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— Faccio una brutta vita, signore — diss'egli. — Una vita da cane e non da cristiano.
A don Rocco, per quanto disposto placidamente al peggio, si allargò il cuore. Egli
rispose severo, e con gli occhi bassi:
— Si cambia, figlio, si cambia.
— Son qui apposta, don Rocco — replicò l'altro. — Voglio confessarmi.
— Adesso subito — soggiunse perchè il prete taceva.
Don Rocco battè le palpebre e si contorse alquanto.
— Bene — diss'egli, sempre con gli occhi bassi. — Adesso potremo parlare, ma per la
confessione abbiamo tempo. Per la confessione potreste ritornare domani. Ci vuole un
poco di preparazione. Bisognerà anche vedere se siete istruito.
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Il Moro tirò con tutta placidità e dolcezza tre e quattro cannonate contro Dio in
sacramento, come se recitasse un'Ave, per conchiudere che ne sapeva quanto un
chierico.
— Ahi, ahi, vedete, vedete — disse don Rocco contorcendosi più che mai. — Si
comincia male, figlio caro. Volete confessarvi, e bestemmiate.
— Lei non deve guardare a queste piccolezze — rispose il Moro. — Il Signore Le
assicuro io che non ci guarda. È un'abitudine, così, della lingua. Niente altro.
— Brutte abitudini, brutte abitudini — sentenziò l'accigliato don Rocco, guardando
nel fazzoletto che si teneva sotto il naso a due mani.
— Insomma, mi confesso — insistette colui. — Taccia, taccia, non dica di no; ne udrà
delle belle.
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