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Nogu Teatro presenta la decima edizione del NOpS festival (Nuove Opportunità per la
scena) dedicato alle realtà teatrali emergenti. Mettendo a frutto gli incontri delle scorse
edizioni, quest’anno il NOpS diventa una vera e propria vetrina di teatro contemporaneo,
in cui gli operatori potranno attingere tra le nuove proposte delle giovani realtà.
Dal 17 giugno al 1 luglio si alterneranno sul palco del Teatro Tor Bella Monaca e all’interno
dell’Ex Mercato di Torre Spaccata, 14 compagnie provenienti da tutta Italia e non solo!
Ospite speciale del festival Andrei Zagorodnikov, regista, attore e pedagogo presso
Un’edizione che si svolgerà in periferia, nell’intento di portare anche al di fuori dei circuiti
proposta anche nei confronti del pubblico, a partire dalla cena con la compagnia a fine
Il nostro obiettivo è duplice: far emergere giovani talenti da quel terreno fertile e vibrante
anche fornire agli spettatori che abbiano voglia di vedere del buon teatro gli strumenti per
www.noguteatro.it
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CALENDARIO GENERICO
CON LA COLLABORAZIONE DI
• Perlascena sceglierà uno o più testi da pubblicare nel prossimo numero della rivista.
• I testi vincitori della SEZIONE AUTORI verranno messi in scena da Nogu Teatro durante
il Festival, con studi non superiori ai 20 minuti.
n.b. Gli organizzatori potranno, con valide motivazioni, esonerarsi dall’assegnazione del
premio, qualora non ritengano meritevole nessuna compagnia.
PROGETTI COLLATERALI
• Dopo ogni spettacolo il pubblico potrà trattenersi a CENA con gli artisti e le
compagnie!
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GLI SPETTACOLI
Una nuova visione del classico Shakespeariano. La famosa storia di “Otello” raccontata dal punto di
vista di Iago, motore dell’azione e causa di tutti gli avvenimenti. Otello non considera neppure
l’ipotesi che Iago gli menta, perché nella sua profonda onestà non può concepire che esistano
persone simili, capaci delle più orribili azioni per il puro desiderio di offendere, di nuocere, di
annientare, di fare del male. “I, Iago” è una confessione dell’attore che ritrova Iago – furtivo e furbo –
dentro di sé, lasciando emergere un semplice dato di fatto: Iago non è un personaggio teatrale, ma
esiste nella quotidianità che ci circonda, ed in ognuno di noi. “I am not what I am” è la frase del testo
di Shakespeare che compendia in sé tutto il senso, non solo della pièce, ma della stessa realtà
umana. Uno spettacolo-confessione, un’autoaccusa, e, soprattutto, un viaggio nelle profondità
dell’io. ♦ SPETTACOLO IN LINGUA INGLESE ♦
“Facciamola finita, ammettiamolo, non abbiamo più un futuro!” Con questa frase Mirella lo fece
piombare nella consapevolezza di vivere in un presente apparentemente senza ormai futuro, dove è
facile sentirsi quantomeno smarriti, spauriti, lasciarsi andare all’inerzia e ritenere ormai inutile
investire in qualcosa, soprattutto, se ad affrontarlo, si è da soli. Un normalissimo essere umano,
indossando il suo comodo pigiama, innesca un vorticoso, inarrestabile e impacciato susseguirsi di
riflessioni, confessioni, possessioni e canzonzoni alla ricerca di come sia arrivato ad avere paura di
tutto e tutti, di come non farsi più prendere dal panico e di che cosa sia reale e concreto. Un
incontenibile flusso d’incoscienza che spazierà dalla poesia al catechismo, dalla scienza alla
saggezza popolare, dalla psicanalisi all’equitazione, dall’amore a.. gli alieni, forse unica via d’uscita
e di salvezza, anche se, restando fermo immobile in attesa di un raggio traente, è facile farsi
prendere dal panico… magari basterebbe correre per non farsi prendere, e, uscendo, potrebbe
anche accorgersi di non essere così solo nell’universo.
Questa è casa mia è il racconto della sventurata storia vissuta da una famiglia aquilana, i Solfanelli,
in seguito al terremoto che ha sconvolto l'Abruzzo il 6 Aprile 2009; è la storia di un'amicizia, quella
tra Paolo, aquilano e figlio unico dei Solfanelli, e il suo inseparabile compagno Marco, travolta
anch'essa dalla potenza della natura e dall'iniquità dell'uomo. Vengono raccontati i momenti
successivi al sisma e le scelte dello Stato per farvi fronte attraverso gli occhi del giovane Paolo: gli
hotel della costa, le tendopoli ed il progetto C.A.S.E., il Movimento delle Carriole, le New Town. Un
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punto di vista nuovo che avvicina il pubblico alla realtà aquilana, evidente vittima dell’inefficienza
della macchina statale prima ancora della Natura, in uno dei Paesi Europei a più alto rischio sismico.
Che cosa sono le cosiddette buone maniere per vivere in società? Quando è bene utilizzarle e
quanto effettivamente le conosciamo o le riteniamo indispensabili? Il bon ton è a tutti gli effetti uno
specchio della società in cui viviamo, maggiormente preoccupata alla forma piuttosto che al
contenuto. Una società così occupata a tutelare le apparenze da rendere vano ogni tentativo di vera
interattività umana. Questa storia affonda le radici nella profonda contrapposizione di due
celeberrime fazioni opposte, Montecchi e Capuleti, costrette loro malgrado a tentare di seguire un
galateo che impone loro una riappacificazione. Come sedersi, da nemici acerrimi, ad uno stesso
tavolo? Come mascherare la rivalità con le buone maniere? Fino a che punto le regole di buona
creanza riescono a celare l’odio? Una piccola festa non ha mai ucciso nessuno, ci siamo detti,
eppure l’incontro tra i due opposti schieramenti a casa Capuleti si rivelerà presto un vero disastro e
le grette formalità che ognuno dei protagonisti prova ad applicare non saranno altro che un
contributo al tragico ed inevitabile epilogo finale.
Un giorno ho deciso di andare contro natura e di fare un’esperienza estrema: ho fatto snorkeling.
Stavo quasi per iniziare a muovere un braccio, dopo la prima mezzora passata immobile, tutta
rattrappita sul bordo dell’acqua che sembravo morta, quando sul fondo del mare vedo qualcuno che
mi guarda più spaventato di me. Era una sogliola. Sdraiata su un fianco come la sua evoluzione ha
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previsto e con entrambi gli occhi posizionati sul lato superiore. Mi fissava come a dire: “Tu mi
assomigli”. Ho scelto lei come cornice dei miei episodi. E’ il simbolo perfetto di una vita passata a
nascondersi sul fondo del mare. L’attrice, sola in scena, dapprima interagisce con personaggi
salienti della sua vita, da lei stessa interpretati, che irrompono attraverso delle video proiezioni
caricaturate e che la obbligano a ricordare. Il racconto oscilla tra la ricerca intima del ricordo e il
dialogo diretto con il pubblico, come se l’interlocutore potesse aiutarla a capire le ragioni
dell’evidente costante della sua vita: l’insuccesso. E non un insuccesso qualunque, bensì ripetute
cadute proprio lì lì, a un passo dal traguardo. Un dramma trattato in chiave comica. Ma la domanda
è: cos'è il successo? Essere i primi o affermare quello che si è? Fosse anche esser sogliola...
L'effetto Werther si riferisce al fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di
comunicazione di massa provoca nella società una catena di altri suicidi. Un estratto di venti minuti
che racconta gli aspetti fondamentali della trama, mettendo L'occhio al buco della serratura di
quell'appartamento del terzo piano che sembra essere troppo piccolo anche per una persona sola.
Un Dramedy, a tratti esilarante, che scava nella psiche dei personaggi ed in quella degli spettatori,
portandoli a spiare negli angoli più bui dell'appartamento, mentre, al suo interno, queste figure cosi
sole muoio uno dopo l'altro a causa della violenza psicologica dei vicini. Spettacolo Vincitore del
Premio Speciale Giovani Realtà del Teatro 2017
Un uomo si ritrova in un mondo post-apocalittico senza sapere come ci è arrivato. Intorno a lui altri
personaggi gli spiegano che a tutti è assegnato un simbolo e un numero, non gli resta che aspettare
il suo turno: verranno a prenderlo per traghettarlo, e non c’è modo di fuggire. Caronte però non c’è
più, al suo posto tre maldestre figure si occupano di trasportare i “corpi incorporei” al di là del fiume,
sono gli scagnozzi della Morte. Una Morte in perenne ricerca della calma interiore che deve
continuamente fare i conti con i guai combinati dai suoi goffi aiutanti. In questa selva oscura
accadono una serie di rocamboleschi e comici imprevisti, eppure, il destino delle anime che vi
arrivano, deve compiersi: nessuno vi si può ribellare, neanche il più corrotto degli uomini. Davanti
alla Morte si è tutti uguali.
ÈXODOS | Anteprima
regia Luigi Saravo
con Beatrice Valeri, Doron Kochavi, Chiara Felici, Martina Cassenti, Daniele Santoro
ÈXODOS è il nome di un viaggio che si muove attorno a temi scottanti della nostra contemporaneità.
La guerra, il cammino per allontanarsi da essa, il viaggio attraverso il mare, la morte che aleggia in
ogni passo di questo movimento e poi la luce della speranza, la vita che, alla fine, rende sacro ogni
gesto prodotto in nome di lei. EXODOS è una performance visiva, che, senza l’ausilio di testo,
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prendendo a riferimento strutturante l’Iliade e l’Odissea, costruisce azioni sceniche di evidente
suggestione formale e di estrema semplicità esecutiva andando a prendere come riferimento per il
proprio materiale compositivo la tradizione del teatro d’arte e in particolare alcuni momenti de “La
tempesta” con la regia di Giorgio Strehler e quella allestita da Peter Brook.
“Oggi se non leggi i giornali sei disinformato, se invece li leggi sei informato male; [...] Una delle
conseguenze della troppa informazione è il bisogno di arrivare primi, non importa più dire la verità,
quindi qual è la responsabilità di un giornalista? Dire la verità. Non solo arrivare per primi, ma dire la
verità.” Un uomo è intento a pulire i pavimenti, un tizio è intento a scrivere al cellulare. Inizia una
conversazione tra i due; il tizio deve andare via, deve andare in redazione per lavorare sulla
presunta notizia di un sequestro di quattro giornalisti da parte di un tipo sconosciuto. Ma il pavimento
è bagnato. L’uomo ha devotamente lavato il pavimento e non tollera che il giornalista passi prima
che si sia asciugato. La conversazione lentamente assume toni sempre più “ambigui”, fino a
diventare un sequestro. WET FLOOR è un atto unico che ha solo l’obiettivo di condurre lo spettatore
a questo bivio ormai quotidiano: realtà contro verità. La sovrapposizione del mondo reale a quello
social, più rapido e per questo più “vacuo”, porta l’uomo a dei corto circuiti continui, ribaltando il
piano “necessario”, e imponendo una scelta drastica: a quale mondo tendere la mano. Ogni scelta
però imporrà un sacrificio. Si sacrifica sempre una parte di sé. La parte reale ch’è quella vera. O la
parte vera, ch’è quella reale.
“Ho fatto a pezzi cuore e mente per cadere in servitù di parole?” Fare l’Amleto è il problema di tutti
gli attori, ma qual è il problema di Amleto? Forse è solo uno dei tanti che non sa come andare
avanti. Di certo la Danimarca oggi non è il migliore dei mondi possibili. Non tanto per la guerra, ma
perché nessuno prende le cose sul serio. Servi e padroni non combattono più, vanno a banchetto
insieme e si scambiano sorrisi in televisione. Ai meritevoli è chiesto di farsi da parte mentre
assassini e bugiardi siedono sullo scanno più alto. E chi a fatica riesce a conquistare il suo guscio
d’uovo passa i giorni a volerlo difendere, guardando chiunque si avvicini con sospetto e terrore. Solo
a teatro le cose sembrano andare bene, per questo tutti vogliono fare gli attori. Alla base dello
spettacolo c’è l’idea di una sfida: un attore armato di pochi elementi di scena deve rappresentare
l’Amleto. Tutti gli oggetti, i costumi, i materiali tecnici da utilizzare devono poter essere trasportati in
uno zaino da viaggio. Il resto è superfluo. Un Amleto che porta la sua vita sulle spalle alla ricerca di
un pubblico che possa raccoglierla. Il tutto è una scusa per parlare di Amleto senza dover per forza
parlare di Amleto. Aggrapparsi allo scheletro della troppo, troppo solida opera per lanciare lo
sguardo più in là, allontanarlo dalla nebbia che abbiamo di fronte e farlo sedere su un palco. La
sentinella, il viandante, l’attore, il becchino: non importa cosa fai nella vita, il monologo è lo
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strumento principe per essere tutti e nessuno. Per dare voce ad una sinfonia di esistenze che
reclamano ognuna la medesima cosa: essere qui, adesso, prima che la commedia finisca.
Il momento del lutto più doloroso ed inconcepibile, la perdita della “mamma”, fa riemergere tutti i non
detti in una famiglia che si riunisce in attesa di una possibile eredità e si ritrova chiusa in trappola.
TRASH, attraverso un linguaggio iperrealista che gioca sull’accumulo e sul superfluo per sfibrare il
dettaglio, attiva il bisturi sull’elemento primo dell’universo occidentale-cattolico-apostolico-romano:
“la famiglia”, monade capace di inglobare il diverso esclusivamente come elemento di scarto. Il love
pact lasciato da mammina, come conditio sine qua non per accedere all’eredità, scoperchia un
immondezzaio di egoismi, in cui il ribaltamento tra vittima e carnefice è costante e mai definitivo.
Il compositore e musicista Jazz di nome Frank, ispirato dalla figura di Frank Sinatra, nel cercare
lavoro con la propria musica, arriva in una città chiamata “Sound Town”. Durante la sua ricerca
Frank trova all’interno di vari locali, dove tenta di conseguire un’occupazione lavorativa, delle
personalità decisamente bizzarre: nel primo locale infatti incontra un pagliaccio, la cui idea di show
corrisponde nel proporre al pubblico uno spettacolo che faccia ridere le persone e nulla di più. In un
secondo locale dove trova delle ballerine da “club” che gli mostrano il loro punto di vista del
divertimento: lo “sballo” fine a se stesso. Rimanendo sempre più perplesso, prova un terzo (ed
ultimo) locale dove incontra un uomo convinto che il successo di uno show dipende dal sorprendere
le persone tramite virtuosismi: chi è sul palco deve sapere fare più cose contemporaneamente, ad
esempio suonare un flauto mentre dipinge, ballare mentre fa delle bolle di sapone etc. Frank,
sconcertato ed affranto, scappa anche da questo locale completamente svuotato di ogni speranza,
idea e stimolo che possano portarlo a continuare nella sua missione di trovare un ingaggio.
Vagabondando per la città, si dirige verso un parco dove si siede su una panchina per riflettere su
quanto appena accaduto. Di lì a poco, complice la stanchezza, cade addormentato e comincia a
sognare. Compare un individuo che cattura l’attenzione di Frank e che lo convince a seguirlo in un
mondo molto diverso da quello appena abbandonato.
“Magnum Opus” è un progetto di teatro fisico diviso in quadri grotteschi e tragicomici. Percorriamo
un viaggio simbolico ispirato all’alchimia tradizionale, passando dalle fasi di nigredo (la
decomposizione della materia), albedo (la purificazione della mente) e rubedo (la sublimazione dello
spirito) per quanto concerne l’anima mundi della società nella quale viviamo. Vedremo come siamo
resi schiavi dai sistemi di comunicazione, dalla religione, dalla pubblicità e cosa siamo disposti a fare
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al resto del mondo e dell’umanità per ciò in cui pensiamo di credere. Tutto senza perdere la
semplicità del linguaggio del clown e la grande comunicabilità del teatro fisico. Il lavoro prende
spunto dalle performance wayang tipiche della cultura giavanese, dove un burattinaio (il dalang)
intrattiene la folla con le ombre proiettate dalle sue marionette: allo stesso modo certe istituzioni del
mondo occidentale sembrano agitare ombre di fronte ai nostri occhi, alleviando il peso della realtà
con un inganno. Gli attori ricoprono il ruolo dei punokawan, quasi analogo dello zanni della
commedia dell’arte: i servi dell’eroe, che con i loro buffi scherzi lo guidano lungo la sua storia. Le
musiche sono state composte dal collettivo sonoro Rêvêr che le ha create appositamente per questo
progetto e che possono anche essere arrangiate dal vivo durante il corso dello spettacolo. Questo
progetto non ha l’arroganza di dare una risposta o un seguito a certi quesiti comuni alla cultura del
complottismo: intende bensì evidenziare le contraddizioni della società, individuando le varie
schiavitù alle quali siamo sottoposti e che imponiamo a chi ci circonda.
Anancastico68 è il nickname di Nico Ankatas che lavora per l'Ananke, società finanziaria a livello
globale. Il suo cervello è perennemente collegato alla rete e opera miliardi calcoli in continuazione:
compravendita azioni, bitcoin, previsioni, calcolo di influsso di guerre e colpi di stato sugli indici di
borsa...: perché il cervello umano è sempre più potente di qualunque computer. Egli vive 20 ore
connesso attraverso una benda-corona sugli occhi e tutta la sua vita è funzionale alla sua attività.
In cambio egli ottiene solo il godimento di essere collegato e di passare da una connessione
all’altra, da un link all'altro, da un'informazione all'altra. L’unica presenza umana è Giulio,
assistente, badante, infermiere ... o cane che guida un cieco. O addirittura un cieco che guida un
altro cieco? I due pur frequentandosi in realtà non si conoscono e ripetono di continuo le stesse
dinamiche e azioni, finché a poco a poco, i ricordi della vita di prima si insinuano nel cervello di
Nico (forse sollecitati da Giulio) e Giulio nello stesso tempo dimostra sempre più la sua voglia di
prendere il posto dell'(ormai) mitico Anankastico68... Forse è venuto il momento di aggiornare il
maestro. Tra scontri verbali, deliri semipsicotici, connessioni continue, nostalgia del passato, i due
a poco a poco iniziano anche a sperimentare una forma di rapporto per loro inusitata che va oltre
la competitività e la routine: un’ancestrale forma di relazione umana che sopravvive anche in un
mondo dove ormai il virtuale è dominante e le nostre vite sfruttate con il nostro consenso. Forse.
Lo spettacolo ‘TO BE’ racconta la storia di un attrice che decide di affrontare il monologo ‘To be, or
not to be’ di Amleto. Il desiderio di scardinare i significati più nascosti e profondi del testo, la
portano a vivere un'esistenza in bilico tra apparenza ed essenza, tra circo e teatro, tra dramma e
comicità, tra vita e morte. Tutto si gioca nell’equilibrio tra lo spazio, il testo, il personaggio, l’attore e
il pubblico, in un continuo scambio emotivo che conduce inevitabilmente l’attrice e gli spettatori ad
essere un tutt’uno con Amleto. Tralasciando la cornice del dramma Shakespeariano, ma rivelando
le sfaccettature più profonde di Amleto, si vive l’esistenza e l’essenza dell’essere umano nella sua
perenne lotta per una sopravvivenza felice: è il cammino di un uomo in balìa tra la gioia estrema, la
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tristezza, i fallimenti, le scelte, l’ironia e le paure. ‘TO BE’ è quindi un pendolo che oscilla tra parola
e azione, tra personaggio e attore, in un costante rimando al pubblico. Il monologo di Amleto è
guida e ispirazione per attivare una ricerca che apra ai vari mondi poetici e teatrali nascosti al suo
interno.
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