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Se escludiamo la parte high yield, sembra proprio una reazione da “liquidità per tutti” soprattutto
riferita ai dollari.
Settimana prossima sono in arrivo una bella dose di dati sia USA (GDP, fiducia dei consumatori,
indici manifatturieri, income e spending personale), sia Europei (dalla Francia i consumer spending
e i dati manifatturieri, la fiducia dei consumatori Italiani e quella dell'eurozona) e così via.
Considerazioni – Asset classes
In un portafoglio tradizionale la suddivisione viene generalmente fatta tra beni nominali (liquidità e
obbligazioni) e beni reali (azioni).
In alcuni casi si aggiungono alcuni elementi come le materie prime, le posizioni hedge, fondi misti
che però pongono il problema di introdurre dei rischi in portafoglio che non si riesce a classificare
correttamente, anche perchè dinamici (l'esempio più classico è quello delle obbligazioni
convertibili che possono comportarsi tanto da obbligazioni, quanto da azioni, a dipendenza di
come si muove il mercato).
L'idea di fondo, di questa suddivisione, è però quella legata al fatto che le azioni prima o poi
porteranno utile, mentre le obbligazioni portano meno utile, ma lo fanno in modo costante tramite i
cpn.
Negli ultimi anni purtroppo le cose non sono andate per il verso giusto: chi ha investito nello S&P500
10 anni fa (il 29 settembre 2000), ad oggi è ancora in perdita, compresi i dividendi.
Chi ha investito nelle obbligazioni 10 anni fa, è sicuramente in utile ma ha comunque passato anni
difficili con i tassi al rialzo. Se poi si è trovato dalla parte sbagliata, ad esempio con posizioni tipo
lehman o qualche altro clamoroso fallimento, probabilmente è in perdita.
Personalmente preferisco dividere le asset classes dei portafogli in un modo diverso: quelle che
espongono il portafoglio ad un rischio di mercato (direzionali) e quelle che lo espongono ad un
rischio gestore (absolute).
Nelle posizioni absolute è necessario valutare la strategia che viene messa in atto: long/short
azionario, strategie sul credito, arbitraggi, valute, multistrategia, …
Il vantaggio di queste strategie è che generalmente si può misurare in modo coerente tanto la
volatilità quanto la correlazione con altre strategie, così da ottenere un livello di rischio generico
atteso, relativamente stabile, e quanto più indipendente dai movimenti di mercato.
Nelle posizioni direzionali invece è necessario lavorare sui rischi espliciti ai quali si espone il
portafoglio.
Rischio tasso, su tutte le declinazioni geografiche e di scadenza
Rischio credito, settoriale e geografico e spesso anche di scadenza
Rischio valutario
Rischio azionario
Rischio commodities, cicliche o anticicliche
Rischio real estates
La caratteristica di queste posizioni è che per quanto bravi si possa essere nel selezionare le
obbligazioni, se i tassi si alzano, queste perdono, per quanto bravi si possa essere nel fare stock
picking di azioni, se i mercati crollano, crolla la posizione. Magari un po' meno del mercato stesso,
ma tra 10% e 15%, preferisco essere fuori dal mercato !
Alcune posizioni possono naturalmente essere un misto di rischi: quando si acquistano obbligazioni
corporate, il rischio è tanto di credito quanto di tasso; mentre se si acquistano obbligazioni
convertibili, il rischio è triplice: azionario, tasso e credito.
Ovviamente poi, a meno di non investire solo in ETF, c'è una componente di rischio gestore che può
essere tanto positiva (il gestore sovraperforma l'indice) quando negativa.
Suddividendo il portafoglio in questo modo però, si corre un rischio minore di credere di essere
tranquilli solo per il fatto di avere delle obbligazioni in portafoglio (rischio tasso e rischio credito),
rispettivamente si può comprendere meglio come il portafoglio si comporta in quale situazione e
come costruire posizioni che si compensino tra di loro (correlazione).
Chart (daily a 3 mesi)