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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

“TOR VERGATA”

DISPENSE RELATIVE AL CORSO DI LETTERATURA INGLESE

PROF. DANIELA GUARDAMAGNA


di Debora Vurchio

DAL VITTORIANESIMO AL MODERNISMO: FORME


NARRATIVE E POETICHE DAL GRANDE ROMANZO
OTTOCENTESCO A JAMES JOYCE, T.S. ELIOT, VIRGINIA
WOOLF
INDICE

Parte prima 3

Le fasi fondamentali della storia inglese

Parte seconda 7

Notazioni di storia della cultura inglese

Parte terza 9

Breve introduzione al romanzo

Il passaggio dal vittorianesimo al modernismo

Il modernismo

LA PERCEZIONE DEL REALE NEGLI SCRITTORI MODERNISTI 16

A PORTRAIT OF THE ARTIST AS A YOUNG MAN 23

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PARTE PRIMA

LE FASI FONDAMENTALI DELLA STORIA INGLESE

1485: fine della Guerra delle Due Rose e del feudalesimo.

Nascita della dinastia Tudor, la dinastia di Elisabetta I.

L’Inghilterra diventa presto uno stato potente ed un importante punto di riferimento per

la società europea.

1534: Scisma Anglicano (separazione dalla Chiesa di Roma da parte di Enrico VIII Tudor).

Questo avvenimento costituisce la seconda tappa del cammino dell’Inghilterra come

nazione.

Il re diventa sia Capo dello Stato che Capo della Chiesa Inglese.

Da questo momento in poi si tenderà a mitizzare, a celebrare la figura del sovrano.

Edmund Spenser nella Fairie Queene esalterà la regina Elisabetta come fosse una dea.

1553-1558: sale al trono Maria, sorella di Elisabetta I, nota come Bloody Mary (Maria la

Sanguinaria).

Protagonista di stragi e persecuzioni contro gli Anglicani, ripristina brutalmente il

cattolicesimo. Sposa Filippo di Spagna nonostante il parere contrario del Parlamento.

L’Inghilterra perde Calais, la sua ultima postazione in Francia, a causa di un suo tragico

errore (1558).

1558-1603: regno di Elisabetta I.

Figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, considerata un’usurpatrice dai cattolici (che non

accettano il matrimonio dei suoi genitori) conquista invece il cuore dei suoi sudditi.

Intelligente e sensibile, incoraggia la pace, la giustizia e promuove le arti e la cultura.

Tenta di conciliare le esigenze sia dei protestanti che dei cattolici; ha il culto del celibato e

si dichiara Sposa della propria Nazione.

La divisione tra la Chiesa di Roma e quella d’Inghilterra influenza tutto il teatro. Ed è per
3
questo che la maggior parte dei testi elisabettiani presenta villains (personaggi negativi) di

nazionalità italiana o spagnola. I cattolici in questo periodo sono considerati popish

(papisti).

Gli anni dal 1590 al 1615 sono quelli della maggior fioritura del teatro elisabettiano.

William Shakespeare scrive tra il 1592/3 e il 1611 (nasce nel 1564 e muore nel 1616). Nel

1576 viene costruito il primo teatro.

1603-1625: regna Giacomo I Stuart.

Elisabetta muore senza eredi e con lei termina la dinastia Tudor. Inizia un periodo di

enorme crisi.

Giacomo I Stuart è scozzese. La monarchia inglese di tipo costituzionale (nata al tempo dei

Tudor) grazie alla presenza del Parlamento ha impedito all’assolutismo di affermarsi.

Gli Stuart invece considerano il sovrano tale per diritto divino.

Di conseguenza si creano una serie di scontri tra sovrano e Parlamento che condurranno in

seguito alla deposizione di Carlo I.

1625-1642: sale al trono Carlo I (figlio di Giacomo I).

Nascono una serie di contrasti con il Parlamento (che spesso non viene convocato), dovuti

alla considerazione del re come figura di autorità assoluta.

Il partito dei Puritani (il più vicino alla nascente borghesia) assume un’importanza

fondamentale.

Nel 1642 Carlo I viene deposto e nel 1649 viene decapitato.

A questo punto il potere è in mano ai Puritani, al capo dei quali è Oliver Cromwell.

Nel 1642 i Puritani impongono la chiusura dei teatri, accusati di istigazione al peccato e di

immoralità. Il teatro sopravvive solo in forma di rappresentazioni nelle case dei nobili ed

in forme miste con musica e canto. Quindi il grande teatro elisabettiano (quello di

Shakespeare, Webster, Marlowe, Kyd, Jonson) finisce proprio nel 1642.

Tra il 1649 e il 1658 c’è l’unica repubblica che la storia inglese ricordi, quella cioè

capeggiata da Oliver Cromwell. Cromwell, a sua volta, non è d’accordo con le decisioni
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del Parlamento, lo scioglie e diventa una sorta di dittatore (Lord Protettore). Muore nel

1658 lasciando il potere nelle mani del figlio che, rivelatosi incapace di gestire le redini del

governo, viene facilmente deposto dalle forze della Restaurazione, intenzionata a

ripristinare in Europa i sovrani assoluti sui loro rispettivi troni.

Nel 1660, Carlo II Stuart (figlio di Carlo I), aiutato dalla monarchia francese (la Francia l’ha

ospitato e protetto), si impossessa del trono inglese. Inizia la Restaurazione.

Nel 1660 riaprono anche i teatri. Carlo II importa dalla Francia alcune modifiche per

quanto riguarda la loro struttura (teatro con quinte, sipario e scenografia), la composizione

del pubblico (solo aristocratici ed alta borghesia), il contatto meno diretto tra attori e

spettatori, la presenza delle attrici e la preferenza per la “commedia di costume” (Comedy

of Manners), in cui vengono rappresentati il cinismo e la mancanza dei principi morali

della società contemporanea e la vita elegante della corte. Dryden (grande autore e critico

neoclassico che scrive intorno al 1680) afferma che nel teatro viene importata la

conversazione elegante della corte e che Shakespeare, Fletcher ed altri autori elisabettiani

non sono raffinati come alcuni autori della Restaurazione perché non hanno il beneficio di

questa.

1685: sale al trono Giacomo II, presto inviso al popolo inglese (in prevalenza anglicano),

perché di simpatie cattoliche.

Ma la cittadinanza inglese, stanca di rivoluzioni e desiderosa di pace, lo accetta anche se a

malincuore. Giacomo ha due figlie femmine: Maria ed Anna. Al momento della nascita

dell’erede maschio, il popolo inglese insorge (Bloodless Revolution – rivoluzione incruenta –

è la seconda rivoluzione inglese) e tra il 1688 e il 1689 pretende l’ascesa al trono di Maria

(la figlia maggiore di Giacomo) sposata con Guglielmo III d’Orange. Salgono al trono in

maniera congiunta Maria II e Guglielmo. Nel 1689 i due sottoscrivono il Bill of Rights, atto

in cui si dichiara che nessun rappresentante della dinastia Stuart possa più salire al trono.

Quindi si conclude la vicenda Stuart nella storia della corona inglese. In Inghilterra (già

dal 1400 monarchia costituzionale), cresce l’importanza del Parlamento. Alla morte di

Guglielmo d’Orange (1702) e di Maria, sale al trono la sorella di Maria, Anne. Nel 1707
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Anne crea l’unione tra la Corona di Scozia e la Corona di Inghilterra. In seguito (dopo il

regno di Anne) e tranne che nel caso della regina Vittoria, la figura del sovrano cessa di

essere fondamentale e viene messa in ombra dai primi ministri e dai ministri degli esteri

(Walpole, Gladstone, Pitt) che assurgono a guida reale dello stato.

Nel ‘700, aumenta l’importanza del Parlamento e nascono i partiti: Tory (conservatore) e

Whig (liberale). I Tories rappresentano l’aristocrazia e l’alta borghesia e gli Whigs la media

borghesia cittadina.

Nel ‘900 il partito Whig sarà sostituito dal Partito Laburista

(Labour Party) mentre il partito conservatore rimarrà tale. Il successore di Anne sarà

Giorgio I della dinastia degli Hannover (1714-1727). Giorgio II di Hannover governerà

invece dal 1727 al 1760.

Robert Walpole continuerà ad essere Primo Ministro anche durante il regno di

quest’ultimo. Giorgio I e Giorgio II di Hannover non godono della simpatia del popolo,

poiché sono tedeschi e non conoscono la lingua inglese (assistiamo quindi ad un

progressivo distacco tra la Corona ed il popolo). Giorgio III invece si dimostra attento alle

esigenze del popolo, tentando di consolidarne di nuovo il legame con il sovrano.

Nel 1776 scoppia la Guerra di Indipendenza Americana e nel 1783 le colonie americane

dichiarano l’indipendenza dalla madrepatria. Questo avvenimento rappresenta

indubbiamente una sconfitta per il regno di Giorgio III. A Giorgio III succederà Giorgio

IV.

1789: Rivoluzione Francese.

In Inghilterra, l’atteggiamento nei riguardi della Rivoluzione Francese è inizialmente

favorevole, poi nel momento in cui diviene violenta la cultura inglese decide di rinnegarla.

Seguiranno Napoleone e la Restaurazione.

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PARTE SECONDA

N OTAZIONI DI STORIA DELLA CULTURA INGLESE

Nei primi decenni del ‘700 si afferma la classe borghese che diviene la più influente

in Inghilterra. In questo paese, la borghesia assume un’importanza fondamentale già alla

fine del ‘500. Dal ‘600 in poi l’aristocrazia inizia a perdere il potere economico. Gli ‘uomini

nuovi’ (cioè coloro che basano la propria fortuna non sulla proprietà di terre e sui latifondi

ma sul commercio e sui possedimenti coloniali) sono sempre più ricchi ed influenti.

Quindi nel ‘600 la borghesia è già una forza considerevole ma è a partire dai primi anni del

‘700 che comincia a predominare.

Il novel (il genere letterario che più chiaramente esprime la classe borghese in piena

ascesa) nasce proprio in questo periodo. Anche per quanto riguarda la Rivoluzione

Industriale, l’Inghilterra si dimostra all’avanguardia rispetto agli altri paesi europei.

L’Ottocento è un secolo fondato sull’ideologia del progresso, sul Positivismo,

sull’ottimismo e sull’evoluzione della scienza. Il rovescio della medaglia interessa invece

l’economia inglese, caratterizzata in parte da una forte espansione economica (grazie

all’Impero) e in parte da varie problematiche e lotte sociali. La classe operaia inglese vive

in condizioni disumane e l’inurbamento, cioè il passaggio dalle campagne alle città per

lavorare nelle fabbriche, risulta traumatizzante per l’enorme disagio provocato

dall’improvviso cambiamento di abitudini e di stili di vita.

Scrittori come Charles Dickens ed Elizabeth Gaskell hanno il coraggio di denunciare

la disperazione dei quartieri inglesi più poveri e malsani (i cosiddetti slums) anche se da

molti critici attuali vengono considerati apolitici ed eccessivamente sentimentali.

La Rivoluzione Industriale (definita a ragione da Paolo Bertinetti1 “Mechanical

Age” – Età Meccanica) conduce la società di allora ad un certo materialismo.

Nel 1832 viene promulgato il primo Reform Bill che tenterà (riuscendoci solo in

parte) di allargare il suffragio (diritto di voto). Per molti decenni dell’800 il diritto di voto è

1 P. Bertinetti, Storia della letteratura inglese, Torino: Einaudi, 2000, pag. 68.
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riservato esclusivamente ai ricchi ed al sesso maschile (le donne potranno votare solo nel

1928). Un altro Reform Bill viene emanato nel 1867.

Caratteristica di questo periodo così convulso è anche l’espansione urbana.

Carlo Pagetti2 cita il cartismo (che propone il suffragio universale, la segretezza del

voto ed uno stipendio ai deputati, in modo che possano esercitare il mandato

indipendentemente dalle ricchezze personali), la nascita delle Trade Unions (i sindacati) e

la Fabian Society (1884) partito politico di sinistra a cui appartiene il grande drammaturgo

George Bernard Shaw.

Trionfa l’Impero inglese e nel 1876 Vittoria viene proclamata Imperatrice delle

Indie.

Nel 1851 l’Esposizione Universale celebra le magnifiche sorti progressive della

scienza riconoscendo ad essa potenzialità illimitate. Il Decadentismo ed il Novecento,

successivamente, inizieranno a dubitare e a temere lo strapotere della scienza e della

tecnica.

Il 1870 (anno della guerra franco-prussiana) viene citato da Pagetti come ‘terzo

spartiacque’.

Il 1870 è caratterizzato anche dal primo Education Act, legge che estende l’obbligo

dell’istruzione scolastica. Aumentano quindi la literacy (il saper leggere e scrivere) ed il

pubblico dei lettori.

Questo fenomeno tuttavia è limitato ad un pubblico colto di

medio-borghesi. L’autore vittoriano ha ancora la sensazione di essere un tutt’uno con il

suo pubblico. Questo tipo di convinzione di omogeneità si frantuma col Decadentismo, in

cui l’atteggiamento dello scrittore nei confronti di chi legge sarà totalmente diverso.

Vengono scritti perciò sia testi di notevoli difficoltà a livello di stile e di contenuto, diretti

ad un pubblico fine ed erudito, sia testi di facile consumo, best-sellers diretti al pubblico

meno istruito, ai quali alcuni autori si oppongono.

Il Decadentismo, quindi, sancirà una sorta di frattura tra l’autore colto ed il suo

pubblico da cui egli si sente in un certo qual modo rifiutato.

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Cfr. P. Bertinetti, op. cit., pag. 71.
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Parte terza

B REVE INTRODUZIONE AL ROMANZO

Il novel nasce all’inizio del ‘700. Lo si può definire romanzo realistico, differenziandolo dal

romance.

Il romanzo borghese nasce nel 1719 con la pubblicazione di

Robinson Crusoe (autore: Daniel Defoe), considerato in qualche misura il primo romanzo

moderno.

In precedenza il panorama romanzesco era costellato da romanzi pastorali, poemi

cavallereschi e quant’altro.

Un’opera come Robinson Crusoe scaturisce da un interesse concreto da parte della

letteratura per gli avvenimenti della vita quotidiana.

1726: viene pubblicato Gulliver’s Travels, di Jonathan Swift, che non è un novel vero e

proprio ma un’utopia satirica (satira contro le abitudini dell’Inghilterra del tempo).

Altro testo fondamentale è Moll Flanders (autore: Daniel Defoe – 1722).

Il romanzo quindi inizia ad occuparsi di argomenti nuovi e piuttosto insoliti.

Henry Fielding nel 1749 pubblica il Tom Jones. Questo libro descrive le peripezie di un

trovatello che alla fine scopre di essere il figlio adottivo di Mr. Allworthy, un ricco

filantropo.

Allworthy (degno assai) è un nome simbolico. Qui l’autore mantiene viva la tradizione

teatrale seicentesca inglese di attribuire ad alcuni personaggi nomi significativi del loro

atteggiamento mentale.

Samuel Richardson (autore contemporaneo a Fielding) pubblica Pamela e Clarissa. Pamela,

Or Virtue Rewarded è una semplice domestica che riesce a farsi sposare dal suo padrone

salvaguardando la propria virtù.

Nel ‘700, oltre al novel, c’è un altro genere letterario di successo, ovvero il romanzo

epistolare, le cui vicende vengono riferite attraverso una serie di lettere che si immaginano

scritte dal protagonista.


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Anni ‘60 del ‘700: pubblicazione del primo ‘antiromanzo’, il Tristram Shandy di Lawrence

Sterne. Questo romanzo mette in evidenza le proprie caratteristiche e i propri meccanismi.

Sterne con questa tecnica anticipa Joyce. Il discorso di Sterne si basa sulla filosofia del suo

contemporaneo Locke che teorizza l’associazione di idee. Difatti il romanzo di Sterne

procede per digressioni. Un critico afferma che Sterne, rimandando in questo testo gli

avvenimenti pratici della vita, cerca in qualche modo di ingannare la morte. Non è dunque

un caso che il protagonista nasca addirittura nel V volume.

Il Tristram Shandy è un testo metanarrativo, procede cioè commentandosi.

1760: nasce il romanzo gotico, che continua fino ai primi anni dell’800. Il primo testo gotico

è The Castle of Otranto (1764), di Horace Walpole.

Alla fine del ‘700, Jane Austen pubblica una sorta di parodia del romanzo gotico, dal titolo

Northanger Abbey. Jane Austen scrive tra il 1795/96 e il 1816/17 e sembra ignorare

completamente il fatto di essere in piena Età Napoleonica. In realtà la Austen realizza una

sorta di romanzo di formazione al femminile.

Per definire il romanzo, come abbiamo detto, in inglese esistono due termini, romance e

novel. La definizione di novel esiste dall’inizio del ‘700, ed indica generalmente un romanzo

a base realistica. Tende cioè a riprodurre, più o meno fedelmente, le caratteristiche della

vita quotidiana.

Il romance, che deriva dalle Chansons de Geste, contiene invece una discreta quantità di

elementi fantastici e non nasce nel ‘700 ma è molto precedente. Il romance si può riferire

anche ai drammi (ad esempio la Tempest di William Shakespeare – 1611).

Nel concetto di realismo, è incluso il tentativo di mimesi (imitazione assoluta). Il novel è una

forma mimetica che tende a riprodurre la realtà con la maggior fedeltà possibile.

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Caratteristiche del romance:

Presenza di elementi fantastici (questa è la caratteristica che lo distingue dal novel);

Presenza di elementi avventurosi (la trama di tipo avventuroso prevale sulla

riflessione psicologica); un romanzo che possiede entrambi gli elementi è Treasure Island.

Robinson Crusoe è sostanzialmente un novel anche se possiede elementi avventurosi,

poiché l’autore dimostra un’attenzione esasperata al dettaglio realistico.

In Wuthering Heights di Emily Brontë, che è stato definito un novel, in realtà

prepondera l’elemento di tipo fantastico, caratteristico del romance, rappresentato

soprattutto dallo spettro. (Ci sono tuttavia autori che definiscono i loro testi novels, quando

in realtà sono dei romances).

Quindi: novel = progetto realistico ed attenzione alla psicologia dei personaggi

(introspezione – maturazione – crescita fisica e psicologica).

Nel romance, al contrario, la psicologia del personaggio viene spesso ignorata o

tenuta poco in considerazione. Alcuni esempi di romances: Alice in Wonderland (Alice nel

Paese delle Meraviglie), l’Orlando Furioso, la Gerusalemme Liberata, la Fairy Queen e i

drammi degli ultimi anni di vita di Shakespeare.

Jane Eyre ha le caratteristiche sia del romance che del novel (novel = maturazione

psicologica dell’eroina; romance = la moglie pazza e terrificante del protagonista

Rochester).

IL PASSAGGIO DAL VITTORIANESIMO AL MODERNISMO

Molti autori modernisti rifiutano il discorso ottocentesco per dare spazio alle novità.

Ci sono differenze enormi tra un romanzo tipico ottocentesco e un romanzo tipico

novecentesco ma è necessario tener presente anche le diversità fra singoli autori.

Il saggio Mimesis di Erich Auerbach propone una tesi fondamentale: cioè come l’attenzione

degli autori modernisti (e del novecento in generale) si sposti dalla biografia esteriore (che

è quella a cui sono prevalentemente interessati i romanzieri ottocenteschi) ad una biografia

interiore.
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Il romanzo novecentesco descrive non tanto le azioni quanto i pensieri, i turbamenti, i

dubbi, le riflessioni, gli umori del personaggio.

Il romanzo ottocentesco tende sostanzialmente alla descrizione minuziosa della biografia

del personaggio, partendo dalla sua nascita, dalla sua genealogia, tenendo conto della sua

personale esperienza di vita, ed eventualmente analizzando in modo razionale la sua

psicologia; spesso ne descrive la formazione (è un Bildungsroman: un termine composto

proveniente dalla lingua tedesca [Roman = romanzo; Bildung = formazione]).

Quindi è un romanzo di crescita del personaggio sia dal punto di vista fisico, che mentale

e psicologico (possiamo citare in proposito David Copperfield di Charles Dickens,

Middlemarch di George Eliot, Jane Eyre di Charlotte Brontë).

Erich Auerbach, quindi, fornisce a noi studenti una chiave di lettura fondamentale che

però non dev’essere fraintesa arrivando a discorsi semplicistici, come per esempio: ‘I

romanzi ottocenteschi sono materialisti’, come afferma provocatoriamente Virginia Woolf

(riferendosi in modo specifico a tre autori importanti del periodo: Herbert George Wells,

Arnold Bennett e John Galsworthy).

Quasi tutti i romanzi ottocenteschi hanno in comune la struttura del narratore onnisciente,

oppure adottano la soluzione narrativa del romanzo scritto in prima persona.

I romanzi novecenteschi invece sono scritti con una forma molto diversa e sono

caratterizzati dalla scomparsa del narratore onnisciente.

IL MODERNISMO

Nasce intorno agli anni 1885/90 e si conclude intorno agli anni ’30 del ‘900. I principali

autori modernisti (per la narrativa) sono:

• Henry James

• Joseph Conrad

• Virginia Woolf

• James Joyce.

Nella poesia:
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• T. S. Eliot (Thomas Stearns Eliot).

Di Virginia Woolf citiamo alcuni testi fondamentali:

• Il saggio “Modern Fiction” (1919);

• “Mr Bennet and Mrs Brown” (1924)

• Mrs Dalloway (1925)

• To the Lighthouse (1927).

Di James Joyce si citano:

• La raccolta di racconti Dubliners (scritti 1907, pubblicati 1914)

• A Portrait of the Artist as a Young Man (1916)

• Ulysses (1922).

Anche la Waste Land (La Terra Desolata) di Eliot viene pubblicata nel 1922.

Ulysses di Joyce e la Waste Land di Eliot sono considerati i monumenti del modernismo.

Ulysses ha tre protagonisti: Leopold Bloom, sua moglie Molly e Stephen Dedalus

(protagonista anche del A Portrait of the Artist as a Young Man). Il testo è incentrato sul

racconto di una giornata di questi personaggi dove si rispecchia anche la città di Dublino.

Mrs Dalloway, analogamente allo Ulysses, descrive la giornata di una signora-bene di

Londra che trascorre la sua giornata organizzando un party.

Il romanzo modernista capovolge completamente la struttura narrativa tradizionale,

quella che può caratterizzare un romanzo ottocentesco, che, partendo dalla nascita del

personaggio, prosegue con la sua crescita fisica e psicologica e si conclude con un evento

significativo, ad esempio la morte o il matrimonio. Il romanzo ottocentesco procede in

modo lineare disegnando una lunga parabola (ad esempio David Copperfield) e tende a

prendere in considerazione una lunga sezione della vita del personaggio.

Il romanzo modernista, al contrario, coglie una sezione estremamente limitata della vita

del personaggio, in certi casi una giornata, ed attraverso questa giornata fa confluire tutto

il resto. Molti critici affermano che un testo ottocentesco costruisce in estensione mentre un
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testo modernista costruisce in profondità.

Nel discorso modernista esiste la simultaneità, presente anche in alcuni movimenti

pittorici (ad esempio il Cubismo).

La passeggiata di Leopold Bloom attraverso Dublino coinvolge la città ed il suo passato

(egli ripensa alla morte del figlio, al padre suicida ed a sua moglie). Leopold costruisce una

rete di fenomeni che esulano dalla realtà (la giornata) ma che la proiettano nel futuro e la

sprofondano nel passato. In un gesto minimo del personaggio (pensiamo a Stephen

Dedalus, agli zingari che vede mentre passeggia sulla spiaggia nel III capitolo ed alla

riflessione sulla loro origine) c’è l’inclusione dell’esperienza e del ricordo. Nel

modernismo la funzione della memoria è importantissima. C’è la tendenza a partire dal

fatto concreto, minimo, spesso limitato nel tempo, per espandersi nella memoria. Senza

dubbio tutto ciò determina un ribaltamento del discorso narrativo tradizionale.

Altro fattore fondamentale presente nei testi modernisti è il tempo.

In un romanzo ottocentesco si tende ad una apparente successione lineare rispettando in

genere la connessione causa-effetto (funzione didascalica). Si organizza quindi il romanzo

in maniera razionale. Spesso si privilegiano le problematiche sociali ed economiche dei

personaggi.

Nel discorso modernista, invece, il fattore economico-sociale perde importanza e lo

scrittore è interessato al pensiero, alla memoria e all’interiorità del personaggio.

Il testo, ad esempio To the Lighthouse di Virginia Woolf, è costruito in base a questo tipo di

procedura: i fatti fisici (anche minimali) sono occasione, a volte addirittura pretesto, del

discorso mentale, psicologico o psichico.

Gli autori modernisti sprofondando nella psicologia dei personaggi tentano

mimeticamente di rendere sulla pagina il movimento della loro mente. Il nostro pensiero

non è difatti legato alla linearità, alla razionalità, ma è nebuloso e magmatico. Molti

scrittori modernisti operano una sorta di distacco e di non connessione logico-sintattica

delle frasi (soprattutto Joyce), con lo scopo di rendere il discorso della scrittura simile al

vero procedimento mentale. Quindi cercano di riprodurre sulla pagina la complessità del

movimento del pensiero umano.


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I personaggi principali di To the Lighthouse sono:

• Mrs Ramsay

• suo marito Mr Ramsay

• Lily Briscoe (figura autoriale, che rappresenta in qualche misura il punto di vista dello

scrittore).

In To the Lighthouse ci sono tre momenti:

1. Si progetta la gita al faro.

2. C’è un breve capitolo intitolato: Time Passes, in cui tutti i fatti importanti esteriori

vengono messi tra parentesi quadre. È interessante notare come venga sminuita e

descritta in poche fredde righe la morte di Mrs Ramsay (la protagonista) e come invece

il gesto del calzerotto fatto a maglia acquisti un valore incredibile. A questo semplice

atto ed ai pensieri scaturiti dalla mente di Mrs Ramsay sono dedicate addirittura

quindici

e più pagine (questa parte del romanzo è stata analizzata da Erich Auerbach nel saggio

Mimesis).

3. Si realizza la gita al faro (fine del romanzo).

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LA PERCEZIONE DEL REALE NEGLI SCRITTORI MODERNISTI

Nei primi anni del Novecento si verifica tutta una serie di fenomeni, dalla nascita

della psicanalisi a quella di formulazioni scientifiche come la teoria della relatività, il

passaggio dalla possibilità di interpretare il reale in modo lineare (come nella visione

positivista) all’interpretazione freudiana, che sottolinea la non conoscibilità, la non

corrispondenza tra quello che è in superficie e quello che è nel profondo. Questi fenomeni

fanno sì che si spezzi la sensazione che la realtà sia conoscibile e modificabile in modo

lineare, governata totalmente da principi di causa-effetto facilmente conoscibili.

La psiche umana è divisa tra conscio e inconscio, io e super-io ed i sogni rivelano,

secondo Freud, quanto la modalità razionale non riesca a comprendere tutto l’esistente. La

scienza, inoltre, soprattutto dopo Einstein, sostiene la non esaustività della geometria

euclidea; esistono molti piani di realtà rispetto a quelli che percepiamo immediatamente.

Altro polo importante, anche se minore rispetto agli altri, è la filosofia di Bergson,

fondamentale per Proust, un tipo di filosofia che privilegia l’intuizione. Questo pensiero

sottolinea come la comprensione della realtà possa avvenire attraverso l’intuizione, e come

la conoscenza attraverso procedimenti puramente logici, matematici e razionali sia

incompleta.

Conseguentemente, il romanzo modernista si propone di riprodurre questa

difficoltà di conoscere, e di mostrare, attraverso l’ottica dei personaggi, una visione della

realtà più complessa, più spezzata, meno facilmente interpretabile.

To the Lighthouse, per esempio, è un testo in cui ogni pagina è elaborata per

dimostrarci la difficoltà di interpretazione, l’imprendibilità del reale. Ogni personaggio

vede gli altri personaggi attraverso un filtro prodotto dalla propria psiche e quasi in ogni

frase si evidenzia la difficoltà di capire la mente dell’altro.

Questo è un discorso che era incominciato già con Henry James, il quale ha

abbandonato la soluzione del narratore onnisciente di marca ottocentesca per costruire i

suoi romanzi attraverso i punti di vista dei suoi personaggi: punti di vista che sono diversi

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fra loro e spesso contrastanti, per dimostrare attraverso questi la inspiegabilità del reale,

costruendo un mosaico a cui ogni personaggio contribuisce con la sua visione della realtà.

E’ come se nei testi degli autori modernisti avessimo delle sezioni del mondo reale,

percepite dai vari personaggi, che non conoscono la realtà degli altri e indagano su di essa.

“MODERN FICTION”

Il saggio del 1919 “Modern Fiction” della Woolf è stato interpretato come il

manifesto del modernismo (anche se ne erano stati prodotti altri su questa linea).

Virginia Woolf sostiene appassionatamente quanto sia necessario produrre testi che

mostrino il nostro mondo nella sua complessità, attraverso un tipo di scrittura che indaghi

gli aspetti della realtà profonda (ad esempio “the dark places of psychology”, come scrive

l’autrice) e che dia atto di questo nuovo bisogno, della sensazione che la realtà da

descrivere sia una realtà della mente, una realtà frantumata, imprendibile: la realtà del

pensiero umano, del dubbio, della psiche, dei movimenti nascosti dell’animo umano.

La cosa che noi cerchiamo, scrive la Woolf, si chiami spirito o verità, è qualcosa di

enorme, è l’interiorità, l’essenza delle cose. Questa cosa, che è la cosa essenziale, si è

allontanata, ci è sfuggita e si rifiuta di essere legata alla concretezza di una descrizione

puramente esteriore.

La Woolf ritiene che sia necessario far cadere l’accento prevalentemente sulla

memoria, sul pensiero.

Il compito del romanziere è trasmettere “questo spirito sconosciuto e non

circoscritto”, e registrare il pensiero nel modo in cui opera, per quanto sconnesso e

incoerente possa apparire, raccogliendo ogni cosa che accade e che incide sulla coscienza.

La Woolf scrive realizzando una divisione provocatoria fra autori che definisce

“materialisti” (come Arnold Bennett, John Galsworthy e H.G. Wells), che tendono a

rappresentare soprattutto la realtà esteriore e sociale, e autori “spirituali”, o “spiritualisti”,

che sono interessati al mondo esterno, ma che cercano di cogliere soprattutto quel

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qualcosa di ineffabile (il pensiero, la memoria), che per la Woolf è quella cosa

fondamentale che ai “materialisti” sfugge: lo spirito, la vita.

Joyce, autore “spirituale” secondo la Woolf (nonostante, notiamo noi, il suo

profondo interesse per ogni aspetto della vita, inclusa la carnalità e la sensualità) cerca di

rilevare a tutti i costi lo scintillio della fiamma interiore che manda i suoi messaggi al

cervello, e trascura con coraggio totale qualunque cosa gli sembri secondaria, sia che si

tratti della “probabilità, verosimiglianza, coerenza, o di uno qualsiasi dei cartelli

indicatori”, che per generazioni sono serviti a sostenere l’immaginazione del lettore,

quando doveva immaginare qualcosa che non poteva né vedere né toccare.

Si rivendica la libertà di chi scrive anche in opposizione al passato; secondo la

Woolf non ci sono limiti all’orizzonte dell’autore; nulla, “nessun metodo o esperimento è

proibito; soltanto la falsità e la finzione”.

Una materia che sia esclusivamente adatta al romanzo non esiste, “ogni cosa è

materia adatta al romanzo, ogni sensazione, ogni pensiero, ogni qualità del cervello e dello

spirito”. L’arte del romanzo deve diventare viva ed essere viva in mezzo a noi; occorre

“romperla, piegarla, maltrattarla, oltre che onorarla ed amarla, perché così la sua

giovinezza è rinnovata e la sua sovranità è assicurata”.

IL DISCORSO DELL’EPIFANIA

Gli autori modernisti si occupano del movimento del pensiero, quindi si ha la

sensazione che possa esserci una pura tensione all’incorporeo, al mentale, ma non è così.

La Woolf più di altri ha un interesse per il pensiero, mentre Joyce ha un interesse concreto

per la carnalità e la fisicità. Il pensiero è uno dei temi del testo, ma non prescinde e non si

allontana dalla percezione della realtà.

Negli scritti della Woolf la presenza del reale è resa attraverso un’impressione di

tipo pittorico e questo si vede in particolare nell’uso dei colori e di termini come visione,

spirito, luce, aloni luminosi. E’ come se le immagini prendessero improvvisamente una

significatività assoluta.
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Questo tipo di procedimento è quello che Joyce codifica come epifania. L’epifania è

manifestazione: dal greco apparire, manifestarsi. Un oggetto manifesta alla percezione la

sua essenza, tutt’altro che astratta. La significatività degli oggetti è una cosa di cui ci

rendiamo conto in stati particolari del nostro animo: come quando siamo innamorati, si è

detto a lezione per darci una chiave per capire il fenomeno. Quando si guarda un

paesaggio nello stato di innamoramento si ha una sensazione magnifica, perché il

sentimento che stiamo provando a sua volta incide sulla nostra visione della realtà. C’è

un’improvvisa significatività delle cose che ci circondano, ci accorgiamo di altre mai

osservate prima. Le sensazioni forti non sono connesse all’importanza dell’oggetto, non

necessariamente alla sua bellezza, ma sono connesse al fatto che noi percepiamo

improvvisamente la sua essenza.

Sia Joyce che la Woolf mostrano il manifestarsi del pensiero in questa

rappresentazione, che non avviene quasi mai in modo tranquillo e tradizionale. Davanti

all’emozione o reazione del personaggio passano improvvisamente queste immagini come

in un quadro impressionista e così vengono accolte.

TO THE LIGHTHOUSE

In questo testo la protagonista Mrs Ramsey è colei che dà sostegno e calore ad un

personaggio tutto sommato sterile, il marito Mr Ramsay.

Il romanzo ha una radice autobiografica, anche se ha una sua autonomia rispetto

alla vita dell’autrice. Modelli delle figure dei protagonisti sono la madre e il padre

dell’autrice: Mrs Ramsey (affascinante, bellissima), e Mr Ramsey, (intellettuale, duro,

bisognoso di un sostegno femminile che lo incoraggi nella sua ricerca filosofica).

Mrs Ramsay ha un contraltare da un lato nelle figlie, che progettano una vita

diversa da quella di lei, e soprattutto nel personaggio di Lily Briscoe, che rappresenta

quello che la Woolf da un lato desidera e dall’altro teme di essere.

Alla figura splendida e giunonica di Mrs. Ramsay è contrapposta questa figura

piccolina e fragile, nubile, bruttina. C’è quindi la contrapposizione perturbata e

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problematica di una figura femminile, che cerca di realizzarsi attraverso la sua opera e in

qualche modo teme di dover combattere contro la non realizzazione in altri campi, e

questa figura materna, positiva, che riesce a creare ricchezza nei personaggi che la

circondano.

Traspare da un lato il dolore, nella Woolf, di essere così diversa da un personaggio

fascinoso e ricco come quello della madre; dall’altro il desiderio della propria

individualità, della possibilità di effettuare la propria esclusiva ricerca. La Briscoe, giovane

pittrice, si concentra sul suo piccolo tentativo di creare qualcosa.

In To the Lighthouse c’è pochissimo dialogo e moltissima riflessione interiore. La

Woolf vuole darci il senso della difficoltà della comprensione della realtà attraverso

interruzioni del discorso logico e lineare, un procedimento analogo a quello che

ritroviamo nello Ulysses di Joyce e in The Waste Land di T. S. Eliot.

La costruzione delle lunghissime frasi è un tentativo di mostrare la connessione delle

cose, di un pensiero con l’altro, del pensiero con il paesaggio, dell’uomo con il paesaggio.

Tra l’altro questi impeti e queste emozioni appartengono alla stessa Woolf. La

scrittrice aveva una personalità molto forte, aveva una malattia nervosa molto grave, che

poi la portò al suicidio, aveva momenti di follia, una sensibilità esasperata, che le

procuravano gioie molto intense e grandi spaventi.

Sotto l’aspetto psicologico è leggibile un rapporto problematico dell’autrice con la

figura maschile.

L’autrice vuole farci percepire anche qualcosa che abitualmente non appare in un

romanzo più tradizionale, come ad esempio il freudiano complesso di Edipo. Il bambino

James adora la madre ed ha un rapporto conflittuale con il padre, con reazioni violente

tanto che a tratti, nell’intimo, desidera quasi ucciderlo.

Il padre rappresenta per il figlio un’immagine di uomo inflessibile, che non cede al

compromesso, che tiene alla verità, al di là di ogni possibile ammorbidimento o al di là

della capacità di mediare con i sentimenti degli altri.

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ATTENZIONE

Non sono state prodotte dispense sulla lettura in dettaglio di To the Lighthouse. Per

effettuarla, tenere presenti, oltre agli appunti sopra riportati:

• Il saggio di Auerbach, che distingue fra biografia esteriore, più frequente nei testi

ottocenteschi, e biografia interiore; riflettere sul fatto che l’analisi psicologica non è

assente nei testi ottocenteschi (vedi ad esempio i romanzi di George Eliot), ma è

comunicata in modo più lineare, più razionale;

• Il concetto di metanarrativa: sono spesso presenti nei testi modernisti personaggi

autoriali, come in To the Lighthouse Lily Briscoe, la cui vita è impegnata a realizzare

nel quadro “la sua visione” (vedi le parole conclusive del testo, “I’ve had my

vision”), come Woolf fa nella scrittura.

• Entrambe cercano qualcosa di non tradizionale, di nuovo, da trovare e inventare;

per Lily Briscoe si tratta di una pittura probabilmente astratta (l’“Acquerello

astratto” di Kandinskij è stato dipinto nel 1910). Vedere bene, nel testo, il momento

in cui Lily parla con Mr Bankes dicendo che una madre e un figlio possono essere

trasformati in campiture di colore “senza irriverenza”.

• Vedere bene anche la divisione in tre parti del testo, e notare come la seconda, Time

Passes, sia brevissima ma contenga molti avvenimenti concreti (quali?) che in un

romanzo tradizionale sarebbero al centro di un testo; l’accento, come Woolf

proponeva in “Modern Fiction”, “falls differently” da come avveniva nel passato;

• Oltre alla famosa scena del “calzerotto marrone”, riflettere bene sulla lunghissima

scena del pranzo: come si organizzano i pensieri da un lato, il dialogo (superficiale e

molto breve) dall’altro? Qual è il rapporto fra Lily Briscoe e Mr Tansley? Perché Mrs

Ramsey tiene tanto a che Lily Briscoe parli con Mr Tansley? Cosa sta cercando di

realizzare?

• Riflettere sulla definizione che Mrs Ramsey fa di quel momento felice, realizzato

nella piccola artisticità della sua vita, quando parla di un momento che rimane “like

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a ruby”: perché questo paragone? “Il rubino”, denso e prezioso, si oppone al fluire

incongruo e doloroso della vita e delle perdite che questa comporta.

• Parte III: controllare, leggendo bene il testo, se tra James e il padre esista un

complesso di Edipo semplice e lineare, o se il loro rapporto sia più complesso e

ricco di sentimenti anche positivi.

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A PORTRAIT OF THE ARTIST AS A YOUNG MAN

Andranno poi lette con cura in inglese le seguenti parti:

Cap. I: le prime tre pagine fino a “– Goodbye, Stephen, goodbye”.

Cap. IV: il finale, le ultime 6 pagine circa da “But he, apart from them and in

silence, remembered in what dread he stood of the mystery of his own body.

- Stephanos Dedalos! Bous Stephanoumenos!...” Fino alla fine del capitolo.

Cap. V: Intorno alla venticinquesima pagina dopo la canzone in corsivo “Lottie

Collins lost her drawers; … Yours?” 7 pagine circa fino a “Ireland is the old sow that eats her

farrow.”

Circa 18 pagine dopo, prima dell’inno “Our broken cries and mournful lays…”, notare

la frase “A priest of the eternal imagination, transmuting the daily bread of experience into

the radiant body of everliving life.”

E infine le ultime 16-17 pagine del testo, a partire dal dialogo: “– Cranly, I had an

unpleasant quarrel this evening.” fino all’ultima pagina (“Old father, old artificer, stand

me now and ever in good stead.”)

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L’opera viene considerata una sorta di autobiografia: ci sono fortissimi elementi

della vita di Joyce, sebbene la corrispondenza tra autore e personaggio non vada

considerata come una costante, né come unico punto di vista.

Stephen Hero è la prima versione abbozzata del testo; con il tempo viene elaborata la

stesura definitiva.

Il Portrait fa parte di una specie di trilogia, composta appunto da Stephen Hero, dal

Portrait stesso e dallo Ulysses; qui saranno presenti il giovane Stephen, Leopold Bloom e

Molly Bloom (gli ultimi due personaggi dello Ulysses).

Per quanto riguarda il genere, evidente è l’abbandono del narratore onnisciente e i

personaggi sono raccontati in modo diverso da come avveniva nelle tradizioni letterarie

precedenti. È un testo modernista, ma lo stream of consciousness vi si ritrova solo in

maniera accennata. Nello Ulysses è molto più accentuato.

Il protagonista del Portrait, il giovane Stephen, racconta dell’Irlanda e del suo futuro

esilio verso l’Europa. C’è però una sorta di filtro ironico di Joyce (quando per esempio fa

parlare Stephen della sua “cruel loveless lust”). L’autore racconta le vicende della sua vita

attraverso Stephen (l’intento è quello di criticare l’educazione gesuita e il tormento che

crea nell’animo). Il Joyce adulto racconta se stesso da giovane ripercorrendo la sua

esistenza. Nell’opera viene narrata la vita dall’infanzia ai vent’anni circa.

Dublino era senza dubbio molto diversa da oggi; era ancora abbastanza provinciale,

c’era poco contatto con il resto d’Europa. Il cattolicesimo era estremamente repressivo. La

città ha forgiato l’anima di Joyce, ma l’esperienza è stata soffocante. Un sentimento

costante e ambivalente di odio e amore è presente anche nei Dubliners, opera nella quale

Joyce afferma di voler descrivere “quella città che è una paralisi chiamata Dublino”. Sente

il bisogno di emigrare per trovare altrove la propria patria intellettuale. L’esperienza

dell’artista va chiaramente riferita all’Irlanda del tempo; il paese era sempre stato oppresso

dall’Inghilterra. L’indipendenza viene raggiunta soltanto nel 1922, dopo carestie, lotte e

profonde sofferenze che hanno messo a dura prova il paese e i suoi abitanti.

Nella repubblica irlandese (oggi EIRE), il cattolicesimo era la religione di stato. La

Chiesa da un lato svolgeva una funzione fortemente oppressiva; dall’altro fungeva da


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elemento di forte identificazione culturale, in opposizione e in contrasto con l’Inghilterra

protestante. All’interno del Portrait, ad esempio, ci sono chiari rimandi a Parnell, abile

politico irlandese che ottenne dall’Inghilterra una serie di importanti risultati politici.

Parnell s’innamora di una donna sposata con cui ha una relazione. Viene scoperto e

sconfessato dalla Chiesa, che incita gli irlandesi a non seguirlo più. Nel paese si creano così

due partiti: coloro che continuano a sostenerlo e coloro che lo rinnegano. Il padre di

Stephen si schiera a favore di Parnell, il personaggio di Dante (la governante di casa

Dedalus) contro. Ed è proprio riferendosi a questa circostanza che Stephen, da adulto, dirà

che gli irlandesi hanno tradito tutti i loro eroi.

Le prime parole del Portrait sono quelle pronunciate da un bambino. I romanzi

ottocenteschi, come David Copperfield ad esempio, tendono ad essere autobiografie narrate

con la consapevolezza dell’adulto che giudica il bambino. Nell’opera di Joyce, invece,

manca tutto quello che può essere distacco. Il romanziere modernista finge di star dentro

la storia, quello vittoriano in qualche modo si pone al di sopra, propone una morale,

elabora giudizi sui valori. Nell’opera di Joyce non si allontana la materia della narrazione

per sottoporla a giudizio: questo aspetto rimane implicito. L’opera, quindi, ha inizio con

un bambino che parla. Proseguendo nella lettura del testo, si nota che il bambino cresce, e

parallelamente si modifica il registro linguistico. Stephen entra a far parte di una scuola di

gesuiti, poi passa ad un altro istituto.

All’interno del secondo capitolo si ritrova un elemento tipicamente modernista.

Viene detto: “It was the last tram”3. È un riferimento importante perché da qui parte la

storia d’amore mentale di Stephen con Emma, che condurrà alla fine del testo verso una

normalità amichevole. Quando Stephen ripensa a lei dieci anni dopo, inizia con le stesse

parole.

Verso la fine del IV capitolo c’è un altro momento importante: Stephen, come Joyce,

è un ottimo studente aristocratico che non si fonde molto con gli altri. In seguito alla sua

crisi e ai terribili sensi di colpa, Stephen, dopo aver ascoltato le parole di un predicatore, si

3James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man (1914-15), in The Egoist, London: Penguin Classics, 2000,
p.72.
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pente per aver peccato. Il giovane si immedesima così bene nel suo ruolo che gli chiedono

se abbia intenzione di diventare sacerdote.

Joyce è stato plasmato dal discorso religioso, nonostante si ribelli ad esso, ed

inserisce nel personaggio di Stephen la propria spiritualità per costruire la sua estetica; usa

la ricchezza religiosa per creare il suo modo di fare scrittura: è quello che nel testo definirà

“Applied Aquinas” . Nel IV capitolo, Stephen valuta se fare il sacerdote ma capisce che non

è la sua strada. Egli infatti rimane sempre “apart in every order”. Rifiuta la scuole, gli ordini,

è un individualista:

he was destined to learn his own wisdom apart from others or to learn the
wisdom of others himself, wandering among the snares of the world.4

In seguito Stephen si libera dalle sue paure e comincia ad avvicinarsi alla sua

autentica vocazione. Vede una ragazza sulla spiaggia di Howth (“a strange and beautiful

sea-bird”),5 che sta camminando sul bagnasciuga; ma non c’è tensione sessuale, il

riferimento è a quello che il poeta può aver voglia di cantare:

He would create proudly out of the freedom and power of his soul, as the
great artificer whose name he bore, a living thing, new and soaring and
beautiful, impalpable, imperishable.6

Si tratta di quella che Joyce definisce un’epifania. L’epifania è per lui qualcosa di molto

particolare, in cui i termini religiosi vengono utilizzati per esprimere la sua poetica. Si

tratta di manifestazioni del divino, momenti in cui la realtà contingente appare in tutta la

sua significatività.

Queste sono le parole con le quali lo stesso Joyce definisce l’epifania in Stephen Hero:

By an epiphany he meant a sudden spiritual manifestation, whether in the


vulgarity of speech or of gesture or in a memorable phase of the mind
itself. He believed that it was for the man of letters to record these

4 Ibidem, p. 175
5 Ibidem, p.185
6 Ibidem, p. 184

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epiphanies with extreme care, seeing that they themselves are the most
delicate and evanescent of moments.7

Il V capitolo vede la conversione di Stephen prendere forma. Il giovane rifiuta di

unirsi alla Chiesa di chi combatte per l’Irlanda. Decide che la sua strada è quella di essere

a priest of the eternal imagination, transmuting the daily bread of


experience into the radiant body of everliving life. 8

Joyce trasforma il pane quotidiano dell’esperienza nella religione dell’arte, cioè

riesce a trasformare il corpo reale della vita quotidiana in una sorta di metodo, di tecnica

per la sua estetica. Lo scrittore utilizza continuamente simboli e metafore di tipo religioso

per esprimere l’arte.

Verso la fine del testo c’è un dialogo tra Stephen e il suo amico Cranly. È qui che

Stephen decide di abbandonare Dublino, di lasciare quelle che vede come catene e di

andare verso la sua vocazione, quella del poeta. Stephen afferma: “I will not serve”9. È la

traduzione inglese di “Non serviam”. Cranly gli fa notare che già qualcun altro aveva

pronunciato queste parole, e il riferimento è a Lucifero.

Stephen rifiuta di conformarsi alla religione del suo paese e all’impegno del

patriottismo:

I will not serve that in which I no longer believe whether it call itself my
home, my fatherland or my church: and I will try to express myself in
some mode of life as freely as I can and as wholly as I can, using for my
defence the only arms I allow myself to use - silence, exile, and cunning.10

Si prepara alla partenza, all’esilio volontario. Ha scelto l’arte come impegno totale.

7James Joyce, Stephen Hero, 1944, London: England, Jonathan Cape Limited, 1961, p.186
8 Ibidem, p. 240
9 Ibidem, p. 260

10 Ibidem, pp. 268-269

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