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Vino e archeologia⃰
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Di Marxiano Melotti, Università degli Studi di Milano “Bicocca”.
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È impossibile vedere quelle tre sformate figure e non sentirsi commossi. Sono morti
da diciotto secoli, ma sono creature umane che si vedono nella loro agonia. Lì non è
arte, non è imitazione; ma sono le loro ossa, le reliquie della loro carne e dei loro pan-
ni mescolati col gesso: è il dolore della morte che riacquista corpo e figura [...] Finora
si sono scoperti templi, case e altri oggetti che interessano la curiosità delle persone
colte, degli artisti e degli archeologi; ma ora tu, o mio Fiorelli, hai scoperto il dolore
umano e chiunque sia uomo lo sente. (Settembrini 1873)
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Allo stesso modo le viti inserite nel vuoto lasciato dalle vecchie radici si
configurano come “pezzi” del passato e i vini da esse ottenuti possono essere
presentati come “veri” vini romani. Tra l’altro, i vuoti lasciati dalle radici
delle viti e dai pali degli antichi vigneti sono stati riempiti per realizzare dei
calchi, esattamente come i vuoti lasciati dai corpi umani. Il laboratorio di ar-
cheologia sperimentale, d’intesa con l’azienda Mastroberardino, ha poi pian-
tato dei vigneti in alcune aree in cui erano stati individuati quei vuoti.
Si tratta insomma di un’operazione riconducibile all’immagine tradizio-
nale di Pompei come luogo di amore e morte, su cui è stata costruita, sin dal-
la fine del ’700 e in modo più mirato dalla fine dell’800, la fortuna turistica
del sito archeologico (Melotti 2008). La Pompei turistica è, innanzi tutto, la
città del sesso, della lascivia pagana, degli affreschi erotici, dei culti misteri-
ci di Dioniso; la città punita da Dio con l’eruzione del Vesuvio e trasformata
in una funerea necropoli, disseminata delle tracce cristallizzate dei suoi abi-
tanti.
Non a caso, ancora oggi, ogni operazione di valorizzazione o rilancio tu-
ristico di Pompei passa attraverso l’enfatizzazione della vita sessuale dei
suoi abitanti o della presenza della morte nel sito (come conferma la mostra
del 2015 “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, con esposizione di venti calchi
restaurati in un padiglione eretto nell’anfiteatro di Pompei, o la mediatizza-
zione dell’analisi del DNA delle ossa intrappolate nei calchi, trattati come
veri e propri corpi).
Uno degli spazi di Pompei scelti dalla Mastroberardino per piantare le viti
è il cosiddetto Orto dei Fuggiaschi (I, 21, 1), che richiama i turisti con i suoi
spettacolari 13 calchi di vittime. Come viene spiegato un po’ enfaticamente
nel sito web dell’area archeologica, questi calchi «furono poi ricollocati nella
posizione in cui furono rinvenuti: si rivela così oggi in quei corpi di adulti,
giovani e bambini, probabilmente gruppi familiari, e nei loro ultimi gesti di
vita, la tragedia che si compiva sotto la pioggia di cenere e lapillo» (Soprin-
tendenza 2015).
In questo “innesto” di vita e di morte, i calchi, apparentemente abbando-
nati tra le rovine e le viti piantate nel sito, appaiono come segni di grande
forza evocativa, in grado d’interconnettere passato e presente: il passato,
rappresentato dalla quotidianità della città, con i suoi abitanti che produce-
vano e consumavano vino, e il presente, rappresentato dalla fruizione ar-
cheologica, turistica e commerciale del sito, con i suoi vari soggetti. In tale
prospettiva i nuovi vigneti e il vino prodotto, di là da ogni narrativa pseudo-
archeologica, visualizzano una continuità esperienziale in cui le pratiche di
consumo, divertimento e socialità del presente si radicano nel passato.
Si tratta di un elemento psicologico molto presente nelle narrative turisti-
che relative a Pompei e intelligentemente enfatizzato in quelle commerciali.
Patricia Thompson (2004), blogger ed enoviaggiatrice, descrive così le vigne
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di Pompei “risorte dalle ceneri”: «Oggi, nell’Orto dei Fuggiaschi, con la sua
verde erba, le sue robuste viti e le sue piante da frutto, prevale la vita, non la
morte, e il giardino è di nuovo delizioso (lovely)». L’oggi turistico ed enoga-
stronomico della vita e dell’amore si contrappone allo ieri della morte, con
cui pure s’intreccia.
Allo stesso modo Juanita Dickson (2015), dopo una visita allo stesso vi-
gneto, ha pubblicato su un social una significativa galleria fotografica: due
immagini dei calchi dell’Orto, una delle vigne e una foto che la ritrae nel sito
con alcune amiche, con una didascalia: «Un tour straordinario e magico de-
gli esclusivi vigneti di Pompei». La visitatrice ringrazia la Mastroberardino
per averle «letteralmente apero (unlocking) la città nascosta (hidden)». Il vi-
no funge da mediatore culturale tra il passato e il presente, capace di di-
schiudere la Pompei “magica” e “segreta”.
Non è certo un caso che l’azienda (con l’avallo della Soprintendenza) ab-
bia chiamato quel vino “Villa dei Misteri”, dal nome di uno degli spazi più
celebri del sito archeologico, per via dei suoi coloratissimi e intriganti affre-
schi. Queste pitture, naturalmente riportate sull’etichetta, mostrano, secondo
una tradizione che trova particolare ascolto nei media e nella cultura popola-
re, dei riti d’iniziazione sessuale legati al culto di Dioniso, il dio greco del
vino, ma anche della follia e di forme liminali di sessualità.
Il mito, la cultura misterica e le immagini di carattere sessuale sono in-
somma utilizzate per completare il processo di costruzione dell’autenticità di
questo vino, dando un sapore di antichità a un prodotto moderno e, soprattut-
to, ricollegandolo a quell’immaginario voyeuristico su cui da più di due se-
coli si fonda il successo turistico e mediatico di Pompei. Qui, però, non sia-
mo più nell’ambito dell’archeologia sperimentale, bensì in quello del marke-
ting.
Del resto Antonio Mastroberardino non è stato il primo a sfruttare la sto-
ria del territorio a fini commerciali. I produttori del “Lacryma Christi”, un
celebre DOC della stessa area, enfatizzano le tradizioni locali che collegano
quel vino (e la fertilità delle falde del Vesuvio, dove in origine ne erano col-
tivati i vitigni) al pianto di Cristo, che avrebbe riconosciuto nel golfo di Na-
poli un lembo di cielo strappato da Lucifero nella sua caduta. Senza entrare
in un’esegesi del racconto, ci limitiamo a rilevare un uso del Vesuvio quale
spazio liminale tra vita e morte, sterilità e fecondità, riconducibile al mede-
simo sistema d’immagini su cui in età moderna si è formato il mito di Pom-
pei. Va però riconosciuto che i produttori del Lachrima Christi, a differenza
di quelli del vino di Pompei, non chiamano in causa il DNA.
Il patrimonio archeologico, tanto nella sua dimensione mitica quanto in
quella più solida e materiale, serve a promuovere un prodotto che, a sua vol-
ta, promuove il patrimonio.
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Una versione più interessante delle strade del vino – e anche più attenta
alle dinamiche ludiche che sempre più improntano il turismo culturale – è
costituita dalle vie fluviali. In Germania ente turistico e aziende vinicole del
territorio hanno costruito una nave da trasporto romana, la Stella Noviomagi,
che idealmente ricrea l’imbarcazione raffigurata a Neumagen sul monumen-
to funerario di un commerciante di vino del III secolo d.C. La nave accom-
pagna i turisti desiderosi di effettuare degustazioni lungo i vigneti della Mo-
sella. Ancora una volta l’archeologia sperimentale, con la ricostruzione di
un’imbarcazione antica, partecipa in modo efficace alla valorizzazione turi-
stica del territorio, offrendo uno strumento che non solo interconnette passa-
to e presente, storia e paesaggio, cultura e divertimento, ma anche assicura la
mobilità turistica e il rapporto con gli stakeholders locali.
I musei del vino, spesso sostenuti dalle amministrazioni locali con lo sco-
po di culturalizzare il territorio, rappresentano probabilmente il grado zero
del rapporto tra archeologia, territorio, turismo e produzioni tradizionali. Le
anfore antiche a uso commerciale non costituiscono un reperto raro in Italia:
il nuovo interesse verso il cibo e il vino ha indotto a svuotare i magazzini dei
musei per creare sezioni museali o addirittura piccoli musei tematici. Tra i
casi, sempre più numerosi casi, ricordo il “Museo archeologico della vite e
del vino” a Scansano, sede anche dell’associazione “Strade del Vino Colli di
Maremma”. Il museo espone i ritrovamenti dell’insediamento etrusco di
Ghiaccio Forte e di alcune ampie fattorie romane. Come spiega un testo del
Parco degli Etruschi (s.d.), che ospita anche uno spazio per la degustazione
di vini e di altri prodotti locali, “dietro il vino maremmano c’è una storia
millenaria: nelle fattorie disseminate nel territorio, gli Etruschi produssero
vini esportati anche nella Francia Meridionale; le anfore di vino prodotto
nelle ville schiavistiche di epoca romana sono state trovate in molti relitti del
Mediterraneo e testimoniano un commercio a largo raggio”. Ancora una vol-
ta l’archeologia diventa un fattore di orgoglio localistico: a differenza del ca-
so sardo sopra ricordato, la piena inclusione nei meccanismi centralistici del-
lo Stato romano viene rivendicata con orgoglio, accanto naturalmente
all’esaltazione dell’internazionalità della preromana cultura etrusca. La
competizione tra vini toscani e francesi sembra insomma trovare una sua sto-
ricizzazione nello storytelling museale. Il museo, così come gli scavi, rientra
in un più ampio sforzo di restituzione storica e ridefinizione identitaria del
territorio, che sul vino ha costruito la propria fortuna commerciale e turistica.
Non è un caso che proprio in quest’area abbiano preso piede le più importan-
ti attività italiane di paleobotanica (i progetti “Vinum” e “Archeovino”) con
ricerche genetiche volte al recupero degli antichi vitigni autoctoni e alla rico-
struzione di un vigneto etrusco (Ciacci, Rendini e Zifferero 2012). La ricerca
scientifica ancora una volta si rivela coerente con le esigenze identitarie, po-
litiche e commerciali del territorio.
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Sono sempre più numerosi i musei e le aree archeologiche che ospitano de-
gustazioni o eventi commerciali, pensati per promuovere identità e prodotti
locali. Il vino entra così nelle dinamiche politiche.
Tra le iniziative antesignane possiamo ricordare “Suoni e sapori alle
Terme Suburbane”, un’attività organizzata a Pompei nel 2010 in uno spazio
mediaticamente famoso per i suoi vivaci affreschi a tema erotico. Lo stesso
Ministero dei Beni Culturali ha spiegato che quelle che “una volta erano note
come terme del piacere” in quell’occasione hanno ospitato «un percorso le-
gato ai suoni e al gusto del palato attraverso la scoperta dei sapori locali: dal
vino alla mozzarella alla pasta e ai prodotti dolciari». L’iniziativa, definita
come un «primo passo in direzione della collaborazione tra i principali enti
operanti sul territorio», si completava con una visita notturna agli affreschi
erotici «accompagnata dal delicato suono di un’arpa» (MiBAC 2010). Lo
spazio archeologico fungeva da elegante scenografia per un’esperienza mul-
tisensoriale, tra suoni, luci, mozzarelle e solleticamenti erotici. La stereotipa-
ta immagine sessuale di Pompei è stata utilizzata, col beneplacito di quel
Ministero, per vendere prodotti moderni e quindi per culturalizzare
un’esperienza di consumo, nel quadro della nuova attenzione alla sensoriali-
tà e delle nuove narrative della lentezza, dei sapori locali e della collabora-
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Più spesso però la tematizzazione storica e gli spazi archeologici sono uti-
lizzati in modo strumentale per promuovere non tanto il territorio quanto de-
terminate politiche.
Il Museo nazionale preistorico ed etnografico Pigorini, ad esempio, ha
ospitato un’iniziativa dedicata ai vini regionali, che comprendeva eventi co-
me “Divina…mente: il vino nell’antichità”, “Cucina e vini laziali in abbina-
mento”, “Prodotti tipici: identità e opportunità”. In questi casi lo spazio mu-
seale è ridotto a mero, se pur autorevole, contenitore, che culturalizza le pra-
tiche di consumo, a costo di comprimere la longue durée storica sull’asse del
localismo.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati i festival enogastronomici in cui
l’archeologia è usata dagli amministratori locali come strumento di marke-
ting territoriale. Tra i numerosi esempi ricordo “Piacere etrusco a tavola. I
prodotti tipici della Tuscia sulle tavole dei romani” (Roma), “DiVino etru-
sco” (Tarquinia), “Le aziende di Enopoli in degustazione” (Monte Porzio
Catone) e “Cerealia” (Roma).
Molti di questi eventi, pubblicizzati con immagini a tema archeologico,
sono patrocinati dal Ministero dei Beni Culturali e da Soprintendenze ar-
cheologiche. La valorizzazione della specificità locale s’innesta sulle nuove
retoriche dell’enogastronomia come cultura e risorsa, dando vita ancora una
volta a eventi seriali, che funzionano perché coinvolgono e soddisfano i mol-
teplici stakeholders: enti locali, consorzi d’area, società che organizzano
eventi, Università e, naturalmente, anche turisti.
La città catalana di Tarragona da più di dieci anni promuove “Tarraco
Viva”, un grande festival di living history che si snoda tra musei, piazze e si-
ti archeologici. In occasione dell’evento (originariamente pensato per raffor-
zare la candidatura della città alla WHL dell’Unesco) i ristoratori danno vita
a un’iniziativa parallela, non apprezzata dagli archeologi: “Tàrraco a Taula -
Jornades gastronòmiques de reconstrucció de la cuina romana”.
Anche l’Italia vanta qualche iniziativa innovativa, in cui l’aspetto turisti-
co e quello culturale si uniscono alla sensorialità senza cadere nella rete del
marketing territoriale e del localismo politico. È questo il caso delle visite
archeologiche associate a degustazione di vini e cibi “antichi”, ma non inse-
rite in festival o promozioni d’area. A Roma, ad esempio, la cooperativa che
gestisce le Case Romane del Celio organizza “Ancient Aperitif”, una happy
hour con visita notturna guidata all’area archeologica (Mozzetti 2014). Si
tratta di un’iniziativa serenamente ludica, in cui fruizione culturale, diverti-
mento, socialità e reinvenzione del passato si sposano gioiosamente, senza la
retorica politica, identitaria o scientista di molti degli eventi organizzati dalle
amministrazioni locali.
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Bibliografia
pompeiisites.org/Sezione.jsp?titolo=La%20tradizione%20della%20 Ven-
demmia%20a%.
SOPRINTENDENZA SPECIALE BENI ARCHEOLOGICI POMPEI, ERCOLANO,
STABIA, L’Orto dei Fuggiaschi a Pompei, 2015. Disponibile su:
http://www.pompeiisites.org/Sezione.jsp?titolo=I%20 Calchi&id Sezio-
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THOMPSON P., Back from the Ashes. Resurrecting the Vineyards of Pompeii,
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