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RIASSUNTO

La prevenzione di patologie odontoiatriche


quali carie e malattia parodontale rappresenta
oggi argomento di particolare interesse e, per
questo motivo, la comunità scientifica è attiva
nella ricerca di sistemi efficaci e privi di effetti
collaterali. Tra le tecniche preventive rivolte
verso la patologia cariosa, la sigillatura di
solchi e fossette dentali rappresenta da tempo
una delle metodiche più utilizzate.

Revisioni sistematiche di studi randomizzati


evidenziano la mancanza di linee guida
riguardo i materiali sigillanti da applicare e le
tecniche di preparazione da utilizzare. Inoltre
non c’è una quantificazione precisa sulla
durata nel tempo delle sigillature.

Vista la mancanza di evidenze scientifiche


concrete e protocolli univoci, è responsabilità
dell’operatore valutare caso per caso la reale
necessità di effettuare la procedura, in modo
che sia efficace e che non produca invece un
danno iatrogeno. Non sempre questo si
verifica, soprattutto se l’intervento di sigillatura
viene applicato in maniera indifferenziata
senza tenere in considerazione le
caratteristiche individuali del paziente.

Dai primi del ‘900 è stata introdotta una tecnica preventiva rivolta
contro la patologia cariosa, la sigillatura di solchi e fossette dentali.
Nel corso degli anni sono stati utilizzati vari materiali e tecniche di
applicazione, associati a differenti tipi di preparazione dei solchi.
Non esiste una riconosciuta linea guida che suggerisca in maniera
univoca quali materiali sigillanti applicare o quale tecnica di
preparazione utilizzare. Inoltre non vi sono certezze sulla durata
nel tempo delle sigillature. Lo scopo del presente lavoro è valutare
in maniera critica l’intervento di sigillatura attraverso l’analisi della
letteratura scientifica.

LA PREVENZIONE IN ODONTOIATRIA

La carie
Secondo l’OMS, la carie dentale è un processo patologico
localizzato, di origine esterna, che compare dopo l’eruzione del
dente e si accompagna ad un rammollimento dei tessuti duri
evolvendo verso la formazione di una cavità. È una malattia
episodica con fasi alterne di demineralizzazione e
rimineralizzazione, tali processi possono
verificarsi simultaneamente nella stessa lesione. La progressione
e la morfologia sono variabili, dipendenti dal sito di origine e dalle
condizioni generali della cavità orale (Tab.1) (1).

Velocità di Tempi di
Estensione Localizzazione
progressione formazione
• Carie incipiente • Carie acuta • Carie primaria • Carie di solchi e
(reversibile) (rampante o fossette
destruente)
• Carie cavitata • Carie cronica • Carie residua • Carie delle
(non reversibile) (lenta o superfici lisce
arrestata) dello smalto
• Carie • Carie della
secondaria superficie
(recidivante) radicolare
Tabella 1 Criteri di classificazione della carie.

L’eziologia della patologia cariosa essendo multifattoriale include


l’interazione di componenti diverse quali: ospite suscettibile, dieta
ricca di carboidrati fermentabili e microrganismi ad attività
cariogena. Le caratteristiche strutturali dei denti incidono
notevolmente sulla possibilità di formazione della carie, se il dente
presenta difetti strutturali o solchi e fossette molto accentuati si
avrà un maggiore ristagno di residui alimentari e in particolare di
batteri (placca batterica) che sono il fattore scatenante di un
processo carioso.

È stato valutato che la carie delle superfici lisce da incipiente


diventa cavitata in un arco di tempo che varia dai 12 ai 24 mesi.
Una xerostomia patologica, indotta da farmaci o da radioterapia,
diminuisce il periodo a 3 mesi rispetto ai soggetti sani. Il picco di
incidenza di nuove lesioni si verifica 3 anni dopo l’eruzione del
dente. Le lesioni occlusali si sviluppano più velocemente in
pozzetti e fessure che su superfici lisce. La scarsa igiene orale e
l’esposizione frequente al saccarosio possono creare
demineralizzazione in sole 3 settimane (2).

Lo scopo di una corretta alimentazione è quello di identificare le


fonti di saccarosio riducendone la frequenza di ingestione. Questa,
associata all’igiene orale domiciliare, consente di avere maggior
controllo sulla formazione della placca patogena (3).

Tecniche di prevenzione
La carie, insieme alla parodontite, è fra le più comuni malattie
croniche e, sebbene sia presente dai tempi preistorici, i mutamenti
dietetici dell’epoca moderna ne hanno aumentato la prevalenza. Il
picco di incidenza di questa patologia iniziò a declinare tra la fine
degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 come conseguenza della
scoperta del ruolo del fluoro nella prevenzione della carie, che
portò negli anni ’50 e ’60 alla fluorazione dell’acqua potabile delle
reti idriche, oltre che all’introduzione nel mercato di prodotti fluorati
per l’igiene orale domiciliare.

Le principali azioni preventive rivolte contro la carie sono:


• Corretta alimentazione
• Igiene orale domiciliare
• Fluorazione delle acque
• Utilizzo di prodotti fluorati
• Assunzione sistemica di fluoro
• Frequenti visite odontoiatriche
• Sigillature di solchi e fossette dentali

LE SIGILLATURE

Come visto in precedenza, la zona anatomica di maggior interesse


per quanto riguarda le lesioni cariose corrisponde ai solchi e alle
fossette dentali: la sigillatura consiste nell’applicare un apposito
materiale all’interno di queste zone affinché siano isolate dai
batteri cariogeni. Nei primi del ‘900 si iniziò ad effettuare
l’“Odontotomia profilattica”(4) che consisteva nell’otturazione
sistematica di solchi e fossette in presenza o meno di carie.
Tuttavia tale procedura non poteva essere considerata preventiva,
dato che prevedeva l’asportazione di considerevole quantità di
tessuto dentale sano per creare cavità ritentive per i materiali da
otturazione dell’epoca (cementi al silicato e amalgama). Inoltre, fu
dimostrato che l’odontotomia profilattica non riduceva, ma
aumentava la probabilità di formazione di carie (5).

A metà degli anni ’50 furono poste le basi per un cambiamento


radicale, grazie al contributo di Michael Buonocore – che sviluppò i
presupposti delle tecniche adesive – e di Raphael Bowen che
propose nuovi monomeri resinosi, componenti dei futuri compositi
(6). Tali innovazioni portarono nel ’67 alla pubblicazione del primo
articolo sul successo dell’applicazione delle resine come sigillanti
su solchi e fossette (7). Nei primi anni Settanta furono messi a
punto da Wilson e Kent(8) i cementi vetro-ionomerici, materiali che
ancora oggi vengono considerati in alternativa alle resine
composite.
I MATERIALI SIGILLANTI

Attualmente la scelta dei materiali sigillanti ricade sui cementi


vetro-ionomerici e sulle resine composite. Molti studi non
incoraggiano l’utilizzo dei cementi vetro-ionomerici a causa della
minor ritenzione in confronto alle resine composite ma rimane
ancora equivoco quale dei due materiali è più efficace nella
prevenzione della carie (9).

I cementi vetro-ionomerici
La formulazione polvere/liquido comporta inevitabilmente la
necessità di una manipolazione accurata del prodotto. Una
modifica del rapporto polvere/liquido, infatti, può influire sulle
proprietà fisiche dei cementi vetro-ionomerici. L’utilizzo di capsule
predosate può evitare l’alterazione del cemento. Alla fine degli
anni Ottanta sono stati introdotti(13) i cementi vetro-ionomerici
modificati con Bis-GMA (fotoattivati), che alle proprietà dei cementi
tradizionali (rilascio di fluoro e adesione alla dentina) uniscono la
praticità e la velocità dell’attivazione mediante luce alogena. Per
questo tipo di cementi, la reazione di presa è duplice: il
tradizionale meccanismo di reazione acido-base e la
polimerizzazione indotta dall’esposizione alla luce alogena. Grazie
a quest’ultima, i tempi di presa risultano
inferiori, con indubbi vantaggi per il protocollo operativo.

Sono stati introdotti dei pigmenti cromatici nella polvere per


migliorare il risultato estetico, che continua però ad essere
insufficiente per l’effetto opacizzante del fluoro che non permette
la riproduzione della naturale traslucenza dello smalto dentale. I
cementi vetro-ionomerici non possiedono quindi le caratteristiche
estetiche dei compositi e neanche la loro resistenza all’abrasione,
con una conseguente breve durata nel tempo. Inoltre sono fragili e
tendono a fratturarsi esponendo all’ambiente orale le porzioni
sottostanti non sigillate di solchi e fossette.

Le resine composite
I compositi, o resine composite, sono dei biomateriali costituiti da
tre fasi distinte: una fase organica (matrice); una fase intermedia
(agente legante); una fase dispersa (filler o riempitivo). Nella
maggior parte dei compositi, la matrice organica è costituita dalla
resina di Bowen o Bis-GMA a base di bisfenolo A-
glicidilmetacrilato.
I compositi differiscono tra loro soprattutto per il tipo di riempitivo,
per le dimensioni delle particelle e per la percentuale di questo
riempitivo presente nel composito. I riempitivi sono costituiti da
particelle inorganiche provenienti da cristalli di quarzo, vetro
borosilicato, vetro di bario, parti colloidali, silicato di bario, silicato
di stronzio e alluminio, fluoruro di calcio.

Il filler ha la funzione di rendere più resistente la resina e


contemporaneamente ne riduce il coefficiente di espansione
termica. Più elevata è la percentuale di filler (dimensionalmente
stabile) nella matrice organica (dimensionalmente instabile),
minore è la contrazione. Attualmente le dimensioni di queste
particelle variano da circa 0,02 μm fino a 2-5 μm.
L’associazione adesivi/compositi consente un risparmio di
maggiori quantità di tessuto dentale sano rispetto all’amalgama e
migliora la resistenza alla carie perché, se utilizzati correttamente,
non determinano soluzioni di continuità tra dente e composito.
Spazio tra le pareti e il materiale si trova invece nell’amalgama
dove, tuttavia, possono depositarsi gli ossidi della lega. I compositi
hanno un ampio spettro d’applicazione ma richiedono conoscenza
dei materiali e dei substrati, delle tecniche d’applicazione e una
attenzione scrupolosa nell’attuazione della tecnica. È necessario
per esempio l’isolamento attento del campo operatorio, mediante
l’utilizzo della diga.

I compositi tradizionali non sono dei buoni sigillanti, perché non


penetrano facilmente nei solchi e nelle fossette a causa della loro
viscosità relativamente elevata. Pertanto è richiesto l’utilizzo di
resine composite ad elevata fluidità (flowable). Questi materiali
sono costituiti dalle stesse particelle utilizzate nei compositi
tradizionali, ma di dimensioni più piccole (circa 0,16 μm) e con un
contenuto di riempitivo ridotto, che provvede ad abbassare il loro
grado di viscosità(14). Il loro minor contenuto di riempitivo
determina però proprietà meccaniche inferiori ed una contrazione
da polimerizzazione più alta se paragonati ai compositi
tradizionali(15, 16).

I sigillanti
La composizione dei primi sigillanti era a base di metilmetacrilato o
di cianoacrilato. La maggior parte dei prodotti attuali non contiene
riempitivi (o solo in modesta quantità) ed è composta da monomeri
bifunzionali come quelli che costituiscono la matrice dei compositi.
Il monomero principale presente in questi materiali è stato
ampiamente sostituito dal Bis-GMA. Il monomero principale può
essere diluito con unità con peso molecolare più basso come il
TEGDMA o l’UDMA. L’aggiunta di piccole quantità di colorante
conferisce al sigillante un aspetto leggermente diverso da quello
dello smalto, rendendolo più facilmente visibile nei controlli
periodici.
I materiali fotopolimerizzabili sono più semplici da usare rispetto a
quelli autopolimerizzabili poiché possono essere applicati e lasciati
scorrere per un periodo più adeguato prima di sottoporli alla luce
per la polimerizzazione. È stata prodotta negli anni un’ampia
varietà di sigillanti (Tab. 2).

Tipo di
Presenza di Presenza di Presenza di
polimerizzazion
riempitivo colorante fluoro
e
• Riempiti • Colorati (ad • • Contenenti
(piccolissima esempio con Autopolimerizzabi fluoro
percentuale di Biossido di li
riempitivo) titanio TiO2)
• Non riempiti • Non colorati • • Non contenenti
Fotopolimerizzabil fluoro
i

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