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Lecito sospettare che esteso sia stato, anche per il genere che qui interessa, il
naufragio della storia se, ad esempio, di sillogi di presumibile taglio novellistico sicu-
ramente anteriori al Decameron, o nulla si sa, tranne il titolo, come succede per il Flos
novellarum composto da Francesco da Barberino, o restano solo minuti frammenti, come
succede per il Libro di motti di tal Messer Vanni Giudice. Su questo minime considerazioni
in L. Battaglia Ricci, Per una storia della fondazione del genere novella tra ’200 e ’300, in
«Medioevo e Rinascimento», XII, 1998, pp. 307-320. In R. Fabbri, Il «genere» fuori dei confini
(qualche caso esemplare), in G. Albanese, L. Battaglia Ricci e R. Bessi (a cura di), Favole,
parabole, istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento, Atti
del Convegno di Pisa (26-28 ottobre 1998), Salerno Editore, Roma 2000, pp. 109-131, la
segnalazione di novelle inserite in organismi di altro genere, come, ad esempio, nella
Chronica di Salimbene.
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Manipolazioni del macrotesto e riscritture dei singoli pezzi attribuibili all’intervento
di vari copisti-compilatori-coautori e attestate dai mss. trecenteschi permettono di seguire
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Lucia Battaglia Ricci
le «fasi evolutive» (così Cesare Segre, nella Presentazione a Il Novellino, a cura di A. Conte,
Salerno Editore, Roma 2001, pp. IX-XIII), che fanno dell’originaria silloge tardo-duecentesca
composta di un numero imprecisato di pezzi di varia pertinenza generica registrata sotto
il titolo di Libro di novelle e di bel parlar gientile nella sezione più antica del ms. Panciati-
chiano Palatino 32 della Biblioteca Nazionale di Firenze (P1), un libro di cento racconti a
pieno titolo inscrivibile nella preistoria del genere «libro di novelle» grazie alla prevaricatrice
rimodellazione del macrotesto operata, sulla suggestione del modello decameroniano, dagli
editori cinquecenteschi. Tale ricostruzione della vicenda redazione del libretto, avanzata
in via ipotetica da chi scrive nell’Introduzione a Novelle italiane. Il Duecento. Il Trecento,
Garzanti, Milano 1982 (poi nella voce Novellino, in Letteratura italiana. Le Opere, diretta da
A. Asor Rosa, I. Dalle Origini al Cinquecento, Einaudi, Torino 1992, pp. 81-83), ripetuta con
altre considerazioni da L. Mulas, Lettura del «Novellino», Bulzoni, Roma 1984, è ora puntual-
mente documentata dall’edizione curata da A. Conte, Il Novellino, cit., con ricca bibliografia.
Ricapitolazione dei problemi nella prospettiva del genere e bibliografia più recente in Il
Novellino, a cura di V. Mouchet, Introduzione di L. Battaglia Ricci, Bur, Milano 2008.
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Si precisa che con i numeri romani, secondo l’uso, si indicano i testi presenti nel-
la redazione attestata dai codici recentiores e passata a stampa nel Cinquecento, alla quale
si applica per convenzione il titolo di Novellino; con i numeri arabi, invece, i testi presenti
nella redazione più antica, quella cui Alberto Conte, nella sua edizione, ha apposto il
titolo di Ur-Novellino, che qui per comodità si adotta per indicare appunto la redazione
tardo-duecentesca testimoniata dalla sezione più antica del ms. Panciatichiano Palatino 32
della Biblioteca Nazionale di Firenze.
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Per una descrizione dei mss. vedi, oltre alla Nota al testo dell’ed. di A. Conte,
Il Novellino, cit., pp. 267-284, L. Battaglia Ricci, Leggere e scrivere novelle, in La novella
italiana, Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Salerno Editore, Roma
1989, t. II, pp. 629-655.
5
F. Bonciani, Lezione sopra il comporre delle novelle [1574], in B. Weinberg (a cura
di), Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Laterza, Bari 1972, vol. III, pp. 137-173,
p. 164.
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
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Su cui si veda G. Mazzacurati, Società e strutture narrative, Liguori, Napoli 1971,
pp. 50-51.
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Lucia Battaglia Ricci
Titolo:
Ur-Novellino: Libro di novelle e di bel parlar gientile
Novellino: il titolo compare per la prima volta in una lettera del 27
7
Tra cronaca e novella, in La novella italiana, cit., t. I, pp. 155-171, p. 158.
8
Difficile indicare con precisione il lasso di tempo che separa la redazione che qui
si indica con la dicitura «più antica» e che è attestata da P1, del primo quarto del XIV sec.,
1320 ca., e la più recente attestata, oltre che dai testimoni cinquecenteschi, dai mss. collo-
cabili nella prima metà del Trecento, ovvero il ms. Gaddiano reliqui 193 della Biblioteca
Medicea Laurenziana di Firenze (G) del sec. XIVin, ma post 1315; il ms. Palatino 566 della
Bibl. Nazionale di Firenze (A), attorno al 1340; la sezione più tarda del Panciatichiano 32
(P2), del terzo-quarto decennio del Trecento. Dati interni permettono di ritenere che la
prima fase, quella della redazione originaria, quella attestata da P1, sia stata composta en-
tro la fine del Duecento, mentre in P2 compaiono novelle certamente composte in decenni
successivi.
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
Rubriche 10:
Ur-Novellino: le rubriche sono aggiunte in modo desultorio nel mar-
gine delle carte da una mano diversa da quella che ha vergato il testo.
Non compare mai il termine novella. Si alternano sintesi tematiche e in-
dicazioni di «genere» (sentenzie, ammaestramenti morali, exempla, caso,
proverbio, profezia).
Novellino: le rubriche costituiscono parte organica della silloge già nei
testimoni primo-trecenteschi. Assolutamente prevalenti le sintesi tematiche
del tipo Qui conta di…; pochissime le indicazioni di «genere» del tipo
quistione o sentenzia; abbastanza numerose le occorrenze di novella, e
questo, rispetto a quanto si osserva nell’Ur-Novellino è già un fatto degno
di rilievo, anche se novella assume, nei vari contesti, significati o sfumatu-
re diversi. Prevalente la formula Qui conta una novella di… (XXXIII: Qui
conta una novella di Imberaldo del Balzo; XLII: Qui conta bellissima no-
vella di Guiglielmo di Berghedam di Proenza; LV: Qui conta una novella
d’uno uomo di corte ch’avea nome Marco; LXII: Qui conta una novella
9
Ovvero: G, A e P2.
10
Il corredo di rubriche attestato dall’ed. a stampa, ma molto probabilmente non
facente parte della redazione originaria, è desunto dalle attestazioni più tarde, dove sono
registrate nel corpo della pagina dalla stessa mano che ha copiato il testo narrativo e
dunque costituiscono, per questo ramo della tradizione, parte organica del macrotesto. In
P1 il copista ha trascritto uno dopo l’altro, senza rubriche, i soli pezzi da lui antologizzati:
un’altra mano, anch’essa trecentesca, ha poi aggiunto nei margini, in modo non sistemati-
co, alcune sommarie indicazioni, del tutto diverse dalle rubriche presenti nelle attestazioni
più tarde. Un esempio sintomatico nella nostra prospettiva su cui si veda infra, è offerto
dal racconto XVIII del Novellino che corrisponde al n. 24 dell’Ur-Novellino. Della vendetta
che fece iddio d’uno barone di Carlo Magno titola il XVIII, privilegiando il livello tematico
del racconto, il 24 titola Exenplo di satisfazione per l’anima de’ morti, privilegiando, come
capita anche in altri casi, la funzione esemplare del racconto, dunque la sua pertinenza
generica.
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Lucia Battaglia Ricci
di messer Ruberto; LXXV: Qui conta una novella d’uno fedele e d’uno si-
gnore; XCIX: Qui conta una bella novella d’amore). Ma si incontra anche
la forma assoluta di XLI: Una novella di Messere Polo Traversaro. Si regi-
strano poi: XXXI: Qui conta di un novellatore ch’avea messere Azzolino;
LXIV: D’una novella ch’avenne in Proenza alla corte del Po; LXXX: Qui
conta una novella che disse messer Migliore delli Abati di Firenze. Anticipo
l’esame di queste ultime occorrenze. Particolarmente interessante l’utilizzo
del termine novellatore nella rubrica del racconto XXXI, che è una vera e
propria metanovella, che si legge, oltre che nei testimoni cinquecenteschi,
in un ms. quattrocentesco 11, e nel ms. Palatino 566, degli anni quaranta
del Trecento (A). Si tratta di un caso complesso, per cui si rimanda all’ana-
lisi della novella stessa. La formula attestata in LXIV implica l’accezione
«fatto nuovo», mentre per LXXX (la novella detta da Migliore degli Abati),
il racconto dimostra che non si tratta di un racconto a lui attribuito, ma di
una affermazione in qualche modo memorabile sulle donne da lui fatta.
Nell’Ur-Novellino questo stesso racconto è corredato da una nota che reci-
ta: Proverbio de la natura delle femine.
Tornando al Qui conta una novella…. Rilevante in questa formula
il ricorso alla deissi, che lega quel «raccontare» al supporto cartaceo su
cui il testo della novella è registrato. Rispetto all’anodina indicazione di
XLI (Una novella di Messere Polo Traversaro), che potrebbe anche esse-
re formula che attesta un uso ormai corrente del termine novella come
«racconto (scritto) di fatti nuovi», l’avverbio di luogo e l’esplicitazione del
predicato attirano l’attenzione sulla registrazione scritta: dato rilevante
se messo in rapporto con quanto si legge nel corpo dei racconti, dove il
predicato conta allude sempre a performance orali. Il riuso, nel contesto
di pratiche di registrazione scritta, di un predicato che esalta la dimensio-
ne dell’affabulazione, non è irrilevante: anticipa la formula cui ricorrerà
lo stesso Boccaccio per dichiarare, nel proemio, il suo progetto di libro:
«intendo di raccontare cento novelle […]» 12. Per Boccaccio, come si leg-
ge subito sotto, in quelle sue novelle «piacevoli e aspri casi d’amore e
11
Il ms. II III 343, già Magliabechiano-Strozziano, della Biblioteca Nazionale di
Firenze, che, secondo la ricostruzione fatta da Conte, Il Novellino, cit., p. 274, testimonie-
rebbe una fase redazionale anteriore a quella testimoniata da A e da P2.
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Il corsivo nelle citazioni qui e altrove è mio.
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
Racconti:
In alcuni casi il termine novella è usato nell’accezione di «novità», «noti-
zia di eventi recenti», come ad es. in Ur-Novellino, 68, 5 e Novellino, LXX,
5, dove si legge che la moglie di Sansone, quando questi rientra dopo un
lungo periodo, chiede: «che novelle?»: «quali nuove?», o in Ur-Novellino, 12, 6
e Novellino, IX, 6, dove si legge che una controversia sorta ad Alessandria
d’Egitto tra il cuoco Fabrat e un povero che ha usato il fumo della sua pen-
tola per insaporire il proprio pane viene risolta dal soldano a cui è giunta
notizia del fatto: «tanto fue la contenzione, che per la nuova questione e
soza, non mai più avenuta, andârne le novelle dinanzi allo soldano» 13. Tra
queste occorrenze, degna di attenzione pare quella che si registra in Ur-
Novellino, 11, 18. Qui si racconta che il figlio del re dona l’oro che ha avuto
dal padre a un re scacciato dai suoi sudditi. La notizia si diffonde: «Tutta
la corte sonava solo di questo oro. Al padre fue racontate queste novelle
tutte, come il figliuolo avea speso l’oro, tutte le dimande e le risposte che
li furono fatte a motto a motto». In Novellino, VIII, 19 la frase suona: «Al
padre furono ricontate tutte queste cose, e le domande e le risposte a motto
a motto»: interessante pare che, contro la tendenza a un sempre più diffuso
uso del termine novella nel passaggio tra le redazioni più antiche a quel-
le più recenti, il redattore più recente elimini in questo caso un termine,
novelle appunto, ambiguo col predicato raccontare¸ e come tale percepito
forse come dissonante dentro un sistema in cui al termine si attribuisce
invece un significato più decisamente orientato in accezione tecnica.
13
E ancora: Ur-Novellino, 79, 10 e Novellino, XLVI, 10: Alcune donne, giunte alla
fontana dove è affogato Narciso, lo vedono e lo tirano fuori. Così «dinanzi a lo dio d’amore
andò la novella»; * [testo assente in Ur-Novellino], Novellino, LXXXIV, 2: Ezzelino fa bandi-
re che ci sarà un distribuzione benefica di cibo. «La novella si sparse».
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Lucia Battaglia Ricci
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
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L’intervento del rubricatore si collocherà probabilmente nel primo quarto del
Trecento, come propone Conte (Il Novellino, cit., p. 281): difficile dire se si estende all’in-
tero assieme dei racconti registrati nel Novellino perché la tradizione manoscritta non
conserva alcun testimone che dimostri che i due spezzoni rubricati dell’assieme che è
testimoniato come tale solo dai testimoni cinquecenteschi del Novellino costituissero un
organismo unitario negli anni in cui furono vergati i due manoscritti (A e P2) che traman-
dano, separatamente, le due sezioni (cfr. Conte, ivi, p. 282). Altamente probabile, piutto-
sto, che le due sezioni facessero parte, o costituissero, due raccolte diverse poi confluite
nel Novellino. Dal punto di vista qui assunto, il dato è irrilevante: A e P2 dimostrano che
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Lucia Battaglia Ricci
testo, che lettori influenzati dal modello decameroniano come sono gli
intellettuali coinvolti nella tradizione cinquecentesca dell’operetta possano
aver esteso al testo un termine che la novella di madonna Oretta (Dec.,
VI, 1) rende canonico per un racconto di questo tipo. Ma non è probabil-
mente lecito immaginare un influsso del Decameron sul rubricatore che
interviene sulla prima sezione, se il testimone più antico delle rubriche da
lui composte è collocabile nella prima metà del XIV secolo, forse attorno
agli anni quaranta e la datazione dell’altro testimone di novelle rubricate
a noi noto si aggira attorno agli anni ’25-’30 di quel medesimo secolo 15,
dato che il Decameron esce dallo studio del suo autore varcata la soglia
di quel 1350, verisimilmente non prima del 1353. Questo è dato di un
certo interesse per la storia che qui si tenta di ricostruire: dimostra che nei
decenni che precedono il Decameron, per trasferimento metonimico dal
«fatto nuovo» al «racconto di quel fatto», novella e derivati si specializzano
in senso tecnico, legittimando l’idea che da questa tradizione Boccaccio
abbia derivato suggestioni importanti per la costruzione del suo capolavo-
ro e, indirettamente, per la codificazione del genere «novella».
Le perdite subite dalla produzione scritta primo-trecentesca impedi-
scono di valutare con certezza rilevanza ed estensione di questa tradizio-
ne, e dunque di stabilire con certezza i modelli presenti nella biblioteca
di Boccaccio. Ma il pur esile libretto che usiamo indicare col titolo di
Novellino, che è probabile sia stato nelle mani dell’autore del Decame-
ron 16, e che, ricordo, nel titolo attestato dal testimone della redazione
più antica, si denominava Libro di novelle e di ben parlar gientile, grazie
alla dimensione diacronica e, per così dire, pluriautoriale della sua realtà
testuale, offre una testimonianza significativa della presenza di questa
peculiare forma del narrar breve nei decenni che corrono tra la fine
Duecento e la composizione del Centonovelle. Ricordo i fatti più rilevanti
nella prospettiva che qui interessa.
chi è intervenuto sul peritesto di questi racconti da un lato percepiva favola e novella
come sinonimi, dall’altro che egli ha coscienza della specificità del genere narrativo dei
pezzi che si accinge a «schedare» .
15
S. Bertelli, Il copista del «Novellino», in «Studi di Filologia Italiana», LVI, 1998, pp.
31-45, pp. 43-44.
16
Se, ad esempio, Dec., I, 9 riscrive Novellino, LI.
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
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Si veda, ad es. Novellino, XXI, 33. Si tratta di un racconto di magie di cui sono
protagonisti tre negromanti intervenuti un giorno alla corte di Federigo II. Tra i «vari in-
cantamenti» da loro messi in opera una sorta di illusione spazio-temporale che fa credere
a un personaggio di quella corte, il conte di San Bonifazio, di vivere, intensamente, altrove
e per decenni, nella realtà passando solo una frazione minima di tempo. Interessante, per
noi, il momento in cui, su sollecitazione di Federigo, l’esperienza vissuta si fa, per bocca
del protagonista, racconto. Così nell’Ur-Novellino: «Lo imperatore li facea contare come
avea fatto; e quelli contava così: – Poi ch’io mi partio, abbo avuto moglie, e figliuoli di
quaranta anni. Tre battaglie hoe fatte in canpo ordinate. Poi che io andai, lo mondo he
tutto rivolto e rinovato: come va questo fatto? – Lo imperatore li fece dire con grandissi-
mo sollazzo e con grande festa, e li baroni e li cavalieri altressie». Così nel Novellino: «Lo
’mperadore li facea contare la novella; que’ contava: – I’ò poi moglie […].Tre battaglie di
campo ò poi fatte […] –. Lo ’mperadore li le fa ricontare con grandissima festa a’ baroni e
a’ cavalieri».
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Lucia Battaglia Ricci
trecentesco (P2), ed è questo ciò che qui interessa. Si tratta, infatti, di una
micro-raccolta di racconti (i trenta entrati nel Novellino più altri venti)
che, per temi, struttura narrativa e trattamento formale, si possono a pie-
na ragione catalogare come «novelle». Probabile che queste siano state
composte in epoca più bassa rispetto a quelle presenti nell’Ur-Novellino:
la sola databile per indizi interni, quella, decisamente decameroniana per
tema e ambientazione, che ha come protagonisti Bito e ser Frulli (XCVI),
non può essere stata scritta, come quelle, «tra penultimo e ultimo decen-
nio del secolo XIII, ma […] al più presto, nei primi decenni del XIV» 18.
18
L. Mulas, Lettura del «Novellino», cit., p. 29.
19
Come ricorda A. Conte (Il Novellino, cit., rispettivamente alle pp. 333 e 334, con
relative documentazioni bibliografiche), il racconto del novellatore deriva da una versione
francese della Disciplina clericalis, mentre per il racconto di Imberal del Balzo si potrebbe
ipotizzare «che il nucleo tematico originario risalga alla razo perduta di una tenzone» tra
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
co-autori del Novellino per «estrarre» l’inaudito dal noto – ovvero l’attua-
lizzazione della storia, l’impianto mimetico-realistico del racconto e la
sua riorganizzazione a livello strutturale – sono sostanzialmente le stesse
cui ricorrerà, per ottenere il medesimo risultato, il Boccaccio riscritto-
re, ad esempio, del vulgatissimo raccontino delle donne-demoni nella
novelletta delle donne-papere registrata nell’Introduzione della quarta
giornata, che perfettamente esemplifica le procedure che consentono
all’autore del Decameron di fare, di un exemplum, una novella 20. Il che
suona come ulteriore conferma della competenza «generica» di chi già
alla fine del Duecento ha composto quel vero e proprio archivio di for-
me narrative che è il Libro di novelle e di ben parlar gientile e di chi, nei
decenni successivi, è intervenuto su quel Libro sempre più orientandolo
nella direzione di una silloge di novelle, tanto per la precisa selezione
operata a livello tematico, escludendo testi impertinenti e aggiungendo
aneddoti di tradizione orale, quanto per l’adozione di precise e caratte-
rizzanti opzioni strutturali e formali – in particolare plausibilità psicolo-
gica della vicenda, icasticità del narrato e articolazione del discorso in
sezioni funzionali (prologo, storia, epilogo) 21 –, atte a fare, di racconti
tradizionali, delle vere e proprie «novelle»: e ciò anche a ritroso, come si
è visto proprio per la novella di Imberal del Balzo, qui assumibile come
prototipo ideale per illustrare il genere nella precisa forma storica cata-
logabile come «novella toscana due-trecentesca».
Il Novellino prova dunque che la modalità del raccontare poi cara al
Boccaccio del Decameron 22 è presente nel sistema letterario prima che il
Uc de Saint Circ e Guilhem del Baus: una razo che potrebbe aver circolato anche separa-
tamente come nova.
20
Non ripeterò qui il raffronto di cui già mi sono servita nell’Introduzione a Novelle
italiane, cit., pp. XI-XVIII e XXIX-XXV, per dimostrare come Boccaccio costruisca – a
partire da un exemplum tradizionale – una novella. Più di recente e più dettagliatamente,
in un saggio fondamentale per la riflessione critica sul «realismo» di Boccaccio, G. Mazza-
curati, Rappresentazione, in R. Bragantini e P. M. Forni (a cura di), Lessico critico decame-
roniano, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 269-299, pp. 293-299.
21
Su questa tripartizione del racconto che si fa novella ed è struttura portata agli
esiti più raffinati da Boccaccio, importante G. Mazzacurati, Rappresentazione, cit.
22
Ma da lui già sporadicamente «saggiata» nel Filocolo, dove, nella serie di racconti
esemplari presentati dai giovani alla corte di Fiammetta (IV, 18-71, compaiono anche rac-
conti esplicitamente proposti come «novelle»: cfr. IV 31, 64, 67).
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Lucia Battaglia Ricci
23
H. R. Jauss, I generi minori del discorso esemplare come sistema di comunicazio-
ne letteraria, in M. Picone (a cura di), Il racconto, il Mulino, Bologna 1985, pp. 53-72, p
67. Che la novella nasca col Decameron è tesi cara a H.-J. Neuschäfer, Boccaccio und der
Beginn der Novelle, Fink, München 1969 e vulgata dalle storie letterarie (si veda ad es. R.
Ceserani e L. de Federicis, Il materiale e l’immaginario. Laboratorio di analisi dei testi e di
lavoro critico, Loescher, Torino 1979, p. 368: «con la novella toscana, creata da Boccac-
cio, assistiamo alla formazione di un nuovo genere letterario, che ha nel Decameron una
codificazione precisa e rappresenta l’attuazione storicamente concreta del modo mime-
tico realistico nella letteratura del Trecento»: il corsivo nell’originale). Ma già a Caprarola
Cesare Segre, ad esempio, segnalava che forme decisamente novellistiche compaiono già
nel Novellino (La novella italiana e i generi letterari, in La novella italiana, cit., t. I, pp.
47-57).
24
M. Picone, Introduzione a Il racconto, cit., pp. 7-52, p. 10. Derivano da questa
stessa Introduzione, p. 50, le successive citazioni. L’assunto è ribadito nel successivo L’in-
venzione della novella italiana. Tradizione e innovazione, in La novella italiana, cit., t.
I, pp. 119-154, che recupera le posizioni critiche di Jauss, pur assumendo che «la prima e
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In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
cosciente formulazione teorica e pratica del genere [novella] la troviamo nell’antico Cento-
novelle italiano; nella raccolta che designamo convenzionalmente col nome di Novellino»
(p. 127). Pleonastico rilevare che l’acquisita consapevolezza delle vicende redazionali e
della pluralità di mani intervenute nella composizione di quello che, solo nella redazio-
ne cinquecentesca può essere propriamente definito un Centonovelle (su questo mi sia
lecito di rinviare a L. Battaglia Ricci, voce Il Novellino, cit.) vieta di guardare al Novellino
come a «un libro d’autore» (M. Picone, L’invenzione della novella italiana, cit., p. 128) e
di sovraccaricare di valenze ideologiche ed estetiche la forma che il macrotesto è venuta
acquisendo nel corso degli anni, se non addirittura dei secoli.
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Lucia Battaglia Ricci
25
Ho sviluppato una prima riflessione in questo senso nel mio «Una novella per
esempio». Novellistica, omiletica e trattatistica nel primo Trecento, in G. Albanese, L. Batta-
glia Ricci e R. Bessi (a cura di), Favole, parabole, istorie, cit., pp. 31-53, in particolare pp.
39-53. Più di recente, nella relazione Boccaccio e i modelli narrativi, medievali e non, letta
al Convegno «Verso il VII Centenario. Modelli medievali, riscritture e interpretazione del
Boccaccio volgare» (Bologna 19-20 novembre 2010).
26
Su cui importante P. M. Forni, Realtà/verità, in R. Bragantini e P. M. Forni (a cura
di), Lessico critico decameroniano, cit., pp. 300-319.
27
Rivendicazione implicita nell’ironica affermazione registrata in Dec., IV, Intr. 7
e 39, che sembra doversi riferire propriamente all’effetto di novità prodotto dalle sue ri-
scritture parodiche di racconti noti, e dunque alla consapevolezza dello statuto letterario
del suo scrivere (quello per cui, in questa stessa Introduzione, può affermare che «queste
cose tessendo» non si allontana, come pure molti potrebbero credere, «né dal monte Par-
naso né dalle Muse»). Contro i lettori che sostengono che «le cose da lui raccontate» sono
andate «in altra guisa […] che come» lui le presenta, Boccaccio scrive: «Quegli che queste
cose così non essere state dicono, avrei molto caro che essi recassero gli originali: li quali
se a quel che io scrivo discordanti fossero, giusta direi la lor riprensione e d’amendar me
stesso m’ingegnerei; ma infino che altro che parole non apparisce, io gli lascerò con la
loro oppinione, seguitando la mia, di loro dicendo quello che essi dicono di me».
28
Dec., Concl. aut. 3-6.
50
In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
29
Su cui mi permetto di rinviare a quanto ho osservato in Introduzione a Novelle
italiane, cit., pp. XXVII-XXXII.
30
Oltre al numero delle novelle antologizzate – ripetuto nelle soglie del testo come
nel corpo dell’opera –, valgono appunto come segnali di «confine» espliciti incipit ed
explicit apposti in apertura e chiusura del libro, a garantire, si direbbe, l’indisponibilità
dell’opera a quelle libere manipolazioni di lettori-copisti cui «libro di novelle» sembra ge-
neticamente predisposto, come dimostra la storia redazionale del Novellino, o quella, per
certi versi affine, del Libro dei sette savi.
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Lucia Battaglia Ricci
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In M. Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Viella,
Roma 2007, pp. 39-45 e 163-164, analisi esaustiva e ricca recensione bibliografica, cui si
dovrà aggiungere il successivo L. Battaglia Ricci, Edizioni d’autore, copie di lavoro, inter-
venti di autoesegesi: testimonianze trecentesche, in G. Baldassarri, M. Motolese, P. Procac-
cioli e E. Russo, «Di mano propria». Gli autografi dei letterati italiani, Atti del Convegno di
Forlì (24-27 novembre 2008), Salerno Editore, Roma 2010, pp. 123-184.
32
T. Nocita, La redazione hamiltoniana di «Decameron» I 5. Sceneggiatura di una
novella, in Il racconto nel Medioevo romanzo, Atti del Convegno di Bologna (23-24 otto-
bre 2000), Pàtron, Bologna 2002, pp. 351-366; T. Crivelli e T. Nocita, Teatralità del narrato,
stratificazioni strutturali, plurivocità degli esiti. Il «Decameron» fra testo, ipertesto e generi
letterari, in M. Picone (a cura di), Autori e lettori di Boccaccio, Atti del Convegno di Cer-
taldo (20-22 settembre 2001), Cesati, Firenze 2002, pp. 209-233, la cit. da p. 233.
33
In particolare nei già citati Leggere e scrivere novelle, e Per una storia della fon-
dazione del genere novella tra ’200 e ’300, cui si deve aggiungere F. Malagnini, Il sistema
delle maiuscole nell’autografo berlinese del «Decameron» e la scansione del mondo com-
mentato, in «Studi sul Boccaccio», XXXI, 2003, pp. 31-69.
52
In Toscana, prima del canone. La novella tra Novellino e Decameron
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Per un’analisi più dettagliata mi permetto di rinviare al mio «Una novella per
esempio», cit., con bibliografia pregressa.
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diverso dal maturo novellatore esperto del fascino e del valore delle
donne – è esplicitamente assunto nel libro per dimostrare la «forza di
natura» e svelare le ragioni profonde delle scelte, esistenziali e lettera-
rie, dello scrittore. Il meccanismo logico implicito in procedure siffatte
è quello proprio dell’exemplum-sineddoche, perfettamente sintetizzato
dall’antico adagio, «ab uno disce omnes».
Il gioco tra «cappelli» e novelle è, nel libro, estremamente vario. Non
tutte le novelle sono introdotte da inviti espliciti ad assumere le storie che
vengono offerte come esempi da cui apprendere (in positivo o in negati-
vo) lezioni di comportamento o regole di vita, o come dimostrazioni pra-
tiche della verità di determinati assunti teorici. L’invenzione della brigata
novellante consente a Boccaccio, oltre che di mettere in scena l’atto stesso
della produzione e della fruizione delle novelle, di variare le modalità del
raccontare, in rapporto all’individua personalità del novellatore di turno,
come anche in rapporto alla serialità «oggettiva» di quel narrare. Può così
capitare che nel «cappello» di una novella si incontrino solo informazioni
che fungono da connessioni intratestuali, o, al contrario, più o meno com-
plesse riflessioni di tipo argomentativo che sembrano scaturite dal raccon-
to che si è appena chiuso. È questo, ad esempio, il caso della novella di
Federigo degli Alberighi così introdotta da Fiammetta (Dec., V, 9, 3):
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I giovani si allontanano dal «bel palagio […], d’una e d’altra cosa varii ragiona-
menti tenendo e della più bellezza e della meno delle raccontate novelle disputando e
ancora de’ varii casi recitati in quelle rinnovando le risa» (Dec., VI, Intr. 2).
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C. Segre, Comicità strutturale nella novella di Alatiel, in Id., Le strutture e il tempo.
Narrazione, poesia, modelli, Einaudi, Torino 1974, pp. 145-159.
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G. Velli, Memoria, in R. Bragantini e P. M. Forni (a cura di), Lessico critico deca-
meroniano, cit., pp. 222-248, in part. pp. 244-248.
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Ad Luc., 21, 7. Altre considerazioni in L. Battaglia Ricci, «Decameron»: interferen-
ze di modelli, in M. Picone (a cura di), Autori e lettori di Boccaccio, cit., pp. 179-194.
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Sulla compresenza, in questa novella, di un carattere comico e di uno drammati-
co (se non addirittura sadico), la cui interazione «offre una chiave dialettica più complessa
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manoscritto dell’Etica aristotelica da lui acquistato, Tommaso osserva che Aristotele non
crede che l’uomo possa davvero diventare dio, «sed propter excellentiam virtutis supra co-
mune modum hominum» («ma per il fatto che la sua virtù trascende il livello proprio degli
uomini») potrebbe essere giudicato «divino». E conclude, ribadendo: «sicut virtus divina
raro in bonis invenitur, ita bestialitas raro in malis, videtur sibi per oppositum respondere»
(«come la virtù divina si trova di rado negli uomini buoni, così la bestialità si trova di rado
nei cattivi; si vede dunque che (virtù e bestialità) si corrispondono per oppositum [ovvero:
per opposizione]». Da questo schema teorico dipende ancora, evidentemente, Dioneo
quando, in chiusura, implicitamente revocando il profilo biografico assegnato a Griselda,
figliuola di quel Giannucole che «poverissimo era» (9), nonché «guardiana di pecore» (24),
ed ancora implicando il magistero dottrinario di Seneca («Potest ex casa vir magnus exire»:
Ad Luc., 66), osserva: «Che si potrà dire qui? Se non che anche nelle povere case piovono
dal cielo de’ divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien più degni di guardar porci
che d’aver sopra uomini signoria» (68).
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Esemplari in questa prospettiva le storie che narrano di giovani coppie di inna-
morati sorpresi dal padre della donna, che nell’invenzione narrativa come nelle possibili
soluzioni saggiano l’intera gamma delle possibilità narrative: dal tragico-feudale della
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