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1
5.4.2
Derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Piano tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
89
92
5.4.3 Differenziabilità e approssimazione lineare . . . . . . . . . 93
5.4.4 Derivate direzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.4.5 Calcolo delle derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
5.5 Derivate successive e approssimazioni successive . . . . . . . . . . . . . 104
5.5.1 Derivate successive. Equazioni alle derivate parziali . 104
5.5.2 Formula di Taylor al secondo ordine. Differenziale
secondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
5.6 Ottimizzazione I. Estremi liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
5.6.1 Massimi e minimi liberi. Punti critici . . . . . . . . . . . . . . 108
5.6.2 Forme quadratiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
5.6.3 Studio della natura dei punti critici . . . . . . . . . . . . . . . . 112
5.7 Funzioni definite implicitamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
5.8 Ottimizzazione II. Estremi vincolati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
5.8.1 Problemi con i vincoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
5.8.2 Metodo dei moltiplicatori di Lagrange . . . . . . . . . . . . . 121
i
Capitolo 1
Spazi metrici e normati
Definizione 1.1.1 Sia X un insieme. Una distanza (o metrica) su X è una funzione d : X × X → R tale che ∀x, y, z ∈ X:
(1) d(x, y) ≥ 0, inoltre d(x, y) = 0 se e solo se x = y;
(2) d(x, y) = d(y, x);
(3) vale la disuguaglianza triangolare d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y).
La coppia (X, d) si chiama spazio metrico. Gli elementi di X si dicono punti.
Definizione 1.1.2 Sia X uno spazio vettoriale su K = R o C. Una norma su X è una funzione k · k : X → R tale che
∀x, y ∈ X e ∀λ ∈ K:
(1) kxk ≥ 0, inoltre kxk = 0 se e solo se x = 0;
(2) kλ xk = |λ | kxk;
(3) vale la disuguaglianza triangolare kx + yk ≤ kxk + kyk.
La coppia (X, k · k) si dice spazio normato.
Un sottoinsieme Y di uno spazio metrico (X, d) è uno spazio metrico: basta prendere la restrizione di d a Y ×Y , che è
detta la metrica indotta su Y . Analogamente, un sottospazio vettoriale di uno spazio normato è uno spazio normato (con
la norma indotta).
Definizione 1.1.3 Sia X uno spazio vettoriale su K = R o C. Un prodotto scalare su X è una funzione (·, ·) : X × X → K
tale che ∀x, y ∈ X e ∀λ ∈ K:
(1) (x, x) ≥ 0, inoltre (x, x) = 0 se e solo se x = 0;
(2) (x, y) = (y, x);
(3) (λ x + y, z) = λ (x, z) + (y, z).
Nel caso K = R la seconda proprietà si riduce a (x, y) = (y, x). Inoltre da (2) e (3) segue che il prodotto scalare è lineare
sia nella prima che nella seconda componente.
p 17/10/2017
Osservazione 1.1.4 Un prodotto scalare induce la norma kxk = (x, x). Essa soddisfa infatti banalmente le prime due
condizioni. Dimostriamo quindi solo la terza, ovvero disuguaglianza triangolare. Essa segue dalla disuguaglianza di
Cauchy-Schwarz p p
|(x, y)| ≤ (x, x) (y, y) (1.1)
in quanto
(1.1)
kx + yk2 = kxk2 + kyk2 + (x, y) + (y, x) ≤ kxk2 + kyk2 + 2 kxk kyk = (kxk + kyk)2 .
Se (x, y) = 0 non c’è nulla da dimostrare, altrimenti scegliendo λ = t (x, y)/|(y, x)| con t reale arbitrario, otteniamo
1
1.1 Definizioni preliminari 2
Fissati x ed y, questa disuguaglianza vale per qualunque t ∈ R, quindi il discriminante del polinomio di secondo grado
deve essere negativo, da cui segue la tesi.
Analogamente si dimostra che uno spazio normato è uno spazio metrico rispetto alla distanza indotta dalla sua metrica
d(x, y) = kx − yk (verificare!). In conclusione un prodotto scalare induce una norma che a sua volta induce una distanza.
Definizione 1.1.5 La palla (o intorno sferico, o sfera) di centro x0 ∈ X e raggio r > 0 è l’insieme
Esempio 1.1.6 Gli spazi vettoriali fondamentali sono gli spazi Rn , n ≥ 1, formati dalle n-uple ordinate di numeri reali
con le operazioni naturali. In essi è definito il prodotto scalare euclideo
n
(x, y) = ∑ x j y j,
j=1
In particolare, la norma euclidea su R è data da kxk = |x| (il modulo di x), che induce la distanza euclidea d(x, y) = |x−y|.
Utilizzando la norma euclidea abbiamo che:
Su Rn si possono definire altre norme e distanze. Le più importanti sono: la norma del massimo
kxk∞ = max |x1 |, . . . , |xn |
che induce la 1-distanza d1 (x, y) = |x − y|1 . Si tratta di norme equivalenti in quanto per ogni x ∈ Rn si ha
Una palla in Rn assume forme molto diverse a seconda della norma considerata, infatti
( ) ( )
n n
x ∈ R : ∑ xi2 < 1 ,
x ∈ R : max{|x1 |, . . . , |xn |} < 1 , x ∈ R : ∑ |xi | < 1
i=1 i=1
mentre hanno rispettivamente la forma rappresentata nella seguente figura nel caso n = 3.
Tutto è naturalmente generalizzabile a Cn sostituendo il modulo dei numeri reali con quello dei numeri complessi; la
distanza indotta si dice ancora euclidea.
Esercizio 1.1.7 Sia X un insieme non vuoto. Dimostrare che la distanza discreta
(
0 se x = y
d(x, y) =
1 se x 6= y
è in effetti una distanza. Con tale distanza, chi sono B(x0 , 1), B(x0 , 1/2) e B(x0 , 2)?
Esempio 1.1.8 Sia I = [a, b] ⊂ R un intervallo chiuso e limitato. L’insieme C 0 (I; R) = { f :
I → R : f è continua} è uno spazio vettoriale. Definiamo in C 0 (I; R) la norma uniforme
Se dal contesto è chiaro quale sia il dominio I di definizione delle funzioni, allora lo si
omette e si scrive k · k∞ al posto di k · kC0 (I;R) . La distanza indotta è
Uno spazio topologico è un insieme X dotato di una topologia, ossia una famiglia τ di sottoinsiemi di X, detti aperti,
con le seguenti proprietà:
1.2 Topologia degli spazi metrici 4
Osservazione 1.2.1 Se (X, τ) è uno spazio topologico, allora sia X che 0/ sono sia aperti che vuoti.
Sia (X, d) uno spazio metrico. La topologia indotta dalla metrica d è definita come segue: A ⊆ X è aperto se ∀x ∈ A
∃r > 0 tale che B(x, r) ⊆ A. Per ogni C ⊆ X si hanno le proprietà seguenti:
(a) un punto x ∈ C è interno a C se esiste una palla di centro x contenuta in C;
(b) un punto x ∈ X (anche esterno a C) è aderente a C se ogni palla di centro x ha intersezione non vuota con C;
(c) un punto x ∈ X (anche esterno a C) è di accumulazione per C se ogni palla di centro x ha intersezione non vuota con
C \ {x};
(d) un punto x ∈ C è isolato in C se esiste una palla di centro x la cui intersezione con C è costituita dal solo punto x.
Esempio 1.2.2 Consideriamo la retta euclidea R. L’insieme C = [0, 1) ∪ {2} non è né aperto né chiuso. Inoltre
.
Esempio 1.2.3 Consideriamo il piano euclidea R2 . L’insieme C = {(x, y) ∈ R2 : 0 < x2 + y2 ≤ 1} non è né aperto né
chiuso. Inoltre
.
Esempio 1.2.4 La circonferenza E = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1} è chiusa, limitata. Inoltre
∂ E = E, Ē = E, E̊ = 0.
/
Definizione 1.2.5 Una successione in X è una funzione da N in X, e si indica con {xk }k∈N . La successione converge ad
un punto x0 ∈ X e si scrive xk → x0 se per ogni palla B(x0 , ε) esiste un indice kε tale che xk ∈ B(x0 , ε) per k ≥ kε , ovvero
d(xk , x0 ) < ε per k ≥ kε , ovvero d(xk , x0 ) → 0.
Osservazione 1.2.6 Se xn = (x1,n , . . . , xh,n ) ∈ Rh ed (x1 , . . . , xh ) ∈ Rh , allora xn → x se e solo se xi,n → xi per i ∈ {1, . . . , h}.
In uno spazio metrico, per verificare le proprietà topologiche è sufficiente utilizzare le successioni. Ad esempio:
• un insieme C è chiuso se e solo se ogni successione in C, che converge in X, converge ad un punto di C;
• un insieme è aperto se e solo se ogni successione che converge ad un punto di A cade definitivamente dentro A;
• un punto è aderente a C se esiste una successione di punti di C che converge ad esso.
n
Esempio 1.2.7 La successione xn = 1 + 1n converge ad e in R con la metrica euclidea. Visto che xn ∈ Q, mentre e ∈/ Q,
la successione xn non converge nello spazio metrico Q con la metrica euclidea.
Esempio 1.2.8 X = (0, 1) con la distanza euclidea è uno spazio metrico. La successione xn = 1/n non converge in X;
infatti se convergesse a x0 ∈ X dovrebbe convergervi anche come successione di R, ma è chiaro che in R si ha xn → 0 ∈
/ X.
1.3 Continuità 5
1.3 Continuità
Definizione 1.3.1 Siano (X, dX ) e (Y, dY ) due spazi metrici ed A ⊆ X. Una funzione f : A → Y è continua in x0 ∈ A se
∀ε > 0, ∃δ > 0 : dX (x, x0 ) < δ ⇒ dY f (x), f (x0 ) < ε.
Esempio 1.3.2 Se (X, d) è uno spazi metrico e x0 ∈ X, allora la funzione f (x) = d(x, x0 ) da X in R è continua. Infatti,
∀x1 ∈ X si ha | f (x) − f (x1 )| = |d(x, x0 ) − d(x1 , x0 )| ≤ d(x, x1 ), quindi per verificare la definizione basta prendere δ = ε.
Dimostrazione. Siano (X, dX ), (Y, dY ) e (Z, dZ ) tre spazi metrici. Siano f : X → Y e g : Y → Z funzioni continue.
Allora,
per ogni ε > 0, per la continuità di g abbiamo che ∃δg > 0 : dY (y, y0 ) < δg ⇒ dZ g(y), g(y0 ) < ε,
e per la continuità di f che ∃δ f > 0 : dX (x, x0 ) < δ f ⇒ dY f (x), f (x0 ) < δg .
Dunque dX (x, x0 ) < δ f ⇒ dZ g ◦ f (x), g ◦ f (x0 ) < ε. t
u
Definizione 1.3.4 Siano (X, dX ) e (Y, dY ) due spazi metrici. Un insieme A ⊆ X si dice limitato se è contenuto in una palla.
Una funzione f : X → Y si dice limitata se la sua immagine f (X) = { f (x) : x ∈ X} ⊆ Y è limitata.
Teorema di Weierstrass Sia E ⊂ Rn un insieme chiuso e limitato. Se f : E → R è continua, allora f ammette massimo
e minimo in E, cioè esistono xm , xM ∈ E tali che
Definizione 1.3.6 Siano A ⊆ X, f : A → Y , x0 punto di accumulazione per A, y0 ∈ Y . Si dice che il limite di f per x che
tende a x0 è y0 , e si scrive
lim f (x) = y0 oppure f (x) −−−→ y0
x→x0 x→x0
se
∀ε > 0, ∃δ > 0 : x ∈ A ∩ B(x0 , δ ) \ {x0 } ⇒ f (x) ∈ B(y0 , ε).
Osservazione 1.3.7 Osserviamo che f è continua in x0 se e solo se il limite di f (x) in x0 esiste ed è uguale ad f (x0 ),
oppure se x è un punto isolato in A.
Teorema ponte Si ha limx→x0 f (x) = y0 se e solo se ∀{xn }n∈N ⊆ A \ {x0 } si ha che f (xn ) → y0 .
Esempio 1.3.10 Data f : Rn → Rm , con Rn ed Rm dotati delle metriche euclidee, dire che f è continua in x0 ∈ Rn vuol
dire che
∀ε > 0, ∃δ > 0 : |x − x0 | < δ ⇒ | f (x) − f (x0 )| < ε.
In pratica, f = ( f1 , . . . , fn ) è continua in x0 se e solo se f1 , . . . , fn sono continue in x0 .
Definizione 1.3.11 Sia A ⊆ X ed f : A → Y . Diremo che f è uniformemente continua in A se ∀ε > 0 ∃δ > 0 tale che
∀x, y ∈ A con dX (x, y) < δ implica dY ( f (x), f (y)) < ε. Diremo che f è lipschitziana di costante L se ∀x, y ∈ A vale
dY f (x), f (y) ≤ L dX (x, y).
Proposizione 1.4.3 Se uno spazio metrico è completo, tutti i suoi sottoinsiemi chiusi sono spazi metrici completi con la
metrica indotta.
Dimostrazione. Sia (x, d) uno spazio metrico completo e C un chiuso di X. Se xn è di Cauchy in C, allora xn è di Cauchy
anche in X e quindi, per la completezza di X, esiste x ∈ X tale che xn → x. Visto che C è chiuso, si ha che x ∈ C. Dunque
xn → x anche in C. t
u
La definizione di successione di Cauchy vale anche per uno spazio normato: xn è di Cauchy in nello spazio normato
(X; k · k) se kxm − xn k → 0 per m, n → ∞, ossia
Esempio 1.4.4 Rn è completo mentre Q non è completo (si veda l’esempio 1.2.7).
Esempio 1.4.7 Sia X un insieme e (Y, dY ) uno spazio metrico. L’insieme delle funzioni limitate da X in Y munito della
distanza n o
d∞ ( f , g) = sup dY f (x), g(x) : x ∈ X
è uno spazio metrico, e si indica con B(X,Y )). Se inoltre Y è uno spazio normato con norma k · kY , allora B(X,Y ) eredita
la norma
k f k∞ = sup k f (x)kY : x ∈ X .
L’insieme delle funzioni continue e limitate da X in Y munito della distanza d∞ è uno spazio metrico, e si indica con
Cb (X,Y ) o anche con BC(X,Y )). Se Y è normato, anche Cb (X,Y ) lo è per la norma k · k∞ .
fn (x) → f (x) ∀x ∈ B.
L’insieme di convergenza puntuale è dato dagli x ∈ A per cui { fn (x)}n∈N converge. L’insieme di convergenza uniforme
è dato dal più grande sottoinsieme B di A per cui { fn }n∈N converge uniformemente in B.
Proposizione 2.1.2 Sia I un intervallo di R ed fn , f e g delle funzioni definite in I ed a valori reali. Allora:
(i) se fn → f uniformemente su I, allora fn → f puntualmente su I;
(ii) se fn → f uniformemente su I e fn ∈ C 0 (I; R), allora anche f ∈ C 0 (I; R);
(iii) proprietà del passaggio al limite sotto il segno di integrale:
se fn → f uniformemente su I e fn ∈ C 0 (I; R), allora ab fn (x) dx → ab f (x) dx ∀a, b ∈ I;
R R
Dimostriamo infine l’ultima asserzione: fissato a ∈ I si ha axR fn0 (x) dx = fn (x) − fn (a), mandando poi n → ∞, per la
R
proprietà del passaggio a limite sotto il segno di integrale si ha ax g0 (x) dx = fn (x) − fn (a), e quindi f 0 (x) = g(x).
Osservazione 2.1.3 Consideriamo una successione di funzioni { fn }n∈N con fn : A → R. Visto che R è uno spazio di
Banach, si ha che fn converge puntualmente in B ⊆ A se e solo se ∀x ∈ B risulta { fn (x)}n∈N di Cauchy in R, ovvero
∀x ∈ B, ∀ε > 0 ∃N ∈ N : fn (x) − fm (x) < ε ∀m > n ≥ N.
C0 (A; R), k·k∞ ) è uno spazio di Banach, se quindi le fn sono continue e limitate,
Per il teorema 1.4.8 si ha che Cb (A; R) = (C
allora la loro successione converge uniformemente in B se e solo se { fn } è di Cauchy in Cb (B; R), ovvero
∀ε > 0 ∃N ∈ N : sup fn (x) − fm (x) < ε ∀m > n ≥ N.
x∈B
7
2.1 Successioni di funzioni 8
Per l’osservazione 2.1.4 sappiamo che tale convergenza non è uniforme in [0, 1],
d’altronde
sup | fn (x) − f (x)| = sup xn = 1 ∀n ∈ N.
x∈[0,1] x∈[0,1)
però è uniforme in ogni semiretta del tipo [a, ∞) con a > 0, essendo
sup | fn − 0| = fn (a) → 0.
[a,∞)
1
Esempio 2.1.9 Abbiamo che fn (x) = converge pun-
(1+(x−n)2 )
tualmente in R alla funzione identicamente nulla. Visto che
supR | fn − 0| = 1 6→ 0, non si ha convergenza uniforme in R.
Si ha però conv. unif. in (−∞, a] in quanto definitamente risulta
1
sup | fn − 0| = → 0.
(−∞,a] 1 + (a − n)2
f3
0.4
f4
nxe n2 x 0.2
f5
lim fn (x) = lim =0
n→∞ n→∞ 1 -3 -2 -1 1 2
-0.2
Inoltre
2
n x en x 2
lim fn (x) = lim = lim n x en x
= 0.
x→−∞ x→−∞ 1 x→−∞
Dunque per n > 1/ ln(2) si ha che fn 6≡ 0 e limx→±∞ fn (x) = 0, per la continuità di fn abbiamo dunque l’asserto. Pertanto,
visto che abbiamo convergenza puntuale in R alla funzione identicamente nulla, risulta
2.1 Successioni di funzioni 10
Conv. puntuale. Fissato x ∈ R vogliamo studiare il limite lim fn (x). Se x = 0, allora fn (0) = 0 e quindi lim fn (0) = 0.
n→∞ n→∞
Se x > 0, allora
∞ se x > 1,
4
n2 ln(x) −n x n (n ln(x)−x)
lim fn (x) = lim e e = lim e = 0 se x = 1, f1
n→∞ n→∞ n→∞
0 se x ∈ (0, 1).
2 f2
f3
f4
Se invece x < 0, allora 5 10 15
f5
(
6 ∃ se x ≤ 1, -2
lim fn (x) =
n→∞ 0 se x ∈ (−1, 0),
2
in quanto ∀x ≤ −1 si ha f2n (x) → ∞ e f2n+1 (x) → −∞, mentre ∀x ∈ (−1, 0) si ha 0 ≤ | fn (x)| = |x|n e−n x =
en (n ln(|x|)−x) → 0. Dunque l’insieme di convergenza puntuale è (−1, 1].
Conv. uniforme. Sicuramente non ci può essere conv. unif. in (−1, 1] perché altrimenti, per la continuità di fn avrei conv.
unif. anche in [−1, 1], ma sappiamo già che non ho conv. puntuale in x = −1. Sia δ ∈ (0, 1) e studiamo la conv. unif.
in [−δ , 1]. Più precisamente, fissato n ∈ N vogliamo calcolare supx∈[−δ ,1] | fn (x)| e studiare il limite lim sup | fn (x)|.
n→∞ x∈[−δ ,1]
Osserviamo che per ogni x ∈ [−δ , 1] ed n ≥ 3 dispari si ha
2 2
2
fn0 (x) = n2 xn −1 − n xn e−n x = n xn −1 (n − x) e−n x ≥ 0,
Pertanto (
max fn (−δ ), fn (1) se n è pari,
sup | fn (x)| =
x∈[−δ ,1] max − fn (−δ ), fn (1) se n è dispari.
Dunque, per quanto già visto nella conv. puntuale abbiamo che lim sup | fn (x)| = 0 e quindi l’insieme di convergenza
n→∞ x∈[−δ ,1]
uniforme è [−δ , 1].
√
Esempio 2.1.12 Studiamo fn (x) = n n + xn per x ≥ 0.
Conv. puntuale. Fissato x ≥ 0 vogliamo studiare il limite lim fn (x). Inoltre l’insieme di convergenza puntuale è [0, ∞) i
n→∞
quanto (
1 se x ∈ [0, 1]
lim fn (x) =
n→∞ x se x > 1.
Conv. uniforme. Vediamo se abbiamo anche la conv.√ unif. in [0, ∞). Fissato n ∈ N vogliamo calcolare supx≥0
fn (x) − f (x)
e vedere se va a zero per n → ∞. Visto che x 7→ n n + xn − 1 è crescente, abbiamo che
√
sup fn (x) − f (x) = fn (1) − f (1) = n n + 1n − 1 −−−→ 0.
x∈[0,1] n→∞
√ √
s
1 1 n
1 + n yn − 1 n
1 + n yn − 1 n−1
lim fn (x) = lim n n+ n − = lim = lim n yn y =0
x→∞ y→0+ y y y→0 + y y→0 +
n
|{z}
} −−−→ 0
y→0+
| {z
−−−→ +
1
y→0
ed inoltre
<0
z }| {
1 − n
d n
(n + xn )1/n − x = +1 n − 1 < 0,
dx xn
| {z }
>1
abbiamo che √
sup fn (x) − f (x) = fn (1) − f (1) = n n + 1n − 1 −−−→ 0.
x≥1 n→∞
Ovviamente fn (0) = 0 −−−→ 0. Inoltre, per x fissato si ha che fn (x) −−−→ − arctan(x). Dunque fn converge puntualmente
n→∞ n→∞
a f (x) = − arctan(x) su tutto R. Studiamo la convergenza uniforme. Visto che
π
sup | fn − f | ≥ lim fn (x) − f (x) = − arctan(n) − −−−→ π,
R x→−∞ 2 n→∞
d x(2n + x)
fn (x) − f (x) =
dx 1 + x2 n2 x2 + (n + x)2
abbiamo che fn − f è crescente in (−∞, −2n) e (0, ∞), mentre è decrescente in (−2n, 0) \
{−n}. Osserviamo che non bisogna controllare | fn − f | in x = −2n o x = −n, in quanto
definitivamente non appartengono a [−δ , ∞). Visto che
fn (−δ ) − f (−δ ) −−−→ 0,
n→∞
fn (0) − f (0) = 0 −−−→ 0,
n→∞
π
lim fn (x) − f (x) = − arctan(n) + −−−→ 0,
x→∞ 2 n→∞
−π/2 se x < 0
f (x) = 0 se x = 0
se x > 0
π/2
Esercizio 2.1.15 Per le seguenti successioni di funzioni reali a valori reali, determinare l’insieme di convergenza puntuale
e gli intervalli del tipo [a, b], [a, b), (a, b], (a, b), [a, ∞), (a, ∞), (−∞, b], (−∞, b), R dove si ha convergenza uniforme.
Quando non è precisato altrimenti, le successioni vanno studiate su tutto R, altrimenti solo per x appartenente all’insieme
assegnato.
x n
x
fn (x) = x sin , x ∈ R; fn (x) = 1 − cos , x ∈ R;
n n
√ x + e(n+1)x
fn (x) = n n + 5 xn , x ≥ 0; fn (x) = , x ∈ R;
en x
fn (x) = n x2 e−n x , x ∈ R; fn (x) = (x2 − x)n , x ∈ R;
nx
fn (x) = , x ∈ R; fn (x) = (n x)x/n , x > 0;
1 + n2 x2
1 x e−n x
fn (x) = e(cos(n x)−1)/n , x ∈ R; fn (x) = , x ∈ R;
n 1 + e−n x
−n x √
fn (x) = e−n e , x ∈ R; fn (x) = x n
e−x/n , x ≥ 0;
√
x −n/x n x
fn (x) = n e , x > 0; fn (x) = x n , x ∈ R;
Z nπ
fn (x) = (n + x)−n−x , x > 0; fn (x) = ex t sint dt, x ∈ R;
0
1 n
fn (x) = , x ∈ [0, ∞); fn (x) = , x ∈ [0, ∞);
x+n x+n
fn (x) = xn + (−x)n ; fn (x) = logn x, x ∈ [0, ∞);
√
n x
fn (x) = exp (x − x2 ) n ; fn (x) = sin , x ∈ (0, π);
x n
x x2 x3
fn (x) = x n e−n x + cos(x)n ; fn (x) = − + ;
n n2 n3
2
1 x x x x
fn (x) = exp sin(n x) ; fn (x) = sin + sin ;
n n n n n
x x
fn (x) = − sin ; fn (x) = ln(x)n ln(xn ), x ∈ (0, ∞);
n n
!
2 + sin(x)n
x x
fn (x) = ; fn (x) = n sin − sin ;
2 + sin(xn ) n−1 n+1
2.2 Serie di funzioni 13
s
√
x
fn (x) = exp ln , x ∈ (0, ∞); fn (x) = n ln 1 + ex/n ;
n
1 n
n n 1 1
fn (x) = (−1) x + n , x ∈ R \ {0}; fn (x) = n x+ , x ∈ R \ {0};
x 4 x
x
fn (x) = n sin 2 ; fn (x) = sin(x)n + xn ;
n
xn
fn (x) = nsin(x) ; fn (x) = , x ∈ [0, ∞);
xn + (1 + x)2 n
√ √
n−1 n−n
fn (x) = x , x ∈ [0, ∞); fn (x) = x , x ∈ [0, ∞);
n 1
fn (x) = n−x ; fn (x) = x .
n
Esercizio 2.1.16 Sia f una funzione continua in [a, b]. Si dimostri che fn → f unif. in [a, b], dove
Z
1 x+rn f (t) dt se x ∈ [a, b),
1
fn (x) = r xn con rn = min b − a, .
f (b)
se x = b, n
Esercizio 2.1.17 Si dimostri f (x) = |x| non è C1 , che per ogni n ∈ N la funzione
(
|x| se |x| > 1/n,
fn (x) = n 2 1
2 x + 2n se |x| ≤ 1/n,
è C ∞ e che fn → f uniformemente.
Siano fn : A → R, n ∈ N, delle funzioni a valori reali (o complessi), dove A è un sottoinsieme di Rm . La serie di funzioni
fn si indica con ∑∞
n=0 f n . Se esiste, la somma della serie è il limite della successione di funzioni {sn }n∈N , dove sn è la
somma parziale ∑nk=0 fk .
Definizione 2.2.1 La serie di funzioni ∑∞
n=0 f n converge puntualmente a s in B ⊆ A se sn → s puntualmente in B, ovvero
∞
∀x ∈ B sn (x) − s(x) = ∑ fn (x) → 0.
k=n+1
La serie di funzioni ∑∞
n=0 f n converge uniformemente a s in B ⊆ A se sn → s uniformemente in B, ovvero
∞
sup sn (x) − s(x) = sup ∑ fn (x) → 0.
x∈B x∈B k=n+1
La serie di funzioni ∑∞ ∞
n=0 f n converge totalmente in B ⊆ A se ∑n=0 supx∈B | f n (x)| converge.
L’insieme di convergenza puntuale è dato dagli x ∈ A per cui ∑∞ n=0 f n converge. L’insieme di convergenza uniforme (o
totale) è dato dal più grande sottoinsieme B di A per cui ∑∞n=0 f n converge uniformemente (o totalmente) in B.
Secondo la definizione appena data, per verificare la convergenza puntuale o quella uniforme, abbiamo bisogno di
conoscere la somma s della serie di funzioni ∑∞ n=0 f n ; invece, per quella totale, non ne abbiamo bisogno. Per questo in
generale è più facile studiare la convergenza totale, piuttosto che quella puntuale o uniforme; inoltre, per la seguente pro-
posizione, se dimostriamo che ∑∞ n=0 f n converge totalmente, allora essa converge anche uniformemente e puntualmente.
(i) la convergenza totale implica la convergenza uniforme e quest’ultima implica la convergenza puntuale;
2.2 Serie di funzioni 14
Dimostrazione. (i) Se ∑∞ ∞
n=0 f n converge totalmente, ovvero ∑n=0 supx∈B | f n (x)| è una serie convergente, allora per il
criterio di Cauchy si ha
p
∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∑ sup | fk (x)| < ε ∀p > n ≥ ν.
k=n+1 x∈B
Di conseguenza
p p p
∀ε > 0 ∃ν ∈ N : ∑ fk (y) ≤ sup ∑ fk (x) ≤ ∑ sup | fn (x)| < ε ∀p > n ≥ ν ∀y ∈ B.
k=n+1 x∈B k=n+1 k=n+1 x∈B
e quindi
∞
∀ε > 0 ∃ν ∈ N : sup ∑ fk (x) ≤ ε ∀n ≥ ν,
x∈B k=n+1
ovvero ∑∞ n=0 f n converge uniformemente in B. Che le convergenza uniforme implichi quella puntuale segue dalla propo-
sizione 2.1.2.
(ii) Tutte le false implicazioni sono illustrate dal seguente esempio. Consideriamo la serie logaritmica
∞
xn
∑ (−1)n−1 n
.
n=1
n
n−1 x = ln(1 + x) per ogni x ∈ (−1, 1]. Cerchiamo
L’insieme di convergenza puntuale è (−1, 1] in quanto ∑∞ n=1 (−1) n
l’insieme di convergenza totale. Per quanto visto in (ii), l’insieme di convergenza totale è contenuto in (−1, 1). Non c’è
convergenza totale in (−1, 1) o in intervalli I del tipo (−1, a], (−1, a), [−a, 1) o (−a, 1) con a ∈ (0, 1), perché
xn |x|n
1
sup (−1)n−1 = sup
= ∀n ∈ N \ {0},
x∈I n x∈I n n
cosicché la serie degli estremi superiori diverge. Si ha invece convergenza totale in ogni intervallo del tipo [−1 + δ , 1 − δ ]
con δ ∈ (0, 1) in quanto
xn |x|n (1 − δ )n
sup (−1)n−1 = sup
= ∀n ∈ N \ {0}.
|x|≤1−δ n |x|≤1−δ n n
Vediamo infine dove c’è convergenza uniforme. Notiamo che per x ∈ [0, 1] la serie
è a segni alterni, con termine generale infinitesimo e decrescente in modulo; quindi,
per il criterio di Leibniz, la serie converge in [0, 1] e vale la stima del resto:
k
|x|n+1
∞ x 1
∑ (−1)k−1 ≤ ≤ ∀x ∈ [0, 1] ∀n ∈ N \ {0},
k=n+1 k n+1 n+1
Siccome vi è convergenza totale in [−1 + δ , 1 − δ ] per ogni δ ∈ (0, 1), per (i) in
tali intervalli vi è anche convergenza uniforme. Di conseguenza vi è convergenza
uniforme in tutti gli intervalli della forma [−1 + δ , 1] con δ ∈ (0, 1).
In conclusione, visto che i tre tipi di convergenza hanno luogo in tre insiemi a due a due distinti, questo esempio dimostra
(ii). t
u
2.2 Serie di funzioni 15
La situazione è decisamente più semplice se si ha a che fare con funzioni continue e limitate, infatti per l’osservazio-
ne 2.1.3 vale la seguente
Osservazione 2.2.3 Consideriamo una serie di funzioni ∑ fn con fn : A → R e la sua successione delle somme parziali
sn . Si ha che ∑ fn converge puntualmente in B se e solo se ∀x ∈ B risulta {sn (x)} di Cauchy in R, ovvero
m
∀x ∈ B, ∀ε > 0 ∃N ∈ N : sm (x) − sn (x) = ∑ fk (x) < ε ∀m > n ≥ N.
k=n+1
Inoltre, se fn ∈ Cb (A; R) allora ∑ fn converge uniformemente in B se e solo se {sn } è di Cauchy in Cb (B; R), ovvero
m
∀ε > 0 ∃N ∈ N :
sm (x) − sn (x)
∞ = sup ∑ fk (x) < ε ∀m > n ≥ N.
x∈B k=n+1
11/10/2017
Esempio 2.2.4 Studiamo la convergenza di ∑n≥0 xn , x ∈ [−1, 1].
1
Conv. puntuale. Se |x| < 1, allora ∑ xn converge a 1−x . Se |x| = 1, allora ∑ xn non converge. Dunque l’insieme di conv.
puntuale è (−1, 1).
Conv. totale. Visto che ∑ supx∈(−1,1) |xn | = ∑ 1 = ∞, abbiamo che ∑ xn non converge totalmente in (−1, 1). Se δ > 0,
allora ∑ xn converge totalmente in (−1 + δ , 1 − δ ) perché ∑ supx∈(−1+δ ,1−δ ) |xn | = ∑(1 − δ )n converge.
Conv. uniforme. Sicuramente abbiamo convergenza uniforme in (−1 + δ , 1 − δ ) per ogni δ > 0. Vediamo se abbiamo
1 n+1
convergenza uniforme anche in (−1, 1). Visto che s(x) = 1−x e sn (x) = 1−x
1−x , si ha supx∈(−1,1) |sn (x) − s(x)| =
n+1
supx∈(−1,1) x1−x ≥ 21 e quindi la serie non converge uniformemente in (−1, 1).
Esempio 2.2.8 Una serie di segno alterno o di Leibniz è una serie del tipo ∑∞ n
n=0 (−1) f n dove f n ≥ 0. Il criterio di
Leibniz ci dice che se fn (x) ↓ 0 per ogni x ∈ B, ovvero fn+1 (x) < fn (x) e fn (x) → 0 per ogni x ∈ B, allora la serie converge
puntualmente in B. Visto che
m
k
∑ (−1) fk (x) ≤ fn (x),
k=n
si ha che
2.2 Serie di funzioni 16
m
k
sup ∑ (−1) fk (x) ≤ sup | fn (x)|.
k=n
n
Esempio 2.2.9 Studiamo la convergenza di ∑n≥1 xn , x ∈ R.
Conv. puntuale. Se |x| < 1, allora la serie converge puntualmente. Se |x| > 1, allora la serie non converge puntualmente
perché non soddisfa il criterio necessario fn (x) → 0. Se x = 1, allora la serie non converge perché ∑ 1/n = ∞. Se
x = −1, allora per il criterio di
nLeibniz
la serie converge. Dunque, l’insieme di convergenza puntuale è [−1, 1).
1 n
Conv. totale. Visto che ∑ supx∈[−1,1) n = ∑ n = ∞, abbiamo che ∑ xn non converge totalmente in [−1, 1). In maniera
x
analoga si dimostra che se δ ∈ (0, 2), allora non c’è convergenza totale nemmeno in [−1, 1 − δ ] o in [−1 + δ , 1]. Sen
n
invece δ ∈ (0, 1), allora la serie converge totalmente in [−1 + δ , 1 − δ ] perché ∑ supx∈[−1+δ ,1−δ ] xn = ∑ (1−δn
)
converge.
Conv. uniforme. Sicuramente abbiamo convergenza uniforme in [−1 + δ , 1 − δ ] per ogni δ ∈ (0, 1). Vediamo se abbiamo
convergenza uniforme anche in (−1, 1). Se per assurdo ce l’avessimo, visto che le fn sono continue, si avrebbe
conv. uniforme anche in [−1, 1], ma in tal caso si avrebbe in [−1, 1] anche conv. puntuale: una contraddizione!
Non c’è convergenza totale nemmeno in intervalli limitati [a, b] con a < b perché
2.2 Serie di funzioni 17
1 1
sup | fn | ≥ √ ⇒ ∑ sup | fn | ≥ ∑ √n + 1 = ∞.
[a,b] n +1 n≥1 [a,b] n≥1
e 2 (n−1) x
∑ (−1)n (2 n − 1)!
n≥1
ed il raggio di convergenza R = ∞. C’è dunque convergenza totale (quindi anche uniforme e puntuale) in ogni sottoinsieme
limitato di R. Osserviamo che non c’è convergenza totale in R perché per ogni n > 1 abbiamo
e 2 (n−1) x
sup | fn | = lim = ∞.
R x→∞ (2 n − 1)!
e 2 (n−1) a
∑ sup | fn | =
n≥1 (−∞,a] (2 n − 1)!
converge in quanto
e2na (2 n − 1)! e2a
lim = lim = 0.
n→∞ (2 n + 1)! e 2 (n−1) a n→∞ (2 n + 1) 2 n
ln(x)n
∑
n≥0 n + 1
yn 1 (−y)n+1 1 (−y)n ln (1 − y)
∑ n + 1 = y ∑ (−1)n+1 n+1
= − ∑ (−1)n+1
y n≥0 n
=−
y
n≥0 n≥0
ed abbiamo convergenza totale (quindi anche uniforme e puntuale) in {x ∈ R : | ln(x)| < r} = (e−r , er ) per ogni r ∈ (0, 1).
Osserviamo che
ln(e−1 )n (−1)n
x = e−1 : ∑ =∑ converge per il criterio di Leibniz,
n≥0 n + 1 n≥0 n + 1
ln(e)n 1
x=e: ∑ =∑ diverge.
n≥0 n + 1 n≥0 n + 1
L’insieme di convergenza puntuale è pertanto [e−1 , e). Inoltre, la serie non converge uniformemente o totalmente in
[e−1 , e), in quanto in tal caso per la continuità delle fn avrei convergenza uniforme o totale in [e−1 , e], il che è assurdo.
Vediamo infine che non c’è convergenza totale in [e−1 , e − δ ] in quanto
1
sup | fn | = .
[e−1 ,e−δ ] n+1
sin(n x) nn
∑ , x ∈ R; ∑ n! xn , x > 0;
n≥1 n2 n≥1
en x (−1)n
∑ , x ∈ R; ∑ 2n + 1 (x2 − 1)2 n , x ∈ R;
n≥1 n n≥0
x x2
∑ 2n sin 3n
, x ∈ R; ∑ 2 2
, x ∈ R;
n≥0 n≥0 1 + n x
(−1)n+1 n2
∑ , x > 0; ∑ xn/2 , x > 0;
n≥1 xln x n≥1
ln(x)n
n x
∑ x ln 1 + n , x > −1; ∑ n2 + x2 , x > 0;
n≥1 n≥0
n−x
e n+x √
n
∑ n2 x2 , x ∈ R; ∑x , x > 0.
n≥1 n≥0
L se L ∈ (0, ∞),
−1
Dimostrazione.
i) Per dimostrare che la serie conv. tot. su B(z0 , r) con r < R basta osservare che ∑ supz∈B(z0 ,r) |an (z − z0 )n | = ∑ |an | rn
conv. per il criterio della radice in quanto lim sup n |an | rn = lim sup n |an | r = L r < 1.
p p
ii) Sia z ∈ C tale che |z − z0 | > R (se R = ∞ allora tale z non esiste). Poiché ∑ supz∈B(z0 ,r) |an (z − z0 )n | = ∑ |an | |z − z0 | =
L |z − z0 | > 1, si ha che lim sup n |an | (z − z0 )n > 1 e quindi, per il criterio necessario, essendo an (z − z0 )n 6→ 0, si
p
Osservazione 2.3.3
i) R = ∞ (ovvero L = 0) vuol dire che la serie conv. per ogni z ∈ C e, più precisamente, conv. tot. su B(z0 , r) per ogni
r > 0.
ii) R = 0 (ovvero L = ∞) vuol dire che la serie conv. solo per z = z0 e ∑ an (z − z0 )n = a0 .
iii) R ∈ (0, ∞) (ovvero L ∈ (0, ∞)) vuol dire che la serie conv. tot. su B(z0 , r) per ogni r < R, non conv. se z sta fuori di
B(z0 , R), mentre non posso dire nulla se z sta sul bordo di B(z0 , R), cioè |z − z0 | = R.
n
Esempio 2.3.5 Consideriamo ∑n≥1 nz 2 . Poiché an = 1/n2 si ha che L = 1 e quindi R = 1. Per il teorema precedente la
n
serie conv. tot. su B(0, r) ∀r < R = 1, mentre la serie non converge ∀z ∈ C con |z| > 1. Visto che ∑ supz∈B(0,1) nz 2 = ∑ n12
converge si ah che la serie conv. tot.. In conclusione si ha conv. tot. in B(0, 1).
n
Esempio 2.3.6 Consideriamo ∑n≥0 z2 = 1 +z2 +z4 +z8 +. . .. Si dimostra, anche se non facilmente, che la serie converge
in un sottoinsieme denso di |z| = 1.
n
Esempio 2.3.7 Consideriamo ∑n≥1 zn . Poiché an = 1/n si ha che L = 1 e quindi R = 1. Se z = 1 allora la serie non
converge. Se z = −1 la serie converge per il criterio di Leibniz. Si dimostra, anche se non facilmente, che la serie converge
se |z| = 1 e z 6= 1.
Osservazione 2.3.8 Se f ∈ C n e x0 un punto del dominio di f , allora f (x) = Pn (x0 , x) + Rn (x0 , x) dove
n
f (k) (x0 )
Pn (x0 , x) = ∑ (x − x0 )k
k=0 k!
Rn (x0 ,x)
è il polinomio di Taylor e Rn (x0 , x) è tale che |x−x0 |n → 0 per x → x0 .
f (k) (x0 )
Definizione 2.3.9 Se f ∈ C ∞ e x0 un punto del suo dominio, allora P∞ (x0 , x) = ∑∞
k=0 k! (x − x0 )k è la serie di Taylor
di f sul punto x0 .
Il seguente esempio mostra che in generale f è diverso dalla sua serie di Taylor.
2.3 Serie di potenze 20
dove p è un qualsiasi polinomio. Chiaramente f è una funzione di questo tipo. Dimostriamo che g ∈ C ∞ . Sicuramente
g ∈ C 0 in quanto
e−1/x
1 −1/x
lim g(x) = lim p e = lim = 0 = lim f (x),
x→0+ x→0+ x x→0+ xn x→0−
dove n è il grado del polinomio p. Dimostriamo che g ∈ C 1 . Consideriamo prima la sua derivabilità in zero:
0 g(h) − g(0) 1 1 −1/h
g (0) = lim = lim p e = 0.
h→0 h h→0 h h
dove q è un opportuno polinomio. In particolare abbiamo che g0 ∈ C 0 e quindi g ∈ C 1 . Visto che g0 ha la stessa forma di g,
possiamo procedere nello stesso modo per vedere che g00 ∈ C 0 e quindi g ∈ C 2 . È ora evidente che g ∈ C ∞ . In particolare
anche f ∈ C ∞ . Ovviamente f (k) (0) = 0 ∀k ∈ N e quindi la serie di Taylor di f è la funzione nulla che è diversa da f .
Definizione 2.3.11 Le funzioni analitiche sono le funzioni f ∈ C ∞ tali che la loro serie di Taylor in un qualsiasi punto
x0 del loro dominio ha raggio di convergenza maggiore di zero e somma uguale ad f .
15/10/2017
Esempio 2.3.12
zn
ez = ∑ n! , cioè z 7→ ez è analitica, inoltre R = ∞;
n≥0
z2n+1
sin z = ∑ (−1)n (2n + 1)! , cioè z 7→ sin z è analitica, inoltre R = ∞;
n≥0
z2n
cos z = ∑ (−1)n (2n)! , cioè z 7→ cos z è analitica, inoltre R = ∞;
n≥0
zn
ln(1 + z) = ∑ (−1)n+1 n
, cioè z 7→ ln(1 + z) è analitica, inoltre R = 1.
n≥1
1 − xn+1 1
sn (x) = 1 + x + . . . + xn = → se |x| < 1.
1−x 1−x
Se ci restringiamo a |z| ≤ 1 − δ con δ ∈ (0, 1), allora la serie conv. tot., e quindi anche unif..
Studiamo la serie della derivata ∑n≥0 (zn )0 = ∑n≥0 n zn−1 . Poiché an = n, si ha che L = 1 e quindi R = 1. Si dimostra
che questa serie non converge sul bordo. Anche ∑ n zn−1 conv. tot., e quindi anche unif., in |z| ≤ 1 − δ con δ ∈ (0, 1). Per
la proprietà del passaggio al limite sotto il segno di derivata abbiamo che per |z| ≤ 1 − δ si ha
!0 0
n−1 n 0 n 1 1
∑nx = ∑ (x ) = ∑x = = .
n≥0 n≥0 n≥0 1−x (1 − x)2
2.3 Serie di potenze 21
Osservazione 2.3.14 Se abbiamo una serie di potenze ∑ an (z−z0 )n con raggio dip convergenza R, allorap al serie delle sue
derivate ∑ n an (z − z0 )n−1 ha lo stesso raggio di convergenza perché lim supn→∞ n n |an | = lim supn→∞ n |an | = L = R1 .
Dunque, per la proprietà del passaggio al limite sotto il segno di derivata, una serie di potenze è di classe C ∞ in B(z0 , R).
Quali condizioni ci assicurano che una funzione f è analitica? Più in particolare, dato x0 nel dominio di f , ci chiediamo
quando vale la seguente uguaglianza
∞
f (n) (x0 )
f (x) = ∑ (x − x0 )n .
n=0 n!
Innanzitutto è necessario che f sia C∞ almeno in un intorno di x0 . In tal caso possiamo scrivere lo sviluppo di Taylor
dell’ordine n:
n
f (k) (x0 )
f (x) = ∑ (x − x0 )k + Rn (x0 , x).
k=0 k!
Se ad esempio usiamo la formula del resto di Lagrange
f (n+1) (ξ )
Rn (x0 , x) = (x − x0 )n+1
(n + 1)!
ne segue che la serie converge ad f (x) per tutti gli x ∈ [x0 − r, x0 + r], cioè la serie conv. punt. in [x0 − r, x0 + r], anzi, dato
che kRn k∞ = k f − Pn k∞ → 0, si ha che la serie conv. unif. in [x0 − r, x0 + r].
eξ rn+1
sup |x − x0 |n+1 = er → 0.
ξ ∈[−r,r] (n + 1)! (n + 1)!
Quindi la serie di Taylor di ex conv. unif. su ogni intorno limitato di zero a ex , che è quindi una funzione analitica.
Esercizio 2.3.16 Applicare lo stesso ragionamento per sin x, cos x e ln(1 + x).
3
Se x < 0, allora fn (x) = −n eln(−x)−n x e per il criterio della radice abbiamo che ∀x < 0 si ha ∑ fn (x) =
3
− ∑ n eln(−x)−n x = −∞ in quanto
pn √ ln(−x) 3 3
lim n eln(−x)−n x = lim n n e n −x = e−x > 1.
3
n→∞ n→∞
2.3 Serie di potenze 22
3n f1
-1.0 -0.5 0.5 1.0 1.5 2.0
f2
e limx→∞ fn (x) = 0, abbiamo f3
-1
f4
n2/3
1 -2
f5
sup | fn (x)| = fn √
3
=√
3
x≥0 3n 3e -3
e quindi non abbiamo conv. tot. in quanto ∑ n2/3 non converge per il criterio necessario. Per quanto già visto è
evidente che si ha conv. tot. in [δ , ∞) ∀δ > 0.
Conv. uniforme. Sicuramente c’è conv. unif. in [δ , ∞) ∀δ > 0. In particolare osserviamo che ∀x > δ
! !
−n x3 1 d −n x3 1 d −n x3 (a + a2 + . . . + am )(1 − a) = a − am+1
∑ n x e = ∑ − 3 x dx e =− ∑e =
⇒ ∑m n a−am+1 ∞ n a
n≥1 n≥1 3 x dx n≥1 n=1 a = 1−a ⇒ ∑n=1 a = 1−a
3 3
! 3
!
1 d e−x − e−(n+1)x 1 d e−x 1 3 x2 x
=− lim 3 =− 3 =− 3
=
3) − 1
.
3 x dx n→∞ 1−e −x 3 x dx 1−e −x 3 x 2 1 − cosh(x ) 2 cosh(x
Visto che
x
3
2(cosh(x3 )−1)
se x > 0
x 7→ ∑ n x e−n x =
n≥1
0 se x = 0
x
non è una funzione continua in quanto f (0) = 0 6= limx→0+ 2(cosh(x3 )−1)
= ∞, non abbiamo conv. uif. in [0, ∞).
Esercizio 2.3.19 Discutere il comportamento delle seguenti serie di funzioni, calcolandone la somma nell’insieme di
convergenza.
ln(x)n
∑ , x > 0;
n≥0 n + 1
n2 + 1 2n
∑ n sinn x, x ∈ R; ∑ z , z ∈ C;
n≥1 n≥0 n − i
z
∑ n 2−n e(2n−1) i x , x ∈ R; ∑ en(ℜe(z)+1− 2 ) , z ∈ C;
n≥1 n≥0
25/09/2017
3.1 Generalità
Un’sistema di eq.i diff.i di ordine h ∈ N è un’identità che lega fra di loro le derivate fino all’ordine h di una funzione
incognita y (xx) ∈ Rn , x ∈ Rm , ovvero un’equazione della forma
f x ,yy(xx),yy(1) (xx),yy(2) (xx), . . . ,yy(h) (xx) = 0 , (3.1)
dove f è una funzione vettoriale continua nei suoi argomenti ed y (i) rappresenta le derivate di ordine i di y . Il nostro scopo
è risolvere tale equazione, ovvero trovare (se esistono) tutte le funzione y di classe C h , ovvero funzioni continue le cui
derivate fino all’ordine h sono continue, che risolvono la (3.1). Vi sono diverse tecniche per risolvere le eq.i diff.i, che
differiscono a seconda di f . Per questo motivo caratterizziamo i diversi tipi di eq.i diff.i come segue:
• Se f è una funzione scalare, ovvero f = f assume valori in R, allora (3.1) è detta equazione differenziale scalare.
• Se m = 1, allora (3.1) coinvolge derivate ordinarie di y ed è detta equazione differenziale ordinaria.
• Se m > 1, allora (3.1) coinvolge derivate parziali di y ed è detta equazione differenziale alle derivate parziali.
• Se f è una funzione della forma
allora (3.1) è detta equazione differenziale in forma normale e si presenta nella forma
y (h) (xx) = g x,yy(xx),yy(1) (xx),yy(2) (xx), . . . ,yy(h−1) (xx) .
• Se f è una funzione lineare, ovvero della forma f (xx,yy1 ,yy2 , . . . ,yyh+1 ) = y h+1 + ∑hi=1 A i (xx)yyi +A
A0 (xx), allora (3.1) è detta
equazione differenziale lineare e si presenta nella forma
h−1
y (h) (xx) = − ∑ A i+1 (xx)yy(i) −A
A0 (xx) .
i=0
Ad esempio, un’equazione ordinaria scalare del primo ordine in forma normale è del tipo
y0 = g (x, y) ,
Com’è consuetudine abbiamo omesso nell’equazione precedente la variabile indipendente x dalla funzione incognita y(x)
ed indicato y0 (x) = dx
d
y(x). Per brevità scriveremo “eq. diff.” per “eq. diff.”.
Osservazione 3.1.1 Osserviamo che ogni eq. diff. scalare di ordine h può essere trasformata in un sistema equivalente di
h eq.i diff.i del primo ordine, che di solito è più semplice da risolvere. Infatti, se y ∈ C h (I) risolve l’equazione scalare
f x, y, y0 , . . . , y(h) = 0 (3.2)
23
3.1 Generalità 24
0
u0 = u1 ,
0
u1 = u2 ,
... (3.3)
u0h−2
= uh−1 ,
f x, u0 , u1 , . . . , uh−1 , u0h−1 = f x,uu, u0h−1 = 0.
Viceversa, se u = (u0 , u1 , . . . , uh−1 ) ∈ C 1 (I, Rh ) risolve (3.3), è facile verificare che y = u0 è di classe C h nell’intervallo I
e risolve (3.2). Si noti che se l’eq. diff. (3.2) è in forma normale
y(h) = g x, y, y0 , . . . , y(h−1) ,
u0h−1 = g (x,uu)
1 + (y + y0 )2 = 0
non lo è. Si dimostra invece che tutte le eq.i diff.i in forma normale sono risolubili, anzi hanno un’infinità di soluzioni. Ad
esempio, l’eq. diff. ordinaria scalare del primo ordine in forma normale
dove x0 ∈ [a, b] e y0 ∈ R. Si osservi che x 7→ y(x) è una soluzione del problema di Cauchy (3.4) se g(x, y(x)) è il coefficiente
angolare della retta tangente al suo grafico nel suo punto (x, y(x)) ed il suo grafico passa per (x0 , y0 ).
I problemi di Cauchy per sistemi del primo ordine in forma normale hanno la forma
(
y0 = g(x,yy), x ∈ [a, b],
y (x0 ) = y 0 ,
Esempio 3.1.2 Costruiamo un modello per il traffico stradale microscopico, ovvero basato su eq.i diff.i ordinarie. Non
avendo molti strumenti matematici a disposizione, consideriamo il caso più semplice, ovvero una strada rettilinea, omoge-
nea e con un’unica corsia. In questo caso il sorpasso non è possibile. Non è limitativo assumere che i veicoli si muovano
con velocità positiva. La strada può essere parametrizzata con x ∈ R. Il traffico è descritto dalla posizione di ciascun
veicolo ad ogni istante t ∈ R, ovvero da
x1 (t), . . . , xn (t)
3.1 Generalità 25
se abbiamo n veicoli.
Il caso banale è quello in cui il traffico è costituito da un unico veicolo, ovvero n = 1. Visto che tale veicolo ha la strada
completamente libera, esso si muove alla massima velocità vmax , ovvero la sua equazione del moto è
Si tratta di un’eq. diff. ordinaria lineare del primo ordine in forma esplicita. Per conoscere esattamente la sua posizione
ad ogni istante, è necessario sapere la sua posizione ad un tempo arbitrario. Se ad esempio sappiamo che
Abbiamo appena risolto il nostro primo problema di Cauchy (3.5),(3.6), infatti (3.7) ci dà la sua soluzione.
Consideriamo ora un secondo veicolo che al tempo t0 si trova nella posizione x0,2 , ovvero
Non è limitativo assumere che x0,2 < x0,1 . Per la precisione, se ciascun veicolo ha lunghezza 1 (possiamo utilizzare
la lunghezza dei veicoli come unità di misura, ovvero “normalizzarla”), non è limitativo assumere che x0,1 − x0,2 ≥ 1.
Potremmo pensare che anche il secondo veicolo si muova con velocità massima vmax . Questo però contrasta con la realtà,
in quanto i veicoli (non automatizzati) si muovono tenendo conto anche della loro distanza dal veicolo che li precede. Per
questo motivo è più ragionevole pensare ad un’equazione del moto del tipo
1
x20 (t) = v , (3.9)
x1 (t) − x2 (t)
dove v : [0, 1] → [0, vmax ] è una funzione decrescente tale che v(0) = vmax e v(1) = 0. Si tratta di un’eq. diff. ordinaria non
lineare del primo ordine in forma normale. Le ipotesi su v tengono conto del fatto che velocità maggiori corrispondono
a maggiori distanze dal veicolo che precede, e che un veicolo si ferma se tocca il paraurti del veicolo che lo precede. La
legge oraria del secondo veicolo dipende dall’espressione esplicita di v.
È ora evidente che iterando le equazioni (3.8),(3.9) il traffico costituito da n veicoli è descritto dal problema di Cauchy
x0 (t) = vmax ,
1
0 1
xi (t) = v , i ∈ {2, . . . , n}, (3.10)
xi−1 (t) − xi (t)
i ∈ {1, . . . , n}.
x (t ) = x ,
i 0 0,i
Si tratta di un sistema di eq.i diff.i ordinarie non lineari del primo ordine in forma normale. Il modello così ottenuto viene
detto modello follow-the-leader del primo ordine, in quanto la velocità di ciascun veicolo dipende unicamente dalla sua
distanza dal veicolo che lo precede e perché si tratta di un sistema di eq.i diff.i ordinarie del primo ordine.
Un esempio di modello follow-the-leader del secondo ordine è il problema di Cauchy 26/09/2017
x10 (t) = vmax ,
0
xi−1 (t) − xi0 (t)
1
x00 (t) = p0
2 , i ∈ {2, . . . , n},
i
xi−1 (t) − xi (t) xi−1 (t) − xi (t) (3.11)
xi (t0 ) = x0,i , i ∈ {1, . . . , n},
x0 (t ) = v ,
i ∈ {2, . . . , n}.
i 0 0,i
Si tratta di un sistema di eq.i diff.i ordinarie non lineari del secondo ordine in forma normale. Tale modello migliora quello
del primo ordine (3.10) in quanto considera la capacità (non istantanea) di ciascun veicolo di reagire ai cambiamenti di
velocità del veicolo che lo precede tramite la funzione p(ρ) = ρ γ , dove γ > 0 è un parametro del modello. Osserviamo
che introducendo il marcatore Lagrangiano
0 1
wi (t) = xi (t) + p
xi−1 (t) − xi (t)
come nuova variabile, il modello (3.11) può essere ridotto al sistema del primo ordine
3.1 Generalità 26
0
x1 (t) = vmax ,
1
x0 (t) = wi (t) − p
, i ∈ {2, . . . , n},
i
i−1 (t) − xi (t)
x
w0i (t) = 0,
i ∈ {1, . . . , n},
i ∈ {1, . . . , n},
xi (t0 ) = x0,i ,
wi (t0 ) = w0,i , i ∈ {1, . . . , n},
dove !
1
w0,i = v0,i + p .
x0,i−1 − x0,i (t)
Si tratta di un sistema di eq.i diff.i ordinarie non lineari del primo ordine in forma normale.
Nel caso in cui il traffico sia costituito da un gran numero di veicoli, risolvere il sistema (3.10) o (3.11) diventa molto
laborioso e richiede molto tempo, anche se si utilizzano dei super computer, rendendo così inutile comunicare le previsioni
di traffico visto che arriverebbero in ritardo. In questo caso è preferibile utilizzare dei modelli macroscopici, ovvero basati
su eq.i diff.i alle derivate parziali. Il modello più semplice è quello proposto da Lighthill, Whitham [4] e Richards [5]
∂t ρ + ∂x f (ρ) = 0, (3.12)
dove ρ ≥ 0 è la densità dei veicoli (ovvero, il numero di veicoli per unità di lunghezza), mentre f (ρ) = v(ρ)ρ è il flusso
del traffico (ovvero, il numero di veicoli per unità di tempo), essendo v(ρ) la velocità corrispondente alla densità ρ. Si
tratta di un’eq. diff. alle derivate parziali del primo ordine non lineare e non in forma normale. Il modello più famoso del
secondo ordine è quello proposto da Aw, Rascle [1] e Zhang [6]
∂t ρ + ∂x (ρ v) = 0,
(3.13)
∂t ρ v + p(ρ) + ∂x ρ v v + p(ρ) = 0.
Il legame tra tali modelli macroscopici e microscopici è stato studiato di recente in [2, 3], dove è stato rigorosamente
dimostrato che è i modelli macroscopici del primo (3.12) e secondo ordine (3.13) possono essere ottenuti da quelli
microscopici del primo (3.10) e secondo ordine (3.11), rispettivamente, mandando il numero di veicoli “all’infinito”.
(u0 )2 + t u0 − u = 0.
Esempio 3.1.4 Sia dato il problema di Cauchy per un’equazione differenziale ordinaria
(
(3 u0 )2 − 54 u = 1
u(0) = 0.
(2) I conti appena svolti dimostrano che il problema non ammette come soluzioni le costanti o i polinomi di primo grado.
Consideriamo pertanto un polinomio della forma pk (t) = ∑kn=1 an t n con ak 6= 0 e k > 2. Osserviamo che
!2
k
9 p0k (t)2 =9 ∑ n an t n−1
= 9 k2 a2k t 2 (k−1) + (grado inferiore),
n=1
!
k
n
−54 pk (t) − 1 = −54 ∑ an t − 1 = −54 ak t k + (grado inferiore);
n=0
u 0 = g (x,uu)
Visto che g è continua nel compatto R, per il teorema di Weierstrass esiste M ≥ 0 tale che
3.2 Il teorema di esistenza e unicità 28
g (x,uu) ≤ M, (x,uu) ∈ R; (3.14)
m
Dimostrazione.
1o passo : trasformiamo il problema di Cauchy in un sistema di equazioni integrali ad esso equivalente.
Se u : J → Rm è di classe C 1 e risolve il problema di Cauchy (3.15), allora per ogni x ∈ J abbiamo
Z x Z x
u 0 (t) dt = u 0 +
u (x) = u 0 + g t,uu(t) dt, x ∈ J.
x0 x0
è di classe C1 in quanto l’integrando di una funzione continua è di classe C1 . Possiamo quindi derivare
ottenendo
u 0 = g (x,uu) , x ∈ J.
La (3.19) è ovvia per n = 0; supponiamo che essa valga per un certo n: essendo (t,uun (t)) ∈ R per ogni t ∈ J,
per la (3.14) si ha
Z x Z x
(3.14)
sup u n+1 (x) −uu0 m = sup g t,uun (t) dt ≤ sup gg t,uun (t) dt ≤ sup M |x − x0 | = M h ≤ b.
x∈J x∈J x0 m x∈J x0 m x∈J
Dunque la (3.19) vale per n + 1 e pertanto, per induzione, è vera per ogni n ∈ N. La (3.20) vale per n = 0, dato
che Z x Z x
u 1 (x) −uu0 (x) = g t,uu0 (t) dt ≤ gg t,uu0 (t) dt ≤ M |x − x0 | ;
m x x m
0 m 0
se poi essa vale per un certo n, essendo (t,uun+1 (t)), (t,uun (t)) ∈ R per ogni t ∈ J, per (ii) si ha
3.2 Il teorema di esistenza e unicità 29
Z x h Z x
i
u n+2 (x) −uun+1 (x) = g u
t,u n+1 (t) −g
g u
t,u n (t) dt ≤ g u
t,u n+1 (t) −gg u
t,u n (t) dt
m g
m
x0 x0
m
Z x n+1
Cn+1
(ii) Z x |t − x |
0
n+1
|x − x0 |n+2 ,
≤ C u n+1 (t) −uun (t)m dt ≤ M C dt = M x ∈ J.
x0 x0 (n + 1)! (n + 2)!
Dunque la (3.20) vale anche per n + 1, cosicché, per induzione, è vera per ogni n ∈ N.
In particolare, la (3.20) implica che 27/09/2017
hn+1
sup u n+1 (x) −uun m ≤ M Cn
, n ∈ N,
x∈J (n + 1)!
p−1 k h k+1
Dato che la serie ∑k=n C (k+1)! è convergente, la stima appena ottenuta mostra che per ogni x ∈ J la
successione {uun (x)} è di Cauchy in Rm . Pertanto esiste
e per la (3.21) l’ultimo membro tende a zero per n → ∞. In conclusionee mandando n → ∞ nella relazio-
ne (3.18) otteniamo che la funzione u risolve il sistema integrale (3.17).
Notiamo anche che mandando n → ∞ nella (3.19) si ottiene la stima (3.16). Ciò conclude la dimostrazione del
2o passo.
o
3 passo : proviamo infine l’unicità della soluzione.
Fissiamo k ∈ [0, h) e poniamo J0 = [x0 − k, x0 + k] ⊂ J. Se u , v sono due soluzioni distinte dell’equazione
integrale, allora per ogni x ∈ J0 abbiamo
Z x h Z x
i (ii)
u (x) −vv(x) = g t,uu(t) −gg t,vv(t) dt ≤ C u (t) −vv(t) m dt ≤ C k sup u (t) −vv(t)m ,
m
x0 x0
m t∈J0
Ricordiamo che una funzione g : Rm+1 → Rm derivabile soddisfa (ii) se e solo se per ogni compatto K ⊂ Rm+1 si ha
m g
!
∂g
sup ∑ ∂ ui (x,uu) < ∞.
(x,uu)∈K i=1 m
Il seguente esempio mostra che le ipotesi di regolarità (i),(ii) di g sono ottimali: se è vero che la sola continui-
3.3 Dipendenza continua dal dato di Cauchy 30
tà (i) garantisce l’esistenza (lo si può dimostrare), essa non ci assicura l’unicità locale delle soluzioni del problema di
Cauchy (3.15).
(x−λ )3
ha come soluzioni sia u(x) ≡ 0 che uλ (x) = Inoltre, per ogni µ > λ anche tutte le funzioni
27 .
0
se x ∈ (−∞, µ]
x 7→ (x − µ)3
se x ∈ [µ, ∞)
27
∂g 2
Osserviamo che g(x, u) = u2/3 è continua su tutto R2 ma non è localmente lipschitziana in quanto (x, u) 7→ ∂ u (x, u) = 3 3 u
√
Nelle applicazioni di modelli basati sulle eq.i diff.i è auspicabile che la soluzione del problema di Cauchy dipenda in
maniera continua dal dato di Cauchy u 0 , ovvero che a piccole variazioni del “dato di Cauchy” u 0 (causate ad esempio da
errori di misura) corrispondano piccole variazioni della soluzione corrispondente. esempio
farfalla
Proposizione 3.3.1 Se g soddisfa (i),(ii), allora esiste una costante H tale che per ogni (x0 ,uu0 ), (x0 ,vv0 ) ∈ A si ha che
u (x) −vv (x) ≤ H |uu0 −vv0 | , x ∈ I ∩ J,
m m
Dimostrazione. Denotiamo con C e M le costanti delle ipotesi su g relative ad un fissato cilindro compatto R che contenga
interamente i grafici di u e v . Sia h > 0 sufficientemente piccolo da avere J0 = [x0 − h, x0 + h] ⊆ I ∩ J. Utilizzando i sistemi
integrali equivalenti si ha
Z xh Z x
i (ii)
u (x) −vv (x) = u 0 −vv0 +
m
g t,uu(t) −gg t,vv(t) dt ≤ |uu0 −vv0 |m +C
u (t) −vv(t) m dt
x0 x0
m
≤ |uu0 −vv0 |m + h C sup u (t) −vv(t)m ,
t∈J0
da cui
(1 − h C) sup u (t) −vv(t)m ≤ |uu0 −vv0 |m
t∈J0
3.4 Prolungamento delle soluzioni 31
Infine si può iterare il procedimento anche all’indietro, e con altri α + 1 passi si ricava
1
sup u (t) −vv(t) ≤
m
|uu0 −vv0 |m ,
t∈[x0 −h,x0 +h] (1 − k C)α+1
che è la tesi. t
u
può essere univocamente estesa ad un intervallo chiuso [x1 , x2 ], con x1 < x0 < x2 , in modo che i punti (x1 ,uu(x1 )) e
(x2 ,uu(x2 )) appartengano alla frontiera di Q.
Dimostrazione. Sia Q0 un cilindro chiuso e limitato di Rm+1 tale che Q ⊂ Q0 ⊂ A. Siano M e C tali che
g (x,uu) ≤ M, (x,uu) ∈ Q0 ,
m
g (x,uu) −gg(x,vv) ≤ C |uu −vv| , (x,uu) , (x,vv) ∈ Q0 .
m
e scegliamo infine h = min a, b/M, 1/C .
Allora per ogni dato di Cauchy (x0 ,uu0 ) ∈ Q si può ripetere la dimostrazione del teorema di esistenza ed unicità locali
ottenendo una soluzione locale definita almeno in un intervallo [x0 − h, x0 + h]. Visto che h non dipende dalla scelta del
punto (x0 ,uu0 ) ∈ Q, procedendo per passi successivi l’insieme di definizione della soluzione del problema di Cauchy si
estende, ad ogni passo, di h e quindi dopo un numero finito di tappe intermedie il grafico della soluzione raggiungerà la
frontiera di Q. L’unicità del prolungamento è ovvia. t
u
Nel teorema del prolungamento è essenziale che Q sia chiuso e limitato, come mostrato nel seguente esempio.
Esempio 3.4.2 Se m = n = 1, il problema di Cauchy
(
u0 = 1 + u2
u(0) = 0
ha g(x, u) = 1 + u2 che soddisfa (i),(ii) in tutto R2 , ed ha come unica soluzione la funzione u(x) = tan x, la quale non è
prolungabile al di fuori dell’intervallo (−π/2, π/2). La soluzione non può quindi raggiunge la frontiera di [−π/2, π/2] ×
R. Questo però non contraddice il teorema del prolungamento, in quanto la striscia [−π/2, π/2] × R è chiusa ma non
limitata. Possiamo invece applicare il teorema a Q = [−π/2, π/2] × [a, b] con a < b.
Fino a che punto una soluzione è prolungabile? In parole povere, il prolungamento è possibile fino a che il grafico
della soluzione giace nell’aperto A dove g è definita. Per formalizzare questa idea, fissato (x0 ,uu0 ) ∈ A, introduciamo la
famiglia J (x0 ,uu0 ) costituita da tutti gli intervalli J contenenti x0 come punto interno, tali che il problema di Cauchy
corrispondente al dato (x0 ,uu0 ) abbia soluzione x 7→ u J (x) definita su tutto J. Per il teorema di esistenza ed unicità locali
abbiamo che J (x0 ,uu0 ) 6= 0.
/ Sia J0 l’intervallo ottenuto dall’unione di tutti gli intervalli J ∈ J (x0 ,uu0 ), ovvero
[
J0 = J,
J∈J (x0 ,uu0 )
e definiamo u : J0 → Rn ponendo
Questa definizione ha senso perché due soluzioni u J , u I coincidono su J ∩I per l’unicità dimostrata nel teorema di esistenza
ed unicità locali. Resta così definita in tutto J0 un’unica soluzione u del problema di Cauchy che, per costruzione, non è
ulteriormente estendibile: essa è detta soluzione massimale.
Sia (x,uu) 7→ g (x,uu) continua su una striscia S = (c, d) × Rm e tale che esista una costante C per cui in ogni “sottostriscia”
chiusa [c0 , d0 ] × Rm ⊂ S, quindi con c < c0 < d0 < d, risulti
Allora si ha:
Teorema della soluzione globale Nelle ipotesi sopra dette, per ogni (x0 ,uu0 ) ∈ S la soluzione del problema di Cauchy
(
u 0 = g (x,uu)
u (x0 ) = u 0
per (x,uu) ∈ R si ha
g (x,uu) ≤ g (x,uu) −gg (x,uu0 ) + g (x,uu0 ) ≤ C |uu −uu0 | + M0 ≤ C b + M0 .
m m m m
3.5 Soluzione globale 33
Quindi
n si può ripetere
o il ragionamento svolto nella dimostrazione del teorema ndel prolungamento o scegliendo h =
d0 −c0 1 d0 −c0 b 1
min 2 , C+M0 (si noti che, essendo b ≥ 1, questo numero è minore di min 2 , C b+M0 , C , che è la limita-
zione richiesta nella dimostrazione del teorema del prolungamento). Poiché h non dipende da b, dopo un numero finito
di passi si ricopre tutto l’intervallo [c0 , d0 ]. Dunque la soluzione è definita in ogni [c0 , d0 ] ⊂ (c, d) e pertanto è definita in
(c, d). t
u
Osserviamo che le ipotesi del teorema della soluzione globale sono soddisfatte dai sistemi lineari
con A (x) matrice m × m a coefficienti continui in (c, d) e f funzione continua su (c, d). Dunque le soluzioni di equazioni
e sistemi differenziali lineari di qualsiasi ordine (a coefficienti continui) esistono in tutto l’intervallo su cui sono definiti i
coefficienti. 01/10/2017
Esercizio 3.5.4 Determinare tutte le soluzioni (di classe C 1 in qualche intervallo) dell’eq. diff. (y0 )2 = 1.
Esercizio 3.5.5 Sia { fn } una successione di funzioni definite su un intervallo [a, b]. Supponiamo che
e che la serie ∑∞ n=0 an sia convergente. Si provi che esiste una funzione f : [a, b] → R tale che f n → f uniformemente in
[a, b], ossia tale che
lim sup | fn+1 (x) − fn (x)| = 0.
n→∞ x∈[a,b]
Esercizio 3.5.6 Sia { fn } una successione di funzioni continue definite su un intervallo [a, b]. Supponiamo che esista una
funzione f : [a, b] → R tale che fn → f uniformemente in [a, b] (vedere l’esercizio precedente). Si provi che f è continua
in [a, b]. [Traccia: fissati x0 ∈ [a, b] ed ε > 0, sia ν ∈ N tale che | fn (x) − f (x)| < ε per ogni x ∈ [a, b] e per ogni n ≥ ν.
Allora si verifichi che esiste δ > 0 tale che per x ∈ [a, b] e |x − x0 | < δ si ha | f (x) − f (x0 )| ≤ | f (x) − fν (x)| + | fν (x) −
fν (x0 )| + | fν (x0 ) − f (x0 )| < 3ε.]
Lemma 3.1 (di Gronwall). Siano u, v funzioni continue in un intervallo [a, b]. Supponiamo che si abbia u ≥ 0 in [a, b] e
Z x
v(x) ≤ c + v(t) u(t) dt, ∀x ∈ [a, b],
a
Dimostrazione. Definiamo
Z x
G(x) = c + v(t) u(t) dt, ∀x ∈ [a, b].
a
La funzione G verifica G(x) ≥ v(x) in [a, b] per ipotesi, ed inoltre G0 (x) = v(x) u(x) in [a, b]; ne
Rx
0
(x) ≤ u(x) G(x)
segue G
0
in [a, b]. Moltiplicando la disequazione G (x) − u(x) G(x) ≤ 0 per la funzione positiva exp − a u(t) dt , si ottiene
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 34
Zx !
d
exp − u(t) dt G(x) ≤ 0, x ∈ [a, b],
dx a
da cui
Zx
exp − u(t) dt G(x) ≤ G(a), x ∈ [a, b],
a
t
u
In questa sezione forniremo qualche metodo per risolvere due tipi di eq.i diff.i: quelle a variabili separabili e quelle lineari.
Le eq.i diff.i a variabili separabili sono equazioni (in generale non lineari) della forma
dove f ∈ C 0 (I; R) e g ∈ C 0 (J; R), dove I e J sono due intervalli di R. Una soluzione y di questa equazione deve
necessariamente essere definita in un sottointervallo di I ed a valori in J. Una metodo risolutivo è il seguente:
1o passo : Cercare gli zeri di g. Se y0 ∈ J è tale che g(y0 ) = 0, allora la funzione costante
y(x) = y0 , x ∈ I,
è soluzione dell’equazione.
2o passo : Cercare le soluzioni non costanti y : I0 → J0 , con I0 ⊆ I e J0 ⊆ J, tali che g(y) 6= 0 per ogni y ∈ J0 .
Dividendo (3.22) per g (y) si ottiene
1 0 1 dy 1
y = = f (x) ⇔ dy = f (x) dx, x ∈ I0 .
g (y) g (y) dx g(y)
3o passo : Calcolare le primitive dei due membri di tale identità. Indicando con F una primitiva di f in I0 e con γ una
primitiva di 1/g in J0 , si ricava
1
Z Z
dy = f (x) dx ⇔ γ y(x) = F(x) + c, x ∈ I0 ,
g(y)
y(x) = γ −1 F(x) + c ,
x ∈ I0 .
Purtroppo tale metodo non ci fornisce in generale tutte le soluzioni, come il seguente esempio mostra.
√
Esempio 3.6.1 L’eq. diff. y0 = y è a variabili separabili con
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 35
√
f = 1, I = R, g(y) = y, J = [0, ∞), J0 = (0, ∞).
L’unica soluzione costante è y(x) ≡ 0, x ∈ R. Utilizziamo il metodo descritto per ottenere soluzioni a valori in J0 :
√ y0 dy
Z
dy
Z x ≥ −c,
y0 = y ⇒ √ = 1 ⇒ √ = dx ⇒
p
√ = dx ⇒ 2 y(x) = x + c ⇒ x+c 2
y y y y(x) = ,
2
dove c ∈ R è una costante arbitraria. La penultima uguaglianza implica che x ≥ −c, dunque I0 = [−c, ∞). L’eq. diff. ha
però anche altre soluzioni. Ad esempio, per ogni λ ∈ R la funzione
0
se x < −λ
2
yλ (x) =
x+λ
se x ≥ −λ
2
sono soluzioni distinte del problema di Cauchy (coincidono solo per x ≤ 0). Si noti che y2 è derivabile in 0 e y02 (0) = 0.
Al contrario, le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità locali sono soddisfatte in un qualsiasi aperto che non
contenga l’origine. Di conseguenza il problema di Cauchy
( √
y0 = y
y(0) = 1
2
x+2
ammette un’unica soluzione localmente, ovvero esiste h > 0 sufficientemente piccolo tale che x 7→ 2 sia l’unica
soluzione del problema di Cauchy. È facile vedere che tale soluzione è unica in [−2, ∞).
Esempio 3.6.2 Consideriamo l’eq. diff. y0 = x (1 + y2 ). Qui le funzioni f (x) = x e g(y) = 1 + y2 sono definite su tutto R
e la g non è mai nulla. Utilizziamo il metodo descritto per ottenere delle soluzioni:
y0 dy dy
Z Z
y0 = x (1 + y2 ) ⇒ =x ⇒ = x dx ⇒ = x dx
1 + y2 1 + y2 1 + y2
x2 π
+ c< ,
x2 2 2
⇒ arctan y(x) = + c ⇒ 2
!
2 x
y(x) = tan +c ,
2
2
dove c ∈ R è una costante arbitraria. La penultima uguaglianza implica che x2 + c < π2 perché l’immagine della funzione
√ √
√ è (−π/2,
arcotangente
√ √ √ π/2). Ad esempio, se c = 0 si ha x ∈ (− π, π), mentre se c = −π si hanno i due intervalli
(− 3π, − π) e ( π, 3π), a cui corrispondono due distinte soluzioni in quanto definite su intervalli disgiunti.
Esempio 3.6.3 Per l’eq. diff. y0 = −x/y, la funzione f (x) = x è definita su R mentre la g(y) = 1/y è definita su R \ {0} e
non è mai nulla. Cerchiamo soluzioni y(x) 6= 0 col solito metodo:
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 36
x
Z Z
y0 = − ⇒ y y0 = −x ⇒ y dy = −x dx ⇒ y dy = − x dx
y
( √
y2 x2 y(x) = ± 2c − x2 ,
⇒ = − +c ⇒ √ √
2 2 x ∈ (− 2c, 2c),
dove c > 0 è una costante arbitraria. La penultima uguaglianza implica che ciascuna soluzione è definita solo in
√ √ 2
(− 2c, 2c), perché solo per tali x si ha − x2 + c ≥ 0.
√
Le soluzioni hanno per grafici delle semicirconferenze di raggi 2c, con c > 0 arbitrario. Si osservi che la √
penultima
uguaglianza è equivalente a x2 + y2 = 2c, che è l’equazione
p della circonferenza
√ √ di centro l’origine e raggio 2c. Tale
equazione è risolta anche dalle funzioni x(y) = ± 2c − y2 , y ∈ (− 2c, 2c), ottenute esplicitando la variabile x in
funzione della y. L’equazione x2 + y2 = 2c (che corrisponde all’equazione γ(y) + F(x) = c ottenuta nel 3o passo) rappre-
senta una curva del piano la quale, “localmente”, ossia nell’intorno di ogni suo fissato punto, è grafico di una funzione
x 7→ y(x), oppure y 7→ x(y).
Prima di tutto osserviamo che y = 0 è l’unica soluzione costante dell’eq. diff.. Quindi se y 6= 0, separando le variabili e
integrando si ottiene
Z
dy
Z
1 x 2 y(x) = ± √ 1
,
= x dx ⇒ − 2 = +c ⇒ √ −2c √− x
2
y3 2y 2 x ∈ (− −2c, −2c),
dove c < 0. Imponendo la condizione di Cauchy si ottiene c = −1/2 ed il segno positivo davanti alla radice, cioè
1
y(x) = √ , x ∈ (−1, 1).
1 − x2
L’eq. diff. non ammette soluzioni costanti. Separando le variabili ed integrando si ottiene
( √
y2 y(x) = ± 4x + 2c,
Z Z
y dy = 2 dx ⇒ = 2 x+c ⇒
2 x ≥ −c/2,
x2 − x
x0 = .
t
Si osservi che g(x) = x2 − x si annulla in 0 ed 1, dunque x1 (t) = 0 e x2 (t) = 1 sono le due soluzioni costanti. Cerchiamo
soluzioni x(t) 6∈ {0, 1} col solito metodo:
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 37
x2 − x
Z
0
Z
dx 1 1
Z
dt 1−x 1
x = ⇒ 2
= − dx = ⇒ ln
= ln − 1 = ln |t| + c
t x −x x−1 x t x x
1 1
1 − 1 = ec |t| x(t) = se t 6= 0 e x(t) < 1 x(t) = se t 6= 0
⇒ x(t) ⇒ 1 + ec |t| ⇒ 1 + ec |t|
1 1
t 6= 0, x(t) 6= 1
x(t) =
se t 6= 0 e x(t) > 1 x(t) =
se |t| < e−c .
1 − ec |t| 1 − ec |t|
x2 t2
Z Z p
(1 − x) dx = (1 + t) dt ⇒ x− = t + +k ⇒ x2 − 2 x + (t 2 + 2 t + k) = 0 ⇒ x(t) = 1 ± c − 2 t − t 2,
2 2
√ √
dove c = 1 − k > 0. Chiaramente ciascuna soluzione è definita solo in (−1 − 1 + 4c, −1 + 1 + 4c). Si osservi che la
soluzione soddisfa (x − 1)2 + (t + 1)2 = 2 − k = 1 + c.
Osserviamo che l’eq. diff. non ammette soluzioni costanti, che se t 7→ x(t) è una sua soluzione, allora essa non si annulla
mai perché altrimenti troverei 2 = 0, una contraddizione, ed inoltre essa non è definita in t = 0 perché altrimenti troverei
2(1 + x2 (0)) = 0, una contraddizione. Quindi l’eq. diff. equivale all’eq. diff. a variabili separabili
2 1 + x2
x0 = − .
3 t x2
Cerchiamo delle sue soluzioni col solito metodo:
2 1 + x2 x2
Z
1 2 dt 2
Z Z
x0 = −
⇒ dx = 1 − dx = − ⇒ x(t) − arctan x(t) = − ln |t| + c.
3 t x2 1 + x2 1 + x2 3 t 3
x casa
Esempio 3.6.9 Consideriamo l’eq. diff.
2
t +1
x0 = 2 .
t −x−1
Introducendo la nuova variabile
t +1 t +1
y= ⇔ x = t −1−
t −x−1 y
otteniamo
y − (t + 1)y0 (2 y3 − y + 1)y
1− = 2 y2 ⇔ y2 − y + (t + 1)y0 = 2 y4 ⇔ y0 = .
y2 t +1
Si tratta di un’eq. diff. a variabili separabili la cui soluzione è calcolata come segue
Z
dt dy 1 1 1 2 4 y−2 2 −2
Z Z
= = − − − dy
t +1 y(1 + y)(2 y2 − 2 y + 1) y 5 1 + y 5 2y2 − 2y + 1 5 1 + (1 − 2y)2
1 2 2
⇔ ln(t + 1) + c = ln(y) − ln(1 + y) − ln(2y2 − 2y + 1) − arctan(1 − 2y)
5 5 5!
y 5
⇔ 2 arctan(1 − 2y) + 5c = ln .
(t + 1)5 (1 + y)(2y2 − 2y + 1)2
03/10/2017
Esempio 3.6.10 Utilizzando la sostituzione v(x) = y(x)/x, un’eq. diff. della forma
y
y0 = g , (3.23)
x
1
g v(x) = y0 (x) = v(x) + x v0 (x) v0 =
y(x) = x v(x) ⇒ ⇒ g(v) − v .
x
Risolviamo ad esempio il problema di Cauchy
(
t 2 x0 + x2 = t x x0 ,
x(1) = 1.
x2 (x/t)2
t(x − t)x0 = x2 ⇔ x0 = =
t(x − t) (x/t) − 1
1
According to Mathematica, the solution to the original ODE è implicitly given by
1+t
2 arctan + ln (32t − 16x)(5 + t(2 + t) + x(4 + x))2 = C.
2+x
Osserviamo che
" " # # " " # #
x+t +3 2 1+t 2
2 arctan + ln (2t − x) 5 + t(2 + t) + x(4 + x) − 2 arctan + ln (32t − 16x) 5 + t(2 + t) + x(4 + x)
x−t +1 2+x
" #
(x/t)2 y2 y2
Z
d 1 y 1 dt
Z
= x0 ⇔ = (t y) = y + t y0 ⇔ 0
y = −y = ⇔ 1− dy =
(x/t) − 1 y − 1 dt t y−1 t(y − 1) y t
⇔ y − ln |y| = ln |t| + c.
x(t)
− ln x(t) = c.
t
Osserviamo x(t) = t se e solo se ln |t| = c − 1, ovvero t = ±ec−1 . Imponendo la condizione di Cauchy troviamo che c = 1.
(x/t) − 1 y−1 d
= x0 ⇔ = (t y) = y + t y0 ⇔
(x/t) + 1 y + 1 dt
y2 + 1 ln(y2 + 1)
1 y−1 y+1 dt
Z Z
y0 = −y = − ⇔ dy = − ⇔ arctan(y) + = − ln |t| + c.
t y+1 t(y + 1) y2 + 1 t 2
x casa
Esempio 3.6.12 Risolviamo il problema di Cauchy
t x0 − x ln x + 1 = 0,
t
x(1) = e.
h i
Per t 6= 0, l’eq. diff. può essere scritta nella forma (3.23) con g(ξ ) = ξ ln ξ + 1 . Il problema di Cauchy nella variabile
y = x/t diventa (
y + t y0 − y ln(y) + 1 = 0 ⇔ t y0 − y ln(y) = 0 ⇔ y0 = y ln(y)
t ,
y(1) = e.
Risolviamo l’eq. diff. a variabili separabili così ottenuta come segue
Z y(t) Z y(t) Zt
dz d(ln(z)) ds
y(t) = et .
= = ln ln y(t) = = ln(t) ⇔ ln ln y(t) = ln(t) ⇔
e z ln(z) e ln(z) 1 s
Tornando alle variabili originali, otteniamo x(t) = t et come soluzione al problema di Cauchy originale.
x casa
Esercizio 3.6.13 Risolvere le eq.i diff.i
s
x y y2
y0 = 2 − , y0 = + 1+ , x2 y0 = y2 + x y + 4 y2 .
y x x2
dove a e b sono funzioni continue in I. Sia y una soluzione dell’equazione. Scelta arbitrariamente una primitiva A di a in
I, moltiplicando i due membri dell’equazione per e−A(x) si ottiene
d −A(x)
e−A(x) b(x) = e−A(x) y0 (x) − a(x) y(x) =
e y(x) , x ∈ I;
dx
dunque e−A y è una primitiva di e−A b in I. Quindi, scelto arbitrariamente x0 ∈ I, esiste c ∈ R per cui
Z x
e−A(x) y(x) = e−A(t) b(t) dt + c, x ∈ I,
x0
Viceversa, se y è una funzione di questo tipo (con x0 ∈ I e c ∈ R arbitrariamente fissati), allora per ogni x ∈ I si ha
Z x
y0 (x) = a(x) eA(x) e−A(t) b(t) dt + c + eA(x) e−A(x) b(x) = a(x) y(x) + b(x),
x0
y(x0 ) = y0 ,
Rx
allora prendendo A(x) = x0 a(t) dt ricaviamo che la soluzione del corrispondente problema di Cauchy è
Z x Zt ! Z x
y(x) = y0 + b(t) exp − a(s) ds dt exp a(t) dt , x ∈ I.
x0 x0 x0
Esempio 3.6.14 Consideriamo l’equazione y0 = 2 x y + x3 . Una primitiva della funzione a(x) = 2 x è A(x) = x2 .
2
Moltiplicando l’equazione per e−x si ottiene
d −x2 2
e y(x) = x3 e−x .
dx
Integrando per parti si ha dunque
x2 + 1 2
y(x) = − + c ex , c ∈ R.
2
Imponendo la condizione di Cauchy y(0) = 1/2 otteniamo c = 1 e quindi un’unica soluzione in accordo con il teorema di
esistenza ed unicità locali.
Non sempre i calcoli per risolvere un’eq. diff. possono essere esplicitamente svolti, perché talvolta le primitive non
2 2
sono esprimibili in forma chiusa: ad esempio la semplicissima equazione y0 = e−x ha le soluzioni y(x) = c + 0x e−t dt.
R
x casa
Esempio 3.6.15 Risolviamo il problema di Cauchy
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 41
x0 + x = ln(t),
t
x(1) = 1.
Si tratta di un’eq. diff. lineare della forma (3.24) con a(t) = −1/t e b(t) = ln(t). Pertanto la soluzione al problema di
Cauchy è
" Z t Z τ # Zt Z t
ds ds
x(t) = 1 + ln(τ) exp dτ exp − = 1 + ln(τ) exp ln(τ) dτ exp − ln(t)
1 1 s 1 s 1
"
# " #
Z t Z t 2 2 2
1 1 d τ τ 1 t t 1 5 t 1
= 1 + τ ln(τ) dτ = 1 + ln(τ) − dτ = 1 + ln(t) − + = + ln(t) − .
t 1 t 1 dτ 2 2 t 2 4 4 4t 2 2
x casa
Esempio 3.6.16 L’eq. diff.
x + (t − x3 ) x0 = 0
non è lineare. È possibile ottenere un’eq. diff. lineare come segue. Sia τ la funzione inversa di x, ovvero
τ(x(t)) = t.
x(t) ξ 3 − τ(ξ ) 1
1 = τ 0 (x(t)) x0 (t) = −τ 0 (x(t)) ⇔ τ 0 (ξ ) = = − τ(ξ ) + ξ 2 .
t − x(t)3 ξ ξ
L’eq. diff. per τ così ottenuta è lineare e ha la forma (3.24) con a(ξ ) = −1/ξ e b(ξ ) = ξ 2 , pertanto
! " Z #
Z y ! " #
1 1 y
Z ξ ξ Z ξ
2 2 ξ0
τ(ξ ) = τ0 + y exp dx dy exp − dx = τ0 + y exp ln dy exp ln
ξ0 ξ0 x ξ0 x ξ0 ξ0 ξ
" # " # " #
ξ3 ξ3
Z ξ 3
ξ0 y ξ0 ξ4 ξ0 ξ3
= τ0 + dy = τ0 + − 0 = τ0 − 0 + .
ξ ξ0 ξ0 ξ 4ξ0 4 ξ 4 4
Di conseguenza " #
ξ0 ξ03 x(t)3
t = τ(x(t)) = τ0 − + .
x(t) 4 4
x casa
Esempio 3.6.17 Solve the linear equation
t 1
x0 + x= .
1 + t2 (1 + t 2 )t
We first consider the associated separable ODE
t dx t 1
Z Z
x0 + x=0 ⇔ =− dt ⇔ ln(x) = −
1 + t2 x 1 + t2 2
C
ln(1 + t 2 ) +C ⇔ x= √ .
1 + t2
We ora introduce
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 42
u(t)
x(t) = √
1 + t2
in the linear ODE and obtain the following separable ODE
u 0 (t) tu(t) tu(t) 1 1
√ − 3/2 + 3/2 = ⇔ u0 (t) = √ ,
1+t 2
1+t 2 1+t 2 1 + t2 t 1 + t2 t
x casa
Esempio 3.6.18 Solve the linear equation
t − 2 t x − x2 x0 + x2 = 0.
The above equation è not linear. However we obtain a liner ODE by changing the role between t and x:
dt 1 2 1−2 x
+ 2− t =1 ⇔ t0 + t = 1.
dx x x x2
t = (1 +C e1/x(t) ) x(t)2 .
04/10/2017
Esempio 3.6.19 Utilizziamo un metodo alternativo, più facile da ricordare, per risolvere il problema di Cauchy
(
x0 − 2 t x = t − t 3 ,
x(0) = 2.
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 43
Per prima cosa utilizziamo il metodo per le eq. diff. a variabili separabili per risolvere l’eq. diff. omogenea associata:
dx
Z Z
2 2
x0 − 2 t x = 0 ⇔ =2 t dt ⇔ ln |x| = t 2 + c ⇔ |x| = ec et ⇔ x = C et
x
2
dove C ∈ R. Dunque V0 è generato dalla funzione t 7→ et . Per calcolare ora una soluzione particolare dell’equazione non
omogenea utilizziamo il metodo di variazione delle costanti arbitrarie: introduciamo
2
x(t) = u(t) et
nell’eq. diff. originale ed otteniamo la seguente eq. diff. a variabili separabili per u
2 2 2
(u0 + 2 t u) et − 2 t u et = t − t 3 ⇔ u0 (t) = (t − t 3 ) e−t ,
t 2 d −t 2 t2 t2
Z Z Z Z Z
2 2 2 2 2 2
u(t) −C = (t − t 3 ) e−t dt = t e−t dt + e dt = t e−t dt − t e−t dt + e−t = e−t .
2 dt 2 2
Di conseguenza, una soluzione dell’eq. diff. non omogenea è
!
t 2 −t 2 2 t2 2
x(t) = e +C et = +C et .
2 2
t2 2
x(t) = + 2 et .
2
x casa
Esempio 3.6.20 Consideriamo il problema di Cauchy
x2 − 1 + 2 t − (1 + x2 ) x0 = 0,
t(3) = 1.
L’eq. diff. non è lineare. Tuttavia, scambiando i ruoli di t e x si ottiene un’eq. diff. lineare come segue:
dt 2t x2 + 1
(x2 − 1) + 2 t − (1 + x2 ) = 0 ⇔ t0 + = 2 .
dx x2 − 1 x2 − 1
Consideriamo prima l’equazione omogenea associata
Z
2t dt 2 1 1 1+x 1+x
Z Z
0
t + 2 =0 ⇔ = ln(t) +C = dx = + dx = ln ⇔ t =C .
x −1 t 1 − x2 1+x 1−x 1−x 1−x
1 + x2
u0 (x) = −2
(1 + x)2
1 + x2
Z
2 2 2
Z Z
− du = c − u = 2 dx = 2 1− + dx = 2 x − 2 ln(1 + x) −
(1 + x)2 1 + x (1 + x)2 1+x
2 1+x
t(x) = 2 C − x + + 2 ln(1 + x) .
1+x 1−x
Scambiando nuovamente i ruoli di t e x, abbiamo che la soluzione dell’equazione originale è implicitamente data da
2 1 + x(t)
t = 2 C − x(t) + + 2 ln 1 + x(t) .
1 + x(t) 1 − x(t)
Imponendo la condizione di Cauchy otteniamo C = 94 − 4 ln 2; dunque la soluzione del problema di Cauchy è implicita-
mente data da
9 2 1 + x(t)
t =2 − 4 ln 2 − x(t) + + 2 ln 1 + x(t) .
4 1 + x(t) 1 − x(t)
1. Dimostrare che per ogni n ∈ N il problema ammette un’unica soluzione yn ed indicare l’intervallo massimale di
esistenza con In .
2. Dopo aver indicato con I l’intersezione tra i vari intervalli In , calcolare, se ciò ha senso, il
lim yn (x) x ∈ I.
n→∞
Si tratta quindi di un’equazione lineare del primo ordine. La soluzione del problema di Cauchy è pertanto
Z Z x
! t
Z x
yn (x) = y0 + b(t) exp − a(s) ds dt exp a(t) dt
x0 x0 x0
Z x Zt ! Z x
2
= 0+ n exp − n sin(n s) ds dt exp n sin(nt) dt
0 0 0
x
Z
= n2
exp cos(nt) − 1 dt exp 1 − cos(n x)
0
Z x
2
=n ecos(nt)−cos(n x) dt.
0
infatti
Z x
x<0: yn (x) ≤ n2 e−2 dt = x n2 e−2 −−−→ −∞,
0 n→∞
x=0: yn (x) = 0 −−−→ −∞,
n→∞
Z x
x>0: yn (x) ≥ n 2
e−2 dt = x n2 e−2 −−−→ ∞.
0 n→∞
(
y0 = n2 y + n sin(n x),
y(0) = 0.
1. Dimostrare che per ogni n ∈ N il problema ammette un’unica soluzione yn ed indicare l’intervallo massimale di
esistenza con In .
2. Dopo aver indicato con I l’intersezione tra i vari intervalli In , calcolare, se ciò ha senso, il
lim yn (x) x ∈ I.
n→∞
Si tratta quindi di un’equazione lineare del primo ordine. La soluzione del problema di Cauchy è pertanto
Z Z x
! t
Z x
yn (x) = y0 + b(t) exp − a(s) ds dt exp a(t) dt
x0 x0 x0
Z x Zt ! Z x
2
= 0+ n sin(nt) exp − n ds dt exp n2 dt
0 0 0
Z x
2x 2
= n en sin(nt) e−n t dt = (∗)
0
d
cos(nt)
Z Z
2 2
sin(nt) e−n t dt = − e−n t dt
n dt
Z
cos(nt) d −n2 t cos(nt) −n2 t
=− − e dt − e
n dt n
cos(nt) −n2 t
Z
2
= −n cos(nt) e−n t dt − e
n
d sin(nt) cos(nt) −n2 t
Z
2
= −n e−n t dt − e
dt n n
sin(nt) d −n2 t sin(nt) −n2 t cos(nt) −n2 t
Z
=n e dt − n e − e
n dt n n
cos(nt) −n2 t
Z
2 2
= −n2 sin(nt) e−n t dt − sin(nt) e−n t − e
n
1 cos(nt) n sin(nt) + cos(nt) −n2 t
Z
2 2
⇒ sin(nt) e−n t dt = − 2
sin(nt) + e−n t = − e
1+n n n (1 + n2 )
( p
y0 = 1 − y2
y(0) = 1
Esercizio 3.6.25 Determinare l’insieme delle soluzioni delle seguenti eq.i diff.i:
y
y0 = − + x − 2, y0 = −2 x y + x e−x , y0 = −y tan x + sin x,
1 + x2
2y y y e−x
y0 = + x, y0 = + 1 − x, y0 = − − .
x 1 − x2 x x
lim y(x) = 0.
x→∞
dove α è un numero reale diverso da 0 e da 1. Mediante la sostituzione v(x) = y(x)1−α , si ottiene un’eq. diff. lineare
nell’incognita v:
1 1 1 1 α 1 α
y(x) = v(x) 1−α y0 (x) =
⇒ v(x) 1−α −1 v0 (x) = v(x) 1−α v0 (x) = p(x) v(x) 1−α + q(x) v(x) 1−α
1−α 1−α
α
h 1 α
i
0 − 1−α
⇒ v (x) = (1 − α) v(x) p(x) v(x) 1−α + q(x) v(x) 1−α = (1 − α) p(x) v(x) + q(x) .
Dunque
Z x Z t ! Z x
v(x) = v0 + (1 − α) q(t) exp −(1 − α) p(s) ds dt exp (1 − α) p(t) dt
x0 x0 x0
dove t0 > 0 ed x0 > 0. L’eq. diff. può essere scritta nella forma (3.25) con p(t) = −2/t, q(t) = 2/ cos2 t e α = 1/2. Di
conseguenza, la soluzione è
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 47
" #2
1 t 2
Zτ Zt
√ 1 2 2
Z
x(t) = x0 + exp ds dτ exp − ds
2 t0 cos2 τ 2 t0 s t0 s
2
Z t ! " #
√ 1 τ t0
= x0 + 2τ
exp ln dτ exp 2 ln
t0 cos t0 t
2 2 2 2
t0 √ 1 t τ t0 √ 1 t d
Z Z
= x0 + dτ = x0 + τ (tan τ) dτ
t t0 t0 cos2 τ t t0 t0 dτ
2 " #2 2
t 2
Zt
t0 √ 1 t t0 √ 1
= x0 + − tan τ dτ + [τ tan τ]t0 = x0 + ln | cos τ| + τ tan τ t
t t0 t0 t t0 0
" #2
1 √ cost
= 2 t0 x0 + ln + t tant − t0 tant0 .
t cost0
x y3 + x2
y0 = 2 y − 3 y2 , y0 = −2 x y + x3 y3 , y0 = .
y2
x casa
Esempio 3.6.29 Consideriamo il problema di Cauchy
(
x0 + 2 t x = 2(t x)3 ,
x(0) = 2.
x casa
Esempio 3.6.30 Risolviamo l’eq. diff. di Bernoulli
√
2x 2 x
x0 + = 2 .
t t
Chiaramente x ≡ 0 è una soluzione. Assumiamo ora che x 6= 0. Introducendo il cambio di variabili
y = x1/2 ⇔ x = y2
2 y2 2y y 1
2 y y0 + = 2 ⇔ y0 + = 2.
t t t t
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 48
Per risolvere tale equazione, prima consideriamo l’equazione omogenea a variabili separabili associata
y dy dt C
Z Z
y0 + =0 ⇔ =− ⇔ y= .
t y t t
u0t − u u 1 1
2
+ 2= 2 ⇔ u0 = ⇔ u = ln(t) +C.
t t t t
In conclusione, la soluzione dell’equazione lineare è
ln(t) +C
y= ,
t
e tornando alle variabili originali, la soluzione dell’equazione originale è
2
ln(t) +C
x(t) = .
t
x casa
Esempio 3.6.31 Troviamo una soluzione all’equazione
t2 0
x3 − x + t = 0.
x
Osserviamo che x ≡ 0 non è una soluzione di tale equazione, che è equivalente all’equazione di Bernoulli
x x4
x0 − = 2.
t t
Introducendo il cambio di variabili
y = x−3 ⇔ x = y−1/3
1 y−1/3 y−4/3 3y 3
− y−4/3 y0 − = 2 ⇔ y0 + = − 2.
3 t t t t
Per risolvere tale equazione, prima consideriamo l’equazione omogenea a variabili separabili associata
3y dy dt C
Z Z
y0 + =0 ⇔ = −3 ⇔ y= .
t y t t3
u0t 3 − 3ut 2 3u 3 3t 2
6
+ 4 =− 2 ⇔ u0 = −3t ⇔ u=− +C.
t t t 2
In conclusione, la soluzione dell’equazione lineare è
3t 2 +C
y=− ,
2 t3
e tornando alle variabili originali, la soluzione dell’equazione originale è
" #−1/3 1/3
3t 2 +C
2
x(t) = − =− t.
2 t3 3t 2 +C
x casa
Esempio 3.6.32 Troviamo una soluzione al problema di Cauchy
(
x + t (1 + t x4 ) x0 = 0,
x(1) = 3.
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 49
Osserviamo che x ≡ 0 è una soluzione. Assumiamo ora che x 6= 0. Scambiando i ruoli di t e x si ottiene l’equazione di
Bernoulli
dt t
+ = −x3 t 2 .
dx x
Introduciamo il cambio di variabili
s = 1/t ⇔ t = 1/s
s0 1 x3 s
− 2
+ =− 2 ⇔ s0 − = x3 .
s sx s x
Per risolvere tale equazione, prima consideriamo l’equazione omogenea a variabili separabili associata
s ds dx
Z Z
s0 − =0 ⇔ = ⇔ s = Cx.
x s x
Introduciamo quindi s(x) = u(x) x nell’equazione lineare ed otteniamo
x3
u0 x + u − u = x3 ⇔ u0 = x2 ⇔ u= +C.
3
In conclusione, la soluzione dell’equazione lineare è
x4
s= +C x,
3
e tornando alle variabili originali, la soluzione dell’equazione originale è
3
t= .
x(t)3 +C x(t)
Esempio 3.6.33 Supponiamo di conoscere una soluzione ψ(x) dell’eq. diff. di Riccati
1 2 1 0 v0
1
a ψ+ +b ψ + +c = ψ + = ψ0 − 2
v v v v
2 !
1 1 1 a
⇒ v0 = v2 ψ 0 − a ψ + −b ψ + − c = v2 (ψ 0 − a ψ 2 − b ψ − c) − (2 a ψ + b) − 2
v v v v
⇒ v0 = − (2 a ψ + b) v − a.
y0 = y2 − x y + 1.
Calcoliamo una soluzione particolare dell’eq. non omo. con il metodo della variazione delle costanti
!
x2
Z x
v(x) = c(x) exp −2 ψ(z) dz
2 0
! !
x 2 Z x
x 2 Z x
c0 + c (x − 2ψ) exp
⇒ −2 ψ(z) dz = (x − 2 ψ) c exp −2 ψ(z) dz − 1
2 0 2 0
! !
x2 s2
Z x Z x Z s
0
⇒ c = − exp − + 2 ψ(z) dz ⇒ c(x) = − exp − + 2 ψ(z) dz ds.
2 0 0 2 0
x casa
Esempio 3.6.34 Consideriamo l’eq. diff.
1
x0 = x2 +
.
4t 2
L’equazione suggerisce di cercare una soluzione della forma x = A/t. Introducendola nell’equazione otteniamo
A A2 1 1
− 2
= 2 + 2 ⇔ 4A2 + 4A + 1 = 0 ⇔ (2A + 1)2 = 0 ⇔ A=− .
t t 4t 2
La soluzione particolare è allora
1
ϕ =− .
2t
Introducendo nell’equazione originale le nuove variabili
1
x = y−
2t
otteniamo l’equazione di Bernoulli
1 2
0 1 1 y
y + 2 = y− + 2 ⇔ y0 + = y2 ,
2t 2t 4t t
la cui soluzione è
1
y= .
t(C − ln |t|)
Per quanto visto, la soluzione generale è
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 51
1 1
x = y+ϕ = − .
t(C − ln |t|) 2 t
x casa
Esempio 3.6.35 Troviamo una soluzione particolare della forma x = at + b, e poi la soluzione generale dell’eq. diff. di
Riccati
x0 = x2 − 2 t x + t 2 + 1.
Tale equazione ha la forma dell’equazione di Riccati
con
dove a0 , a1 e f sono funzioni continue nell’intervallo I ⊆ R. Consideriamo anche l’equazione omogenea associata
Come nel caso delle eq.i diff.i lineari del primo ordine, l’insieme delle soluzioni dell’equazione omogenea (3.27) è uno
spazio vettoriale V0 . Vedremo che esso ha dimensione 2 (pari all’ordine dell’equazione). L’insieme V f delle soluzioni
dell’eq. diff. non omogenea (3.26) è ancora uno spazio affine, ottenibile dallo spazio vettoriale V0 per mezzo di una
traslazione. In effetti, se v ∈ V f allora
V f = {u0 + v : u0 ∈ V0 }.
Infatti, se u ∈ V f allora u − v ∈ V0 , perché
cioè u ∈ V f .
Pertanto, per determinare completamente V f basta caratterizzare completamente V0 e trovare un singolo, arbitrario
elemento di V f .
(a) Caratterizzazione di V0 . Proviamo anzitutto che lo spazio vettoriale V0 ha dimensione 2. Fissato un punto x0 ∈ I,
consideriamo i due problemi di Cauchy
( (
y00 + a1 (x) y0 + a0 (x) y = 0, y00 + a1 (x) y0 + a0 (x) y = 0,
y(x0 ) = 1, y0 (x0 ) = 0, y(x0 ) = 0, y0 (x0 ) = 1.
Essi sono univocamente risolubili (per il teorema di esistenza ed unicità locali, dopo averli trasformati in problemi
di Cauchy per sistemi lineari del primo ordine); inoltre le soluzioni sono definite su tutto l’intervallo I in virtù del
teorema del prolungamento. Denotiamo tali soluzioni con y1 ed y2 .
Dimostriamo che y1 ed y2 sono linearmente indipendenti, ossia che se λ1 e λ2 sono costanti tali che λ1 y1 + λ2 y2 ≡ 0
in I, allora λ1 = λ2 = 0. La funzione x 7→ λ1 y1 (x) + λ2 y2 (x) è l’unica soluzione del problema di Cauchy
(
y00 + a1 (x) y0 + a0 (x) y = 0,
y(x0 ) = λ1 , y0 (x0 ) = λ2 ,
quindi se tale soluzione è identicamente nulla, deve essere λ1 = 0 e λ2 = 0. Proviamo ora che y1 ed y2 generano
V0 , ossia che ogni elemento di V0 è combinazione lineare di y1 ed y2 . Fissata una funzione u ∈ V0 , poniamo v(x) =
u(x0 ) y1 (x) + u0 (x0 ) y2 (x): allora v è soluzione del problema di Cauchy
(
y00 + a1 (x) y0 + a0 (x) y = 0,
y(x0 ) = u(x0 ), y0 (x0 ) = u0 (x0 );
problema che è risolto anche da u: per unicità, deve essere u ≡ v, e pertanto possiamo scrivere u ≡ λ1 y1 + λ2 y2 con
λ1 = u(x0 ) e λ2 = u0 (x0 ), ossia u è combinazione lineare di y1 ed y2 . Le due funzioni y1 ed y2 formano quindi una
base dello spazio vettoriale V0 . Abbiamo così individuato la struttura di V0 : osserviamo però che in generale non si
riesce a determinare esplicitamente una base {y1 , y2 } di V0 . Se però l’eq. diff. lineare ha coefficienti costanti, ossia
a0 (x) ≡ a0 ed a1 (x) ≡ a1 , si possono cercare y1 ed y2 della forma x 7→ eλ x . Sia dunque y(x) = eλ x , con λ numero da
determinare: imponendo che y ∈ V0 , si ha
0 = y00 + a1 y0 + a0 y = eλ x (λ 2 + a1 λ + a0 ),
e poiché eλ x 6= 0 si deduce che λ deve essere radice del polinomio caratteristico P(ξ ) = ξ 2 + a1 ξ + a0 , ossia deve
essere λ 2 + a1 λ + a0 = 0. Distinguiamo tre casi possibili:
1o caso: 2 radici reali distinte λ1 e λ2 . Vi sono dunque due soluzioni eλ1 x ed eλ2 x . Esse sono linearmente
indipendenti perché, supposto ad esempio λ1 6= 0, si ha
c1 eλ1 x + c2 eλ2 x ≡ 0 ⇒ eλ1 x c1 + c2 e(λ2 −λ1 )x ≡ 0 ⇒ c1 + c2 e(λ2 −λ1 )x ≡0
derivando essendo λ 6=λ dalla prima uguaglianza
=====⇒ c2 (λ2 − λ1 )e(λ2 −λ1 )x ≡ 0 =======
2 1
=⇒ c2 = 0 ============⇒ c1 = c2 =0.
Dunque n o
V0 = c1 eλ1 x + c2 eλ2 x : c1 , c2 ∈ R .
2o caso: una radice reale doppia λ . In tal caso λ = −a1 /2 ed a21 = 4a0 . Una soluzione è eλ x ; un’altra è x eλ x :
infatti
d d2
(x eλ x ) = eλ x (1 + λ x), (x eλ x ) = eλ x (λ 2 x + 2λ ),
dx dx2
da cui
d2 λx d λx λx λx
2
(x e ) + a1 (x e ) + a0 x e = e λ x + 2λ + a1 (1 + λ x) + a0 x
dx2 dx
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 53
!
essendo
=e λ 2 + a1 λ + a0 x + (2λ + a1 ) =
λx
= eλ x 0 = 0.
2λ + a1 = 0
c1 x eλ x + c2 eλ x ≡ 0 ⇒ eλ x (c1 x + c2 ) ≡ 0 ⇒ c1 x + c2 ≡ 0 ⇒ c1 = c2 = 0.
Dunque n o
V0 = c1 x eλ x + c2 eλ x : c1 , c2 ∈ R .
3o caso: due radici complesse coniugate λ1 = a + ib e λ2 = a − ib ib. Abbiamo due soluzioni eλ1 x e eλ2 x , che so-
o
no linearmente indipendenti (stesso calcolo fatto nel 1 caso) ma sono a valori complessi, mentre a noi
interessano le soluzioni reali. Essendo e(a±ib)x = eax cos(bx) ± i sin(bx) , possiamo scrivere
c1 eλ1 x + c2 eλ2 x = eax c1 cos(bx) + i sin(bx) + c2 cos(bx) − i sin(bx)
= (c1 + c2 )eax cos(bx) + i(c1 − c2 )eax sin(bx) = k1 eax cos(bx) + k2 eax sin(bx),
v00 + a1 (x)v0 + a0 (x)v = v001 y1 + 2v01 y01 + v1 y001 + v002 y2 + 2v02 y02 + v2 y002
ossia
d 0
(v1 y1 + v02 y2 ) + (v01 y01 + v02 y02 ) + a1 (x)(v01 y1 + v02 y2 ) = f (x).
dx
Questa equazione è certamente soddisfatta se si impongono le seguenti due condizioni:
(
v01 y1 + v02 y2 = 0 in I,
(3.28)
v01 y01 + v02 y02 = f in I.
Si tratta di un sistema algebrico lineare nelle incognite v01 e v02 , con coefficienti y1 , y2 , y01 , y02 , la cui matrice
!
y1 (x) y2 (x)
y01 (x) y02 (x)
Proviamo anzitutto che D(x) 6= 0 per ogni x ∈ I se e solo se esiste x0 ∈ I in cui D(x0 ) 6= 0; fatto ciò, proveremo che
tale x0 esiste, e quindi che D(x) 6= 0 per ogni x ∈ I. Sia dunque D(x0 ) = y1 (x0 ) y02 (x0 ) − y01 (x0 ) y2 (x0 ) = α 6= 0: si ha
da cui y1 (x) ≡ c y2 (x), il che contraddice la lineare indipendenza di y1 ed y2 . In definitiva, per ogni x ∈ I il siste-
ma (3.28) ha determinante dei coefficienti non nullo e pertanto è univocamente risolubile: ciò permette di determinare
univocamente le funzioni v01 e v02 . Infine si scelgono due primitive arbitrarie v1 e v2 , e la funzione v corrispondente,
per costruzione, apparterrà a V f . In conclusione, otteniamo
V f = {v + v0 : v0 ∈ V0 } = (c1 + v1 ) y1 + (c2 + v2 ) y2 : c1 , c2 ∈ R .
Da questa descrizione di V f si vede anche che una diversa scelta delle primitive di v01 e v02 non modifica l’insieme V f .
09/10/2017
Esempio 3.6.37 L’equazione lineare del secondo ordine più semplice è
y00 (t) = 0,
le cui soluzioni sono tutti e soli i polinomi di primo grado y(t) = c1 t + c2 , con c1 , c2 costanti arbitrarie.
Esempio 3.6.38 Consideriamo un punto materiale di massa m che rimane libero di muoversi in linea orizzontale, attac-
cato ad una molla che esercita una forza di richiamo di tipo elastico. Denotiamo con y(t) la posizione del punto sulla
retta (rispetto alla configurazione di riposo). Allora la y soddisfa l’equazione
m y00 = −k y
dove k > 0 è la costante elastica del sistema. Siccome m 6= 0, si può riscrivere l’equazione in forma normale come
y00 + ω 2 y = 0
dove ω 2 = k/m. Si tratta di un’equazione è un’eq. diff. ordinaria del secondo ordine lineare omogenea a coefficienti
costanti, e prende il nome di oscillatore armonico. Se sul punto agisce una forza esterna (dipendente solo dal tempo t)
l’equazione si riscrive come
y00 + ω 2 y = f (t);
se invece si considera lo smorzamento dovuto all’attrito, detto h > 0 il coefficiente di attrito, l’equazione diventa
y00 + h y0 + ω 2 y = 0.
Risolviamo prima l’eq. diff. omogenea. Le radici del polinomio caratteristico λ 2 + 1 sono ±i, quindi
Per trovare una soluzione dell’equazione non omogenea che abbia la forma
si tratta di un’eq. diff. ordinaria del secondo ordine lineare, a coefficienti costanti omogenea. Il polinomio caratteristico
è
r2 − 2r − 3 = 0
le cui soluzioni sono r1 = −1 e r2 = 3. Quindi l’integrale generale dell’equazione è
x1 = e−t , x2 = et/2 .
Esercizio 3.6.42 (Riduzione dell’ordine) Si provi che se si conosce una soluzione (non nulla) y1 (x) dell’eq. diff. y00 +
a1 (x) y0 + a0 (x) y = 0, allora se ne può trovare un’altra, linearmente indipendente dalla prima, della forma y2 (x) =
y1 (x)v(x), riducendosi ad una equazione lineare del primo ordine nell’incognita v0 . Si applichi tale metodo per risolvere
l’equazione differenziale di Legendre
(1 − x2 )y00 − 2 x y0 + 2 y = 0.
[Traccia: si osservi che y1 (x) = x è soluzione dell’equazione.]
x2 y00 + x a1 y0 + a0 y = 0
hanno soluzioni del tipo y(x) = xα , con α ∈ C. Si risolva con questo metodo l’equazione x2 y00 + x y0 − y = 3.
Sappiamo che per ottenere la soluzione generale dell’eq. diff. lineare del secondo ordine (3.26) basta sommare alla
soluzione generale dell’equazione omogenea associata (3.27) una soluzione particolare di (3.26). Il metodo di variazione
della costanti arbitrarie per ottenere una soluzione particolare di (3.26) è molto importante dal punto di vista teorico,
ma sul piano pratico comporta spesso calcoli lunghi e complessi. Un metodo più efficace, anche se meno generale, è il
metodo delle predizioni, applicabile solo per equazioni con termini non omogenei f di tipo speciale. Infatti, spesso f
suggerisce la forma della soluzione particolare. La seguente tabella mostra la possibile forma della soluzione particolare
in base alla forma della funzione f .
2 x00 + 3x0 − x = t 2 + 3.
x = At 2 + Bt +C.
x00 + x = sin(t).
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 57
x1 = sin(t), x2 = cos(t).
x = A sin(t) + B cos(t).
Purtroppo tale funzione è soluzione dell’equazione omogenea. Si utilizzi pertanto il metodo della variazione delle costanti.
Il metodo delle predizioni può essere migliorato nel caso in cui si ha un’eq. diff. lineare del secondo grado a coefficienti
costanti, come mostrato nel seguente esercizio.
Esercizio 3.6.46 (Metodo dei coefficienti indeterminati) Si consideri l’eq. diff. lineare a coefficienti costanti
dove P è un polinomio e µ ∈ C. Si cerchi un elemento v ∈ V f della forma v(x) = xm Q(x) eµ x , dove Q è un polinomio
dello stesso grado di P, mentre m vale 0, o 1, o 2 a seconda che µ non sia radice del polinomio caratteristico, oppure sia
radice semplice, oppure sia radice doppia. Si osservi che il metodo copre anche i casi in cui f contiene le funzioni seno e
coseno. Fissato k numero reale, si applichi il metodo per determinare le soluzioni dell’equazione
y00 + 2 k y0 + y = x2 ex .
Consideriamo prima l’eq. omo. y00 + 4 y =. Introducendo eλ x otteniamo il polinomio caratteristico P(λ ) = λ 2 + 4, che si
annulla per λ = ±2 i. Dunque le soluzioni linearmente indipendenti dell’eq. omo. sono y1 (x) = cos(2 x) e y2 (x) = sin(2 x).
Cerchiamo ora una sol. particolare dell’eq. non omogenea della forma y(x) = c1 (x) cos(2 x) + c2 (x) sin(2 x). Risolviamo
il sistema (3.28)
c01 cos(2 x) sin(2 x) + c02 sin2 (2 x) = 0
(
c01 cos(2 x) + c02 sin(2 x) = 0
⇒ 1
−2 c01 sin(2 x) + 2 c02 cos(2 x) = tan(2 x) −c01 sin(2 x) cos(2 x) + c02 cos2 (2 x) = sin(2 x)
2
1
1
c2 (x) = − 4 cos(2 x) +C2
c02 = sin(2 x)
⇒ 2 ⇒ !
1 1 cos(2 x)
−2 c01 + cos(2 x) =
c1 (x) =
sin(2 x) + ln +C1
cos(2 x)
4 1 + sin(2 x)
perché
!
1 cos(2 x) 1
y(x) = sin(2 x) + ln +C1 cos(2 x) + − cos(2 x) +C2 sin(2 x).
4 1 + sin(2 x) 4
Per il principio di sovrapposizione, la soluzione generale è la somma delle soluzioni generali delle equazioni
Si trovi la soluzione delle equazioni omogenee associate e le soluzioni particolari utilizzando il metodo delle predizioni.
y00 + 2 x y0 + y = 0, x ∈ R,
cerchiamo due soluzioni linearmente indipendenti sotto forma di serie di potenze. Se y(x) = ∑n≥0 an xn è una sol. dell’eq.
diff., visto che
si ha
∑ n (n − 1) an xn−2 + ∑ 2 n an xn + ∑ an xn = (2 a2 + a0 ) + ∑ (n + 2) (n + 1) an+2 + 2 n an + an xn .
0=
n≥2 n≥1 n≥0 n≥1
Abbiamo dunque due soluzioni linearmente indipendenti y1 ed y2 corrispondenti alle scelte (a0 , a1 ) = (1, 0) e (a0 , a1 ) =
(0, 1), ovvero
n
2 n+1
y1 (x) = ∑ − x2n ,
n≥0 (n + 2)(n + 1)
n
2 n+1
y2 (x) = ∑ − x2n+1 .
n≥0 (n + 2)(n + 1)
Esercizio 3.6.53 Trovare una serie di potenze J0 (x) che risolva l’equazione differenziale di Bessel di ordine 0
x y00 + y0 + x y = 0.
Se ne cerchi poi una seconda nella forma Y0 (x) = J0 (x) ln x + g(x), verificando che tale Y0 è soluzione se e solo se g
risolve
x g00 (x) + g0 (x) + x g(x) = −2 J00 (x);
si risolva per serie questa equazione e si determini esplicitamente Y0 .
(t 2 − t) x00 + (3t − 1) x0 + x = 0, t 6= 0, 1.
x casa
Esempio 3.6.55 Determiniamo una soluzione linearmente indipendente da x1 (t) = t dell’equazione
(1 − t 2 ) x00 − 2 t x0 + 2 x = 0.
t 2 x00 + 6 t x0 + x = 0.
Esempio 3.6.57 Applichiamo il metodo delle predizioni per trovare la soluzione generale all’equazione:
x00 − 2 x0 + 4 x = 4 et cos(t).
Introducendo nell’equazione
x = [A sin(t) + B cos(t)]et
otteniamo
[(B − 2) cos(t) + A sin(t)]et = 0.
Prendendo (A, B) = (0, 2) otteniamo la soluzione
x = 2 cos(t) et .
x00 − 2 x0 + 4x = 0.
Esempio 3.6.58 Applichiamo il metodo della variazione delle costanti e troviamo la soluzione generale all’equazione
et
x00 − 2 x0 + x = .
t2 + 1
Consideriamo l’equazione omogenea associata
x00 − 2 x0 + x = 0.
(λ − 1)2 eλ t = 0 ⇔ λ = 1,
pertanto x1 = et e x2 = t et sono due soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione omogenea associata. Risolviamo
il sistema (3.28):
t
u0 (t) + u0 (t)(t + 1) = 1 , u01 (t) = − 2 , 1
u1 (t) = − ln(1 + t 2 ) +C1 ,
1 2
1+t 2 ⇔ t + 1 ⇔ 2
1
u0 (t) + u0 (t)t = 0,
1 2
u02 (t) = 2
, u (t) = arctan(t) +C .
2 2
t +1
Pertanto la soluzione generale dell’equazione è
1 2
t
x = − ln(1 + t ) +C1 + arctan(t) +C2 t e .
2
x000 + x00 + x0 + x = 0.
3.6 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine 61
pertanto x1 = e−t , x2 = cos(t) e x3 = sin(t) sono soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione omogenea e pertanto
la sua soluzione generale è
x(t) = C1 e−t +C2 cos(t) +C3 sin(t).
Cerchiamo ora una soluzione particolare dell’equazione originale. Introducendo in tale equazione
x(t) = (A t + B) et
otteniamo
1 3
et (4 A − 1)t + 6 A + 4 B = 0
⇔ A= , B=− .
4 8
In conclusione la soluzione generale dell’equazione originale è
1 3 t
x(t) = t− e +C1 e−t +C2 cos(t) +C3 sin(t).
4 8
Esempio 3.6.60 Risolviamo il problema di Cauchy per un’eq. diff. lineare del terzo ordine
(
x000 − x0 = 4 t − 6 e−2 t ,
x(0) = 1, x0 (0) = 2, x00 (0) = 3.
x000 − x0 = 0.
λ (λ 2 − 1) = 0,
Cerchiamo ora una soluzione particolare dell’equazione originale della forma ϕ + ψ, dove ϕ e ψ sono soluzioni di
(C1 − 1) e−2 t = 0 ⇔ C1 = 1.
Pertanto possiamo prendere ψ(t) = e−2 t . In conclusione, la soluzione generale dell’equazione originale è
1 −t 7
x(t) = −2 t 2 + e−2 t − e − 3 + et .
2 2
Quanto visto fino ad ora può essere facilmente generalizzato ad equazioni lineari di ordine superiore al secondo, come
si vede nei seguenti esempi.
Esempio 3.6.61 Cerchiamo la soluzione generale dell’equazione
x000 + x0 − 2 = 0.
l’equazione diventa
y00 + y − 2 = 0.
Introducendo y(t) = eλ t nell’equazione omogenea associata a tale equazione, otteniamo
et λ 1 + λ 2 = 0 ⇒ λ1 = −i, λ2 = i;
λ1 = −1, λ2 = 1, λ3 = −i, λ4 = i.
La tabella 3.1 suggerisce di cercare una soluzione particolare dell’equazione non omogenea della forma
1
x = C1 e−t +C2 et +C3 sin(t) +C4 cos(t) + sin(2 t),
15
dove C1 , . . . ,C4 sono costanti reali arbitrarie.
Riferimenti bibliografici
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particle limit. Archive for Rational Mechanics and Analysis, 217(3):831–871, 2015.
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traffic. Mathematical Biosciences and Engineering, 14(1):127–141, 2017.
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A, Mathematical and Physical Sciences, volume 229, pages 317–345, 1955.
5. P. I. Richards. Shock waves on the highway. Operations Research, 4(1):pp. 42–51, 1956.
6. H. Zhang. A non-equilibrium traffic model devoid of gas-like behavior. Transportation Research Part B: Methodological, 36(3):275 – 290,
2002.
Capitolo 4
Calcolo infinitesimale per le curve
4.1 Introduzione
f:A→ B
x 7→ f (x).
Esempio 4.1.1 La posizione r ∈ R3 di una particella è univocamente determinata dall’istante di tempo t ∈ R, quindi r è
una funzione di una variabile a valori vettoriali, ovvero
r : R → R3
.
t 7→ r (t) = x(t), y(t), z(t) = x(t) i + y(t) j + z(t) k .
.
Se I = [t1 ,t2 ] è il dominio di definizione di r , allora l’immagine di I tramite r è
n o n o
r (I) = r (t) ∈ R3 : t ∈ I = x ∈ R3 : ∃t ∈ I tale che x = r (t)
r : I → R2
.
t 7→ r (t) = x(t), y(t) = x(t) i + y(t) j .
di r è {rr (t) ∈ R 2
L’immagine
n o : t ∈ I} e ci dà il cammino della particella; il grafico
3
di r è t,rr (t) ∈ R : t ∈ I e ci dà non solo il cammino della particella ma anche
l’istante in cui la particella si trovava in una determinata posizione del cammino.
64
4.2 Arco di curva continua, regolare 65
Ad esempio, l’immagine di
!
. 2πt 2πt
r (t) = cos , sin , t ∈I
t2 − t1 t2 − t1
x 2 y2
− = 1, x > 0,
a2 b2
2 2
in quanto x(t)
a2
− y(t)
b2
= 1 e x(t) > 0 ∀t ∈ R.
L’altro ramo per x < 0 è descritto da
.
r (t) = −a cosh(t), b sinh(t) t ∈ R.
a ex −e−x ex +e−x
sinh x = 2 , cosh x = 2
• se u : R → Rm e ϕ : R → R, allora
(uu ◦ ϕ)0 = ϕ 0 u0 (ϕ).
Se r descrive la posizione di una particella, allora r 0 è il vettore velocità istantanea e krr 0 k è la velocità scalare
istantanea. Se r è regolare, allora r 0 è concorde con l’orientamento della curva e possiamo introdurre il versore tangente
. r 0 (t)
t (t) = 0 , t ∈ I;
krr (t)k
chiaramente ktt k ≡ 1. Dimostriamo che se krr k è costante, allora i vettori posizione r e velocità r 0 sono ortogonali:
0
0 ≡ krr k2 = (rr ·rr )0 = r ·rr 0 +rr 0 ·rr = 2 r ·rr 0 ⇒ r ·rr 0 ≡ 0.
4.2 Arco di curva continua, regolare 67
ha norma krr 0 k ≡ 2π
T e quindi la circonferenza è una curva regolare. Il versore tangente è
!
. 2πt 2πt
t (t) = − sin , cos , t ∈ [0, T ].
T T
1
t (t) = p −R sin(t), R cos(t), p .
R2 + p2
è krr 0 (t)k = 9 cos(t)2 + 4 sin(t)2 = 4 + 5 cos(t)2 ≥ 2 per ogni t ∈ [0, 2 π]. Possiamo dunque definire il versore tangente
p p
1
t (t) = p (−3 sin(t), 2 cos(t)), t ∈ [0, 2 π].
4 + 5 cos(t)2
.
r (t) = cos(t)3 , sin(t)3 , t ∈ [0, 2 π]
è krr 0 (t)k = 3 sin(t)2 cos(t)4 + cos(t)2 sin(t)4 = 3 | sin(t) cos(t)| e si annulla per ogni t ∈ π2 Z; in effetti la curva presenta
p
delle cuspidi nei punti corrispondenti. Osserviamo che krr k non è costante e r ·rr 0 6≡ 0, come è chiaro dalla figura. Si osservi
che r (t) ·rr 0 (t) = 0 per ogni t ∈ π4 + π2 Z.
4.2 Arco di curva continua, regolare 68
non si annulla mai. Infatti, la sua prima componente si annulla solo per t = 1/2 e per
tale valore al seconda componente vale 1 − 6 12 + 6 41 = 92 . Osserviamo che
r √
2 4 2
q
0
krr (t)k = 2(1 − 8t + 26t 2 − 36t 3 + 18t 4 ) = 2
+ (2 + 9(t − 1)t) ≥ .
9 9 3
ρ = f (θ ),
e quindi
0
p
r (t)
= f (θ )2 + f 0 (θ )2 .
ρ = A θ, θ ≥ 0,
ed equazione cartesiana
.
r (t) = A θ cos(θ ), A θ sin(θ ) θ ≥ 0,
q √
ha norma krr 0 (θ )k = (A θ )2 + A2 = A 1 + θ 2 ≥ A. Nella figura a fianco abbiamo
rappresentato circonferenze di raggio 2 π A.
4.2 Arco di curva continua, regolare 69
Le coniche (parabole, ellissi, iperboli) possono essere scritte in forma polare. Ricordiamo che dati l’eccentricità ε > 0, la
retta direttrice d di equazione x = −p, p ∈ R, e l’origine come fuoco, la conica corrispondente è il luogo dei punti P tali
che
[distanza di P dall’origine]
= ε.
[distanza di P dalla retta d]
Più precisamente si tratta di:
1
Poiché in coordinate polari
ovvero
(1 − ε 2 ) x2 + y2 − 2 ε 2 p x − ε 2 p2 = 0.
Osserviamo che per ottenere la classica equazione delle coniche in coordinate cartesiane
a x2 + b x y + c y2 + d x + e y + f = 0,
basta prendere
a = 1 − ε 2, b = 0, c = 1, d = −2 ε 2 p, e = 0, f = −ε 2 p2 .
Osservazione 4.2.14 Osserviamo che se ε > 1, gli asintoti dell’iperbole sono le rette passanti per l’origine con pendenza
θ tale da annullare il denominatore 1 − ε cos(θ ).
Ponendo p = R/ε e mandando poi ε a zero, si trova l’equazione di una circonferenza
ρ = R.
Vediamo come si calcola la lunghezza di una curva. Per semplicità consideriamo una curva in R2 . Se la curva è il segmento
.
r (t) = (t, a t + b) , t ∈ [t1 ,t2 ],
Per sfruttare questo caso particolarmente semplice per calcolare la lunghezza di una curva generale
.
r (t) = x(t), y(t) t ∈ [t1 ,t2 ],
fissiamo n ∈ N e dividiamo l’intervallo [t1 ,t2 ] in 2n intervalli [si , si+1 ], i ∈ {0, 1, . . . 2n − 1}, di uguale lunghezza con
. t2 − t1
si = t1 + n i, i ∈ {0, 1, . . . , 2n },
2
calcoliamo la lunghezza Ln della spezzata che unisce i punti
i ∈ {0, 1, . . . 2n },
x(si ), y(si ) ,
e definiamo
.
L = lim Ln .
n→∞
si ha
Z θ2
r 0 (t) = (−R sin(θ ), R cos(θ )), krr 0 (t)k = R, ds = R dθ , L= R dθ = (θ2 − θ1 ) R.
θ1
4.3 Lunghezza di un arco di curva 71
si ha
p Z 2πp p
r 0 (t) = −R sin(θ ), R cos(θ ), p , krr 0 (t)k = R2 + p2 , L =
R2 + p2 dt = 2 π R2 + p2 .
0
ρ = f (θ ), θ ∈ [θ1 , θ2 ],
che in coordinate cartesiane diventa r (θ ) = f (θ ) cos(θ ), f (θ ) sin(θ ) , si ha
q
r 0 (θ ) = f 0 (θ ) cos(θ ) − f (θ ) sin(θ ), f 0 (θ ) sin(θ ) + f (θ ) cos(θ ) , krr 0 (θ )k =
f 0 (θ )2 + f (θ )2
e quindi
Z θ2 q
L= f 0 (θ )2 + f (θ )2 dθ .
θ1
√
è krr 0 (t)k = 2 + t 2 ≥ 2. La sua lunghezza è
√ !
Z 6π p
t = 2 sinh(s)
Z arcsinh(6 π) s=√2 arcsinh(6 π)
√ cosh(s)2 ds = sinh(s) cosh(s) + s s=0
L= 2 + t 2 dt = =2
0 dt = 2 cosh(s) ds 0
√
s= 2 arcsinh(6 π) " #t=6π
√
t t
q p p
= sinh(s) 1 + sinh(s)2 + s = 2 + t 2 + arcsinh √ = 3π 2 + 36π 2 + arcsinh(3 2π).
s=0 2 2 t=0
√ √
2
arcsinh(x) = ln x + x2 + 1 , arcosh(x) = ln x + x2 − 1
4.3 Lunghezza di un arco di curva 72
Z 2πq 2π
s Z 2π " #t=2 π
t t t
Z
2
L=R 2 1 − cos(t) dt = 2 R sin dt = 2 R sin dt = −4 R cos = 8 R.
0 0 2 0 2 2
t=0
y = a cosh(b x) x ∈ [0, T ],
r 0 (x) = 1, a b sinh(b x)
q 2
è krr 0 (x)k = 1 + a b sinh(b x) ≥ 1. Se a b = 1, allora la sua lunghezza è
Z Tq Z Tq Z T t=T
sinh(b x) sinh(b T )
L= 1 + sinh2 (b x) dx = cosh2 (b x) dx = cosh(b x) dx = = .
0 0 0 b t=0 b
Z 2√ Z √5
p
Z 2r 2
1 1+x 2 x = y −1 y y
L= 1 + 2 dx = dx = dx = √ y dy = √ p p dy
1 x 1 x y2 −1 2 2 2
y −1 y −1
√
Z √5 2 Z √5 #y= 5
"
y −1 + 1 1 1 y − 1
= √ 2 −1
dy = √ 1+ 2 dy = y + ln
2 y 2 y − 1 2 y+1 √
y= 2
√ √
√ √
5−1
!
√ √ 1 5−1 2+1 √ √ 1+ 2
= 5 − 2 + ln √ √ = 5 − 2 + ln .
2 5+1 2−1 2
√ √
1
Esempio 4.3.10 Calcoliamo la lunghezza della curva grafico di f (x) = 2 x x2 − 1 − ln x + x2 − 1 per x ∈
[−1, 1]:
Z 1q Z 1
1 h 2 ix=0 1 h ix=1
L= f 0 (x)2 + 1 dx = |x| dx = − x + x2 = 1.
−1 −1 2 x=−1 2 x=0
4.3 Lunghezza di un arco di curva 73
Esempio 4.3.11 Calcoliamo la lunghezza della curva grafico x = 32 (y − 1)3/2 , con y ∈ [1, 4]:
Z 4q Z 4q Z 4
2 2 h 3/2 iy=4 2 14
L= f 0 (y)2 + 1 dy = (y − 1)1/2 + 1 dy = y1/2 dy = y = (8 − 1) = .
1 1 1 3 y=1 3 3
Esempio 4.3.12 Calcoliamo la lunghezza della curva grafico di f (x) = 13 (x2 − 2)3/2 + 1 per x ∈ [−1, 1]:
" #1
x3
Z 1q Z 1q Z 1
2 4
L= f 0 (x)2 + 1dx = (x2 − 1)2 dx = (1 − x ) dx = x − = .
−1 −1 −1 3 3
−1
Esercizio 4.3.13 Si dimostri che la lunghezza della curva r (t) = (ln(t 2 − 1), −t), con t ∈ [2, 3], è L = 1 + ln(3/2).
Parametro arco
s : [t0 , ∞) → R Z t
.
t 7→ s(t) = krr 0 (τ)k dτ.
t0
Se si è in grado di invertirla, esprimendo t come funzione di s, allora è possibile riparametrizzare la curva in funzione del
parametro arco s. Osserviamo che se una curva è parametrizzata mediante il parametro arco, allora il versore tangente
t (s) coincide con r 0 (s) perché
r 0 (t(s))
d 0 0
d
r (t(s)) = r (t(s)) t (s) = 0 ⇒
= 1.
r (t(s))
ds krr (t(s))k
ds
Di conseguenza, lo spazio percorso dalla particella nell’intervallo di tempo [0, s] è proprio s perché
Z s
d
Z s
r (t(s))
ds = ds = s.
0
ds
0
si ha
p Z tp p
r 0 (t) = (−R sin(t), R cos(t), p), krr 0 (t)k = R2 + p2 , s(t) = R2 + p2 dt = R2 + p2 t,
0
da cui
s
t(s) = p .
R + p2
2
Quindi si può riparametrizzare la curva come
! !
s s p s h p i
r (s) = R cos p , R sin p ,p , s ∈ 0, 2 π R2 + p2 .
R2 + p2 R2 + p2 R2 + p2
ha norma
4.4 Integrali di linea (di prima specie) 74
v !2 !2
u
1 u s s
krr 0 (s)k = p tR2 sin p + R2 cos p + p2 = 1.
R2 + p2 R2 + p2 R2 + p2
ρ = eb θ , θ ∈ R,
ed equazione cartesiana
r (θ ) = eb θ cos(θ ), eb θ sin(θ ) , θ ∈ R,
con b 6= 0 costante fissata, è una curva regolare perché la norma del vettore derivato
r 0 (θ ) = b cos(θ ) − sin(θ ) eb θ , b sin(θ ) + cos(θ ) eb θ
√
è krr 0 (θ )k = b2 + 1 eb θ > 0 per ogni θ . Quindi la lunghezza di arco elementare è
p
ds = b2 + 1 eb θ dθ ,
inoltre
√
b2 + 1 b θ
1 bs
Z θp
s(θ ) = b2 + 1 eb φ dφ = e −1 , θ (s) = ln 1 + √ .
0 b b b2 + 1
Definizione 4.4.3 Siano r :∈ [a, b] → R e s :∈ [c, d] → R due curve, l’una riparametrizzazione dell’altra, ovvero esiste
ϕ : [c, d] → [a, b] derivabile e strettamente monotona tale che s = r ◦ ϕ.
• Esse sono curve equivalenti se ϕ è strettamente crescente.
• Esse sono un cambio di orientazione se ϕ è strettamente decrescente.
e
r (u) = R cos(2u), R sin(2u) , u ∈ [0, π],
Proposizione 4.4.5 La lunghezza di una curva e l’integrale di linea sono invarianti sia per curve equivalenti che per
cambiamenti di orientazione.
ρ = A θ, θ ∈ [0, 4π],
√
allora dall’esempio 4.2.13 sappiamo che krr 0 (θ )k = A 1 + θ 2 e quindi
p √
Z Z 4π θ = ξ 2 −1 Z 1+16 π 2
3 3
p ξ
θ ds = A θ 1 + θ 2 dθ = =A (ξ 2 − 1)3/2 ξ p dξ
γ 0 dθ = √ ξ2 dξ 1 ξ2 −1
ξ −1
√ √
Z 1+16 π 2
" #ξ = 1+16 π 2 !
ξ 5 ξ 3 (1 + 16 π 2 )5/2 (1 + 16 π 2 )3/2 1 1
2 2
=A (ξ − 1) ξ dξ = A − =A − − +
1 5 3 5 3 5 3
ξ =1
2A
= 1 + (1 + 16 π 2 )3/2 24 π 2 − 1 .
15
p
Esempio 4.4.8 Fissato a 6= 0, si consideri la curva piana γ descritta in coordinate polari dall’equazione ρ = a cos(2 θ ),
con l’angolo θ che varia nell’intervallo [−π/4, π/4].
1. La curva è chiusa?
2. Si calcoli il vettore tangente.
3. La curva è regolare?
Si calcoli la lunghezza della curva in termini della costante ϖ = 2 01 √ dt
R
4. .
1−t 4p
f (ρ, θ ) = cos(θ )2 cos(2 θ ).
R
5. Si calcoli l’integrale di linea di prima specie γ f ds con
Osserviamo che una lemniscàta di Bernoulli è ottenuta
p unendo due curvepcorrispondenti ad a e −a.
(1) Si tratta di una curva chiusa in quanto a cos(−π/2) = 0 = a cos(π/2), ovvero la curva parte e termina
nell’origine.
(2) La curva è descritta in coordinate cartesiane da
p p
r (θ ) = a cos(2 θ ) cos(θ ), a cos(2 θ ) sin(θ ) .
o direttamente dall’espressione di r 0
4.4 Integrali di linea (di prima specie) 76
v !2 !2
u
0
u a
r (θ )
= t − p sin(3 θ ) a cos(3 θ ) |a|
+ p =p ,
cos(2 θ ) cos(2 θ ) cos(2 θ )
si vede che
r 0 (θ )
non si annulla mai ed è ben definito per |θ | < π/4; quindi la curva è regolare in (−π/4, π/4) e
|a|
Z Z π/4 p Z π/4
f ds = cos(θ )2
cos(2 θ ) p dθ = |a| cos(θ )2 dθ
γ −π/4 cos(2 θ ) −π/4
!
2
cos(2 θ ) = 2 cos(θ ) − 1 1 + cos(2 θ )
Z π/4
= 2 1+cos(2 θ ) = |a| dθ
⇒ cos(θ ) = 2 −π/4 2
sin(2 θ ) π/4
|a| |a| π
= θ+ = +1 .
2 2 −π/4 2 2
Esempio 4.4.9 La cardioide è una curva continua piana descritta in coordinate polari dall’equazione ρ = 1 − cos(θ ),
con l’angolo θ che varia nell’intervallo [0, 2π].
1. La curva è chiusa?
2. Si calcoli il vettore tangente.
3. La curva è regolare?
4. Si calcoli la lunghezza della curva.
5. Si calcoli il parametro arco. p
6. Si calcoli l’integrale di linea di prima specie di f (ρ, θ ) = 1 + cos(θ ) lungo il sostegno della cardioide.
(1) Visto che 1 − cos(0) = 0 = 1 − cos(π), si ha che la cardioide parte e finisce nell’origine; in particolare è una curva
chiusa.
(2) La forma cartesiana della cardioide è
r (θ ) = 1 − cos(θ ) cos(θ ), 1 − cos(θ ) sin(θ ) , θ ∈ [0, 2π].
abbiamo che la cardioide è regolare ovunque tranne che nell’origine, che corrisponde a θ ∈ {0, 2π}.
(4) Visto che la cardioide è simmetrica rispetto all’asse x, si ha che
" #π
√
Z π Z πp Z π
θ θ
L=2 krr 0 (θ )k dθ = 2 2 1 − cos(θ ) dθ = 4 sin dθ = 8 − cos = 8.
0 0 0 2 2
0
4.4 Integrali di linea (di prima specie) 77
e quindi
s
t(s) = 2 arccos 1 − .
4
(6) Per definizione
Z Z 2π p √ Z 2π p
1 + cos(θ ) krr 0 (θ )k dθ =
p
f (s) ds = 2 1 + cos(θ ) 1 − cos(θ ) dθ
γ 0 0
√ Z 2π √ Zπ √ Zπ
= 2 sin(θ ) dθ = 2 2 sin(θ ) dθ = 2 2 sin(θ ) dθ
0 0 0
√ √
π
= 2 2 − cos(θ ) = 4 2.
0
3 .
Il baricentro di γ è il punto B = (x̄, ȳ, z̄) con
. 1 1 b
Z Z
x(t) ρ r (t) krr 0 (t)k dt,
x̄ = x(s) ρ(s) ds =
m γ m a
. 1 1 b
Z Z
y(t) ρ r (t) krr 0 (t)k dt,
ȳ = y(s) ρ(s) ds =
m γ m a
. 1 1 b
Z Z
z(t) ρ r (t) krr 0 (t)k dt.
z̄ = z(s) ρ(s) ds =
m γ m a
Il momento di inerzia di γ rispetto ad un asse fissato, indicato con R(x, y, z) la distanza di (x, y, z) da quest’asse, è
Z Z b
. 2
R2 ρ ds = R r (t) ρ r (t) krr 0 (t)k dt.
I=
γ a
Esempio 4.4.10 Calcoliamo il baricentro di una semicirconferenza omogenea, cioè con densità ρ costante. Posto
. .
x(θ ) = R cos(θ ), y(θ ) = R sin(θ ), θ ∈ [0, π],
1 1 2R
Z π Z π
x̄ = R cos(θ ) ρ R dθ = 0, ȳ = R sin(θ ) ρ R dθ = .
πρR 0 πρR 0 π
Esempio 4.4.11 Se m è la massa totale di una circonferenza omogenea di centro l’origine che ruota lungo l’asse y, allora
il momento di inerzia è
!
cos(2θ ) = 2 cos(θ )2 − 1 ρ R3 2 π m R2
Z 2π 2 Z
1 + cos(2θ ) dθ = ρ R3 π =
I= R cos(θ ) ρ R dθ = 2 1+cos(2θ ) = .
0 ⇒ cos(θ ) = 2 2 0 2
3
Il baricentro di un sistema è il punto geometrico corrispondente al valor medio della distribuzione della massa del sistema nello spazio.
4.5 Insiemi connessi per archi 78
4 √
1 1
Z π q Z π q
ρ
x̄ = 2 cos(t) ρ 1+3 sin(t)2 dt = 0, ȳ = 2
sin(t) ρ 1 + 3 sin(t) dt = 1+ π 3 .
m 0 m 0 m 9
y = x2 , x ∈ [−1, 1],
√
omogenea di densità ρ, che ruota attorno all’asse y. Siccome krr 0 (t)k = 1 + 4x2 e R(x, y) = x si ha
!
Z 1 1 ρ arcsinh(2)
= sinh(t)
Z
2
p x
I= x ρ 1 + 4x2 dx = 2 = sinh(t)2 cosh(t)2 dt
−1 dx = 12 cosh(t) dt 8 arcsinh(−2)
arcsinh(2)
ρ arcsinh(2) cosh(4 t) − 1 1 √
ρ 1
Z
= dt = sinh(4 t) − t = 18 5 − arcsinh 2 .
8 arcsinh(−2) 8 64 4 arcsinh(−2) 32
Esempio 4.5.3 Sia la sfera {xx ∈ Rn : kxxk = 1} che la “sfera bucata” {xx ∈ Rn : 0 < kxxk ≤ 1} sono connessi.
Teorema degli zeri Sia E ⊂ Rn un insieme connesso ed r : [t1 ,t2 ] → Rn una curva continua contenuta in E che connette
P = r (t1 ) e Q = r (t2 ). Se f : E → R è continua ed f (P) f (Q) < 0, allora ∃R ∈ E tale che f (R) = 0 ed ∃t0 ∈ [t1 ,t2 ] tale
che f (rr (t0 )) = 0.
Capitolo 5
Calcolo differenziale per funzioni reali di più variabili
In questa sezione introduciamo il calcolo infinitesimale per funzioni f : Rn → R con n > 1. Per semplicità, consideriamo
spesso solo funzioni di due variabili, n = 2, il caso generico n ≥ 3 è simile.
5.1 Sottoinsiemi di R2
n o
Esempio 5.1.1 Per disegnare l’insieme A = (x, y) ∈ R2 : y2 − x2 ≥ 4 , traccia-
n o n √ o
mo il suo bordo ∂ A = (x, y) ∈ R2 : y2 − x2 = 4 = (x, y) ∈ R2 : y = − 4 + x2 ∪
n √ o
(x, y) ∈ R2 : y = 4 + x2 . Osserviamo che ∂ A interseca gli assi solo in (0, ±2). Abbiamo
così individuato 3 regioni sul piano. Per decidere quali di esse è contenuta in A, consideriamo
un punto appartenente a ciascuna regione, ad esempio (0, −4), (0, 0) e (0, 4). Visto che
(−4)2 − 02 ≥ 4, 02 − 02 ≤ 4, 42 − 02 ≥ 4,
n o
Esempio 5.1.3 Per disegnare l’insieme A = (x, y) ∈ R2 : |x| ≤ 1, |x + y| ≤ 2 , pensiamolo
n o n o
come l’intersezione degli insiemi (x, y) ∈ R2 : |x| ≤ 1 e (x, y) ∈ R2 : |x + y| ≤ 2 i cui bor-
n o n o
di sono rispettivamente (x, y) ∈ R2 : |x| = 1 e (x, y) ∈ R2 : |x + y| = 2 . Osserviamo che
∂ A interseca gli assi in (±1, 0) e (0, ±2). Abbiamo così individuato 9 regioni sul piano. Per de-
cidere quali di esse è contenuta in A consideriamo un punto appartenente a ciascuna regione,
ad esempio (−2, ±6), (−2, 2), (0, 0), (2, −2) e (2, ±6). Visto che
( ( ( ( (
|−2| ≥ 1 |−2| ≥ 1 |0| ≤ 1 |2| ≥ 1 |2| ≥ 1
|−2 ± 6| ≥ 2 |−2 + 2| ≤ 2 |0 + 0| ≤ 2 |2 − 2| ≤ 2 |2 ± 6| ≥ 2
80
5.2 Grafici e insiemi di livello 81
1
Esempio 5.1.4 Studiamo il dominio di definizione D della funzione f (x, y) = arctan(x) + arcsin . Chiara-
1 − x2 − y2
1
mente D = (x, y) ∈ R2 : − 1 ≤ ≤ 1 . Sicuramente (1 − x2 − y2 )−1 6= 0. Resta quindi da considerare i due
1 − x2 − y2
seguenti sistemi
(
1 − x2 − y2 > 0
⇔ (x, y) = (0, 0),
1 − x2 − y2 ≥ 1
1 − x2 − y2 < 0
(
x2 + y2 > 1
1 ⇔ ⇔ x2 + y2 ≥ 2.
1 ≥ x2 + y2 − 1
1 ≤ x2 + y2 − 1
n o
In conclusione D = (x, y) ∈ R2 : x2 + y2 ≥ 2 ∪ {(0, 0)}.
x2 −1 x2 −1
Esempio 5.1.5 Disegniamo il dominio di definizione D della funzione f (x, y) = ln y2 −1
− arcsin y2 −1
. Il dominio di
definizione è ( )
2 x2 − 1
D = (x, y) ∈ R : 0 < 2 ≤1 .
y −1
x2 − 1
≤ 1 ⇔ x2 − 1 ≥ y2 − 1 ⇔ x2 ≥ y2 ⇔ x ≥ y > 1,
y2 − 1
mentre nel secondo caso si ha che
x2 − 1
≤ 1 ⇔ x2 − 1 ≤ y2 − 1 ⇔ x2 ≤ y2 ⇔ 1 < x ≤ y.
y2 − 1
In conclusione abbiamo che D è quello rappresentato in figura.
x ∈ Rn : f (xx) = k ,
k ∈ R.
Le curve di livello sono di uso molto comune. Ad esempio, le curve nelle cartine topografiche sono le curve di livello
della funzione f : R2 → R che associa alla posizione x ∈ R2 la quota f (xx) sul livello del mare. Un altro esempio è dato
dalle isobare, ossia le linee di livello della funzione f : R2 → R che associa alla posizione x ∈ R2 la pressione atmosferica
f (xx) al livello del mare. Si noti che le linee di livello sono più fitte dove il grafico di f è più ripido e viceversa.
5.2 Grafici e insiemi di livello 82
Esempio 5.2.1 Il potenziale elettrostatico u generato da un sistema di cariche elettriche in equilibrio elettrostatico non
dipende dal tempo ma solo dalle coordinate spaziali (x, y, z). Quindi u : R3 → R. Le curve di livello u (x, y, z) = k sono le
superfici equipotenziali. Ad esempio, se abbiamo una sola carica puntiforme posta nell’origine allora
k
u (x, y, z) = p
x2 + y2 + z2
ovvero
n o
(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 + z2 = c , c > 0.
Dalle curve di livello deduciamo che f ha simmetria radiale (assume lo stesso valore
nei punti che hanno la stessa distanza dall’origine) ed allontanandosi dall’origine
f cresce più velocemente (le linee di livello diventano più fitte). Se intersechiamo il
grafico col piano y = 0 otteniamo la parabola z = x2 . Per la simmetria radiale di f ,
otteniamo il grafico in figura ruotando la parabola
n o
(x, y, z) ∈ R3 : z = x2 , y = 0 .
p
Esempio 5.2.3 La funzione f (x, y) = x2 + y2 è definita su R2 ed è positiva. Le sue
linee di livello sono le circonferenze
n p o
(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = k , k ≥ 0.
p
Esempio 5.2.5 La funzione f (x, y) = 1 − x2 − y2 è definita nel cerchio x2 + y2 ≤ 1
e la sua immagine è [0, 1]. Le sue curve di livello sono
n p o n o
(x, y) ∈ R2 : 1 − x2 − y2 = k = (x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1 − k2 , k ∈ [0, 1] ,
ovvero le circonferenze
n o
(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = k , k ∈ [0, 1] .
ovvero le circonferenze
n o
(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = k , k ∈ [0, ∞) .
2 2
Esempio 5.2.8 La funzione f (x, y) = e−x −y è definita in R2 e la sua immagine è
(0, 1]. Le sue curve di livello sono
n 2 2
o n o
(x, y) ∈ R2 : e−x −y = k = (x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = − ln (k) , k ∈ (0, 1] ,
ovvero le circonferenze
n o
(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = k , k > 0.
Esempio 5.2.10 Le superfici di livello di f (x, y, z) = (x + y)2 − z2 sono definite da (x + y)2 − z2 = c. In particolare, le
superfici di livello corrispondenti a c = 0 sono l’unione dei due piani z = ± (x + y).
Esercizio 5.2.11 Si studino le linee di livello ed eventualmente alcune sezioni con piani opportuni delle seguenti finzioni:
1
f (x, y) = ex sin (y) , f (x, y) = sin x sin (y) , f (x, y) = .
x+y
A differenza del calcolo del limite di una funzione f : R → Rm , il calcolo del limite di f : Rn → R non si riduce al calcolo
di limiti di funzioni di una variabile ed a valori reali. Questo rende a volte il calcolo del limite di f più difficoltoso. Infatti
lim f (xx) = L
x →xx0
significa che | f (xx) − L| diventa piccolo per x che si avvicina a x 0 a prescindere da quale direzione x si stia avvicinando a
x 0 . Una delle maggiori difficoltà nel calcolo del limite consiste nel dimostrare che esso non dipende da quale direzione x
si stia avvicinando ad x 0 . Al contrario, se si vuole dimostrare che un limite non esiste, basta dimostrare che avvicinandosi
ad x 0 lungo due curve si ottengo due limiti. A questo proposito introduciamo la seguente
Definizione 5.3.1 La funzione composta di f : R2 → R e r = (x, y) : R → R2
g: R → R
t 7→ g (t) = f r (t) = f x (t) , y (t) ,
Osserviamo che la restrizione t 7→ f r (t) ha la stessa immagine della funzione (x, y) 7→ f (x, y) ristretta all’immagine
della curva t 7→ r (t).
xy
Esempio 5.3.2 Il limite lim non esiste perché:
(x,y)→(0,0) x2 + y2
• la restrizione di f alla retta y = x è f (x, x) = x2 / 2 x2 = 1/2 che tende a 1/2 per x → 0,
• la restrizione di f alla retta y = −x è f (x, −x) = −x2 / 2 x2 = −1/2 che tende a −1/2 per x → 0.
Essendo quindi i limiti delle due restrizioni di f diversi, il limite di f non esiste.
n o
Esempio 5.3.3 La funzione f (x, y) = exp x2 /y è continua nel suo dominio di definizione (x, y) ∈ R2 : y 6= 0 . Inoltre,
il limite lim f (x, y) non esiste per ogni x0 ∈ R. Infatti, se x0 = 0, allora basta osservare che
(x,y)→(x0 ,0)
• la restrizione di f alla parabola y = x2 è f x, x2 = e che tende a e per x → 0,
• la restrizione di f alla parabola y = −x2 è f x, −x2 = e−1 che tende a e−1 per x → 0.
Se invece x0 6= 0, allora basta osservare che la restrizione di f alla retta x = x0 è f (x0 , y) = exp x02 /y e non ammette
limite per y → 0.
Se si vuole dimostrare che un limite esiste, allora si può passare in coordinate polari applicando il cambio di coordinate
(
x = x0 + ρ cos (θ )
y = y0 + ρ sin (θ ) ,
mandare ρ → 0 1
e dimostrare che il limite ottenuto non dipende da θ .
2 x2 y
Esempio 5.3.4 Il limite lim è zero perché passando in coordinate polari si ha
(x,y)→(0,0) x2 + y2
2 x2 y 2ρ 3 cos2 θ sin (θ )
= = 2ρ cos2 θ sin (θ ) e 0 ≤ 2 ρ cos2 θ sin (θ ) ≤ 2ρ −−−→ 0.
2
x +y 2 ρ2 ρ→0
1
è continua nel suo dominio di definizione R2 \ (0, 0) . Inoltre il
Esempio 5.3.5 La funzione f (x, y) = arctan x2 +y 2
1
Si osservi che (x, y) → (0, 0) se e solo se ρ → 0
5.3 Limiti e continuità per funzioni di più variabili 86
lim f (x, y) .
(x,y)→(x0 ,−x0 )
sono delle coniche. Più precisamente, visto che ∆ = (3 − 2k)2 − 4 (1 − k) (−k) = 9 − 8k, si tratta di ellissi se k > 9/8,
delle due rette parallele x − 3 y ± 4 = 0 se k = 9/8 e di iperboli se k < 9/8. É ora evidente che il limite non esiste se
x0 = ±1 perché:
• la restrizione di f alla retta x − 3 y ± 4 = 0 è f (3y ∓ 4, y) = 9/8che tende a 9/8 per y → ±1,
• la restrizione di f all’ellisse x y − y2 + 2 = 0 è f y2 − 2 /y, y = 1 che tende a 1 per y → ±1.
Essendo quindi i limiti delle due restrizioni di f diversi, il limite non esiste se x0 = ±1.
Si osservi che il limite della restrizione di f a qualsiasi retta passante per l’origine y = −α x, α ∈ R, è
α x3 αx
f (x, −α x) = − =− 2 −−→ 0.
2
x +α x2 2 x + α 2 x→0
ρ 2 sin (θ )2 ln 1 + ρ cos (θ )
y2 ln (x)
lim = lim = lim ρ sin (θ )2 cos (θ ) = 0.
(x,y)→(1,0) (x − 1)2 + y2 ρ→0 ρ2 ρ→0
x2 +y2
a patto che questi ultimi due limiti non diano luogo alla forma di indecisione del tipo ∞ − ∞. Visto che |x y| ≤ 2 , si ha
x y3 1 x y3
2
0 ≤ lim 2 ≤ lim y = 0 ⇒ lim = 0.
(x,y)→(0,0) x + y2 2 (x,y)→(0,0) (x,y)→(0,0) x2 + y2
Esercizio 5.3.14 Delle seguenti finzioni reali di due variabili, si studi l’insieme di definizione, la loro continuità e si
calcolino i limiti alla frontiera dell’insieme di definizione.
!
p 2
2 2
2
f (x, y) = ln 1 + x + y , 2 f (x, y) = ln sin x + y arctan ey/x ,
x 2 + y2 x3 + y5
f (x, y) = , f (x, y) = .
x x2 + y4
Osserviamo che per ogni x 0 = x1,0 , . . . , xn,0 ∈ Rn ed f : Rn → R, si ha che xi 7→ f x1,0 , . . . , xi−1,0 , xi , xi+1,0 , . . . , xn,0 è
una funzione di una variabile a valori reali di cui sappiamo fare la derivata. Da qui la seguente
Definizione 5.4.1 Sia f : Rn → R ed x 0 ∈ Rn .
• La derivata parziale di f rispetto a xi calcolata in x 0 è
∂f df f (xx0 + h e i ) − f (xx0 )
(xx0 ) = x1,0 , . . . , xi−1,0 , xi , xi+1,0 , . . . , xn,0 = lim .
∂ xi dxi xi =xi,0 h→0 h
• Il gradiente di f calcolato in x 0 è
∂f ∂f
grad f (xx0 ) = (xx0 ) , . . . , (xx0 ) ∈ Rn .
∂ x1 ∂ xn
∂f ∂f
= ∂x f = Dx f = D1 f = fx , = ∂ y f = Dy f = D2 f = f y , grad f = D f = grad f .
∂x ∂y
Si può calcolare la derivata parziale rispetto ad x più velocemente se si deriva x 7→ f (x, y) pensando y come costante.
Così facendo si ottiene immediatamente che
∂f h i ∂f h i
(1, 2) = 2 x y3 = 16, (1, 2) = 3 x2 y2 = 12, grad f (1, 2) = (16, 12) .
∂x (x,y)=(1,2) ∂y (x,y)=(1,2)
√ √
Bisogna però fare attenzione nell’utilizzo di questa procedura. Ad esempio,√la derivata di x 7→ y x è y/ 2 x , che non
è ben definita per (x, y) = (0, 0), mentre la derivata parziale di f (x, y) = y x è
∂f df d
(0, 0) = (x, 0) = 0 = [0]x=0 = 0
∂x dx x=0 dx x=0
ed è ben definita.
Dunque, quando si ha a che fare con funzioni che nell’una o nell’altra variabile presentano un punto di non derivabilità
(almeno apparentemente) oppure per funzioni definite a tratti come nell’esempio seguente.
∂f f (0 + h, 0) − f (0, 0) h2 − 1
(0, 0) = lim = lim
∂x h→0 h h→0 h
e quest’ultimo limite non esiste (se h → 0± fa ±∞). Dunque f non è derivabile nella direzione dell’asse delle x.
2 +y2
√
2 2
Esempio 5.4.4 La funzione f (x, y) = e−x è derivabile ovunque su R2 ; la funzione f (x, y) = e− x +y è derivabile
ovunque tranne che in (0, 0).
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 90
Esempio 5.4.5 Calcoliamo le derivate parziali della funzione f (x, y) = y3 sin(x) + 2 x y2 + x3 prima nel generico punto
(x, y) e poi nel punto (π, 0):
∂f ∂f
(x, y) = y3 cos(x) + 2 y2 + 3 x2 , (x, y) = 3 y2 sin(x) + 4 x y,
∂x ∂y
e quindi, avendo ottenuto funzioni continue, si ottiene semplicemente per sostituzione
∂f ∂f
(π, 0) = 3 π 2 , (π, 0) = 0.
∂x ∂y
Il seguente esempio mostra che il semplice fatto che una funzione non sia continua in un punto non implichi che il suo
gradiente in tale punto non esista.
Esempio 5.4.6 Dimostriamo che la funzione
xy
x2 +y2
se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0)
nell’origine non è continua ma ammette gradiente. Infatti non è continua nell’origine perché
1 1
lim f (x, x) = 6= lim f (x, −x) = − .
x→(0,0) 2 x→(0,0) 2
Visto che la funzione è definita a pezzi, per calcolarne il gradiente nell’origine dobbiamo applicare la definizione
Esempio 5.4.7 Il campo elettrico E è il gradiente del potenziale elettrostatico U. Ad esempio, il potenziale elettrostatico
generato da una carica puntiforme posta nell’origine è
k p
U (x, y, z) = , r= x 2 + y2 + z2 ,
r
con k costante; il suo campo elettrico è
k
E (x, y, z) = gradU (x, y, z) = − r, r = (x, y, z) .
r3
E k = k/r2 .
Osserviamo che kE
Esempio 5.4.8 La forza di attrazione gravitazionale F generata da un corpo è il gradiente del potenziale gravitazionale
U. Ad esempio, il potenziale gravitazionale generato da una sfera omogenea di raggio R e densità (costante) ρ > 0 è
43 π R3 ρr
se r ≥ R p
U (x, y, z) = r = x2 + y2 + z2 .
2
2 π ρ R2 − r3 se r < R,
Per calcolare il campo gravitazionale sulla superficie della sfera dobbiamo applicare la definizione di derivata parziale.
Se x02 + y20 + z20 = R2 , allora dobbiamo verificare che
4 h2 + 2 h x0 1 4 2 x0 1 4
=− π R2 ρ lim p p = − π R2 ρ = − π ρ x0 .
3 h→0+ h h2 + 2 h x0 + R2 R + h2 + 2 h x0 + R2 3 R 2R 3
Esercizio 5.4.9 Il potenziale gravitazionale generato da uno strato sferico di raggio interno R1 > 0 e raggio esterno R2
è
4 R3 −R3
π ρ 2r 1 se r > R2
3
3
2
U (x, y, x) = 2 π ρ R22 − r3 − 43 π ρ Rr1 se R1 < r ≤ R2
2 π ρ R22 − R21 se r ≤ R1 .
con h : R → R. Scrivere
l’espressione
del gradiente di f in funzione di h, nell’ipotesi che h sia derivabile. Nel caso
2
particolare h (t) = t/ 1 + t , calcolare il gradiente di f :
Se per costruire la retta tangente a f : R → R si utilizza la derivata, per costruire il piano tangente a f : Rn → R si utilizza
il gradiente. Infatti, se esiste l’iperpiano tangente all’ipersuperficie corrispondente al grafico di f : Rn → R in x 0 ∈ R2 ,
allora è dato dall’equazione
y = f (xx0 ) + grad f (xx0 ) · (xx −xx0 ) . (5.1)
∂f
f (1, 1) = 2, (1, 1) = [2 x](x,y)=(1,1) = 2,
∂x
∂f
(1, 1) = [2 y](x,y)=(1,1) = 2, grad f (1, 1) = (2, 2) .
∂y
z = 2 + 2 (x − 1) + 2 (y − 1) ⇔ z = 2 x + 2 y − 2.
p
Esempio 5.4.13 Se f (x, y, z) = x2 + y2 + z2 e x 0 = (1, 1, 2), allora l’equazione (5.1) diventa
x−1 √ 1 x−1 √
√ 6 6
w = f (1, 1, 2) + grad f (1, 1, 2) · y − 1 = 6+ ·
1 y − 1 = (x + y + 2z) .
6 6
z−2 2 z−2
y
Esempio 5.4.14 Scriviamo l’equazione del piano tangente T al grafico della funzione f (x, y) = e sin x nel punto
√
π
, ln 2, 2 . Osserviamo che
4
)
fx (x, y) = ey cos x √ √
π
⇒ ∇ f , ln 2 = 2, 2
fy (x, y) = ey sin x 4
√ !
√ π √
√2 x − π
⇒ T : z = 2+ · 4 = 2 x + y + 1 − − ln 2 .
2 y − ln 2 4
Il seguente esempio mostra che il piano (5.1) potrebbe essere ben definito ma non essere un piano tangente se un piano
tangente non esiste.
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 93
Esempio 5.4.15 Se
xy
x2 +y2
se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0) ,
∂f ∂f
f (0, 0) = 0, (0, 0) = 0, (0, 0) = 0, grad f (0, 0) = (0, 0) .
∂x ∂y
z = 0 + 0 (x − 0) + 0 (y − 0) ⇔ z = 0.
Dalla figura si capisce che questo non è il piano tangente ad f in (0, 0). Inoltre si vede anche che f non è continua in
(0, 0) nonostante sia ivi derivabile.
Esempio 5.4.16 Calcoliamo l’equazione del piano tangente T al grafico di f (x, y) = |x| + |y| nel punto (−1/2, 1/2, 1):
(
fx (x, y) = sign(x) 1 1
⇒ grad f − , = (−1, 1)
fy (x, y) = sign(y) 2 2
!
1 1 1 1 x + 1/2 1 1
⇒ T :z= f − , + grad f − , · = 1− x+ + y− = y − x.
2 2 2 2 y − 1/2 2 2
x2 +1
Esempio 5.4.17 Calcoliamo l’equazione del piano tangente T al grafico della funzione f (x, y) = y2 +1
nel punto (1, 1, 1):
2x
fx (x, y) =
1+y2
2(1+x2 )y ⇒ ∇ f (1, 1) = (1, −1)
fy (x, y) = − (1+y2 )2
!
x−1
⇒ T : z = f (1, 1) + ∇ f (1, 1) · = 1 + (x − 1) − (y − 1) = x − y + 1.
y−1
Esercizio 5.4.18 Si dimostri che l’equazione del piano tangente al grafico della funzione f (x, y) = y arctan(x) nel punto
(1, 4/π, 1) è z = π2 (x − 1) + π4 y.
L’esempio 5.4.15 mostra che la derivabilità di una funzione f : Rn → R non implica che f sia continua o possieda un
piano tangente. Per questo si introduce la seguente
Definizione 5.4.19 Una funzione f : Rn → R è differenziabile in x 0 ∈ Rn se soddisfa la condizione di differenziabilità
d f (xx0 ) : Rn → R
h 7→ grad f (xx0 ) · h .
Osserviamo che d f (xx0 ) associa a h l’incremento calcolato lungo il piano tangente dal punto x 0 al punto x 0 +hh. Per questo
la condizione di differenziabilità ci assicura che il piano tangente è una buona approssimazione del grafico di f .
Proposizione 5.4.20 Una funzione differenziabile in un punto è continua ed ammette un piano tangente in tale punto.
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 94
Dimostrare che una funzione sia differenziabile studiando la condizione di differenziabilità non è sempre immediato.
Se però la funzione è C 1 , allora essa è differenziabile. Più precisamente abbiamo il seguente
Teorema della differenziabilità di funzioni di classe C 1 Se A ⊆ Rn è aperto ed f ∈ C 1 (A; R), allora f è differenziabile
in A (ed in generale il viceversa non vale).
Pertanto
f (x0 + h, y0 + k) − f (x0 , y0 ) − fx (x0 , y0 ) h − fy (x0 , y0 ) k
√
h2 + k2
f (x0 + h, y0 + k) − f (x0 , y0 + k) + f (x0 , y0 + k) − f (x0 , y0 ) − fx (x0 , y0 ) h − fy (x0 , y0 ) k
= √
h2 + k2
fx (xh , y0 + k) h + fy (x0 , yk ) k − fx (x0 , y0 ) h − fy (x0 , y0 ) k
= √ .
h2 + k2
Visto che per assunzione fx , fy ∈ C 0 (A) e per costruzione limh→0 xh = x0 e limk→0 yk = y0 , si ha che
fx (xh , y0 + k) h − fx (x0 , y0 ) h
= fx (xh , y0 + k) − fx (x0 , y0 ) √ |h|
√ ≤ fx (xh , y0 + k) − fx (x0 , y0 ) −−−−−−→ 0,
h2 + k2 h2 + k 2 (h,k)→(0,0)
fy (x0 , yk ) k − fy (x0 , y0 ) k
≤ fy (x0 , yk ) − fy (x0 , y0 ) √ |k|
√ ≤ fy (x0 , yk ) − fy (x0 , y0 ) −−−−−−→ 0.
2
h +k 2 h2 + k2 (h,k)→(0,0)
Dunque f è differenziabile in (0, 0). Tuttavia f non èCC1 in quanto fx non è continua in (0, 0) in quanto lim(x,y)→(0,0) fx (x, y)
non esiste. Infatti
∂f 1 1 1
lim (x, x) = lim 2 x sin − cos = ∞.
x→0 ∂ x x→0 2 x2 x 2 x2
t
u
p
4 x2 + y2 . Le derivate parziali in R2 \ (0, 0) sono
Esempio 5.4.22 Sia f (x, y) = arctan
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 95
∂f 1 1 ∂f 1 1
(x, y) = p 8 x, (x, y) = p 2 y.
∂x 1 + 4 x2 + y2 2 4 x2 + y2 ∂x 1 + 4 x2 + y2 2 4 x2 + y2
e sono continue. Quindi f è C 1 e quindi differenziabile in R2 \ (0, 0) . Dunque esiste il piano tangente in (0, 1) ed ha
equazione ! ! !
x 0 x y π 1
z = f (0, 1) + grad f (0, 1) · = arctan (1) + · = + − .
y − 1/2 1/2 y−1 2 4 2
Si ha poi che √
arctan 4 h2
∂f f (h, 0) − f (0, 0) arctan 2 |h|
(0, 0) = lim = lim = lim
∂x h→0 h h→0 h h→0 h
non esiste in quanto
arctan 2 |h| arctan (2 h) arctan 2 |h| arctan (−2 h)
lim = lim = 2, lim = lim = −2.
h→0+ h h→0+ h h→0− h h→0− h
Pertanto non esiste il pano tangente nell’origine.
in quanto
!
2 + ρ cos(θ )
t
0 ≤ ρ t02 + ρ cos(θ ) (cos(θ ) − sin(θ )(2t0 + ρ sin(θ ))) sin 2 0
2
t0 + ρ cos(θ ) − (t0 + ρ sin(θ ))
≤ ρ t02 + ρ 1 + 2|t0 | + ρ −−−→ 0.
ρ→0
in quanto
2
cos(θ )
0 ≤ ρ cos(θ ) cos(θ ) − ρ sin(θ ) sin ≤ ρ (1 + ρ) −−−→ 0.
cos(θ ) − ρ sin(θ )2 ρ→0
!
2 x y2
lim x y exp = 0.
k(x,y)k→0 x + y4
2
y
visto che p ≤ 1 ∀(x, y) ∈ R2 . Si ha che lontano dall’origine
x + y2
2
! !
y 4 − x2 x y 2
fx (x, y) = y2 1 + 2 x y2 exp 2 ,
(x + y4 )2 x + y4
! !
x2 − y4 2 x y2
fy (x, y) = 2 x y 1 + 2 x y exp 2 ,
(x + y4 )2 x + y4
La funzione è quindi C 1 . Infine la funzione non è limitata in quanto f (y2 , y) = y4 e1/2 −−−→ ∞.
y→∞
y x4 + 4x2 y2 − y4 x x4 − 4x2 y2 − y4
fx (x, y) = −1 + 2 , fy (x, y) = 2 .
x2 + y2 x 2 + y2
dunque il limite nella condizione di differenziabilità non esiste e quindi f non è differenziabile nell’origine. Per questo
non possiamo applicare la formula del gradiente per calcolare la derivata direzionale, che va quindi calcolata utilizzando
direttamente la definizione:
−2x3 −2x
lim f (x, −1) = lim = −∞, lim f (x, 1) = lim = 0,
x→∞ x→∞ x2 + 1 x→∞ x→∞ x2 + 1
x x2 − 12
lim f (x, 2) = lim = ∞.
x→∞ x→∞ x2 + 4
√
Esercizio 5.4.26 Si verifichino i seguenti fatti per la funzione f (x, y) = x 3 y.
Esercizio 5.4.27 Si verifichi direttamente dalla definizione che la seguente funzione è differenziabile nell’origine.
x y3 se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) = x2 +y2
0 se (x, y) = (0, 0) .
Si ottenga poi lo stesso risultato dimostrando che fx ed fy sono continue nell’origine calcolandone il limite.
Sia f : Rn → R ed x 0 ∈ Rn . La derivata parziale fxi (xx0 ) è la derivata nella direzione corrispondente al versore ei . Più in
generale, si può calcolare la derivata nella direzione corrispondente ad un generico versore v ∈ Rn come segue
Definizione 5.4.30 La derivata direzionale di f rispetto al versore v nel punto x 0 è
f (xx0 + h v ) − f (xx0 )
Dv f (xx0 ) = lim .
h→0 h
Si osservi che h 7→ f (xx0 + h v )− f (xx0 ) è una funzione di una variabile a valori reali e che la sua derivata in zero è Dv f (xx0 ).
Inoltre, le derivate parziali sono dei casi particolari di derivate direzionali in quanto
Il calcolo delle derivate direzionali di una funzione differenziabile è semplificato dal seguente importante
Teorema della formula del gradiente Sia f : A → R con A aperto di Rn e v ∈ Rn un versore. Se f è differenziabile in
x 0 ∈ A, allora la derivata direzionale Dv f (xx0 ) esiste e vale la formula del gradiente
Dimostrazione. Per semplicità prendiamo n = 2 Visto che f è differenziabile in (x0 , y0 ), si ha che la condizione di
differenziabilità vale anche con h = t cos (θ ) e k = t sin (θ ), cioè
f x0 + t cos (θ ) , y0 + t sin (θ ) − f (x0 , y0 ) − fx (x0 , y0 ) t cos (θ ) − fy (x0 , y0 ) t sin (θ )
0 = lim q
t→0+ 2 2
t cos (θ ) + t sin (θ )
f x0 + t cos (θ ) , y0 + t sin (θ ) − f (x0 , y0 )
= lim − fx (x0 , y0 ) cos (θ ) − fy (x0 , y0 ) sin (θ ) .
t→0+ t
Da ciò segue immediatamente
f x0 + t cos (θ ) , y0 + t sin (θ ) − f (x0 , y0 )
Dv f (x0 , y0 ) = lim = fx (x0 , y0 ) cos (θ ) + fy (x0 , y0 ) sin (θ ) .
t→0 t
t
u
Dal teorema precedente segue che, una volta calcolate le derivate parziali di una funzione differenziabile, sappiamo
calcolare immediatamente anche tutte le sue derivate direzionali.
Esempio 5.4.32 La funzione f (x, y) = x ex y è definita e differenziabile in R2 perché appartiene a C 1 R2 . Le sue
derivate parziali x 7→ fx (x, xy 2 xy 2
y) = (1 + y) e e y 7→ fy (x, y) = x e sono infatti continue in R . La derivata di f nella
direzione cos (θ ) , sin (θ ) nel punto (x0 , y0 ) è pertanto
h i
Dv f (x0 , y0 ) = fx (x0 , y0 ) cos (θ ) + fy (x0 , y0 ) sin (θ ) = (1 + y0 ) cos (θ ) + x02 sin (θ ) ex0 y0 .
Esempio 5.4.33 Calcoliamo la derivata direzionale della funzione f (x, y) = (y2 + 1) arctan(x) nel punto (1, 1) nella
√ √ !
2 2
direzione ω = , . Osserviamo che
2 2
1 + y2 √
fx (x, y) = π ∂f 2 π
1 + x2 ⇒ ∇ f (1, 1) = 1, ⇒ (1, 1) = 1+ .
2 ∂ω 2 2
fy (x, y) = 2y arctan(x)
p
Esempio 5.4.34 La funzione f (x, y) = 3 x2 y è definita in R2 . Calcoliamo le sue derivate parziali. Chiaramente x 7→
1/3 2/3 n o
fx (x, y) = 32 xy e y 7→ fy (x, y) = 31 xy sono ben definite e continue in A = (x, y) ∈ R2 : x y 6= 0 . Inoltre, se
x0 y0 6= 0, allora
f (h, 0) − f (0, 0)
fx (0, 0) = lim = lim 0 = 0,
h→0 h h→0
f (x0 + h, 0) − f (x0 , 0)
fx (x0 , 0) = lim = lim 0 = 0,
h→0 h h→0
1/3
f (h, y0 ) − f (0, y0 ) y0
fx (0, y0 ) = lim = lim non esiste,
h→0 h h→0 h
f (0, k) − f (0, 0)
fy (0, 0) = lim = lim 0 = 0,
k→0 k k→0
2/3
f (x0 , k) − f (x0 , 0) x0
fy (x0 , 0) = lim = lim non esiste,
k→0 k k→0 k
f (0, y0 + k) − f (0, y0 )
fy (0, y0 ) = lim = lim 0 = 0.
k→0 k k→0
Dunque f è derivabile in A ∪ (0, 0) .
Siccome le derivate parziali sono continue in A, ovvero f ∈ C 1 (A), per il teorema della differenziabilità
n di funzioniodi
classeC C la funzione f è differenziabile in A. Inoltre, visto le derivate parziali non sono definite in (x, y) ∈ R2 : x y = 0 \
1
(0, 0) , si ha che f non è differenziabile in tale insieme. Resta da capire se f è differenziabile in (0, 0). Studiamo prima
le derivate direzionali.
Per il teorema della formula del gradiente, la derivata di f nella direzione cos (θ ) , sin (θ ) nel punto (x0 , y0 ) ∈ A è
1/3 2/3
2 y0 1 x0
Dv f (x0 , y0 ) = fx (x0 , y0 ) cos (θ ) + fy (x0 , y0 ) sin (θ ) = cos (θ ) + sin (θ ) .
3 x0 3 y0
In particolare, la formula del gradiente non è valida in (0, 0) visto che non tutte le derivate direzionali sono nulle. Come
conseguenza si ha che f non è differenziabile in (0, 0).
In conclusione abbiamo visto che:
• f è ben definita in R2 ;
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 101
n o
• f è derivabile ed ammette derivate direzionali in A ∪ (0, 0) , con A = (x, y) ∈ R2 : x y 6= 0 ;
• f è differenziabile in A.
Con il seguente esempio mostriamo che la formula del teorema della formula del gradiente puo valere anche se la
funziona non soddisfa le ipotesi del teorema stesso.
Esempio 5.4.35 Consideriamo la funzione
(
1 se |y| > x2 oppure y = 0,
f (x, y) =
0 altrimenti.
Si osserva innanzitutto che f = 0 sull’asse x e quindi fx (0, 0) = 0. Si osserva poi che per ogni versore v = cos(θ ), sin(θ )
diverso da (1, 0), l’intersezione tra l’insieme {(x, y) ∈ R2 : |y| > x2 } e la retta per l’origine di direzione v è un segmento
centrato nell’origine. Poiché su tale segmento f (x, y) = 1, si ha
f h cos(θ ), h sin(θ ) − f (0, 0)
Dv f (0, 0) = lim = 0.
h→0 h
Perciò grad f (0, 0) = 0 e la formula del gradiente è verificata. D’altra parte la funzione non è differenziabile nell’origine
in quanto non è nemmeno continua nell’origine. Infatti ad esempio
x+y+1
Esempio 5.4.36 Calcoliamo la derivata direzionale della funzione f (x, y) = x2 +y2 +1
nel punto (1, 1) nella direzione
√
ω = ( 3/2, 1/2):
1−x(2+x)−2xy+y2
fx (x, y) = ,
!
2
(1+x2 +y2 ) −1/3 ∂f 1 1
1+x2 +y2 −2y(1+x+y)
⇒ ∇ f (1, 1) = ⇒ (1, 1) = − − √ .
−1/3 ∂ω 6 2 3
fy (x, y) = ,
2
(1+x +y )
2 2
∂f xy
Esercizio 5.4.38 Si dimostri che la derivata direzionale ∂ω della funzione f (x, y) = x2 +y2
nel punto (1, 2) nella direzione
√ √
ω = ( 3/2, 1/2) è ∂∂ωf = 50
3
2 3−1 .
invece
6
f continua, derivabile ed ha le derivate direzionali in A =⇒ f differenziabile in A.
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 102
ovvero
il gradiente grad f è ortogonale (normale) al vettore tangente r 0 alla linea di livello f = f (xx0 ) in x 0 .
È chiaro che la direzione v in cui si ha la massima o minima crescita di f coincide con la direzione che massimizza o
minimizza Dv f (xx0 ), rispettivamente. Visto che il prodotto scalare tra due vettori è massimo o minimo se i due vettori sono
paralleli e sono concordi o discordi, rispettivamente, per la formula del gradiente si ha:
la massima crescita di f in x 0 la si ha nella direzione del gradiente grad f (xx0 );
la minima crescita di f in x 0 la si ha nella direzione opposta a quella del gradiente, cioè nella direzione − grad f (xx0 ).
Esempio 5.4.41 f (x, y) = ex sin (y) è C 1 in R2 , pertanto è differenziabile ed ha un piano tangente per ogni (x0 , y0 ) ∈ R2 ,
che ha equazione
5.4 Derivate parziali, piano tangente, differenziale 103
! ! !
x − x0 x0 ex0 sin (y0 ) x − x0
z = f (x0 , y0 ) + grad f (x0 , y0 ) · =e sin (y0 ) + x0 ·
y − y0 e cos (y0 ) y − y0
= (1 + x − x0 ) ex0 sin (y0 ) + (y − y0 ) ex0 cos (y0 ) .
Ovviamente, essendo f differenziabile, possiamo applicare la formula del gradiente ed avere di nuovo che
! !
e1 sin (π) 3/5 4
Dv f (1, π) = grad f (1, π) ·vv = 1 · = − e.
e cos (π) 4/5 5
Esempio 5.4.43 (Equazione del trasporto) Sia c ∈ R una costante e consideriamo l’equazione del trasporto
∂u ∂u
+c =0
∂ x ∂t
si tratta di un’equazione alle derivate parziali che può essere riscritta in termini della derivata
direzionale lungo il vettore v = (c, 1) come
Dv u (x,t) = 0.
Questa equazione descrive, ad esempio, come una densità u varia nello spazio x e nel tempo t. Se
imponiamo un dato iniziale
u (x, 0) = v (x) ,
ovvero conosciamo i valori assunti dalla densità al tempo t = 0 su tutto R, allora la soluzione è
u (x,t) = v (x − c t) .
Dunque al variare del tempo la densità iniziale v viene trasportata con velocità c.
Esercizio 5.4.44 Mostrare che se f : R3 → R è una funzione differenziabile, la funzione u : Rn+1 → R definita da u (xx,t) =
f (xx −cc t), con c ∈ Rn costante, soddisfa l’equazione del trasporto
∂u
c · gradx u + = 0.
∂t
5.5 Derivate successive e approssimazioni successive 104
Esempio 5.4.45 Una particella si muove nel piano secondo la legge oraria
r (t) = t (1 − t) ,t 3 , t > 0.
Se la temperatura stazionaria (cioè indipendente dal tempo) nel piano è u (x, y) = e−x+2 y , allora possiamo calcolare la
velocità con cui la particella sente variare la temperatura in due modi. Possiamo infatti calcolare la derivata di g = u ◦rr
utilizzando la formula di derivazione di funzioni composte
!
−1 −x+2 y
! !
grad u (x, y) =
e
g (t) = grad u r (t) ·rr 0 (t) = −1 · 1 − 2 t e−t (1−t)+2t 3
0
2
! ⇒ 2 3 t2
1−2 t
2
= 6 t 2 + 2 t − 1 e(2 t +t−1)t ,
r 0 (t) =
3 t2
2 +t−1
oppure osservare che g (t) = e−t(1−t)+2t = e(2 t )t e farne direttamente la derivata ottenendo ovviamente lo stesso
3
risultato.
z = f (x, y) = 1 − 2 x2 − y4 .
Consideriamo il sentiero che scende dalla cima della collina e descritto dalla curva di equazione polare ρ = 2θ ,
θ ∈ [0, 3π]. Scrivere in funzione di θ la velocità con cui il sentiero fa perdere quota, cioè dz/dθ . Ottenere il risultato
utilizzando entrambe i metodi utilizzati nell’esempio 5.4.45.
nei punti in cui esistono. Si dica qual è il più grande insieme aperto del piano in cui f è C1 .
Esercizio 5.4.48 Scrivere il piano tangente nell’origine al grafico delle seguenti funzioni:
p p
f (x, y) = ex+y , f (x, y) = sin (2 x) + y cos (x) , f (x, y) = 1 + x + x2 + y2 , f (x, y) = 3 1 + x2 + y2 .
y2
f (x, y) = x2 +
4
e alcuni vettori spiccati da punti di tali linee, aventi direzione e verso di grad f senza calcolare il gradiente.
Se f : Rn → R è derivabile allora le sue derivate parziali fx1 , . . . , fxn : Rn → R sono ben definite; se queste sono derivabili,
allora ne possiamo fare le derivate parziali ottenendo così le derivate parziali seconde di f
∂ ∂f
f xi x j = f xi x = = ∂x j ∂xi f = Dx j Dxi f = D j (Di f ) .
j ∂ x j ∂ xi
Teorema di Schwarz Se f è una funzione di classe C 2 in un aperto A di Rn , allora le sue derivate miste fxi x j e fx j xi
coincidono in A.
5.5 Derivate successive e approssimazioni successive 105
Osserviamo che f è C 2 se e solo se le derivate seconde fxi x j sono continue, ovvero le derivate prime fxi sono C 1 . In
particolare, le derivate prime fxi sono continue e quindi f è C 1 e differenziabile. In sintesi si ha
1
f è C e quindi è differenziabile,
f ∈ C2 ⇒ le derivate prime di f sono C 1 e quindi sono differenziebili,
le derivate seconde di f sono C 0 e le derivate miste coincidono.
Esempio 5.5.2 Se
x y (x2 −y2 )
x2 +y2
se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 se (x, y) = (0, 0) ,
allora
4 2 2 4 4 2 2 4
y (x +4x y −y )
se (x, y) 6= (0, 0) x (x −4x y −y )
se (x, y) 6= (0, 0)
2 2
fx (x, y) = (x +y )
2 2
fy (x, y) = (x +y )
2 2
perché
Si noti che fxy (0, 0) 6= fyx (0, 0) ma che ciò non contraddice il teorema di Schwarz.
Le definizioni di derivate parziali ed il teorema di Schwarz si generalizzano a derivate di ordine k: per una funzione
di più variabili e di classe Ck non è importante l’ordine con cui facciamo le derivate seconde, terze, . . . , k-esime. Ad
esempio, per una funzione di tre variabili f (x, y, z) di classe C3 si ha
∂3 f ∂3 f ∂3 f ∂3 f ∂3 f ∂3 f
= = = = = .
∂ x∂ y∂ z ∂ x∂ z∂ y ∂ y∂ x∂ z ∂ z∂ x∂ y ∂ y∂ z∂ x ∂ z∂ y∂ x
Un’equazione alle derivate parziali è un’equazione che coinvolge le derivate parziali di una funzione incognita fatte
rispetto ad almeno due variabili.
∆ u (x1 , . . . , xn ) = 0, (5.3)
n
∂ 2u
∆u = ∑ 2
.
i=1 ∂ xi
Ad esempio, il potenziale elettrostatico (o gravitazionale) u soddisfa l’equazione di Laplace in tre variabili nei punti dello
spazio privi di carica elettrica (o di materia, rispettivamente)
∂ 2u ∂ 2u ∂ 2u
∆ u (x, y, z) = 0 ⇐⇒ + + = 0.
∂ x2 ∂ y2 ∂ z2
n−1 0
∆ h (xx) = g00 kxxk +
g kxxk .
kxxk
ponendo v (ρ) = g0 (ρ) e ricavando poi v e quindi g per integrazione (distinguere i casi n = 2 ed n > 2).
• Determinare le soluzioni radiali dell’equazione di Laplace (5.3) in R2 \ {00}.
Esempio 5.5.6 Sia u (t, x, y, z) la temperatura di un corpo che scambia calore con l’ambiente al tempo t e nel punto
(x, y, z). Se non vi sono nel corpo sorgenti o pozzi, allora u soddisfa l’equazione del calore in quattro variabili
ut = D ∆ u, (5.4)
dove D è il coefficiente di diffusione e dipende dalle caratteristiche del materiale e dalle unità di misura.
Esercizio 5.5.7 Verificare che la seguente funzione soddisfa l’equazione del calore (5.4) con D = 1.
!
1 x2
f (t, x, y) = √ exp −
t 4t
Esempio 5.5.8 Consideriamo una corda illimitata che al tempo t = 0 coincide con l’asse x e che inizia a vibrare. Sia
u (t, x) l’ordinata all’istante t del punto della corda la cui posizione iniziale è (x, 0). Allora u soddisfa l’equazione della
corda vibrante
utt = c2 uxx ,
dove c è la velocità di propagazione dell’onda.
Abbiamo visto che la differenziabilità di una funzione di classe C 1 ci permette di approssimare il suo grafico con il piano
tangente. Vedremo ora che per funzioni di classe C 2 è possibile migliorare tale approssimazione.
Teorema della formula di Taylor Se f : Rn → R è una funzione di classe C 2 in un intorno di x 0 ∈ Rn , allora vale la
formula di Taylor al secondo ordine con resto secondo Peano
n
∂f 1 n n ∂2 f
f (xx0 + dxx) = f (xx0 ) + ∑ (xx0 ) dxi + ∑ ∑ (xx0 ) dxi dx j + o kdxxk2 per dxx → 0.
i=1 ∂ xi 2 i=1 j=1 ∂ xi ∂ x j
5.5 Derivate successive e approssimazioni successive 107
Si tratta di una funzione scalare di una variabile e di classe C 2 . La formula di MacLaurin al secondo ordine per g è
t 2 00
g (t) = g (0) + t g0 (0) + g (0) + o t 2 per t → 0.
2
Chiaramente g (0) = f (x0 , y0 ) e per la formula di derivazione delle funzioni composte (5.2)
(
g0 (t) = fx (x0 + t h, y0 + t k) h + fy (x0 + t h, y0 + t k) k
g00 (t) = fxx (x0 + t h, y0 + t k) h2 + 2 fxy (x0 + t h, y0 + t k) h k + fyy (x0 + t h, y0 + t k) k2 ,
(
g0 (0) = fx (x0 , y0 ) h + fy (x0 , y0 ) k
⇒
g00 (0) = fxx (x0 , y0 ) h2 + 2 fxy (x0 , y0 ) h k + fyy (x0 , y0 ) k2 .
Osserviamo che la formula di Taylor al secondo ordine può essere riscritta in maniera più compatta
1 2
f (xx0 + dxx) = f (xx0 ) + d f (xx0 ) + d f (xx0 ) + o kdxxk2 per dxx → 0,
2
dove
Osserviamo che d2 f (xx0 ) è la forma quadratica nelle componenti dxi dell’incremento associata alla matrice hessiana di f
fx1 x1 (xx0 ) fx1 x2 (xx0 ) . . . fx1 xn (xx0 ) !
fx2 x1 (xx0 ) fx2 x2 (xx0 ) . . . fx2 xn (xx0 )
∂2 f
H f (xx0 ) = = (xx0 ) ∈ Rn×n .
... ... ... ... ∂ xi ∂ x j
i, j∈{1,...,n}
fxn x1 (xx0 ) fxn x2 (xx0 ) . . . fxn xn (xx0 )
Esercizio 5.5.11 Verificare che le seguenti funzioni soddisfano l’equazione di Laplace (5.3) in due variabili
f (x, y) = ex sin (y) , f (x, y) = cos (x) sinh (y) , f (x, y) = x3 − 3 x y2 , f (x, y) = x4 − 6 x2 y2 + y4 .
Scrivere la matrice hessiana di ciascuna funzione e calcolare il differenziale secondo nell’origine della prima funzione.
Se x 0 è un punto di massimo (o minimo) assoluto (o locale) di f , allora il valore f (xx0 ) è un massimo (o minimo) assoluto
(o locale) di f .
Per definizione un punto di massimo (o di minimo) assoluto è un punto di massimo (o di minimo) locale.
Una condizione necessaria per la ricerca dei punti di massimo e minimo locali è data nel seguente
Dimostrazione. Per semplicità consideriamo f : R2 → R ed x 0 = (x0 , y0 ). Sia x 0 un punto di massimo locale. Allora la
funzione scalare di una variabile g (t) = f (t, y0 ) ha un punto di massimo locale in t = x0 . Per il teorema di Fermat in una
variabile deve essere 0 = g0 (x0 ) = fx (x0 , y0 ). Analogamente, la funzione scalare di una variabile h (t) = f (x0 ,t) ha un
punto di massimo locale in t = y0 e per il teorema di Fermat in una variabile deve essere 0 = h0 (x0 ) = fy (x0 , y0 ). t
u
Il teorema di Fermat ci dice che per trovare i punti di massimo e di minimo per una funzione f derivabile bisogna
prima trovare i suoi punti critici, ovvero risolvere il sistema di n equazioni ed n incognite
fx1 x01 , x02 , . . . , x0n = 0
fx2 x01 , x02 , . . . , x0n = 0
grad f (xx0 ) = 0 ⇔
...
fxn x1 , x2 , . . . , xn = 0,
0 0 0
e poi capire se tali punti sono di massimo (o minimo) assoluto (o locale), oppure dei punti di sella.
Esempio 5.6.3 Per trovare l’insieme dei punti critici C della funzione f (x, y) = x2 (3x + y2 )ey , dobbiamo risolvere il
sistema (
fx (x, y) = ey x(9x + 2y2 ) = 0,
fy (x, y) = ey x2 (3x + 2y + y2 ) = 0.
Chiaramente la retta x = 0 risolve il sistema. Se x 6= 0, allora il sistema equivale al seguente
(
9x + 2y2 = 0,
3x + 2y + y2 = 0.
x2
0 ≤ (x − y)2 = x2 − 2 x y + y2 ⇒ 2 x y ≤ x2 + y2 < 1 ⇒ x3 y ≤
2
x2 5
⇒ f (x, y) ≥ 3 x2 + y2 −
≥ x2 + y2 ≥ 0 = f (0, 0) .
2 2
√ √
Infine, per dimostrare che i punti ± 2, ± 2 sono dei punti di sella basta osservare che
le funzioni
√ √
x 7→ f x, ± 2 , y 7→ f ± 2, y
√
hanno un punto di massimo e di minimo locali in ± 2, rispettivamente.
Esempio 5.6.5 Cerchiamo l’insieme C dei punti critici della funzione f (x, y) = ey x2 (x + y). Sicuramente i punti della
retta x = 0 sono critici perché soddisfano il sistema
(
fx (x, y) = ey x(3x + 2y) = 0,
fy (x, y) = ey x2 (1 + x + y) = 0.
Dunque anche (2, −3) è un punto critico. In conclusione C = ({0} × R) ∪ {(2, −3)}.
Esempio 5.6.6 Cerchiamo l’insieme dei punti critici C della funzione f (x, y) = ex y3 (x + 3y). Sicuramente i punti della
retta y = 0 sono critici perché soddisfano il sistema
(
fx (x, y) = ex y3 (1 + x + 3y) = 0,
fy (x, y) = 3ex y2 (x + 4y) = 0.
Se x 0 è un punto critico di una funzione f di classe C 2 , allora d f (xx0 ) = 0 e per il teorema della formula di Taylor
1 2
f (xx0 + dxx) − f (xx0 ) = d f (xx0 ) + o kdxxk2 per dxx → 0.
2
Visto che il termine di errore o kdxxk2 è arbitrariamente piccolo in un intorno sufficientemente piccolo di x 0 , se il
differenziale d2 f (xx0 ) è strettamente positivo (o negativo), allora possiamo facilmente dedurre che il punto stazionario x 0
è un massimo (o un minimo, rispettivamente) locale. Visto che d2 f (xx0 ) è una forma quadratica, nella prossima sezione
richiamiamo alcuni risultati utili sulle forme quadratiche.
5.6 Ottimizzazione I. Estremi liberi 110
Una forma quadratica (in breve f. q.) su Rn è un polinomio omogeneo di secondo grado in n variabili
n
q (hh) = q (h1 , h2 , . . . , hn ) = ∑ ai j hi h j , h ∈ Rn ,
i, j=1
dove ai j ∈ R sono i coefficienti della f. q., che corrispondono alla matrice quadrata simmetrica (cioè ai j = a ji )
n a11 a12 . . . a1n
A = ai j i, j=1 = . . . . . . . . . . . . ∈ Rn×n .
an1 an2 . . . ann
Osserviamo che
q (hh) = h T A h ,
dove h è un vettore colonna, h T il suo trasposto ed è un vettore riga ed h T A h è il prodotto righe per colonne.
Esempio 5.6.8 Se f è una funzione di classe C 2 in un intorno di x 0 ∈ Rn , allora la sua matrice hessiana H f (xx0 ) è
simmetrica. Possiamo dunque considerare la forma quadratica q associata ed osservare che
n n
q (dxx) = dxxT H f (dxx0 ) dxx = ∑ ∑ fxi x j (xx0 ) dxi dx j = d2 f (xx0 ) .
i=1 j=1
Siamo interessati al segno di una forma quadratica. Osserviamo che q (00) = 0 e q (t h ) = t 2 q (hh). Quindi, per ogni h 6= 0
si ha che il segno di q (t h ) è costante per ogni t 6= 0.
Abbiamo la seguente classificazione delle f. q. e delle matrici simmetriche.
Definizione 5.6.9 Una forma quadratica q : Rn → R (o una matrice simmetrica A ∈ Rn×n ) si dice:
i) definita positiva se q (hh) > 0 ∀hh 6= 0;
ii) definita negativa se q (hh) < 0 ∀hh 6= 0;
iii) semidefinita positiva se q (hh) ≥ 0 ∀hh 6= 0 ed ∃hh0 6= 0 tale che q (hh0 ) = 0;
iv) semidefinita negativa se q (hh) ≤ 0 ∀hh 6= 0 ed ∃hh0 6= 0 tale che q (hh0 ) = 0;
v) indefinita se ∃hh1 ,hh2 tali che q (hh1 ) < 0 < q (hh2 ).
Dimostrazione. Visto che A è una matrice simmetrica, essa è diagonalizzabile, ovvero esiste una matrice ortogonale M
tale che
A = M ∆ MT
dove ∆ è la matrice diagonale diag (λ1 , λ2 , . . . , λn ). Quindi la f. q. associata ad A si scrive
T n
q (hh) = h T A h = h T M ∆ M T h = M T h ∆ M T h = k T ∆ k = ∑ λi ki2 ,
i=1
t
u
Se abbiamo una matrice 2 × 2, allora si può evitare di calcolare i suoi autovalori ed applicare il seguente
2
Corollario 5.6.12 (forme quadratiche in due variabili) Sia A = ai j i, j=1 una matrice simmetrica. La forma quadrati-
ca q associata ad A è:
Dimostrazione. Ricordiamo che, in generale, il determinante di una matrice n × n è pari al prodotto dei suoi autovalori
e la sua traccia è pari alla somma dei suoi autovalori. Se n = 2, allora gli autovalori λ1 e λ2 di una matrice A ∈ R2×2
soddisfano
Non è limitativo assumere che λ1 ≤ λ2 . Se det (A A) < 0, allora λ1 < 0 < λ2 ed A è indefinita. Se det (A A) ≤ 0,
A) = 0 e tr (A
allora λ1 ≤ 0 = λ2 ed A è semidefinita negativa. Se det (A A) ≥ 0, allora λ1 = 0 ≤ λ2 ed A è semidefinita positiva.
A) = 0 e tr (A
A) < 0, allora λ1 ≤ λ2 < 0 ed A è definita positiva. Se det (A
A) > 0 e tr (A
Se det (A A) > 0, allora 0 < λ1 ≤ λ2 ed A
A) > 0 e tr (A
è definita positiva. t
u
Esempio 5.6.13 q (h1 , h2 ) = −2 h21 + 2 h1 h2 − 3 h22 è una f. q. definita negativa perché
!
−2 1
A= , A) = (−2) (−3) − 1 · 1 = 5 > 0,
det (A A) = −5 < 0.
tr (A
1 −3
n
Corollario 5.6.14 (forme quadratiche in n variabili) Sia A = ai j i, j=1
una matrice simmetrica e consideriamo le sue
sottomatrici principali di nord-ovest
a11 a12 a13
!
a11 a12
A 1 = a11 , A2 = , A 3 = a21 a22 a23 , ... , An = A.
a21 a22
a31 a32 a33
Osserviamo che il precedente corollario non ci dice quando la forma quadratica è semidefinita o indefinita.
Esempio 5.6.15 La matrice associata alla forma quadratica q (h1 , h2 , h3 ) = 5 h21 − 8 h1 h3 + 3 h22 + 4 h23 è
5 0 −4
A = 0 3 0 .
−4 0 4
√ √
La f. q. è definita positiva perché i suoi autovalori λ1 = 21 9 − 65 , λ2 = 3, λ3 = 21 9 + 65 sono positivi. In
alternativa, invece di calcolare gli autovalori, basta osservare che
!
50
A1 ) = a11 = 5 > 0,
det (A A2 ) = det
det (A = 15 > 0, A) = 60 − 48 = 12 > 0.
det (A
03
n n
q (hh) = ∑ λi ki2 ≥ λmin ∑ ki2 = λmin kkk k2 = λmin khhk2 ,
i=1 i=1
n n
q (hh) = ∑ λi ki2 ≤ λmax ∑ ki2 = λmax kkk k2 = λmax khhk2 ,
i=1 i=1
Possiamo ora caratterizzare la natura dei punti critici utilizzando la matrice hessiana.
Dimostrazione. Abbiamo visto che se x 0 è un punto critico, allora per il teorema della formula di Taylor abbiamo
1 2
f (xx0 + dxx) − f (xx0 ) = d f (xx0 ) + o kdxxk2 per dxx → 0
2
dove il differenziale secondo di f calcolato in x0
n n
d2 f (xx0 ) = ∑ ∑ fxi x j (xx0 ) dxi dx j
i=1 j=1
è una forma quadratica nelle componenti dxi dell’incremento associata alla matrice hessiana H f (xx0 ). Assumiamo che
H f (dxx0 ) sia definita positiva (la dimostrazione degli altri casi è analoga). Per il teorema 5.6.16 esiste una costante c > 0
tale che
5.6 Ottimizzazione I. Estremi liberi 113
√ √ √ √
Esempio 5.6.19 La funzione f (x, y) = 3 x2 + y2 − x3 y studiata nell’esempio 5.6.4 ha (0, 0), 2, 2 , − 2, − 2
come punti critici. Visto che
Esempio 5.6.20
• L’unico punto stazionario di f (x, y) = x2 + y2 è l’origine, che per il Corollario 5.6.18 è un punto di minimo perché
det H f (0, 0) = 4, fxx (0, 0) = 2.
• L’unico punto stazionario di f (x, y) = − x2 + y2 è l’origine, che per il Corollario 5.6.18 è un punto di massimo
perché
det H f (0, 0) = 4, fxx (0, 0) = −2.
• L’unico punto stazionario di f (x, y) = x2 − y2 è l’origine, che per il Corollario 5.6.18 è un punto di sella perché
det H f (0, 0) = −4.
Esempio 5.6.21
• L’unico punto stazionario di f (x, y) = x4 + y4 è l’origine, che è un punto di minimo. Si osservi che det H f (0, 0) = 0
• L’unico punto stazionario di f (x, y) = x4 − y4 è l’origine, che è un punto di sella. Si osservi che det H f (0, 0) = 0 e
f (x, y) = x4 − 6x2 y2 + y4 .
Se x = 0, allora la prima equazione è soddisfatta e dalla seconda abbiamo che anche y = 0. Quindi l’origine è un punto
2 2
Se x 6= 0, allora
critico. dalla prima equazione ricaviamo che 0 6= x = 12 y , e sostituendo nella seconda ci da un assurdo:
2 2 3 2 2
0 = y −36y + y = 35y ⇔ y = 0 ⇒ 0 6= x = 12 · 0 = 0. Dunque l’unico punto critico è l’origine. Visto che la sua
matrice hessiana
2 2
12 x − y −24 x y
H f (x, y) =
−24 x y 12 y2 − x2
si annulla nell’origine, non possiamo utilizzare il Corollario 5.6.18. Osserviamo però che la restrizione di f lungo la retta
y=0
x 7→ f (x, 0) = x4
ha un punto di minimo in x = 0, mentre la restrizione di f lungo la retta y = x
x 7→ f (x, x) = −4 x4
Esempio 5.6.23 Fissati i punti P1 = (x1 , y1 ), P2 = (x2 , y2 ), . . . , Pn = (xn , yn ), vogliamo trovare il punto P = (x, y) che
minimizza la somma dei quadrati delle distanze dai punti P1 , P2 , . . . , Pn
n h i
f (x, y) = ∑ (x − xi )2 + (y − yi )2 .
i=1
L’unico punto critico è quindi il baricentro del sistema degli n punti. La matrice hessiana
!
2n 0
0 2n
Esempio 5.6.24 Fissati i punti P1 = (x1 , y1 ), P2 = (x2 , y2 ), . . . , Pn = (xn , yn ), vogliamo trovare la loro retta di regressione
y = a x + b, cioè la retta che “meno si discosta dal passare per gli n punti”, ovvero vogliamo minimizzare l’errore
quadratico medio
5.6 Ottimizzazione I. Estremi liberi 115
n
E (a, b) = ∑ (a xi + b − yi )2
i=1
che ci da la somma dei quadrati delle distanze tra ciascun punto Pi ed il punto della retta avente la stessa ascissa
(xi , a xi + b). Il metodo utilizzato per risolvere tale problema si chiama metodo dei minimi quadratici. I punti critici sono
le soluzioni del seguente sistema
( ( (
Ea (a, b) = 0 ∑ni=1 2 xi (a xi + b − yi ) = 0 P a+Q b = S
⇔ n ⇔
Eb (a, b) = 0, ∑i=1 2 (a xi + b − y i ) = 0, Q a + n b = R,
dove
n n n n
P = ∑ xi2 , Q = ∑ xi , R = ∑ yi , S = ∑ xi yi .
i=1 i=1 i=1 i=1
f (x, y, z) = 3 x2 + 2 y2 + z2 − 2 x z + 2 x + 2 y + 1.
Risolvendo il sistema
fx (x, y, z) = 0 6x − 2z + 2 = 0 2z = 6x + 2 z = −1/2
fy (x, y, z) = 0 ⇔ 4y + 2 = 0 ⇔ y = −1/2 ⇔ y = −1/2
fz (x, y, z) = 0,
2z − 2 x = 0,
(6x + 2) − 2 x = 0,
x = −1/2,
si ricava che l’unico punto critico è P0 = −1/2, −1/2, −1/2 . La matrice hessiana
6 0 −2
0 4 0
−2 0 2
sono positivi. Dunque la matrice hessiana è definita positiva e quindi P0 è un punto di minimo locale.
!
1+α α
Esercizio 5.6.27 Classificare, al variare del parametro reale α, la forma quadratica associata alla matrice .
1 2α
2
2
Basta utilizzare la stima ∑ni=1 xi < n ∑ni=1 xi2 , si veda l’Esercizio 5.6.33.
5.7 Funzioni definite implicitamente 116
Esercizio 5.6.28 Stabilire se le seguenti forme quadratiche su R3 possono essere classificate in base al Corolla-
rio 5.6.14,ed in caso affermativo classificarle.
Esercizio 5.6.32 Si può dimostrare che le soluzioni dell’equazione di Laplace sono funzioni che non hanno massimi e
minimi locali. Verificare questo fatto per le seguenti funzioni
2 2
osservando che ∑ni=1 xi = ∑ni=1 xi2 + 2 ∑ j<s x j xs ed inoltre (n − 1) ∑ni=1 xi2 − 2 ∑ j<s x j xs = ∑ j<s x j − xs > 0.
∂
0= f x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 )
∂ xi
= fxi x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 ) + fxn x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 ) gxi (x1 , . . . , xn−1 )
5.7 Funzioni definite implicitamente 117
fxi x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 )
⇒ gxi (x1 , . . . , xn−1 ) = −
fxn x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 )
almeno dove il denominatore non è nullo. Una risposta più rigorosa è data nel seguente
1 in A ⊆ Rn aperto ed x = x , . . . , x
Teorema di Dini Sia f : A → R di classe C 0 1,0 n,0 ∈ A. Se f (xx0 ) = 0 ed fxn (xx0 ) 6= 0,
n−1
allora esiste B = B x1,0 , . . . , xn−1,0 , r ⊆ R con r > 0 ed un’unica funzione g : B → R tali che
f x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 ) = 0 ∀(x1 , . . . , xn−1 ) ∈ B;
inoltre g è di classe C 1 in B e
fxi x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 )
gxi (x1 , . . . , xn−1 ) = − ∀x ∈ B, i ∈ {1, . . . , n − 1}.
fxn x1 , . . . , xn−1 , g (x1 , . . . , xn−1 )
Se n = 2, allora il teorema di Dini può essere utilizzato per capire se le linee di livello di una f : R2 → R sono delle
curve o meno. Osserviamo infatti che le linee di livello f (xx) = k non sempre sono delle curve. Ad esempio abbiamo che:
inoltre g è di classe C 1 in I e
0 fx x, g (x)
g (x) = − ∀x ∈ I.
fy x, g (x)
Dunque in un intorno di (x0 , y0 ) la linea di livello f (x, y) = 0 corrisponde alla curva regolare r (t) = t, g(t) , t ∈ I, dove r
è di classe C 1 in I.
Osserviamo che se invece di avere fy (x0 , y0 ) 6= 0 avessimo fx (x0 , y0 ) 6= 0, allora basta invertire i ruoli di x e y nel
teorema di Dini e si ha che ∃J ⊆ R intorno di y0 ed un’unica funzione h : J → R tali che
f h (y) , y = 0 ∀y ∈ J;
inoltre h è di classe C 1 in J e
0 fy h (y) , y
h (y) = − ∀y ∈ J.
fx h (y) , y
Dunque in un intorno di (x0 , y0 ) la linea di livello f (x, y) = 0 corrisponde alla curva regolare r (t) = h(t),t , t ∈ J, dove
r è di classe C 1 in J.
In particolare abbiamo che
se la linea di livello Ec = (x, y) ∈ A : f (x, y) = c non contiene punti critici di f ,
ovvero k grad f (x, y)k 6= 0 ∀(x, y) ∈ Ec , allora Ec è una curva regolare.
5.7 Funzioni definite implicitamente 118
Esempio 5.7.2 Sia f (x, y) = x2 − y2 − 1. Osserviamo che (x0 , y0 ) = (1, 0) appartiene ad f = 0. Visto che fx (x, y) = 2 x ⇒
fx (1, 0) = 2 6= 0, per il teorema di Dini esiste un intorno J di y0 = 0 ed una funzione h : J → R di classe C 1 tale che
f h (y) , y = 0 per ogni y ∈ J; inoltre
0 fy h (y) , y −2 y y
h (y) = − =− = .
fx h (y) , y 2 h (y) h (y)
Esempio 5.7.3 Sia f (x, y) = x2 − y2 . Osserviamo che l’origine (x0 , y0 ) = (0, 0) appartiene ad f = 0. Visto che
Esempio 5.7.4 Sia f (x, y) = x2 + y2 . Osserviamo che l’origine (x0 , y0 ) = (0, 0) appartiene ad f = 0. Visto che
non possiamo applicare il teorema di Dini. In effetti f = 0 è solo un punto e non esiste una funzione implicita definita in
un intorno di 0.
Esempio 5.7.5 Sia f (x, y) = ex y + x − y − 1. Osserviamo che l’origine (x0 , y0 ) = (0, 0) appartiene ad f = 0. Visto che
fy (x, y) = x ex y − 1 ⇒ fy (0, 0) = −1 6= 0,
per il teorema di Dini esiste un intorno I di y0 = 0 ed una funzione g : I → R di classe C 1 tale che f x, g (x) = 0 ∀x ∈ I;
inoltre
0 fx x, g (x) g (x) ex g(x) + 1
g (x) = − =− .
fy x, g (x) x ex g(x) − 1
In questo caso non è possibile scrivere esplicitamente la funzione g. Nonostante ciò, ad esempio, dalla precedente
uguaglianza e dal fatto che g (0) = 0 ricaviamo che g0 (0) = 1. Inoltre, se deriviamo due volte
ricaviamo che
h 2 i
g (x) + x g0 (x) ex g(x) + 1 − g0 (x) = 0 g (x) + x g0 (x) + 2g0 (x) + x g00 (x) ex g(x) − g00 (x) = 0
⇒
e, visto che g (0) = 0 ed g0 (0) = 1, si ha g00 (0) = 2. Iterando il procedimento possiamo calcolare le derivate successive
di g (che non conosciamo esplicitamente) in x = 0 ed avere una buona approssimazione di g vicino ad x = 0 mediante lo
sviluppi di MacLaurin.
Esempio 5.7.6 Vediamo quali tra i seguenti sottoinsiemi di R2 rappresentano una curva regolare
n o xy+1 n o
(x, y) ∈ R2 : ey x2 (x + y) = 1 , (x, y) ∈ R2 : =1 , (x, y) ∈ R2 : |x| + |y| = 1 .
y+1
( (
3x + 2y = 0, x = 2,
⇔
1 + x + y = 0, y = −3.
Dunque anche (2, −3) è un punto critico. In conclusione grad f (x, y) = 0 se e solo se (x, y) ∈ ({0} × R) ∪ {(2, −3)}.
Siccome f (0, y) = 0 6= 1 6= −4/e3 = f (2, −3), la prima curva è regolare.
• Pongo f (x, y) = xy+1
y+1
ed osservo che
fx (x, y) = y
y+1 = 0,
x−1 ⇔ (x, y) = (1, 0).
fy (x, y) = (y+1)2
= 0,
Esempio 5.7.7 Vediamo quali tra i seguenti sottoinsiemi di R2 rappresentano una curva regolare
n o n o n o
(x, y) ∈ R2 : arctan(xy) = 1 + xy , (x, y) ∈ R2 : arctan(xy) = xy , (x, y) ∈ R2 : xy2 + x2 y = 1 .
y x 2 y3 x x 3 y2
fx (x, y) = − y = − , fy (x, y) = − x = − .
1 + x 2 y2 1 + x2 y2 1 + x2 y2 1 + x 2 y2
Esempio 5.7.8 Dire quali tra i seguenti sottoinsiemi di R2 rappresentano una curva regolare
( )
2
2 x+y+1 n
2
o
2 x +1
(x, y) ∈ R : 2 =1 , (x, y) ∈ R : arctan(x + y + 1) = 1 , (x, y) ∈ R : 2 =1 .
x + y2 + 1 y +1
x+y+1
• Pongo f (x, y) = x2 +y2 +1
ed osservo che
1−x(2+x)−2xy+y2
√ √ ! √ √ !
fx (x, y) = = 0,
(1+x2 +y2
2
)
−1 − 3 −1 − 3 −1 + 3 −1 + 3
1+x2 +y2 −2y(1+x+y)
⇔ (x, y) ∈ P1 = , , P2 = , .
2 2 2 2
fy (x, y) = = 0,
2
(1+x2 +y2 )
definisce implicitamente una funzione y = g (x) in un intorno di x = 0. Calcolare g0 (0), g00 (0) e scrivere lo sviluppo di
MacLaurin al secondo ordine per g.
Esercizio 5.7.10 Si provi che per tutti i valori di c tranne due, l’insieme di livello Ec della funzione
f (x, y) = x3 + y3 − 3 x y
ex−y + x2 − y2 − e (x + 1) − 1 = 0
definisce implicitamente y = f (x) in un intorno di x = 0 con f (0) = −1. Provare che x = 0 è un punto di minimo per f .
Il teorema di Dini può essere generalizzato alle funzioni di più variabili. Se ad esempio f : R3 → R è C 1 , si annulla
2
in P0 = (x0 , y0 , z0 ) ed fz (P0 ) 6= 0, allora esiste un intorno B (x0 , y0 ) , r ⊆ R ed un’unica funzione g : B (x0 , y0 ) , r → R
tale che
f x, y, g (x, y) = 0 ∀ (x, y) ∈ B (x0 , y0 ) , r ;
in tal caso g risulta essere di classe C 1 in B (x0 , y0 ) , r e le sue derivate parziali soddisfano
fx x, y, g (x, y)
gx (x, y) = − ∀ (x, y) ∈ B (x0 , y0 ) , r ,
fz x, y, g (x, y)
fy x, y, g (x, y)
gy (x, y) = − ∀ (x, y) ∈ B (x0 , y0 ) , r .
fz x, y, g (x, y)
arctan(z) + x y2 + x z − y3 − 1 = 0
definisce implicitamente z = g (x, y) in un intorno di (0, −1, 0). Scrivere l’equazione del piano tangente al grafico di
z = g (x, y) in tale punto.
In molti problemi di ottimizzazione, le variabili devono soddisfare dei vincoli. Consideriamo i seguenti esempi.
Esempio 5.8.1 Consideriamo una forza piana F ∈ R2 applicata ad un punto vincolato a muoversi senza attrito lungo la
linea di livello g (x, y) = 0. Assumiamo che F sia una forza conservativa, ovvero che esista un potenziale V : R2 → R tale
che F = gradV . Per determinare i punti di equilibrio stabile bisogna calcolare i punti di minimo dell’energia potenziale
E = −V , soggetti al vincolo g (x, y) = 0
min E (x, y) = min E (x, y) : g (x, y) = 0 .
g(x,y)=0
Esempio 5.8.2 Se in un’azienda si vuole ottimizzare la produzione Y = Q (K, L), dove K ed L sono il capitale ed il
lavoro, rispettivamente, allora lo si deve fare rispettando il budget b > 0 a disposizione. Quindi, se pK e pL sono il costo
di un’unità di capitale e di lavoro, rispettivamente, allora bisogna calcolare i punti di massimo di Y = Q (K, L) soggetti
al vincolo K pK + L pL = b
max Q (K, L) = max Q (K, L) : K pK + L pL = b
K pK +L pL =b
La situazione più semplice è quella in cui il vincolo è della forma (x, y) ∈ r (I) dove r è una curva di classe C 1 in I ⊆ R,
perché in tal caso basta studiare la funzione scalare di una variabile f ◦rr : I → R.
Esempio 5.8.3 Per calcolare i massimi della funzione produzione di Cobb-Douglas
b − LpL α 1−α
α
b − LpL a b
h (L) = Y ,L = a L = α − pL L
pK pK pK L
α−1 α α−1
αb b b b (1 − α) b (1 − α) b b
− − pL + − pL = − pL − pL = 0 ⇔ L∈ , .
L L L L L pL pL
Visto che h b/pL = 0 e
ab2 1
α−2 α
b (1 − α) b apL α pL
h00 (L) = −α (1 − α) − pL ⇒ h00 =− < 0,
pαK L3 L pL αb (1 − α) pK
(1 − α) b αb
L= , K= .
pL pK
Andiamo a considerare un metodo che vale più in generale quando il vincolo non è esplicitabile in una delle due
variabili come nell’esempio precedente.
Il teorema di Fermat ci dà una condizione necessaria per la ricerca dei punti di massimo e di minimo in tutto Rn . L’analogo
per il caso in cui i punti di massimo e di minimo devono soddisfare dei vincoli è dato dal
Teorema dei moltiplicatori di Lagrange Sia f : Rn → R di classe C 1 e g : Rn → R. Se x 0 ∈ Rn è un punto di estremo
vincolato per f sotto il vincolo g (xx) = b e grad g (xx0 ) 6= 0 , allora esiste λ0 ∈ R tale che
fx1 (xx0 ) = λ0 gx1 (xx0 )
f (xx ) = λ g (xx )
x2 0 0 x2 0
grad f (xx0 ) = λ0 grad g (xx0 ) ⇔
...
fx (xx0 ) = λ0 gx (xx0 ) .
n n
Dimostrazione. Assumiamo che x 0 ∈ Rn sia un punto di estremo vincolato per f sotto il vincolo g (xx) = b e grad g (xx0 ) 6= 0 .
Per il teorema di Dini l’equazione di vincolo definisce implicitamente un arco di curva regolare γ passante per x 0 . Visto
che questo punto è un estremo vincolato per f , la derivata direzionale di f nella direzione del versore tangente t 0 a γ in x 0
deve annullarsi, ovvero, per il teorema della formula del gradiente
Dunque grad f (xx0 ) è ortogonale al versore tangente t 0 , che è a sua volta ortogonale a grad g (xx0 ). Pertanto grad f (xx0 ) è
parallelo a grad g (xx0 ), ovvero esiste λ0 ∈ R tale che grad f (xx0 ) = λ0 grad g (xx0 ). t
u
Il teorema dei moltiplicatori di Lagrange ci dice che se x 0 ∈ Rn è un punto di estremo vincolato per f sotto il vincolo
g (xx) = b e grad g (xx0 ) 6= 0 , allora esiste un moltiplicatore di Lagrange λ0 ∈ R tale che (xx0 , λ0 ) sia un punto critico della
5.8 Ottimizzazione II. Estremi vincolati 122
funzione Lagrangiana
L (xx, λ ) = f (xx) + λ b − g (xx) ,
ovvero
Lx1 (xx0 , λ0 ) = fx1 (xx0 ) − λ0 gx1 (xx0 ) = 0
Lx2 (xx0 , λ0 ) = fx2 (xx0 ) − λ0 gx2 (xx0 ) = 0
grad L (xx0 , λ0 ) = 0 ⇔ ... ⇔ grad f (xx0 ) = λ0 grad g (xx0 ) .
Lxn (xx0 , λ0 ) = fxn (xx0 ) − λ0 gxn (xx0 ) = 0
Lλ (xx0 , λ0 ) = b − g (xx0 ) = 0
Per cercare i punti di estremo vincolati per f sotto il vincolo g (xx) = b bisogna:
Esempio 5.8.5 Determiniamo gli estremi di f (x, y) = x y soggetti al vincolo g (x, y) = 0, dove g (x, y) = x2 − x y + y2 − 1.
Le funzioni f e g sono C 1 in tutto R2 . Inoltre f non ha punti singolari in g (x, y) = 0 perché
e sono
(P1 , 1) = (1, 1, 1) , (P2 , 1) = (−1, −1, 1) , (P3 , −1/3) = (3−1/2 , −3−1/2 , −1/3), (P4 , −1/3) = (−3−1/2 , 3−1/2 , −1/3).
Essendo g (x, y) = 0 chiuso e limitato ed f continua, per il teorema di Weierstrass esiste un punto di massimo ed uno di
minimo. Visto che f (P1 ) = f (P2 ) = 1 e f (P3 ) = f (P4 ) = −1/3, si ha che P1 e P2 sono punti di massimo vincolati, mentre
P3 e P4 sono di minimo vincolati.
Esempio 5.8.6 Determinare i punti di massimo e minimo della funzione f soggetti al vincolo g (x, y) = 0 per
f (x, y) = 3 x2/3 + y2/3 , f (x, y) = 3 x2/3 + y2/3 ,
2 2
a) b)
g (x, y) = 3 √ 3 √
x + 3 y − 1, g (x, y) = x2 + y2 − 1,
Utilizziamo ora il metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Osserviamo che grad g(x, y) = x−2/3 , y−2/3 6= 0 in R2 \ {00}
e che g(00) 6= 0. Risolviamo il sistema
−1/3 = λ x−2/3 = 3 3
x x λ x = 1/6
(
grad f (x, y) = λ grad g(x, y)
⇔ y−1/3 = λ y−2/3 ⇔ y = λ 3 ⇔ y = 1/63
g(x, y) = 0
√3 √
x + 3 y = 1/3
2 λ = 1/3
λ = 1/6
e quindi (x, y) = (1/63 , 1/63 ) è un punto candidato ad essere di massimo o di minimo vincolato. Altri punti da considerare
(x, y) =
sono quelli in cui grad f non è definito, ovvero (0, 1/27) e (x, y) = (1/27, 0). Visto che f (1/63 , 1/63 ) = 1/12,
√ 3
f (0, 1/27) = f (1/27, 0) = 1/6 e lim f x, 13 − 3 x = ∞, abbiamo che (x, y) = (1/63 , 1/63 ) è l’unico punto di
x→±∞
minimo vincolato e che f non ha un punto do massimo vincolato.
b) Esplicitando il vincolo
g(x, y) = 0 ⇔ (x, y) = cos(θ ), sin(θ ) , θ ∈ [0, 2 π)
basta studiare i massimi ed i minimi di
3 3 1/3
x 7→ f cos(θ ), sin(θ ) = cos(θ )2/3 + sin(θ )2/3 = cos(θ )2/3 + 1 − cos(θ )2 , θ ∈ [0, 2 π).
2 2
√ √ √ √
sono (x, y) = (±1/ 2, ±1/ 2) e (x, y) = (±1/ 2, ∓1/ 2). Altri punti da considerare sono quelli in cui grad f non è
definito, ovvero (x, y) = (0, ±1) e (x, y) = (±1, 0). Visto che
1 1 1 1 3 3
f ±√ ,±√ = f ±√ ,∓√ =√
3
, f (0, ±1) = f (±1, 0) = ,
2 2 2 2 2 2
Esercizio 5.8.7 Determinare i punti di massimo e minimo della funzione f soggetti al vincolo g (x, y) = 0 per
( (
f (x, y) = x2 + 3 y, f (x, y) = x2 + y2 , f (x, y) = x2 y + 15 y5 ,
2 2
g (x, y) = x + y − 1, g (x, y) = x3/2 + y3/2 − 1, g (x, y) = x2 + y4 − 1.
4 9
In questo capitolo consideriamo funzioni di più variabili ed a valori vettoriali f : Rn → Rm . Il loro studio è analogo a
quello fatto per le funzioni f : Rn → R in quanto ciascuna componente di f = ( f1 , . . . , fm ) è una funzione fi : Rn → R.
Un esempio di funzioni di più variabili ed a valori vettoriali è dato dalle superfici in forma parametrica, ovvero funzioni
del tipo
r : A ⊆ R2 → R3
(t, u) 7→ r (t, u) = x(t, u), y(t, u), z(t, u) .
Un esempio di funzioni di più variabili a valori vettoriali è dato dalle trasformazioni di coordinate f : Rn → Rn .
125
6.1 Funzioni di più variabili a valori vettoriali: generalità 126
f : A → R3
(ρ, θ ,t) 7→ ρ cos(θ ), ρ sin(θ ),t ,
f : A → R3
(ρ, ϕ, θ ) 7→ ρ sin(ϕ) cos(θ ), ρ sin(ϕ) sin(θ ), ρ cos(ϕ) ,
Esempio 6.1.5 L’intersezione del settore circolare di angolo π/2 e raggio 2, cioè {ρ ≤ 2, 0 ≤ θ ≤ π/2}, con la corona
circolare concentrica di raggio interno 1 ed esterno 3, cioè {1 ≤ ρ ≤ 3}, è data da {1 ≤ ρ ≤ 2, 0 ≤ θ ≤ π/2}.
Esercizio 6.1.6 Si disegni nel piano cartesiano il dominio descritto in coordinate polari dalle relazioni
Esercizio 6.1.8 Si disegni in coordinate cartesiane il dominio descritto in coordinate polari dalle relazioni
2 ≤ ρ ≤ 3, 0 ≤ θ ≤ π, 0 ≤ ϕ ≤ π/2.
1
Rappresentarlo graficamente in coordinate polari ed in coordinate cartesiane.
6.2 Limiti, continuità e differenziabilità per funzioni f : Rn → Rm Matrice jacobiana 127
Esempio 6.1.9 Il moto dell’acqua in un canale può essere descritto per ogni istante t ∈ R
e punto x = (x, y, z) ∈ R3 dalla velocità v = v (t,xx) della particella di acqua che al tempo t
si trova in x , ovvero dalla funzione
v : R4 → R3 .
Il moto si dice stazionario se v non dipende dal tempo t. Il moto si dice piano se v non
dipende da una delle tre coordinate spaziali. Ad esempio, il campo di velocità rotatorio
Esempio 6.1.10 Un campo elettromagnetico variabile è una funzione f : R4 → R6 che associa ad ogni punto dello spazio
x ∈ R3 ed istante t ∈ R la coppia di vettori (E H ) ∈ R6 dove E ∈ R3 è il campo elettrico ed H ∈ R3 è quello magnetico.
E ,H
Per definizione
lim f (xx) = L ⇔ k f (xx) −L
Lk −−−−−−→ 0
x →xx0 kxx−xx0 k→0
e quindi
lim f (xx) = L = (`1 , . . . , `m ) ⇔ lim fi (xx) = `i .
x →xx0 x →xx0
Per definizione f è continua in x 0 se lim f (xx) = f (xx0 ), ovvero ogni componente di f è continua in x 0 .
x→xx0
Si dice che f è differenziabile in x 0 se ciascuna componente fi di f lo è, ovvero
n
∂ fi
fi (xx0 +hh) − fi (xx0 ) = ∑ ∂ x j (xx0 ) h j + o(khhk) per h → 0 , i ∈ {1, 2, . . . , m} ,
j=1
dove o(khhk) indica un vettore che diviso per khhk tende a zero per h → 0 e
∂ f1 ∂ f1 ∂ f1
x
(x 0 ) x
(x 0 ) . . . x
(x 0 )
∂ x1 ∂ x2 ∂ xn
∂ f2 ∂ f2 ∂ f2
∂ x (xx0 ) ∂ x (xx0 ) . . . ∂ xn (xx0 )
1 2
J f (xx0 ) =
... ... ... ...
∂ fm
x ∂ fm x ∂ fm
x
∂ x (x 0 ) ∂ x (x 0 ) . . . ∂ xn (x 0 )
1 2
è la matrice jacobiana di f in x0 . Si osservi che la matrice jacobiana di una f : Rn → R coincide con il suo gradiente. Il
differenziale di f calcolato in x 0 è la funzione lineare
d f (xx0 ) : Rn → Rm
h 7→ J f (xx0 ) h .
m
∂ (gg ◦ f ) j ∂gj ∂ fk i ∈ {1, 2, . . . , n} ,
Jg ◦ f (xx0 ) = Jg f (xx0 ) J f (xx0 ) ⇔ (xx0 ) = ∑ f (xx0 ) (xx0 )
∂ xi k=1 ∂ yk ∂ yi j ∈ {1, 2, . . . , k} .
La matrice jacobiana di r
R cos(ϕ) cos(θ ) −R sin(ϕ) sin(θ )
Jr (ϕ, θ ) = R cos(ϕ) sin(θ ) R sin(ϕ) cos(θ )
−R sin(ϕ) 0
ha rango due in (0, π) × [0, 2 π) perché almeno uno dei tre determinanti delle sue sottomatrici 2 × 2
!
R cos(ϕ) cos(θ ) −R sin(ϕ) sin(θ )
det = R2 sin(ϕ) cos(ϕ),
R cos(ϕ) sin(θ ) R sin(ϕ) cos(θ )
!
R cos(ϕ) cos(θ ) −R sin(ϕ) sin(θ )
det = −R2 sin(ϕ)2 sin(θ ),
−R sin(ϕ) 0
!
R cos(ϕ) sin(θ ) R sin(ϕ) cos(θ )
det = R2 sin(ϕ)2 cos(θ )
−R sin(ϕ) 0
è non nullo. Invece in {0, π} × [0, 2 π) tutti e tre i determinanti delle sottomatrici 2 × 2 di Jr si annullano: i poli (0, 0, ±R)
sono dei punti singolari.
In realtà, (0, 0, ±R) non sono punti tanto diversi dagli altri punti della sfera: semplicemente essi risultano singolari
rispetto alla parametrizzazione scelta. Se consideriamo infatti una parametrizzazione diversa, i punti (0, 0, ±R) potreb-
bero non essere singolari. Si dimostra però che non esiste una parametrizzazione della sfera per la quale tutti i punti sono
regolari.
Consideriamo una superficie S parametrizzata da r = (r1 , r2 , r3 ) : R2 → R3 e sia
P 0 = r (t0 , u0 ) = r1 (t0 , u0 ), r2 (t0 , u0 ), r3 (t0 , u0 )
un suo punto. Per definizione r t (P P0 ) ∈ R3 sono vettori tangenti ad S in P 0 . Se P 0 è un punto regolare, allora
P0 ),rr u (P
P0 ) sono non nulli e non sono paralleli. Possiamo quindi definire il piano tangente ad S in P 0 come il piano
P0 ) e r u (P
r t (P
ortogonale al vettore 2
i j k
r t (t0 , u0 ) ∧rr u (t0 , u0 ) = det ∂∂tr1 (t0 , u0 ) ∂∂tr2 (t0 , u0 ) ∂∂tr3 (t0 , u0 )
∂ r1 ∂ r2 ∂ r3
(t , u )
∂u 0 0 ∂u 0 0 ∂u 0 0 (t , u ) (t , u )
Chiaramente r t (t0 , u0 ) ∧rr u (t0 , u0 ) è ortogonale sia ad S che al suo piano tangente. A volte conviene considerare il versore
ortogonale
2
Si osservi che il seguente non è il determinante di una matrice in R3×3 in quanto i , j e k sono dei vettori in R3 . Si segue comunque la stessa
regola del calcolo del determinante di una matrice di R3×3 .
6.3 Superfici regolari parametrizzate 129
Esempio 6.3.2 L’elemento di area della sfera di raggio R e centro l’origine è dS = R2 sin(ϕ) dϕ dθ .
verificare che i poli sono i suoi unici punti singolari; scrivere il versore ortogonale, il suo elemento di area ed il piano
tangente alla superficie.
Esempio 6.3.4 (Superfici che sono il grafico di funzioni di due variabili) Il grafico di f : R2 → R è una superficie S
che può essere parametrizzata con
r (t, u) = t, u, f (t, u) .
Il vettore ortogonale ad S in P 0 = r (t0 , u0 ) è
i j k
r t (t0 , u0 ) ∧rr u (t0 , u0 ) = det
1 0 ft (t0 , u0 ) = − ft (t0 , u0 ) i − fu (t0 , u0 ) j + k .
0 1 fu (t0 , u0 )
Esercizio 6.3.6 Scrivere la matrice jacobiana ed il versore normale per la superficie grafico della funzione f (x, y) = x2 y3 .
Esempio 6.3.7 (Superfici di rotazione) La superficie di rotazione S che si ottiene facendo ruotare una curva γ
assegnata sul piano {y = 0} e parametrizzata da x(t), z(t) , t ∈ I, intorno all’asse z ha per equazioni
r (t, θ ) = x(t) cos(θ ), x(t) sin(θ ), z(t) , (t, θ ) ∈ A = I × [0, 2 π).
Infatti, fissato un punto x(t0 ), 0, z(t0 ) della curva γ, e facendolo ruotare intorno all’asse z si ottiene la circonferenza
x(t0 ) cos(θ ), x(t0 ) sin(θ ), z(t0 ) , θ ∈ [0, 2 π). Il vettore ortogonale ad S in P 0 = r (t0 , θ0 ) è
i j k
0 0 0
r t (t0 , θ0 ) ∧rr θ (t0 , θ0 ) = det
x (t0 ) cos(θ0 ) x (t0 ) sin(θ0 ) z (t0 )
−x(t0 ) sin(θ0 ) x(t0 ) cos(θ0 ) 0
= −x(t0 )z0 (t0 ) cos(θ0 ) i − x(t0 )z0 (t0 ) sin(θ0 ) j + x(t0 )x0 (t0 ) k .
3
La sua utilità sarà chiara quando studieremo gli integrali di superficie.
6.3 Superfici regolari parametrizzate 130
Esempio 6.3.8 Fissato R > 0, la rotazione attorno all’asse z della semicirconferenza R (sin(ϕ), cos(ϕ)), ϕ ∈ [0, π],
Figura 6.1, ci dà la sfera
r (ϕ, θ ) = R sin(ϕ) cos(θ ), R sin(ϕ) sin(θ ), R cos(ϕ) , ϕ ∈ [0, π], θ ∈ [0, 2 π).
Esempio 6.3.9 Fissati R > r > 0, la rotazione attorno all’asse z della circonferenza (R + r cos(ϕ), r sin(ϕ)), ϕ ∈ [0, 2 π),
Figura 6.1, ci dà il toro
r (t, θ ) = (R + r cos(ϕ)) cos(θ ), (R + r cos(ϕ)) sin(θ ), r sin(ϕ) , ϕ ∈ [0, 2 π), θ ∈ [0, 2 π).
Esempio 6.3.10 Fissato m > 0, la rotazione attorno all’asse z di una retta passante per l’origine (x, mx), x ∈ R, Figura
6.1, ci dà il cono a due falde
r (t, θ ) = t cos(θ ),t sin(θ ), mt , t ∈ R, θ ∈ [0, 2 π).
Esempio 6.3.11 Fissato r > 0, la rotazione attorno all’asse z della retta (r,t), t ∈ R, Figura 6.1, ci dà il cilindro
r (t, θ ) = r cos(θ ), r sin(θ ),t , t ∈ R, θ ∈ [0, 2 π).
Figura 6.1 Superfici di rotazione ottenute facendo ruotare attorno all’asse z la curva nel piano {y = 0} in rosso.
Esempio 6.3.12 Fissati a, b > 0, la rotazione attorno all’asse z di una semiellisse (a sin(ϕ), b cos(ϕ)), ϕ ∈ [0, π), Figura
6.1, ci dà l’ellissoide di rotazione
r (t, θ ) = a sin(ϕ) cos(θ ), a sin(ϕ) sin(θ ), b cos(ϕ) , ϕ ∈ [0, π), θ ∈ [0, 2 π).
Esercizio 6.3.13 Calcolare la matrice jacobiana, il versore normale, l’elemento d’area infinitesimo ed individuare
eventuali punti signolari della sfera, del toro, del cono a due falde, del cilindro e dell’ellissoide di rotazione.
Esercizio 6.3.15 Scrivere le equazioni parametriche della superficie ottenuta facendo ruotare attorno all’asse z la curva
x = exp(−|z|), z ∈ R, posta nel piano {y = 0}. Scriverne la matrice jacobiana e determinare gli eventuali punti singolari.
Fare poi lo stesso per la curva z = exp(−|x|), x ∈ R.
Esercizio 6.3.16 Scrivere le equazioni parametriche della superficie ottenuta facendo ruotare attorno all’asse z la curva
x = z(1 − z), z ∈ [0, 1], posta nel piano {y = 0}. Scriverne la matrice jacobiana e determinare gli eventuali punti singolari.
6.4 Trasformazioni regolari di coordinate 131
Esercizio 6.3.17 Scrivere le equazioni parametriche della superficie che si ottiene facendo ruotare attorno all’asse y la
curva grafico della funzione y = exp(−x2 ), x ∈ [0, 2]. Calcolarne poi la matrice jacobiana, determinando gli eventuali
punti singolari.
Esercizio 6.3.18 Nel piano xz si consideri l’arco di curva parametrizzato da r (t) = t(1 + t), sin(πt) , t ∈ [0, 1]. Si scriva-
no le equazioni parametriche della superficie generata dalla rotazione della curva attorno all’asse z. Si scriva la matrice
jacobiana della superficie e s i dica se questa è regolare, specificando in caso contrario quali e quanti sono i suoi punti
singolari.
Esercizio 6.3.19 Scrivere la matrice jacobiana per la superficie r (t) = sin(ϕ)2 cos(θ ), sin(ϕ)2 sin(θ ), cos(ϕ)2 , ϕ ∈
[0, π], θ ∈ [0, 2 π]. Descrivere poi l’insieme dei punti singolari della superficie.
Teorema della locale invertibilità Sia f : Rn → Rn una trasformazione di coordinate di classe C 1 . Se x 0 è tale che
det J f (xx0 ) 6= 0, allora esiste un intorno U di x 0 ed un intorno V di f (xx0 ) tali che f : U → V è biunivoca, inoltre la sua
inversa f −1 : V → U è anch’essa di classe C 1 .
Da precedente teorema segue che una trasformazione di coordinate regolare è localmente invertibile.
Esempio 6.4.3 (Trasformazioni lineari) Ad una matrice A ∈ Rn×n si può associare la trasformazione di coordinate
(lineare) f : Rn → Rn data da f (xx) = A xx. Poiché J f (xx) = A ∀xx ∈ Rn , le ipotesi del teorema della locale invertibilità
A 6= 0. Dunque f è localmente invertibile se e solo se lo è globalmente.
coincide con l’invertibilità di A , detA
In effetti f non è biunivoca lungo l’asse z, in quanto f (0, θ ,t) = 0 ∀(θ ,t) ∈ [0, 2 π) × R.
è una trasformazione regolare ad eccezione di ρ = 0 e di ϕ ∈ {0, π}, ovvero dell’origine e dei due semiassi z, perché
6.4 Trasformazioni regolari di coordinate 132
sin(ϕ) cos(θ ) ρ cos(ϕ) cos(θ ) −ρ sin(ϕ) sin(θ )
det J f (xx) = det sin(ϕ) sin(θ ) ρ cos(ϕ) sin(θ ) ρ sin(ϕ) cos(θ ) = ρ 2 sin(ϕ).
cos(ϕ) −ρ sin(ϕ) 0
In effetti f non è biunivoca nell’origine e lungo l’asse z, in quanto f (0, ϕ, θ ) = 0 ed f (ρ, 0, θ ) = f (ρ, π, θ ) ∀(ρ, ϕ, θ ) ∈ A.
f : Rn → Rn
u 7→ f (uu) = v ,
Esempio 6.4.7
x = u v, y = u2 − v2 ,
individuando gli eventuali punti singolari e scrivere l’elemento d’area dx dy rispetto alle coordinate u e v.
x = a u + b v + c, y = d u+e v+ f
con a, b, c, d, e, f costanti. Scrivere sotto quali condizioni sui coefficienti la trasformazione è regolare. Scrivere
l’elemento d’area dx dy rispetto alle nuove variabili u e v.
f : Rn → Rn
u 7→ f (uu) = v ,
una funzione g(vv) nelle nuove coordinate u diventa h(uu) = (g ◦ f )(uu) = g f (uu) = g f1 (uu), f2 (uu), . . . , fn (uu) e quindi
n ∂ fj
∂h ∂g ∂f
(uu) = ∑ ∂vj f (uu) (uu) = (uu) · gradv g f (uu) , i = 1, 2, . . . , n.
∂ ui j=1 ∂ ui ∂ ui
utt − c2 uxx = 0.
Visto che
ut (t, x) = c vα (x + c t, x − c t) − vβ (x + c t, x − c t) ,
utt (t, x) = c2 vαα (x + c t, x − c t) − 2vαβ (x + c t, x − c t) + vβ β (x + c t, x − c t) ,
ux (t, x) = vα (x + c t, x − c t) + vβ (x + c t, x − c t) ,
uxx (t, x) = vαα (x + c t, x − c t) + 2vαβ (x + c t, x − c t) + vβ β (x + c t, x − c t) ,
abbiamo
Risolviamo l’ultima equazione alle derivate parziali. Visto che vα non dipende da β , esiste una funzione di una variabile
F tale che vα (α, β ) = F(α); integrando rispetto ad α abbiamo
u(t, x) = v (x + c t, x − c t) = f (x + c t) + g(x − c t)
Esercizio 6.4.11 Dedurre l’espressione dell’operatore Laplaciano ∆ in coordinate cilindriche e verificare che in coordi-
nate polari diventa fρρ + ρ −2 fθ θ + ρ −1 fρ .
Consideriamo un campo vettoriale F = (F1 , F2 , . . . , Fm ) : Rn → Rm . I punti isolati in cui F non è definito, oppure non è
regolare, oppure si annulla sono detti punti singolari di F .
6.5 Campi vettoriali 134
a Si ricordi che i punti singolari sono isolati gli uni dagli altri.
Se la curva parametrizzata da r = (x, y, z) : I ⊆ R → R3 è una linea integrale del campo F = (F1 , F2 , F3 ), allora per ogni
t ∈ I sia F (rr (t)) che r 0 (t) sono tangenti alla curva in r (t) ovvero esiste λ (t) tale che
0
x (t) = λ (t) F1 (x(t), y(t), z(t))
0 0
r (t) = λ (t) F (rr (t)) ⇔ y (t) = λ (t) F2 (x(t), y(t), z(t))
z0 (t) = λ (t) F3 (x(t), y(t), z(t)).
Se F è sufficientemente regolare e non nullo in R3 , allora per ogni punto dello spazio R3 passa una ed una sola curva
integrale del campo; quindi le linee integrali del campo costituiscono una famiglia di linee a due a due disgiunte.
Esempio 6.5.2 Le linee di forza del campo gravitazionale generato da una massa puntiforme posta nell’origine
x
F (xx) = −k , k > 0,
kxxk3
risolvono il sistema
0
x (t) y0 (t)
x(t)
x0 (t) = −k λ (t) =
kx (t)k3
x x(t)
y(t)
z0 (t) y0 (t)
y(t)
r 0 (t) = λ (t) F (rr (t)) ⇔ y0 (t) = −k λ (t) ⇔ =
kxx (t)k3 z(t) y(t)
0 (t)
z(t) y y(t)
z0 (t) = −k λ (t)
= −k λ (t) .
kxx(t)k3 y(t) kxx(t)k3
per delle costanti ci e ki > 0, i = 1, 2. Le linee di forza sono dunque delle semirette uscenti dall’origine. Si osservi che
l’origine è un punto singolare del campo vettoriale ed infatti nell’origine non abbiamo l’unicità delle linee integrali.
Inoltre l’origine è un pozzo.
Esempio 6.5.3 Per determinare le linee di flusso del campo di velocità v : R2 → R2 dato da v (x, y) = (−y, x) si deve
risolvere il sistema
(
0 x0 (t) = −λ (t) y(t) x0 (t) y0 (t)
r (t) = λ (t)vv(rr (t)) ⇔ ⇔ − = = λ (t).
y0 (t) = λ (t) x(t) y(t) x(t)
Si osservi che
dx dy 1 2 1
− = ⇔ x dx = −y dy ⇔ x = − y2 + c ⇔ x 2 + y2 = 2 c
y x 2 2
6.5 Campi vettoriali 135
per una costante c. Perciò le linee di flusso sono delle circonferenze centrate nell’origine; per ogni punto ne passa una
ed una sola, ad eccezione dell’origine in cui la “linea di velocità” degenera in un punto. In effetti il campo si annulla
nell’origine. Inoltre l’origine non è né un pozzo né una sorgente.
Esempio 6.5.6 Il campo gravitazionale F di una massa puntiforme è conservativo in R3 \ {00} ed il suo potenziale
gravitazionale è
k p
U(x, y, z) = , ρ= x2 + y2 + z2 ,
ρ
in quanto
k (x, y, z)
gradU(x, y, z) = grad = −k = F.
ρ ρ3
Per quanto visto nell’esempio 6.5.2, le linee di forza di F sono semirette uscenti dall’origine e sono normali in ogni punto
alle superfici equipotenziali U = c, che sono delle sfere centrate nell’origine.
Per capire se un campo è conservativo possiamo utilizzare il seguente teorema che si applica ad insiemi semplicemente
connessi. Ricordiamo che A è un insieme connesso se, presi due punti in A, esiste un arco di curva continuo interamente
contenuto in A che li congiunge. Invece, A è semplicemente connesso se è connesso ed ogni curva chiusa interamente
contenuta in A può essere ridotta mediante una deformazione continua ad un unico punto, senza mai farla uscire da A. In
parole povere, un insieme è semplicemente connesso se è connesso e non ha “buchi”.
Esempio 6.5.7 In R2 : un cerchio è semplicemente connesso; una corona circolare non è semplicemente connessa, anche
se è connessa; l’unione di due cerchi disgiunti non è semplicemente connessa perché non è nemmeno connessa; il piano
privato dell’origine non è semplicemente connesso, anche se è connesso; il piano privato di una semiretta è semplicemente
connesso; il piano privato di una retta non è connesso, quindi non è semplicemente connesso.
In R3 : l’interno di una sfera è semplicemente connesso; la regione interna alla superficie di un toro non è semplicemente
connessa, anche se è connessa; lo spazio privato di un punto è semplicemente connesso; lo spazio privato di una retta
non è semplicemente connesso, lo spazio privato di un piano non è connesso, quindi non è semplicemente connesso.
22/11/2017
Teorema della conservatività di un campo Sia F = (F1 , F2 , . . . , Fn ) : Rn → Rn un campo vettoriale di classe C 1 in A ⊆
Rn aperto.
“⇒” Se F è conservativo in A, allora in A valgono
∂ Fi ∂ Fj
= , i 6= j. (6.1)
∂xj ∂ xi
“⇐” Viceversa, se le condizioni in (6.1) sono soddisfatte in A, allora F è localmente conservativo. Se inoltre A è
semplicemente connesso, allora F è conservativo.
Dimostrazione. “⇒” Per ipotesi in A esiste un potenziale U di classe C2 tale che F = gradU, ovvero Fi = ∂xi U. Visto che
U è di classe C2 , per il teorema di Schwarz abbiamo che
∂x j Fi = ∂x j ∂xi U = ∂xi ∂x j U = ∂xi Fj .
6.5 Campi vettoriali 136
Il precedente teorema ci dice che se (6.1) non è soddisfatta, allora il campo non è conservativo e quindi è inutile cercare
un potenziale.
Esempio 6.5.9 Consideriamo il campo vettoriale
x y
F (x, y) = i+ 2 j, (x, y) ∈ R2 \ {00}.
x2 + y2 x + y2
Osserviamo che la condizione (6.1) data dal teorema della conservatività di un campo è soddisfatta perché
∂ x 2xy ∂ y
= − = .
∂ y x2 + y2 (x2 + y2 )2 ∂ x x 2 + y2
Dato che R2 \ {00} non è semplicemente connesso non possiamo utilizzare il viceversa del teorema della conservatività di
un campo e dedurre che F è conservativo. Vediamo direttamente se F è conservativo ed ammette un potenziale U. Visto
che
x x 1
Z
∂U
= 2 ⇒ U= dx = ln(x2 + y2 ) + c1 (y),
∂x x + y2 x2 + y2 2
y y 1
Z
∂U
= 2 ⇒ U= dy = ln(x2 + y2 ) + c2 (x),
∂y x + y2 x2 + y2 2
1
U(x, y) = ln(x2 + y2 )
2
soddisfa gradU = F in R2 \ {00}, ovvero F è un campo conservativo ed U è un suo potenziale in R2 \ {00}.
F (x, y) = −y i + x j , (x, y) ∈ R2 .
∂ ∂
(−y) = −1 6= 1 = (x) .
∂y ∂x
Dunque, F non è conservativo.
y2 − x2
∂ y ∂ x
− 2 = 2 = .
∂y x + y2 (x + y2 )2 ∂ x x 2 + y2
Dato che R2 \ {00} non è semplicemente connesso non possiamo utilizzare il viceversa del teorema della conservatività di
un campo e dedurre che F è conservativo. Verifichiamo direttamente se F è conservativo, ovvero ammette un potenziale
U. Visto che
y y x
Z
∂U
=− 2 ⇒ U = − dx = − arctan + c1 (y),
∂x x + y2 x2 + y2 y
x x y
Z
∂U
= ⇒ U = dy = arctan + c2 (x),
∂y x2 + y2 x2 + y2 x
π x y
U(x, y) = − arctan = arctan
2 y x
soddisfa gradU = F in R2 \ {x = 0}, ovvero F è un campo conservativo ed U è un suo potenziale nei semipiani x < 0 ed
x > 0, ma non in tutta la regione R2 \ {00}, che osserviamo non essere semplicemente connessa.
Verifichiamo se la condizione (6.1) data dal teorema della conservatività di un campo è soddisfatta:
!
∂ x2 ey ∂ ey
∂ ∂
x y − sin(z) = x = − , x y − sin(z) = − cos(z) = − x cos(z) ,
∂y ∂x 2 z ∂z ∂ x z2
!
∂ ey ey ∂ x 2 ey
− x cos(z) = 2 = − .
∂ y z2 z ∂z 2 z
Dato che z 6= 0 non è semplicemente connesso non possiamo utilizzare il viceversa del teorema della conservatività di un
campo e dedurre che F è conservativo. Vediamo direttamente se F è conservativo ed ammette un potenziale U. Visto che
x2
Z
∂U
= x y − sin(z) ⇒ U= x y − sin(z) dx = y − x sin(z) + c1 (y, z),
∂x 2
!
x2 ey x 2 ey x2 ey
Z
∂U
= − ⇒ U= − dy = y − + c2 (x, z),
∂y 2 z 2 z 2 z
ey
Z y
ey
∂U e
= 2 − x cos(z) ⇒ U= − x cos(z) dz = − − x sin(z) + c3 (x, y).
∂z z z2 z
Esempio 6.5.13 Vediamo quali fra i seguenti campi vettoriali sono conservativi su R2 :
sin(y) 2 2 2 2
ex +y , ex +y ,
, cos(y) arctan(x) , sin(x), cos(y) ,
x2 + 1
2(x + 1) arctan x (x + 2) + y , arctan x (x + 2) + y , 2(y + 1), arctan(x + y (y + 2)) ,
2 2 2 2
sin(x) + ex +y , sin(y) + ex +y , x2 + 2 x + y2 , y2 + 2y + x2 .
Esercizio 6.5.14 Dire quali fra i seguenti campi vettoriali sono conservativi su R2
! ! !
x2 + 1 x y (x2 + 3) x2 + 1 2 x y (x2 + 3) 2 ln cos(x)
,− , ,− , tan(x) arctan(2 y), − .
y2 + 1 3 (y2 + 1)2 4 y2 + 1
p
y2 + 1 3 (y2 + 1)3/2
Esempio 6.5.17 Indicare per quali valori di a ∈ R il seguente campo vettoriale è conservativo nel suo dominio di
definizione.
a x 2 arcsin y2 y arcsin x3
F (x, y) = √ , p
1 − x6
1 − y4
Il dominio di definizione di F è il quadrato {(x, y) ∈ R2 : |x| < 1, |y| < 1}. Visto che il quadrato è semplicemente connesso
e
2 a x2 y 3 x2 y 3
∂y F1 (x, y) = √ p = ∂x F2 (x, y) = √ p ⇔a= ,
6
1−x 1−y 4 6
1−x 1−y 4 2
abbiamo che F è conservativo nel suo dominio di definizione se e solo se a = 2.
a/7
Esercizio 6.5.18 Indicare per quali valori di a 6= 0 il gradiente di U(x, y, z) = x2 + y2 + z2 è solenoidale nel suo
dominio di definizione.
Si ha
2 −1+ a
7
gradU(x, y, z) = a x2 + y2 + z2 (x, y, z),
7
−2+ 7a
2 2
2 2 2
2
2 2 2
∂x U(x, y, z) = a x +y +z 2 a x −7 x −y −z ,
49
2 −1+ a
7
div gradU(x, y, z) = ∆U = a (7 + 2a) x2 + y2 + z2 .
49
Dunque per a = −7/2 si ha che gradU è campo solenoidale nel suo dominio di definizione R2 \ {00}.
6.5.3 L’operatore divergenza, l’operatore rotore e le identità differenziali che legano div, rot, grad
∂F ∂F ∂F
divFF = 1 + 2 + 3 : R3 → R,
∂x ∂y ∂z
∂ F3 ∂ F2 ∂ F3 ∂ F1 ∂ F2 ∂ F1
F=
rotF − i− − j+ − k : R3 → R3 .
∂y ∂z ∂x ∂z ∂x ∂y
Osserviamo che nelle definizioni di divergenza e rotore il prodotto scalare ·, il prodotto vettoriale ∧ ed il determinante
det sono solo operazioni simboliche visto che ∇ non è un vettore in R3 e
i j k
∂x ∂y ∂z
F1 F2 F3
non è una matrice in R3×3 . Si tratta di una convenzione di notazioni utile per ricordare la definizione di rotore. Osserviamo
inoltre che il rotore di un campo piano è perpendicolare al piano in cui “vive” il campo.
√
1
Esempio 6.5.20 Per il campo vettoriale V (x, y, z) = x2 + 1, y, 5zx si ha divV V = 7x + 2√ y e rotV = (0, −5z, 0).
V
Esempio 6.5.21 Il campo gravitazionale generato da una massa puntiforme posta nell’origine
(x, y, z) p
F (x, y, z) = −k , ρ= x2 + y2 + z2 > 0
ρ3
−α/2
Esercizio 6.5.22 Sia U(x, y, z) = k x2 + y2 + z2 , α > 0. Verificare che gradU è solenoidale se e solo se α = 1.
Vogliamo ora osservare alcune proprietà che legano gli operatori differenziali gradiente, rotore e divergenza. Si noti
anzitutto che:
• il gradiente trasforma un campo scalare in un campo vettoriale;
• il rotore trasforma un campo vettoriale (tridimensionale) in un altro campo vettoriale (tridimensionale);
• la divergenza trasforma un campo vettoriale in un campo scalare.
6.5 Campi vettoriali 140
F,
div rotF rot grad u, div grad u, F,
grad divF
F , grad rotF
mentre non hanno senso, ad esempio, le scritture rot divF F , etc. Alcune di queste composizioni hanno un risultato
notevole:
Teorema 6.5.23 Se F : R3 → R3 ed u : R3 → R sono di classe C 2 , allora
rot grad u = 0 , F = 0,
div rotF div grad u = ∆ u.
dove ρ > 0 è la densità (costante) della sfera. Si calcoli il campo gravitazionale F = gradU e si verifichi che la divergenza
del campo è nulla nei punti dello spazio privi di materia, e costante nella regione dello spazio in cui vi è materia.
Fare la stessa cosa per il potenziale gravitazionale generato da uno strato sferico di raggio interno R1 > 0 e raggio
esterno R2
4 R32 −R31
3 π ρ r
se r > R2
3
2
U(x, y, x) = 2 π ρ R22 − r3 − 43 π ρ Rr1 se R1 < r ≤ R2
2 π ρ R2 − R2
se r ≤ R1 .
2 1
xy
Esempio 6.5.26 Per calcolare la divergenza del campo vettoriale conservativo V avente potenziale U = arctan ez
ez x y e2 z −2 y2 −x2 (2+y2 )
V = div ∇U = ∆U =
basta osservare che divV 2 ; il rotore è ovviamente nullo.
(e2 z +x2 y2 )
26/11/2017
Definizione 6.5.27 Un campo vettoriale F : R3 → R3 ammette ψ : R3 → R3 come potenziale vettore in un aperto A se
ψ = F in A.
rotψ
6.5 Campi vettoriali 141
Visto che rot grad u = 0 , condizione necessaria affinché un campo vettoriale abbia un potenziale vettore è che esso sia
solenoidale, ovvero abbia divergenza nulla. Viceversa, un campo vettoriale soleinoidale in un aperto A ammette localmente
in A un potenziale vettore.
Esercizio 6.5.28 Dato il campo vettoriale piano F = x i − y j , verificare che è solenoidale in tutto il piano; cercare un
potenziale vettore di F . Suggerimento: cercare un potenziale ψ indipendente da z.
Definizione 6.5.29 Il lavoro elementare compiuto da un campo (di forze) F : Rn → Rn per muovere un punto materiale
di uno spostamento infinitesimo dss = dx i + dy j + dz z è
dL = F · dss = F1 dx + F2 dy + F3 dz.
Il lavoro compiuto da F per muovere un punto materiale lungo un arco di curva γ parametrizzato da r : (a, b) → Rn è
l’integrale del lavoro elementare, ovvero è l’integrale di linea di seconda specie di F lungo γ
Z Z
L= dL = F · dss.
γ γ
Si osservi che dL = F · dss = F ·tt ds, dove t è il versore tangente alla curva e ds è l’elemento di arco.
Se ad esempio n = 3, F = (F1 , F2 , F3 ) ed r (t) = x(t) i + y(t) j + z(t) z, allora
Z bh i
F1 x(t), y(t), z(t) x0 (t) + F2 x(t), y(t), z(t) y0 (t) + F3 x(t), y(t), z(t) z0 (t) dt.
L=
a
v = −y i + x j .
• Calcoliamo il lavoro di v lungo la circonferenza γ di raggio 1 e centro l’origine, percorsa in senso antiorario.
Parametrizziamo γ con r (t) = cos(t), sin(t) , t ∈ [0, 2 π]. Visto che r 0 (t) = − sin(t), cos(t) , il lavoro è
Z 2π Z 2π
! ! Z 2π
0 − sin(t) − sin(t)
L= v r (t) ·rr (t) dt = · dt = dt = 2 π.
0 0 cos(t) cos(t) 0
• Calcoliamo il lavoro di v lungo la circonferenza γ di raggio 1 e centro l’origine, percorsa in senso orario. Parametriz-
ziamo γ con r (t) = cos(t), − sin(t) , t ∈ [0, 2 π]. Visto che r 0 (t) = − sin(t), − cos(t) , il lavoro è
Z 2π Z 2π
! ! Z 2π
0 sin(t) − sin(t)
L= v r (t) ·rr (t) dt = · dt = − dt = −2 π.
0 0 cos(t) − cos(t) 0
• Calcoliamo il lavoro di v lungo la spirale γ parametrizzata da r (θ ) = θ cos(θ ), θ sin(θ ) , θ ∈ [0, 2 π]. Visto che
r 0 (θ ) = cos(θ ) − θ sin(θ ), sin(θ ) + θ cos(θ ) , il lavoro è
! ! " #2 π
θ3
Z 2π 2π Z 2π
−θ sin(θ ) cos(θ ) − θ sin(θ ) 8
Z
v r (t) ·rr 0 (t) dt = 2
= π 3.
L= · dθ = θ dθ =
0 0 θ cos(θ ) sin(θ ) + θ cos(θ ) 0 3 3
0
Evidenziamo le differenze tra gli integrali di linea di prima e seconda specie: dati γ una curva parametrizzata da
r : (a, b) → Rn , f : Rn → R ed F : Rn → Rn , sia ha
Z b
integrale di linea di prima specie di f lungo γ f (rr (t)) krr 0 (t)k dt,
a
Z b
F r (t) ·rr 0 (t) dt.
integrale di linea di seconda specie di F lungo γ
a
Il diverso modo in cui il vettore r 0 tangente alla curva è coinvolto implica che
6.5 Campi vettoriali 142
• l’integrale di prima specie è invariante per cambiamenti di parametrizzazione della curva, anche quando la nuova
parametrizzazione ne cambia l’orientazione: il risultato cioè non cambia cambiando il verso di percorrenza della curva;
• l’integrale di seconda specie è invariante per cambiamenti di parametrizzazione della curva con la stessa orientazione,
mentre cambia di segno se si cambia l’orientazione sulla curva: cambiando l’orientazione il lavoro ha segno opposto.
Il calcolo del lavoro di un campo vettoriale è molto semplice se quest’ultimo è conservativo.
Teorema del lavoro di un campo conservativo Il lavoro di un campo conservativo F = gradU in un aperto A ⊆ Rn
lungo una curva γ ⊂ A parametrizzata da r : [a, b] → A è
P2 ) −U(P
L = U(P P1 ), P 1 = r (a), P 2 = r (b).
Dal precedente teorema segue che il lavoro di un campo conservativo dipende solo dagli estremi del cammino, e non dalla
forma del medesimo. In particolare,
il lavoro di un campo conservativo lungo un cammino chiuso (cioè P 1 = P 2 ) è nullo.
Inoltre, se ho tre curve γi e tre punti P i , i ∈ {1, 2, 3}, allora
γ1 ha P 1 come punto iniziale e P 2 come punto finale
il lavoro di un campo conservativo lungo γ3 è
γ2 ha P 2 come punto iniziale e P 3 come punto finale ⇒
pari alla somma dei lavori lungo γ1 e γ2 .
γ3 ha P1 come punto iniziale e P3 come punto finale
x y 1 2 2 come potenziale.
Esempio 6.5.32 Il campo conservativo F (x, y) = x2 +y2
i + x2 +y 2 j ha U(x, y) = 2 ln x + y
• Il lavoro di F lungo una circonferenza di centro l’origine e raggio 1 percorsa in senso antiorario è nullo.
• Il lavoro di F lungo un qualsiasi arco di una qualsiasi circonferenza di centro l’origine è nullo perché qualsiasi punto
di una circonferenza di centro l’origine e raggio R ha lo stesso potenziale 12 ln(R2 ) = ln(R).
• Il lavoro di F lungo l’arco di parabola y = 1 + x2 , x ∈ (0, 2), è L = U(2, 5) − U(0, 1) = 21 ln(29) perché gli estremi
dell’arco di parabola sono P 1 = (0, 1) e P 2 = (2, 5).
Esempio 6.5.33 Il campo di velocità piano v = −y i + x j non è conservativo perché ∂y (−y) = −1 6= 1 = ∂x (x) e quindi
non soddisfa la condizione del teorema della conservatività di un campo. Per calcolare il suo lavoro lungo l’ellisse
Esempio 6.5.34 Abbiamo visto nell’esempio 6.5.11 che il campo di velocità piano
y x
F (x, y) = − i+ j, (x, y) ∈ R2 \ {00}.
x 2 + y2 x2 + y2
sin(t) cos(t)
F r (t) = − i+ j = − sin(t) i + cos(t) j
cos(t)2 + sin(t)2 cos(t)2 + sin(t)2
e quindi ! !
Z 2π 2π Z 2π
− sin(t) − sin(t)
Z
F r (t) ·rr 0 (t) dt =
L= · dt = dt = 2 π.
0 0 cos(t) cos(t) 0
• Visto che A = R3 è semplicemente connesso ed F è irrotazionale, per il teorema della conservatività di un campo
abbiamo che F è conservativo in R3 . Si vede facilmente che U(x, y, z) = −z ey cos(x) è un suo potenziale.
• Visto che F è conservativo in R3 abbiamo che il suo lavoro lungo la semicirconferenza che giace sul semipiano z = 0,
y > 0 e ha per estremi i punti (0, 0, 0) ed (1, 0, ln(2)) è L = U(1, 0, ln(2)) −U(0, 0, 0) = − ln(2) cos(1).
Esercizio 6.5.36 Calcolare il lavoro di F = −y i + x2 j lungo il triangolo di vertici (0, 0), (1, 0), (0, 1) percorso in senso
antiorario.
Esercizio 6.5.37 Sia F = y i + x j . Determinare le linee integrali del campo e disegnarne alcune. Verificare che il campo
è conservativo in Rn e calcolarne il potenziale. Determinare le linee equipotenziali e disegnarne alcune. Calcolare il
lavoro lungo il segmento y = 2 x, x ∈ (−1, 3).
Esercizio 6.5.38 Stabilire se il campo F = yz i + xz j − xz2y k è conservativo nel semispazio z > 0, determinando in caso
affermativo un potenziale. Il campo è solenoidale nel semispazio z > 0?
F = ey i + x ey + z cos(y z) j + y cos(y z) k .
I concetti di lavoro di un campo vettoriale, campo conservativo, campo irrotazionale, possono essere espressi equiva-
lentemente usando un diverso linguaggio, quello delle forme differenziali. Si può dire che il linguaggio dei campi vet-
toriali corrisponde più al punto di vista fisico, mentre quello delle forme differenziali corrisponde più al punto di vista
matematico.
Sia F = F1 i + F2 j + F3 k : R3 → R3 un campo.
Lavoro elementare di F Forma differenziale
dL = F1 dx + F2 dy + F3 dz. ω = F1 dx + F2 dy + F3 dz.
F è conservativo se ω è esatta se
∃U t.c. F = gradU. ∃ f t.c. ω = d f = fx dx + fy dy + fz dz.
F è irrotazionale se ω è chiusa se
F = 0.
rotF F = 0.
rotF
L’integrale di una funzione continua f : [a, b] → R può vedersi come un limite di somme di Cauchy:
Z b n
b−a
f (x) dx = lim∑ f (th )
h=1 n
a n→∞
dove th appartiene all’intervallo Ih = a + (h − 1) ∆n , a + h ∆n , h = 1, 2, . . . , n, essendo ∆n = (b − a)/n.
L’integrale doppio per una funzione continua f : [a, b] × [c, d] → R è una naturale estensione di questa definizione:
• si divide [a, b] in n intervalli Ih di ampiezza (b − a)/n e [c, d] in n intervalli Jk di ampiezza (d − c)/n;
• si considera la partizione del rettangolo [a, b] × [c, d] in n2 rettangoli Ih × Jk di area (b − a)(d − c)/n2 ;
• si fissa t hk ∈ Ih × Jk , un punto qualsiasi scelto in ciascun rettangolo;
• si definisce integrale doppio di f sul rettangolo [a, b] × [c, d] come
n
(b − a)(d − c)
ZZ
f (x, y) dx dy = lim ∑ f (tt hk ). (7.1)
[a,b]×[c,d] n→∞
h,k=1 n2
Più in generale, si dice che una funzione f : R2 → R è integrabile in Ω ⊂ R2 se esiste il limite (7.1) per
(
˜f (x, y) = f (x, y) if (x, y) ∈ Ω
0 if (x, y) ∈ [a, b] × [c, d] \ Ω ,
Fissato n, consideriamo una partizione {Ih × Jk }nh,k=1 di [0, 1]×[0, 1]. Visto che esistono t hk , shk ∈ Ih ×Jk tali che f˜(tt hk ) = 1
e f˜(sshk ) = 0 si ha che
145
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 146
n n
(b − a)(d − c) (b − a)(d − c)
lim ∑ 2
f t
(t hk ) = (b − a)(d − c) 6
= 0 = lim ∑ f (sshk )
n→∞
h,k=1 n n→∞
h,k=1 n2
28/11/2017
Esempio 7.1.4 Una corona circolare non è un insieme semplice, ma è regolare in quanto unione di due insiemi x-semplici.
Esempio 7.1.5 L’insieme (x, y) ∈ [0, 1] × [0, 1] : x ∈ Q non è regolare: è unione di un numero infinito di segmenti
verticali, ognuno dei quali è un insieme y-semplice.
Se Ω è sia x-semplice che y-semplice, allora entrambe le formule valgono. Inoltre l’area di Ω è la quantità
ZZ
|Ω | = 1 dx dy.
Ω
Corollario 7.1.7 Se Ω1 , . . . , Ωn sono insiemi semplici tali che |Ωh ∩ Ωk | = 0 per ogni h 6= k, allora
n
[ ZZ n ZZ
Ω= Ωk ⇒ f (x, y) dx dy = ∑ f (x, y) dx dy.
k=1 Ω k=1 Ωk
ZZ n ZZ n
|Ω | = 1 dx dy = ∑ 1 dx dy = ∑ |Ωk |.
Ω k=1 Ωk k=1
RR
Esempio 7.1.8 Calcoliamo Tx y dx dy dove T è il triangolo in figura. Se rappresentiamo T come insieme y-semplice
n o
T = (x, y) ∈ R2 : x ∈ [0, 1], 0 < y < x ,
Teorema 7.1.9 Siano D ⊆ R2 regolare, f , g funzioni continue su D fino al bordo e c una costante.
• Linearità dell’integrale:
ZZ ZZ ZZ
f (x, y) + g(x, y) dx dy = f (x, y) dx dy + g(x, y) dx dy,
D D D
in particolare
ZZ ZZ
c f (x, y) dx dy = c f (x, y) dx dy.
D D
• Monotonia dell’integrale:
ZZ ZZ
f ≥ g in D ⇒ f (x, y) dx dy ≥ g(x, y) dx dy,
D D
in particolare
ZZ
f ≥ 0 in D ⇒ f (x, y) dx dy ≥ 0.
D
1
ZZ
D connesso ⇒ esiste (x0 , y0 ) ∈ D tale che f (x, y) dx dy = f (x0 , y0 ).
|D| D
• Valgono le disuguaglianze ZZ ZZ
f (x, y) dx dy ≤ f (x, y) dx dy ≤ |D| max | f |.
D D D
Esempio 7.1.10 Se D rappresenta una lamina materiale piana di densità superficiale ρ(x, y), allora:
ZZ
la sua massa totale è M= ρ(x, y) dx dy;
D
1 1
ZZ ZZ
il suo baricentro ha coordinate x̄ = xρ(x, y) dx dy, ȳ = yρ(x, y) dx dy;
M D M D
il suo momento di inerzia rispetto ad un asse
ZZ
I= d(x, y)2 ρ(x, y) dx dy.
perpendicolare al piano z = 0 è D
Osserviamo che il centroide dipende dalla forma della lamina e non dalla sua densità.
Se D è il triangolo di vertici (0, 0), (1, 0), (0, 1), allora |D| = 1/2. Se è omogeneo, allora le coordinate del suo centroide
" # #x=1 "
x2 x3
Z 1 Z 1−x Z 1 Z 1
1 1
ZZ
x̄ = x dx dy = 2 x dy dx = 2 [x y]y=1−x
=2 x(1 − x)dx = 2
y=0 dx − = ,
|D| D 0 0 0 0 2 3 3
x=0
Z 1 2 y=1−x
" # " # " #x=1
(1 − x)3
Z 1 Z 1−x Z 1
1 y 1
ZZ
2
ȳ = y dx dy = 2 y dy dx = 2 dx = (1 − x) dx = − = ,
|D| D 0 0 0 2 0 3 3
y=0 x=0
coincidono, come era lecito aspettarsi. Se invece la densità superficiale del triangolo è ρ(x, y) = c(x + 1), c > 0, allora la
sua massa è
" # " #x=1
Z 1 Z 1−x Z 1 y=1−x Z 1
x 3 2c
M=c (x + 1) dy dx = c (x + 1) y y=0 dx = c (1 − x2 ) dx = c x − = ,
0 0 0 0 3 3
x=0
√
Esempio 7.1.11 Calcoliamo D sin(y3 ) dx dy dove D è il dominio in figura, dove la curva disegnata è il grafico di y = x
RR
per x ∈ [0, 1]. Per prima cosa dobbiamo rappresentare D come insieme semplice, ad esempio come insieme y-semplice:
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 149
n √ o
D = (x, y) ∈ R2 : 0 < x < 1, x < y < 1 .
Quindi si ha " #
ZZ Z 1 Z 1
3 3
sin(y ) dx dy = √ sin(y ) dy dx.
D 0 x
Calcolare l’integrale interno alle aprentesi quadrate non è proprio banalissimo. Se però
rappresentiamo D come insieme x-semplice
n o
D = (x, y) ∈ R2 : 0 < y < 1, 0 < x < y2
visto per linearità l’integrale è la somma di due integrali, uno di x ed uno di sin(y), che sono entrambe funzioni dispari
nella propria variabile, perciò ciascun integrale è nullo in [−1, 1].
RR
Esempio 7.1.14 Calcoliamo Dx y dx dy, dove D è il dominio in figura ed è analiticamente dato da
2 x
D = (x, y) ∈ R : 0 ≤ x ≤ 1, − 1 ≤ y ≤ x − 1
3
x
[ q
2 2
(x, y) ∈ R : 1 ≤ x ≤ 3, − 1 ≤ y ≤ 1 − (x − 2) ,
3
“spezzandolo” in due
" # Z 3 Z √1−(x−2)2
" #y=x−1 " #y=√1−(x−2)2
y2 y2
ZZ Z 1 Z x−1 Z 1 Z 3
x y dx dy = x y dy dx + x y dy dx = x dx + x dx
D 0 x
3 −1 1 x
3 −1 0 2 1 2
y= 3x −1 y= 3x −1
Z 1 Z 3
4 2 5 7 1 10
= x3 − x2 dx + − x3 + x2 − 2 x dx = . . . = − + = 1.
0 9 3 1 9 3 9 9
Si osservi che l’integrale su un rettangolo di una funzione del tipo f (x) g(y) è il prodotto di due integrali unidimensio-
nali
"
Z b Z d
# Z b
"Z # "Z # "Z #
ZZ d b d
f (x) g(y) dx dy = f (x) g(y) dy dx = f (x) g(y) dy dx = f (x)dx g(y) dy .
[a,b]×[c,d] a c a c a c
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 150
n o
Esercizio 7.1.15 Siano D = (x, y ∈ R2 : x2 + y2 ≤ 2, y ≤ x2 ) e f (x, y) = y cos(x).
Verificare che
ZZ
f (x, y) dx dy = −18 cos(1) + 10 sin(1) < 0.
D
Osserviamo che DRRè il quadrato di vertici (1, 0), (0, 1), (−1, 0), (0, −1). Sia f (x, y) = x2 y. Visto che fRR
(x, −y) = − f (x, y),
± = {(x, y) ∈ D : ±y ≥ 0}. In alternativa, osserviamo che
RR RR RR
si
RR
ha che DRR
f = D+ f + D− f = 0, con D D1 f = − D2 f =
D3 f = − D4 f = 1/60, dove D 1 = {(x, y) ∈ D : x ≥ 0, y ≥ 0}, D 2 = {(x, y) ∈ D : x ≤ 0, y ≥ 0}, D 3 = {(x, y) ∈ D : x≤
0, y ≤ 0}, D1 = {(x, y) ∈ D : x ≥ 0, y ≤ 0}.
Si ha quindi
√
Z 1 1−x2
1
ZZ Z
h(x, y) dx dy = x2 y + x cos(2 y) + dy dx
E −1 0 2
" √ # " √ #
x2 (1 − x2 ) x 2 2 (1 − x2 ) 2
Z 1 Z 1
p 1 − x x 1 − x
= + sin(2 1 − x2 ) + dx = + dx,
−1 2 2 2 −1 2 2
R1 x √
dove si è usato il fatto che −1 sin 2 1 − x 2 dx = 0, dato che l’integranda è una funzione dispari e l’intervallo di
2
integrazione è simmetrico rispetto all’origine. Si ottiene quindi
" #1
x3 x5 1 h p i1 2
ZZ
π
h(x, y) dx dy = − + x 1 − x2 + arcsin(x) = + .
E 6 10 4 −1 15 4
−1
RR
Esercizio 7.1.19 Si calcoli D f (x, y) dx dy per le seguenti scelte di D e f .
n o
D = (x, y) ∈ R2 : 0 < x < 1, 0 < y < 1 − x , f (x, y) = x + sin(y),
n o
D = (x, y) ∈ R2 : x2 + y2 < 2 , f (x, y) = x y3 ,
xy
D = [0, 1] × [0, 1], f (x, y) = 2 ,
x + y2
D = [0, 1] × [0, 1], f (x, y) = xy ,
D = [0, 1] × [0, π], f (x, y) = x sin(y),
n o
D = (x, y) ∈ R2 : 0 < x < 1, 0 < y < x , f (x, y) = x sin(y),
n o
D = (x, y) ∈ R2 : |x| ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 2 − 2 |x| , f (x, y) = x + 5,
D = quadrilatero di vertici (0, 1), (1, 2), (2, 1), (2, 0), f (x, y) = y,
n o √
D = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ x2 , f (x, y) = xe y ,
n o
D = (x, y) ∈ R2 : |x| + |y| ≤ 1 , f (x, y) = x2 y2 ,
n o
D = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, x2 ≤ y ≤ 1 , f (x, y) = |x − y|.
Esercizio 7.1.20 Calcolare il centroide del quarto di cerchio x2 + y2 < R2 , x > 0, y > 0.
Esercizio 7.1.21 Calcolare il centroide del quadrilatero di vertici (0, 1), (1, 2), (2, 1), (2, 0).
Esercizio 7.1.22 Calcolare il baricentro della lamina rettangolare [0, 4] × [0, 3] di densità superficiale ρ(x, y) = 1 + x2 +
y2 .
Esercizio 7.1.23 Calcolare il momento di inerzia del cerchio omogeneo di massa M e raggio R rispetto all’asse passante
per il centro e perpendicolare al cerchio.
n p o
Esercizio 7.1.24 Calcolare l’area di D = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ y ≤ 1, y2 − 1 ≤ x ≤ 1 − y2 .
Esercizio 7.1.25 Calcolare il volume compreso sotto il grafico del paraboloide z = 1 − x2 − y2 per x2 + y2 < 1.
dove
D0 è il dominio D espresso nelle nuove coordinate. Se ad esempio f è il cambio di coordinate polari, allora
det J f (uu) = ρ e quindi
ZZ ZZ
F(x, y) dx dy = ρ F ρ cos(θ ), ρ sin(θ ) dρ dθ ,
D D0
dove D0 è il dominio D espresso nelle coordinate polari.
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 152
dove D = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 < 4, x > 0, y > 0}. Visto che D è il quarto di cerchio, che è espresso in coordinate polari
da D0 = {(ρ, θ ) ∈ (0, ∞) × R : ρ < 2, θ ∈ (0, π/2)}, si ha
" # "Z # "Z #
x y2
Z π/2 Z 2 3
ρ cos(θ ) sin(θ )2 π/2 2
ZZ
2 2
2 2
dx dy = ρ dρ dθ = cos(θ ) sin(θ ) dθ ρ dρ
D x +y 0 0 ρ2 0 0
" #θ =π/2 " #ρ=2
sin(θ )3 ρ3 1 8 8
= = = .
3 3 3 3 9
θ =0 ρ=0
x2 y2 z2
+ + =1
a2 b2 c2
la metà superiore è il grafico di
v !
u
u x2 y2 x 2 y2
z = c t1 − + per + < 1.
a2 b2 a2 b2
Per simmetria, V è il doppio dell’integrale di tale funzione nel suo dominio, ovvero
v !
u
x 2 y2
ZZ u
V = 2 c x2 y2 t1− + dx dy.
2 + 2 <1
a2 b2
a b
4
Osserviamo che se a = b = c = R, allora abbiamo una sfera di raggio R ed il suo volume è V = 3 π R3 .
2
RR
Esercizio 7.1.30 Calcolare Dx y dx dy dove D è il quarto di corona circolare di centro l’origine, raggi 1 e 2 ed angolo
variabile tra π/4 e 3π/4.
3
Esercizio 7.1.31 Calcolare D x2x+yy2 dx dy dove D è l’intersezione del settore circolare π/6 < θ < π/3 con la corona
RR
Esercizio 7.1.34 Calcolare il baricentro di una lamina omogenea a forma di quarto di corona circolare {(ρ, θ ) : r < ρ <
R, 0 < θ < π/2}.
Esercizio 7.1.35 Calcolare il momento d’inerzia di una corona circolare omogenea di massa M e raggi r, R, rispetto
all’asse passante per il centro e perpendicolare al piano della corona.
Esercizio 7.1.36 Calcolare il momento d’inerzia di un disco omogeneo di massa M e raggio R, rispetto ad un asse
perpendicolare al suo piano e passante per un punto posto sulla circonferenza. Suggerimento: l’equazione polare della
circonferenza di raggio R passante per l’origine è ρ = 2 R cos(θ ), θ ∈ [−π/2, π/2].
Sia D un dominio semplice. Il bordo di D, ∂ D, è orientato positivamente se su di esso è fissato il verso di percorrenza
antiorario ed in tal caso si scrive ∂ + D. Nel caso opposto, ∂ D è orientato negativamente e si scrive ∂ − D.
Z Z b Z a Z b
P(x, y) dx = P(x, ϕ1 (x)) dx + P(x, ϕ2 (x)) dx = P(x, ϕ1 (x)) − P(x, ϕ2 (x)) dx.
∂ +D a b a
t
u
• Se D = ∪kj=1 D j , con D j semplice rispetto ad entrambi gli assi, allora vale la formula
ZZ Z I I I
Qx − Py dx dy = P dx + Q dy = P dx + Q dy + P dx + Q dy + P dx + Q dy.
D ∂ +D γ γ1 γ2
Dimostrazione. La prima formula segue direttamente dal lemma precedente. Proviamo la seconda formula. Da quanto già
dimostrato segue che
ZZ k ZZ k Z
Qx − Py dx dy = ∑ Qx − Py dx dy = ∑ P dx + Q dy.
D Dj +
j=1 j=1 ∂ D j
Osserviamo che gli archi di curva che fanno parte del bordo di due domini adiacenti compaiono due volte nellaR somma con
orientazione opposta e perciò si elidono. Rimango gli archi di curva che compongono ∂ + D. Dunque ∑kj=1 ∂ + D j P dx +
R
Q dy = ∂ + D P dx + Q dy. t
u
Esempio 7.1.38 a Sia D il dominio in figura eR F il campo vettoriale di componenti
P(x, y) = y2 , Q(x, y) = x2 . Si voglia calcolare ∂ + D P dx + Q dy.· Usando il teorema
di Gaus-Green si ha
Z Z ZZ
P dx + Q dy = y2 dx + x2 dy = (2 x − 2 y) dx dy = 0
∂ +D ∂ +D D
a Disegno 3D
Esercizio 7.1.39 Usare il teorema di Gauss-Green per valutare l’integrale γ + y2 dx + x dy nel caso in cui γ sia il bordo
H
del quadrato di vertici (0, 0), (1, 0), (1, 1), (0, 1) oppure γ sia l’ellisse (x/a)2 + (y/b)2 = 1.
Le formule (7.2), (7.3) o (7.4) possono essere usate per calcolare l’area di un dominio D che soddisfi le ipotesi del Teorema
di Gauss-Green mediante un integrale curvilineo esteso a ∂ D. Infatti, scegliendo P(x, y) = y nella (7.2) otteniamo:
ZZ Z
|D| = dx dy = − y dx.
D ∂ +D
Esempio 7.1.40 Sia D l’interno dell’ellisse x2 /a2 + y2 /b2 = 1. L ’orientazione positiva del bordo la si ottiene con la
parametrizzazione
r (θ ) = x(θ ), y(θ ) = a cos(θ ), b sin(θ ) , θ ∈ [0, 2 π].
Dalla (7.5)
!
1 2πh
Z
1 (x, y) = a cos(θ ), b sin(θ )
Z i
|D| = x dy − y dx = = a b cos(θ )2 + a b sin(θ )2 dθ = π a b.
2 ∂ +D (dx, dy) = −a sin(θ ), b cos(θ ) dθ 2 0
Esempio 7.1.41 Calcoliamo l’area racchiusa dalla curva piana (astroide) di equazioni parametriche
r (θ ) = cos(t)3 , sin(t)3 , t ∈ [0, 2 π].
Osserviamo che per t ∈ [0, π/4] si ha x2/3 + y2/3 = 1 ⇔ y = (1 − x2/3 )3/2 e quindi, per la formula (7.5) e la simmetria
dell’astroide si ha che
!
1 (x, y) = (cos(t)3 , sin(t)3 )
Z
|D| = x dy − y dx =
2 ∂ +D (dx, dy) = 3 sin(t) cos(t)(− cos(t), sin(t))dt
Z π/2 Z π/2
3 2 3 2
=2 cos(t) 3 sin(t) cos(t) − sin(t) − cos(t) sin(t) dt = 6 cos(t)2 sin(t)2 dt
0 0
sin(2 t) = 2 sin(t) cos(t) ⇒ cos(t) sin(t) = sin(2 t) Z π/2
sin(2 t) 2
2
= =6 dt
cos(2 t) = 1 − 2 sin(t)2 ⇒ sin(t)2 = 1−cos(2 t) 0 2
2
sin(4 t) t=π/2 3
1 − cos(4 t) 3
Z π/2
=6 dt = t− = π.
0 8 4 4 t=0 8
Esempio 7.1.42 Calcolare l’area racchiusa dalla curva piana descritta in coordinate polari dall’equazione
θ sin(2 θ ) θ =2 π 1
Z 2π
1 1 3
= 1 − 2 cos(θ ) + cos(θ )2 dθ = θ − 2 sin(θ ) + + = (2 π + π) = π.
2 0 2 2 4 θ =0 2 2
Esercizio 7.1.43 Sia γ una curva chiusa semplice e regolare di equazione polare ρ = f (θ ), θ ∈ [θ0 , θ1 ]. Se γ è la frontiera
di D, dimostrare che
1 θ1
Z
|D| = f (θ )2 dθ .
2 θ0
Esempio 7.1.45 Calcoliamo per α > 0 il seguente integrale generalizzato di una funzione illimitata
Z 1Z 2 π
1 1 1
ZZ ZZ
dx dy = lim dx dy = lim ρ dθ dρ
x2 +y2 <1 (x2 + y2 )α/2 r→0+ r2 <x2 +y2 <1 (x2 + y2 )α/2 r→0+ r 0 ρα
(
2π
2π se α < 2
= lim 1 − r2−α = 2−α
(se α 6= 2) r→0+ 2 − α ∞ se α > 2,
mentre se α = 2, si ottiene
Z 1Z 2 π
1 1
ZZ
dx dy = lim dρ dθ = lim −2 π ln(r) = ∞.
x2 +y2 <1 (x2 + y2 )α/2 r→0+ r 0 ρ r→0+
RR 1
Esercizio 7.1.47 Stabilire se converge o meno l’integrale doppio generalizzato [0,1]×[0,1] x2 +y dx dy.
Esercizio 7.1.48 Stabilire se converge o meno l’integrale doppio generalizzato D x dx dy dove D = {(x, y) ∈ R2 : x >
RR
0, 0 < y < e−x }. Suggerimento: Notare che l’insieme di definizione è illimitato e la funzione integranda è illimitata
all’infinito.
2 + y2 )
RR
Esercizio 7.1.49 Calcolare l’integrale doppio generalizzato x2 +y2 ≤4 log(x dx dy.
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 157
La situazione più semplice è quando si deve integrare (x, y, z) 7→ f (x) g(y) h(z) in un parallelepipedo Ω = (a1 , a2 ) ×
(c1 , c2 ) × (c1 , c2 ):
! Z ! Z !
ZZZ Z a2 b2 c2
f (x) g(y) h(z) dx dy dz = f (x) dx g(y) dy h(z) dz .
Ω a1 b1 c1
1
Consideriamo un sottoinsieme Ω di R3 della forma
n o
(x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ D, g1 (x, y) ≤ z ≤ g2 (x, y) , con D dominio regolare e g1 , g2 ∈ C 0 (D; R).
e calcoliamo l’integrale
√
Z R2 −x2 −y2
" #z=√R2 −x2 −y2
z2
ZZZ ZZ ZZ
x2 z dx dy dz = x2 z dz dx dy = x2 dx dy
Ω x2 +y2 ≤R2 0 x2 +y2 ≤R2 2
z=0
1 2π
Z R
1
ZZ Z
2 2 2 2 2 2 2 2
= x R − x − y dx dy = ρ cos(θ ) R − ρ ρ dρ dθ
2 x2 +y2 ≤R2 2 0 0
! Z " #ρ=R
1
Z 2π R 1 θ + sin(θ ) cos(θ ) θ =2 π R2 ρ6 π
2 2 3 5 4
= cos(θ ) dθ R ρ − ρ dρ = ρ − = R6 .
2 0 0 2 2 θ =0 4 6 24
ρ=0
2
Consideriamo un sottoinsieme Ω di R3 della forma
n o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : z ∈ [h1 , h2 ], (x, y) ∈ D(z) , con D(z) dominio regolare in R2 per ogni z ∈ [h1 , h2 ].
1
Disegni
2
Disegni
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 158
Esempio 7.1.52 Consideriamo il cono circolare di altezza h, raggio R, vertice nell’origine ed asse l’asse z
( 2 )
3 2 2 R
Ω = (x, y, z) ∈ R : z ∈ [0, h], x + y ≤ z
h
e calcoliamo l’integrale
!
ZZZ Z h ZZ Z h Z 2π Z R z
h
x2 + y2 dx dy dz =
2
2 x + y
2
dx dy dz = ρ 3 dρ dθ dz
Ω 0 x2 +y2 ≤ Rh z 0 0 0
Z h 4
R R4 h5 π 4
=2π z4 dz = 2 π = R h.
0 4h4 4h4 5 10
Osserviamo che il centroide dipende dalla forma del corpo materiale e non dalla sua densità.
n o
Esempio 7.1.53 Calcoliamo la massa del cono D = (x, y, z) ∈ R3 : z ∈ [0, 1], x2 + y2 ≤ (1 − z)2 con densità ρ(x, y, z) =
n p o
z osservando che D = (x, y, z) ∈ R3 : 0 ≤ z ≤ 1 − x2 + y2 , x2 + y2 ≤ 1 :
Z 1−√x2 +y2
h p i2
ZZ ZZ 1 − x2 + y2 Z 1
(1 − ρ)2
M= z dz dx dy = dx dy = 2 π ρ dρ
x2 +y2 ≤1 0 x2 +y2 ≤1 2 0 2
" #ρ=1
ρ4 2 ρ3 ρ2
Z 1 π
=π ρ 3 − 2 ρ 2 + ρ dρ = π − + = .
0 4 3 2 12
ρ=0
Calcoliamo il baricentro del cono. Per simmetria il baricentro è sull’asse z e quindi x̄ = 0 = ȳ. Resta quindi da calcolare
Z 1−√x2 +y2
1
ZZ
12
ZZ
1 p 3
z̄ = z2 dx dy = 1 − x2 + y2 dx dy
M x2 +y2 ≤1 0 π x2 +y2 ≤1 3
7.1 Integrazione multipla in R2 e R3 159
Z 1
2
=8 (1 − ρ)3 ρ dρ = . . . = .
0 5
Esempio 7.1.54 Calcoliamo il momento d’inerzia del cono omogeneo di massa M, raggio R ed altezza h rispetto al suo
2
asse. Rappresentiamo il cono come: x2 + y2 ≤ Rth , t ∈ [0, h]. Il momento d’inerzia è
!
Z h Z h Z Rt
M 3M
Z
2 2 h
I= 1
2 x + y dx dy dt = 2π ρ 3 dρ dt
3 π R2 h 0 x2 +y2 ≤ Rt
h
π R2 h 0 0
Z h 4
3MR2
Z h
6M 1 Rt 3
= 2 dt = t 4 dt = MR2 .
R h 0 4 h 2h5 0 10
p
Esercizio 7.1.55 Una sfera di raggio R e centro l’origne ha densità f (x, y, z) = a ρ + b, con ρ = x2 + y2 + z2 . Calcolare
la massa totale della sfera. Suggerimento: Scrivere l’integrale triplo, e introdurre le coordinate sferiche.
Esercizio 7.1.56 Calcolare la massa totale ed il baricentro della semisfera superiore di raggio R, nell’ipotesi che la
densità sia f (x, y, z) = a ρ + b.
Esercizio 7.1.57 Calcolare la massa totale del cilindro x2 + y2 < R2 , 0 ≤ z ≤ h, supponendo che la sua densità sia
espressa, in coordinate cilindriche, da f (ρ, θ , z) = a ρ + bz + c.
Esercizio 7.1.58 Calcolare il momento d’inerzia di una sfera omogenea di raggio R e massa M rispetto ad un asse
passante per il centro.
Esercizio 7.1.59 Calcolare il momento d’inerzia di un cilindro omogeneo di raggio R, altezza h e massa M rispetto al
suo asse.
n o
Esercizio 7.1.60 Dato D = (x, y, z) ∈ R3 : 0 < x < 2, 0 < z < 1, 0 < y < x + z , si calcoli l’integrale triplo
1
ZZZ
dx dy dz.
D (y + 1)3
Si osservi che la derivata rispetto a t sotto il segno di integrale è una derivata parziale. Si osservi anche la differenza con
il teorema fondamentale del calcolo integrale, che ci dice
Z t
d
m(s) ds = m(t).
dt a
Le ipotesi di questo teorema possono essere indebolite: detto in parole povere, la (7.6) vale se l’integrale al secondo
membro è convergente.
La derivazione sotto il segno di integrale può talvolta essere un metodo di calcolo di integrali.
Esempio 7.1.62 Calcolare l’integrale (generalizzato) dipendente dal parametro a > 0
dx
Z
R (x2 + a2 )2
7.2 Integrale di superficie di una funzione continua 160
Esercizio 7.1.63 Stabilire per quali α > 0 converge l’integrale triplo generalizzato
1
ZZZ
p α dx dy dz.
x2 +y2 +z2 <1 x + y2 + z2
2
Esercizio 7.1.64 Nella teoria del potenziale gioca un ruolo importante la funzione
definita a partire da una funzione f , continua su tutto il dominio di integrazione. Calcolare gx , gxx derivando sotto il
segno di integrale. Rendersi conto che la seconda derivata non può essere calcolata in questo modo, in quanto porta ad
un integrale divergente nell’intorno di (x, y, z), mentre la derivata prima porta ad un integrale convergente.
dove
• Σ è una superficie parametrizzata da
(t, u) ∈ A ⊆ R2 ,
r (t, u) = x(t, u), y(t, u), z(t, u) ,
• dS è l’elemento d’area sulla superficie, che si calcola a partire dalla matrice jacobiana della superficie stessa
i j k
dS = krrt ∧rr u k dt du =
det xt (t, u) yt (t, u) zt (t, u)
dt du,
x u (t, u) yu (t, u) zu (t, u)
• f è la funzione integranda,
• l’integrale a destra è un integrale doppio in un dominio del piano.
Se f : Σ → R è assegnata solo sui punti della superficie direttamente nella forma f (t, u), allora
ZZ ZZ
f dS = f (t, u) krrt (t, u) ∧rr u (t, u)k dt du.
Σ A
Esempio 7.2.1 La massa totale di una superficie materiale (non piana) è l’integrale sulla superficie della funzione densità
superficiale. La carica elettrica totale su una superficie metallica è l’integrale sulla superficie della funzione densità
superficiale di carica. L’integrale della funzione costante 1 sulla superficie è l’area della superficie stessa.
7.2 Integrale di superficie di una funzione continua 161
Esempio 7.2.2 Mostriamo che l’area |Σ | della superficie del toro è il prodotto delle lunghezze di due circonferenze di
raggio r e R, ovvero |Σ | = (2 π r) (2 π R). Presa la parametrizzazione del toro
r (ϕ, θ ) = (R + r cos(ϕ)) cos(θ ), (R + r cos(ϕ)) sin(θ ), r sin(ϕ) , ϕ ∈ [0, 2 π), θ ∈ [0, 2 π),
l’elemento d’area è
i j k
dS = r t (ϕ, θ ) ∧rr u (ϕ, θ ) dϕ dθ =
det xϕ (ϕ, θ ) yϕ (ϕ, θ ) zϕ (ϕ, θ )
dϕ dθ = r R + r cos(ϕ) dϕ dθ
xθ (ϕ, θ ) yθ (ϕ, θ ) zθ (ϕ, θ )
Esempio 7.2.3 Sia Σ la semisfera superiore di raggio 2 e centro l’origine; calcoliamo l’integrale di superficie
ZZ
I= x2 z dS.
Σ
Esempio 7.2.4 (Integrali di superfici che sono grafici di funzioni) Se Σ è la superficie grafico di f : A → R, ovvero
Σ = {(x, y, z) ∈ A × R : z = f (x, y)}, allora l’elemento d’area è
q
dS = 1 + k grad f (x, y)k2 dx dy (7.7)
e l’integrale di superficie di F : R3 → R su Σ è
ZZ ZZ q
F dS = F x, y, f (x, y) 1 + k grad f (x, y)k2 dx dy.
Σ A
Ad esempio l’integrale
p dell’esempio precedente poteva essere calcolato come segue: la semisfera superiore ha equazione
cartesiana z = 4 − (x2 + y2 ), l’elemento d’area si calcola così
! s
x y x2 + y2 2
grad f (x, y) = − p ,−p ⇒ dS = 1 + 2 + y2 )
dx dy = p dx dy
2 2
4 − (x + y ) 2 2
4 − (x + y ) 4 − (x 4 − (x2 + y2 )
l’integrale di superficie è
"Z # "Z #
ZZ q
2
ZZ 2π 2
x2 4 − (x2 + y2 ) p dx dy = 2 x2 dx dy = 2 cos(θ )2 dθ ρ 3 dρ = 8 π.
x2 +y2 <4 4 − (x2 + y2 ) x2 +y2 <4 0 0
Esempio 7.2.5 Calcoliamo l’area della porzione Σ del paraboloide z = x2 + y2 per x2 + y2 < r2 . In questo caso
q q
dS = 1 + k grad(x2 + y2 )k2 dx dy = 1 + 4 (x2 + y2 ) dx dy ⇒
7.2 Integrale di superficie di una funzione continua 162
√
ZZ Z r Z r2 −x2 q
|Σ | = dS = √ 1 + 4 (x2 + y2 ) dx dy
Σ 0 − r2 −x2
Z 2 π Z r 1/2
1 2 3/2 ρ=r π 3/2
2 2 2
= ρ 1+4 ρ dρ dθ = 2 π 1+4 ρ = 1+4 r −1 .
0 0 8 3 ρ=0 6
Esempio 7.2.6 Sia Σ la porzione del grafico della funzione f (x, y) = x2 − y2 per (x, y) ∈ T = {(x, y) ∈ R2 : x2 + 4 y2 ≤ 4}
e calcoliamo l’integrale di superficie
x2 − z
ZZ
p dS = (∗).
Σ 1 + 4(x2 + y2 )
p p
In questo caso dS = 1 + k grad f (x, y)k2 dx dy = 4x2 + 4 y2 + 1 dx dy e quindi
Z 1 Z 2√1−y2 Z 1 Z 2√1−y2
x 2 − f (x, y) p
(∗) = √ p 4x2 + 4 y2 + 1 dx dy = √ y2 dx dy
−1 −2 1−y2 1 + 4(x2 + y2 ) −1 −2 1−y2
Z 1 Z 1 p
! Z π/2
2
p
2 y = sin(θ )
=4 y 2
1 − y dy = 8 y 2
1 − y dy = =8 sin(θ )2 cos(θ )2 dθ
−1 0 dy = cos(θ ) dθ 0
! Z
cos(2α) = cos(α)2 − sin(α)2 = 1 − 2 sin(α)2
Z π/2 π/2
2
=2 sin(2 θ ) dθ = 2 = 1 − cos(4θ ) dθ =
0 ⇒ 2 sin(α) = 1 − cos(2α) 0
θ =π/2
sin(4θ ) π
= θ− = .
4 θ =0 2
Esempio 7.2.7 (Integrale di superficie su una superficie di rotazione) La superficie generata dalla rotazione attorno
all’asse z della curva assegnata nel piano y = 0 da
r (t) = x(t), 0, z(t) , t ∈ (a, b),
ha equazioni parametriche
r (t) = x(t) cos(θ ), x(t) sin(θ ), z(t) , (t, θ ) ∈ A = (a, b) × [0, 2 π)
ed elemento d’area p
dS = |x(t)| x0 (t)2 + z0 (t)2 dt dθ (7.8)
Dunque l’integrale di superficie di F : R3 → R su Σ è
ZZ ZZ q
F dS = F x(t) cos(θ ), x(t) sin(θ ) z(t) |x(t)| x0 (t)2 + z0 (t)2 dt dθ .
Σ A
3
3 3
√ generata dalla rotazione attorno all’asse z della curva x = z , per z ∈ [0, 1].
Calcoliamo ad esempio l’area della superficie
4
Ponendo x(t) = t , z(t) = t, si ha dS = t 1 + 9 t dt dθ e l’area di superficie è
Z 2π Z 1 p
! t=1 √
3 1 10 10 − 1
t 1 + 9 t 4 dt dθ = 2 π (1 + 9 t 4 )3/2 =π .
0 0 54 t=0 27
Esempio 7.2.8 Calcoliamo la massa totale di una superficie sferica unitaria parametrizzata da
r (ϕ, θ ) = cos(ϕ) cos(θ ), cos(ϕ) sin(θ ), sin(ϕ) , ϕ ∈ [−π/2, π/2], θ ∈ [0, 2 π),
la cui densità + ϕ)(π/2 − ϕ), con k costante. Visto che la sfera è ottenuta dalla rotazione di
è f (ϕ, θ ) = k(π/2
x(t), 0, z(t) = cos(ϕ), 0, sin(ϕ) , si ha
q
(7.8)
dS = |x(ϕ)| x0 (ϕ)2 + z0 (ϕ)2 dϕ dθ = cos(ϕ) dϕ dθ
! !
π2
ZZ Z 2π Z π/2 Z π/2
π π
f dS = k +ϕ −ϕ cos(ϕ) dϕ dθ = 2 π k − ϕ2 cos(ϕ) dϕ
Σ 0 −π/2 2 2 −π/2 4
ϕ=π/2
! !
π2
R 0
f g dϕ = − f g0 dϕ + f g
R
π/2
Z
= = 2 π k 2 ϕ sin(ϕ) dϕ + − ϕ2 sin(ϕ)
f = sin(ϕ), g = π 2 /4 − ϕ 2 4
−π/2
ϕ=−π/2
! !
f = − cos(ϕ)
Z π/2 ϕ=π/2 ϕ=π/2
= =2π k 2 cos(ϕ) dϕ + −2 ϕ cos(ϕ) ϕ=−π/2 = 2 π k 2 sin(ϕ) ϕ=−π/2 = 8π k.
g=2ϕ −π/2
Esempio 7.2.9 Calcoliamo l’area della superficie Σ generata dalla rotazione attorno all’asse z della curva z = x2 , x ∈
[1, 2]:
q
(7.8)
p
dS = t (2 t)2 + 1 dt dθ = t 4 t 2 + 1 dt dθ ⇒
Z 2πZ 2 p t=2
2 1
ZZ
π 3/2
|Σ | = dS = t 4 t 2 + 1 dt dθ = 2 π (4 t 2 + 1)3/2 = 17 − 53/2 .
Σ 0 1 3 8 t=1 6
In questo caso
r (θ , ϕ) = cos(θ ) cos(ϕ), sin(θ ) cos(ϕ), sin(ϕ) , θ ∈ [0, 2 π), ϕ ∈ [0, π/2],
(7.8)
dS = cos(ϕ) dθ dϕ
e quindi
Z 2 π Z π/2
(∗) = cos(θ )2 cos(ϕ)2 + sin(ϕ) cos(ϕ) dθ dϕ
0 0
Z 2π
! Z ! !
π/2 π/2 5
Z
2 3
= cos(θ ) dθ cos(ϕ) dϕ +2 π sin(ϕ) cos(ϕ) dϕ = π
0 0 0 3
perché
! θ =2 π
cos(2 θ ) = 2 cos(θ )2 − 1
Z 2π Z 2π
2
1 1 1 1
cos(θ ) dθ = θ) =
1 + cos(2 θ ) dθ = θ + sin(2 θ ) = 2 π = π,
0 ⇒ cos(θ )2 = 1+cos(2
2 0 2 2 2 θ =0 2
ϕ=π/2
1 1 2
Z π/2 Z π/2
cos(ϕ)3 dϕ = (1 − sin(ϕ)2 ) cos(ϕ) dϕ = sin(ϕ) − sin(ϕ)3 = 1− = ,
0 0 3 ϕ=0 3 3
ϕ=π/2
1 1
Z π/2
sin(ϕ) cos(ϕ) dϕ = sin(ϕ)2 = .
0 2 ϕ=0 2
Esercizio 7.2.11 Calcolare il baricentro ed il momento d’inerzia della superficie laterale di un cono omogeneo di massa
M, raggio R ed altezza h. Fare lo stesso poi per la superficie completa del cono (aggiungere cioè anche la base).
Esercizio 7.2.12 Calcolare il momento d’inerzia di una superficie sferica omogenea di raggio R e massa M, rispetto ad
un asse passante per il centro.
7.3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie. Teoremi della divergenza e del
rotore
Molte leggi fisiche sono formulate utilizzando il concetto di flusso, come ad esempio il teorema di Gauss dell’elettro-
statica, che accenneremo in uno dei prossimi esempi.
Riflettiamo ora sull’oggetto matematico appena introdotto. Per definirlo occorre:
• una superficie regolare Σ ;
• un campo vettoriale v, definito almeno nei punti della superficie;
• una scelta coerente del versore normale n su tutta la superficie.
Osservazione 7.3.2 (Sull’orientamento della superficie) Chiariamo l’ultimo punto. Ricordiamo che se n è un versore
normale su Σ , allora anche −nn lo è. Scegliere “coerentemente” n su Σ vuol dire fissare per n un verso ben preciso, in
modo che n risulti un campo vettoriale continuo su Σ . Ad esempio, per una superficie chiusa, come la sfera, o il toro, il
versore n è coerente se punta sempre verso l’interno, o sempre verso l’esterno della superficie.
Se Σ è una superficie regolare parametrizzata da r = r (t, u), (t, u) ∈ A, allora possiamo prendere
r t ∧rr u
n= .
krrt ∧rr u k
Osserviamo che n punta sempre verso l’interno, o sempre verso l’esterno della superficie a seconda della scelta dei para-
metri t ed u: questo è naturalmente arbitrario. In questo senso siamo noi che scegliamo un’orientazione sulla superficie.
Si parla in questo caso di normale esterna o interna, o anche entrante o uscente.
Per una superficie grafico di una funzione z = f (x, y), un versore normale è coerente se risulta essere rivolto sempre
verso l’alto o sempre verso il basso.
Non sempre una scelta coerente di un’orientazione su tutta la superficie è possibile: esistono superfici non orienta-
bili, come il nastro di Moebius, su cui, comunque scegliamo l’orientazione del versore n in un punto, muovendolo con
continuità possiamo ritrovarci nello stesso punto con orientazione opposta.
Questa “patologia” non si verifica mai per una superficie chiusa (come la sfera, il toro ed il cilindro illimitato): si
dimostra che una superficie chiusa divide sempre lo spazio in due regioni disgiunte (interna ed esterna), e risulta pertanto
orientabile (normale entrante o uscente).
Una superficie chiusa ma regolare solo “a pezzi”, come un parallelepipedo, non ammette un versore normale lungo
gli spigoli. In tal caso è sufficiente parlare di normale “entrante” o “uscente”, per individuare una orientazione coerente
sulle varie “facce”. Non entriamo nella discussione generale di come si potrebbero orientare coerentemente le facce di
una superficie regolare a pezzi, non chiusa.
Torniamo alla definizione di flusso di un campo vettoriale v attraverso una superficie orientata Σ . Se Σ è parametrizzata
da r = r (t, u), (t, u) ∈ A, allora
7.3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie. Teoremi della divergenza e del rotore 165
r t ∧rr u
)
n= krrt ∧rr u k
ZZ
⇒ Φ= v r (t, u) · (rrt (t, u) ∧rr u (t, u)) dt du.
dS = krrt ∧rr u k dt du A
Notiamo che se si cambia l’orientazione sulla superficie (ovvero il segno del vettore r t ∧rr u ) il flusso cambia di segno. Se
Σ è in forma cartesiana z = f (x, y), (x, y) ∈ A, e si sceglie la normale verso l’alto, si ha
(− f ,− f ,1)
n=√ x y 2
ZZ
1+k grad f k
⇒ Φ = v x, y, f (x, y) · − fx (x, y), − fy (x, y), 1 dx dy.
(7.7) p A
1 + k grad f k2 dx dy
dS =
Esempio 7.3.3 Calcoliamo il flusso uscente dalla superficie sferica Σ di raggio R e centro l’origine, per il campo vet-
toriale v (x, y, z) = x i + y k . Scriviamo la superficie in forma cartesiana, come unione della semisfera superiore Σ + ed
inferiore Σ − , ovvero
q
± 2 2 2 2 2 2 2
Σ = (x, y) ∈ R : x + y ≤ R , z = ± R − (x + y ) .
Per avere un versore n coerente, scegliamo la direzione uscente su tutta Σ . Il versore uscente su Σ + è quello che punta
verso l’alto e quindi è parallelo a
!
x y
(− fx , − fy , 1) = p ,p ,1 ;
R2 − (x2 + y2 ) R2 − (x2 + y2 )
pertanto
!
x2
ZZ ZZ
+
Φ = v x, y, f (x, y) · − fx (x, y), − fy (x, y), 1 dx dy = p + y dx dy
x2 +y2 <R2 R2 − (x2 + y2 )
x2 +y2 <R2
! Z !
x2 ρ3
Z 2π R 2
ZZ
2
= p dx dy = cos(θ ) dθ p dρ = π R3 ,
x2 +y2 <R2 R2 − (x2 + y2 ) 0 0 2
R −ρ 2 3
perché
ZZ
y dx dy = 0,
x2 +y2 <R2
! θ =2 π
cos(2 θ ) = 2 cos(θ )2 − 1
Z 2π Z 2π
2 1
1 1 1
cos(θ ) dθ = 1 + cos(2 θ ) dθ =
θ) = θ + sin(2 θ ) = 2 π = π,
0 ⇒ cos(θ )2 = 1+cos(2
02 2 2 2 θ =0 2
R 0 !
= − f g0 dρ + f g ρ=R
Z R R
R
f g dρp
Z q q
ρ
ρ2 p dρ = 2 2 2 =− −2 ρ R2 − ρ 2 dρ + −ρ 2 R2 − ρ 2
0 R2 − ρ 2 f = − R −ρ , g = ρ 0 ρ=0
3/2
ρ=R
2 2
= − R2 − ρ 2 = R3 .
3 ρ=0 3
pertanto
!
x2 2
ZZ ZZ
Φ− = π R3 .
v x, y, f (x, y) · fx (x, y), fy (x, y), −1 dx dy = p − y dx dy =
x2 +y2 <R2 x2 +y2 <R2 R2 − (x2 + y2 ) 3
e quindi
Z πZ 2π
Φ= R sin(ϕ) cos(θ ) R2 sin(ϕ)2 cos(θ ) + R sin(ϕ) sin(θ ) R2 sin(ϕ) cos(ϕ) dθ dϕ
0 0
Z π Z 2π ! Z π Z 2π !
3 3 2 3 2
=R sin(ϕ) dϕ cos(θ ) dθ +R sin(ϕ) cos(ϕ) dϕ sin(θ ) dθ
0 0 0 0
| {z } | {z }
π 0
" #ϕ=π
cos(ϕ)3 4
Z π
3 2 3
=π R sin(ϕ) 1 − cos(ϕ) dϕ = π R − cos(ϕ) + = π R3 .
0 3 3
ϕ=0
r r krr k2 kq kq
ZZ ZZ ZZ
Φ= kq · dS = kq dS = 2 dS = 4 π R2 = (4 π k) q.
krr k=R krr k3 krr k krr k=R krr k4 R krr k=R R2
Il flusso è quindi proporzionale alla carica q, e la costante di proporzionalità non dipende dal raggio della sfera. Abbiamo
dimostrato in un caso molto semplice il teorema di Gauss dell’elettrostatica, che vale molto più generale: data nello
spazio una distribuzione continua di carica, il flusso del campo elettrico uscente da una qualsiasi sfera chiusa Σ è pari a
(4 π k)qtot , dove qtot è la carica totale racchiusa nella regione delimitata da Σ .
Esempio 7.3.5 Sia E = k q krrrk3 con r = (x, y, z) e k, q costanti. Sia Σ il disco di centro (0, a, 0) e raggio R, disposto
perpendicolarmente all’asse y. Calcoliamo il flusso di E attraverso Σ orientata nel verso delle y crescenti. Osserviamo
che n = (0, 1, 0) e che Σ è parametrizzata da
r (ρ, θ ) = ρ cos(θ ), a, ρ sin(θ ) , ρ ∈ [0, R], θ ∈ [0, 2 π).
Quindi
i j k
q
dS = krr ρ ∧rr θ k dρ dθ =
det cos(θ ) 0 sin(θ )
dρ dθ = ρ cos(θ )2 + ρ sin(θ )2 dρ dθ = ρ dρ dθ ,
−ρ sin(θ ) 0 ρ cos(θ )
(ρ cos(θ ), a, ρ sin(θ ))
E (ρ cos(θ ), a, ρ sin(θ )) = k q ,
(ρ 2 + a2 )3/2
Z RZ 2 π R
kqa
Z
Φ= 2 2 3/2
ρ dθ dρ = 2 π k q a ρ(ρ 2 + a2 )−3/2 dρ
0 0 (ρ + a ) 0
ρ=R
1 1 1
=2π kqa (−2) (ρ 2 + a2 )−1/2 =2π kqa 2 −√ > 0.
2 ρ=0 a R2 + a2
Il teorema della divergenza è uno dei teoremi più importanti del calcolo infinitesimale in più variabili. Esso si basa su
molti dei concetti sviluppati fin qui: derivate parziali, superfici, integrali di superficie, campi vettoriali e flusso di un
campo vettoriale. Il teorema della divergenza è alla base della deduzione matematica di molte equazioni fondamentali
della fisica, e della possibilità di trasformare relazioni di tipo integrale in altre di tipo differenziale o viceversa.
Teorema della divergenza Sia Ω un dominio chiuso e limitato di R3 , il cui bordo ∂ Ω è una superficie regolare para-
metrizzata da r = r (t, u), (t, u) ∈ A ⊂ R2 3 (o l’unione di più superfici di questo tipo), orientata con la normale uscente
n = krrrtt ∧rru 1
∧rr u k . Sia F = F1 i + F2 j + F3 k un campo vettoriale regolare: F ∈ C (Ω ). Allora
3
L’ordine dei parametri t ed u va scelto in modo tale che n sia uscente.
7.3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie. Teoremi della divergenza e del rotore 167
ZZZ ZZ ZZ
F dx dy dz =
divF F ·nn dS = F r (t, u) · (rrt ∧rr u ) (t, u) dt du. (7.9)
Ω ∂Ω A
Dimostrazione. Supponiamo che Ω sia il cubo [0, 1]3 e F abbia solo la prima componente non nulla: F = F1 i . Il teorema
allora dice che ZZ ZZZ
F1 n1 dS = ∂x F1 dx dy dz.
∂Ω Ω
Nel primo membro, osserviamo che il versore normale uscente ha una componente n1 non nulla solo sulle due facce
perpendicolari all’asse x; su quella di destra, per x = 1, si ha n = (1, 0, 0); su quella di sinistra, per x = 0, si ha n = (−1, 0, 0).
Ne segue che il primo membro è uguale a
ZZ ZZ ZZ
F1 n1 dS = F1 (1, y, z) dy dz − F1 (0, y, z) dy dz.
∂Ω [0,1]2 [0,1]2
1 1
ZZZ ZZ
F dx dy dz =
divF F ·nn dS.
|Br | Br |Br | ∂ Br
Dunque la divergenza di un campo è la densità di flusso del campo uscente dal punto per unità di volume.
ZZ
E ·nn dS = 4 π kqtot .
∂D
Vogliamo trasformare questa uguaglianza tra due quantità “globali” (cioè che coinvolgono tutto D) in una uguaglianza
puntuale tra due funzioni. Otterremo un’equazione differenziale. Il ragionamento è tipico:
1) Si applica l’identità precedente ad una generica regione D.
2) Si riscrive la carica totale contenuta in D come l’integrale su D della densità di carica:
ZZZ
qtot = ρ dx dy dz
D
quindi ZZ ZZZ
E ·nn dS = 4 π k ρ dx dy dz.
∂D D
3) Si ottiene un’uguaglianza tra due integrali di volume usando il teorema della divergenza:
ZZZ ZZZ ZZZ
E dx dy dz = 4 π k
divE ρ dx dy dz ⇔ E − 4 π k ρ) dx dy dz = 0.
(divE
D D D
4) Poiché l’identità precedente deve valere per qualunque regione D, l’integranda deve essere zero, ovvero:
E = 4 π k ρ.
divE
Questa è l’equazione differenziale che traduce, punto per punto, il teorema di Gauss dell’elettrostatica. È una delle
quattro fondamentali equazioni di Maxwell, alla base della teoria dell’elettromagnetismo.
5) Ricordiamo ora che il campo elettrostatico è conservativo: E = gradU con U potenziale elettrostatico; perciò
E = div gradU = ∆U. Il potenziale elettrostatico soddisfa quindi l’equazione di Poisson:
divE
∆U = 4 π k ρ,
D’altra parte la quantità di fluido uscita da D nell’unità di tempo è anche uguale a − dm dt , dove m è la massa totale
del fluido contenuto in D (nell’ipotesi che, all’interno della regione D non ci sia stata “creazione” né “distruzione” di
massa). La massa totale m si può calcolare come integrale in D della densità ρ = ρ(x, y, z,t):
ZZZ
m= ρ dx dy dz.
D
Poiché si può derivare sotto segno il segno di integrale, come visto nel paragrafo 1.6, si ha:
dm
ZZZ
∂ρ
− =− dx dy dz.
dt D ∂t
Uguagliando il primo e l’ultimo integrale su D scritti, e per la genericità di D segue
∂ρ ∂ρ
− = div(ρ v ) ⇔ + div(ρ v ) = 0,
∂t ∂t
detta equazione di continuità. L’equazione esprime il principio della conservazione della massa.
Se interpretiamo ρ come densità di carica elettrica e v come velocità della carica, l’equazione di continuità si rilegge
come principio di conservazione della carica elettrica, ed è una legge dell’elettrodinamica.
Esempio 7.3.9 Verifichiamo il teorema della divergenza per il campo vettoriale F (x, y, z) = x3 i + y3 j + 1 k e la regione
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 ≤ 1, |z| ≤ 1}, ovvero che
7.3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie. Teoremi della divergenza e del rotore 169
ZZZ ZZ
F dx dy dz =
divF F ·nn dS,
Ω ∂Ω
2 2
dove n è il versore uscente. Osservo che Ω è il cilindro definito n da x + y ≤ 1 delimitato dai pianioz = −1 e z = 1.
Scomponiamo la superficie di Ω nella superficie laterale ΣL = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 = 1, −1 ≤ z ≤ 1 , quella superio-
n o n o
re ΣS = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 ≤ 1, z = 1 e quella inferiore ΣI = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 ≤ 1, z = −1 . Per calcolare
l’integrale di volume utilizziamo le coordinate cilindriche f (ρ, θ ,t) = ρ cos(θ ), ρ sin(θ ),t , il cui jacobiano è
cos(θ ) sin(θ ) 0
J f (ρ, θ ,t) = det −ρ sin(θ ) ρ cos(θ ) 0 = ρ.
0 0 1
2 2
Nelle coordinate cilindriche Ω diventa Ω 0 = [0, 1] × [0, 2 π) × [−1, 1] e divF
F ( f (ρ, θ ,t)) = 3 ρ cos(θ ) + 3 ρ sin(θ ) ,
pertanto
Z 1Z 2 π Z 1 x=1
1 4
ZZZ
2 2 2 2
F dx dy dz =
divF 3 ρ cos(θ ) + 3 ρ sin(θ ) ρ dt dθ dρ = 12 π ρ = 3 π.
Ω 0 0 −1 4 x=0
Osserviamo che ZZ Z Z Z
F ·nn dS = F ·nnL dS + F ·nnI dS + F ·nnS dS,
∂Ω ΣL ΣI ΣS
dove n L , n I e n S sono rispettivamente i versori uscenti normali alle superfici ΣL , ΣI e ΣS . Se parametrizziamoΣL con
Φ(θ ,t) = cos(θ ), sin(θ ),t , θ ∈ [0, 2 π], t ∈ [−1, 1],
allora
Φθ = − sin(θ ), cos(θ ), 0
) i j k
⇒ Φθ ∧ Φt = det − sin(θ ) cos(θ ) 0 = cos(θ ), sin(θ ), 0
Φt = (0, 0, 1) 0 0 1
e quindi
ZZ Z 1 Z 2π Z 1 Z 2π
cos(θ )3 , sin(θ )3 , 1 · cos(θ ), sin(θ ), 0 dθ dt = cos(θ )4 + sin(θ )4 dθ dt = 3 π,
F ·nnL dS =
ΣL −1 0 −1 0
Se parametrizziamo ΣI con
Φ(ρ, θ ) = ρ cos(θ ), ρ sin(θ ), −1 , θ ∈ [0, 2 π], ρ ∈ [0, 1],
allora
Φθ = −ρ sin(θ ), ρ cos(θ ), 0
) i j k
⇒ Φρ ∧ Φθ = det cos(θ ) sin(θ ) 0 = ρ k
Φρ = cos(θ ), sin(θ ), 0 −ρ sin(θ ) ρ cos(θ ) 0
e quindi
ZZ Z 1Z 2 π Z 1Z 2π
F ·nnI dS = ρ 3 cos(θ )3 , ρ 3 sin(θ )3 , 1 · (0, 0, 1) ρ dθ dρ = −ρ dθ dρ = −π.
ΣI 0 0 0 0
Se parametrizziamo ΣS con
Φ(ρ, θ ) = ρ cos(θ ), ρ sin(θ ), 1 θ ∈ [0, 2 π], ρ ∈ [0, 1],
allora
7.3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie. Teoremi della divergenza e del rotore 170
Φθ = −ρ sin(θ ), ρ cos(θ ), 0
) i j k
⇒ Φρ ∧ Φθ = det cos(θ ) sin(θ ) 0 = ρ k
Φρ = cos(θ ), sin(θ ), 0 −ρ sin(θ ) ρ cos(θ ) 0
e quindi
ZZ Z 1Z 2 π Z 1Z 2π
F ·nnS dS = ρ 3 cos(θ )3 , ρ 3 sin(θ )3 , 1 · (0, 0, 1) ρ dθ dρ = −ρ dθ dρ = π.
ΣI 0 0 0 0
Esempio 7.3.10 Sia Σ la superficie chiusa del cilindro Ω descritto da x2 + y2 ≤ R2 , z ∈ [0, h]. Calcoliamo il flusso uscente
da Ω del campo vettoriale
v = x i−y j +z k
utilizzando direttamente la definizione di flusso. Scomponiamo la superficie di V nella superficie laterale ΣL , quella
superiore ΣS e quella inferiore ΣI . Lungo ΣL si ha
ΣL : r = R cos(θ ), R sin(θ ),t , θ ∈ [0, 2 π), t ∈ [0, h],
(7.8)
dSL = R dθ dt,
n L (θ ,t) = cos(θ ), sin(θ ), 0 ,
v (θ ,t) = R cos(θ ) i − R sin(θ ) j + t k ,
Z 2 π Z h Z 2π
ΦL = R cos(θ )2 − R sin(θ )2 R dt dθ = h R2 cos(θ )2 − sin(θ )2 dθ = 0.
0 0 0
Lungo ΣS si ha
ΣS : r (θ , ρ) = ρ cos(θ ), ρ sin(θ ), h , θ ∈ [0, 2 π), ρ ∈ [0, R],
i j k
q
dST =
det −ρ sin(θ ) ρ cos(θ ) 0
dθ dρ = (ρ sin(θ )2 + ρ cos(θ )2 ) dθ dρ = ρ dθ dρ,
cos(θ ) sin(θ ) 0
nT (θ , ρ) = (0, 0, 1),
v (θ , ρ) = ρ cos(θ ) i − ρ sin(θ ) j + h k ,
R2
Z 2πZ R
ΦT = h ρ dθ dρ = 2 πh = πhR2 .
0 0 2
Infine, lungo ΣI si ha
ΣI : r (θ , ρ) = ρ cos(θ ), ρ sin(θ ), 0 , θ ∈ [0, 2 π), ρ ∈ [0, R],
i j k
q
dSI =
det
−ρ sin(θ ) ρ cos(θ ) 0
dθ dρ = (ρ sin(θ )2 + ρ cos(θ )2 ) dθ dρ = ρ dθ dρ,
cos(θ ) sin(θ ) 0
n I (θ , ρ) = (0, 0, −1),
v(θ , ρ) = ρ cos(θ ) i − ρ sin(θ ) j ,
Z 2πZ R
ΦI = 0 ρ dθ dρ = 0.
0 0
Per introdurre il teorema del rotore dobbiamo premettere ancora un’osservazione sull’orientazione di una superficie.
Sia Σ una superficie regolare parametrizzata, su cui si è stabilita un’orientazione, e
supponiamo che il bordo di Σ sia una curva regolare parametrizzata (o l’unione di
più curve di questo tipo). L’orientamento di Σ induce un’orientazione su ∂ Σ , in base
alla convenzione seguente: immaginiamo dei “vortici” sulla superficie che ruotino
attorno al versore normale in verso antiorario: questi vortici inducono un verso di
percorrenza su ∂ Σ , come mostrato dalla figura. Una superficie di questo tipo si dice
superficie regolare con bordo, orientata.
Esempio 7.4.1 Se Σ è un disco sul piano z = 0 ed è orientato verso l’alto, ∂ Σ è una circonfe-
renza orientata nel verso antiorario, rispetto a chi guarda dall’alto.
Se Σ è una corona circolare sul piano z = 0 ed è orientata verso l’alto, ∂ Σ è l’unione di due
circonferenze; quella esterna è orientata nel verso antiorario, quella interna in senso orario,
rispetto a chi guarda dall’alto.
Se Σ è la superficie laterale di un cilindro di altezza finita e asse verticale, orientata con la
normale uscente, ∂ Σ è l’unione di due circonferenze: quella superiore è orientata in senso
orario, quella inferiore in senso antiorario, rispetto a chi guarda dall’alto.
Esempio 7.4.2 Se Σ è una sfera, o un toro, o una qualsiasi superficie chiusa, il suo bordo è vuoto: la superficie soddisfa
banalmente la definizione, perché non c’è nessun bordo da orientare.
Esempio 7.4.3 Se Σ è un disco privato di un punto, ∂ Σ è l’unione di una circonferenza ed un punto, quindi non soddisfa
la definizione di superficie regolare con bordo, orientata.
Teorema del rotore Sia Σ una superficie regolare, orientata, con bordo ∂ Σ coerentemente orientato e parametrizzato
0 (t)
da γ = γ (t), t ∈ [a, b] (o l’unione di più superfici di questo tipo), e t = kγγγ 0 (t)k il versore tangente a ∂ Σ . Se F è un
campo vettoriale regolare definito in una regione aperta dello spazio contenente Σ e n il versore normale coerente con
l’orientazione di Σ , allora: ZZ I Z b
F γ (t) ·γγ 0 (t) dt.
F ·nn dS =
rotF F ·tt ds = (7.10)
Σ ∂Σ a
Detto in parole: il flusso del rotore di un campo vettoriale attraverso una superficie uguaglia il lavoro del campo lungo il
bordo della superficie stessa. Tale lavoro viene anche detto circuitazione, per ricordare che la linea ∂ Σ è chiusa (cioè è
un circuito).
Dimostrazione. Ragionando in modo simile a quanto visto per il teorema della divergenza, si dimostra il teorema del
rotore quando Σ è il quadrato [0, 1]2 posto nel piano z = 0, orientato verso l’alto, e F = F1 i. Da questo caso elementare
segue il teorema per un campo qualsiasi su un rettangolo qualsiasi; quindi, approssimando una superficie generica Σ con
tanti rettangoli, si dimostra il teorema del rotore. t
u
Esempio 7.4.6 Calcoliamo il flusso del rotore di F = x i + y k , attraverso la superficie (quarto di sfera) orientata verso
l’alto:
r (ϕ, θ ) = R sin(ϕ) cos(θ ), R sin(ϕ) sin(θ ), R cos(ϕ) ,
(ϕ, θ ) ∈ [0, π/2] × [−π/2, π/2].
Utilizzando sia il calcolo diretto che il calcolo, alternativo, della circuitazione del
campo sul bordo. Calcoliamo
i j k
F = det ∂x ∂y ∂x = i ,
rotF
x 0 y
7.4 Il teorema del rotore 172
Calcoliamo, in alternativa, la circuitazone del campo lungo il bordo di Σ ; il bordo è unione di due semicirconferenze
percorse in verso opportuno. La prima
γ 1 (t) = R cos(t), R sin(t), 0 , t ∈ −π/2, π/2
ha versore tangente t 1 = (− sin(t), cos(t), 0) ed elemento di curva ds = kγγ 01 k dt = R dt, quindi dà contributo
Z π/2
L1 = (R cos(t))(−R sin(t)) + (R sin(t)) 0 dt = 0 per simmetria.
−π/2
La seconda
γ 2 (t) = 0, R cos(t), R sin(t) , t ∈ [0, π]
ha vettore tangente t 2 = (0, − sin(t), cos(t)) ed elemento di curva ds = kγγ 02 k dt = R dt, quindi dà contributo
Z π π
0 + R cos(t) R cos(t) dt = R2 .
L2 =
0 2
F è L1 + L2 = π R2 /2.
Dunque il flusso di rotF
Osserviamo che
i j k
F = det ∂x ∂y
rotF ∂z = i − j +kk ,
x x+y x+y+z
i j k
n = r ρ ∧rrt = det cos(t) sin(t) sin(t) = −ρ j + ρ k ,
−ρ sin(t) ρ cos(t) ρ cos(t)
e quindi
ZZ Z 2Z 2 π Z 2Z 2 π
F ·nn dS =
rotF (1, −1, 1)T · (0, −ρ, ρ)T dt dρ = 2 ρ dt dρ = 2 π.
Σ 0 0 0 0
Esempio 7.4.8 Verificare il teorema del rotore per il campo vettoriale F (x, y, z) = (x3 , y3 , 1) e la regione S = {(x, y, z) ∈
R3 : x2 + y2 = 1, |z| ≤ 1}, ovvero che ZZ Z
F ·nn dσ =
rotF F ·tt ds. (*)
S ∂ +S
Osservo che S è la superficie laterale del cilindro x2 + y2 = 1 compresa tra i piani z = −1 e z = 1, orientata verso
l’interno, e ∂ + S è formato dalla circonferenza γ1 = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1, z = −1} percorsa in senso antiorario e
dalla circonferenza γ2 = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1, z = 1} percorsa in senso orario.
Abbiamo che l’integrale di superficie in (*) è nullo perché
7.4 Il teorema del rotore 173
i j k
F = det ∂x ∂y ∂z = (0, 0, 0).
rotF
c3 y3 1
Esempio 7.4.9 Dato il campo vettoriale F (x, y, z) = x3 i +y3 j +z3 k , si verifichi il teorema della divergenza per la regione
Ω = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 + z2 ≤ 1}, ovvero che
ZZZ ZZ
F dx dy dz =
divF F ·nn dS,
Ω ∂Ω
dove n è il versore uscente, ed il teorema del rotore per la superficie S = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 + z2 = 1}, ovvero che
ZZ Z
F ·nn dS =
rotF F ·tt ds.
S ∂ +S
Verifichiamo per prima cosa il teorema della divergenza. Osserviamo che Ω è chiaramente la sfera di centro l’origine e
raggio 1. Per calcolare l’integrale di volume utilizziamo le coordinate sferiche
f (ρ, ϕ, θ ) = ρ sin(ϕ) cos(θ ), ρ sin(ϕ) sin(θ ), ρ cos(ϕ) , (ρ, ϕ, θ ) ∈ [0, ∞) × [0, π] × [0, 2 π],
il cui jacobiano è
cos(ϕ) sin(θ ) −ρ sin(ϕ) sin(θ ) ρ cos(ϕ) cos(θ )
J f (ρ, ϕ, θ ) = det sin(ϕ) sin(θ ) ρ cos(ϕ) sin(θ ) ρ cos(θ ) sin(ϕ) = −ρ 2 sin(θ ).
cos(θ ) 0 −ρ sin(θ )
Se parametrizziamo ∂ Ω con Φ(ϕ, θ ) = f (1, ϕ, θ ) = sin(ϕ) cos(θ ), sin(ϕ) sin(θ ), cos(ϕ) , (ϕ, θ ) ∈ [0, π] × [0, 2 π],
allora
)
Φϕ = cos(ϕ) cos(θ ), cos(ϕ) sin(θ ), − sin(ϕ)
⇒
Φθ = − sin(ϕ) sin(θ ), sin(ϕ) cos(θ ), 0
i j k
Φϕ ∧ Φθ = det cos(ϕ) cos(θ ) cos(ϕ) sin(θ ) − sin(ϕ) = sin(ϕ) Φ(ϕ, θ )
− sin(ϕ) sin(θ ) sin(ϕ) cos(θ ) 0
7.4 Il teorema del rotore 174
e quindi
ZZ
F ·nn dS =
∂Ω
Z πZ 2π
sin(ϕ) sin(ϕ)3 cos(θ )3 , sin(ϕ)3 sin(θ )3 , cos(ϕ)3 · sin(ϕ) cos(θ ), sin(ϕ) sin(θ ), cos(ϕ) dϕ dθ
=
0 0
Z πZ 2π
sin(ϕ) sin(ϕ)4 cos(θ )4 + sin(ϕ)4 sin(θ )4 + cos(ϕ)4 dϕ dθ = 12 π.
=
0 0 5
F ≡ 0 e ∂ + S = 0,
Verifichiamo ora il teorema del rotore. Visto che rotF / abbiamo che
ZZ Z
F ·nn dS = 0,
rotF F ·tt ds = 0.
S ∂ +S
Esempio 7.4.10 (Formulazione differenziale della legge di Neumann) La legge di Neumann dell’elettromagnetismo
afferma che un campo magnetico B , variabile nel tempo, induce un campo elettrico E , in base alla legge:
dΦB
I
− = E ·tt ds
dt C
dove ΦB è il flusso di B attraverso la superficie Σ , e C = ∂ Σ (coerentemente orientata). Così formulata, la legge coinvolge
grandezze globali (il flusso attraverso un’intera superficie, il lavoro del campo elettrico lungo un cammino). Diamo una
formulazione puntuale di questa legge. Per il teorema del rotore, il secondo membro uguaglia
ZZ
E ·nn dS.
rotE
Σ
d B
ZZ ZZ
∂B
− B ·nn dS = − ·nn dS.
dt Σ Σ ∂t
Dall’uguaglianza
B
ZZ ZZ
∂B
− ·nn dS = E ·nn dS
rotE
Σ ∂t Σ
che deve valere per ogni superficie Σ , segue l’uguaglianza delle funzioni integrande
B
∂B
− E.
= rotE
∂t
Questa è una delle quattro equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo; è un’equazione differenziale che lega, punto per
punto, i campi vettoriali B ed E . Il teorema del rotore è servito per dedurla a partire dalla legge di Neumann.
Osservazione 7.4.11 (Significato dell’operatore rotore) Fissiamo un punto P nello spazio, un versore n spiccato da P,
e sia Br un disco di centro P, raggio r e versore normale n . Applichiamo a Br la (7.10) e dividiamo per l’area del disco
(che indichiamo con |Br |). Otteniamo:
1 1
ZZ I
F ·nn dS =
rotF F ·tt ds.
|Br | Br |Br | ∂ Br
F ·nn)(P) e quindi
Mandando r a zero, per il teorema della media il primo membro tende a (rotF
1
I
F ·nn)(P) = lim
(rotF F ·tt ds.
r→0 |Br | ∂ Br
Dunque la componente del rotore di un campo in una certa direzione n è uguale alla densità superficiale di circuitazione
del campo attorno al punto, lungo il piano perpendicolare a n.
Osservazione 7.4.12 (Campi irrotazionali) Se un campo F è irrotazionale in una certa regione dello spazio, il flusso
del rotore luogo una qualsiasi superficie Σ regolare con bordo è nullo. Ne segue che il lavoro di F lungo ∂ Σ è nullo. In
particolare, visto che rot gradU = 0, il lavoro di un campo conservativo F = gradU lungo un cammino chiuso è nullo. 5
5
Questo risultato è già stato dimostrato utilizzando il Teorema del lavoro di un campo conservativo.
7.4 Il teorema del rotore 175
Si osservi tuttavia che nel teorema del rotore è contenuto di più. Se, ad esempio, F è un campo irrotazionale ma non
conservativo, nel piano privato dell’origine, e Σ è una corona circolare centrata nell’origine, il teorema dice che il lavoro
di F lungo il bordo orientato della corona circolare è nullo. Questo significa che il lavoro di F sulla circonferenza interna
è uguale a quello sulla circonferenza esterna (se sono percorse nello stesso verso).
dove ak e bk sono numeri reali o complessi assegnati; si tratta di una funzione di classe C ∞ e periodica di periodo 2 π. Data
una successione di polinomi trigonometrici {Pn }n∈N con Pn di ordine n, la serie trigonometrica associata è (se esiste) il
limite puntuale
∞
a0
lim Pn (x) = + ∑ ak cos(k x) + bk sin(k x) .
n→∞ 2 k=1
Una serie trigonometrica è sicuramente periodica di periodo 2 π, ma potrebbe essere non regolare. Infatti la regolarità
di Pn viene ereditata se possiamo applicare la proprietà del passaggio al limite sotto il segno di derivata, ovvero se ∑ Pn
converge puntualmente e ∑ Pn0 converge uniformemente. Per la convergenza puntuale possiamo utilizzare il criterio di
Dirichlet
se {ak }k∈N e {bk+1 }k∈N sono successioni reali, positive, monotone decrescenti
e tendono a zero, allora la serie trigonometrica converge in R \ {2 π N}.
Il precedente criterio non ci assicura la continuità della serie trigonometrica. Se però abbiamo che ∑ Pn converge unifor-
memente, allora la serie trigonometrica è continua; se anche ∑ Pn0 converge uniformemente, allora la serie trigonometrica
1 che laconvergenza uniforme di ∑ Pn segue dalla convergenza di ∑∞ ∞
è di classe
C . Osserviamo k=1 |ak | e ∑k=1 |bk | in quanto
n 0
|ak| + |bk | ; analogamentela convergenza uniforme di ∑ Pn segue dalla convergenza di ∑ |k ak | e
Pn (x) ≤ a0 + ∑
k=1
∑ |k bk | in quanto Pn0 (x) ≤ ∑nk=1 |k ak | + |k bk | . Visto che la convergenza di ∑ |ak | e ∑ |bk | segue dalla convergenza di
∑ |k ak | e ∑ |k bk |, abbiamo che:
∑ |ak | < ∞
k≥1
⇒ la serie trigonometrica è ben definita ed è di classe C 0 in R;
∑ k|b | < ∞
k≥1
∑ |k ak | < ∞
k≥1
⇒ la serie trigonometrica è ben definita ed è di classe C 1 in R.
∑ |k bk | < ∞
k≥1
176
8.1 Polinomi trigonometrici e serie trigonometriche 177
dove d è una distanza. Se consideriamo funzioni f tali che f 2 è integrabile in [0, 2 π], allora possiamo scegliere la distanza
d( f , g) = k f − gk indotta dalla norma
!1/2
Z 2π
kfk = f (x)2 dx ,
0
Teorema di convergenza in media quadratica della serie di Fourier Sia f : R → R periodica di periodo 2 π e tale che
f 2 sia integrabile in [0, 2 π].
1) Al variare di Pn tra tutti i polinomi trigonometrici di grado ≤ n, lo scarto quadratico medio
Z 2π 2
En = f (x) − Pn (x) dx
0
inoltre lim En = 0.
n→∞
3) Vale l’uguaglianza di Parseval !
a20
Z 2π ∞
2 2 2
f (x) dx = π + ∑ ak + bk ;
0 2 k=1
in particolare la serie scritta a secondo membro risulta convergente e quindi
Z 2π Z 2π
lim f (x) cos(k x) dx = 0, lim f (x) sin (k + 1) x dx = 0, k ∈ N.
k→∞ 0 k→∞ 0
Per il teorema precedente abbiamo che se f soddisfa opportune ipotesi, allora è sviluppabile in serie di Fourier in media
quadratica, ovvero che sn → f in media quadratica. Ciò però non significa che f coincida con la sua serie di Fourier. Il
seguente teorema ci dice sotto quali ipotesi f coincide con la sua serie di Fourier.
Teorema di convergenza puntuale delle serie di Fourier Sia f : R → R periodica di periodo 2 π e tale che in [0, 2 π]
è limitata e monotona a tratti (ossia si può decomporre [0, 2 π] in un numero finito di intervalli su ciascuno dei quali f è
crescente oppure decrescente). Allora:
1) i coefficienti di Fourier sono ben definiti;
2) per ogni x0 ∈ [0, 2 π] esistono finiti f (x0− ) = limx→x− f (x) e f (x0+ ) = limx→x+ f (x);
0 0
3) in ogni punto x0 ∈ R la serie di Fourier coincide con la media di f (x0− ) ed f (x0+ ), ovvero
a0 ∞ f (x0− ) + f (x0+ )
+ ∑ ak cos(k x) + bk sin(k x) = ;
2 k=1 2
in ogni intervallo [a, b] ⊂ ∪k∈Z 2 π k, 2 π (k + 1) . Se f è di classe C 1 su tutto R, allora la serie di Fourier di f si può
I teoremi precedenti possono essere generalizzati a funzioni f di periodo arbitrario T considerando come coefficienti
di Fourier
Z T Z T
2 2
ak = f (x) cos(ω k x) dx, bk+1 = f (x) sin ω (k + 1) x dx, k ∈ N,
T 0 T 0
dove ω = 2 π/T .
e per il teorema di convergenza puntuale delle serie di Fourier si ha che s coincide con f in R \ (π Z) e per x ∈ π Z
converge alla media 0. Nella seguente figura abbiamo rappresentato il grafico di f insieme a quello della somma n-esima
della sua serie di Fourier per qualche valore di n. Il teorema di derivazione termine a termine delle serie di Fourier non
è applicabile perché f non è continua in R.
Esempio 8.1.5 Sia [x] è la parte intera di x ∈ R. I coefficienti di Fourier della funzione mantissa
(
x se x ∈ [0, 1),
f (x) = mant(x) = x − [x] =
prolungata a tutto R periodicamente con periodo 1,
1 1 sin(k x)
s(x) = − ∑
2 π k≥1 k
e per il teorema di convergenza puntuale delle serie di Fourier si ha che s coincide con f in R \ Z e per x ∈ Z converge
alla media 1/2. Nella seguente figura abbiamo rappresentato il grafico di f insieme a quello della somma n-esima della
sua serie di Fourier per qualche valore di n. Il teorema di derivazione termine a termine delle serie di Fourier non è
applicabile perché f non è continua in R in quanto non vale la condizione di raccordo f (0) = f (1).
Esempio 8.1.6 Consideriamo la funzione f (x) = ex in [0, 2 π] ed estendiamola a tutto R con periodo 2 π. I coefficienti di
Fourier sono per k ∈ N \ {0}
1 2π x e2 π − 1
Z
a0 = e dx = ,
π 0 π
1 2π x e2 π − 1 1
Z
integrando per
ak = e cos(k x) dx = = ,
π 0 parti due volte π 1 + k2
1 2π x e2 π − 1 k
Z
integrando per
bk = e sin (k x) dx = =− .
π 0 parti due volte π 1 + k2
e2 π − 1 e2 π − 1
cos(k x) k sin(k x)
s(x) =
2π
+
π ∑ 1 + k2 − 1 + k2
k≥1
e per il teorema di convergenza puntuale delle serie di Fourier si ha che s coincide con x 7→ ex in R \ (2 π Z), mentre per
x ∈ 2 π Z la serie di Fourier coincide con la media (e2 π + 1)/2. Il teorema di derivazione termine a termine delle serie di
Fourier non è applicabile perché f non è continua in R in quanto non vale la condizione di raccordo f (0) = f (1). Nella
seguente figura abbiamo rappresentato il grafico di f insieme a quello della somma n-esima della sua serie di Fourier
per qualche valore di n.
Esempio 8.1.7 Consideriamo la funzione f (x) = x2 in [−π, π] ed estendiamola a tutto R con periodo 2 π. La funzione
è C 2 , soddisfa la condizione di raccordo, f (−π) = f (π), ma la sua derivata non soddisfa la condizione di raccordo,
f 0 (−π) 6= f 0 (π). Quindi per il teorema di convergenza puntuale delle serie di Fourier la serie di Fourier converge ad f
in tutto [−π, π] e la si può derivare termine a termine in (−π, π). I coefficienti di Fourier sono per k ∈ N \ {0}
2 2
a0 = π ,
3
2 2 2π 4
Z π
integrando per
ak = x2 cos(k x) dx = = cos(k π) = (−1)k 2 ,
π 0 parti due volte π k2 k
bk = 0.
8.1 Polinomi trigonometrici e serie trigonometriche 180
Esercizio 8.1.8 Si consider la funzione f (x) = |x| su [−π, π]. In base ai risultati visti, si può affermare che la serie di
Fourier di f converge a |x|? Calcolare quindi lo sviluppo di Fourier di f e verificare che effettivamente la serie converge
totalmente. Infine, porre x = 0 nello sviluppo in serie trovato e ottenere la somma di una serie numerica notevole.
Esercizio 8.1.9 In base ai risultati visti, dire cosa si può affermare a priori sulla serie di Fourier di
( (
0 se x ∈ [0, π], 0 se x ∈ [0, π],
f (x) = f (x) = x2 in [0, 2 π], f (x) =
1 se x ∈ (π, 2 π], x − π se x ∈ (π, 2 π].
Calcolare poi lo sviluppo di Fourier su tale intervallo. Con l’ausilio di un computer tracciare il grafico di f e delle somme
della sua serie di Fourier per i primi valori di n.
Esercizio 8.1.10 Sia f (x) = x2 (2 π − x)2 in [0, 2 π]. In base ai risultati visti, dire cosa si può affermare a priori sulla
serie di Fourier di f , ed in particolare sulla sua derivabilità termine a termine.
Esercizio 8.1.11 Sviluppare in serie di Fourier ilprolungamento periodico della funzione x4 per x ∈ [−π, π] e dedurre la
formula
1 π4
∑ n4 = 90 .
n≥1
Esercizio 8.1.12 Calcolare gli sviluppi in serie di Fourier delle seguenti funzioni.
181
INDICE ANALITICO 182