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gna di essere ai più grandi valichi di Cisa, / nei suoi pugni tiene la sua asta di frassino;
/ il conte Gano glie l’afferra / e nell’aria glie la scrolla e brandisce, / tanto che verso il
cielo ne volano le schegge. / Carlo dorme, né si è svegliato affatto. // Dopo questa
un’altra visione sogna: / che si trovava in Francia, nella sua cappella, ad Aquisgrana. /
Il braccio destro gli morde un verro crudele; / poi dalle Ardenne vede venire un leo-
pardo, / che il suo stesso corpo fieramente assalta; / da dentro la sala un veltro avan-
za, / che vien da Carlo di galoppo ed a salti, / e prima al verro l’orecchio destro strap-
pa, / irosamente poi s’attacca al leopardo. / Dicono i Franchi che v’è una gran batta-
glia, / però non sanno chi di loro la vincerà. / Carlo dorme, né si è svegliato affatto».
7. Per un’analisi puntuale e diffusa dei sogni di Carlo Magno nella Chanson de Ro-
land cfr. R. MENTZ, Die Träume in den altfranzösischen Karles- und Artus- Epeen, Mar-
burg, Elwert 1888 oppure M. EUSEBI, Rolandiana minima, «Cultura Neolatina», 37
(1977), pp. 167-86; molto utili anche A. HAGGERTY KRAPPE, The Dreams of Charlema-
gne in the Chanson de Roland, «Pubblications of Modern Language Association of
America», 36 (1921), pp. 134-41; K.J. STEINMEYER, Untersuchungen zur allegorischen
Bedeutung der Träume im altfranzösischen Rolandslied, München, Hueber 1963, e infi-
ne D.D.R. OWEN, Charlemagne’s Dreams, Baligant and Turoldus, «Zeitschrift für Ro-
manische Philologie», 87 (1971), pp. 197-208.
8. Per la differenza fra sogno e visione nel Medioevo cfr. R. MANSELLI, Il sogno co-
me premonizione, consiglio e predizione nella tradizione medioevale, in I sogni nel Me-
dioevo, Seminario Internazionale, Roma 2-4 ottobre 1983, a c. di T. GREGORY, Roma,
Editrice dell’Ateneo 1985, pp. 221-44) oppure J. LE GOFF, L’immaginario medievale,
Bari, Laterza 1988, in part. cap. VIII: Cristianesimo e sogni, pp. 141-208.
9. Cfr. M. BENSI (a cura di), La Chanson de Roland, Milano, BUR 1985 ad locum:
«La Chanson chiama i valichi di Cisa i maggiori porti [v. 719] i migliori porti [v. 583] i
porti maestri [v. 2939] di Cisa. Il termine port (porz) soltanto in due occasioni (ai versi
1429 e 2626) designa un porto di mare; spesso, invece, indica una gola, una stretta, un
valico montano».
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10. Ossia un suino maschio adibito alla riproduzione o, come altri intende, un cin-
ghiale (ma per Bédier è un orso in base alla ripresa della lassa CLXXXV, v. 2558: un
brohun).
11. Si veda ad esempio il corrispettivo v. 2563 della lassa CLXXXV oppure il v.
3707: «Muntet el palais, est venut en la sale» [«(Carlo) giunto a palazzo, è venuto nel-
la sala»].
12. Immagine quest’ultima già prefigurata precedentemente nella Chanson (XLV,
596-7) dove Gano si rivolge a Marsilio in questi termini: «Chi purreit faire que Rol-
lant i fust mort, / dunc perdreit Carles le destre braz del cors» [«Colui che fosse in
grado di ammazzargli Orlando, / allora Carlo perderebbe il braccio destro del suo
corpo»].
13. A onor del vero esiste un’altra interpretazione del passo di cui BENSI, La Chan-
son…, nota ai vv. 726-35, riferisce in questi termini: «Secondo un’altra interpretazio-
ne, alla quale principalmente si oppone l’ambientazione del sogno ad Aquisgrana, da-
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14. «Carlo dorme come chi è travagliato, / e Dio San Gabriele gli ha mandato, / e gli
ha ordinato di proteggere l’Imperatore. / Tutta la notte sta l’angelo al suo capo; / per
mezzo di una visione gli ha annunciato / d’una battaglia che gli sarà sferrata contro: /
glie ne ha mostrato il significato molto grave. / Carlo guarda in alto verso il cielo, / e
vede i tuoni e i venti e i geli / e le tempeste e i tremendi uragani. / E fuochi e fiamme
già gli sono preparati: / all’improvviso sulla sua gente cadono. / Bruciano le aste di
frassino e di melo, / e gli scudi con le borchie d’oro puro, / si spezzano le aste degli
spiedi affilati, / stridono gli usberghi e gli elmi d’acciaio: / Carlo vede i suoi cavalieri
in un grande affanno. / Orsi e leopardi poi li voglion mangiare, / serpenti e vipere,
draghi e diavoli. / Grifoni ce ne sono più di trenta migliaia, / che tutti insieme contro i
Franchi si slanciano. / E i Franchi gridano: – Carlomagno, aiutateci! – / Il re ne ha
dolore e pietà. / Vorrebbe andare, ma incontra un ostacolo: / dall’interno di una fore-
sta un gran leone gli viene contro, / d’aspetto era arrabbiato, orgoglioso e fiero: / sul
suo corpo stesso si dirige e l’attacca. / L’uno con l’altro s’abbraccian per lottare, / ma
Carlo non sa chi abbatte l’altro né chi cade. / L’imperatore non s’è affatto svegliato. //
Dopo di questa, gli viene un’altra visione: / che è in Francia, ad Aquisgrana, su un
pietrone, / con due catene tiene un orso. / E dalle Ardenne venir vede trenta orsi: /
ciascuno parla come se fosse un uomo: / – Sire, dicevano, consegnatelo a noi! / Giu-
sto non è che lo teniate ancora; / al nostro parente dobbiamo dar soccorso. – / Dal
suo palazzo viene un veltro di corsa, / che fra gli altri orsi si slancia sul più grande. /
[Sull’erba verde, oltre i suoi compagni] / ora il re vede la paurosa lotta, / ma non sa
Carlo chi vinca né chi soccomba. / Questo mostra l’angelo del Signore al barone. / E
Carlo dorme fino al mattino, al chiaro giorno».
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15. Si possono facilmente notare le aperte simmetrie di queste ultime due visioni
con le precedenti delle lasse LVI-LVII; in particolare v. 717 / v. 2525; v. 720 / v.
2537; v. 724 et 736 / v. 2554; v. 725 / v. 2555; v. 728 / v. 2558; v. 730 / v. 2563. Si noti
infine, dal punto di vista tematico, che in entrambi i sogni abbiamo una contrappo-
sizione battaglia di Roncisvalle (battaglia della vendetta di Carlo) / assemblea di
Aquisgrana. Queste precise rispondenze sono ulteriore prova a sostegno della iden-
tificazione della triade verro / leopardo / veltro della lassa LVII con Gano / Pinabel-
lo / Teodorico. Infatti nella lassa CLXXXV il veltro è indubitabilmente Teodorico, e
non Orlando.
16. Si notino le rispondenze alle lasse CCLXXVII sgg. che svelano i simboli dei pri-
mi due blocchi: v. 726: «qu’il ert en France, a sa capele, ad Ais» / v. 3744: «asemblez
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sunt ad Ais a la capele»; v. 735 et 2553 et 2563: «mais ço ne set liquels veint ne quels
nun» / v. 3872: «Deus set asez cument la fins en ert»; v. 2557: «en dous chaeines si te-
neit un brohun» / vv. 3735-6: «Guenes li fels en caeines de fer / en la citét est devant
le paleis»; v. 2558: «devers Ardene veeit venir .XXX. urs» / vv. 3766 et 3781: «de ses
parenz .XXX. ki od lui sunt». Per un’analisi tecnica approfondita di queste, e delle
successive riprese e simmetrie si veda J. RYCHNER, La chanson de geste. Essai sur l’art
épique des jongleurs, Genève-Lille, Droz 1955, pp. 83-107, che parla di laisses similai-
res ovvero di laisses parallèles; C.A. ROBSON, The tecnique of Simmetrical Composition
in Medieval Narrative Poetry, in Studies in Medieval French presented to Alfred Ewert
in honour of his seventieth birthday, Oxford, Clarendon Press 1961, pp. 26-75.
17. Si tenga conta che la lonza dantesca altro non è, secondo il passo del Bestiario to-
scano che «animale crudele e fiera, e nasce da congiungimento carnale da leone con
lonza, o vero da leopardo con leonessa; e cussì nasce lo leopardo» [ed. a cura di M.F.
GARVER-K. MCKENZIE, Roma, Società Filologica Romana 1912, pp. 97-8]. O a detta
del Lana [ed. L. Scarabelli, Bologna, 1866-7, pp. 4-5]: «(…) animale (…) molto legge-
ro e di pelo macolato a modo di leopardo»; e infine Isidoro di Siviglia, Ethim. II, 20
(De bestiis) [Patrologia Latina LXXXII, 55]: «Lynx dictus, quia in luporum genere
numeratur: bestia maculis terga distincta, ut pardus»; dai quali passi traspare senz’al-
tro una qual certa confusione col leopardo, pur rimanendo in linea di massima anima-
li distinti. Vedi infatti L.G. BLANC, Vocabolario dantesco, o dizionario critico e ragiona-
to della Divina Commedia di Dante Alighieri, Firenze, Barbera 1877, s.v. Lonza, p.
212: «Lat. Lynx. È malagevole propriare se Dante abbia inteso parlare della lince, del-
la pantera o del leopardo, confondendosi spesso questi animali fra loro».
18. Accettata dall’edizione della Crusca, Firenze, 1595 (curata da Lionardo Salviati)
e da quella del 1837 (per cura di Giovan Battista Niccolini, Gino Capponi, Giuseppe
Borghi e Fruttuoso Becchi). Per esempi delle espressioni nella poesia italiana delle
origini si veda M. BARBI, Problemi di critica dantesca, I serie, Firenze, Le Monnier
1934, p. 202.
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19. Alto varrà ‘profondo’ e passo ‘varco’ (ma di gola montana). «Con un valore che
già aveva in latino, alto significherà in Dante ‘profondo’: così troviamo alta valle (Inf.
XII 40); alte fosse (VIII 76); alto burrato (XVI 114); alto mare (XXVI 100 e Par. XI
120); alto sale (nel senso di ‘mare’, Par. II 13), e anche alti sospiri, XIX 74, e l’alto son-
no (Inf. IV 1: cfr. Virg. Aen. VIII 27)»: D. CONSOLI, Alto, ED, I (1970), pp. 184-6. Per
«passo» si veda A. NICCOLI, s.v., in ED, IV (1973), p. 346.
20. J. BÉDIER, La Chanson de Roland commentée, Paris, H. Piazza 1927.
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21. Per la scelta fra la lezione temesse o tremesse, cfr. PETROCCHI, La Commedia…, I
(Introduzione), pp. 165-6.
22. Chiose Ambrosiane [ed. cit., p. 5]: «cola test’alta: signa superbi».
23. Si vedano ad esempio G. ARNOLDI, Carlomagno, ED, I (1970), pp. 840-1; D.
BRANCA DEL CORNO, Romanzi arturiani, ED, IV (1973), pp. 1028-30; oppure lo stu-
dio di M. PICONE, Dante e la tradizione arturiana, «Romanische Forschungen», XCIV
(1982), pp. 1-18.
24. In realtà la funzione specifica dei Giganti è stata sempre molto discussa. Si veda
G. PADOAN, Giganti, ED, III (1971), pp. 160-2 e relativa bibliografia.
25. Il Nembrot della Bibbia (Genesi X, 8-10; XI, 1-9) appare come robustus venator,
donde l’immagine del corno dantesco.
26. Lassa CXXXII, 1753-4 sgg.
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27. Per esempio CCLXXI, 3757: dist Guenelon: – Fel seie se jo ’l ceil! [«disse Gano:
fellone se io lo nego!»]; ma CCLXXIII, 3780: Quant Guenes veit que ses granz plaiz
cumencet [«Quando Gano vede che comincia il suo gran processo»]; CCLXXVI,
3827: Que que Rollant Guenelun forsfesist [«anche se Rolando fece angheria a Ga-
no»], ma CCLXXVI, 3829: Guenes est fels d’iço qu’il le traït [«Gano è fellone per il
fatto che lo ha tradito»]; ecc.
28. Per il ciclo di Guillaume nel quadro dell’epica francese medievale si veda A. FAS-
SÒ, La canzone di Guglielmo, Parma, Pratiche 1995 e relativa bibliografia.
29. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia con il commento di N. SAPEGNO, Firen-
ze, La Nuova Italia 1985, ad locum.
30. È lo stesso Sapegno a ricordare che per il verso del Purgatorio un’altra possibile
fonte è la descrizione di David nel IV libro dei Re (16, 12): «erat autem rufus et pul-
cher aspectu decoraque facie» [Biblia iuxta Vulgatam Versionem, a c. di B. FISCHER
OSB, J. GRIBOMONT OSB, R. WEBER OSB, H.F.D. SPARKS, W. THIELE, Stuttgart, Würt-
tembergische Bibelanstalt 1975, 1ª ed., ibid., 1969].
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