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ANGELO EUGENIO MECCA

IL VELTRO DI DANTE E LA CHANSON DE ROLAND

La profezia dell’indeterminato ma prossimo avvento di un «vel-


tro» liberatore è così espressa da Dante per bocca di Virgilio:
Inf. I 94-1111
«A te convien tenere altro viaggio»,
rispuose poi che lagrimar mi vide,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio:
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapienza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla».
Quando Dante scriveva il primo canto dell’Inferno, probabilmen-
te negli anni fra il 1304 e il 13082, non pensava, né d’altronde era
1. Cito dall’edizione di G. PETROCCHI, La Commedia secondo l’antica vulgata, Mila-
no, Mondadori 1966-1967, 4 voll.
2. È recente la pubblicazione di uno studio di A. ANTONELLI e R. PEDRINI, Appunti
sulla più antica attestazione dell’Inferno, «Studi e problemi di critica testuale», 63
(2001), pp. 29-41, in cui si porta a conoscenza degli studiosi la scoperta di un docu-
mento nell’Archivio di Stato di Bologna, Procuratori del Comune, b. 6, reg. 56 Liber
securitatum et aliarum diversarum scripturarum, contenente sul margine sinistro Inf. V
103-5 nella seguente lezione interpretativa: «amor che a nullo amato amar perdona, /
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in grado di farlo a quell’altezza cronologica, a una figura reale per


il suo «veltro», cosa dimostrata del resto dai vv. 103-4: «questi
non ciberà terra né peltro, / ma sapienza, amore e virtute», attri-
buti della Trinità difficilmente riferibili a un essere umano3. Ciò
non significa però che tale figura sia stata agli occhi di Dante to-
talmente velata nell’indeterminatezza, causa le non ancora chiare
sue idee politiche, che al contrario costituiscono l’impalcatura del
poema e un motore ispiratore fin dai primi momenti.
Una testimonianza al riguardo può venire da due luoghi della
Chanson de Roland. In essa compare in due blocchi narrativi di
due lasse ciascuno, in coincidenza con punti di particolare crisi
narrativa del poema (prima della battaglia di Roncisvalle, e pri-
ma della battaglia di Carlo contro i pagani a vendetta di Ronci-
svalle), un gruppo di quattro sogni, simmetricamente disposti
uno per lassa, e che si richiamano fra di loro a distanza con una
complessa rete di elementi connettori, sapientemente distribuiti
e variati4. I luoghi in questione sono le lasse LVI-LVII (1° bloc-
mi prese di costey piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non [m’abbandona]». Il do-
cumento, vergato da due notai, Isaia del fu Michele Raimundi e Giovanni del fu Cor-
tissino, durante l’amministrazione dei giudici Aticonte degli Uberti e Giacomo del fu
Dondideo, risalirebbe al 1° semestre del 1304. Ma Giancarlo Savino (G. SAVINO, A
proposito di una recente scoperta dantesca, «Studi Danteschi», LXVI, 2001, pp. 279-
84) obbietta non trattarsi della stessa mano che ha redatto i rogiti e i versi danteschi, e
attribuisce questi ultimi a un notaio ‘cultore’ di Dante che scriveva intorno al 1360.
Per lo stato della discussione prima di questa scoperta si veda E. QUAGLIO, Comme-
dia, in Enciclopedia Dantesca [d’ora in poi ED], Roma, Istituto della Enciclopedia Ita-
liana 1970-1978, 5 voll, vol. II [1970], pp. 80-91. La questione parte almeno da G.
FERRETTI, I due tempi di composizione della Divina Commedia, Bari, Laterza 1935 cal-
deggiante l’ipotesi Boccaccio della doppia redazione ante- (Inf. I-VII) e post-esilio
(Inf. VIII 1 «io dico seguitando …»); di senso contrario le idee espresse da G. PE-
TROCCHI, Intorno alla pubblicazione dell’Inferno e del Purgatorio, «Convivium», XXV
(1957), pp. 652-69. Un riassunto globale sullo stato della questione è in E. MALATO,
Dante, Roma, Salerno Editrice 1999, pp. 229-42.
3. Cosa che in effetti ha spinto molti all’identificazione del veltro con Cristo. «Per
hec verba probatur quod Christus erit iste, quia nullus homo esset tante potentie
quod posset avaritiam de mundo totaliter extirpare» (Le chiose ambrosiane alla «Com-
media», a cura di L.C. ROSSI, Pisa, Scuola Normale Superiore 1990, ad locum).
4. Uno studio analitico dei passi della Chanson de Roland in rapporto a Dante man-
ca tuttora. La prima nota si deve a E. Boehmer (Veltro, «Deutsches Dante Jahrbuch»,
2, 1869, pp. 363-6) che si limitava a riconoscere, in base ad una generica ‘suggestione’,
la somiglianza narrativa della Chanson de Roland con il prologo dell’Inferno. Un breve
contributo lo si deve a I. SAMUEL, One note on Dante’s Veltro, «Romanic Review», 38
(1947), pp. 13-5, che sviluppa un’analisi contrastiva sulle differenze dei passi (profezia
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co) e CLXXXIV-CLXXXV (2° blocco). Questi due blocchi nar-


rativi vanno rapportati e interpretati alla luce di un terzo blocco,
dalla lassa CCLXVII alla lassa CCLXXXVI, dove assistiamo alla
realizzazione puntuale di quanto adombrato nei due blocchi
narrativi precedenti.
Lassa LVI, 717-245
Tresvait le jur, la noit est aserie.
Carles se dort, li empereres riches;
Sunjat qu’il eret a[s] greignurs porz de Sizer,
† Entre ses poinz teneit sa hanste fraisnine.
Guenes li quens l’ad <de>sur lui sasie;
Par tel air l’at [croll]ee e brandie,
Qu’envers le cel en volent les esc[lic]es.
Carles se dort, qu’il ne s’esveillet mie.
Lassa LVII, 725-36
Aprés iceste altre avisiun sunjat:
Qu’il ert en France, a sa capele, ad Ais.
El destre braz li morst un vers si mals.
Devers Ardene vit venir uns leuparz,
Sun cors demenie mult fierement asalt.
D’enz de <la> sale uns veltres avalat,
Que vint a Carles le<s> galops e les salz;
La destre oreille al premer ver trenchat,
Ireement se cumbat al lepart.
Dïent Franceis que grant bataille i ad,
<Mais> il ne sevent liquels d’els la veintrat.
Carles se dort, mie s’esveillat6.
svelata nel Roland, volutamente ambigua in Dante); seguono due interventi di P. RE-
NUCCI (Dante, disciple et juge du monde greco-latin, Paris, Les Belles Lettres 1954, pp.
90-6) e E. VON RICHTHOFEN (Veltro und Diana: Dantes mittelalterliche und antike
Gleichnisse, in part. Cap. 2, pp. 11-6: Die Windundvisionen im Rolandslied, Tübingen,
Niemeyer 1956), dalle conclusioni, soprattutto il primo, azzardate; e infine un contri-
buto di C. HARDIE, The ‘Veltres’ in the Chanson de Roland and Dante’s Veltro, «Deut-
sches Dante Jahrbuch», 41-42 (1964), pp. 158-72, basato sui rapporti numerologici
dei passi che inducono lo studioso a identificare il ‘veltro’ con la Commedia stessa.
L’unico commento che accenna alla questione è quello di H. GMELIN, Die Göttliche
Komödie, Übersetzt von Hermann Gmelin. Kommentar, Stuttgart, Ernst Klett 1954-
1957, che chiosa a Inf. I 101: «Merkwürdigerweise hat noch kein Danteskommentator
bisher darauf hingewiesen, dass ein Veltres gerade in der Rolle eines Retters zweimal
im Traum Karl dem Grossen im altfranzösischen Rolandslied erscheint», a cui segue
un’estrapolazione delle lasse di riferimento del Roland.
5. Cito dall’edizione di C. SEGRE, La Chanson de Roland, Milano, Ricciardi 1971.
6. «Il giorno passa e la notte si incupisce. / Carlo dorme, l’imperator possente. / So-
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Di queste due prime lasse vanno notate alcune cose fondamen-


tali7:
1. Viene detto che Carlo dorme (se dort, v. 718) e sogna (sunjat,
v. 719). Nella seconda lassa è invece specificato anche che
Carlo sogna (sunjat, v. 725) una «visione» (avisiun, v. 725).
L’uso del termine avisiun è una spia che non ci troviamo di
fronte a semplici sogni8, ma a sogni profetici che avranno una
loro puntuale realizzazione nello sviluppo successivo della
narrazione (lasse CCLXVII sgg).
2. Vengono descritte due «visioni» avute da Carlo, una per lassa.
3. Nella prima visione traspaiono i seguenti elementi:
a. Ci troviamo ai valichi (porz, v. 719)9 di Cisa (antico toponi-
mo di Roncisvalle);
b. Carlo ha fra le mani un’asta di frassino;

gna di essere ai più grandi valichi di Cisa, / nei suoi pugni tiene la sua asta di frassino;
/ il conte Gano glie l’afferra / e nell’aria glie la scrolla e brandisce, / tanto che verso il
cielo ne volano le schegge. / Carlo dorme, né si è svegliato affatto. // Dopo questa
un’altra visione sogna: / che si trovava in Francia, nella sua cappella, ad Aquisgrana. /
Il braccio destro gli morde un verro crudele; / poi dalle Ardenne vede venire un leo-
pardo, / che il suo stesso corpo fieramente assalta; / da dentro la sala un veltro avan-
za, / che vien da Carlo di galoppo ed a salti, / e prima al verro l’orecchio destro strap-
pa, / irosamente poi s’attacca al leopardo. / Dicono i Franchi che v’è una gran batta-
glia, / però non sanno chi di loro la vincerà. / Carlo dorme, né si è svegliato affatto».
7. Per un’analisi puntuale e diffusa dei sogni di Carlo Magno nella Chanson de Ro-
land cfr. R. MENTZ, Die Träume in den altfranzösischen Karles- und Artus- Epeen, Mar-
burg, Elwert 1888 oppure M. EUSEBI, Rolandiana minima, «Cultura Neolatina», 37
(1977), pp. 167-86; molto utili anche A. HAGGERTY KRAPPE, The Dreams of Charlema-
gne in the Chanson de Roland, «Pubblications of Modern Language Association of
America», 36 (1921), pp. 134-41; K.J. STEINMEYER, Untersuchungen zur allegorischen
Bedeutung der Träume im altfranzösischen Rolandslied, München, Hueber 1963, e infi-
ne D.D.R. OWEN, Charlemagne’s Dreams, Baligant and Turoldus, «Zeitschrift für Ro-
manische Philologie», 87 (1971), pp. 197-208.
8. Per la differenza fra sogno e visione nel Medioevo cfr. R. MANSELLI, Il sogno co-
me premonizione, consiglio e predizione nella tradizione medioevale, in I sogni nel Me-
dioevo, Seminario Internazionale, Roma 2-4 ottobre 1983, a c. di T. GREGORY, Roma,
Editrice dell’Ateneo 1985, pp. 221-44) oppure J. LE GOFF, L’immaginario medievale,
Bari, Laterza 1988, in part. cap. VIII: Cristianesimo e sogni, pp. 141-208.
9. Cfr. M. BENSI (a cura di), La Chanson de Roland, Milano, BUR 1985 ad locum:
«La Chanson chiama i valichi di Cisa i maggiori porti [v. 719] i migliori porti [v. 583] i
porti maestri [v. 2939] di Cisa. Il termine port (porz) soltanto in due occasioni (ai versi
1429 e 2626) designa un porto di mare; spesso, invece, indica una gola, una stretta, un
valico montano».
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c. Gano interviene a scuotere violentemente l’asta le cui


schegge volano verso il cielo;
d. Carlo continua a dormire.
4. Nella seconda visione notiamo:
a. La scena si svolge nella Cappella ad Aquisgrana;
b. Un verro10 morde a Carlo il suo braccio destro;
c. Un leopardo viene dalle Ardenne e attacca Carlo;
d. Interviene un veltro dalla sala a difesa di Carlo;
e. Incertezza sull’esito finale dello scontro palesata per bocca
dei Franchi;
f. Carlo continua a dormire.
Le informazioni essenziali sono: 1) ai valichi di Roncivalle Gano
spezza l’asta di Carlo; 2) nella Cappella di Aquisgrana Carlo è
attaccato prima da un verro e poi da un leopardo, ma è difeso
da un veltro che viene dalla sala (ovviamente del Palazzo del-
l’Imperatore)11. Nella prima visione è ovviamente adombrata la
battaglia di Roncivalle, lasse LXX sgg., dove Carlo perde la sua
asta (Orlando, in quanto arma di difesa del regno) per causa di
Gano che tradisce; nella seconda visione, invero più complessa,
l’assemblea di Aquisgrana (lasse CCLXX sgg.) dove Gano (il
verro), dopo aver privato Carlo del suo braccio destro (Orlan-
do)12 è difeso da Pinabello (il leopardo) ma affrontato a sua vol-
ta, in nome di Carlo, dal nobile cavaliere Teodorico D’Angiò (il
veltro), membro dell’entourage del palazzo reale (il veltro viene
dalla sala del palazzo)13.

10. Ossia un suino maschio adibito alla riproduzione o, come altri intende, un cin-
ghiale (ma per Bédier è un orso in base alla ripresa della lassa CLXXXV, v. 2558: un
brohun).
11. Si veda ad esempio il corrispettivo v. 2563 della lassa CLXXXV oppure il v.
3707: «Muntet el palais, est venut en la sale» [«(Carlo) giunto a palazzo, è venuto nel-
la sala»].
12. Immagine quest’ultima già prefigurata precedentemente nella Chanson (XLV,
596-7) dove Gano si rivolge a Marsilio in questi termini: «Chi purreit faire que Rol-
lant i fust mort, / dunc perdreit Carles le destre braz del cors» [«Colui che fosse in
grado di ammazzargli Orlando, / allora Carlo perderebbe il braccio destro del suo
corpo»].
13. A onor del vero esiste un’altra interpretazione del passo di cui BENSI, La Chan-
son…, nota ai vv. 726-35, riferisce in questi termini: «Secondo un’altra interpretazio-
ne, alla quale principalmente si oppone l’ambientazione del sogno ad Aquisgrana, da-
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Lassa CLXXXIV, 2525-54


Karles se dort cum hume traveillét.
Seint Gabrïel li ad Deus enveiét:
L’empereür li cumandet a guarder.
Li angles est tute noit a sun chef;
Par avisiun li ad anuncïét
D’une bataille ki encuntre lui ert:
Senefiance l’en demustrat mult gref.
Carles guardat amunt envers le ciel,
Veit les tuneires e les venz e les giels
E les orez, les merveillus tempe[rs],
E fous e flambes i est appareillez:
Isnelement sur tute sa gent chet.
Ardent cez hanstes de fraisne e de pumer
E cez escuz jesqu’as bucles d’or mier,
Fruise[nt] cez hanstes de cez trenchanz espiez,
Cruissent osbercs e cez helmes d’acer,
En grant dulor i veit ses chevalers.
Urs e leuparz les voelent puis manger,
Serpenz e guivres, dragun e averser;
Grifuns i ad plus de trente millers;
N’en i ad cel a Franceis ne s’agiét.
E Franceis crïent: – Carlemagne, aidez! –
Li reis en ad e dulur e pitét;
Aler i volt, mais il ad desturber:
Devers un gualt uns granz leons li vi<e>nt,
Mult par ert pesmes e orguillus e fiers,
Sun cors meïsmes ì asalt e requert;
Prenent s’a braz ambesdous por loiter;
Mais ço ne set quels abat ne quels chiet.
Li emperere ne <s’e>st mie esveillét.
Lassa CLXXXV, 2555-69
Aprés icel<e> li vien<t> altre avisiun:
Qu’il ert en France ad Ais a un perrun;
En dous chaeines si teneit un brohun.
Devers Ardene veeit venir .XXX. urs,
Cascun parolet altresi cumë hum;
Diseient li: – Sire, rendez le nus!
Il nen est dreiz que il seit mais od vos;

ta dall’intera tradizione manoscritta, il secondo presagio sarebbe, come il primo, rela-


tivo alla battaglia di Roncisvalle, ed il verro, il leopardo e il veltro alluderebbero ri-
spettivamente a Marsilio, al Califfo, a Orlando».
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Nostre parent devum estre a securs. –


De sun palais v[ient un vel]tres a cur[s],
Entre les altres asaillit le greignur.
{Sur l’erbe verte, ultre ses cumpaignuns}
La vit li reis si merveillus estur;
Mais ço ne set liquels veint ne quels nun.
Li angles Deu ço mustret al barun.
Carles se dort tresqu’al main, al cler jur14.

Si noti come la struttura del passo è mantenuta costante rispetto


alle corrispettive lasse LVI-LVII: anche qui due visioni distribui-
te una per lassa; anche qui sottolineato il termine avisiun, sug-
gellato ulteriormente dalla specificazione della lassa CLXXXIV,
2527-32, dove è detto che i sogni derivano a Carlo Magno diret-
tamente dal Signore per mezzo di Gabriele, il tutto mostratogli
con «significato grave» (senefiance … mult gref, v. 2532).
1. Della prima visione notiamo:
a. Carlo Magno guarda verso il cielo sconvolto da tuoni, ven-
ti e uragani;
b. D’improvviso piovono fiamme e fuochi sui suoi soldati,

14. «Carlo dorme come chi è travagliato, / e Dio San Gabriele gli ha mandato, / e gli
ha ordinato di proteggere l’Imperatore. / Tutta la notte sta l’angelo al suo capo; / per
mezzo di una visione gli ha annunciato / d’una battaglia che gli sarà sferrata contro: /
glie ne ha mostrato il significato molto grave. / Carlo guarda in alto verso il cielo, / e
vede i tuoni e i venti e i geli / e le tempeste e i tremendi uragani. / E fuochi e fiamme
già gli sono preparati: / all’improvviso sulla sua gente cadono. / Bruciano le aste di
frassino e di melo, / e gli scudi con le borchie d’oro puro, / si spezzano le aste degli
spiedi affilati, / stridono gli usberghi e gli elmi d’acciaio: / Carlo vede i suoi cavalieri
in un grande affanno. / Orsi e leopardi poi li voglion mangiare, / serpenti e vipere,
draghi e diavoli. / Grifoni ce ne sono più di trenta migliaia, / che tutti insieme contro i
Franchi si slanciano. / E i Franchi gridano: – Carlomagno, aiutateci! – / Il re ne ha
dolore e pietà. / Vorrebbe andare, ma incontra un ostacolo: / dall’interno di una fore-
sta un gran leone gli viene contro, / d’aspetto era arrabbiato, orgoglioso e fiero: / sul
suo corpo stesso si dirige e l’attacca. / L’uno con l’altro s’abbraccian per lottare, / ma
Carlo non sa chi abbatte l’altro né chi cade. / L’imperatore non s’è affatto svegliato. //
Dopo di questa, gli viene un’altra visione: / che è in Francia, ad Aquisgrana, su un
pietrone, / con due catene tiene un orso. / E dalle Ardenne venir vede trenta orsi: /
ciascuno parla come se fosse un uomo: / – Sire, dicevano, consegnatelo a noi! / Giu-
sto non è che lo teniate ancora; / al nostro parente dobbiamo dar soccorso. – / Dal
suo palazzo viene un veltro di corsa, / che fra gli altri orsi si slancia sul più grande. /
[Sull’erba verde, oltre i suoi compagni] / ora il re vede la paurosa lotta, / ma non sa
Carlo chi vinca né chi soccomba. / Questo mostra l’angelo del Signore al barone. / E
Carlo dorme fino al mattino, al chiaro giorno».
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per la qual cosa bruciano aste, scudi e usberghi;


c. Intervengono insieme orsi, leopardi, serpi, vipere, diavoli e
draghi con l’intenzione di mangiare i soldati;
d. Carlo prova gran dolore per i suoi soldati, ma è impedito di
aiutarli da un leone che avanza da una selva e che lo attacca;
e. Incertezza sull’esito dello scontro;
f. Carlo continua a dormire.
2. Nella seconda visione invece distinguiamo:
a. Carlo si trova su un pietrone ad Aquisgrana;
b. Carlo tiene al suo fianco un orso in catene;
c. Intervengono trenta orsi che parlano come uomini in aiuto
dell’orso prigioniero, definito «loro parente»;
d. Un veltro proveniente dal Palazzo di Carlo attacca l’orso
più grande;
e. Incertezza sull’esito finale dello scontro palesata da Carlo
stesso;
f. Carlo continua a dormire finché viene il giorno15.
Sintetizzando: 1) dopo sconvolgimenti nel cielo l’esercito di
Carlo è attaccato da vari animali e mostri; 2) Carlo vuole aiutare
i suoi uomini ma è attaccato da un leone proveniente da una sel-
va; 3) Carlo ha come prigioniero un orso, alla cui difesa accorro-
no altri trenta orsi, ma è a sua volta difeso da un veltro prove-
niente dal suo palazzo. La prima visione, come è anche spiegato
a CLXXXIV, 2529-30 (li anunciét / d’une bataille ki encuntre lui
ert: «gli ha annunciato / di una battaglia che gli sarà sferrata
contro»), adombra la battaglia con l’esercito pagano e la grande
strage dei soldati Franchi; nella seconda è prevista l’assemblea di
Aquisgrana dove Carlo ha Gano in catene come prigioniero16 e

15. Si possono facilmente notare le aperte simmetrie di queste ultime due visioni
con le precedenti delle lasse LVI-LVII; in particolare v. 717 / v. 2525; v. 720 / v.
2537; v. 724 et 736 / v. 2554; v. 725 / v. 2555; v. 728 / v. 2558; v. 730 / v. 2563. Si noti
infine, dal punto di vista tematico, che in entrambi i sogni abbiamo una contrappo-
sizione battaglia di Roncisvalle (battaglia della vendetta di Carlo) / assemblea di
Aquisgrana. Queste precise rispondenze sono ulteriore prova a sostegno della iden-
tificazione della triade verro / leopardo / veltro della lassa LVII con Gano / Pinabel-
lo / Teodorico. Infatti nella lassa CLXXXV il veltro è indubitabilmente Teodorico, e
non Orlando.
16. Si notino le rispondenze alle lasse CCLXXVII sgg. che svelano i simboli dei pri-
mi due blocchi: v. 726: «qu’il ert en France, a sa capele, ad Ais» / v. 3744: «asemblez
IL VELTRO DI DANTE E LA CHANSON DE ROLAND 221

intervengono trenta parenti a difenderlo, ma è a sua volta aiuta-


to da un uomo proveniente dal suo palazzo, Teodorico d’Angiò
(il veltro) che attacca Pinabello (l’orso più grande), il campione
di Gano.
Si confrontino i passi riportati con il prologo dell’Inferno:
1. Carlo Magno è attaccato, nel complesso degli episodi, da un
verro, un leone e un leopardo17 (più altri animali) ma è soc-
corso da un veltro (figura proveniente dal Palazzo reale) che
sconfiggerà (come è palese dalla conclusione dell’opera) le tre
fiere. In Dante le tre fiere sono rispettivamente un leone, una
lonza ed una lupa; e il veltro un giorno le sconfiggerà (vv.
121-2: «infin che ’l veltro verrà, / che la farà morir con do-
glia»). Nella Commedia la lezione con doglia (Petrocchi) o di
doglia18 dei mss. Ashburnham 828 e il codice 88 dell’Accade-

sunt ad Ais a la capele»; v. 735 et 2553 et 2563: «mais ço ne set liquels veint ne quels
nun» / v. 3872: «Deus set asez cument la fins en ert»; v. 2557: «en dous chaeines si te-
neit un brohun» / vv. 3735-6: «Guenes li fels en caeines de fer / en la citét est devant
le paleis»; v. 2558: «devers Ardene veeit venir .XXX. urs» / vv. 3766 et 3781: «de ses
parenz .XXX. ki od lui sunt». Per un’analisi tecnica approfondita di queste, e delle
successive riprese e simmetrie si veda J. RYCHNER, La chanson de geste. Essai sur l’art
épique des jongleurs, Genève-Lille, Droz 1955, pp. 83-107, che parla di laisses similai-
res ovvero di laisses parallèles; C.A. ROBSON, The tecnique of Simmetrical Composition
in Medieval Narrative Poetry, in Studies in Medieval French presented to Alfred Ewert
in honour of his seventieth birthday, Oxford, Clarendon Press 1961, pp. 26-75.
17. Si tenga conta che la lonza dantesca altro non è, secondo il passo del Bestiario to-
scano che «animale crudele e fiera, e nasce da congiungimento carnale da leone con
lonza, o vero da leopardo con leonessa; e cussì nasce lo leopardo» [ed. a cura di M.F.
GARVER-K. MCKENZIE, Roma, Società Filologica Romana 1912, pp. 97-8]. O a detta
del Lana [ed. L. Scarabelli, Bologna, 1866-7, pp. 4-5]: «(…) animale (…) molto legge-
ro e di pelo macolato a modo di leopardo»; e infine Isidoro di Siviglia, Ethim. II, 20
(De bestiis) [Patrologia Latina LXXXII, 55]: «Lynx dictus, quia in luporum genere
numeratur: bestia maculis terga distincta, ut pardus»; dai quali passi traspare senz’al-
tro una qual certa confusione col leopardo, pur rimanendo in linea di massima anima-
li distinti. Vedi infatti L.G. BLANC, Vocabolario dantesco, o dizionario critico e ragiona-
to della Divina Commedia di Dante Alighieri, Firenze, Barbera 1877, s.v. Lonza, p.
212: «Lat. Lynx. È malagevole propriare se Dante abbia inteso parlare della lince, del-
la pantera o del leopardo, confondendosi spesso questi animali fra loro».
18. Accettata dall’edizione della Crusca, Firenze, 1595 (curata da Lionardo Salviati)
e da quella del 1837 (per cura di Giovan Battista Niccolini, Gino Capponi, Giuseppe
Borghi e Fruttuoso Becchi). Per esempi delle espressioni nella poesia italiana delle
origini si veda M. BARBI, Problemi di critica dantesca, I serie, Firenze, Le Monnier
1934, p. 202.
222 ANGELO EUGENIO MECCA

mia Etrusca di Cortona può forse trovare conferma dall’e-


spressione en grant dulor (CLXXXIV, 2542);
2. Di Carlo si dice più volte che «dorme» (Carles se dort LVI,
717; LVI, 724; LVI, 736; ecc.) mentre Dante sottolinea (vv.
10-11): «io non so ben ridir com’i’ v’entrai, / tant’era pieno di
sonno a quel punto»;
3. la scena del Roland precedente l’attacco del verro e del leo-
pardo (lassa LVI) si svolge in una profonda gola montana
(porz de Sizer: «i valichi di Roncisvalle», v. 726), che ricorda la
profonda valle dantesca, descritta da Dante come «erta» (v.
31) e quindi «basso loco» (v. 61); «loco selvaggio» (v. 91), ma
soprattutto, poco più in là, di «alto passo»19 (Inf. II 12) e
quindi di «cammino alto e silvestro» (Inf. II 142);
4. il leone del Roland ostacola il cammino di Carlo (aler i volt,
mais il ad desturber: «[Carlo] vorrebbe andare, ma trova un
ostacolo», CLXXXIV, 2548) e Dante: «e non mi si partia di-
nanzi al volto, / anzi impediva tanto il mio cammino, / ch’i’
fui per ritornar più volte vòlto» (vv. 34-6 sebbene riferiti alla
lonza);
5. è detto che il leone proviene da una «selva» (devers un gualt:
«da una foresta», v. 2549); così come il leopardo viene dalle
Ardenne (e la stessa cosa è ripetuta per i trenta orsi al v.
2558); il riferimento si spiega perché «l’Ardenne est, dans la
poésie du moyen âge, la forêt des prodiges (…) elle s’étendait
jadis jusqu’à la Vesdre, à trois ou quatre lieues au sud d’Aix-
la-Chappelle [Aquisgrana]»20. Dunque due delle tre fiere
provengono da una selva magica e prodigiosa;
6. il leone è descritto come mult par ert pesmes e orguillus e fier:
«d’aspetto era arrabbiato, orgoglioso e fiero» (v. 2550); e
Dante (vv. 44-8): «ma non sì che paura non mi desse / la vista
che m’apparve d’un leone. / Questi parea che contra me ve-

19. Alto varrà ‘profondo’ e passo ‘varco’ (ma di gola montana). «Con un valore che
già aveva in latino, alto significherà in Dante ‘profondo’: così troviamo alta valle (Inf.
XII 40); alte fosse (VIII 76); alto burrato (XVI 114); alto mare (XXVI 100 e Par. XI
120); alto sale (nel senso di ‘mare’, Par. II 13), e anche alti sospiri, XIX 74, e l’alto son-
no (Inf. IV 1: cfr. Virg. Aen. VIII 27)»: D. CONSOLI, Alto, ED, I (1970), pp. 184-6. Per
«passo» si veda A. NICCOLI, s.v., in ED, IV (1973), p. 346.
20. J. BÉDIER, La Chanson de Roland commentée, Paris, H. Piazza 1927.
IL VELTRO DI DANTE E LA CHANSON DE ROLAND 223

nisse / con la test’alta e con rabbiosa fame, / sì che parea che


l’aere ne tremesse»21. Sia la test’alta di Dante che il orgoglioso
e fiero sono identici attributi della superbia22.
Che Dante conoscesse la Chanson de Roland, in una forma
più o meno riconducibile a quella attualmente in nostro posses-
so, non è idea nuova23. In proposito si è soliti citare tre luoghi.
Inf. XXXI 16-8
Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdé la santa gesta,
non sonò sì terribilmente Orlando.
Inf. XXXII 121-3
Gianni de’ Soldanier credo che sia
più là con Ganellone e Tebaldello,
ch’aprì Faenza quando si dormia.
Par. XVIII 43-5
Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com’occhio segue suo falcon volando.
Poi trasse Guiglielmo e Rinoardo
e ’l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.

Nel primo passo Dante è giunto fra i traditori sorvegliati24 da gi-


ganti, uno dei quali, Nembrot, sfoga la sua rabbia repressa suo-
nando un corno25: da qui il ricordo del celebre episodio dell’oli-
fante di Orlando26. Nel secondo passo fra i traditori della patria
figura anche Ganellone, altra forma (fr. Guenelun, dall’accusativo

21. Per la scelta fra la lezione temesse o tremesse, cfr. PETROCCHI, La Commedia…, I
(Introduzione), pp. 165-6.
22. Chiose Ambrosiane [ed. cit., p. 5]: «cola test’alta: signa superbi».
23. Si vedano ad esempio G. ARNOLDI, Carlomagno, ED, I (1970), pp. 840-1; D.
BRANCA DEL CORNO, Romanzi arturiani, ED, IV (1973), pp. 1028-30; oppure lo stu-
dio di M. PICONE, Dante e la tradizione arturiana, «Romanische Forschungen», XCIV
(1982), pp. 1-18.
24. In realtà la funzione specifica dei Giganti è stata sempre molto discussa. Si veda
G. PADOAN, Giganti, ED, III (1971), pp. 160-2 e relativa bibliografia.
25. Il Nembrot della Bibbia (Genesi X, 8-10; XI, 1-9) appare come robustus venator,
donde l’immagine del corno dantesco.
26. Lassa CXXXII, 1753-4 sgg.
224 ANGELO EUGENIO MECCA

latino Ianelonem) per indicare Gano di Maganza (Ianus, forma


nominativale), il traditore di Roncisvalle. Si noti peraltro che la
forma Ganellone usata da Dante è abbondantemente testimonia-
ta nella Chanson (nelle varianti Guenelon / Guenelun) indiffe-
rentemente rispetto alla forma usuale Gano (Guenes)27. Il terzo
passo è forse quello più indicativo in quanto è nominato Carlo
Magno in coppia con Orlando, a cui risponde un’altra celebre
coppia delle chansons de geste francesi, ossia Guillaume e Ri-
noard, protagonisti del cosiddetto Ciclo di Guillaume28. Questo
dimostra la conoscenza da parte di Dante di una serie di cicli
epici con al centro proprio le figure di Carlo Magno e Orlando
da un lato, e di Guillaume e Rinoard dall’altro.
Posto dunque che Dante conoscesse uno o più chansons su
Orlando, come traspare dal passo del Paradiso, i due passi del-
l’Inferno ci dicono invece che queste opere cantavano già della
rotta di Roncisvalle causata dal tradimento di Gano e dell’olifan-
te di Orlando. A questi passi va forse aggiunta la descrizione di
Manfredi a Purg. III 107: «Biondo era a bello e di gentile aspet-
to» che «nella struttura e nella collocazione dei vocaboli»29 ri-
corda il v. 2278 (lassa CLXVIII) della Chanson de Roland: «Bel
fut et forz et de grant vasselage», verso peraltro riferito proprio
al veltro Teodorico d’Angiò30. Questi sono indizi notevoli a so-
stegno che Dante conoscesse il testo del Roland ‘grosso modo’
quale noi oggi possediamo.
Il veltro di Carlo, in conclusione, proviene dal suo Palazzo

27. Per esempio CCLXXI, 3757: dist Guenelon: – Fel seie se jo ’l ceil! [«disse Gano:
fellone se io lo nego!»]; ma CCLXXIII, 3780: Quant Guenes veit que ses granz plaiz
cumencet [«Quando Gano vede che comincia il suo gran processo»]; CCLXXVI,
3827: Que que Rollant Guenelun forsfesist [«anche se Rolando fece angheria a Ga-
no»], ma CCLXXVI, 3829: Guenes est fels d’iço qu’il le traït [«Gano è fellone per il
fatto che lo ha tradito»]; ecc.
28. Per il ciclo di Guillaume nel quadro dell’epica francese medievale si veda A. FAS-
SÒ, La canzone di Guglielmo, Parma, Pratiche 1995 e relativa bibliografia.
29. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia con il commento di N. SAPEGNO, Firen-
ze, La Nuova Italia 1985, ad locum.
30. È lo stesso Sapegno a ricordare che per il verso del Purgatorio un’altra possibile
fonte è la descrizione di David nel IV libro dei Re (16, 12): «erat autem rufus et pul-
cher aspectu decoraque facie» [Biblia iuxta Vulgatam Versionem, a c. di B. FISCHER
OSB, J. GRIBOMONT OSB, R. WEBER OSB, H.F.D. SPARKS, W. THIELE, Stuttgart, Würt-
tembergische Bibelanstalt 1975, 1ª ed., ibid., 1969].
IL VELTRO DI DANTE E LA CHANSON DE ROLAND 225

reale e il testo della Chanson sottolinea questo particolare in en-


trambe le occasioni in cui compare la figura, variando legger-
mente i termini, per chiarire, senza margine di errore, l’esatto si-
gnificato dell’espressione. Dapprima troviamo infatti (lassa
LVII, 730) d’enz de la sale «da dentro la sala», poi invece (lassa
CLXXX, 2562) de sun palais «dal suo palazzo», passo che spie-
ga in maniera inequivocabile che il primo riferimento era alla
sala del palazzo reale. Nel corso dell’azione successiva, in parti-
colare alla lassa CCLXXVI, riconosciamo nel veltro il nobile ca-
valiere Teodorico d’Angiò, membro effettivo della corte reale e
vassallo di Carlo, il quale prende le armi contro Pinabello com-
battendo in nome dell’Imperatore. Il veltro è dunque un mem-
bro della corte legato all’Imperatore mediante vincoli di fedeltà
e di vassallaggio.
Quando Dante, intorno al 1304-130831, si accingeva alla ste-
sura del primo canto del suo poema, è mia convinzione, ‘imita-
va’ il passo della Chanson de Roland accogliendone probabil-
mente anche le istanze ideologiche. Ribadisco che, almeno a
quell’altezza cronologica, Dante non poteva pensare a una figu-
ra reale per il suo «veltro»; è però plausibile che, proprio sulla
scorta del Roland, pensasse genericamente a un personaggio le-
gato all’Impero mediante saldi vincoli di vassallaggio. In tal caso
sarà bene accogliere al v. 105 la congettura grafica vagamente ac-
cennata da Pietro di Dante32, ma accolta per la prima volta dal
Vellutello33, poi anche nel Vandelli e nel Casella34, «e sua nazion
sarà tra Feltro e Feltro» in luogo di «tra feltro e feltro», come
peraltro appare nel cosiddetto Serventese romagnolo del 1277

31. Cfr. supra n. 2.


32. «Dicunt quidam: hoc est in partibus Lombardiae et Romandiolae, inter civitatem
Feltri et montem Feltri»: Il Commentarium di Pietro Alighieri nelle redazioni ash-
burnhamiana e ottoboniana, a c. di R. DELLA VEDOVA e M.T. SILVOTTI, Firenze, Ol-
schki 1978, ad locum.
33. Nel suo commento alla Commedia, Venezia 1544, ad locum.
34. Rispettivamente nelle edizioni Milano, Hoepli 19299 (con commento dello Scar-
tazzini) e Bologna, Zanichelli 1949 (ristampa con presentazione di F. MAZZONI, Firen-
ze, Sansoni 1957). Si attiene alla lezione tràdita dall’Urbinate latino 366 Federico San-
guineti, ultimo editore della Commedia (Dantis Alagherii Comedia per cura di F. SAN-
GUINETI, Tavarnuzze <Firenze>, Edizioni del Galluzzo 2001) e legge: «e sua nazion
serà tra ’l feltro e ’l feltro» (Urbinate 366: tral feltro el feltro).
226 ANGELO EUGENIO MECCA

scoperto da Tommaso Casini35 nel Registro del Convento di S.


Severo (Ravenna), ora all’Archivio di Stato di Ravenna (Fondo
Corporazioni religiose soppresse, Vol. [o Reg.] di Classe 12)36;
nel testo in questione i vv. 41-4 recitano37: «Fol ne stia en statu,
chéd a lui è nula Feltro! / En levere s’è aventatu, e ’l leone asalì
lu veltro, / ché paragonato s’è l’oro e peltro / del savere» dove
compaiono proprio le rime Feltro / veltro / peltro38, ma Feltro
ha valore geografico. Il riferimento dantesco andrà interpretato
secondo le coordinate geografiche di Feltre (in Veneto) 39 e
Montefeltro (Romagna), e indicherà l’Italia settentrionale nella
sua totalità, regione dalla quale, per oggettive condizioni stori-
che dell’epoca, più ci si poteva attendere un potente signore lo-
cale, vassallo dell’Imperatore e «salute» dell’«umile Italia»40.

35. Pubblicato e commentato in T. CASINI, Scritti danteschi, Città di Castello, Lapi


1913, pp. 39-50.
36. Il testo contiene una serie di Atti risalenti agli anni 1277-1283 del notaio Andrea
Rodighieri di Forlimpopoli. Lo si può leggere in G. CONTINI, Poeti del Duecento, Mi-
lano, Ricciardi 1960, tomo I, p. 877, o in Concordanze della lingua poetica italiana del-
le origini, a cura di D.S. AVALLE e con il concorso dell’Accademia della Crusca, Mila-
no, Ricciardi 1992, pp. 53-4.
37. Cito da AVALLE, Concordanze…, p. 54.
38. Esempi del resto unici nel panorama della lingua antica.
39. Come a Par. IX 52.
40. Cfr. al riguardo la posizione di Jacopo Alighieri: «La corporal vendetta / con lo
’mperio s’aspetta, / per quel che Cristo puose / quando di ciò rispuose, / che l’una a
Dio si desse, / l’altra imagine avesse // il temporal monarca / che dee guidar la barca /
col successor di Pietro / et innanzi et indietro; / nel reggimento svario / ciascun di Dio
vicario / […] / Sicché a viver giocondo / giustizia vuole il mondo / […] / Sì ch’a viver
directo / lo ’mperial cospecto / conviene essere spada / della mortale strada, / et ogni
altro tenore / conchiudo essere errore» (Il Dottrinale di Jacopo Alighieri, a cura di G.
CROCIONI, Città di Castello, Lapi 1895, XLII 37-48; XLVI 55-60, pp. 251 et 266).

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