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C’erano una volta i Cristiani in Iraq e vivevano in pace.

In occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, l’Ordine Patriarcale


della Santa Croce di Gerusalemme, ordine del Patriarcato Greco Cattolico Melkita,
ha tenuto sabato 11 settembre, nella Basilica di Santa Maria in Cosmedin (Roma)
dei Melkiti, un convegno dedicato al monachesimo tra Occidente e Oriente. Il
programma prevedeva gli interventi del prof. Cremascoli (Italia) sul monachesimo in
Occidente, del padre salvatoriano Jabbur (Libano) sul monachesimo in Oriente e una
testimonianza del diacono melkita Al-Shabani (Iraq) sulla situazione dei cristiani in
Iraq.

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Dal momento che sono iracheno e cristiano, come avete sentito tutti, questa
sera sono stato chiamato a parlare della mia gente, i cristiani d’Iraq, e lo faccio
volentieri. Ma vorrei dire, in apertura, che al momento ad essere oggetto degli
insensati attentati a cui siamo ormai abituati, non sono solo i cristiani, ma ogni
singola comunità religiosa esistente, ciascuna è sotto un mirino particolare, e
tutte insieme periscono per le bombe. Voi tutti ben sapete che l’Iraq era, cerca di
essere e non si sa se potrà continuare ad essere un crogiuolo di religioni e di etnie.
Il caso Iraq è molto complicato. Non c’è molto da dire ancora, tanto è stato
detto, documentato, filmato, ci sono state interviste, accorati appelli da ogni voce
e da ogni dove. Ormai non è rimasto molto, tantissimi sono andati via, chi prima
dell’imminente guerra preventiva, chi dopo, all’avvenuta liberazione! Si, perché da
quando si è data via libera al terrorismo in Iraq, i primi ad essere oggetto di minacce,
soprusi, uccisioni a scopo di estorsione e non sono stati i cristiani. Ecco come
Baghdad e Mousul si sono svuotate, per non parlare dei cristiani presenti al sud, che
ora si contano sulla punta delle dita. Chi non è potuto scappare è rimasto barricato in
casa, chi invece ha potuto, è uscito dal Paese, a volte ha venduto tutto, altre non ne
ha avuto il tempo, quindi è andato senza nulla per ritrovare poi il nulla. In tanti hanno
ritrovato la propria casa occupata, nella migliore delle ipotesi, nella peggiore ne ha
ritrovato le macerie, volendo tacere su quanti sono stati giustiziati senza motivo, anzi,
parliamone.
Ad essere oggetto di persecuzione è l’intero popolo di Dio, laici e
chierici. Senza volerlo, la follia omicida di questi invasati ha regalato al mondo la
mirabile testimonianza di fede di laici e chierici. Chi vi parla è amico del giovane
sacerdote, Ragheed Ghanni, barbaramente assassinato in odium fidei il 3 giugno 2007
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C’erano una volta i Cristiani in Iraq e vivevano in pace.

assieme ai suoi tre suddiaconi, dopo aver celebrato la Divina liturgia nella Chiesa
dello Spirito Santo a Mousul; conoscevo anche il suo vescovo Mons. Raho, che
seppure pagasse per l’incolumità dei suoi fedeli, dopo essere stato rapito dai suoi
estorsori, da questi è stato lasciato morire e abbandonato cadavere. Sembrano storie di
altri tempi, eppure sono vere! Ieri giocavo a calcio con Ragheed. Miglior sorte è
invece toccata al caro amico Saad Sirop, compagno di seminario qui a Roma, e ora
sacerdote caldeo di Baghdad, è stato tenuto prigioniero e torturato per lunghi
interminabili 28 giorni, a partire dal 15 agosto 2006. La sua vicenda è ben diversa da
quella delle due Simone. Ancora oggi porta i segni di quelle ferite, sia sul corpo che
nell’animo, ma come ha detto in una testimonianza concessa ad una rivista, ha deciso
di tornare in Iraq per lavorare a Baghdad e per dire che l’amore è più forte dell’odio,
dimentico del passato e proteso verso il futuro (Fil 3,13-14). Tanti, noti ed ignoti sono
stati rapiti, uccisi, costantemente minacciati e tutti oggi vivono nell’incertezza del
presente, ma il sacrificio di ciascuno è in egual misura una professione di fede, di una
salda fede che non cede e che non può essere sradicata con la violenza che oggi
devasta la terra dei due fiumi, il paradiso terrestre di cui si legge nelle scritture.
Questa seduta è dedicata al monachesimo d’Oriente, ebbene ora vi dico quanto
sia importante il monachesimo per i cristiani d’Iraq, pur non essendo le chiese
irachene propriamente monastiche, come al contrario lo sono altre. Quando si dice
che i monaci siano i custodi della cristianità, è vero, e ve lo dimostro. Chi non ha
seguito di sfuggita un documentario che narra le tristi storie dei cristiani d’Iraq?
Non avete mai sentito dire che a ondate le famiglie cristiane e non, in fuga dalle città
si sono rifugiate nei monasteri al nord? È vero! Perché chi non è potuto per varie
ragioni uscire dai confini del paese si è riversato nel nord Iraq, dapprima trovando
rifugio nei paesi di campagna, più o meno zona franca fino ad un anno e mezzo fa.
Franca perché per la maggiore sono popolati da cristiani in principio, e perché sono
sotto la protezione dei Kurdi. Da quando però l’interesse per Mousul e dintorni
ha superato quello per Baghdad, si sono verificati tumulti anche nelle campagne
limitrofe, che sono divenute non più tanto sicure e hanno svelato i veri interessi
dei Kurdi, non di certo interessati alla salvaguardia del cristianesimo iracheno. Per
questo motivo, seconda meta per chi cerca rifugio sono i monasteri. In genere i nostri
monasteri sono imponenti strutture che in tempi di pace offrono stanze a pellegrini in
cui si può alloggiare per tutto il tempo in cui si desidera rimanere in visita; in tempi di
guerra invece, quelle stanze si offrono alle famiglie spaventate che accorrono in cerca
di rifugio.
Posso testimoniare di un monastero in particolare che conosco sin da quando
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C’erano una volta i Cristiani in Iraq e vivevano in pace.

ero giovane, è tenuto dai Giacobiti, a nord di Mousul, è il Monastero di San Matteo.
È molto grande, sorge sotto la cosiddetta cella ove si rifugiò San Matteo, un monaco
pellegrino sceso dalle montagne della Turchia e qui si narra che a poco a poco fondò
un monastero di 7000 monaci. Tutta la vallata era un intero monastero. Oggi si erge
sulla montagna, su tre strati, il più recente ha ricevuto il favore di Saddam Houssein
nella sua restaurazione. Essendo miracoloso, il monastero è frequentato sia da
cristiani che da musulmani, e quando dico cristiani intendo sia cattolici che acattolici,
anche se ciò da noi non fa molta differenza, condividiamo tutti la medesima sorte:
messi a morte tutti i giorni, sono trattati come pecore da macello per causa dell’unico
Signore; ma anche per virtù dell’amore dello stesso Signore, tutte queste cose
sopportano come vincitori (Rom 8,36-37).
Oggi i monaci sono decisamente meno, non superano la decina, ma non
per questo si tirano indietro ogni volta che accorrono le famiglie in cerca di rifugio.
Ai piedi della montagna del monastero si trova un paesino interamente costruito per
accogliere tutte le famiglie rimaste senza casa e senza un posto sicuro ove poter
restare, il monastero se ne prende cura. Ditemi se questo è o non è un modo di
conservare la cristianità. Non più tardi di qualche mese fa è girata la notizia
dell’attentato agli autobus degli universitari, cristiani ovviamente. Per chi non
l’avesse colta ecco di cosa si tratta: nella cittadina di Qaraqosh, a pochi km da
Mousul, la chiesa ha messo a disposizione degli studenti tre autobus per
accompagnarli a lezione e riportarli tutti i giorni a casa, perché oggetto di minacce.
Non è una novità, anzi una situazione che perdura da tempo: alle nostre ragazze,
docenti comprese, da anni ormai è stato gentilmente intimato di indossare il velo, ed
ecco che molte hanno rinunciato al proseguimento dei loro studi, oggi la minaccia per
il velo, domani altro. Ai più temerari è stata offerta la possibilità di avere questi
autobus e la scorta. Più volte sono stati attaccati lungo il loro percorso, ma l’attacco
più violento e subdolo è stato realizzato nella scorsa primavera. I cristiani combattono
anche per la loro istruzione, come vedete, non solo per la libertà di culto e di
coscienza. Certamente le forze di polizia sono state attivate per proteggere queste
minoranze, ma non è possibile mettere a disposizione di ogni cittadino cristiano un
agente, come afferma l’Ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, è impossibile ed
impensabile, a sua detta i cristiani devono organizzarsi meglio e di più. Di fatto essi
già cercano di proteggersi, ogni singolo paesino nelle sue entrate ed uscite è fornito di
piccoli posti di blocco ove vigilano giovani volontari a guardia di chi entra ed esce.
Questi giovani sono per la maggiore quelli che hanno perso il posto di lavoro perché
costretti ad andare via dalla città. Ad ogni entrata delle chiese, rigorosamente chiuse
durante il giorno, ci sono sempre di sentinella due o tre giovani armati. Questa è la
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C’erano una volta i Cristiani in Iraq e vivevano in pace.

foto dei paesini da me visitati due anni fa, foto tuttora attuale, purtroppo. I posti di
blocco, seppur artigianali, sono ovunque, lungo le strade, sulle piccole colline,
ovunque filo spinato per proteggersi al meglio da eventuali autobombe. Al meglio che
però non sempre basta. La scorsa estate, per aumentare il livello di sicurezza, intorno
alla cittadina di Qaraqosh i cristiani si sono adoperati per scavare una fossa tutto
intorno al perimetro della città, che aveva subito un brutto attentato davanti
all’ospedale. Cose che capitano, i punti vitali sono sempre i primi a saltare. Il
problema è che ogni volta che in questi paesi giunge in cerca di rifugio un bravo
musulmano, ne segue sempre le tracce uno cattivo che porta con se guai! E così tutti
pagano.
Il Natale scorso ci sono stati scontri violenti per una notte intera nella mia
cittadina, perché durante la veglia a dei bravi fanatici musulmani che vivono poco
distante, era venuto in mente di far sventolare bandiere con scritte che hanno urtato
la sensibilità di un cristiano che di nascosto le ha bruciate dando l’avvio agli scontri.
Queste sono le dinamiche di vita, si vive insieme nel bene e nel male, ci sono i
buoni e i cattivi da entrambe le parti. Sempre nella mia città esiste una piccola e
semplice sezione della Caritas che serve soprattutto i musulmani, perché sono la
maggioranza, e molto spesso i più poveri. Durante la mia visita mi ha raccontato
una delle volontarie che una signora musulmana, che solitamente usufruisce dei loro
servizi, li ha lodati perché nonostante siano cristiani aiutano anche i musulmani, ha
aggiunto che se fosse stato un servizio erogato dai musulmani, questi non avrebbero
aiutato i cristiani. Quello che si dice benedire i propri nemici! Bisogna anche dire
che ci sono musulmani squisiti, che condividono di buon cuore la vita con i cristiani.
Lo stato cosa fa? Quel che può! Ad esempio stanzia ogni anno una considerevole ed
utile cifra da destinare ad un ministero nato di recente che si occupa di sovvenzionare
la ricostruzione degli edifici di culto, di fatto quasi in ogni paesino e città c’è una
chiesa distrutta ed una che sta nascendo. I gerarchi del luogo spingono affinché le
autorità abbiano cura sempre maggiore di salvaguardare non solo le pietre di marmo
ma anche le pietre viventi, molti sono gli appelli dei vescovi, dei patriarchi. Al nord,
nel Kurdistan iracheno, un vescovo caldeo, Mons. Sako sta facendo un bel lavoro di
dialogo con i musulmani locali e con Roma, come anche fa e molto coraggiosamente
il neo vescovo di Mousul, Emil, nostro amico.
Il governo si è impegnato a far riavere case e posti di lavoro a quanti erano
scappati, ma come detto non può garantire l’incolumità di nessuno, tutti avete
sentito dei riusciti attentati ai ministeri, hanno fatto tante vittime. In compenso
nel Kurdistan iracheno sono sorte molte parrocchie popolatesi dei rifugiati, al
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C’erano una volta i Cristiani in Iraq e vivevano in pace.

momento l’interazione con i kurdi è buona e la vita è molto più tranquilla, anche se la
politica è molto più subdola. Aiuta molto anche il fatto che la regione è interamente
ricostruita a differenza del resto d’Iraq al di là del confine. Al momento la maggiore
preoccupazione è su cosa accadrà alla definitiva uscita degli americani. Già quando
c’erano non hanno fatto molto, sono molti i danni da loro provocati. Le piccole
stradine sono state devastate dai loro imponenti mezzi di trasporto al cui passaggio
tutti dovevano scansarsi. La regola era di tenersi almeno a 100 mt di distanza da
loro, che con calma transitavano, a qualsiasi luce simile a flesh od altro, sparavano
a vista, guai ai mezzi che non si scansavano, venivano letteralmente calpestati. Che
dire poi del disordine che portavano per i fili della corrente elettrica. I cieli dell’Iraq
sono colorati non solo dal sole e dal fumo delle bombe, ma anche dalle miriadi di fili
penzoloni dei diversi generatori di cui ciascuna casa è fornita. Si perché il maggiore
esportatore di petrolio non è ancora in grado di fornire ai suoi cittadini una continua
erogazione di corrente elettrica, motivo per cui ogni casa ha al minimo un filo per la
corrente statale ed uno del suo generatore.
Immaginate che fine faceva questa tela di fili al passaggio dei mezzi americani
con le loro possenti antenne? Il buio in ogni casa! Il caos, una volta staccati chi
sapeva più quali erano i propri fili? Tutto da rifare, e la tela aumentava per essere poi
sfilata al prossimo passaggio. Anche i monasteri erano disturbati dalla loro presenza,
ci raccontavano i monaci che per giorni interi non sentivano altro che il rumore delle
loro esercitazioni. Intanto gli attentati continuavano.
Ma ora sono in molti ad essere preoccupati per la loro sorte alla definitiva
uscita dei salvatori. La domanda è, sarà in grado l’esercito iracheno di mantenere
l’ordine? Il governo fino ad ora non si è formato. In sunto quale è la situazione dei
cristiani in Iraq? È bianca, nera e grigia e non so per quanto ancora, ma abbiamo
pazienza, il sangue dei nostri martiri ci sostiene, deve farlo, perché è impossibile che
il loro sia stato un martirio vano.

Louay Shabani

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