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SPUDASMATA
Studien zur Klassischen Philologie und ihren Grenzgebieten
Begründet von Hildebrecht Hommel und Ernst Zinn
Herausgegeben von Gottfried Kiefner und Ulrich Köpf
Band 147
VENUSTE NOSTER
2012
A cura di
Marina Passalacqua, Mario De Nonno, Alfredo Mario Morelli
2012
Das Werk ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen
des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig.
Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und
die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen.
ISO 9706
Gedruckt auf säurefreiem und alterungsbeständigem Papier
Herstellung: KM-Druck GmbH, 64823 Groß-Umstadt
Umschlagentwurf: Inga Günther, Hildesheim
Alle Rechte vorbehalten
Printed in Germany
© Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2012
www.olms.de
ISBN 978-3-487-14868-7
ISSN 0548-9705
Enorme monstrum:
deformità e difformità nel mondo greco-romano
Arduino Maiuri
In latino il concetto di diversità fisica trova una delle sue rese più espressive
nel termine monstrum1. Come gli omologhi prodigium, ostentum o porten-
tum2, questo sostantivo indica infatti un fenomeno che procede al di fuori del
corso regolare della natura e per questo viene spesso usato per designare esseri
umani dalle doti eccezionali, come la Cleopatra oraziana (carm. 1, 37, 21).
Il motivo ispiratore di questa ricerca consiste nella verifica e nell’escus-
sione di alcune fonti letterarie e giurisprudenziali relative a questa delicata
1
Sui prodigia nell’antichità classica l’opera di riferimento resta Bloch 1963
(1976). Conviene tuttavia ricordare anche due approfondimenti più recenti, provvi-
sti di utili aggiornamenti bibliografici: Rosenberger 1998 (per l’epoca repubbli-
cana) e Vigourt 2001 (dal principato augusteo a tutto il I secolo d.C.). In questo
contributo si è conferita un’attenzione preminente ai partus monstruose editi, che
normalmente venivano accolti con diffidenza in quanto indizi soprannaturali del de-
terioramento del rapporto tra uomini e dèi. Procedere oltre i fenomeni somatici per
toccare gli altri genera prodigiorum annoverati dalla trattatistica antica all’interno
della categoria generale avrebbe significato allargare la ricerca in misura difficilmente
gestibile. In greco, a parte il parallelo intuitivo con il δεινόν usato da Sofocle in varia-
tio insistita, quasi convulsa, all’inizio del primo stasimo dell’Antigone (vv. 332 s.), i
corrispettivi semantici di monstrum sono τέρας (Stein 1909; Bloch 1976, 19 ss.)
e πέλωρ (Lejeune 1955, 40, 130; Benveniste 1973, 20, 33; Szemerenyi 1966,
33; Wyatt 1975, 256 ss.).
2
Sia che per monstrum si adotti l’etimo che lo collega al verbo monstro – come
portentum a portendo e ostentum a ostendo –, sia che lo si connetta con moneo, secondo
l’altro filone ricostruttivo percorso dai grammatici antichi (De Vaan 2008, 387). Per
un tentativo di messa a punto della questione terminologica rinvio a un mio lavoro in
corso di stampa, Il lessico latino del mostruoso, presentato in occasione del Convegno
Monstra. Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nelle culture del Medi-
terraneo antico (Velletri, Museo delle Religioni «R. Pettazzoni», 8-11/6/2011).
526 A. Maiuri
materia dagli albori della civiltà romana fino al periodo del principato, pri-
ma cioè della riconsiderazione del fenomeno operata dal cristianesimo. La
iunctura accolta nel titolo vuole insistere sul motivo della straordinarietà3.
Una breve premessa sulla prassi ellenica è stata intesa come propedeutica al
discorso sul mondo latino.
***
L’interesse per l’anomalia si perde nella notte dei tempi: il Polyphemos ome-
rico è ‘colui di cui si parla molto’, verisimilmente proprio per la fitta trasmis-
sione orale della notizia riguardante la sua gigantesca corporatura e l’insolita
particolarità di avere un solo occhio in mezzo alla fronte4.
Nella fervida mitologia greca il Cyclops è un campione assoluto di defor-
mità, un po’ come Hephaistos, con cui condivide più di un carattere, fermo
restando il sicuro primato dell’essere extraumano di natura divina rispetto
al bruto irriducibile ai sacri principi dell’ospitalità. Anche sulla figura dello
zoppo divino si è scritto molto, soprattutto in rapporto al carattere magico-
rituale della sua anomalia5, e ovviamente non è questa la sede per discuterne
oltre. Un paio di osservazioni, tuttavia, potrebbero aiutare a chiarire la spe-
cifica lettura data dall’uomo greco intorno al problema che qui si viene esa-
minando. Anzitutto, il fatto che la cooperazione tra il dio e i Ciclopi, i suoi
assistenti nella forgia dei metalli6, sembri derivare proprio dalla loro palese
eteronomia rispetto agli standard del mondo reale7, in sostanza conferisce
alla diversità una certa qualità caratterizzante. In secondo luogo, l’evidenza
che una divinità come Hephaistos sia effettivamente incongrua in un pan-
3
L’associazione di e-norme (ciò che, appunto, esula dalla norma) a monstrum è
volutamente pleonastica, dal momento che entrambi i vocaboli alludono alla straor-
dinarietà, la quale può pendere ora in negativo ora in positivo, come dimostra l’am-
bivalenza tuttora serbata nella lingua italiana dal sostantivo ‘mostro’.
4
La letteratura sul Ciclope ovviamente è sterminata. Per l’interpretazione qui
adombrata cf. Hackman 1904; Glenn 1971 (max. 144 ss.). Il riferimento a Polife-
mo assume un’importanza centrale anche in Garland 1995, 91 ss.
5
Si veda per tutti Delcourt 1957.
6
Callim. hymn. 3, 46-79. I Ciclopi forgiano i fulmini per Zeus già in Esiodo
(Theog. 141, 504).
7
Idea supportata dalla loro separazione sia dal mondo civile che dalla dimora
ordinaria degli dèi: cf. Eur. Cycl. 298 (il Ciclope abita l’Etna ‘che vomita fuoco’) e
599 (la fucina di Hephaistos si trova nell’Etna).
Enorme monstrum 527
8
A sua volta significativa, se si pensa che in Grecia il mestiere del fabbro
(χαλκεύς) è uno dei pochi reputati compatibili con le difficoltà nella deambulazione.
La circostanza, tra l’altro, ingenera un curioso interrogativo: può la deformità fisica
essere il prezzo del poiein, del ‘fare’? Veggenti e poeti, in fondo, in Grecia sono spesso
ciechi, quasi a compensazione delle loro capacità e della realizzazione concreta che di
esse si dà, con la voce, nel carmen: può il divino zoppo essere tale perché ‘troppo’ abile
con le mani? Significherebbe, d’altra parte, limitare un potere che mette in pericolo
la supremazia stessa di Zeus relegandolo all’ambito ctonio, direttamente connesso
con la deformità e tale da arrecare un pregiudizio decisivo alla mobilità anche in
senso ascensionale (Efesto, com’è noto, diventa zoppo dopo essere stato scaraventa-
to giù dall’Olimpo). Nel mondo latino, invece, la definizione della divinità sembra
prescindere da simili condizionamenti: lo dimostra, si pensi all’iconografia di Ianus,
normalmente biceps e in epoca tarda addirittura quadrifrons (Aug. civ. 7, 4; Serv. Aen.
7, 607). Sul piano storico-religioso la policefalia può essere ricondotta al tentativo
umano di controllare il pericoloso influsso della diversità imbrigliandolo nella sfera
superiore del divino.
9
Il cardine dell’educazione aristocratica greca (Nocchi 2005, 13 ss.).
10
La tendenza ad attribuire all’individuo specifiche qualità morali in virtù del
suo aspetto fisico è alla base dell’antica disciplina della fisiognomica. Anche se le sue
origini non sono del tutto chiare, essa dovrebbe affondare le sue radici nel mondo
mesopotamico e comunque ne è attestata la precoce insorgenza in Grecia e a Roma:
dai poemi omerici (cf. soprattutto Il. 10, 316, riferito ovviamente a Dolone, nonché
Od. 8, 133-139, in cui parla Laodamante, figlio di Alcinoo) a Erodoto (1, 34, 2; 1,
38, 2; 1, 85; 4, 155-158), Aristotele (Phys. 805a, 1-2; 806a, 23-33; 806b, 6-11), fino
all’età ellenistica, con l’undicesimo idillio di Teocrito, per poi sfociare nella lettera-
tura latina (cf. per es. Ov. met. 13, 740-897; Gell. 1, 9, 1-2). Invece la iatromantica,
dai risvolti propriamente medici, si fondava sullo studio dei sintomi, in quanto rive-
latori dell’aspettativa di vita o dell’avvicinarsi della morte, e la teratologia sull'analisi
sistematica delle aberrazioni esistenti nel mondo vegetale e animale. I primi tentativi
di un simile approccio possono essere individuati nel quarto libro del De generatio-
ne animalium di Aristotele (Louis 1975), mentre per la letteratura latina occorre
528 A. Maiuri
ricordare il settimo libro della Naturalis historia di Plinio (infra, nelle pieghe del di-
scorso). La disciplina fu formalmente teorizzata come scienza solo nel 1651, quando
il fisiologo inglese William Harvey pubblicò in latino (com’era ancora costume per
i trattati scientifici dell’epoca) le sue Exercitationes de generatione animalium. Un’al-
tra tappa fondamentale nell’evoluzione moderna degli studi teratologici è costituita
dall’opera di E.G. Saint-Hilaire (Céard 1977; Morgan 1984).
11
L’episodio si colloca in Il. 2, 166-277. Sulla figura di Tersite, caratterizzata da
Omero con tratti talmente caricaturali da rasentare l’effetto comico, esiste una nutrita
letteratura critica: qui mi limito a ricordare, nella direzione tracciata, Thalmann 1988.
Interessante, inoltre, Spina 2001, che ricostruisce originalmente la storia intertestuale
del personaggio, assurto nella letteratura postomerica ad emblema della libertà di parola
(vd. al proposito anche il saggio di Giuseppe La Bua compreso nel presente volume).
12
Sull’integrazione di queste due linee concettuali si veda ad es.
Rossi – Nicolai 2012, 37.
13
Chiaramente non rientra in questo discorso l’esposizione di bimbi indesiderati
ma sani, realtà assai comune nella civiltà greca. L’esempio più noto è quello di Edipo,
il cui nome deriva dal gonfiore procuratogli alle caviglie dai fori attraverso i quali viene
sospeso ai rami di un albero perché non diventi facile preda delle fiere. È specialmen-
te dalla commedia che si ricavano notizie sulle concrete modalità attuative di questa
orrenda pratica, accompagnata dalla contestuale apposizione dei γνωρίσματα, ninnoli
(i crepundia del lessico scenico latino) e quant’altro agevolasse la futura agnizione del
bimbo. Che i poveri preferissero esporre i loro figli, specialmente le femmine, nel timo-
re che in vita fossero costretti a patire privazioni d’ogni sorta, risulta da Plutarco (De
amore prolis 497e), che altrove invita gli indigenti a fornire alla prole la migliore educa-
zione possibile (De liberis educandis 8e). Nel mondo greco, d’altra parte, destava scal-
pore la notizia che in Egitto i bimbi fossero comunque destinati a crescere nelle famiglie
di origine (Aristot. fragm. 258, 1525a, 37 ss.). Ulteriori spunti in Boswell 1988.
Enorme monstrum 529
14
Τὸ δὲ γεννηθὲν οὐκ ἦν κύριος ὁ γεννήσας τρέφειν, ἀλλ’ ἔφερεν λαβὼν εἰς τόπον
τινὰ λέσχην καλούμενον, ἐν ᾧ καθήμενοι τῶν φυλετῶν οἱ πρεσβύτατοι καταμαθόντες
τὸ παιδάριον, εἰ μὲν εὐπαγὲς εἴη καὶ ῥωμαλέον, τρέφειν ἐκέλευον, κλῆρον αὐτῷ τῶν
ἐνακισχιλίων προσνείμαντες. εἰ δ’ ἀγεννὲς καὶ ἄμορφον, ἀπέπεμπον εἰς τὰς λεγομένας
Ἀποθέτας, παρὰ Ταΰγετον βαραθρώδη τόπον, ὡς οὔτε αὐτῷ ζῆν ἄμεινον οὔτε τῇ πόλει τὸ
μὴ καλῶς εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς πρὸς εὐεξίαν καὶ ῥώμην πεφυκός (Plut. Lyc.16, 1-2).
15
Su Sparta cf. i recenti inquadramenti di Lévy 2003, Powell – Hodkin-
son 2002 e Fornis Vaquero 2003. Tra le opere di impianto generale sono anco-
ra utili Grieve Forrest 1968 (1970), Baltrusch 2000 (2002) e Cartledge
1987, autore anche di importanti ricerche di storia regionale (Cartledge 2002).
Una speciale attenzione alle cause del successo della rivale di Atene viene dedicata,
infine, da Powell 1989.
16
Per la tradizionale componente aretologica cui si deve la stratificazione lette-
raria dell’immagine di Tirteo si veda Meier 2003. Altre importanti figure istituzio-
nali con difficoltà nella deambulazione furono Agesilao (Plut. Agesyl. 2) e Medone,
primo arconte di Atene (Paus. 7, 2, 1). Il rapporto tra passo claudicante e qualità po-
etiche è in linea con quanto si è accennato in precedenza (n. 8), confermando, anzi-
ché smentire, i principi elitari spartiati e realizzando così, paradossalmente, l’oracolo
delfico: il poeta è un minus habens che ha un ‘altro’ dono.
17
Pericle viene irriverentemente definito σχινοκέφαλος dai commediografi attici
(cf. Plut. Per. 3, 3-4, che cita in proposito alcune gustose battute di spirito di Cratino,
Teleclide ed Eupoli).
530 A. Maiuri
***
Il breve excursus sulla realtà ellenica può servire, come detto, ad una migliore
comprensione della prassi romana. A questo proposito, prima di esaminare il
materiale documentario disponibile, conviene rilevare il forte rilievo onoma-
stico precocemente assunto dalle peculiarità somatiche nella realtà quirite:
molti antichi cognomina, infatti, hanno a che fare con una caratteristica fisica,
anche se non necessariamente legata a malformazioni. Plinio il Vecchio, ad
esempio, menziona i difetti degli occhi: Caecus, Cocles e Luscinus (‘guercio’),
Strabo e Paetus (‘strabico’), Ocellus (‘dagli occhi piccoli’)20. Sempre in relazio-
ne al capo risaltano Capito (‘dalla testa grossa’), Naso e Flaccus (sulle ingenti
dimensioni del naso e dei padiglioni auricolari), mentre Balbus allude alla
18
Cf. Plat. Theaet. 161a. Questa conclusione per la verità è solo presunta, perché
il riferimento al bambino appena nato è introdotto da Platone per traslato, all’inter-
no del procedimento maieutico di Socrate (cf. 160e: φῶμεν τοῦτο σὸν μὲν εἶναι οἶον
νεογενὲς παιδίον, ἐμὸν δὲ μαίευμα;). Il passo è importante perché fornisce una esplicita
testimonianza degli Ἀμφιδρόμια: pochi giorni dopo la nascita, in seguito alla celebra-
zione di alcuni riti lustrali, la nutrice introduceva il bimbo al cospetto della famiglia e
lo presentava ufficialmente alle divinità tutelari, ponendo allo stesso tempo al padre
l’interrogativo cogente se intendesse tenerlo o meno. In caso di risposta affermativa
di solito si procedeva anche alla contestuale apposizione del nome. La sera, poi, i
parenti festeggiavano con un banchetto il cui piatto forte era rappresentato da cro-
stacei. Ulteriori notizie sulla festività in Saglio 1877.
19
Aristot. Pol. 7, 1335b, 19-21.
20
Plin. nat. 11, 150. Sui cognomina latini cf. Kajanto 1965; Solin – Salo-
mies 1994.
Enorme monstrum 531
balbuzie, Valgus alle gambe arcuate e Crassus (‘obeso’), con l’antonimo Macer
(‘macilento’), alla massa corporea più o meno cospicua21.
Passando ad esaminare i casi più propriamente patologici, dall’analisi
delle fonti emerge che a Roma, fin dal periodo protostorico, il trattamento
riservato alla deformità neonatale procede in maniera sostanzialmente ana-
loga rispetto alla prassi greca. Per le origini lo starting point resta un passo di
Dionigi di Alicarnasso, a detta del quale «Romolo ordinò agli abitanti della
città di allevare tutti i figli maschi e la primogenita delle femmine e di non
uccidere alcun bimbo al di sotto dei tre anni di età, a meno che non fosse
deforme o mostruoso (παιδίον ἀνάπηρον ἢ τέρας). E non sottrasse ai genitori
l’opportunità di esporre simili nati, purché fossero stati prima esibiti a cinque
vicini»22. Le sostanziali congruenze con la realtà greca confermano l’esisten-
za di una mentalità comune, in genere poco proclive alla comprensione della
diversità. L’ispirazione arcaica della statuizione viene implicitamente corro-
borata dall’importanza data al vicinato nella determinazione dell’inidoneità
della prole, dal momento che questa cellula sociale appare dotata di una ap-
prezzabile qualità giuridica solo ai primordi dell’ordinamento romano23.
21
Si aggiunga la curiosa testimonianza di Plinio (7, 15, 1) secondo cui M’. Curio
Dentato avrebbe ricevuto il suo singolare cognomen per il fatto di essere dotato di
dentatura fin dalla nascita.
22
Converrà riportare l’intero passo, poiché vi si discutono i provvedimenti at-
traverso i quali Romolo, dopo aver garantito la pace alla città, si dedica al suo incre-
mento demografico, da un lato incentivando le unioni e i contatti con gli insedia-
menti limitrofi, dall’altro esortando i sudditi a proliferare: πρῶτον μὲν εἰς ἀνάγκην
κατέστησε τοὺς οἰκήτορας αὐτῆς ἅπασαν ἄρρενα γενεὰν ἐκτρέφειν καὶ θυγατέρων τὰς
πρωτογόνους, ἀποκτιννύναι δὲ μηδὲν τῶν γεννωμένων νεώτερον τριετοῦς, πλὴν εἰ τι
γένοιτο παιδίον ἀνάπηρον ἢ τέρας εὐθὺς ἀπὸ γονῆς. Ταῦτα δ’οὐκ ἐκώλυσεν ἐκτιθέναι τοὺς
γειναμένους ἐπιδείξαντας πρότερον πέντε ἀνδρᾶσι τοῖς ἔγγιστα οἰκοῦσιν, ἐὰν κἀκείνοις
συνδοκῇ. Κατὰ δὲ τῶν μὴ πειθομένων τῷ νόμῳ ζημίας ὥρισεν ἄλλας τε καὶ τῆς οὐσίας
αὐτῶν τὴν ἡμίσειαν εἶναι δημοσίαν (Dion. Hal. 2, 15, 1-2). Si noti la consistente am-
menda patrimoniale comminata ai trasgressori.
23
Le tre teorie più accreditate sulla realtà giuridica della Roma delle origini, fa-
centi capo rispettivamente a Henry J.S. Maine, Eduard Meyer e Pietro Bonfante,
trovano puntuale esposizione in Crifò 2010, 37-39. Si sofferma sulla controversa
configurazione giuridica del vicinato Palma 1988, di cui qui interessa particolar-
mente il primo capitolo (Le relazioni di vicinato nelle fonti. Solidarietà di gruppo e
ideologia). Un punto di riferimento antiquario della massima importanza è Cicero-
ne, che tocca più volte la questione (per es. off. 1, 17, 53-55 e 59; fin. 5, 23, 65, sul
rapporto tra amicizia e vicinato).
532 A. Maiuri
24
XII Tabb. IV, 1, apud Cic. leg. 3, 8, 19 (cum esset cito necatus tamquam ex duode-
cim tabulis insignis ad deformitatem puer). Il riferimento è al tribunato della plebe, in
relazione al quale l’Arpinate propone un accostamento metaforico piuttosto tagliente
con le previsioni decemvirali in tema di bimbi nati deformi. Per il testo del fram-
mento cf. FIRA, I, 35. Ulteriori riscontri in Crawford 1996, che a p. 630 giudica
necatus la correzione più accreditata per la corruttela †legatus† dei codici e sulla scorta
dell’usus scribendi decemvirale cerca di restituire il testo originale della legge: si defor-
mis natus est, ast non tollit, se fraude esto. Per le implicazioni giuridiche del passo rinvio
a Kunkel 1966 (= 1974), secondo il quale a certe condizioni le Dodici Tavole avreb-
bero concesso l’impunità per l’uccisione di un figlio; contra Guarino 1967, 124, che
preferisce pensare all’inclusione in epoca seriore della fattispecie nel corpus normativo
arcaico. Interpretazione complessiva del frammento in Lanfranchi 1964, 5 ss.
25
Come accennato, il prodigium viene valutato come un fenomeno sovversi-
vo, perché infrange le leggi della natura. L’unica possibilità è avviare un processo di
espiazione rituale in grado di ripristinare la concordia tra mondo umano e divino.
Di questa procedura apotropaica, definita procuratio prodigiorum, è Livio a offrir-
ci la documentazione più abbondante (cf. 27, 25, 9 o 32, 9, 1-4, passo ancora più
significativo perché riferisce di due nascite prodigiose: un agnello bicefalo a Suessa
Aurunca e un maialino con testa umana a Sinuessa). Utili rilievi sulla percezione
dell’ominoso in Roma antica in McBain 1982 e Guillamont 1996.
26
Le questioni religiose della deformità neonatale in Roma vengono affrontate
Enorme monstrum 533
***
29
Depone in tal senso una testimonianza di Seneca retore (contr. 10, 4, 16: na-
scuntur quidam statim aliqua corporis parte mulcati, infirmi et in nullam spem idonei,
quos parentes sui proiciunt magis quam exponunt: aliqui etiam vernulas aut omine
infausto editos aut corpore invalidos abiciunt). Si noti la relazione tra l’infirmitas con-
nessa con il partus monstruosus e l’omen infaustum. Un altro dato che si evince dal
passo è che in questi casi esporre il neonato indesiderato viene giudicato un provve-
dimento troppo lieve. E che l’esercizio concreto del proicere equivalesse in sostanza
all’affogamento si ricava integrando la testimonianza con un passo dell’altro Seneca,
il quale nel De ira (1, 15, 2) non senza una punta di cinismo giustifica la consuetudi-
ne identificando razionalmente sanità fisica e utilità (portentosos fetus extinguimus:
nec ira sed ratio est a sanis inutilia secernere).
30
Plin. nat. 35, 21: [...] Q. Pedius, nepos Q. Pedii consularis triumphalisque et a
Caesare dictatore coheredis Augusto dati, natura mutus [...] In eo Messala orator, ex cu-
ius familia pueri avia fuerat, picturam docendum censuit, idque etiam divus Augustus
comprobavit; puer magni profectus in ea arte obiit. Dunque Pedio sarebbe morto pri-
ma di raggiungere l’età adulta, ma avrebbe fatto grandi progressi in campo artistico.
Occorre tuttavia sottolineare che la sua infirmitas non era verificabile alla nascita e
che pertanto in tali casi la successiva valutazione di inidoneità del puer poteva essere
complicata dal fatto che nel frattempo i genitori gli si erano sicuramente affezionati.
Del resto, se il riguardo nei confronti del ragazzo fu eccezionale e sicuramente con-
nesso con il suo status, non bisogna escludere che l’iniziativa privata di altri genitori
premurosi possa aver salvato altri bimbi infelici, benché la loro minore rinomanza
li abbia resi immeritevoli di dignità letteraria. Giova anche ricordare che il passo
di Plinio offre un’interessante testimonianza della priorità accordata a Roma alla
pittura rispetto ad altre discipline artistiche (Coarelli 1996, 15-84), dal momento
che un ingenuus impossibilitato ad esprimere le sue doti in ambito politico, civile o
militare, viene esplicitamente indirizzato verso l’arte figurativa. La scelta può essere
stata dettata anche da ragioni contingenti, quale una probabile disposizione naturale
del puer o i gusti individuali dello stesso Messala (Plin. nat. 35, 8).
Enorme monstrum 535
31
Un’articolata disamina della vita svetoniana e dei materiali che vi sono con-
fluiti si trova in Hurley 2001, utilmente integrabile con Kierdorf 1992 e Gua-
stella 1999.
32
Nata dal matrimonio di Marco Antonio il triumviro (da cui il suo nomen gen-
tilicium) con Ottavia, una delle figlie di Augusto.
33
Suet. Claud. 3, 2.
34
Ibidem. Sempre secondo Svetonio (ivi, 4, 2), anche Augusto avrebbe confes-
sato: ἠλαττῶσθαι sentimus eum et βεβλάφθαι καὶ εἰς τὴν τοῦ σώματος καὶ εἰς τὴν τῆς
ψυχῆς ἀρτιότητα. L’incapacità di Claudio è confermata in più punti degli Annales
(cf. almeno 3, 18, 7; 11, 28, 2; 12, 3, 3; 12, 67, 1), tanto che Tacito arriva addirittura
a parlare di imminuta mens (6, 46, 2).
35
Plin. paneg. 11, 1. Il riferimento all’apoteosi neroniana di Claudio è frequente
negli storici (Tac. ann. 12, 69, 6; 13, 2, 6; Suet. Claud. 45, 2; Nero 9, 1; Vesp. 9, 1).
In particolare, un gustoso Witz allusivo alle beffe rivoltegli dal figliastro si trova in
Suet. Nero 33, 1: in un discorso pubblico gli avrebbe infatti riferito il verbo morari
prolungandone ad arte la o breve, in modo da accostarlo al greco μωρός (‘sciocco’).
Cf. inoltre Suet. Claud. 38, 3 e Sen. apoc. 7, 3; 8, 3.
36
Slater 1991. D’altra parte la deformità fa aumentare il prezzo di vendi-
ta degli schiavi, rivelandosi una sorta di valore aggiunto, secondo quanto afferma
Quintiliano (2, 5, 11: illa vero, quae utcumque deflexa sunt, tamquam exquisitiora
miramur; non aliter quam distortis et quocumque modo prodigiosis corporibus apud
quosdam maius est pretium quam iis, quae nihil ex communi habitu boni perdiderunt).
Marziale (8, 13) riferisce di un tale che si lamenta di aver speso ben 20.000 sesterzi
per uno schiavo descritto dal venditore come insano di mente e che invece tale non
è, circostanza che gli suggerisce la repetitio indebiti (Morio dictus erat: viginti milibus
emi. / Redde mihi nummos, Gargiliane: sapit). Plutarco definisce talmente ingente la
536 A. Maiuri
41
Singolare in questo senso il parallelismo proposto da Svetonio (Aug. 80, 1) tra la
disposizione dei nei naturali di Augusto e l’ordine e il numero delle stelle dell’Orsa.
42
Probabilmente un analogo campionario perduto di Varrone, come sembrano
suggerire numerosi riferimenti del libro pliniano (13, 4; 75, 8; 81, 5; 83, 2; 85, 4; 176,
1; 211, 4 e 214, 1). L’opera più indiziata sono le Antiquitates rerum humanarum
(Mirsch 1882). Tra gli elenchi di singolarità composti a vario titolo e in epoca di-
versa occorre poi annoverare almeno la nota raccolta di Facta et dicta memorabilia di
Valerio Massimo, ediz. Briscoe 1998 (teubneriana in due tomi) e il Liber prodigio-
rum di Giulio Ossequente, compendio storico dei principali fatti prodigiosi occorsi
a Roma tra il 190 e l’11 a.C., realizzato nel IV secolo sulla base della lettura diretta
degli Annales di Livio e oggi reso disponibile al pubblico più vasto grazie al recente
inserimento tra gli Oscar Mondadori (Mastandrea 2005).
43
In questa ottica si muove il dovizioso contributo di Weileder 1998, che mira
a sottolineare la viva attività di propaganda esercitata da Roma una volta raggiunto il
totius terrarum orbis dominium.
44
Può essere utile chiarire il divario semantico intercorrente tra mirabilia e pro-
digia. Entrambi i termini, infatti, si riferiscono a fatti straordinari, ma si differenzia-
no sostanzialmente per due aspetti: anzitutto nei mirabilia il protagonista è l’uomo
piuttosto che la natura, la quale invece è vista come diretta responsabile in caso di
prodigia. Si tratta sostanzialmente di una questione di punti di vista: nei prodigia
il fenomeno eccezionale rientra nei meccanismi del mondo naturale, ed interessa
eventualmente l’ambito umano solo di riflesso, mentre nei mirabilia la focalizzazio-
ne si sposta decisamente sul piano antropico. In secondo luogo i prodigia vengono
comunemente interpretati come messaggi divini rivolti alla comunità (cf. OLD,
1472: «An unnatural event or manifestation portending a disaster»), segnalando la
necessità di una espiazione formale per il ripristino dell’armonia con gli dèi, mentre
538 A. Maiuri
48
Hermaphroditus plane, si in eo virilia praevalebunt, postumum heredem insti-
tuere poterit (Ulp. dig. 28, 2, 6, 2). Nel paragrafo precedente, però, il giurista coe-
rentemente esclude la medesima opportunità per lo spado castratus, a causa della sua
incontestabile infirmitas sexus.
49
Hermaphroditus an ad testamentum adhiberi possit, qualitas sexus incalescentis
ostendit (Paul. dig. 22, 5, 15, 1).
50
Non sunt liberi, qui contra formam humani generis converso more procrean-
tur: veluti si mulier monstrosum aliquid aut prodigiosum enixa sit. Partus autem, qui
membrorum humanorum officia ampliavit, aliquatenus videtur effectus et ideo inter
liberos connumerabitur (Paul. dig. 1, 5, 14). Fa in un certo senso da contraltare a que-
sta formulazione un frammento in cui Ulpiano, dopo aver ricordato la definizione
dell’ostentum da parte di Labeone, annovera come tale, secondo la tradizione, pro-
prio il possesso di un numero esagerato di arti alla nascita. Si tratta di dig. 50, 16, 38:
‘ostentum’ Labeo definit omne contra naturam cuiusque rei genitum factumque. Duo
genera autem sunt ostentorum: unum, quotiens quid contra naturam nascitur, tribus
manibus forte aut pedibus aut qua alia parte corporis, quae naturae contraria est: alte-
rum, cum quid prodigiosum videtur, quae Graeci φαντάσματα vocant.
51
Promulgata nel 9 d.C. per inasprire la già dura disciplina prevista dalla lex
Iulia de maritandis ordinibus, in vigore da quasi trent’anni, la lex Papia Poppaea
540 A. Maiuri
rappresenta uno dei cardini della politica matrimoniale di Augusto, nonché del suo
più vasto programma moralizzatore, dal momento che punisce con forti limitazioni
nella carriera politica il celibato e la mancanza di figli, e al contrario privilegia i geni-
tori con ingenti riconoscimenti giuridici ed economici. In base all’ambito ius trium
liberorum, infatti, il pater con tre figli a Roma, quattro in Italia o cinque in provin-
cia gode dell’esonero dalle pubbliche imposte, mentre le donne con almeno tre figli
vengono addirittura esentate dalla tutela mulierum. Sulla legislazione matrimoniale
augustea si veda Crifò 2010, 240 ss.
52
Quaeret aliquis, si portentosum vel monstrosum vel debilem mulier ediderit
vel qualem visu vel vagitu novum, non humanae figurae, sed alterius, magis animalis
quam hominis, partum, an, quia enixa est, prodesse ei debeat? Et magis est, ut haec
quoque parentibus prosint: nec enim est quod eis imputetur, quae qualiter potuerunt,
statutis obtemperaverunt, neque id quod fataliter accessit, matri damnum iniungere
debet (Ulp. dig. 50, 16, 135).
53
Forti dubbi sulla capacità testamentaria degli evirati (non appartenenti, quin-
di, ab origine alla categoria degli individui procreati contra formam humani generis,
ma divenuti tali in vita) vengono avanzati per es. da Dalla 1978, 201 ss.
Enorme monstrum 541
***
54
Per una panoramica esaustiva dei soggetti privi di diritto in Roma antica cf.
Garland 1993. Si sofferma in particolare sull’incapacità di fatto dei non vedenti
e dei non udenti Küster 1991, che produce anche un poderoso apparato biblio-
grafico (171-186). Più tagliato sul rapporto tra la civitas Romana e il concetto
moderno di cittadinanza, infine, Crifò 2000.
55
Si è già detto della credenza che faceva dipendere le nascite prodigiose dalla
collera divina. Qui si può aggiungere che il legame tra deformità e male era desti-
nato a trasmettersi, quasi a livello vestigiale, anche all’interno del cristianesimo. La
questione appare già discussa in Aug. civ. 16, 8, ma è solo nel Medioevo che si con-
suma definitivamente il processo di sostituzione delle immagini degli dei inferi clas-
sici con quelle di Satana e del mostruoso corteo infernale, simbolo del rapporto tra
turpitudine morale e ripugnanza estetica (Russell 1984). Se la tradizione pagana,
identificando tout court deformità fisica e bruttura morale, può aver esercitato un
certo influsso umbratile anche sulla cultura cristiana, si consideri d’altra parte che,
a differenza di quanto si è postulato per il mondo greco-romano, il monstrum nella
ricezione cristiana si colloca intra e non extra o contra naturam, quindi appartiene a
pieno titolo all’ordine del Creato. Una simile prospettiva, apertamente innovativa,
si fonda su un criterio integrativo e non emarginante, nell’ottica che solo chi non sa
cogliere la pienezza del tutto può lasciarsi fuorviare dall’alterità della singola parte.
56
Sulla magia nell’antica Roma mi limito a rinviare a Graf 1994. In particolare
sui calcoli astrologici è incentrato il cinquantesimo capitolo del VII libro della Na-
turalis Historia, in cui Plinio instaura una presunta corrispondenza tra la durata della
vita e gli influssi celesti, richiamando le teorie di esperti ellenistici come Epigene,
Beroso, Petosoride e Nechepso, e menzionando la scuola di Esculapio come partico-
larmente versata negli studi di numerologia. L’interesse dei Romani per l’astrologia
doveva essere veramente radicato, se Tacito menziona tre senatoconsulti che nel I
sec. d.C. avrebbero tentato di arginare il fenomeno, forse invano data la continua
necessità di iterarne i contenuti prescrittivi (il primo si ricava da ann. 2, 32, 3 e data
secondo la maggioranza degli studiosi al 17, anche se la questione è spinosa: cf. Ro-
gers 1931; gli altri due, testimoniati da ann. 12, 52, 3 e hist. 2, 62, 4, si possono
invece collocare con sicurezza nel 52 e nel 69).
542 A. Maiuri
57
La diffidenza degli antichi nei confronti dell’alterità è nota (si pensi allo spregio
onomatopeico insito nel termine βάρβαρος per la civiltà greca o alla pervicace rilut-
tanza dei Romani a concedere la civitas non solo ai peregrini ma anche agli stessi socii
Italici). L’esame delle fonti ha condotto alcuni studiosi a proporre un’interpretazio-
ne etnocentrica anche per il fenomeno della deformità natale, per cui certe anomalie
fisiche sarebbero connaturate a determinate realtà etniche (per es. Friedman 1981,
prima di affrontare il problema per l’epoca medievale parte da una attenta disamina del
mondo antico). I pregiudizi erano forti soprattutto verso le popolazioni periferiche,
su cui si avevano notizie frammentarie e romanzate, trovandosi ai margini o al di là
dell’οἰκουμένη, come la leggendaria ultima Thule di Pitea (de Anna 1988, 23 ss.).
58
Aristot. gener. anim. 4, 767a, 34-36.
59
Soprattutto relative alla donna: secondo una diffusa credenza, per esempio,
le malformazioni alla nascita erano direttamente imputabili ad alcune particolari
fantasie elaborate dalle future madri durante il coito che aveva condotto al concepi-
mento (Sor. gyn. 1, 39); a detta di Platone (leg. 7, 789e), invece, essa andava ascritta
a traumi intervenuti in età gestazionale.
60
Suona per lo meno stravagante, per esempio, al di fuori della superstizione
popolare, il consiglio dato da Esiodo (op. 1, 735) ai contadini di non unirsi con le
loro donne dopo aver preso parte a un rito funebre.
Enorme monstrum 543
Bibliografia
61
Povertà ed emarginazione hanno costantemente accompagnato in passato la
già triste condizione dei diversamente abili, costretti sovente a sostentarsi chieden-
do l’elemosina. Importanti ricerche sociologiche hanno attestato la persistenza di
questa amara realtà ancora in età moderna, e per di più in contesti tutt’altro che
degradati (Humphries – Gordon 1992).
62
Ammantandosi di componenti pseudoetiche fin dal mondo dell’infanzia: si
può facilmente constatare, per esempio, che nel mondo dei cartoon spesso il cattivo
è deforme. Un intelligente capovolgimento dell’usuale assetto ortocentrico è stato
proposto da Shrek, produzione della Dreamworks che individua il protagonista in un
Orco e il suo principale antagonista in un vanesio e crudele Principe Azzurro.
63
Nella società attuale si tende finalmente a tutelare i diritti dei diversamente abi-
li con idonei accorgimenti logistico-ambientali: si va dalla creazione di strutture atte
a facilitare e rendere più sicuri gli spostamenti fisici (abbattimento di barriere archi-
tettoniche, apposizione ai semafori di dispositivi acustici per non vedenti, parcheggi
riservati e canali di attraversamento agevolati per le sedie a rotelle sui marciapiedi),
fino alla sensibilizzazione dei media (programmi sottotitolati e notiziari corredati di
versione gestuale per i non udenti). Tra le disposizioni più significative emanate negli
ultimi anni spicca la 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate), integrata dalla 53/2000, che tra l’altro estendono
il diritto ad usufruire di permessi orari e giornalieri dal lavoro anche ai parenti e agli
affini entro il terzo grado. Un discorso diverso, invece, va fatto per la mentalità cor-
rente, la quale si mostra in molti casi ancora ostinatamente ancorata a schemi retrivi
ed inumani. Il problema della reale emarginazione dei diversamente abili è ancora
aperto: tra i giovani, per esempio, esso viene acuito da piaghe sociali come il bullismo,
che spesso sfoga le sue devianze su chi è meno in grado di difendersi.
544 A. Maiuri
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Enorme monstrum 547
Albio Cesare Cassio: L’eroe Lakedaimon e gli onori funebri per i re di Spar-
ta (orac. ap. Herodot. 7, 220 = nr. 100 Parke-Wormell).
This note deals with line 4 of the oracle transmitted by Herodotus 7.220,
πενθήσει βασιλῆ φθίμενον Λακεδαίμονος οὖρος. It is argued that Λακεδαίμονος
οὖρος is unlikely to refer to the city of Sparta as the ‘bulwark of Lacedaemon’,
as Stein and Parke & Wormell maintained. This expression means, as Macan
saw in 1908, ‘the boundary of the hero Lacedaemon’, while πενθήσει certainly
refers to the compulsory mourning imposed by the Spartans upon the peri-
oikoi and the helots when a Spartan king died.
Marco Filippi: Alcune osservazioni su Acc. arm. iud. fr. III R.3, vv. 148-149.
Acc. arm. iud. 148-149 is quoted from Macrobius as a model of Verg. Aen.
10, 449-450, with which it shows a clear similarity of context. The fragment
has a proverbial character (‘who fights a brave enemy, even if is won, obtains
anyway a great honour’), and the theme has obtained a great fortune in suc-
ceeding literature. After an attempt at reconstructing the tragic context, we
can suppose that the fragment does not contain an expression of modesty,
but it is a part of a provocative context.
Maria Silvana Celentano: I ritmi e i numeri della vita nella poesia antica:
l’elogio, l’amore, il sorriso.
This paper briefly discusses a few Greek and Latin poetical texts (Prop. 3, 22,
17-22 and 39-42; Ov. ars 1, 55-66; Philod. AP 5, 13; Catull. 5 and 7; Mart.
6, 34), in order to highlight how the different numerical notations that they
contain are able to emphasize different aims, as, e.g., expressing admiration,
praise, love or parody.
easing the obscenity of the witty remark; at the same he time makes it more
expressive by emphasizing the concept of the exchange.
Giuseppe La Bua: Audes / fatidicum verbis fallere velle deum? (Ov. fast. 2,
261-2): l’ironia del logos nei Fasti di Ovidio.
Recent scholarship on Ovid’s elegiac calendar-poem has drawn attention to the
political significance of the poet’s equivocal approach to the controversial topic
of the libertas linguae. This paper reads the poet’s playful manipulation of the
multiple, contradictory aspects of logos in literary terms, focusing on the sophisti-
cated irony inherent in the creation of figures of skilled speakers (Numa, Egeria,
Anna Perenna, the merchant), able to overcome superior opponents through fal-
lacious, ambiguous words, and emphasizing the role played by a modern, exuber-
ant use of lingua in the civilization process of the Augustan Rome.
Carlo Di Giovine: I precetti di Quintiliano sullo stilus (inst. 10, 3): note di
esegesi e di critica testuale.
In inst. 10, 3 Quintilian offers his precepts for a good writing (stilus), which
is introductory to good speaking (dicere). This chapter of book X of the
Institutio oratoria involves a lot of interesting questions of exegesis, of style,
and of textual criticism. This paper examines, and tries to give an answer, to
some of these questions.
Alessandro Fusi: Note testuali ed esegetiche a Marziale (2, 24; 4, 42; 9, 80;
10, 35; 11, 87).
In Martial 2, 24 the first four verses should not be ascribed to the persona
poetae, as in almost all modern editions, but to the Candidus addressed in
v. 6. In 4, 42 the last but one verse is to be ascribed to the ego loquens. In 9,
80 the much debated expression uxorem pascit in v. 2 has no sexual over-
tones as most critics take for granted: uxor is to be taken as a metonymy
for uxoris patrimonium and the expression means that Gellius feeds himself
with his wife’s goods. In 10, 35 v. 8 should be read, with β variant, sed castos
docet et pios amores, because of its intertextual link with Catull. 16, 5. In 11,
87, 2 nata (γ) is to be preferred to nota (β), accepted by all editors, because
that variant restores an idiomatic use and is clearly a lectio difficilior. It is also
strenghtened by the intertextual relation with Propertius, 2, 25, which shows
a comic degradation of the elegiac love, put into effect by Martial.
Francesca Romana Nocchi: Il motivo dell’an uxor ducenda fra poesia, reto-
rica e filosofia: Epigr. Bob. 22 Sp.
The theme for the an uxor ducenda, notwithstanding its wide diffusion, was in
antiquity differentiated in rhetorical, philosophical and literary fields, so much
so as to postulate a genre specialization in each field. The anonymous poet of
epigr. Bob. 22 achieves a certain originality by realizing a true mingling of genres.
In fact, he encompasses the satirical, pungent vein of the comic genre within
the typical structure of suasoria. Moreover, both the topic choice and the use of
rhetorical schemes in poetic forms seem to have scholastic reminiscence.
Abstract 721
Carla Lo Cicero: Audi Iuliane. Echi della polemica contro Giuliano d’Ecla-
no nelle glosse marginali del Vat. Reg. Lat. 141
Four glosses of Vat. Reg. Lat. 141 in margin to texts of Gregory of Nazianzus
and Basil of Caesarea (translated in Latin by Rufinus of Aquileia) present
polemic remarks about Julian of Eclanum. The analysis performed proves
that the marginal annotations derive from a late antique manuscript and that
they were probably written by a reader of the Augustine’s circle. The glosses
witness the constant work of ‘talking to the texts’, which is a typical feature in
manuscripts of the late Antiquity.
Franca Ela Consolino: Echi pagani e cristiani nell’epitafio del vescovo Vit-
tore. Per un’esegesi di Ennodio, carm. 2, 95 (215 V)
The paper provides a commentary of Ennod. carm. 2, 95, detecting the pres-
ence of hypotexts such as the apotheosis of Daphnis in Vergil, that of Lucan
in Stace, and the representations given by Lucan and Prudentius of Pompeius
and the virgin Agnes seeing from heaven the earth. In order to explain the
obscurity of some expressions, previous opinions are discussed and solutions
proposed, bringing fresh evidence wherever it is possible. A totally new inter-
pretation is offered for the last two verses of the poem.
Salvatore Monda: Gellio, Noctes Atticae 12, 6 e l’antico nome latino degli
aenigmata.
In the book XII of Noctes Atticae the VI chapter is devoted to riddles. The
source of the passage is Varro’s De sermone Latino ad Marcellus, from which
Gellius quotes the famous riddle of the god Terminus. At the beginning,
Gellius remembers the old latin word for ‘riddle’: scirpus (lit. ‘basket-rush’,
‘knot’). My aim is to suggest that scirpus is a calque on γρῖφος, but the mean-
ing of ‘riddle’ is made up by Gellius’ source.
and loci similes, provides a panorama of classical teaching in the field of syl-
labae communes, and tries to state precisely the chronology of this didactic
tour de force (Bede’s treatise De arte metrica settles a serviceable terminus
post quem) and its authorship (Alcuin’s cultural milieu?).