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L’IO E IL NON IO SECONDO KANT E SECONDO L’DEALISMO CRITICO DI FICHTE E SCHELLING (RIPRESO E POI RIVISTO DA

HEGEL, MASSIMO ESPONENTE DELL’IDEALISMO)

L'"io penso" kantiano o appercezione trascendentale

Kant utilizza l'espressione "io penso" per indicare l'appercezione, da lui intesa come appercezione trascendentale,
cioè funzionale al molteplice, nel senso che si attiva solo quando riceve dati da elaborare. Essa si trova al vertice della
conoscenza critica, perché unifica e dà un senso alle nostre rappresentazioni del mondo. La conoscenza infatti non
deriva solo dalle percezioni sensibili: in virtù di queste un oggetto ci è "dato", ma con l'appercezione esso viene
"pensato", tramite l'utilizzo di dodici categorie mentali, senza le quali sarebbe come cieco. Il problema che Kant
cercava in particolare di risolvere, da lui affrontato nella Deduzione trascendentale della Critica della ragion pura, era il
seguente: perché la natura sembra seguire leggi necessarie conformandosi a quelle del nostro intelletto? Con quale
diritto quest'ultimo può dire di conoscere scientificamente la natura, "stabilendone" le leggi in un modo piuttosto che
in un altro? Secondo Kant un tale diritto è giustificato perché il fondamento delle nostre conoscenze non si trova nella
natura ma nell'attività stessa del soggetto. In proposito anche David Hume, prima di Kant, aveva fatto notare che le
caratteristiche di necessità e universalità che noi attribuiamo alle leggi naturali sono in realtà un prodotto del
soggetto, ma in tal modo egli aveva distrutto la loro pretesa di oggettività, finendo per giudicarle arbitrarie e del tutto
soggettive. Il passo decisivo della riflessione di Kant, a cui egli arduamente approdò per sua ammissione, consiste
allora nel riconoscere l'oggettività nel cuore stesso della soggettività. Un oggetto infatti è tale solo in rapporto a un
soggetto, cioè solo se esso viene pensato da me. È la coscienza che io ho di me come soggetto pensante che mi
consente di avere delle rappresentazioni del mondo. Se non ci fosse questa appercezione di me, cioè che io resto
sempre identico a me stesso nel rappresentarmi la mutevolezza e la molteplicità dei fenomeni, dentro di me non ci
sarebbe pensiero di nulla, perché non sarebbero una "mia" rappresentazione, e quindi non potrei averne coscienza.
Prendere consapevolezza che un dato oggetto è un prodotto del mio pensiero significa collocarlo entro il quadro
unitario di tutte le mie rappresentazioni: conoscere vuol dire collegare, unificare, fare una sintesi. L'Io penso, o "unità
sintetica originaria", è propriamente l'attività che svolge questa funzione, la quale però non arriva a modellare
l'oggetto fino a crearlo materialmente da sola; non è un'attività creatrice ma soltanto ordinatrice, un "legislatore della
natura" che unifica o sintetizza il materiale amorfo proveniente dall'esterno consentendo di dargli una "forma",
secondo il criterio della reciproca corrispondenza di soggetto e oggetto. Una tale corrispondenza vale pertanto su un
piano puramente conoscitivo o formale, dovuto al fatto che noi non conosciamo la realtà per come è in sé (noumeno),
ma appunto per come noi la recepiamo (fenomeno). Essendo formale, l'appercezione non può essere ridotta ad un
semplice "dato" oggettivo, perché essa si attiva solo in rapporto a un oggetto: non la possiamo conoscere in se stessa
ma solo quando si accompagna alle nostre rappresentazioni. In altre parole, essa non è una semplice conoscenza
empirico-fattuale della realtà interiore dell'individuo, ma è la condizione formale di ogni conoscenza, il contenitore
della coscienza, non un contenuto. Si tratta di un'attività di pensiero che appartiene a tutti gli uomini ma a nessuno di
essi in particolare, strutturalmente identica in tutti. Essa si distingue perciò dall'io empirico o appercezione empirica,
che è invece la coscienza di ognuno basata sulla singola sensibilità individuale e tale da appartenere solo a noi stessi
singolarmente.

L'eredità di Kant: Fichte

Dopo Kant l'appercezione pura o io penso diventerà il fondamento dell'idealismo di Fichte e di Schelling, che lo
trasformano nell'Io assoluto. Fichte riconosce a Kant il merito di aver portato in primo piano l'attività del soggetto, ma
gli contesta di avere slegato la conoscenza umana dalla cosa in sé, facendo dell'unità soggetto/oggetto un'entità
puramente formale. Ad una forma deve corrispondere una sostanza, un contenuto, che Kant aveva bensì riconosciuto
ma soltanto su un piano concettuale relegato all'ambito del fenomeno; egli svuotava così l'oggettività della sua stessa
valenza oggettiva. Per Fichte, invece, il soggetto è "forma trascendentale" proprio in quanto crea da sé il suo
contenuto, non potendo esserci soggetto senza un oggetto. L'appercezione viene così da lui identificata con
l'intuizione intellettuale, ossia con la capacità che ha l'intelletto di accedere alla cosa in sé, essendo quest'ultima
diventata una parte dell'io, un momento della sua attività di autocostruzione. Perché si sviluppi l'autocoscienza rimane
tuttavia essenziale che l'oggetto non venga per ciò stesso dissolto nel soggetto, pertanto Fichte ricorre alla kantiana
immaginazione produttiva per spiegare come la creazione dell'oggetto operi pur sempre inconsciamente, e vi si debba
accedere per una via diversa da quella teoretica.

Ficthe: idealismo critico, riconosce la finitezza della coscienza ma non la spiega in base a una entità esterna ma in base
al movimento interno della coscienza stessa ovvero l’IO. Introduce quindi un IO che rappresenta e si distingue dalle
cose rappresentate ovvero il NON IO. (per esempio io posso vedere il libro che ho di fronte perché mi distinguo e mi
contrappongo ad esso). L’IO è la coscienza determinata che si contrappone al NON IO che è la rappresentazione( di
qualcosa di determinato come quel libro, quella casa). Da qui derivano i tre principi della scienza secondo Fichte

 L’IO puro è la realtà originaria, è la coscienza determinata che è presente in ogni atto del pensare
 All’IO è contrapposto un NON IO che sono le rappresentazioni delle cose stesse
 L’IO è allo stesso momento il rappresentante di più rappresentazioni quindi è divisibile. Allo stesso modo il
NON IO è divisibile. L’IO nel momento in cui rappresenta il NON IO si distingue e si contrappone ad esso, si
dice quindi che lo limita, ovvero lo nega parzialmente (nega è come dire quello è un libro perché non è una
casa, un prato etc; parzialmente perché se lo escludesse non ci sarebbe la rappresentazione)

L’OGGETTO DELLA CONOSCENZA SECONDO KANT E SECONDO HEGEL

-come si può conoscere? (rivoluzione copernicana di Kant)

Per critica in termini kantiani si intende quell'atteggiamento filosofico che consiste nell'interrogarsi
programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane ai fini di chiarirne la possibilità (ovvero le
condizioni che ne permettono l'esistenza), la validità (ovvero i titoli di legittimità o non-legittimità che le
caratterizzano) e i limiti (ovvero i loro confini di validità). Uno degli obiettivi di fondo della filosofia kantiana è di
stabilire che cosa possiamo conoscere con certezza. Ripercorrendo le fondamenta del pensiero moderno e riferendosi
alla ricerca e alla scoperta di verità certe o presunte tali (come nel caso di Cartesio), Kant intende descrivere quali
sono i presupposti necessari al fine di garantire un'esperienza certa del mondo, e ad essere più precisi, quali elementi,
tipici dell'essere umano, permettono di costruire una conoscenza scientifica del mondo. Non si deve dimenticare che,
almeno per la cultura accademica tardo-illuminista tedesca, il termine scienza indica tutto quell'universo dottrinale
fondato sulle teorie di autori quali, per esempio, Euclide, Aristotele, Leibniz e Newton. Le condizioni di possibilità della
conoscenza inoltre precedono ogni esperienza empirica, non possono essere raggiunte dai sensi ma devono essere
descritte da un'analisi critica svolta dalla ragione. Per via dello scetticismo humiano che aveva confutato il sapere
fondato delle scienze, rendendolo instabile, Kant decide di riesaminare globalmente le fondamenta del sapere delle
scienze, cioè la matematica e la geometria (trattate nell'Estetica Trascendentale), la fisica (Analitica Trascendentale) e
infine la metafisica (Dialettica Trascendentale). La fondazione del sapere è quindi di fatto affidata al criticismo. La
lettura di questo termine ci deve ricondurre ad una doppia esigenza: una di ordine programmatico ed una di ordine
metodologico. Programmaticamente, il criticismo è appunto la scoperta delle condizioni di possibilità che permettono
la conoscenza; metodologicamente, esso è la capacità di risalire dalla conoscenza che il soggetto ha del mondo per
comprenderne i presupposti e le condizioni di possibilità. L'orizzonte metodologico rimanda allo scopo prefissato, e il
progetto di ricerca legittima la scelta metodologica. È nell'immagine del mondo, offerta dall'esperienza, che Kant
pensa di poter trovare la conoscenza delle strutture fondamentali della ragione umana con cui è resa possibile la
conoscenza e la scienza del mondo. Presupposto fondamentale di tutta la ricerca è quindi la coscienza che il soggetto
ha del mondo, conoscenza del mondo o meglio immagine del mondo, definita da Kant fenomeno.

Kant si pone in quest'opera le seguenti domande: Com'è possibile la matematica pura? Com'è possibile la fisica pura?
Com'è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Com'è possibile la metafisica come scienza?

Si parla di rivoluzione copernicana di Kant poiché egli attua una rivoluzione in campo gnoseologico pari a quella che
attuò Copernico in campo astronomico. Il fisico scoprì che non è la Terra ad essere posizionata al centro dell'universo
come sosteneva la teoria tolemaica e postulò quindi che fosse il Sole ad essere al centro e la Terra a ruotargli attorno
(teoria eliocentrica).
Kant usa l'immagine di Copernico in ambito filosofico: se vogliamo capire i meccanismi della conoscenza dobbiamo
ribaltare il tradizionale modo di considerarla: com'è accaduto per l'apparente movimento del Sole, dobbiamo fare
riferimento alla Terra, al soggetto, al modo di funzionamento del suo intelletto e non alla cosa conosciuta. Se
insistessimo su quest'ultimo punto di vista ci scontreremmo con lo scetticismo di David Hume che dimostrava
incontrevertibilmente che la conoscenza, in specie quella scientifica, non aveva nessuna certezza. Dall'analisi della
ragione, del soggetto conoscente, ne risulta che una conoscenza valida per tutti gli uomini, universale quindi, e
necessaria è invece possibile poiché tutti condividono la stessa dinamica conoscitiva, rappresentata da quelle funzioni
trascendentali della nostra mente che sono gli a priori: modi di funzionamento che, in quanto forme prive di
contenuto, appartengono allo stesso modo a tutti, e che fanno sì che, quando si elaborano considerazioni circa un
oggetto, queste costituiscono un fondamento valido per tutti.

L’oggetto della conoscenza, come appare la conoscenza? (conoscenza fenomenica)

Per Kant la conoscenza non può essere altro che fenomenica. La parola fenomeno nel linguaggio greco significa "ciò
che appare". La conoscenza fenomenica dunque è apparente nel senso che appare a ciascuno in modo diverso a
seconda della propria sensibilità. L'unico elemento certo della conoscenza fenomenica era il rapporto di causalità che
stabiliva per sempre un nesso di necessità causa-effetto tra i fenomeni. Ma dopo la critica di Hume al rapporto di
causalità che ne dimostrava la contingenza riducendolo a uno stato d'animo di attesa di un effetto che poteva o che
non poteva prodursi in presenza di una causa si pone per Kant la necessità di rifondare teoreticamente quella
conoscenza che il progresso scientifico del resto dimostra praticamente di essere efficace: questo non sarebbe
possibile se i fondamenti del sapere scientifico, come di tutto il sapere, fossero inconsistenti. Occorre dare alla
conoscenza un criterio di validità universale su cui essa possa fondarsi e questo sarà reso possibile dalla scoperta delle
strutture trascendentali del nostro conoscere.

Se la conoscenza è fenomenica alla base dei fenomeni c’è l’enoumeno (l’enoumeno)

Il noumeno compare anche nella filosofia di Immanuel Kant (dove è anche chiamato cosa in sé, in tedesco Ding an
sich). In Kant il noumeno è un concetto dai caratteri problematici che si riferisce ad una realtà inconoscibile ed
indescrivibile che, in qualche modo, si trova "al fondo" dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là
dell’apparenza (di come cioè le cose ci appaiono). I termini 'noumeno' e 'cosa in sé' non sono in Kant perfettamente
sovrapponibili: il noumeno è comunque una rappresentazione o idea della ragione, e come tale risiede nella mente
umana; è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentarsi ciò che va oltre la sua capacità di conoscere. La cosa in sé
invece è ciò a cui il noumeno si riferisce: è la 'realtà' in quanto esterna alla mente del soggetto, ciò con cui per
definizione non si può entrare in alcun rapporto se non tramite il pensiero poiché questo si pone al di là di ogni
esperienza possibile. Cartesio lo definisce 'essere formale' contrapponendolo all' 'essere oggettivo' che risiede nella
mente. Nel momento in cui il soggetto si rapporta alla cosa in sé, si può avere un doppio esito: se la cosa in sé viene
rappresentata come fenomeno all'interno delle condizioni a priori della sensibilità e dell'intelletto, può dare luogo alla
sintesi conoscitiva (materia+forma) che riguarda solo l'apparire della cosa e non la cosa stessa; se la cosa viene cercata
'in sé' e quindi al di fuori delle condizioni in cui può essere conosciuta nel suo apparire, si generano le idee della
ragione (noumeno) sulle quali si basa la metafisica. Da questa distinzione tra 'cosa reale' (fuori dal pensiero) e 'cosa
pensata come reale' (dentro al pensiero) deriva la critica di Kant alla metafisica come pretesa 'scienza della cosa in sé'.
La posizione di Kant verso la metafisica tradizionale (approfondita soprattutto nella dialettica trascendentale) si può
così riassumere: la metafisica è nel giusto quando pone la cosa in sé come qualcosa che va oltre l'esperienza, è meno
nel giusto quando tenta qualche ipotesi su questa realtà, rischiando di scivolare nella sfera religiosa; sbaglia quando
confonde il noumeno (le proprie idee sulla cosa inconoscibile) con la cosa stessa, illudendosi di conoscere ciò che per
definizione sta fuori dalla conoscenza. Il pensiero non può mai uscire da se stesso per verificare la congruenza delle
proprie rappresentazioni con le cose rappresentate (per dirla con Platone, tra le idee e le cose sensibili). Qualsiasi
appello alla 'realtà' come indipendente dal pensiero si svolge inevitabilmente dentro al pensiero stesso. È questo il
paradosso messo in luce dal soggettivismo cartesiano, tema che attraversa tutta la filosofia moderna, da Cartesio a
Kant. Kant comunque riprende in qualche modo il dualismo platonico tra Idee (noumeno) e mondo sensibile
(fenomeno). Abbiamo anche in Kant una opposizione/derivazione del fenomeno nei confronti della cosa in sé; ma
rispetto a Platone vi è la sostanziale differenza che per Kant conoscibili sono solo i fenomeni, mentre per Platone lo
erano solo le idee. Perciò nel platonismo non vi è alcuna 'cosa in sé': la realtà vera è già da sempre nel pensiero umano
(innatismo). La frattura tra mondo 'vero' ed ' apparente' in Platone può essere ricucita dalla filosofia, mentre nel
criticismo kantiano la filosofia stessa dimostra che questa frattura è insanabile. Torniamo sul "fenomeno", che
nell'accezione di Kant indica “la realtà così come possiamo farne esperienza”. Kant spiega che la ragione non può
accedere al noumeno se non come a un “concetto-limite”, del quale possiamo solo dire che è a fondamento di tutto
ciò di cui facciamo esperienza, motivo per il quale è impossibile fondare razionalmente alcuna metafisica (intesa come
scienza di ciò che si trova al di là dell’apparenza sensibile). L’esplicazione delle relazioni che intercorrono tra la realtà
noumenica e quella fenomenica è una delle questioni più spinose della filosofia di Kant. Nella sua Critica della ragion
pura, Kant spiega la struttura della comprensione che abbiamo della realtà a partire dalle categorie a priori (che non
significa affatto innate, ma al di là dell'esperienza anche se attivabili dall'esperienza) della mente. Comunque è da
tener presente che da un punto di vista psicologico la cosa in sé di cui parla Kant, simbolicamente può essere
interpretata come un effetto del diniego della scena primaria. Tale effetto emerge sotto forma di qualcosa di
inconoscibile come la cosa in sé (per un approfondimento si veda il pensiero di Georg Groddeck che esprime questa
sua intuizione in una lettera mandata a Sigmund Freud nel Carteggio Freud - Groddeck).

La critica alla filosofia kantiana sarà messa a punto da Karl Leonhard Reinhold nel “Saggio di una nuova teoria della
facoltà rappresentativa umana i generale”

In altre parole, la teoria critica kantiana – il principio secondo cui la ragione deve saper riconoscere e definire i limiti
delle proprie possibilità, cioè quali sono i limiti possibili della conoscenza – va estesa a un ambito più generale che non
si fermi alla sola conoscenza ma includa tutte le facoltà rappresentative. La conoscenza diventa “semplicemente” un
modo della rappresentazione. Ciò di cui si cerca il fondamento diventa sempre più generale. Non sono più le singole
facoltà mentali in quanto tali ad essere studiate – intuizione, intelletto, ragione – ma la loro stessa fonte originaria.
Kant non aveva mai ritenuto lecito di spingersi tanto avanti, nell'indagare qualcosa come la "coscienza in sé". Gli
idealisti ( vedi Hegel, Fichte e Schelling in particolare, 1° paragrafo) criticano Kant di limitarsi all’interesse del finito e
perciò eliminano l’enoumeno interessandosi solo dei fenomeni: per Hegel infatti la realtà coincide con il pensiero ed è
conoscibile e reale solo ciò che è pensabile “ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale”. La filosofia degli
idealisti porta a considerare i fenomeni l’unica realtà e sono il prodotto del soggetto, la ragione permette la
conoscenza di tali fenomeni.

Logica trascendentale (conoscenza a priori: per Kant si può conoscere a priori; per Hegel no.)

Kant distingue la Logica in logica generale che è quella aristotelica e logica trascendentale come quella oggetto della
sua trattazione riguardante il nostro modo di conoscere trascendentale nel senso cioè non riferito agli oggetti di
conoscenza ma al «nostro modo di conoscerli, in quanto possibile a priori». A differenza della logica generale questa
logica kantiana vuole analizzare le possibilità di conoscere tramite gli a priori riferiti agli oggetti. La logica
trascendentale si compone dell' analitica trascendentale, la pars construens della logica, che è suddivisa in due libri:
Analitica dei principi e Analitica dei concetti, in cui si tratta della logica presieduta dall'intelletto; e della dialettica
trascendentale, la pars destruens, in cui si tratta della logica della apparenza dove opera la ragione.

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