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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 10 ottobre 2014, n. 21494.

L’intento perseguito attraverso l’elargizione,


consistente nel beneficiare il destinatario attraverso l’acquisto a del bene anziché con la mera somministrazione
di una somma di denaro, rappresenta soltanto il criterio per l’individuazione dell’oggetto della liberalità,
costituito nel primo caso dal bene e nel secondo dall’importo in denaro, e l’elemento di differenziazione tra la
fattispecie della donazione indiretta, ricorrente nella prima ipotesi, e quella diretta, configurabile nella seconda.
Tale criterio assume rilievo ai fini dell’individuazione della forma necessaria per la realizzazione dello scopo di
liberalità, che nel caso della donazione diretta è costituita dall’atto pubblico, richiesto a pena di nullità dall’art.
782 cod. civ., mentre per la donazione indiretta è quella prescritta per il negozio tipico utilizzato per il
conseguimento del predetto scopo, in quanto l’art. 809 cod. civ., nel dichiarare applicabili le norme che
disciplinano la donazione agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769,
non richiama anche l’art. 782; l’applicazione di tale principio consente pertanto di affermare la validità della
donazione indiretta, ancorché posta in essere in forma diversa dall’atto pubblico, ma non esclude la necessità
della relativa prova, che nel caso dell’acquisto effettuato con denaro del donante presuppone la dimostrazione
dell’effettiva dazione del relativo importo all’alienante o al donatario.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 ottobre 2014, n. 21494

Svolgimento del processo

1. – M.A. convenne in giudizio la moglie P.F. , chiedendo accertarsi che un appartamento ed un box
auto siti in (…), alla strada (omissis) , acquistati dalla donna in comunione con il fratello P.M. ,
costituivano, per la quota spettante alla P. , oggetto di comunione legale tra i coniugi.
Premesso di essere separato dalla moglie, sostenne che l’acquisto, effettuato con atto per notaio De
Martino del 4 febbraio 2003, era stato compiuto in costanza di matrimonio, con la conseguenza che,
non avendo egli partecipato alla compravendita e non avendo reso la dichiarazione prescritta
dall’art. 179, secondo comma, cod. civ., gl’immobili erano entrati a far parte della comunione
legale, ai sensi dell’art. 177 cod. civ..
1.1. – Con sentenza del 6 novembre 2008, il Tribunale di Bologna rigettò la domanda.
2. – L’impugnazione proposta dal M. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Bologna con
sentenza del 13 ottobre 2011.
Premesso, per quanto ancora rileva in questa sede, che dal rogito notarile e-mergeva
inequivocabilmente l’avvenuta effettuazione dell’acquisto con denaro fornito dal padre della P. , il
quale era intervenuto direttamente nell’atto, dichiarando, unitamente alla figlia, che il corrispettivo
era stato pagato con denaro ricevuto a titolo di donazione manuale all’espresso fine di procedere
all’acquisto dell’appartamento, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione della fattispecie come
donazione indiretta, essendo risultata l’esplicita volontà del donante di aiutare la figlia ad acquistare
l’immobile in un momento in cui il rapporto coniugale era verosimilmente già in crisi; rilevato
infatti che il giudizio di separazione era stato instaurato pochi mesi dopo la compravendita, ha
precisato che, a differenza del caso in cui il donante abbia inteso beneficiare il donatario mediante
una somma il cui reimpiego sia rimasto estraneo alla sua previsione, la somministrazione di un
importo in denaro per l’acquisto di un immobile rende configurabile una donazione indiretta del
bene, il quale, anche se acquistato in costanza di matrimonio, resta pertanto escluso dalla
comunione legale, ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. b), cod. civ. A tal fine, ha ritenuto
sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo e l’arricchimento del soggetto
onorato per spirito di liberalità, escludendo che il comportamento del donante dovesse articolarsi in
attività tipiche, e reputando irrilevante la circostanza che dal rogito notarile risultasse l’avvenuta
corresponsione del prezzo in data anteriore alla compravendita; ha aggiunto che per la validità della
donazione indiretta non era necessaria la forma pubblica, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 809
cod. civ., l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per la realizzazione
dello scopo di liberalità.
3. – Avverso la predetta sentenza il M. propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La
P. resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa


applicazione degli artt. 177, 179 e 2700 cod. civ., affermando che ai fini dell’accoglimento della
domanda egli era tenuto a fornire soltanto la prova della sussistenza del regime di comunione legale
tra i coniugi e dell’avvenuto scioglimento della stessa in epoca successiva alla compravendita,
mentre incombeva alla convenuta l’onere di dimostrare che l’acquisto rientrava in una delle ipotesi
di esclusione dalla comunione. Sostiene che, nel desumere tale dimostrazione dalle dichiarazioni
riportate nel rogito notarile, la Corte di merito non ha considerato che lo stesso faceva piena prova
soltanto della dichiarazione resa dalla P. e dal padre, e non anche dell’avvenuta consegna del denaro
da parte di quest’ultimo alla figlia, che non aveva avuto luogo alla presenza del notaio, il quale non
aveva assistito neppure al versamento del corrispettivo della compravendita.
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’insufficienza della motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte di merito ha omesso di spiegare le
ragioni per cui ha ritenuto provata l’avvenuta consegna del denaro a titolo di donazione manuale del
padre alla figlia, sulla base delle sole dichiarazioni riportate nel rogito notarile.
3. – I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni intimamente
connesse, sono fondati.
A fondamento della decisione, la Corte di merito ha richiamato il principio, costantemente
affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’elargizione di una somma di denaro
quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto di un immobile da parte del destinatario, che
il disponente intenda in tal modo beneficiare, si configura come una liberalità che, in quanto avente
ad oggetto l’immobile e non già la somma di denaro, è qualificabile come donazione indiretta, con
la conseguenza che, ove il donatario risulti coniugato in regime di comunione legale, il bene non
resta assoggettato al predetto regime, ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. b), cod. civ., senza
che risulti necessario, a tal fine, che l’attività del donante si articoli in attività tipiche, essendo
invece sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo e l’arricchimento del
soggetto onorato per spirito di liberalità (cfr. Cass., Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; 14 dicembre
2000, n. 15778; 8 maggio 1998, n. 4680). Ai fini della prova del predetto collegamento, la sentenza
impugnata ha ritenuto sufficiente l’intervento del donante alla stipulazione del rogito notarile e la
dichiarazione, da lui resa in quella sede, che il pagamento del prezzo era effettuato con denaro da
lui somministrato alla figlia a titolo di donazione manuale, per consentirle di procedere all’acquisto
dello immobile; la Corte di merito ha reputato invece irrilevante la circostanza, risultante dall’atto,
che il prezzo fosse stato pagato anteriormente alla compravendita, osservando che, per la
configurabilità della donazione indiretta, occorre che il denaro venga corrisposto dal donante al
donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene, o mediante il versamento diretto dell’importo
convenuto all’alienante o mediante la previsione della destinazione della somma donata al
trasferimento immobiliare.
Il rilievo in tal modo attribuito alla volontà del donante, ai fini dell’esclusione del bene dalla
comunione legale, costituisce peraltro il frutto di un evidente travisamento del principio richiamato,
nell’ambito del quale l’intento perseguito attraverso l’elargizione, consistente nel beneficiare il
destinatario attraverso l’acquisto a del bene anziché con la mera somministrazione di una somma di
denaro, rappresenta soltanto il criterio per l’individuazione dell’oggetto della liberalità, costituito
nel primo caso dal bene e nel secondo dall’importo in denaro, e l’elemento di differenziazione tra la
fattispecie della donazione indiretta, ricorrente nella prima ipotesi, e quella diretta, configurabile
nella seconda. Tale criterio assume rilievo ai fini dell’individuazione della forma necessaria per la
realizzazione dello scopo di liberalità, che nel caso della donazione diretta è costituita dall’atto
pubblico, richiesto a pena di nullità dall’art. 782 cod. civ., mentre per la donazione indiretta è quella
prescritta per il negozio tipico utilizzato per il conseguimento del predetto scopo, in quanto l’art.
809 cod. civ., nel dichiarare applicabili le norme che disciplinano la donazione agli altri atti di
liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769, non richiama anche l’art. 782
(cfr. Cass., Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; Cass., Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; 29 marzo 2001,
n. 4623); l’applicazione di tale principio consente pertanto di affermare la validità della donazione
indiretta, ancorché posta in essere in forma diversa dall’atto pubblico, ma non esclude la necessità
della relativa prova, che nel caso dell’acquisto effettuato con denaro del donante presuppone la
dimostrazione dell’effettiva dazione del relativo importo all’alienante o al donatario.
La sentenza impugnata merita pertanto consenso nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, ai fini
della validità della donazione, la circostanza che la stessa non fosse stata posta in essere con atto
pubblico, mentre non può essere condivisa nella parte in cui ha ritenuto di poter desumere la prova
della liberalità dalla mera dichiarazione, resa dalle parti nel rogito notarile, dell’avvenuto
pagamento del corrispettivo dell’immobile con denaro fornito dal padre della convenuta: poiché,
come ha precisato la stessa Corte di merito, dal medesimo atto risultava che il predetto pagamento
non era stato effettuato contestualmente alla stipulazione dell’atto pubblico di compravendita, ma in
data precedente, la relativa attestazione del notaio non poteva considerarsi sufficiente, trattandosi di
una mera presa d’atto della dichiarazione resa al riguardo dalle parti, in ordine alla quale non risulta
che egli avesse effettuato alcun riscontro; ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., infatti, l’atto pubblico
forma piena prova soltanto della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha
redatto, nonché delle dichiarazioni rese dalle parti dinanzi a lui o degli altri fatti che egli
attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, e non anche della veridicità intrinseca delle
predette dichiarazioni o della loro rispondenza alle effettive intenzioni delle parti (cfr. Cass.,
Sez. I, 9 maggio 2013, n. 11012; Cass., Sez. II, 25 maggio 2006, n. 12386; 12 maggio 2000, n.
6090).
4. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte
d’Appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese
del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna,
anche per la liquidazione delle spese processuali.
Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dispone che, in caso di diffusione della
presente sentenza, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

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