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SPUDASMATA 147

SPUDASMATA
Studien zur Klassischen Philologie und ihren Grenzgebieten
Begründet von Hildebrecht Hommel und Ernst Zinn
Herausgegeben von Gottfried Kiefner und Ulrich Köpf

Band 147
VENUSTE NOSTER

2012

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK


VENUSTE NOSTER
SCRITTI OFFERTI A LEOPOLDO GAMBERALE

A cura di
Marina Passalacqua, Mario De Nonno, Alfredo Mario Morelli

con la collaborazione di Claudio Giammona

2012

GEORG OLMS VERLAG HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK


La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Fondi
concessi dal Dipartimento di Studi greco-latini, italiani, scenico-musicali
della 'Sapienza', Università di Roma, dal Dipartimento di Studi sul Mondo Antico
dell'Università di Roma Tre e dal Dipartimento di Scienze Umane,
Sociali e della Salute dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

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Gedruckt auf säurefreiem und alterungsbeständigem Papier
Herstellung: KM-Druck GmbH, 64823 Groß-Umstadt
Umschlagentwurf: Inga Günther, Hildesheim
Alle Rechte vorbehalten
Printed in Germany
© Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2012
www.olms.de
ISBN 978-3-487-14868-7
ISSN 0548-9705
Enorme monstrum:
deformità e difformità nel mondo greco-romano
Arduino Maiuri

In latino il concetto di diversità fisica trova una delle sue rese più espressive
nel termine monstrum1. Come gli omologhi prodigium, ostentum o porten-
tum2, questo sostantivo indica infatti un fenomeno che procede al di fuori del
corso regolare della natura e per questo viene spesso usato per designare esseri
umani dalle doti eccezionali, come la Cleopatra oraziana (carm. 1, 37, 21).
Il motivo ispiratore di questa ricerca consiste nella verifica e nell’escus-
sione di alcune fonti letterarie e giurisprudenziali relative a questa delicata

1
  Sui prodigia nell’antichità classica l’opera di riferimento resta Bloch 1963
(1976). Conviene tuttavia ricordare anche due approfondimenti più recenti, provvi-
sti di utili aggiornamenti bibliografici: Rosenberger 1998 (per l’epoca repubbli-
cana) e Vigourt 2001 (dal principato augusteo a tutto il I secolo d.C.). In questo
contributo si è conferita un’attenzione preminente ai partus monstruose editi, che
normalmente venivano accolti con diffidenza in quanto indizi soprannaturali del de-
terioramento del rapporto tra uomini e dèi. Procedere oltre i fenomeni somatici per
toccare gli altri genera prodigiorum annoverati dalla trattatistica antica all’interno
della categoria generale avrebbe significato allargare la ricerca in misura difficilmente
gestibile. In greco, a parte il parallelo intuitivo con il δεινόν usato da Sofocle in varia-
tio insistita, quasi convulsa, all’inizio del primo stasimo dell’Antigone (vv. 332 s.), i
corrispettivi semantici di monstrum sono τέρας (Stein 1909; Bloch 1976, 19 ss.)
e πέλωρ (Lejeune 1955, 40, 130; Benveniste 1973, 20, 33; Szemerenyi 1966,
33; Wyatt 1975, 256 ss.).
2
  Sia che per monstrum si adotti l’etimo che lo collega al verbo monstro – come
portentum a portendo e ostentum a ostendo –, sia che lo si connetta con moneo, secondo
l’altro filone ricostruttivo percorso dai grammatici antichi (De Vaan 2008, 387). Per
un tentativo di messa a punto della questione terminologica rinvio a un mio lavoro in
corso di stampa, Il lessico latino del mostruoso, presentato in occasione del Convegno
Monstra. Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nelle culture del Medi-
terraneo antico (Velletri, Museo delle Religioni «R. Pettazzoni», 8-11/6/2011).
526 A. Maiuri

materia dagli albori della civiltà romana fino al periodo del principato, pri-
ma cioè della riconsiderazione del fenomeno operata dal cristianesimo. La
iunctura accolta nel titolo vuole insistere sul motivo della straordinarietà3.
Una breve premessa sulla prassi ellenica è stata intesa come propedeutica al
discorso sul mondo latino.

***

L’interesse per l’anomalia si perde nella notte dei tempi: il Polyphemos ome-
rico è ‘colui di cui si parla molto’, verisimilmente proprio per la fitta trasmis-
sione orale della notizia riguardante la sua gigantesca corporatura e l’insolita
particolarità di avere un solo occhio in mezzo alla fronte4.
Nella fervida mitologia greca il Cyclops è un campione assoluto di defor-
mità, un po’ come Hephaistos, con cui condivide più di un carattere, fermo
restando il sicuro primato dell’essere extraumano di natura divina rispetto
al bruto irriducibile ai sacri principi dell’ospitalità. Anche sulla figura dello
zoppo divino si è scritto molto, soprattutto in rapporto al carattere magico-
rituale della sua anomalia5, e ovviamente non è questa la sede per discuterne
oltre. Un paio di osservazioni, tuttavia, potrebbero aiutare a chiarire la spe-
cifica lettura data dall’uomo greco intorno al problema che qui si viene esa-
minando. Anzitutto, il fatto che la cooperazione tra il dio e i Ciclopi, i suoi
assistenti nella forgia dei metalli6, sembri derivare proprio dalla loro palese
eteronomia rispetto agli standard del mondo reale7, in sostanza conferisce
alla diversità una certa qualità caratterizzante. In secondo luogo, l’evidenza
che una divinità come Hephaistos sia effettivamente incongrua in un pan-

3
  L’associazione di e-norme (ciò che, appunto, esula dalla norma) a monstrum è
volutamente pleonastica, dal momento che entrambi i vocaboli alludono alla straor-
dinarietà, la quale può pendere ora in negativo ora in positivo, come dimostra l’am-
bivalenza tuttora serbata nella lingua italiana dal sostantivo ‘mostro’.
4
  La letteratura sul Ciclope ovviamente è sterminata. Per l’interpretazione qui
adombrata cf. Hackman 1904; Glenn 1971 (max. 144 ss.). Il riferimento a Polife-
mo assume un’importanza centrale anche in Garland 1995, 91 ss.
5
  Si veda per tutti Delcourt 1957.
6
  Callim. hymn. 3, 46-79. I Ciclopi forgiano i fulmini per Zeus già in Esiodo
(Theog. 141, 504).
7
  Idea supportata dalla loro separazione sia dal mondo civile che dalla dimora
ordinaria degli dèi: cf. Eur. Cycl. 298 (il Ciclope abita l’Etna ‘che vomita fuoco’) e
599 (la fucina di Hephaistos si trova nell’Etna).
Enorme monstrum 527

theon in cui l’εἶδος antropomorfico esibisce i suoi attributi migliori, unita-


mente all’idea stessa della sua partenogenesi da Hera (en pendant con l’ana-
loga vicenda di Athena e Zeus), conferma la riluttanza dell’uomo greco ad
attribuire al sovrano degli dèi la paternità di una natura imperfetta, pur nel
riconoscimento della sua straordinaria abilità tecnica8.
L’interpretazione eroica del fenomeno sembra quindi legata a filo doppio
al valore epico della καλοκἀγαθία9, nel senso che la disabilità viene percepita
con un senso di ripugnanza fisica e di conseguente discredito morale (una
sorta di κακοκαιδειλία, rimodellando i termini del rapporto), ed è quindi co-
stretta ad un inappellabile giudizio di condanna10: non a caso nella civiltà

8
  A sua volta significativa, se si pensa che in Grecia il mestiere del fabbro
(χαλκεύς) è uno dei pochi reputati compatibili con le difficoltà nella deambulazione.
La circostanza, tra l’altro, ingenera un curioso interrogativo: può la deformità fisica
essere il prezzo del poiein, del ‘fare’? Veggenti e poeti, in fondo, in Grecia sono spesso
ciechi, quasi a compensazione delle loro capacità e della realizzazione concreta che di
esse si dà, con la voce, nel carmen: può il divino zoppo essere tale perché ‘troppo’ abile
con le mani? Significherebbe, d’altra parte, limitare un potere che mette in pericolo
la supremazia stessa di Zeus relegandolo all’ambito ctonio, direttamente connesso
con la deformità e tale da arrecare un pregiudizio decisivo alla mobilità anche in
senso ascensionale (Efesto, com’è noto, diventa zoppo dopo essere stato scaraventa-
to giù dall’Olimpo). Nel mondo latino, invece, la definizione della divinità sembra
prescindere da simili condizionamenti: lo dimostra, si pensi all’iconografia di Ianus,
normalmente biceps e in epoca tarda addirittura quadrifrons (Aug. civ. 7, 4; Serv. Aen.
7, 607). Sul piano storico-religioso la policefalia può essere ricondotta al tentativo
umano di controllare il pericoloso influsso della diversità imbrigliandolo nella sfera
superiore del divino.
9
  Il cardine dell’educazione aristocratica greca (Nocchi 2005, 13 ss.).
10
  La tendenza ad attribuire all’individuo specifiche qualità morali in virtù del
suo aspetto fisico è alla base dell’antica disciplina della fisiognomica. Anche se le sue
origini non sono del tutto chiare, essa dovrebbe affondare le sue radici nel mondo
mesopotamico e comunque ne è attestata la precoce insorgenza in Grecia e a Roma:
dai poemi omerici (cf. soprattutto Il. 10, 316, riferito ovviamente a Dolone, nonché
Od. 8, 133-139, in cui parla Laodamante, figlio di Alcinoo) a Erodoto (1, 34, 2; 1,
38, 2; 1, 85; 4, 155-158), Aristotele (Phys. 805a, 1-2; 806a, 23-33; 806b, 6-11), fino
all’età ellenistica, con l’undicesimo idillio di Teocrito, per poi sfociare nella lettera-
tura latina (cf. per es. Ov. met. 13, 740-897; Gell. 1, 9, 1-2). Invece la iatromantica,
dai risvolti propriamente medici, si fondava sullo studio dei sintomi, in quanto rive-
latori dell’aspettativa di vita o dell’avvicinarsi della morte, e la teratologia sull'analisi
sistematica delle aberrazioni esistenti nel mondo vegetale e animale. I primi tentativi
di un simile approccio possono essere individuati nel quarto libro del De generatio-
ne animalium di Aristotele (Louis 1975), mentre per la letteratura latina occorre
528 A. Maiuri

omerica il modello in negativo è dato proprio dal deforme Tersite11.


Passando dalla sfera mitologica al mondo umano, l’esame delle testimo-
nianze concrete sui casi di difformità natale rivela che, almeno per l’epoca sto-
rica, il pessimismo greco la interpreta come una punizione inflitta ai genitori
per una loro colpa precedente, secondo la corrispondenza tra ὕβρις umana e
τίσις divina, su cui non manca di innestarsi il principio arcaico dello φθόνος τῶν
θεῶν12. Da tale convinzione deriva la pressione esercitata dalla comunità in di-
rezione del rigetto di questi infanti meno fortunati13. A Sparta, dove i principi
eugenetici sono fondamentali, l’abbandono dei neonati deformi viene persino
sancito dal leggendario codice attribuito al νομοθέτης Licurgo. Plutarco ne ri-
ferisce i dettagli: il bimbo è ispezionato dal consesso degli anziani, cui spetta il
diritto irrevocabile di giudicarlo o meno idoneo a una degna esistenza; in caso
di ripulsa viene esposto in un burrone del Taigeto, le Ἀποθέται, cf. ἀποτίθημι,

ricordare il settimo libro della Naturalis historia di Plinio (infra, nelle pieghe del di-
scorso). La disciplina fu formalmente teorizzata come scienza solo nel 1651, quando
il fisiologo inglese William Harvey pubblicò in latino (com’era ancora costume per
i trattati scientifici dell’epoca) le sue Exercitationes de generatione animalium. Un’al-
tra tappa fondamentale nell’evoluzione moderna degli studi teratologici è costituita
dall’opera di E.G. Saint-Hilaire (Céard 1977; Morgan 1984).
11
  L’episodio si colloca in Il. 2, 166-277. Sulla figura di Tersite, caratterizzata da
Omero con tratti talmente caricaturali da rasentare l’effetto comico, esiste una nutrita
letteratura critica: qui mi limito a ricordare, nella direzione tracciata, Thalmann 1988.
Interessante, inoltre, Spina 2001, che ricostruisce originalmente la storia intertestuale
del personaggio, assurto nella letteratura postomerica ad emblema della libertà di parola
(vd. al proposito anche il saggio di Giuseppe La Bua compreso nel presente volume).
12
  Sull’integrazione di queste due linee concettuali si veda ad es.
Rossi – Nicolai 2012, 37.
13
  Chiaramente non rientra in questo discorso l’esposizione di bimbi indesiderati
ma sani, realtà assai comune nella civiltà greca. L’esempio più noto è quello di Edipo,
il cui nome deriva dal gonfiore procuratogli alle caviglie dai fori attraverso i quali viene
sospeso ai rami di un albero perché non diventi facile preda delle fiere. È specialmen-
te dalla commedia che si ricavano notizie sulle concrete modalità attuative di questa
orrenda pratica, accompagnata dalla contestuale apposizione dei γνωρίσματα, ninnoli
(i crepundia del lessico scenico latino) e quant’altro agevolasse la futura agnizione del
bimbo. Che i poveri preferissero esporre i loro figli, specialmente le femmine, nel timo-
re che in vita fossero costretti a patire privazioni d’ogni sorta, risulta da Plutarco (De
amore prolis 497e), che altrove invita gli indigenti a fornire alla prole la migliore educa-
zione possibile (De liberis educandis 8e). Nel mondo greco, d’altra parte, destava scal-
pore la notizia che in Egitto i bimbi fossero comunque destinati a crescere nelle famiglie
di origine (Aristot. fragm. 258, 1525a, 37 ss.). Ulteriori spunti in Boswell 1988.
Enorme monstrum 529

‘depongo’), nella convinzione che la natura ne sconsigli la sopravvivenza14. Da


questo documento si ricava anche uno spunto molto importante, perfettamen-
te in linea con l’idea di una società egualitaria e centripeta come quella spartana,
ossia che il τέκνον non viene valutato tanto come proprietà dei genitori quanto
come un bene esclusivo dello Stato, che è arbitro supremo del suo destino15.
Alla luce di ciò appare ancora più irridente la decisione degli Ateniesi di inviare
a Sparta Tirteo nel corso della seconda guerra messenica, in apparente ossequio
alle prescrizioni dell’oracolo delfico: le sue due qualità essenziali, infatti, sono
in aperto contrasto con la mentalità lacedemone, essendo lui un uomo di lette-
re anziché un soldato, e per di più storpio e reietto dalla rigida élite spartiate16.
Se non stupisce che l’esposizione di un infante deforme possa essere
elevata al livello di istanza legale in una società come quella spartana, che
fa dell’efficienza militare e dell’omogeneità razziale i suoi capisaldi, non
sembra invece che in contesti ispirati ad una maggiore libertà di pensiero
sia stata emanata formalmente una simile disposizione legislativa. In Atene,
per esempio, la fattispecie non risulta disciplinata da alcuna norma giuridi-
ca, anzi la strana forma ‘a cipolla’ del cranio di Pericle17 non impedisce allo

14
  Τὸ δὲ γεννηθὲν οὐκ ἦν κύριος ὁ γεννήσας τρέφειν, ἀλλ’ ἔφερεν λαβὼν εἰς τόπον
τινὰ λέσχην καλούμενον, ἐν ᾧ καθήμενοι τῶν φυλετῶν οἱ πρεσβύτατοι καταμαθόντες
τὸ παιδάριον, εἰ μὲν εὐπαγὲς εἴη καὶ ῥωμαλέον, τρέφειν ἐκέλευον, κλῆρον αὐτῷ τῶν
ἐνακισχιλίων προσνείμαντες. εἰ δ’ ἀγεννὲς καὶ ἄμορφον, ἀπέπεμπον εἰς τὰς λεγομένας
Ἀποθέτας, παρὰ Ταΰγετον βαραθρώδη τόπον, ὡς οὔτε αὐτῷ ζῆν ἄμεινον οὔτε τῇ πόλει τὸ
μὴ καλῶς εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς πρὸς εὐεξίαν καὶ ῥώμην πεφυκός (Plut. Lyc.16, 1-2).
15
  Su Sparta cf. i recenti inquadramenti di Lévy 2003, Powell – Hodkin-
son 2002 e Fornis Vaquero 2003. Tra le opere di impianto generale sono anco-
ra utili Grieve Forrest 1968 (1970), Baltrusch 2000 (2002) e Cartledge
1987, autore anche di importanti ricerche di storia regionale (Cartledge 2002).
Una speciale attenzione alle cause del successo della rivale di Atene viene dedicata,
infine, da Powell 1989.
16
  Per la tradizionale componente aretologica cui si deve la stratificazione lette-
raria dell’immagine di Tirteo si veda Meier 2003. Altre importanti figure istituzio-
nali con difficoltà nella deambulazione furono Agesilao (Plut. Agesyl. 2) e Medone,
primo arconte di Atene (Paus. 7, 2, 1). Il rapporto tra passo claudicante e qualità po-
etiche è in linea con quanto si è accennato in precedenza (n. 8), confermando, anzi-
ché smentire, i principi elitari spartiati e realizzando così, paradossalmente, l’oracolo
delfico: il poeta è un minus habens che ha un ‘altro’ dono.
17
  Pericle viene irriverentemente definito σχινοκέφαλος dai commediografi attici
(cf. Plut. Per. 3, 3-4, che cita in proposito alcune gustose battute di spirito di Cratino,
Teleclide ed Eupoli).
530 A. Maiuri

statista di assurgere alla sua straordinaria celebrità. Inoltre dalle parole di


Socrate nel Teeteto emerge che tenere un neonato difettoso fosse la pratica
più diffusa, e comunque assolutamente legale18. Si evince tuttavia a chiare
lettere che l’aristocratico Platone giudicava un atto irresponsabile offrire
siffatte opportunità a un bimbo comunque destinato a restar privo delle
gioie della vita. Anche Aristotele nel settimo libro della Politica critica la
scelta di allevare bimbi deformi: e se ciò da un lato può indirettamente
dimostrare la prevalenza all’atto pratico della tendenza opposta, dall’altro
conferma la linea elitarista dominante nell’interpretazione greca del feno-
meno, a prescindere dal fatto che la disciplina ricevesse o meno una esplici-
ta configurazione giuridica19.

***

Il breve excursus sulla realtà ellenica può servire, come detto, ad una migliore
comprensione della prassi romana. A questo proposito, prima di esaminare il
materiale documentario disponibile, conviene rilevare il forte rilievo onoma-
stico precocemente assunto dalle peculiarità somatiche nella realtà quirite:
molti antichi cognomina, infatti, hanno a che fare con una caratteristica fisica,
anche se non necessariamente legata a malformazioni. Plinio il Vecchio, ad
esempio, menziona i difetti degli occhi: Caecus, Cocles e Luscinus (‘guercio’),
Strabo e Paetus (‘strabico’), Ocellus (‘dagli occhi piccoli’)20. Sempre in relazio-
ne al capo risaltano Capito (‘dalla testa grossa’), Naso e Flaccus (sulle ingenti
dimensioni del naso e dei padiglioni auricolari), mentre Balbus allude alla

18
  Cf. Plat. Theaet. 161a. Questa conclusione per la verità è solo presunta, perché
il riferimento al bambino appena nato è introdotto da Platone per traslato, all’inter-
no del procedimento maieutico di Socrate (cf. 160e: φῶμεν τοῦτο σὸν μὲν εἶναι οἶον
νεογενὲς παιδίον, ἐμὸν δὲ μαίευμα;). Il passo è importante perché fornisce una esplicita
testimonianza degli Ἀμφιδρόμια: pochi giorni dopo la nascita, in seguito alla celebra-
zione di alcuni riti lustrali, la nutrice introduceva il bimbo al cospetto della famiglia e
lo presentava ufficialmente alle divinità tutelari, ponendo allo stesso tempo al padre
l’interrogativo cogente se intendesse tenerlo o meno. In caso di risposta affermativa
di solito si procedeva anche alla contestuale apposizione del nome. La sera, poi, i
parenti festeggiavano con un banchetto il cui piatto forte era rappresentato da cro-
stacei. Ulteriori notizie sulla festività in Saglio 1877.
19
  Aristot. Pol. 7, 1335b, 19-21.
20
  Plin. nat. 11, 150. Sui cognomina latini cf. Kajanto 1965; Solin – Salo-
mies 1994.
Enorme monstrum 531

balbuzie, Valgus alle gambe arcuate e Crassus (‘obeso’), con l’antonimo Macer
(‘macilento’), alla massa corporea più o meno cospicua21.
Passando ad esaminare i casi più propriamente patologici, dall’analisi
delle fonti emerge che a Roma, fin dal periodo protostorico, il trattamento
riservato alla deformità neonatale procede in maniera sostanzialmente ana-
loga rispetto alla prassi greca. Per le origini lo starting point resta un passo di
Dionigi di Alicarnasso, a detta del quale «Romolo ordinò agli abitanti della
città di allevare tutti i figli maschi e la primogenita delle femmine e di non
uccidere alcun bimbo al di sotto dei tre anni di età, a meno che non fosse
deforme o mostruoso (παιδίον ἀνάπηρον ἢ τέρας). E non sottrasse ai genitori
l’opportunità di esporre simili nati, purché fossero stati prima esibiti a cinque
vicini»22. Le sostanziali congruenze con la realtà greca confermano l’esisten-
za di una mentalità comune, in genere poco proclive alla comprensione della
diversità. L’ispirazione arcaica della statuizione viene implicitamente corro-
borata dall’importanza data al vicinato nella determinazione dell’inidoneità
della prole, dal momento che questa cellula sociale appare dotata di una ap-
prezzabile qualità giuridica solo ai primordi dell’ordinamento romano23.

21
  Si aggiunga la curiosa testimonianza di Plinio (7, 15, 1) secondo cui M’. Curio
Dentato avrebbe ricevuto il suo singolare cognomen per il fatto di essere dotato di
dentatura fin dalla nascita.
22
  Converrà riportare l’intero passo, poiché vi si discutono i provvedimenti at-
traverso i quali Romolo, dopo aver garantito la pace alla città, si dedica al suo incre-
mento demografico, da un lato incentivando le unioni e i contatti con gli insedia-
menti limitrofi, dall’altro esortando i sudditi a proliferare: πρῶτον μὲν εἰς ἀνάγκην
κατέστησε τοὺς οἰκήτορας αὐτῆς ἅπασαν ἄρρενα γενεὰν ἐκτρέφειν καὶ θυγατέρων τὰς
πρωτογόνους, ἀποκτιννύναι δὲ μηδὲν τῶν γεννωμένων νεώτερον τριετοῦς, πλὴν εἰ τι
γένοιτο παιδίον ἀνάπηρον ἢ τέρας εὐθὺς ἀπὸ γονῆς. Ταῦτα δ’οὐκ ἐκώλυσεν ἐκτιθέναι τοὺς
γειναμένους ἐπιδείξαντας πρότερον πέντε ἀνδρᾶσι τοῖς ἔγγιστα οἰκοῦσιν, ἐὰν κἀκείνοις
συνδοκῇ. Κατὰ δὲ τῶν μὴ πειθομένων τῷ νόμῳ ζημίας ὥρισεν ἄλλας τε καὶ τῆς οὐσίας
αὐτῶν τὴν ἡμίσειαν εἶναι δημοσίαν (Dion. Hal. 2, 15, 1-2). Si noti la consistente am-
menda patrimoniale comminata ai trasgressori.
23
  Le tre teorie più accreditate sulla realtà giuridica della Roma delle origini, fa-
centi capo rispettivamente a Henry J.S. Maine, Eduard Meyer e Pietro Bonfante,
trovano puntuale esposizione in Crifò 2010, 37-39. Si sofferma sulla controversa
configurazione giuridica del vicinato Palma 1988, di cui qui interessa particolar-
mente il primo capitolo (Le relazioni di vicinato nelle fonti. Solidarietà di gruppo e
ideologia). Un punto di riferimento antiquario della massima importanza è Cicero-
ne, che tocca più volte la questione (per es. off. 1, 17, 53-55 e 59; fin. 5, 23, 65, sul
rapporto tra amicizia e vicinato).
532 A. Maiuri

Nella legislazione decemvirale l’assetto previsionale conosce un ulteriore


inasprimento: sul pater grava ormai l’obbligo di uccidere il neonato deforme
su due piedi e senza più vincoli di natura testimoniale24.
Nei secoli successivi, invece, non si apprezza alcuna testimonianza, diretta
o indiretta, che lasci supporre un tentativo di definizione giuridica del pro-
blema, nonostante i casi siano ormai cresciuti per numero e varietà, in corri-
spondenza con l’abnorme espansione territoriale della res publica nel bacino
del Mediterraneo. Il monstrum viene convenzionalmente interpretato come
una premonizione divina delle volontà altrimenti imperscrutabili del destino,
come dimostrano le sottili implicazioni etimologiche latenti in tutta la gamma
dei suoi sinonimi. Il presagio è percepito, in ultima analisi, come il sistema at-
traverso il quale il dio tenta di avvisare l’uomo che qualcosa di notevole sta per
avvenire, un codice la cui interpretazione viene affidata alle discipline tecniche
della divinazione, la mantica e l’aruspicina25; è convinzione diffusa, infatti, che
la divinità non si esprima in modo esplicito e diretto, ma segua modalità co-
municative variegate, e comunque da decodificare, sia che decida di ‘scrivere’
nel cielo, sia che esprima la sua volontà attraverso le viscere di un’hostia, sia che
invii sulla terra fetus prodigiosi26. Torna qui a farsi sentire, anche se con le debi-

24
  XII Tabb. IV, 1, apud Cic. leg. 3, 8, 19 (cum esset cito necatus tamquam ex duode-
cim tabulis insignis ad deformitatem puer). Il riferimento è al tribunato della plebe, in
relazione al quale l’Arpinate propone un accostamento metaforico piuttosto tagliente
con le previsioni decemvirali in tema di bimbi nati deformi. Per il testo del fram-
mento cf. FIRA, I, 35. Ulteriori riscontri in Crawford 1996, che a p. 630 giudica
necatus la correzione più accreditata per la corruttela †legatus† dei codici e sulla scorta
dell’usus scribendi decemvirale cerca di restituire il testo originale della legge: si defor-
mis natus est, ast non tollit, se fraude esto. Per le implicazioni giuridiche del passo rinvio
a Kunkel 1966 (= 1974), secondo il quale a certe condizioni le Dodici Tavole avreb-
bero concesso l’impunità per l’uccisione di un figlio; contra Guarino 1967, 124, che
preferisce pensare all’inclusione in epoca seriore della fattispecie nel corpus normativo
arcaico. Interpretazione complessiva del frammento in Lanfranchi 1964, 5 ss.
25
  Come accennato, il prodigium viene valutato come un fenomeno sovversi-
vo, perché infrange le leggi della natura. L’unica possibilità è avviare un processo di
espiazione rituale in grado di ripristinare la concordia tra mondo umano e divino.
Di questa procedura apotropaica, definita procuratio prodigiorum, è Livio a offrir-
ci la documentazione più abbondante (cf. 27, 25, 9 o 32, 9, 1-4, passo ancora più
significativo perché riferisce di due nascite prodigiose: un agnello bicefalo a Suessa
Aurunca e un maialino con testa umana a Sinuessa). Utili rilievi sulla percezione
dell’ominoso in Roma antica in McBain 1982 e Guillamont 1996.
26
  Le questioni religiose della deformità neonatale in Roma vengono affrontate
Enorme monstrum 533

te distanze, la concezione sacrale tipicamente greca, secondo la quale il sogget-


to che, nel bene o nel male, travalichi gli schemi percepiti come ordinari dalla
collettività, sta a simboleggiare il favore o l’astio degli dèi. Pertanto a Roma
i parti mostruosi rappresentano la prova materiale dell’infrazione della pax
deorum proprio come in Grecia essi annunciano il sovvertimento dell’ordo na-
turalis (κόσμος)27. Diviene così un dato costante negli storici identificare nelle
nascite prodigiose la premessa occulta di eventi funesti, tramite un processo di
libera trasposizione dall’irregolarità individuale alla calamità statale. Il marca-
to interesse per i prodigi tipico dei veteres viene accolto spontaneamente in au-
tori come Sisenna o Celio Antipatro. Significativamente assente in Sallustio, il
motivo torna a imporsi in Livio e Tacito, nei quali non riveste un semplice ca-
rattere tralatizio, ma viene impiegato in maniera sistematica e originale. Solo a
titolo di esempio, lo storico della dinastia giulio-claudia riferisce di eventi pro-
digiosi in due diversi capitoli del XII libro degli Annales (43 e 64), in entrambi
i casi in perfetta coincidenza con due tappe decisive nella carriera di Nerone: la
sua adozione nel 50 (12, 25-26) e l’effettiva assunzione del potere nel 54 (12,
69), come in un ideale iter in deterius suggellato da omina avversi28.

***

Sebbene in materia non vi siano indicazioni univoche, si ha tuttavia la netta


impressione che durante il principato la considerazione complessivamente

sistematicamente da Allely 2003, che individua cinque classi di prodigia ricondu-


cibili ad anomalie della nascita, sottolineando l’influsso dell’aruspicina etrusca nel
trattamento sacrale della fattispecie. Profili giuridici, invece, in Dalla 1984.
27
  Della ricezione dei fenomeni soprannaturali in Grecia si occupa Parker
1983, che individua la principale distanza tra la concreta gestione dei portenti nel
mondo greco rispetto a quello romano nel fatto che il primo li valuterebbe come
σήματα soggetti ad interpretazione ma non a una speciale disciplina del sacro, men-
tre il secondo preferirebbe esorcizzarli ritualmente, tanto che a tal fine i sacerdoti
preposti al loro trattamento rituale intesserebbero persino inedite alleanze. Secondo
lo studioso, per esempio, l’unica attestazione di una regolare collaborazione tra Xviri
sacris faciundis e haruspices si avrebbe solo nel caso di neonati androgini, a conferma
delle stringenti solennità previste dal cerimoniale per l’occasione.
28
  Il rapporto tra divinazione e prodigi nel primo secolo del principato è og-
getto della già citata ricerca di Vigourt 2001, integrabile per l’età traianea con
Montero 2000. Lo studioso spagnolo ha anche il merito di aver esteso l’indagine
a Granio Liciniano, la cui opera purtroppo ci è giunta in forma alquanto lacunosa
(Montero 2005).
534 A. Maiuri

riservata alla deformità natale incontri un progressivo addolcimento. Non si


ha notizia, infatti, della persecuzione in iure di genitori rei di aver lasciato in
vita un infante deforme, anzi sembra che l’accettazione bonaria della prole,
come si è constatato per le frange più evolute del mondo greco, sia ormai la
soluzione prevalente. Nei casi più problematici, comunque, doveva ancora
aversi il rigetto29. Plinio il Vecchio riferisce di un bambino sordomuto, Q.
Pedio, che ai suoi tempi suscitò un notevole interesse, anche perché apparte-
neva a una gens agiata ed influente: l’omonimo nonno, infatti, in un primo
momento era stato addirittura designato da Cesare come suo futuro erede
insieme con Ottaviano. Il caso ebbe una vasta risonanza, tanto che Messala
Corvino suggeriva, con il beneplacito di Augusto, di impartire al bimbo le-
zioni di pittura30. Caso ancor più eclatante fu quello di Claudio, afflitto fin

29
  Depone in tal senso una testimonianza di Seneca retore (contr. 10, 4, 16: na-
scuntur quidam statim aliqua corporis parte mulcati, infirmi et in nullam spem idonei,
quos parentes sui proiciunt magis quam exponunt: aliqui etiam vernulas aut omine
infausto editos aut corpore invalidos abiciunt). Si noti la relazione tra l’infirmitas con-
nessa con il partus monstruosus e l’omen infaustum. Un altro dato che si evince dal
passo è che in questi casi esporre il neonato indesiderato viene giudicato un provve-
dimento troppo lieve. E che l’esercizio concreto del proicere equivalesse in sostanza
all’affogamento si ricava integrando la testimonianza con un passo dell’altro Seneca,
il quale nel De ira (1, 15, 2) non senza una punta di cinismo giustifica la consuetudi-
ne identificando razionalmente sanità fisica e utilità (portentosos fetus extinguimus:
nec ira sed ratio est a sanis inutilia secernere).
30
  Plin. nat. 35, 21: [...] Q. Pedius, nepos Q. Pedii consularis triumphalisque et a
Caesare dictatore coheredis Augusto dati, natura mutus [...] In eo Messala orator, ex cu-
ius familia pueri avia fuerat, picturam docendum censuit, idque etiam divus Augustus
comprobavit; puer magni profectus in ea arte obiit. Dunque Pedio sarebbe morto pri-
ma di raggiungere l’età adulta, ma avrebbe fatto grandi progressi in campo artistico.
Occorre tuttavia sottolineare che la sua infirmitas non era verificabile alla nascita e
che pertanto in tali casi la successiva valutazione di inidoneità del puer poteva essere
complicata dal fatto che nel frattempo i genitori gli si erano sicuramente affezionati.
Del resto, se il riguardo nei confronti del ragazzo fu eccezionale e sicuramente con-
nesso con il suo status, non bisogna escludere che l’iniziativa privata di altri genitori
premurosi possa aver salvato altri bimbi infelici, benché la loro minore rinomanza
li abbia resi immeritevoli di dignità letteraria. Giova anche ricordare che il passo
di Plinio offre un’interessante testimonianza della priorità accordata a Roma alla
pittura rispetto ad altre discipline artistiche (Coarelli 1996, 15-84), dal momento
che un ingenuus impossibilitato ad esprimere le sue doti in ambito politico, civile o
militare, viene esplicitamente indirizzato verso l’arte figurativa. La scelta può essere
stata dettata anche da ragioni contingenti, quale una probabile disposizione naturale
del puer o i gusti individuali dello stesso Messala (Plin. nat. 35, 8).
Enorme monstrum 535

da piccolo da problemi fisici che, secondo Svetonio, gli avrebbero lasciato


strascichi considerevoli nel comportamento31. Riferisce il biografo, infatti,
che la madre Antonia32 ne parlasse come di una ‘caricatura d’uomo’, tanto
che, volendo tacciare qualcuno di stupidità esagerata, lo definiva, come per
assurdo, più stolto di suo figlio33; e che la nonna Livia preferiva servirsi di
intermediari piuttosto che comunicare direttamente con lui34. Alla luce di
tali notizie non destano stupore le perplessità dei contemporanei sulla sua
apoteosi, visibili non solo nel tenore complessivo dell’Apocolocyntosis, ma an-
che nella strisciante affermazione di Plinio il Giovane per cui dicavit caelo
Claudium Nero, sed ut irrideret35.
A parte i casi individuali, un motivo originale del principato è dato da
un rinnovato interesse per l’anomalia corporea su basi di ordine apolaustico,
come la moda diffusa nelle famiglie più in vista di far ricorso a una lunga teoria
di nani, insipienti e gibbosi per destare ilarità nelle occasioni conviviali36. In

31
  Un’articolata disamina della vita svetoniana e dei materiali che vi sono con-
fluiti si trova in Hurley 2001, utilmente integrabile con Kierdorf 1992 e Gua-
stella 1999.
32
  Nata dal matrimonio di Marco Antonio il triumviro (da cui il suo nomen gen-
tilicium) con Ottavia, una delle figlie di Augusto.
33
  Suet. Claud. 3, 2.
34
  Ibidem. Sempre secondo Svetonio (ivi, 4, 2), anche Augusto avrebbe confes-
sato: ἠλαττῶσθαι sentimus eum et βεβλάφθαι καὶ εἰς τὴν τοῦ σώματος καὶ εἰς τὴν τῆς
ψυχῆς ἀρτιότητα. L’incapacità di Claudio è confermata in più punti degli Annales
(cf. almeno 3, 18, 7; 11, 28, 2; 12, 3, 3; 12, 67, 1), tanto che Tacito arriva addirittura
a parlare di imminuta mens (6, 46, 2).
35
  Plin. paneg. 11, 1. Il riferimento all’apoteosi neroniana di Claudio è frequente
negli storici (Tac. ann. 12, 69, 6; 13, 2, 6; Suet. Claud. 45, 2; Nero 9, 1; Vesp. 9, 1).
In particolare, un gustoso Witz allusivo alle beffe rivoltegli dal figliastro si trova in
Suet. Nero 33, 1: in un discorso pubblico gli avrebbe infatti riferito il verbo morari
prolungandone ad arte la o breve, in modo da accostarlo al greco μωρός (‘sciocco’).
Cf. inoltre Suet. Claud. 38, 3 e Sen. apoc. 7, 3; 8, 3.
36
  Slater 1991. D’altra parte la deformità fa aumentare il prezzo di vendi-
ta degli schiavi, rivelandosi una sorta di valore aggiunto, secondo quanto afferma
Quintiliano (2, 5, 11: illa vero, quae utcumque deflexa sunt, tamquam exquisitiora
miramur; non aliter quam distortis et quocumque modo prodigiosis corporibus apud
quosdam maius est pretium quam iis, quae nihil ex communi habitu boni perdiderunt).
Marziale (8, 13) riferisce di un tale che si lamenta di aver speso ben 20.000 sesterzi
per uno schiavo descritto dal venditore come insano di mente e che invece tale non
è, circostanza che gli suggerisce la repetitio indebiti (Morio dictus erat: viginti milibus
emi. / Redde mihi nummos, Gargiliane: sapit). Plutarco definisce talmente ingente la
536 A. Maiuri

questi casi il monstrum si presenta ammantato di una propria qualitas distin-


tiva, cui fa riscontro anche un cospicuo valore commerciale: in altre parole
l’interesse per l’inusuale si sostanzia di un acre gusto per la stravaganza, al di
fuori di qualsiasi elementare logica umanitaria37. Il deviante si fa spectaculum:
è la logica che, secondo Gian Biagio Conte, presiede alla Naturalis historia
di Plinio (lo ‘spettacolo del mondo’) o a tanti spettacoli circensi della Roma
antica38. D’altra parte la marginalità rispetto alle dinamiche sociali porta
questi individui a sviluppare una maggiore sensibilità nei confronti della re-
altà circostante, il che talora consente loro persino di entrare nel consilium
principis39. Accogliere a corte strane creature poteva altresì obbedire a ragioni
di propaganda o comunque mirare a suggestionare la fantasia del popolo40,

domanda di monstra nella compravendita servile da attestare non solo l’esistenza di


mercati di ragazzi e ragazze di straordinaria bellezza, ma anche quella di una τεράτων
ἀγορά, riservata alla vendita di schiavi «senza polpacci o con tre occhi, ovvero col
capo a forma di ostrica» (Adversus Colotem, 1108d).
37
  Neppure un filosofo sensibile come Seneca sembra sfuggire a questo tratto
di mentalità, se usa espressioni particolarmente dure nei confronti di Arpaste, fatua
della moglie (una sorta di clown femminile), definendola solo un onere finanziario e
concludendo sarcastico che per ridere di un pagliaccio gli basta guardarsi allo spec-
chio (ep. 50, 2). Una simile movenza autoironica non è originale, ma trova prece-
denti illustri nell’antica Stoa, come rivela un arguto scambio di battute tra Cleante e
Aristone di Chio (Diog. Laert. 7, 171). Va detto peraltro che l’insensibilità del Cor-
dovano per la situazione di Arpaste stride apertamente con l’ispirazione umanitaria
propria dello stoicismo: il filosofo, infatti, ironizza sul fatto che la schiava, ormai
quasi cieca, gli abbia chiesto di cambiare stanza perché crede che la sua sia troppo
buia (subinde paedagogum suum rogat ut migret: ait domum tenebricosam esse). Ov-
viamente il tenore generale del passo risente del tono giocoso di Seneca, ma tra le
righe traspare comunque una significativa presa di distanza, tanto che l’autore arriva
a dichiarare di essere aversissimus ab istis prodigiis.
38
  Conte 1982, XXXII ss. Seneca, quindi, più che essere ‘disumano’ nei con-
fronti della fatua, rifiuta proprio questa logica, così come rifiuta i giochi del circo. Il
consumo dello spettacolo fornito dal deforme può avvenire in diversi modi: pub-
blici (ludi circenses, per esempio) e privati (tra le mura domestiche), tipici entrambi
di una società gerarchica e mercantile come quella imperiale. Il vezzo dello schiavo
freak va così inquadrato nel consumo ‘dilettevole’ del deviante ad uso privato. Tante
delle considerazioni fatte da Michel Foucault nella Storia della follia sulla società
occidentale dal Rinascimento in poi, che da un lato reclude il deforme e dall’altro lo
esibisce a livello spettacolare, possono tornare utili anche per inquadrare il fenomeno
in età romana
39
  Tac. ann.15, 34, 2; Suet. Dom. 4, 2; Trentin 2011.
40
  Hist. Aug. Com. 9, 6.
Enorme monstrum 537

disposto ad accordare più volentieri la sua fiducia a un reggitore capace di


armonizzare il piano terreno con quello sublime dell’ordine cosmico41.
Tra i repertori del diverso stilati dagli autori del principato spicca il set-
timo libro della già citata Naturalis historia, meglio noto agli studiosi come
‘antropologia pliniana’. Ispirato a materiali più antichi42, l’excursus costitu-
isce un catalogo distinto del bizzarro che raccoglie ogni stranezza nota al
poligrafo, dal record di longevità a quello di capacità riproduttiva, fino alle
dimensioni corporee estreme in ambedue i sensi. Lo scrittore cita con na-
turale indifferenza anche i fatti più incredibili, palesando una volontà di
stupire che però non va oltre una stucchevole stravaganza. Il gusto per lo
straordinario si presenta, cioè, scevro dalle implicazioni presenti, ad esem-
pio, in Valerio Massimo, in cui l’interesse per l’inusitato rivela una finalità
moraleggiante43. In base a simili presupposti si può ragionevolmente affer-
mare che l’attenzione nei confronti dei mirabilia44, la si intenda come sem-

41
  Singolare in questo senso il parallelismo proposto da Svetonio (Aug. 80, 1) tra la
disposizione dei nei naturali di Augusto e l’ordine e il numero delle stelle dell’Orsa.
42
  Probabilmente un analogo campionario perduto di Varrone, come sembrano
suggerire numerosi riferimenti del libro pliniano (13, 4; 75, 8; 81, 5; 83, 2; 85, 4; 176,
1; 211, 4 e 214, 1). L’opera più indiziata sono le Antiquitates rerum humanarum
(Mirsch 1882). Tra gli elenchi di singolarità composti a vario titolo e in epoca di-
versa occorre poi annoverare almeno la nota raccolta di Facta et dicta memorabilia di
Valerio Massimo, ediz. Briscoe 1998 (teubneriana in due tomi) e il Liber prodigio-
rum di Giulio Ossequente, compendio storico dei principali fatti prodigiosi occorsi
a Roma tra il 190 e l’11 a.C., realizzato nel IV secolo sulla base della lettura diretta
degli Annales di Livio e oggi reso disponibile al pubblico più vasto grazie al recente
inserimento tra gli Oscar Mondadori (Mastandrea 2005).
43
  In questa ottica si muove il dovizioso contributo di Weileder 1998, che mira
a sottolineare la viva attività di propaganda esercitata da Roma una volta raggiunto il
totius terrarum orbis dominium.
44
  Può essere utile chiarire il divario semantico intercorrente tra mirabilia e pro-
digia. Entrambi i termini, infatti, si riferiscono a fatti straordinari, ma si differenzia-
no sostanzialmente per due aspetti: anzitutto nei mirabilia il protagonista è l’uomo
piuttosto che la natura, la quale invece è vista come diretta responsabile in caso di
prodigia. Si tratta sostanzialmente di una questione di punti di vista: nei prodigia
il fenomeno eccezionale rientra nei meccanismi del mondo naturale, ed interessa
eventualmente l’ambito umano solo di riflesso, mentre nei mirabilia la focalizzazio-
ne si sposta decisamente sul piano antropico. In secondo luogo i prodigia vengono
comunemente interpretati come messaggi divini rivolti alla comunità (cf. OLD,
1472: «An unnatural event or manifestation portending a disaster»), segnalando la
necessità di una espiazione formale per il ripristino dell’armonia con gli dèi, mentre
538 A. Maiuri

plice fonte di svago o sotto il profilo più impegnato dell’esemplificazione


erudita, si impianta su una fertile prassi letteraria già diffusa ab antiquo. La
ratio sottesa alla realizzazione di questi repertori tradisce l’istintiva tenden-
za dell’uomo alla classificazione razionale della realtà che lo circonda: un
po’ come la passione che anima gli sforzi dei collezionisti privati o soprin-
tende alla realizzazione delle opere museali, quali supremi strumenti di con-
servazione della cultura e delle tradizioni umane.
Una corretta disamina della questione non può, tuttavia, prescindere dal
profilo giuridico. Tra le particolarità del mondo della natura una di quelle
che maggiormente intriga i giuristi45 è l’androginia, che d’altra parte incide
vividamente anche sull’immaginario popolare46. L’ambiguità del caso pone
l’interprete del diritto di fronte alla necessità di assumere una posizione di-
rimente, che regoli con sicurezza la fattispecie all’interno delle rigide pre-
visioni dell’ordinamento giuridico. Esclusa recisamente ogni valutazione
ibrida contra naturam, il principio di riferimento resta quello della summa
divisio tra mares et feminae, per cui si reputa necessario accertare in via casi-
stica la supremazia dell’una o dell’altra componente47 e solo in base a questo
procedere alla determinazione del sesso, operazione molto importante per
le sue conseguenze giuridiche. Per esempio, stando ad un frammento ulpia-

i mirabilia (ivi, 1115: «Causing wonder, marvellous, remarkable, extraordinary»)


non hanno carattere premonitore e quindi non necessitano di alcun intervento uffi-
ciale, né da parte delle autorità statali, né dei collegi sacerdotali.
45
  Valutazione giuridica dell’androgino in Crifò 1999 e Péter 2001.
46
  Come dimostra la nutrita messe di esempi disponibili in Livio (27, 11, 4-5; 27,
37, 5-7; 31, 12, 8; 39, 22, 5) e soprattutto in Giulio Ossequente (22, 27a, 32, 34, 36,
43, 46, 47, 48, 50, 53). Il secondo passo della lista liviana è particolarmente importan-
te, perché contiene un’accurata descrizione della deportatio comminata all’ermafrodi-
ta in quanto foedum et turpe prodigium. L’episodio, che data al 207 a.C., dimostra che
in età repubblicana il fenomeno viene sanzionato con misure drastiche, simili a quelle
previste in caso di parricidio, per stornare gli effetti della pollutio sulla civitas. Diversa
sembra la considerazione riservata alla fattispecie alcuni secoli più tardi, di fronte ai
mutamenti sopraggiunti nella società romana. Gellio attesta la variazione anche a li-
vello terminologico: gignuntur et utriusque sexus quos hermaphroditos vocamus, olim
androgynos vocatos et in prodigiis habitos, nunc vero in deliciis (9, 4, 16). L’espressione
nunc in deliciis è estremamente significativa, in quanto può essere ricondotta alle me-
desime ragioni voluttuarie che nell’età del principato sostanzialmente portano a una
rivalutazione del prodigioso in quanto espressione di rarità.
47
  Quaeritur: hermaphroditum cui comparamus? Et magis puto eius sexus aesti-
mandum, qui in eo praevalet (Ulp. dig. 28, 2, 6).
Enorme monstrum 539

neo del Digesto, la prevalenza degli attributi virili è giudicata la condizione


essenziale per istituire erede un figlio nato postumo da una sposa legittima48.
Ancora più curioso è un parere di Paolo, per cui all’ermafrodita viene ri-
conosciuto il diritto di presenziare all’apertura del testamento, prerogativa
esclusivamente maschile, solo con riserva della verifica dello stato dei suoi
genitali in caso di eccitazione49.
Le testimonianze giuridiche sono particolarmente significative per illu-
strare quello che può definirsi almeno un mutamento prospettico, se non
proprio un progresso reale, nella considerazione ufficiale riservata alla dif-
formità durante il principato rispetto ai periodi precedenti. Lo stesso vale in
relazione alle malformazioni neonatali, nei confronti delle quali proprio dal
Digesto trapela una sensibilità nettamente maggiore rispetto al passato. I testi
che si possono invocare in sostanza sono due; gli autori in questione, ancora
una volta, Paolo e Ulpiano. Nel primo frammento è in questione uno dei
maggiori crucci del giurista, cioè la definizione dell’identità: Paolo, secondo
la norma, non esita a negare lo status di essere umano ai bimbi procreati con-
tra formam humani generis, eppure significativamente lo ammette per coloro
che alla nascita dispongano di più membra del normale, della cui ‘mostruosi-
tà’, quindi, non è lecito dubitare50. Ancora più eloquente è un provvedimento
citato da Ulpiano come parte integrante della lex Papia Poppaea nuptialis51,

48
  Hermaphroditus plane, si in eo virilia praevalebunt, postumum heredem insti-
tuere poterit (Ulp. dig. 28, 2, 6, 2). Nel paragrafo precedente, però, il giurista coe-
rentemente esclude la medesima opportunità per lo spado castratus, a causa della sua
incontestabile infirmitas sexus.
49
  Hermaphroditus an ad testamentum adhiberi possit, qualitas sexus incalescentis
ostendit (Paul. dig. 22, 5, 15, 1).
50
  Non sunt liberi, qui contra formam humani generis converso more procrean-
tur: veluti si mulier monstrosum aliquid aut prodigiosum enixa sit. Partus autem, qui
membrorum humanorum officia ampliavit, aliquatenus videtur effectus et ideo inter
liberos connumerabitur (Paul. dig. 1, 5, 14). Fa in un certo senso da contraltare a que-
sta formulazione un frammento in cui Ulpiano, dopo aver ricordato la definizione
dell’ostentum da parte di Labeone, annovera come tale, secondo la tradizione, pro-
prio il possesso di un numero esagerato di arti alla nascita. Si tratta di dig. 50, 16, 38:
‘ostentum’ Labeo definit omne contra naturam cuiusque rei genitum factumque. Duo
genera autem sunt ostentorum: unum, quotiens quid contra naturam nascitur, tribus
manibus forte aut pedibus aut qua alia parte corporis, quae naturae contraria est: alte-
rum, cum quid prodigiosum videtur, quae Graeci φαντάσματα vocant.
51
  Promulgata nel 9 d.C. per inasprire la già dura disciplina prevista dalla lex
Iulia de maritandis ordinibus, in vigore da quasi trent’anni, la lex Papia Poppaea
540 A. Maiuri

secondo cui i genitori sarebbero legittimati a rivendicare i privilegi connessi


con la titolarità di prole anche nel caso che essa sia gravemente deforme52. Il
ragionamento ulpianeo, assolutamente nuovo e tale da scardinare l’ermeneu-
tica precedente, suona pressappoco così: non ci sono ragioni per penalizzare i
genitori se le cose non sono andate bene, perché non sono loro i responsabili,
ma la natura (neque id quod fataliter accessit, matri damnum iniungere debet).
Anche se non si conosce l’effettiva ricaduta della disposizione sulla pratica
corrente, il frammento rivela un atteggiamento nettamente più indulgente
nei confronti dei genitori. La diversa mentalità che informa il dettato giu-
ridico si può sintetizzare come segue: naturalmente il monstrum resta tale,
ma la sua nascita ormai non è più valutata all’interno di un meccanismo
sanzionatorio di colpe parentali da parte del divino, poiché l’accaduto viene
ormai ricondotto solo a imponderabili ragioni fatali (il che motiva l’impiego
dell’avverbio fataliter).
In una civiltà pragmatica ed estremamente attenta alla definizione giuri-
dica delle res humanae come quella romana, le ragioni legate al diritto pos-
sono fornire un notevole contributo alla comprensione della difficile pro-
blematica degli ostenta. Si pensi per esempio alla preminenza accordata al
problema della successione, che impone la necessità di definire criteri testa-
mentari certi53. Sono proprio i rigidi formalismi del ius a rendere conto del
processo di emarginazione civile e sociale subito dalle numerose categorie di

rappresenta uno dei cardini della politica matrimoniale di Augusto, nonché del suo
più vasto programma moralizzatore, dal momento che punisce con forti limitazioni
nella carriera politica il celibato e la mancanza di figli, e al contrario privilegia i geni-
tori con ingenti riconoscimenti giuridici ed economici. In base all’ambito ius trium
liberorum, infatti, il pater con tre figli a Roma, quattro in Italia o cinque in provin-
cia gode dell’esonero dalle pubbliche imposte, mentre le donne con almeno tre figli
vengono addirittura esentate dalla tutela mulierum. Sulla legislazione matrimoniale
augustea si veda Crifò 2010, 240 ss.
52
  Quaeret aliquis, si portentosum vel monstrosum vel debilem mulier ediderit
vel qualem visu vel vagitu novum, non humanae figurae, sed alterius, magis animalis
quam hominis, partum, an, quia enixa est, prodesse ei debeat? Et magis est, ut haec
quoque parentibus prosint: nec enim est quod eis imputetur, quae qualiter potuerunt,
statutis obtemperaverunt, neque id quod fataliter accessit, matri damnum iniungere
debet (Ulp. dig. 50, 16, 135).
53
  Forti dubbi sulla capacità testamentaria degli evirati (non appartenenti, quin-
di, ab origine alla categoria degli individui procreati contra formam humani generis,
ma divenuti tali in vita) vengono avanzati per es. da Dalla 1978, 201 ss.
Enorme monstrum 541

coloro che restavano esclusi – in ragione parziale o totale – dalla titolarità


di diritti personali, spesso anche per motivi indipendenti da una sventurata
menomazione fisica54.

***

Nel mondo greco-romano la difformità è quindi riguardata con sospetto,


come una devianza rispetto all’ordine precostituito e al naturale svolgimento
degli eventi terreni, e in quanto tale viene ora spiegata in chiave religiosa55,
ora magico-astrologica56, ora ricondotta a ragioni eminentemente politico-

54
  Per una panoramica esaustiva dei soggetti privi di diritto in Roma antica cf.
Garland 1993. Si sofferma in particolare sull’incapacità di fatto dei non vedenti
e dei non udenti Küster 1991, che produce anche un poderoso apparato biblio-
grafico (171-186). Più tagliato sul rapporto tra la civitas Romana e il concetto
moderno di cittadinanza, infine, Crifò 2000.
55
  Si è già detto della credenza che faceva dipendere le nascite prodigiose dalla
collera divina. Qui si può aggiungere che il legame tra deformità e male era desti-
nato a trasmettersi, quasi a livello vestigiale, anche all’interno del cristianesimo. La
questione appare già discussa in Aug. civ. 16, 8, ma è solo nel Medioevo che si con-
suma definitivamente il processo di sostituzione delle immagini degli dei inferi clas-
sici con quelle di Satana e del mostruoso corteo infernale, simbolo del rapporto tra
turpitudine morale e ripugnanza estetica (Russell 1984). Se la tradizione pagana,
identificando tout court deformità fisica e bruttura morale, può aver esercitato un
certo influsso umbratile anche sulla cultura cristiana, si consideri d’altra parte che,
a differenza di quanto si è postulato per il mondo greco-romano, il monstrum nella
ricezione cristiana si colloca intra e non extra o contra naturam, quindi appartiene a
pieno titolo all’ordine del Creato. Una simile prospettiva, apertamente innovativa,
si fonda su un criterio integrativo e non emarginante, nell’ottica che solo chi non sa
cogliere la pienezza del tutto può lasciarsi fuorviare dall’alterità della singola parte.
56
  Sulla magia nell’antica Roma mi limito a rinviare a Graf 1994. In particolare
sui calcoli astrologici è incentrato il cinquantesimo capitolo del VII libro della Na-
turalis Historia, in cui Plinio instaura una presunta corrispondenza tra la durata della
vita e gli influssi celesti, richiamando le teorie di esperti ellenistici come Epigene,
Beroso, Petosoride e Nechepso, e menzionando la scuola di Esculapio come partico-
larmente versata negli studi di numerologia. L’interesse dei Romani per l’astrologia
doveva essere veramente radicato, se Tacito menziona tre senatoconsulti che nel I
sec. d.C. avrebbero tentato di arginare il fenomeno, forse invano data la continua
necessità di iterarne i contenuti prescrittivi (il primo si ricava da ann. 2, 32, 3 e data
secondo la maggioranza degli studiosi al 17, anche se la questione è spinosa: cf. Ro-
gers 1931; gli altri due, testimoniati da ann. 12, 52, 3 e hist. 2, 62, 4, si possono
invece collocare con sicurezza nel 52 e nel 69).
542 A. Maiuri

etnologiche57, ovvero più genericamente ambientali58, circostanze soggetti-


ve59 o addirittura insondabili influssi deteriori esogeni60 (e comunque mai
interni all’organismo: le cognizioni di genetica erano ancora di là da venire).
Qualunque sia la causa, o il concorso di cause, individuata all’origine della
difformità, questa incontra la reazione negativa della comunità, che si tradu-
ce in un rigetto immediato alla nascita ovvero può provocare, se intervenuta
in età adulta, insidiose forme di emarginazione, fino alla perdita dell’identità
civica. L’estraneità ai canoni condivisi dal gruppo di appartenenza è vista con
sospetto perché scatena timori ancestrali, come se la divinità gettasse il suo
anatema attraverso un inquietante segnale premonitore di disgrazie.
Durante il principato invece si registra un certo progresso nella valutazio-
ne del fenomeno: e così, in concomitanza con la rivalutazione del prodigioso,
alcuni frammenti del Digesto sembrano ispirati a una visione meno rigida,
che se è improprio definire già illuminata, tuttavia sembra aprire la strada
verso una mentalità più evoluta, producendo alcune superficiali increspature
sul velo di Maya disteso sulle epoche precedenti.
In ogni caso è proprio da questa temperie antica che si è trasfusa nella
mentalità corrente la tendenza superficiale ad identificare normalità fisica e
attitudine alla elaborazione vigile e sciente del pensiero, con il relativo pre-
giudizio, duro a morire, che le facoltà dell’intelletto si basino sul possesso

57
  La diffidenza degli antichi nei confronti dell’alterità è nota (si pensi allo spregio
onomatopeico insito nel termine βάρβαρος per la civiltà greca o alla pervicace rilut-
tanza dei Romani a concedere la civitas non solo ai peregrini ma anche agli stessi socii
Italici). L’esame delle fonti ha condotto alcuni studiosi a proporre un’interpretazio-
ne etnocentrica anche per il fenomeno della deformità natale, per cui certe anomalie
fisiche sarebbero connaturate a determinate realtà etniche (per es. Friedman 1981,
prima di affrontare il problema per l’epoca medievale parte da una attenta disamina del
mondo antico). I pregiudizi erano forti soprattutto verso le popolazioni periferiche,
su cui si avevano notizie frammentarie e romanzate, trovandosi ai margini o al di là
dell’οἰκουμένη, come la leggendaria ultima Thule di Pitea (de Anna 1988, 23 ss.).
58
  Aristot. gener. anim. 4, 767a, 34-36.
59
  Soprattutto relative alla donna: secondo una diffusa credenza, per esempio,
le malformazioni alla nascita erano direttamente imputabili ad alcune particolari
fantasie elaborate dalle future madri durante il coito che aveva condotto al concepi-
mento (Sor. gyn. 1, 39); a detta di Platone (leg. 7, 789e), invece, essa andava ascritta
a traumi intervenuti in età gestazionale.
60
  Suona per lo meno stravagante, per esempio, al di fuori della superstizione
popolare, il consiglio dato da Esiodo (op. 1, 735) ai contadini di non unirsi con le
loro donne dopo aver preso parte a un rito funebre.
Enorme monstrum 543

di requisiti psicosomatici imposti da parametri standard, e la conseguente


esclusione dalle dinamiche sociali61 di chi non ne sia ‘regolarmente’ in pos-
sesso. Questo modo di ragionare distorto si è esteso, purtroppo, fino ai nostri
giorni62, anche se provvidenzialmente negli ultimi anni un atteggiamento
più civile sta prendendo il sopravvento sulle tare ereditarie del passato63.

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61
  Povertà ed emarginazione hanno costantemente accompagnato in passato la
già triste condizione dei diversamente abili, costretti sovente a sostentarsi chieden-
do l’elemosina. Importanti ricerche sociologiche hanno attestato la persistenza di
questa amara realtà ancora in età moderna, e per di più in contesti tutt’altro che
degradati (Humphries – Gordon 1992).
62
  Ammantandosi di componenti pseudoetiche fin dal mondo dell’infanzia: si
può facilmente constatare, per esempio, che nel mondo dei cartoon spesso il cattivo
è deforme. Un intelligente capovolgimento dell’usuale assetto ortocentrico è stato
proposto da Shrek, produzione della Dreamworks che individua il protagonista in un
Orco e il suo principale antagonista in un vanesio e crudele Principe Azzurro.
63
  Nella società attuale si tende finalmente a tutelare i diritti dei diversamente abi-
li con idonei accorgimenti logistico-ambientali: si va dalla creazione di strutture atte
a facilitare e rendere più sicuri gli spostamenti fisici (abbattimento di barriere archi-
tettoniche, apposizione ai semafori di dispositivi acustici per non vedenti, parcheggi
riservati e canali di attraversamento agevolati per le sedie a rotelle sui marciapiedi),
fino alla sensibilizzazione dei media (programmi sottotitolati e notiziari corredati di
versione gestuale per i non udenti). Tra le disposizioni più significative emanate negli
ultimi anni spicca la 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate), integrata dalla 53/2000, che tra l’altro estendono
il diritto ad usufruire di permessi orari e giornalieri dal lavoro anche ai parenti e agli
affini entro il terzo grado. Un discorso diverso, invece, va fatto per la mentalità cor-
rente, la quale si mostra in molti casi ancora ostinatamente ancorata a schemi retrivi
ed inumani. Il problema della reale emarginazione dei diversamente abili è ancora
aperto: tra i giovani, per esempio, esso viene acuito da piaghe sociali come il bullismo,
che spesso sfoga le sue devianze su chi è meno in grado di difendersi.
544 A. Maiuri

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‘Sapienza’, Università di Roma


dino.maiuri@tiscali.it
Venuste Noster. Abstract

Gabriele Burzacchini: Asclepiade tra Alceo e Catullo.


This paper analyses, in the light of recent studies, a clear case of aemulatio or
imitatio cum variatione, namely the intertextual relation between Alcaeus fr.
346 V. and Asclepiades 16 G.-P. (= AP 12,50), as well as the precise allusion
of Catullus 5, 5f., which most probably draws inspiration from the Samian
epigrammatist (brevis lux ~ δάκτυλος ἀώς, nox est perpetua una dormienda ~ τὴν
μακρὰν νύκτ’ ἀναπαυσόμεθα), even though the inner meaning of the Catullian
poem is completely different.

Albio Cesare Cassio: L’eroe Lakedaimon e gli onori funebri per i re di Spar-
ta (orac. ap. Herodot. 7, 220 = nr. 100 Parke-Wormell).
This note deals with line 4 of the oracle transmitted by Herodotus 7.220,
πενθήσει βασιλῆ φθίμενον Λακεδαίμονος οὖρος. It is argued that Λακεδαίμονος
οὖρος is unlikely to refer to the city of Sparta as the ‘bulwark of Lacedaemon’,
as Stein and Parke & Wormell maintained. This expression means, as Macan
saw in 1908, ‘the boundary of the hero Lacedaemon’, while πενθήσει certainly
refers to the compulsory mourning imposed by the Spartans upon the peri-
oikoi and the helots when a Spartan king died.

Massimo Di Marco: Detorsio di glosse omeriche, solecismi, presunti puns bi-


linguistici in Ammiano (AP 11, 16; 146; 180).
This paper offers a new interpretation of three epigrams of Ammianos. In
AP 11, 16 the use of the Homeric gloss ἐγχεσίμωρος implies a malicious
metapoiesis of a Lucillios’ verse. The meaning of AP 11,146 is paradoxical:
the orator Flaccus is sure he will improve his Greek after a stay in Cyprus (the
soloecisms’ home!). It will be also proved as wrong the common reading of
AP 11, 180 νώναις as a bilingual pun.
718 Venuste Noster

Lucio Ceccarelli: La costruzione del distico elegiaco latino: il rapporto tra


primo emistichio dell’esametro e primo emistichio del pentametro.
This study proposes to verify whether, in the latin elegiac distich, it might
be possible to recognize a mutual influence between hexameter and pentam-
eter, as far as the realization of the metric scheme is concerned. The test, con-
ducted on a corpus comprehending almost all the latin elegiac distichs from
Catullus to Venantius Fortunatus, suggests a substantially negative answer.

Marco Filippi: Alcune osservazioni su Acc. arm. iud. fr. III R.3, vv. 148-149.
Acc. arm. iud. 148-149 is quoted from Macrobius as a model of Verg. Aen.
10, 449-450, with which it shows a clear similarity of context. The fragment
has a proverbial character (‘who fights a brave enemy, even if is won, obtains
anyway a great honour’), and the theme has obtained a great fortune in suc-
ceeding literature. After an attempt at reconstructing the tragic context, we
can suppose that the fragment does not contain an expression of modesty,
but it is a part of a provocative context.

Alfredo Mario Morelli: L’uno e il molteplice: su Catull. 5.


In Catull. 5, the author cleverly works out two ancient topoi (‘let’s love, be-
cause the night/death is coming’; ‘kisses are the joy of lovers’), gaining a well
balanced structure of the poem. In comparison with contemporary Graeco-
Roman poetry (erotic epigrams – such as Philod. AP 9, 570 –, the Epitaph
of Bion), both themes are handled with a remarkable taste for originality,
especially in their ‘numerical’ aspects, in order to put special emphasis on the
basic contrast between nox una and basia mille.

Maria Silvana Celentano: I ritmi e i numeri della vita nella poesia antica:
l’elogio, l’amore, il sorriso.
This paper briefly discusses a few Greek and Latin poetical texts (Prop. 3, 22,
17-22 and 39-42; Ov. ars 1, 55-66; Philod. AP 5, 13; Catull. 5 and 7; Mart.
6, 34), in order to highlight how the different numerical notations that they
contain are able to emphasize different aims, as, e.g., expressing admiration,
praise, love or parody.

Giuseppe Aricò: Huic aliud mercedis erit (Verg. ecl. 6, 26).


The salacious allusion present in the words of Silenus in the sixth eclogue
of Virgil comes from a motif of the Greek dramatic poetry (especially Aris-
tophanes, Eccles. 1045ff.). However, Virgil rewrites it more elegantly, thus
Abstract 719

easing the obscenity of the witty remark; at the same he time makes it more
expressive by emphasizing the concept of the exchange.

Mario De Nonno: Cui non risere parentes.


The old textual problem in Vergil, Bucolics, 4, 62f. (divergence between the
text as transmitted by Vergil’s manuscripts and commented by Servius, and
the text as quoted by Quintilian, inst. 9. 3, 8) is examined anew. The argu-
ments of the supporters of Quintilian’s text (as emended by Politian and
Bonnell) are scrutinized and criticized. New intertextual links are pointed
to, suggesting that after all the Vergilian paradosis (cui non risere parentes)
was already echoed in Horace’s Ars.

Giuseppe La Bua: Audes / fatidicum verbis fallere velle deum? (Ov. fast. 2,
261-2): l’ironia del logos nei Fasti di Ovidio.
Recent scholarship on Ovid’s elegiac calendar-poem has drawn attention to the
political significance of the poet’s equivocal approach to the controversial topic
of the libertas linguae. This paper reads the poet’s playful manipulation of the
multiple, contradictory aspects of logos in literary terms, focusing on the sophisti-
cated irony inherent in the creation of figures of skilled speakers (Numa, Egeria,
Anna Perenna, the merchant), able to overcome superior opponents through fal-
lacious, ambiguous words, and emphasizing the role played by a modern, exuber-
ant use of lingua in the civilization process of the Augustan Rome.

Piergiorgio Parroni: Qualche riflessione sul testo della lettera 56 di Seneca.


The Reynold’s text of Sen. ep. 56 may occasionally be improved: the incom-
prehensible hac (1) is perhaps a copyist’s mistake for hunc; in v. 4 abducit of
P2 is more suitable than adducit (cett.), and to the surprising essedas (femi-
nine), wrongly defended by Axelson, must be preferred Buecheler’s raedas or
Heraeus’ et raedas (eredas p); P2 is a good witness also in 5 f. (inhibet P2: exhi-
bet cett.); instead of obirata (9), an evident nonsense, the conjectural obruta
(obrata p) gives an excellent meaning.

Matteo Massaro: Poesia per ignobiles: epigrammi sepolcrali da un colomba-


rio urbano di età giulio-claudia.
Latin epigraphy from urban columbaria replaces the higher literature with
several anonymous but valuable poems for lower class people collectively
buried there.Two of such fair poems from the monumentum familiae Sta-
tiliorum (I1 cent. AD), both elegiac and flawless, are here selected and care-
720 Venuste Noster

fully commented upon: CE 1001 dedicated by a slave to a fellow slave; CE


1030 for an unnamed wife, who praises herself for having died in the arms
(and tears) of her deeply loving man. Many thoughts, images or expressions
are noticed and surveyed in verbal and conceptual comparison with literary
and/or epigraphic texts.

Carlo Di Giovine: I precetti di Quintiliano sullo stilus (inst. 10, 3): note di
esegesi e di critica testuale.
In inst. 10, 3 Quintilian offers his precepts for a good writing (stilus), which
is introductory to good speaking (dicere). This chapter of book X of the
Institutio oratoria involves a lot of interesting questions of exegesis, of style,
and of textual criticism. This paper examines, and tries to give an answer, to
some of these questions.

Alessandro Fusi: Note testuali ed esegetiche a Marziale (2, 24; 4, 42; 9, 80;
10, 35; 11, 87).
In Martial 2, 24 the first four verses should not be ascribed to the persona
poetae, as in almost all modern editions, but to the Candidus addressed in
v. 6. In 4, 42 the last but one verse is to be ascribed to the ego loquens. In 9,
80 the much debated expression uxorem pascit in v. 2 has no sexual over-
tones as most critics take for granted: uxor is to be taken as a metonymy
for uxoris patrimonium and the expression means that Gellius feeds himself
with his wife’s goods. In 10, 35 v. 8 should be read, with β variant, sed castos
docet et pios amores, because of its intertextual link with Catull. 16, 5. In 11,
87, 2 nata (γ) is to be preferred to nota (β), accepted by all editors, because
that variant restores an idiomatic use and is clearly a lectio difficilior. It is also
strenghtened by the intertextual relation with Propertius, 2, 25, which shows
a comic degradation of the elegiac love, put into effect by Martial.

Francesca Romana Nocchi: Il motivo dell’an uxor ducenda fra poesia, reto-
rica e filosofia: Epigr. Bob. 22 Sp.
The theme for the an uxor ducenda, notwithstanding its wide diffusion, was in
antiquity differentiated in rhetorical, philosophical and literary fields, so much
so as to postulate a genre specialization in each field. The anonymous poet of
epigr. Bob. 22 achieves a certain originality by realizing a true mingling of genres.
In fact, he encompasses the satirical, pungent vein of the comic genre within
the typical structure of suasoria. Moreover, both the topic choice and the use of
rhetorical schemes in poetic forms seem to have scholastic reminiscence.
Abstract 721

Valeria Capelli: Gerolamo e le citazioni dell’Antico nel Nuovo Testamento:


testimonianze di tradizione indiretta?
Jerome often discusses the literal discrepancy between some passages of the
Old Testament and their citation in the New Testament, also turning his at-
tention to cases already pointed out by Porphyry and Julian. The examina-
tion of his principal statements about this subject makes it possible to infer
that he has not a constant attitude in relation to this problem and that there
are many differences among what he asserts in the prefaces to his biblical
translations, in epist. 57 and in his exegetical treatises.

Edoardo Bona: Appunti di lettura della Praefatio in Euangelio di Gerolamo


(con un occhio all’epistolario Gerolamo-Agostino).
A new reading of Preafatio in Euangelio, allows a better understanding of
Jerome’s philological attitude in approaching the Scriptures. Particularly
noteworthy is the use of indirect sources (translations and canones Eusebii)
for the constitution of the biblical text. Moreover Augustine’s use of indirect
sources in his epist. 28 could be a reminescence of this Praefatio.

Carla Lo Cicero: Audi Iuliane. Echi della polemica contro Giuliano d’Ecla-
no nelle glosse marginali del Vat. Reg. Lat. 141
Four glosses of Vat. Reg. Lat. 141 in margin to texts of Gregory of Nazianzus
and Basil of Caesarea (translated in Latin by Rufinus of Aquileia) present
polemic remarks about Julian of Eclanum. The analysis performed proves
that the marginal annotations derive from a late antique manuscript and that
they were probably written by a reader of the Augustine’s circle. The glosses
witness the constant work of ‘talking to the texts’, which is a typical feature in
manuscripts of the late Antiquity.

Luca Paretti: Cuochi, pasticceri e centoni. Sulle tracce di una ‘letteratura


dei Saturnali’.
This study proposes a new interpretation of the first fragmentary cento
of the codex Salmasianus, the so-called De panificio: instead of a simple
description of bread-making, this should be seen as a scene of preparing
crumpets or pancakes during the festival of Saturnalia. In this regard, it is
discussed an examination of the literary evidence about two relevant char-
acters of the feast, the cocus (cook) and the pistor (confectioner). Then the
author proposes a partial review of the literary production peculiar to the
Saturnalia, especially pointing out anonymous and secondary texts.
722 Venuste Noster

Franca Ela Consolino: Echi pagani e cristiani nell’epitafio del vescovo Vit-
tore. Per un’esegesi di Ennodio, carm. 2, 95 (215 V)
The paper provides a commentary of Ennod. carm. 2, 95, detecting the pres-
ence of hypotexts such as the apotheosis of Daphnis in Vergil, that of Lucan
in Stace, and the representations given by Lucan and Prudentius of Pompeius
and the virgin Agnes seeing from heaven the earth. In order to explain the
obscurity of some expressions, previous opinions are discussed and solutions
proposed, bringing fresh evidence wherever it is possible. A totally new inter-
pretation is offered for the last two verses of the poem.

Salvatore Monda: Gellio, Noctes Atticae 12, 6 e l’antico nome latino degli
aenigmata.
In the book XII of Noctes Atticae the VI chapter is devoted to riddles. The
source of the passage is Varro’s De sermone Latino ad Marcellus, from which
Gellius quotes the famous riddle of the god Terminus. At the beginning,
Gellius remembers the old latin word for ‘riddle’: scirpus (lit. ‘basket-rush’,
‘knot’). My aim is to suggest that scirpus is a calque on γρῖφος, but the mean-
ing of ‘riddle’ is made up by Gellius’ source.

Michela Rosellini: Nell’officina di Prisciano (con un omaggio a Menandro).


This paper analyses two extracts from Priscian’s Idiomata, namely GL III 338,
21-341, 24 and III 291, 11-292, 21, in order to reconstruct, by comparing
lessons in extant manuscripts, the archetype text, and to investigate Priscian’s
working methods. The archetype text reveals in these extracts a characteristic
of Priscian’s text, and in particular of the Idiomata section, in its original form,
i. e. that it was non perfectly finished, the lemmas and quotations being not
properly selected and organized. In a third extract, GL III 323, 8-11, it is pos-
sible to identify a fragment of Menander’s Heautontimoroumenos.

Luigi Munzi: Dottrina prosodica e Lehrgedichte in età carolingia: il carme


Mens tenebrosa.
Poetry’s high prestige requires in Carolingian age elementar didactic works
dealing with prosody and metrics. Mens tenebrosa tumet is a peculiar Lehr-
gedicht where words containing doubtful syllables (syllabae communes) are
collected into a poem of just eight or nine lines, to facilitate memorization:
this poem acquired an high grade of popularity in IX century. In this paper
the author presents a new critical edition – founded on several medieval
and Renaissance manuscripts – supplies an exhaustive treatment of fontes
Abstract 723

and loci similes, provides a panorama of classical teaching in the field of syl-
labae communes, and tries to state precisely the chronology of this didactic
tour de force (Bede’s treatise De arte metrica settles a serviceable terminus
post quem) and its authorship (Alcuin’s cultural milieu?).

Marina Passalacqua: Perlege, scribe, reduc


The article aims to provide a picture of book trading in Carolingian society
as it emerges from the lexicon the scholars of the court school used in the
correspondence they entertained.

Arduino Maiuri: Enorme monstrum: deformità e difformità nel mondo


greco-romano.
In Imperial Rome noble families used to entertain their guests by displaying de-
formed creatures at their feasts: the taste for the weird and the exotic went thus
hand in hand. This marks a turning point if compared to Greek culture, which
considered the freak as a divine punishment. If in very ancient Rome this mindset
is pretty similar (Dion. Hal. 2, 12, 1-2), during the Principate a definite change in
perspective is witnessed by jurists (e.g. dig. 1, 5, 14 and 50, 16, 135).

Marcello Salvadore: La Vestale incesta.


Dionysius of Halicarnassus, Pliny the Younger and Plutarch are the sources
of a detailed account of Vestalis incesta’s punishment: they say that she was
sentenced to death. Dionysius adds that there was no after death ritual.
Modern scholars generally accept what the three authors assert. In this article
the author surmises that the Vestalis incesta, together with the parricida, was
not condemned to death: both of them were sentenced to a particular kind
of banishment from the Society.

Rino Avesani: Divagazioni sulla memoria di Adriano nel Medioevo.


In spite of the traditional view of Adrian as a tolerant Emperor towards Chris-
tians, in many passiones he is oddly presented as a cruel tyrant. The passio of St.
Eustachius and the passio of St. Sapientia and of her three daughters – the latter
also drawn on in Roswitha of Gandersheim’s Sapientia – are the best known
and, obviously, both of them are without any historical ground. It is possible
that the ancient hagiographers became familiar with Adrian’s name thanks to
the large spread of two question-and-answer dialogues, both dating back prob-
ably to the II or III century AD, in which the protagonists are respectively
Adrian and the philosopher Second, and Adrian and Epictetus.
724 Venuste Noster

Luca Serianni: Ettore Romagnoli latinista.


This paper is concerned with the translations of classical Latin authors
made by Ettore Romagnoli, a scholar better known for his translations from
Ancient Greek. In his versions of Latin classics, especially of Plautus’ Miles
gloriosus and Horace’s poetry, Romagnoli aims at modernizing the texts
by making use of idioms, colloquialisms and expressive suffixes, in order
to make them more appealing to the general public. Although Romagnoli
failed in his purpose, his activity as a translator of Latin classics witnesses an
interesting aspect of the cultural policy of Fascism, the ideology of which
Romagnoli shared with firm belief.

Maria-Pace Pieri: L’Achille surrealista di Alberto Savinio.


The article focuses on the tale Achille innamorato misto con l’“evergeta” by
Alberto Savinio, in order to stress the author’s special relation with classi-
cal literature and, in particular, with old Greek miths. Such a relationship
requires to be verified in all its complex novelty, not only by comparing the
macrostructural models, but also by analyzing the detailed and frequently
very precise references and allusions to single parts of the ancient texts ‘(esp.
to Euripides’ Iphigenia in Aulis and Aeschylus’ Agamemnon).

Silvia Rizzo: Una consonanza fra il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lam-


pedusa e una lirica di Thomas Hardy.
A passage of Tomasi’s Gattopardo shows similarities to Thomas Hardy’s lyric
A Two-years’ Idyll (Late lyrics and earlier, London 1922). Did Tomasi read
it? It cannot be demonstrated with absolute certainty, but there is some evi-
dence in favour of this hypothesis.

Giorgio Bernardi-Perini: «My hedge-schoolmaster Virgil». Dall’‘egloga


messianica’ alla Bann Valley Eclogue
The Bann Valley Eclogue, written by Seamus Heaney on the eve of the new
millennium, in the wake of Virgil’s fourth Eclogue, is a major evidence of Man-
tuan’s great influence on the Irish poet who deserved the Nobel Prize 1995.

Tullio De Mauro: Latinum est, non flectitur.


In contemporary Italian many Latin expressions, e.g. lectio magistralis, are
employed as invariant multilexeme words in spite of ancient Latin grammar.

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