascoltatore dell’interno. L ’ironico ha sempre ragione: la
sua piü profonda comprensione irónica di ció che è comunicato indiretta-
mente è l ’istanza di cui dovrá rispondere non solo la interpretazione con
corrente bensi, in ultima analisi, il testo stesso in quanto comunicato diret
tamente.
La vuota polemica contro un’esoterica legata al contenuto nasconde di so-
lito il fatto che l ’ esoterica interna della forma del dialogo elimina, per
principio, il testo come punto di riferimento comune nella disputa delle
opinioni e lascia come superstite solo lo sguardo profondo del veggente
deIl’ «in te m o » quale único criterio, creato da sé e amministrato. a proprio
piacimento70.
Solo nelle elaborazioni piü recenti, che procedono verso una maggiore
esplicitezza, il problema latente del solipsismo è diventato cosi acuto che si
è sentita la necessitá di un rimedio. Si assicura che Platone abbia dotato i
suoi testi cifrati di «segnali» che attirano l ’ attenzione sul fatto della cifra-
tura e danno, cosi, un orientamento riconoscibile alia interpretazione. C o
me «segnali» abbiamo la «contraddizione» di un passo sia nei confront! di
altri passi, sia della «verità » (H . Meißner), la distribuzione di vero e falso
a personaggi diversi del dialogo (Th. Ebert) o semplicemente il «piccolo
accenno» che la Lettera V II menziona (D. R o loff).
Se prescindiamo dal fatto che nessuna di queste «solu zioni» si puó richia-
mare al Fed.ro (con la qual cosa crolla la pretesa di farne un elemento della
teoria del dialogo platonico), prescindiamo anche dal fatto che la realizza-
Cfr. sopra, pp. 441 s. e nota 27, a proposito di Meißner cfr. anche nota 20.
11 Cfr. sopra, p. 433, nota 13 e p. 451, nota 48 (a proposito di Roloff), pp. 440 s. e
«Göttingische Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 13-21, in particolare pp. 16-19 (a
proposito di Ebert). — Di fronte agli esempi forniti, è discutibile se la proposta, in appa-
renza piú ambiziosa, di una «íettura dialettica» dei dialoghi, come sostiene Gadamer,
porti qualcosa di piü di una pura e semplice arbitrarietà: Pimpossibilità dello stato uto-
pico della Repubblica «viene addirittura sottolineata dalle prove circostanziate addotte a
sostegno delía sua possibilita», D ie Idee des Guten ..., p. 45. II fatto che le prove siano
«cicostanziate» rappresenta forse l’indicazione segreta di Platone che ci invita ad una
Iettura «dialettica»? In Platone ci sono abbondanti prove circostanziate: lo stato utopi-
co non sarebbe l ’unica cosa destinata a cadere se trovassimo «sottolineato» in questo
modo ogni volta il contrario di quanto viene detto. Riducendo poi la questione della
possibilità dello stato ideale al tema-scandalo delia «comunità delle donne e dei bambi-
ni» (p. 46), Gadamer argomenta ad un livello che è indegno di lui e di Platone. Viene tra-
scurata, fra le altre cose, la Lettera V I I — di cui Gadamer ha sempre sostenuto i’ autenti-
cità — in cui Platone dice che in Sicilia è stato per lui possibile realizzare le sue idee sullo
Stato (328 C) — e questo poco prima del riferimenío alia frase del re-filosofo (326 A B)
intesa come formulazione concentrata dello Stato utopico della Repubblica.
i* Rinuncio a rilevare in queste osservazioni metodologiche il fatto che le «contraddi-
zioni» considérate da Meißner si fondano senza eccezione su dei malintesi. Cfr. la mia
recensione in «G nom on», 52 (1980), pp. 301-304.
74 II titoio suona D er tiefere Logos Platons («I I logos piú profondo di Platone») — ma
si tratta sempre solo del logos di Meißner.
75 È solo in un secondo momento, e senza alcun riferimento alle singóle interpretazioni
proposte, che Meißner (Der tiefere Logos ..., pp. 211 s.; cfr. p. 196) sostiene che le asser-
zioni corrette («nascoste») costiíuiscono un tipo che è chiaramente distinto dalle «for-
mulazioni fuorvianti molto piü evidenti» volutamente mantenute sul piano della «poli-
460 APPENDICE I
Si scopre, cosi, che la cosiddetta ironía platónica, se intesa non come stru-
mento limitato di esposizione, bensi come strumento speculativo che per-
mea tutto, perverte Pironico in solipsista. L ’atteggiamento di superioritá
si trasforma, senza che si noti, in una particolare goffaggine spirituale: in-
fatti, che cosa si deve pensare di un’«iro n ia » la cui prima e fondamentale
affermazione é che colui che parla ha per principio ragione?
Consideriamo come illüstrazione dell’ intoccabilita di un’ interpretazione
«nascosta» condotta in modo conseguente la definizione di H. Meißner
del senso di ßoiqGeiv nella parte conclusiva del Fedro 76. La tesi di Meißner
é che Platone tratta qui solo «in superficie» della superioritá del filosofare
orale, ma «nascostamente» parla della struttura nascosta dei propri dialo-
ghi. Percio anche la capacita di soccorrere se stessi va riferita ai dialoghi:
poiché essi non esprimono direttamente il loro «logos piü profon do», so-
no in grado di sottrarsi alia critica delle persone inadeguate che vedono so
lo il logos superficiale. Non servirebbe a nulla far valere contro questa in-
terpretazione che «sottrarsi» non é lo stesso che «portar soccorso a se stes
si» o «difendersi» (ßorjÖetv éouncp, á¡j.úvEa0ou), perché proprio il restar fis-
so sul significato delle parole greche dimostra, per Meissner, il coinvolgi-
mento nel «logos superficiale» che Platone ha posto proprio per sviare i
non adatti. Neppure servirebbe accennare che non solo il significato del
termine ßor]9eTv contiene una difesa attiva, ma che anche la situazione de-
scritta alPinizio da Platone {Fedro, 275 C-D) richiede un confronto aper-
to, e non un passivo mettersi-al-riparo, e che Platone ha descritto spesso,
in altri dialoghi, questo auto-aiuto argomentativo del filosofo che non si
sottrae alPattacco dell’ avversario, anzi lo affronta. É rimasto ignoto a
Meißner, evidentemente, che i dialoghi hanno in serbo questa risposta,
tuttavia egli ha avuto cura, per cosi dire per principio, di aggirarla fin dal-
l ’inizio con un escamoíage: con le sue premesse egli puo riferirle cómoda
mente all’ ámbito delPinterpretazione del « logos superficiale» e dichiarar-
le, percio, irrilevanti ai fini di cogliere il senso «nascosto» di ßorjÖeTv (come
autosoccorso del livello del dialogo «piü profon do» che si nasconde).
Si ammetta la intoccabilitä a priori di questa posizione. Non c’ é niente che
semia» grazie ad una «evidenza molto ridotta» e ad una univocità circa il senso inteso,
comunicato attraverso il procedimento diairetico (Meißner non dice, si noti: univocità
dell’ espressione scelta). li critério di una maggiore o minore orecchiabilità ed evidenza
— prescindendo dal fatto ehe esso non è rispettato né risulta rispettabile negli esempi di
Meißner — risulta naturalmente privo di qualsiasi validità in quanto totalmente sogget-
tivo, mentre il criterio dell’ univocitä non solo si basa sull’ illusione ehe le operazioni diai-
retiche non nominate nel testo possano essere compiute con sicurezza dal lettore nello
stesso modo in cui Platone le avrebbe compiute, ma oltre a questo sfugge ad un circolo
sbagliato, in quanto, secondo la teoria di Meißner, il logos «superficiale» è polisemico
solo per il lettore «profon do», mentre la «massa dei lettori» lo considera univoco e deve
considerarlo come tale; perciò solo chi già possegga il logos «piü profondo», di cui parla
Meißner, vorrà intendere il suo «segnale», che deve garantire 1’ obiettività deli’ interpre-
tazione, come segnale in gen ere.
76 Meißner, D er tiefere Logos ..., pp. 79, 87 (cfr. p. 112).
LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO 461
( 10)
Anche se Platone avesse condiviso l ’ ottimismo dei suoi interpreti odierni
riguardo alie possibilitá della forma di comunicazione indiretta, non si sa-
rebbe sentito, per questo, impegnato a mettere per iscritto necessariamen-
te tutto quello che gli sembrava essenziale. I primi dialoghi accennano a
molte delle cose che sono poi dette nella Repubblica, e la Repubblica con
tiene rimandi alia dottrina delFanima del Timeo. Ci si puó affidare fidu-
ciosi aH’ illusione che potremmo comprendere i cenni solo allusivi parten-
do da essi stessi. Quello che non si puó discutere é che ció che é comunica-
to indirettamente e ció che é solo accennato, non é comunicabile, per Pla
tone, solo in questa forma, bensi anche nella forma di un insegnamento
esplicito «p ositivo». Né, tantomeno, si puó discutere che é stata una deci
sione libera di Platone il lasciar seguire l’esposizione piü dettagliata.
Se non vogliamo costringere Platone con un obbligo qualunque, invénta
lo, a completare la ricerca dei dialoghi sulle virtú nella Repubblica, se non
discutiamo, quindi, il fatto che egli fosse libero di non scrivere la sua ope
ra principale, allora dovremo concedergli la stessa liberta riguardo a tutti
gli altri temi la cui trattazione viene definita necessaria, nella Repubblica
stessa e nei dialoghi successivi, senza che essa venga attuata.
Proprio questa liberta viene messa in discussione, non appena si cerca di
ricavare un argomento contro l ’ esistenza storica di una filosofía non scrit-
ta traendolo dalla forma indiretta di comunicazione dei dialoghi. Nella
teoria della form a del dialogo l’ autore, che ha riconosciuto i pregi della
forma espositiva che nasconde, diventa súbito schiavo della sua scoperta:
dalla possibilitá del nascondere e accennare essa é costretta a presentare
per intero ció che prima era nascosto. Solo grazie a questa trasformazione
lógicamente illecita la teoria puó servire a confermare i pregiudizi sulla fi
losofía órale di Platone. La forma indiretta eselude contenuti particolari
della filosofia orale solo per chi sa, gia in precedenza, che i dialoghi devo-
no contenere tutto quello che per Plat one era essenziale.
In realta, non esiste affatto contraddizione fra la decisione di un autore di
esprimersi indirettamente su alcune cose e la decisione, nello stesso tempo,
di non scrivere assolutamente nulla di altre, ad esempio delle motivazioni
ulteriori delle opere pubblicate.
A lle anticipazioni e alle mosse sbagliate metodologiche di cui necessita la
teoria della forma del dialogo per tenersi in piedi, si aggiunge allora, da ul
tima, come conseguenza della sua petitio principii, la negazione della li-
berta di Platone come scrittore. Platone non deve aver avuto la liberta di
tacere con coloro con cui bisogna tacere (aiyocv izpbc, ou? Bel). D i fronte a
questo occorre ripristinare il rispetto di Platone, concedendogli che, come
uomo e come autore, egli si e regolato secondo quanto nel Fedro aveva de-
scritto come il comportamento corretto del filosofo di fronte ai loyoi orali
e scritti.
Appendice I I
II significato di auyypafx[xa
p. 219); forse si intendono anche poesie orfiche, cfr. W. Rathmann, Quaestiones Pytha-
goreae Orphicae Empedocleae, Diss., Halle 1933, p. 93; Burkert, Lore and Science..., p.
131 n. 210 (cfr. sotto, nota 6).
2 Solo una prova di questo contenuto potrebbe salvare Podierna communis opinio.
Schmalzriedt, Platon ..., p. 358, nota 14, non ha capitó che cosa si debba provare, altri-
menti non avrebbe scomodato lo pseudoplatonico Minosse come supposta prova decisi
va; a proposito di questo testo vedi sotto, p. 465 s.
IL SIGNIFICATO DI 2YITPAMM A 465
2. [Platone], Lettera II, 314 C 1-4: Sià xaû xa ouSèv rctixo T’ eyto rcepl
xouxw v (scil.: Tce.pl x f j; xoü 7ipa)xou cpuaefjùç, 312 D7) yéypacpa, ouS’
è'axtv oùyypa|jLp.a n X à x to v o ç où8èv oùS’ l'a xa i, xà 8è vüv Xey6fJi£va
Scoxpàxouç éatlv xa X o û x a t viou ysyo vô xoç.
3. Diogene Laerzio, III, 37: 'Eauxoû te. OXâxtov oûSa[j,60i xwv âauxoü
auyypafJL|j,àxcov [i,vfifXT]v Tierce) Î7]ta t oxi [j,y) èv xw TT&pl (Fedone,
59B) xal ’ATxoXoyia (34A; 38B).
4 Secondo W. Jaeger, Paideia, III, 1947, p. 129 (= 1973 4, p. 1005) X , 8 significa « l ’in-
dividualismo ed il cosmopolitismo etico dell’ala radicale dei socratici, di Antistene e di
Aristippo»; X, 9 «puó indicare solo Platone, che avevainteso l’ ereditá morale di Socrate
come scienza política, tcoXltixti xé'/vr]». Certo avrebbero potuto essere intesi anche i Me-
garici oltre Platone, che secondo Diogene Laerzio, V II, 161 sostenevano a loro volta l’ u-
nitá delle virtü.
5 Si é perseguita la completezza solo a proposito delle prove del ccoy-ypajina fino a Pla
tone compreso.
APPENDICE II
auyypá[ji[xaxá fj,ou. Teeteto, 179 E: con gli Eraclitei non si puö di-
scutere, áx£xv¿>? yáp xaxá xa ouyypáfx^axa cpépovxat. 180 A 4:
&OTZtp ex 9 apéxpa? pr]¡j.axíaxia aíviyjjLaxtóSr] ávaa7rt0vx£? a7toxo£eu-
ouatv. Fedro, 2 5 7 E 2 -2 5 8 A 9 : Xav0áv£i ae oxt oi (leytaxov 9 povoöv-
xe? xcov TtoXmxcov ¡xáXiaxa epwai Xoyoypa<p£a? xe xaí xaxaXeicjteax;
auyypafx¡xáxcov, ... Ou fiavOave-ii; öxt ev apx?i avSpö? ftoXmxoü auy-
Ypá|j.[xocxoc (auyypá¡a.[j,axi, codd. ; secl. Burnet) upwxo? ó ¿rcatvéxr]?
yéypaTixau O A I. üm?; S í ) . «"ESo^é» rcoú cpiqatv «xfj ßouXrj» f¡ «xw
5r¡¡jup» 7] otjji^OTfipot;,. xaí «o? < x a t o ? > eitcev» — xóv auxov 87]
Xéytov jjlócXoc ae¡j.v<íú<; xa i eyxwfxiá^wv ó auyypacpeú? — e'jceixa Xíyu
... ¿vtoxe 7iávu |j,axpóv ícoiY]aáp,&vo? aÚYYpocfAfAa’ 7] aot aXXo xi cpaív£-
xat xo xotoüxov r¡ Xóyoi; <juyyeypo:{xfi,£voi; ulteriormente Fedro, 251
D 7; 258 C 5. Fedro, 258 D 8-11: Beó[Jt,e6á xi, <L OalSpE, Auaíav. x£
Tcspt xoúxwv ¿Éjexáaai xaí aXXov oaxi? tewttoxe xi Y&YPacP£v ^ Ypácj>£i,
£ix£ TtoXixtxov aúyYpafx¡j,a Etxe íotwxtxóv, ¿v [xéxpto ¿b? 7i(H7]X7)? r\
qíveu ¡jixpou w? íSicoxti?; Fedro, 277 D 6-7: 'Q? eIxe Auaía? f¡ xt<g aX-
Xo? 7:w7rox£ £ypac[)£v 7] ypácjí£i E8ía r¡ 87]¡xoa(a vófjtou? tl0&C<^, ati-f-
Ypa|i.^,a 7toXmxov ypácpcov. Fedro, 278 C 3: ... SóXam xai oaxi? év
7roXtxtxoI? XóyoLi; vó[xou? óvo{xáCwv auyypa|i[JLaxa eypa^ev. Parme-
nide, 128 A 4-6: Zenone ricerca l’ amicizia di Parmenide anche con
il suo aÚYYpajj^a. Político , 297 D 6 ; 299 D 7; E 4; 300 A 1 s.; B 6 ; C
1; 301 E 3: auyypáfJifxaxa come annotazioni scritte delle rególe di
un’ «a rte» con I’inclusione dell’ arte política; spesso usato come si
nónimo di YpáEJL{jiaxa (p. es. 300 A 1-4). 299 D 1 - E 4: e í ... xaí xtva
tfrTco<popßiav au xaxá auYYpájjL(jt,axa.0Eaaaí^£0a y<Tv0M-&vt)v ... tcocv
oxt ¡jipo? Staxovixr) TC£pt,£ÍXricp£v ... xí tcox’ av 9 av£Í7], xaxá m/f-
Ypá[JL(Jtaxa yiyw[iz.vcn xaí ¡jLrj xaxá xéxvtjv; 300 C 1-3: Ata xaüxa 8ri
xoT? 7C£pt óxouoüv vó[xou? xaí auYYP^fXaxa xt0£[iivoi<; Seúxepo?
tiXoü? xö 7tapá xaüxa [xr¡xB eva ¡ir¡x£ tcXt¡9o? ¡jLrjSev (j.r]8£7tox£ ¿av
Spáv ¡xt)8 ’ óxtoÜv. Leggi, 810 B 6 : sopra A 2.; Leggi, 858 C 10: sopra
A 5.; Lettera VII, 341 C 5 ouxouv ¿¡xóv yz Tc&pt auxwv (scil.: Ktpi wv
¿Y<o a7i:ouoáí/o) eaxtv aÚYYPa[Jt[xa ouo¿ ¡xr¡7tox£ Y¿V7ixai. 344 C 3-7:
¿vi 8rj ex xoúxcov SbT Y^woXEtv Xóy^, oxav í 8r) xí? xou auYYPÓWa-
xa yzypasiva elx& ¿v vó[xoii; vofjtoöixou dxe ¿v aXXot? xiotv axx’
ouv, oux r¡v xoúxa) xaüxa aTcouSatóxaxa, £Í7t£p &<rx’ auxó? axou-
Satoi;. [Platone], Lettera II, 314 C 1-4: sopra B 2; [Platone], Minos-
se, 316 C 5 - 317 C 3: sopra A 5.
9. Aristotele nella Retorica, 1407 b 16 chiama il libro di Eraclito un
aÚYYPaM-M-a (cosi anche per es. Diogene Laerzio, IX 1); sempre A ri
stotele ne\YEtica Nicomachea, 1181 b2 scrive che non si diventa
medico ex x¿>v au YYP^i^xw v. E nell’Etica Eudemea, 1214 a2 usa il
termine auv£Ypacj>£v per indicare il comporre e presentare un epi-
gramma di due linee («com posed an inscription» Rackham; «hat
eine Inschrift eintragen lassen» Dirlmeier).
470 APPENDICE II
6 Ch.H. Kahn, The A rt and Thought o f Heraclitus, Cambridge 1979, pp. 113 s.; piü
prudenteM. Marcovich (curatore), Eraclito, Firenze 1978, p. 48: «probabilmente tratta-
ti in prosa». Cfr. sopra, nota 1. Wilamowitz non escludeva le composizioni poetiche:
«Omero ed Esiodo non bastano» a spiegare la sapienza di Pitagora (Der Glaube der Hel
lenen II, Darmstadt 1973 4, pp. 185 s.) — il che significa che essi appartenevano alle sue
fonti.
7 auyypacpri puö anche voler indicare il processo della scrittura (Erodoto, I 93, 1). II ri-
sultato di questo processo e poi ulteriormente indicato da auyypacpri inteso come annota-
zione (politico) giuridica, «contratto» , come nel Giuramento di Ippocrate, Tucidide, V
35, 3 e, in seguito, come termine giuridico presso gli oratori attici e nelle iscrizioni (cfr.
Liddell-Scott, sub voce).
JL SIGN1FICATO DI 2YTTPAMMA 471
(i)
Neirintero Corpus Platonicum non esiste quasi un’altra frase che abbia
provocato tanta confusione e destato tanto stupore come quella della Let
tera VII, in cui Platone dice che non esiste nessun suo scritto sulle cose per
lui piu serie, e che nemmeno esistera in futuro: «su queste cose ( scil.: di cui
io mi prendo cura) non c’e un mio scritto e non ci sara m ai» (ouxouv ejj-ov
ye tiepi auxcov [scil.: rcepi a>v ¿-yw oxcouSaCw] eaxiv auyyp ajxjia ouSe \ir\%oxt
■yEVTjxcu, 341 C 4-5). Questo non e in contraddizione con l ’esistenza dei
dialoghi?
Sono possibili tre interpretazioni di questa frase, a seconda che la negazio-
ne si riferisca alia persona di Platone, alia forma espositiva delle opere fi-
losofiche o al contenuto esposto:
1 Lettera II, 314 C 2-3 e una citazione approssimativa della Lettera V II, 341 C 4-5.
SULLA «LETTER A V il» 473
( 2)
(letteratura in A . Lesky, Geschichte der griechischen Literatur, Bern 1963 2, pp. 633 s.;
H. Bengtson, Griechische Geschichte, München 1969 4, p. 301), le lettere 1-4 di Isocrate
sono autentiche. La lettera di Filippo agli Ateniesi ( = Demostene, 12), che in passato
veniva atetizzata, viene oggi ritenuta autentica (Bengtson, loc. ciL). Per queilo che ri
guarda le lettere attribuite a Demostene, «la questione dell’ autenticita delta seconda e
della terza va ancora esaminata» (Lesky, Geschichte..., p. 653); J.A. Goldstein, The
Letters o f Demosthenes, New York 1968, si schiera per l ’autenticitä delle lettere 1-4.
476 APPENDICE III
9 Cfr. sopra, p. 473 e nota 4, e Appendice II (cfr. anche Appendice 1, pp. 434 ss., e note
14-19).
10 Platone stesso sottolinea ehe questa è la funzione dell’e ra ^ u s : 342 A 1-6.
SULLA «LETTER A V II» 477
cui il filosofo non espone senz’altro, in ogni ’{kzfyp<;, i xifxitóxepoc che sono
a sua disposizione). Dalla impossibilitá di comunicare con la forza la co-
noscenza si ricava la conseguenza che il pensatore serio non scriverá intor-
no a ció che per lui é veramente serio (344 C 1-3).
Di fronte a questa valutazione delle difficoltá della comunicazione filosó
fica, la tesi che proprio la «c o p ia » immobile del Xóyo? vivo non debba es
ser colpita dai dubbi che si rivolgono contro il Xóyoi; come tale appare po
co realistica. É difficile vedere come si possa sostenere una tale tesi di
fronte alie formulazioni generali che sottolineano, all’ interno d elVexcur-
sus, Pinsicurezza della trasmissione di conoscenza per mezzo della parola e
dello scritto 11 e che tratteggiano, all’inizio e alia fine átWexcursus, la me
ta della dimostrazione: Platone vuole indicare i motivi che si oppongono
« a che venga messo per iscritto anche soltanto alcunché di queste cose» i2,
ed eselude che il pensatore metterá per iscritto i suoi a7cooSat,óxaxoc in scrit-
ti di qualunque tipo essi siano 13.
Contro questa rinuncia di scrivere «su queste cose», esplicito, imponente,
ottenuto per motivi di principio, si leva ora l’ interpretazione antiesoterica
e richiede che le connotazioni, a suo dire implicite, negative del termine
aúyypajji^oc vengono poste al di sopra dell’affermazione chiara di numero-
si singoli passi e delPintenzione non fraintendibile dell’insieme.
M a anche se il termine avesse queste connotazioni — e sappiamo che non é
questo il caso — , ci troveremmo a fare i conti, invece che con una soluzio-
ne platónica, solo con nuovi problemi. Infatti, restaño comunque nel testo
i passi che escludono « lo scrivere su queste cose» senza l’ ausilio del termi
ne aú'ffpa¡x[ia. Dovremmo, allora, in primo luogo, rimproverare a Plato
ne la contraddittorietá. In secondo luogo, egli sarebbe esposto anche al
rimprovero di franchezza insufficiente: infatti, non sarebbe altro se non
una mancanza di franchezza se Platone giudicasse, da un lato, Dionigi e
oltre a lui tutti gli «scrittori di queste cose» passati e futuri, con parole du
re (341 B 3 - C 4; 344 C 4 - D 2), e, dall’altro, pero, non dicesse che anche
lui ha tuttavia scritto «su queste cose» nei suoi dialoghi. Da dove potreb-
bero sapere i destinatari della lettera che un tipo di scrittura è competente e
legittimo e che Taltro è incompetente e sacrilego, sé Platone, in tutte que
ste pagine, non si fosse preoccupato di contrapporre esplicitamente due
modi di scrivere? Oppure Platone ha aspettato che gli amici di Dione rica-
vassero solo dal termine aúyypa|j.¡j,a, non ulteriormente analizzato, la teo
ria dei vantaggi ermeneutici della forma della comunicazione indiretta dia-
logica nel senso schleiermacheriano? E questo proprio nella lettera che
espone Tinsicurezza della comunicazione filosófica? Anche la arbitraria
ricostruzione del senso di oúyypa¡x[xa non può impedire che Pinterpreta-
zione antiesoterica si allontani di molto dalle intenzioni di Platone.
E che cosa significa la condanna di tutti i futuri scríttori «su queste cose»
(dei ypác[>ovxe.ç, 341 C 1)? Se è legittimo scrivere «su queste cose» in modo
dialogico-indiretto, un pensatore del futuro non potrebbe seguire Platone
legittimamente per questa strada? Oppure Platone era cosi preso dalia sua
maestria nella esposizione, che ha categoricamente negato a tutti i succes-
sori la possibilitá di avvicinarsi al suo modello?
La condanna dei •ypá^ovxeç mostra anzi, per un giudizio imparziale, che
essa non può dipendere dal modo di esporre, ma solo dal ypáyzw xtõv
xotoõxwv xou óxtoüv. Tuttavia il secolo X X predilige un Platone contrad-
dittorio, insincero, infinitamente vacuo, ad un Platone che tiene da parte
certi contenuti per la discussione orale.
2. La maggior parte degli interpreti crede di sapere che Dionigi ha dato
un’ esposizione della filosofia platónica «sistemática», manualistica, e che
per questo Platone è irritato con lu i14.
La frase decisiva suona: uaxepov 8è x a í àxoúto y£ypaçévat aúxòv (scil.:
Áio vú a io v) Tcepí w v xóxe ríxouae-, auvOÉvxa a>ç aóxoü x&xvYlv > ouSèv xtov
auxw v & v àxoúot/ oí8a Sè ouSèv xoóxw v (341 B3 - 5). Perciò, dopo la sua
unica conversazione con Platone, Dionigi ha scritto su quelle cose udite da
lui, ma facendole passare come propria x é x VTl- L ’opposizione 7iepl ¿>v xóxa
7]xoua£ - ouSèv x<õv auxcõv w v àxoúoi mostra chiaramente che anche in que
sto caso non importa la forma espositiva, ma il fatto che Dionigi abbia
spacciato per suo il discorso platonico. Si ricava dai dialoghi stessi (cfr. so-
prattutto Repubbiica, 534 D-E; Fedro, 276 E) che il completamente della
7tcu8e.ía platónica consisteva nella BiaXexxtxr] xé^vr) e questo era senz’ altro
detto anche nella ixeipa cui Platone ha sottoposto il giovane tiranno. Se il
libro di Dionigi altro non era se non un plagio del contenuto della Ttelpoc, si
capisce che si presentava come esposizione della StaX&xxt,xr¡ xé/vr]. Proprio
la parola xe^vr] riguarda, perciò, il contenuto, non la forma delPesposizio-
ne. Si deve supporre con grande probabilitá che Dionigi si sia servito per la
14 Tutti gli interpreti che riconoscono Pargomento del crúyYpa|i|jta, sostengono questa
idea circa la colpa di Dionigi (una breve bibliografia scelta a proposito di questo argo-
mento si trova sopra, Appendice I, p. 435, nota 19).
SULLA «LETTER A V il» 479
esposizione della forma dialogica 15. Comunque, il testo non offre il míni
mo appiglio per ritenere che si trattasse di uno «scritto didattico». Che il
suo libro fosse poi «sistemático», é reso molto improbabile dalla osserva-
zione di Platone secondo la quale Dionigi si sarebbe sottoposto solo ad
una parte della Tielpoc (341 A 8; cfr. 345 A 3-7 sarebbe perció mancato
qualcosa al «sistem a»), e inoltre dalla fomulazione d V ouv Atovúato?
eypa(Jj£V xi :w v Ttept cpúasío? axpwv xat Ttpcóxcov 344 D 4: Platone ritie-
ne perció verosimile che Dionigi abbia messo per iscritto «qualcosa dei»
temi piü aíti e primi. Del resto Platone né ha visto il libro di Dionigi, né si é
fatto daré in proposito notizie piü precise: oTSa oúSev xoúxcov. Solo i se-
guaci della moderna teoria della forma del dialogo posseggono conoscenze
sicure sulla disposizione «sistemática» di questo «scritto didattico».
M a anche senza saperne di piü sul libro, Platone puó indicare l’errore di
Dionigi: non é la scelta della forma espositiva sbagliata, o del trattamento
inadeguato della forma «corretta» del dialogo, ma soltanto il fatto di aver
scritto «su queste cose». Solo questo rivela che Dionigi, e chiunque altro
faccia lo stesso, é incompetente (341 C 3-4; 344 C 1 - D 2; 344 D 6; cfr. 345
B 6 -7 ), Poiché la debolezza dei X ó fo t lascia esposti in gran misura ai frain-
tendimenti proprio gli aTcouSatóxaxa (343 D 2 ss.) e poiché gli uomini ac-
colgono queste cose con invidia e le fanno sembrare indifese per mezzo di
un discutibile procedimento basato nelYelenchos l6, la loro pubblicazione
é un atto di scarso «rispetto», un «gettare fu ori» ció che piü ha valore
«nella discordanza e nell’inadeguatezza» di tale accoglienza. Platone stes
so ha dimostrato il rispetto necessario e non ha «gettato fu ori» niente; la
mancanza di rispetto da parte di Dionigi é Túnico motivo del suo astio:
¿[jioícoi; "fáp av aú xá ¿aéfk xo ¿¡jlol, xcd oux av a ú xá éxóX|xr]a£V et? ávap¡JLo-
axíav xaí oc7tp£7retav éxpáXXeiv (3 4 4 D 7 - 9 ) l7. Platone non rimprovera una
forma espositiva, ma l ’atteggiamento interiore favorevole alia pubblica
zione. Per lui l ’atteggiamento di Dionigi non é altro che cptXoxt.jj.ia oaaxpá
(3 4 4 E 2).
3. Nella Lettera VII Platone non dice con nessuna parola che dai suoi dia-
loghi si possono conoscere gli axouSatóxaxa della sua filosofía o le cose
«xspt ¿>v eyw a7tou§á£a>».
Si puó essere súbito tentati di spiegare che questo silenzio non significa
niente, poiché non c’era bisogno di nominare propriamente i dialoghi co
me fonte della sua filosofía. Ma, a ben vedere, si nota che la lettera mostra
invece una serie di passi nei quali sarebbe stato inevitabile un rimando ai
dialoghi, se questi fossero stati davvero considerad da Platone e dai suoi
contemporanei come fonte per le [xéyiata della sua filosofía 18.
Alcuni anni dopo il secondo viaggio in Sicilia di Platone (366/5 a.C.) Dio-
nigi provó un nuovo desiderio di istruzione filosófica (338 B 6). Capitó che
intorno a luí ci fossero persone che, per interposizione di altri, avessero
sentito, grazie a Dione, certe cose sulla filosofía di Platone. Poiché essi
supponevano che Dionigi avesse saputo tutto da Platone dalPultimo viag
gio di quest’ ultimo a Siracusa, gli si avvicinarono con l ’intenzione di con-
durre con lui dialoghi filosofici (338 D 1-6). Dionigi si vergognava di am-
mettere che non aveva imparato da Platone in persona; tuttavia, il tratta-
mento adulatorio nei suoi confronti come conoscitore della filosofía di
Platone stimoló il suo orgoglio. E qui ci aspetteremmo, «cosicché egli les-
se, con grande zelo, miei dialoghi per imparare tutto da lo ro »; invece la
lettera prosegue: cosicché si preoccupó ancora di piú di portare di nuovo
Platone stesso a Siracusa e invió persino una comoda nave per rendergli
piü agevole il viaggio (338 D 6 - 339 A 7).
Evidentemente, i Siracusani che sapevano qualcosa del circolo di Dione e
volevano ora saperne di piü sul pensiero di Platone, non pensarono ad in
terrogare i dialoghi. L ’orgoglioso Dionigi non avrebbe avuto la possibilitá
di leggere in segreto i dialoghi e di diffondere poi, come suo, il loro conté-
ñuto? Ma anche lui non ha pensato di prendere in considerazione i dialo
ghi. Ma é caratteristico che nemmeno Platone stesso non trovi niente di
sbagliato che gli interessati, come anche Dionigi, si siano preoccupati di
un insegnamento autentico, sia per mezzo di lui in persona sia per mezzo
di altri personalmente informad. Non dice né che avrebbero fatto meglio a
studiarsi prima i dialoghi né attribuisce alia loro pigrizia morale il fatto
che abbiano trascurato i dialoghi, se si tratta di Tcávxa oaa Sievooú^v éyw
(338 D 5 ) 19: anzi, proprio qui dice di Dionigi che non era affatto privo di
doti. N o, Platone condivide, in modo molto evidente, Topinione delle per
sone da lui nomínate, che per una conoscenza piú precisa delle ¡j í y 10™
della sua filosofía é necessario l’ «ascolto» personale.
La risposta che Platone da su una possibile svaíutazione di quello che egli
ha esposto oralmente a Dionigi durante la xeípoc va compresa pariendo da
18 Fa parte di questi passi anche il rifiuto di uno scritto di Platone a questo riguardo (e
deire.ravrms' teoretico-gnoseologico da esso separato) di cui si e trattato gia nei paragra-
fo (I) (cfr., in particolare, p. 472). — Le osservazioni che seguono nei testo sono state
esposte in modo piu dettagliato in: The Acquiring o f Philosophical Knowledge A ccor
ding to P la to ’s Seventh Letter, in: A A .V V ., Arktouros, Hellenic Studies presented to
B.M. W. K nox, Berlin 1979, pp. 354^363.
19 Non e ne detto ne lontanamente probabile che Dionigi e le persone interessate non
conoscessero affatto i dialoghi.
SULLA «LETTER A V II» 481
questo. Se Dionigi dovesse dire che le cose che Platone, allora, gli aveva
detto erano di valore minore (çaüXoc), in tal caso egli si metterebbe in con
trasto con molti a ltri20 che sono giudici di gran lunga piú competenti di
Dionigi (345 B 5-7).
Questa risposta è utilizzabile? Si dovrebbe pensare che sarebbe stato piú
evidente ed efficace, se Platone avesse invitato ad un confronto diretto fra
i suoi dialoghi e il libro di Dionigi, pubblicato a sua volta: si potrebbe ve-
dere, cosi, nel modo migliore di chi sia il pensiero di valore minore. Si può
capire il fatto che Platone passi sotto silenzio i suoi scritti e rimandi ad
ascoltatori piú competenti, propriamente non nominati, solo se quello che
Dionigi e gli altri avevano ascoltato dalla bocca di Platone non coincideva
con il contenuto dei dialoghi. Come nel Fedro, per 1’ ultima dimostrazione
che le esposizioni dei filosofo non sono cpaüXa (Fedro 278 C 7 ~ Lettera
VII, 345 B 2) il critico viene rinviato ai Ti{Ju<í>Tspa orali ovvero ai anouSaió-
Torcoc, il cui significato non è certo disponibile per ognuno, come i due testi
osservano.
Non si dice, ovviamente, che quelle persone piú competenti hanno letto
piú dialoghi che non Dionigi, o che li hanno capiti m eglio21. Invece dalla
loro contrapposizione a Dionigi, che aveva ascoltato una sola volta, e per
giunta in parte soltanto, 1’esposizione orale dei platonici axpa xal upwxa
(341 A 7; 345 A 4), si deve trarre la conclusione che essí hanno sentito que
sta esposizione nella sua completezza piú volte, che hanno riflettuto sopra
e ne hanno discusso22. L a lettura dei dialoghi non ha la minima importan-
za in tutta la discussione sulla pubblicazione delle «cose serie» di Platone:
chi scrive sui [xéytaxo: delia filosofia platônica lo fa &IV ¿¡jloü àxrjxoó-teç elV
ãXXcov eíB’ oíç eúpóvteç auxot (341 C 2). Giudici competenti sono solo quel-
li che hanno ascoltato P la ton e23: gli altri sono mxpaxoua^táTwv
(338 D 3; 340 B 6 )24. Nessuno è, tuttavia, sospettato di plagio dei dialoghi,
20 II fatto che altri, in altre occasioni, abbiano sentito da Platone le stesse cose di Dioni
gi nella Käpa é presupposto anche in 344 D 5; 341 C 2 e 340 C 8 . Cfr. nota 22.
21 Queste ultime cose si possono si ammettere a fortio ri, ma é indicativo che Platone
non ci si soffermi.
22 La tí t i p a , in senso stretto, non richiedeva che solo colloquio. Essa, pero, offriva uno
sguardo panorámico sul tutto (340 B 8) e questo doveva essere ripreso senza dubbio sem
pre di nuovo, come si presuppone ovviamente in 345 A 6 .
23 II tentativo compiuto da Guthrie'di interpretare P«ascolto», che nella Lettera V IIc o -
stituisce Túnica via di accesso autentica al proprium della filosofía platónica, come
ascolto di letture fatte da libri (V, p. 411 e nota 2) testimonia una lettura molto superfi
ciale della lettera; cosi come superficiale é anche il richiamo a Fedone, 97 B, da cui si ri-
caverebbe che tali letture costituivano la via consueta per la conoscenza di un libro: Fe-
done, 98 B mostra invece che alia lettura pubblica seguiva quella privata. Ma nella lette
ra non svoigono nessun ruolo né la lettura privata né quella pubblica. Cfr. il mió contri
buto, loe. eit. (cfr. sopra, nota 18).
24 É dovuto senz’altro alia visione polémica della lettera il fatto che Platone non citi,
qui, la possibilitä, chiaramente espressa in Fedro, 276 E s., per cui é possibile ricevere un
avvio perfettamente valido alia dialettica anche da un «a llievo » che sia giunto alia matu-
ritá filosófica.
482 APPENDICE III
né Dionigi né gli altri che hanno scritto testi simili: i dialoghi e la filosofía
órale avevano, evidentemente, contenuti chiaramente distinguibili25.
4. Per sottrarsi al riconoscimento di una filosofía órale, si é presa la spie-
gazione che ció che per Platone é piú serio non é altro che il coglimento
«n o etico » dell’Idea: questo é ou prjtóv e si puó paragonare, nel modo mi-
gliore, alio scoccare di una scintilla (341 C 5, 7). Platone non avrebbe
scritto, di fatto, niente intorno a questo, perché per principio esso non en
tra nello scritto26.
Si ricava, in modo suficientemente chiaro, áoXYexcursus, che per Platone
esiste qualcosa che, per principio, si sottrae ad una resa adeguata nel Xó-
yoc. Che pero il suo verdetto contro un cúyypa^}Jta Tcepí auxwv significhi
proprio questo e nient’ altro, va escluso giá per il fatto che Platone fa ap-
pello alia ragione27 di chi conosce i suoi ovtío? oTtouBaíoc e, al tempo stesso,
anche al suo «rispetto» e al suo controllo di un orgoglio sbagliato28. La ra
gione e la decisione morale sono necessarie lá dove si debba compiere una
scelta.
Quello che per principio non si puó esprimere, non possiamo scegliere di
dirlo comunque. Non ha senso rimproverare una mancanza di «rispetto»,
o che «si sta gettando fu o ri» ció che é decisivo a uno che scriva «su queste
cose» (o «girando intorno a queste cose»?): ció che non si puó esprimere é,
eo ipso, ció che non si puó gettare fuori. Poiché Platone considera lo scri-
vere o non scrivere «su queste cose» come una questione di decisione29 del
singolo, il suo rifiuto di un aúyypafj.fi.a Ttepi aikwv non puó essere única
mente un altro modo di esprimere la sua convinzione delPimpossibilitá di
comunicare con la forza l ’intuizione noetica.
La interpretazione moderna, sbagliata, é senz’ altro causata dal testo stes
so: nell’importante passo 341 B-C Platone passa immediatamente da frasi
che intendono lo scrivere di queste cose come una indubitabile possibilitá
aH’ accenno della scintilla che scocca «improvvisamente», che come tale
non puó certo essere il contenuto di uno scritto.
Resta solo incomprensibile come ci si sia potuti limitare a quest’unica af-
fermazione. Platone la pronuncia nel corso del suo resoconto sul compor-
tamento di Dionigi, e, inoltre, per rendere comprensibile questa afferma-
25 La distinguibilitá dei contenuti non significa, ovviamente, che essi non abbiano avu-
to niente a che fare Tuno con l’altro; a proposito dei fraintendimenti di Vlastos, cfr. so
pra, pp. 122-126 e note 4 e 12.
26 Questa idea di quello che non rientra nei dialoghi é una possibilitá inerente alia teoría
schleiermacheriana della forma del dialogo (a proposito della quäle cfr. Appendice I), e
si ritrova, con vari gradi di determinatezza e chiarezza, in numerosi autori di questa cor-
rente. Thurnher, D er siebte Platonbrief pp. 94 ss., ha cercato di rifondare questa
concezione pariendo da un punto di vista heideggeriano.
2- Qui solo in forma negativa a motivo della citazione omerica, cambiata, a proposito
della perdita della ragione per intervento umano (in Omero: divino) (344 D 1). In forma
positiva, lo stesso appello alia ragione si trova in: Fedro, 276 C 4.
28 Cfr. sopra, pp. 476 s.
29 oux av a u xa e r óX¡irjae.v . .. ¿xßaXXeiv.
SULLA «LETTER A V II» 483
30 Gadamer, Dialektik und Sophistik ..., pp. 226 s., ha giustamente sottolineato il ca-
rattere propedeutico delle osservazioni filosofiche della lettera, e prima di lui lo aveva
fatto giä Krämer, Arete p. 459.
344 C 2: tü v övxcov ajrouSatwv r c i p i . C 6 : xa <j7iou§aL6xaxa. 341 C 1: Ttepi <Lv syto
aTtouSa^w. B 1: xa [¿¿ytaxa. 341 E 5: xoüi; St ejjiTcXriaetev av u<j)T}Xrji; xat x a>Jvrl? eXiriSo^,
¿¡ ;
a£pV axxa [Lt[xat.Br\x6zaq. 344 D 7: jlo u o i yap äv auxa ¿ceß&xo ¿¡jloL
32 344 D 4: xa 7ts.pt cpuceio; axpa xca npöjxa. B 2: xö cfjeuSoig a^a xat aXrjÖ^ xfjij oAr^
ouaia?.
484 APPENDICE III
patore alia sua teoría nella sua globalitá (rcav xó 7tpay[jia, xó oXov, 340 B 8;
341 A 2) e alia molteplicitá degli ambiti dottrinali ad essa legati ([xa0r[[xa-
xoc, 340 D 8). Questa volta, pero, Platone ha presentato solo una parte (ou
Tcávxa) perché Dionigi pretendeva di conoscere giá e di aver giá capito a
sufficienza «m olte cose e le piü importanti» (rcoXXóc xai xoc ¡ji-yiaxa) (341 A
8 - B 2). Esistevano, perció, esposizioni complete e meno complete della
teoría e la scelta dei contenuti, che nel singolo caso venivano comunicati,
poteva riguardare cose centrali o meno centrali. E ovviamente Platone im-
maginava l ’esposizione scritta, che egli personalmente rifiutava in modo
netto, come qualcosa che puó essere piü o meno completo: egli dice, all’i-
nizio úq\Vexcursus (342 A 4-5), che di questo non si deve scrivere «neppure
una mínima cosa» (xat óxiouv), e suppone che Dionigi e altri ne abbiano
invece pubblicato «qualcosa» (344 D 4 ) 33.
Queste osservazioni sul linguaggio della Lettera V II mostrano che oltre al
ia «scintilla che si sprigiona», che, per sua natura, non pud essere rappre-
sentata direttamente nella scrittura, esistono anche altre cose che restaño
escluse dalla scrittura, un ámbito teoretico i cui contenuti sono perfetta-
mente formulabili, e che, in linea di principio, potrebbero, perció, anche
essere trasmessi per mezzo della scrittura, anche se non aXXa ¡j(,aGri|Juxxa
(341 C 6). La linea di separazione tra la comunicazione rischiosa degli
axpoc xal Tiptoxa e la comunicazione, non equivocabile nella stessa misura,
di áXXa ptacOrijjiocxa passa attraverso i itepí cptXoaocpíav Xóyot: mentre Plato
ne ha potuto pubblicare, nei suoi scritti, molte cose sulTanima e sulla co-
noscenza, sullo Stato e sulla giustizia, dai dialoghi é rimasta esclusa l ’espo-
sizione di ció che avrebbe portato la persona adatta — ma proprio lei sola
— alia conoscenza di c|>eü8os a¡Jta xat áXr)0£.£ xfjc oXt]? oüaía?.
5. Ovviamente, questo atteggiamento non implica né segretezza né una
«dottrina segreta». Per capire Platone é, anzi, decisivo cogliere la diffe-
renza fra segretezza ed esoterica. Potra servire per chiarjre questa diffe-
34 Aristotele, fr. 192 Rose; Aristosseno fr. 43 Wehrli, Cfr. Zeller, D ie Philos. d. Grie
chen ..., I, p. 409, nota 2, e Burkert, Lore and Science ..., pp. 178 s.
35 Testimonianze in Diels-Kranz 18.4; cfr. la cosidderta Letiera di Liside (144, 10 The-
sleff): se Ipparco avesse continuato a filosofare in pubblico, sarebbe stato per Liside co-
me se egli fosse morto.
36 Giamblico, Vita pitagorica, 251 — Diels-Kranz, 18, 5.
486 APPENDICE III
Platone o consegnarlo ai suoi soldati infuriati; per non averlo fatto, Plato-
ne lo considera, in certa misura, come uno che gli ha salvato la vita, gli e
riconoscente e non sostiene la guerra contro di lui (340 A ; 350 C-D). Del
resto l’atteggiamento di Platone nei confronti di Dionigi non e improntato
all’indignazione e alia condanna morale, bensi ad un’indicibile delusione
tanto per il suo comportamento umano per altri rispetti, quanto per la
pubblicazione di quello scritto su argomenti della sua filosofia orale. Cer-
to exPaXXeiv e aefkaOai (344 D 7, 9) possono aver risonanze religiose, co
me, poi, di fatto per Platone la 0£toc <paXoao<pia sfiora l ’ambito del divino;
tuttavia Platone e ben lontano dall’invocare su Dionigi la punizione divi-
na. Non gli ricorda nessun giuramento, poiche non esisteva niente di simi
le nell’Accademia: chi partecipava al pensiero esoterico di Platone non
stava sotto la costrizione di paure religiose. Invece Platone chiarisce, al di
la di ogni possibile equivoco, che avrebbero dovuto trattenere Dionigi dal-
la pubblicazione la ragione, la responsabilita nei confronti dell’oggetto
della filosofia, il «rispetto» e il decoro37.
II confronto della leggenda di Ippaso con il resoconto di Dionigi fornisce,
percio, il seguente quadro di insieme.
La segretezza poggia sull’ obbligo, la sua trasgressione provoca delle san-
zioni. L ’obbligo alia segretezza toglie la liberta a chi partecipa del sapere.
L o scopo della segretezza e il raggiungimento o il mantenimento del potere
della lega che mantiene il segreto. I] sapere segreto e un mezzo per raggiun-
gere lo scopo.
L ’esoterica non poggia sulla costrizione, bensi sulla conoscenza. La liberta
di chi partecipa del sapere esoterico non viene eliminata, bensi viene invi-
tata a manifestarsi nella decisione giusta. Percio alia trasgressione del ri-
serbo esoterico non seguono sanzioni, ma la perdita della considerazione
di chi filosofa insieme. Infatti, chi diffonde il sapere esoterico non nuoce
alia comunita, ma a se stesso e all’ oggetto di cui esso tratta. II sapere eso
terico non e un mezzo della sete di potere, ma e un fine a se stesso. L ’ esote
rica e orientata all’ oggetto, la segretezza al potere.
Per chi non ritenesse abbastanza significativa questa distinzione, o la rite-
nesse completamente inutile, ricordiamo che la convinzione moderna della
desiderabilit& di una diffusione illimitata di ogni ricerca, ogni opinione e
ogni sapere e diventata dominante solo per mezzo dell’ Illuminismo. Pro-
prio nella Lettera VII Platone dice di non ritenere desiderabile la trasmis-
sione della sua filosofia orale a tutti gli uom ini38. M a se cade l ’ opzione
moderna per una pubblicita per principio, allora le differenze fra le opi-
nioni che restano diventano ancor piu importanti39. E di fronte all’impor-
tanza fondamentale, nel pensiero di Platone 40, della libertá nel regolare i
rapporti umani, si potra definire fondamentale anche la differenza fra
esoterica e segretezza 41.
Questo non eselude che sia peró pensabile passare dall’esoterica alia segre
tezza: almeno nel secondo progetto di Stato di Platone, il sapere dei gover-
nanti non é solo esote rico, ma anche segreto. Peraltro, lo Stato delle Leggi
é un’utopia e, pertanto, ricco di spunti per la posizione di Platone, ma non
é una copia diretta del suo comportamiento nelí’Accademia. Invece la Let-
tera V il va considerata come fonte storica. In essa non troviamo traccia di
segretezza, ma un concetto, chiaramente espresso, di esoterica filosófica.
L ’impegno decisivo nei confronti dell’ oggetto della filosofía porta a limi
tare la comunicazione pubblica, perché Platone é convinto che solo pochi
uomini possono essere all’ altezza di quello che l’oggetto richiede. In que
sto, fin dalla Repubblica le sue opinioni non sono mutate per nulla. Anche
la egli partiva dalla natura non filosófica della folla, sottolineava la raritá
delle nature filosofiche, richiedeva di scegliere le persone adatte e di esclu-
dere quelle inadatte42. M a poiché nello Stato ideale non c’era fin dall’ ini-
zio da pensare ad una diffusione di libri destinad ai re-filosofi, non c’era
motivo, in quella sede, di metiere in collegamento la restrizione, chiara
mente espressa, della tcouSuoc filosófica (503 D8) con il problema della
scrittura. Questo si é verificato nel Fedro, e la Lettera VII porta avanti gli
stessi pensieri ma, insieme, li unisce alie idee della Repubblica (412 B - 414
A , 485 A - 487 A , 503 C; 535 A ss.), indicando, piü precisamente, la dispo-
sizione necessaria al dialettico e le debolezze caratteristiche del non-filoso
fo (340 C-E, 343 E - 344 A ), mentre nel Fedro il complesso di scelta ed
esclusione é indicato in modo chiaro ma essenzialmente piü conciso43 da
accenni quali Xa(3cov <|>ux*lv Trpoarjxouaav e crtyav 7cpó<; oü$ Ss!. La Tteípa,
che Platone, a quanto sembra, faceva regolarmente (340 B 4 - 341 A 7),
È stata Panalisi della struttura dei dialoghi e Posservazione del ruolo di chi
conduce il dialogo che cí ha portati a concludere che, nelle sue opere, Pla
tone ha imitato il tipo esoterico della trasmissione di conoscenze, cioè
quello orientato rigorosamente alle esigenze del destinatario. In questo le
nostre osservazioni si sono lasciate guidare dalle affermazioni teoretiche di
Platone suirimpiego della scrittura.
Un risultato ottenuto in questo modo non può, fondamentalmente, venire
privato di valore da singóle frasi che si ricavano dai dialoghi, e nemmeno
quando esse sono dette da «Socrate». Infatti, tutto quello che le figure del
gioco del dialogo filosofico dicono, è stato messo loro in bocca dall’ autore
in vista dello scopo che egli persegue con Pinsieme. Ma il senso dell’insie-
me va coito non da singoli passi, bensi dal movimento del «dram m a».
Comunque, per comodità di critica, raccogliamo qui di seguito alcune a f
fermazioni che, se considérate superficialmente ed isolatamente, sembre-
rebbero «con fu tare» il nostro risultato.
a) I pensieri socratici si originano volta per volta solo parlando: Gorgia,
506 A ; Cratilo, 384 C; Repubblica, 394 D, 450 E (cfr. 498 E). Di conse-
guenza, anche Platone ha avuto di volta in volta da dire solamente quanto
ha messo su carta. I dialoghi rappresentano sempre «lo stato piü recente
della ricerca».
A prescindere dal fatto che non è lecito trovare conclusioni sull’ autore
Platone pariendo dal personaggio del dialogo Socrate, si è potuto dimo
strare che, sempre, per il personaggio del dialogo, P origine dei discor si
(dei Xóyoi) che scaturisce dall’esigenza del momento significa solo che il
dialettico svela o trattiene il suo sapere nascosto, a seconda dell’ esigenza
del momento. Cfr., sopra, pp. 388 ss.
b) La conoscenza e la diffusione della verità è un bene comune per tutti:
Carmide, 166 D; Gorgia, 505 E; Fedorte, 63 C-D. Perciò non sarebbe pen-
sabile, per Platone, un riserbo della conoscenza filosofica.
È sempre stato pensabile per Platone «non rendere partecipi» certe nature
«della educazione piü perfetta (cioè filosofica )» {Repubblica, 503 D 8).
490 APPENDICE IV
Nello Stato ideale questo sarebbe stato non solo pensabile, ma strettamen-
te comandato. Sarebbe certo un xoivòv àyocOôv se tutti avessero una piena
conoscenza dell’essenza delle cose: ma le cpuaeiç degli uomini non sono tut-
te idonee a questo scopo. Nella Repubblica è quindi contenuta la discre-
panza fra la generale desiderabilità e l ’impossibilité, di fatto, di una diffu-
sione ampia della filosófica (nella Leí fera VII, 341 D-E questo è
ribadito). La ricerca dell’ «anim a adatta» collega il desiderabile con il pos-
sibile. Non per niente la ¿JcXoyri è uno dei temi principali della Repubblica
(412 B ss.; 502 E ss., e passim). Cfr., sopra, pp. 206 s. e212 con nota 35.
c) I logoi socratici contengono tutto quello che occorre per diventare buo-
ni e nobili; bisogna solo capire come «ap rirli»: Simposio, 221 D - 222 A .
Di conseguenza, anche i dialoghi di Platone contengono tutto quello che
aveva elaborato come pensatore; «ap rire» i dialoghi significa decifrare la
loro comunicazione indiretta (nel senso della teoría moderna del dialogo).
Cfr., sopra, pp. 350 s. e nota 49.
d) Socrate diceva a tutti la stessa cosa: Apologia, 33 B 6 - 7. Di conseguen
za, anche Platone deve essersi comportato allo stesso modo sia per iscritto
che oralmente.
Non val la pena sprecare commenti intorno alie conclusioni che si riferi-
scono alPautore, pariendo dalla figura ritratta. Facendo riéntrare il passo
nell’immagine platónica del dialettico va notato quanto segue. Abbiamo
cercato sopra (pp. 298-333) di intendere Apologia, Critone e Fedone come
una giustificazione coerente del comportamento del filosofo; giustificazio-
ne che, a seconda della situazione e degli interlocutori, può differenziarsi
per esplicitezza e portata filosófica, ma che, nelPinsieme, realizza una
concezione di fondo unitaria.
Contro questa interpretazione è stato possibile costruire un’ obiezione par-
tendo do. Apologia 33 B 6-7, dove Socrate assicura che dice a tutti la stessa
cosa e che nessuno, in privato, ha sentito da lui cose diverse da quelle udite
anche da tutti gli altri. Di fatto questa spiegazione sembra, a prima vista,
inconciliabile con Pidea che «Socrate» — inteso come una figura sola e
sempre la stessa — si contend di accenni diretti al tribunale, mentre espone
in modo preciso e completo le sue aspettative nelPaldilà a Simmia e Cebete
pitagorici filosoficamente preparati.
Per eliminare l ’ apparente contraddizione, si potrebbe tentare, dapprima,
di attribuire al Socrate «sto rico » Popposizione ad una «dottrina segreta»
(ad esempio come risposta ad Aristofane, che nelle Nuvole presuppone
una cerchia interna di adepti). Platone avrebbe perció introdotto un ele
mento tradizionale, nella sua immagine di Socrate, senza badare se si ac
cordasse o no con il suo completamento dell’ apologia pubblica con una
apologia, molto più ricca di pretese, davanti ai «giu dici» privati.
Per la nostra interpretazione questa spiegazione sarebbe certo molto co-
moda. Non credo, invece, che dovremmo rifugiarci in essa (per non parla
re della spiegazione storico-evolutiva, secondo la quale Platone, quando
scùsse Apologia, 33 B, non poteva ancora immaginare che avrebbe evoca-
A PROPOSITO DI ALCUNI PASSI 491
to, più tar di, in Fedone, 63 B ss., in un’altra cornice, ancora una volta
la situazione del processo). Chi presterà Tattenzione che le conviene alla
distinzione fra esoterica e segretezza troverà che Apologia, 33 B 6-7, è
perfettamente conciliabile con la concezione platônica dell’attività di un
autore filosofico.
Esisterebbe contraddizione fra Tadesione ad una apertura di principio
della comunicazione filosofica e la sua differenziazione a seconda delle
situazioni, se 1’esclusione del non-adatto avvenisse, come per i Pitagori-
ci, in modo istituzionalizzato, con Pobbligo di segretezza e per iniziativa
del filosofo. M a nel Socrate platonico non esiste mai l’intenzione di
escludere attivamente determinati ascoltatori: anzi, egli concede a tutti
una chance di partecipazione al suo sapere nella misura in cui ognuno è
in grado di fare. L ’ esclusione di chi non è adatto non è una sanzione del
potere di un saggio che amministra il suo sapere da sé, ma è il risultato
dell’ azione reciproca fra il dialettico e chi vuole apprendere da lui.
L ’ammissione a questa reciproca azione è aperta per principio; sarebbe
insensato e irresponsabile voler garantire che ognuno puô arrivare allo
stesso livello. È questo il punto iniziale dell’esoterica platónica K
Ma proprio VApologia o ffre un bell’esempio a sostegno dell’ esclusione
come conseguenza di un’interazione. Possiamo costatare qui come una
cerchia di ascoltatori, precisamente i giudici che condannano, si esclude,
a causa di un comportamento sbagliato, dalla dignità di essere persone a
cui Socrate rivolge la sua riflessione: le ultime parole dei filosofo sulle
sue aspettative neü’ aldilà sono rivolte solo ai giudici che lo hanno assol-
to, e solo loro vengono invitati da Socrate a restare, solo con loro egli si
intratterrebbe «volen tieri» suH’ avvenimento, perché egli ritiene solo loro
come veri giudici, e ancora di più come « a m ic i» 2.
Perciô la differenziazione del contenuto a seconda dei destinatari, che
continua fino al Fedone, inizia quindi già nella «d ifesa » pubblica3. Non
è l’interesse primo di Socrate quello di escludere, anche fisicamente, le
1 A proposito délia distinzione fra esoterica e segretezza cfr. sopra, Appendice III,
pp. 484-488.
2 Apologia , 39 E 1 - 40 E 3: Totç S à à 7co<[)7]cpuioc}jiivoi,ç r)S&o); av SiaXa/SaYjv u?cèp tou
Yê^ovotoç Touxom npày(j.aToç, ¿v eu oi a p /o v ie ç àcr^oXiav ayouct. xai oimio i'pxojxat ol
tXGovxa (jl£ §£Ï T£0vâvoa. àXXà ¡jiol, avSpeç, %apa\xe.Îvot.'zt ToaoûTov yjpôvov oùSèv
yàp xcùXtki Bia(j.u0oXoy?iaai rcpoç àXXr|Xouç '¿coq '¿'¿taxiv. ujj.ïv yàp toç 91X01«; o u o tv £7U-
Seï^oil è0£Xîo tû vuvi (xot au^ptprjxoç xi jiote voeÂ. è|j.oi yàp , avSpeç Sixacrcai —
UJJLÔ.Ç yàp Sixaaxàç xaXtôv opQcoç av xaXotr]v — 0aup.aatov yiyovsv.
3 Guthrie, A History..., III, p. 482, elenca una serie di parallel! fra Apologia e Fedo
ne, senza osservare che essi derivano tutti dai discorsi agli dffiO(]>ir)çicjà|uvoi.; per cui Pi-
pot esi che i paralleli potrebbero essere dovuti al carattere «platonico» Ac\VApologia
(invece che da reminiscenze «socratiche» nel Fedone) gli appare poi «incredibile» (III,
p. 483 n. 1). Ma quanto si potrebbe prestar fede all’ipotesi che la distribuzione degli
accenni sia avvenuta in modo del tutto casuale?
492 APPENDICE IV
4 In 39 E i giudici sembrano giá stare per andarsene; con Ja richiesta di restare rivolta
agli á7io4i7i9iaá[Jievcn, Socrate sembra volersi garantiré il pubblico «giusto» per le sue ul
time discussioni. Pero Platone sembra non aver mantenuto quest’idea in modo conse-
guente: i xaxa^r¡9 iaá¡J.£.vot vengono indicad con la terza persona in 41 D , come se fosse-
ro assenti, ma súbito dopo, invece, di nuovo con la seconda persona (E 2).
5 Cfr. sopra, pp. 318 s.
Appendice V
che ha senno, farà sul serio seminando d’estate «nei giardini d’A -
done» i semi che gli stanno a cuore e dai quali vuole che nascano
frutti, e si rallegrerà nel vederli crescere belli in otto giorni, o lo
farà per gioco e a motivo delia festa, se puré lo farà? Invece, i 5
semi dei quali si preoccupa sul serio li seminerá in luogo adatto,
seguendo tutte le rególe delParte dell’ agricoltura, contento che
quanti ne ha seminad giungano al loro termine in otto mesi?
F e d r o . Cosi farà, o Socrate, in quest’ ultimo caso seriamente, nel- C
Non appena arrivai a Siracusa, pensai per prima cosa di dovermi 340 B
procacciare la prova se Dionigi fosse veramente acceso dalla filo
sofía come da un fuoco, oppure se fossero senza fondamento le
molte voci al riguardo giunte ad Atene. Orbene, c’ é un modo per
procacclarsi questa prova che non é per nulla ignobile, e che anzi 5
é veramente conveniente per i tiranni, soprattutto per quelli che
sono imbottiti di dicerie; ed io súbito al mió arrivo mi accorsi che
Dionigi si trovava, senza dubbio, appunto in queste condizioni.
A uomini come questi bisogna mostrare che cosa sia la filosofía
nel suo complesso, quale sia la sua caratteristica, quante cose com- C
porti e quanta fatica implichi. Allora chi ascolta, se é veramente
filosofo, cioé idoneo alia filosofía e degno di essa, perché dotato
di natura divina, pensa che quella di cui ha sentito parlare sia una
via meravigliosa e che si debba intraprendere immediatamente,
e che non si debba vivere agendo diversamente. Quindi, unendo 5
i propri sforzi a quelli di colui che gli indica la via, non desiste
prima di aver raggiunto completamente il suo fine, o prima di
aver ricevuto tanta forza da essere in grado, da solo, senza uno
che lo guidi, di procedere su quella via. ín questo modo e cosi D
pensando vive un uomo siffatto, dedicandosi, si, alie sue faccen-
de, quali che siano, ma in tutte le cose seguendo sempre la filoso
fía, e quel modo di vivere quotidiano che piü di ogni altro lo possa
rendere pronto ad apprendere, pronto a ricordare, capace di ra-
gionare e plenamente padrone di se stesso; e invece odierá per tutta 5
la vita il modo, di vivere contrario a questo. M a coloro che non
sono veramente filosofi e hanno una verniciatura esteriore di opi-
nioni, come quelli che hanno il corpo abbronzato dal solé, ve
den do quante sono le cose da apprendere, quanto grande sia la
fatica e il ben regolato regime quotidiano come conviene alia fi- E
losofia, giudicano che sia cosa difficile ed impossibile per loro
e non riescono ad eser citar si; e alcuni di loro si convincono di aver
udito abbastanza sul Tutto e di non aver piü bisogno di altre co
se. E questa é la prova piü chiara e piü sicura per coloro che vi-
APPROFONDIMENTI E IM PLICANZE GNOSEOLOGICHE DELLA SCRITTURA
¡jL£[xa0Y|xévai, ã Ç ia 8 ’ oõv e iv a i Tcpòç tcouSeíocv ¿Xe.u- Se, invece, pensava di averie scoperte o impar ate, e dunque rite-
0 é p a ç , Ttcõç ã v , fjLrj 9au [x a a x ò ç tov àv0pw 7roç, xòv riyefxóva neva che avessero valore per la formazione di un’anima libera,
xoúxa>v x a i xú p iov ouxtoç ivyip&Ç r|xífjiaaév tcox’ av; all or a come mai, a meno di non es sere un uomo ben strano, di- C
sprezzò cosi alla leggera la guida e il maestro di queste cose?
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— £7UXOUp£lV / ETCLXQUpOV y íy V £ - 436, 478
aGat: 183 e n. 15 — T&xvr] ^ s p í X ó y o u ? : vedi:
— táaaaGai xrjv 4íUX1'ív: 141 retorica, vera retorica.
— awaai r]¡xás: 114, 162 TtfjL¡.<¿T£.pa: 48 s., 67 s., 77 ss., 87,
— cfr. inoltre soccorso 91,94, 97 ss., 106, 121, 125, 138,
Ypacpr¡: vedi scritto 158, 162, 166 s., 197, 222 s., 242,
Stúxepoí 7rXoO^: 325 n. 81 254 s., 260, 295, 327, 345, 380,
BiSax^: 54 s., 57, 63 ss., 68 , 219 s., 415, 436, 481
352, 447 n. 39 ÚTCóGsai^: 263 e n. 22, 326 s.
etSíoXov: 56 ss., 69 s., 86 s., 124, 9 aüXo<;: 66 s. e n. 19, 91, 138 s. e
128, 431, 476 s. n. 5 e 8 , 161, 167, 259 s., 370 s.,
¿xtó<j ftaívav: 126, Í27 s., 129 ss., 377 s., 480 s.
149, 155, 163, 228, 244 n. 28, cptXóao<pos: 49, 64 s., 68 s., 99 s.,
255, 324; cfr. 91 s.
116 s., 128,254, 280, 326 s., 334,
¿TuaTr^ri: 105 s., 143, 176 ss., 181, 364, 373
199 s., 204 s., 211 s., 221, 223, — vedi anche: dialettico.
226 s. e n. 22, 234, 241, 244, 260,
387, 397, e n. 103 ^uxaycoyía: 108, 188, 225, 245 n.
lxav¿o<g: 133, 327 s. 30, 447 n. 39
Xóyoi: 53, 56 ss., 63 s., 80 ss., 86 4>uxr¡ Ttpoar¡xouaa: 59 n. 6 , 61, 63,
s., 127, 311, 350, 476 s. 79 s., 117, 171, 195, 273, 340 s.,
fj.axpoTÉpa óSó<;: 50, 95 e n. 38, 160, 347, 352 s., 445 e n. 33, 447 n.
172 s., 184, 189, 225 n. 20, 244 39, 487 e n. 43
III. Indice dei principal! concetti
Dialettico: 66 , 91, 117 s., 150, 180 s., 186, 193, 215 s., 244, 266, 288 s.,
295 s., 306 s „ 322, 345, 347, 351 ss., 360 s., 364
— esigenze del — : 188
— immagine del — : 121, 149 ss., 155 ss., 199, 209 s.,
218, 245 n. 30, 299, 335, 356
— immagine antitética e caricatúrale del — : 67 s., 101,
115 ss., 172 s., 264, 284, 295, 432, 436
Dialoghi giovanili: 124 s., 180, 367 s. e n . 31, 437, 440, 449
Dialogo e soccorso
— bisogno di integrazione del dialogo: 70, 87, 121, 123, 146, 419
— soccorso portato al dialogo: 70, 122
— cfr. anche soccorso
Difesa: 128, 298 ss., 314, 322 s., 380, 382 (v. soccorso)
Diffusione delle conoscenze filosofiche: 45, 212 e n. 35, 216 e n. 39, 235¿
450, 489 s.; cfr. trasmissione del sapere
Discorso dottrinale: 159, 342 s.
Domanda sul t í ¿aTtv: 257, 374 s.
Elenchos: 64, 66 , 122, 128,136, 156 e n. 12, 163, 182, 196, 229, 337 s.
Entusiasmo: 287 ss. e n. 12
Eracliteo: 294 e n. 29, 296 n. 38
Eristica: 102 ss., 112, 113 s., 156 n. 11
Eros: 74, 92 s., 180 s., 334 s., 347 ss., 353
Esotérica: 50 s., 101 s., 212 s. e n. 36, 283ss.,294, 296, 417,452-457
— differenza fra esoterica e segretezza; 484-488
Evoluzione: interpretazione storico-evolutiva di Platone: 151 n. 3, 164 n.
27, 226 n. 21, 228, 261 n. 19, 306 n. 28, 316 n. 56, 348 ri. 43, 361,
367 s., 418, 490 s.
Franchezza: 270 e n. 23, 272, 275 s., 405
Gioco-serietá: 60-62, 64-66, 69, 87, 95, 112 ss. e n. 14 e 15, 147, 424, 425,
451 s. e n. 51, 482
Guida del dialogo: 243 s., 257
Idee, dottrina delle — : 104 s., 133 s., 164 s. e n.25-28, 168 ss. en . 2, 200
ss., 243, 260 ss. e n. 19 e 21, 290 ss., 321, 324, 327 ss., 363 n. 19, 380
s., 389 s. e n. 83, 409, 413
Immagine: vedi elScoXov
Immortalitá: 277 s., 315, 389, 406 s.
Ingannare: vedi motivi
Ironia: 111, 138 s., 145 s. e n. 20, 270 s. e n. 26, 286 s., 293, 325 e n. 81,
340, 346, 392, 395 n. 99, 397 s., 405, 426 s., 433 n. 13, 440, 451 n.
50, 456 n. 67 e 68
534 INDICE DEI PRIN CIPALI CONCETTI
— capovolgimento dei rapporti: 120, 161 s., 172 s., 183, 209 s., 221,
297 n. 39, 308 s „ 311, 319 n. 63, 345
— cfr. alterazione simulata di Socrate e non-sapere di Socrate
Legare saldamente, consolidare: 175 ss., 223 s., 226 s., 258 s.
Libro, vedi: scritto
Maestro
— il vero maestro: 111 s., 219 s.
— rapporti maestro-discepolo: 191 s., 194, 218 s.
Matematica: 107, 401, 411 e n . 137 e 138
Mimesi: 382 s., 417
Misteri: 274 e n. 39, 341 n. 25
— vedi anche: motivi
Moriré, accettare volontariamente il moriré: 298, 313 s., 318
M otivi
— motivo del costringere e persuadere: 355-358 e n. 10, 379 s., 391
— motivo di Dédalo: 173 ss., 259
— motivo dell’ ingannare: 120 n. 23, 140, 142, 149, 157 s., 166,
187 s., 249, 286
— motivo dei misteri: 116, 263, 274 s., 278 s., 340 s. e n . 23, 349
— motivo del nascondere: 45 s., 89 s., 109, 120 e n. 23, 171 ss.,
177 s. e n. 20, 206, 215, 222 e n. 12, 232 s., 237
— motivo del non lasciar andar via, non farsi scappare: 219 e
n. 5, 335 n. 4, 355-359, 376 s., 379, 396, 415
— motivo del tener nascosta la scienza (e del trattenersi dalla
comunicazione): 45 s., 47, 106, 118 s., 166, 170, 200, 213 n. 36,
216, 235, 416, 489 s.
Nascondere, vedi: motivi
Non-fiiosofo, cfr. immagine antitética al dialettico
Non-sapere socrático: 141, 150 s., 218 s., 291 ss., 302 s., 338, 389 s. e n. 84,
397 s.
Omero: 136 s., 140, 286
Omologia: 319, 440 s.
Oralitá: 54, 56-59, 64 ss., 68 , 75, 79 s., 99, 122 ss., 128, 208 ss. e n. 29,
228 s., 417, 424, 430 ss., 480 ss.
Partner del dialogo, presupposti concernenti la natura del carattere e le doti
intellettuali del partner: 131, 195 n. 11, 199, 236 s., 270 en . 23, 403,
446 s. e n. 39
Pitagorici: 46 s. e n. 2 , 485, 491
Principi, teoría e dottrina dei — : 115 n. 15, 134, 212 s., 256 n. 11, 261
n. 20, 266 n. 8 , 292 s. e n. 22, 333, 343 e n. 33, 398 n. 108, 414 n.
144, 418 s., 454 s. e n. 63, 483 s. e n. 33
Prodico: 223, 259, 284
Psicologia: 89, 93 ss., 276 ss., 280 s., 311 s., 375, 406, 409-412
INDICE DEI PRIN C IPAL! CONCETTI 535
Temistio Tucidide
Oratio X X III, I 1 468
p. 356 D indorf 466 I 97, 2 468, 470
Teocrito IV 135, 468
SchoL id. X V 113 62 n. 13 V 35, 3 468, 470 n. 7
Trasimaco
DK 85 B 4 374 n. 42
V. Indice dei nomi degli autori moderni citati
Ross W .D .: 151 n. 3, 165 n. 28, 169 Thurnher R.: 436 n. 19, 482 n. 26
n. 2, 261 n. 19, 411 n. 137, 419, Tigerstedt E.N .: 423 n, 3, 443 n. 31
441 n. 28
Ruthrof H .: 444 n. 32 Vernant J.P.: 448 n. 40
Ryle G.: 320 n. 65 Verrall A .W .: 448 n. 40
Vlastos G.: 58 e n. 3, 66 n. 19, 68
Schaerer R.: 451 n. 48, 452 n. 51 n. 20, 69 n. 24, 123 n. 4, 126 n.
Schanz M .: 308 n. 35 12, 138 n. 6, 139 n. 8, 242 n. 24,
Schäublin Chr.: 449 n. 42 482 n. 25
Schleiermacher F .: 51, 53, 62 n. 12, Vretska K.: 125 n. 8, 360 n. 12, 362
71, 119n. 22, 138 n. 5, 157 n. 13, n. 17, 365 n. 26, 368 n. 30 e 32,
188 n. 27, 219, 253, 351 n. 49, 369 n. 33
361 n. 14, 392 n. 89, 399 n. 110, Vries G.J.de: 62n. 12, 69 n. 23 e 24,
423 en . 1 e 3, 427, 429, 430 e n. 78 n. 7, 123 n. 3, 124 n. 5
6, 431 e n. 8, 9 e 10, 432 e n. 11,
437 e n. 22, 441 e n. 28 e 29, 445, Watson G.: 414 n. 144, 432 n. 11,
446 n. 37, 452 - 457, 478 450 n. 43
Schmalzriedt E.: 436 n. 19, 464n. 2 White N .P .: 435 n. 19
Schoplick V.: 180n. 5, 181 n. 6, 185 Wieland W .: 329 n. 93, 356 n. 3,
n. 17, 186 n. 19 e 20, 187 n. 23 392 n. 89, 399 n. 109, 414 n. 144,
Schulz W .: 183 n. 11, 227 n. 22 436 n. 19
Shorey P.: 169 n. 2, 473 n. 3 W ilam owitz-M oellendorff U. v.:
Solmsen F.: 474 n. 6 144 e n. 13, 145 n, 19, 147 e h,
Soreth M .: 151 n. 3 24, 148, 163 n. 24, 169 n. 2 e 3,
Sprague R.K.: 144 e n. 15 171 n. 7, 172 n. 9, 179 n . l , 180
Stein H .v.: 439 n. 24 n. 3, 253 en. 5, 362n.l6, 367 n.
Stenzel J.: 67 n. 19, 200 n. 18, 201 29, 368 n. 32, 369 n. 33, 373 n.
n. 20, 256 n. 9, 416, 419, 435 n. 42, 388 n. 77 e 80, 409 n. 131, 414
18 n. 144, 470 n. 6, 473 n. 4
Stifter A .: 448 n. 40 Wilpert P.: 419
Strauß L.: 424 n. 3, 455 n. 62 W itte B.: 191 n. 2, 201 n. 20, 203
Strycker E.de: 133 n. 15 n. 23, 208 n. 29, 210 n. 30, 213
n. 36, 216 n. 39
Tarän L.: 134 n. 18, 452 n. 51 Wittgenstein L.: 413 n. 143, 448 n.
Tarrant H .: 474 n. 6 40, 449
Taylor A .E .: 169 n. 2 W o lff E.: 308 n. 35, 317 n. 58
Taylor C .C .W .: 242 n. 24
Tennemann W .G .: 416, 454 n. 61 Zeller E.: 47 n. 1, 169 n. 3, 307 n.
Thesleff H .: 317 n. 56, 320 n. 65, 31, 324 n. 78, 328 n. 88, 383 n.
358 n. 10, 362 n. 14 e 17, 368 n. 63, 438 n. 22, 457 n. 69, 474 e n.
32, 441 n. 28. 5, 485 n. 34
VI. Indice analitico della materia trattata
1. II paradigma ermeneutico alternativo che apre una nuova época degli studi
platonici 9
2. Struttura e situazione-di-«soccorso» come schéma drammaturgico di base
dei dialoghi platonici 13
3. L ’oggettivo ricupero storico-filosofico deir«esoterica» platónica 18
4. I dialoghi platonici sono «auyypá¡j,piaTa» e quindi vengono criticati da
Platone come tutte le altre forme di scrittura 21
5. Ristrutturazione radicale del criterio storico-genético e il ricupero dell’u-
nitá di fondo del pensiero platonico 24
6. Alcune considerazioni epistemologiche sul libro di Szlezák 26
7. II concetto di «cose di maggior valore» come chiave di volta per la com-
prensione di Platone e conclusioni sul libro di Szlezák 28
Premessa 41
Introduzione 45
A p p en d ici 421
In d ic i 519
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L. 35.000 \ ISBN 8 8 -3 4 3 -0 2 5 6 -7