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Divina Commedia -Introduzione

La Comedìa, conosciuta soprattutto come Commedia o Divina Commedia [1]


è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi
endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra
il 1304 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e
Romagna,[2] la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle
più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata
in tutto il mondo, è ritenuta da alcuni il più grande capolavoro
della letteratura di tutti i tempi.[3]

Il poema è diviso in tre parti,


chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali
composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto
proemiale). Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di
un Itinerarium Mentis in Deum[4], attraverso i tre regni ultraterreni che
lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione
immaginaria e allegorica dell’oltretomba cristiano è un culmine della visione
medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.
L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera
determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano
come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu
infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento
della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse
la pratica della chiosa e del commento al testo, dando vita a una tradizione
di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare
commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha
comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico. Oggi
si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio
Petrocchi.[5] Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate
da Antonio Lanza[6] e Federico Sanguineti.[7]
La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della
letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale,
linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è
profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli
studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica
della realtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.
Curioso notare come tutte le tre cantiche terminino con la parola "stelle".
("E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Inferno;
"Puro e disposto a salir a le stelle" - Purgatorio e
"L'amor che move il sole e l'altre stelle" - Paradiso).
Curiosa anche la creazione da parte del Poeta di neologismi come
"insusarsi", "inluiarsi", "inleiarsi"[8]

Titolo
Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal
greco κωμωδία (komodìa, composto di kòme, villaggio, e odé, canto;
letteralmente canto del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la
sua opera [Inferno XVI, 128] (Inferno XXI, 2). In seguito il titolo di
"divina" le venne dato da Boccaccio. Nell'Epistola (la cui paternità dantesca
non è del tutto certa) indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce
il titolo latino dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini
natione, non moribus.[9] In essa vengono introdotti due motivi per spiegare
il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome
di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio
difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto fine, e uno stilistico.
Infatti lo stile nonostante sia sublime, tratta anche tematiche turpi tipiche
di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti
più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità. Nel poema,
infatti, si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla "selva
oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione
finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti
in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione
letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per
eccellenza della cultura.
L'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Giovanni
Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il
periodo in cui si pensa sia stato cominciato il poema. La dizione Divina
Commedia, però, divenne comune solo dalla metà del Cinquecento in poi,
quando Ludovico Dolce, nella sua edizione veneziana del 1555, stampata da
Gabriele Giolito de' Ferrari, riprese il titolo boccacciano.
Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno
del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non
rinnega il titoloCommedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le
cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non
aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il
termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui
componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono
profondamente cambiati rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti
nell'ultimo canto, il sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro.
Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all'interno
della sua opera, contraddicendo se stesso ma anche le sue fonti, è molto più
vasto ed esteso.

Argomento
« Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,


esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è più morte;


ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,


tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 »
Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto
introduttivo (che serve da proemioall'intero poema), nel quale il poeta
Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale;
si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era
giunto poiché aveva smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che
Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di lussuria, che infatti
nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno grave tra i
peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta scorge un colle
illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi per avere più ampia visuale,
però, viene ostacolato da tre belve:
una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone, simbolo della superbia, e
una lupa, che rappresenta l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni
male. Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade all'indietro, lungo
il pendio.
Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui chiede aiuto.
Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle ed evitare le tre bestie
feroci, bisognerà intraprendere una strada diversa, più lunga e penosa,
attraverso il bene e il male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un
alquanto misterioso Veltro,[10] si presenta come l'inviato diBeatrice, la
donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale aveva
interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento dai peccati; Virgilio
e Beatrice sono in realtà due allegorie rispettivamente della ragione e
della teologia: il primo in quanto considerato il poeta più sapiente della
classicità, la seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata
da Dante nella Vita Nuova.
Dalla collina di Gerusalemme su cui si trova la selva, Virgilio condurrà Dante
attraverso l'Inferno e il Purgatorio perché attraverso questo viaggio la sua
anima possa risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice prenderà il
posto di Virgilio, sarà lei la guida di Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto
allegorico, rappresenta la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino
a Dio; è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa virtù. Virgilio
inoltre, non ha conosciuto Cristo, non è battezzato e perciò non gli è
consentito di avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente.

Inferno
Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel
precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al
viaggio che stanno per compiere). Dante e Virgilio si trovano sotto la città
di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi
celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne
speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il
suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna
andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno,
stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere
posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo
(Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel
secondo sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione consiste
nel correre nudi dietro ad una bandiera senza stemma ed essere
perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in là sulla riva
dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno provvisoriamente le anime
che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo
guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.
L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre
più stretti che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono
rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro
della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue
enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo
Inferno, ad ogni peccato, corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo
è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato,
maggiore sarà il numero del cerchio.
Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le
anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene;
vi si trovano anche - in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" -
gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere
umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro
entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo
guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio
infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena, avvolgendo la coda tante
volte quanti cerchi l'anima dovrà scendere. Superato Minosse, i due si
ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime
di Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia ed Achille. Celebri i versi del
quinto canto su Paolo e Francesca[11] che raccontano la loro storia e
passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo
cerchio, i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una
pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo
guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone,
stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per
l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del
cerchio.
Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige, nelle
fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e qui i protagonisti
hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti vengono traghettati sulla
riva opposta dalla barca di Flegias, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra
sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori consapevoli del
loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai
demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo
Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta
fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano all'interno
di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano
il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi
dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante dei Cavalcanti,
padre di Guido, amico di Dante.
Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo
uno scosceso burrone (l'alta ripa), alla fine del quale si trova il terzo fiume
infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri.
Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio.
Vi sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi ilMinotauro, ucciso
da Teseo con l'aiuto di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo
girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del
centauro Nesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi trasformati
in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie; tra loro
troviamo Pier della Vigna); nel secondo girone stanno anche gli
scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una
landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella Natura e
nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto
Latini, maestro di Dante, quando il poeta era giovane) e gli usurai. A
quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto
XVII.
Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio, scendono per
un burrato (burrone) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto
umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così
raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori
in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un
fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e
digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle
bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci,
indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti - tra
cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia (Maometto) e i falsari.
Ulisse racconta ai due viandanti il suo ultimo viaggio; qui si vede che Dante
non era a conoscenza della predizione di Tiresia sulla morte di Ulisse e
perciò ne inventa la fine in un gorgo marino al di là delle Colonne d'Ercole,
simbolo per Dante della ragione e dei limiti del mondo. Tra i falsari, nella
decima bolgia, troviamo il "folletto" Gianni Schicchi; infine i due accedono
al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in chi si fida.
Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate della
ghiaccia di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che
uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella
seconda, Antenora (dal nome Antenore, il troiano che consegnò il Palladio ai
nemici greci), stanno i peccatori come lui, traditori della patria; nella
terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece
uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella
quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti
i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino
della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della Muda
con i figli e la loro morte per fame, segregazione e morte volute
dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato
che come undemone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo
aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi
traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda
Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche
di Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a
suggello della maggiore gravità del proprio tradimento.
Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta
e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero
e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano
quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio,
alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

Purgatorio
Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si
ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente
ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del
Purgatorio, creata con la terra che servì a scavare il baratro dell'Inferno,
quando Lucifero fu buttato fuori dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio.
Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone
Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo
cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da
scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più
vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che
hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti
dell'antipurgatorio Dante incontraManfredi di Sicilia. Assieme a coloro che
tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi
negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a
permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della
valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio,
chiede indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano
della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due
fino alla porta del Purgatorio.
Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due
varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in
mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduto
da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il
terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e
appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante,
poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che
aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo
regno.
Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano la loro
inclinazione al peccato per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al
contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero
del cerchio, qui alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro
che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al
Paradiso terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in
eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano una pena
pari ai peccati commessi durante la vita.
Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli
invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli
avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima
di Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante
riteneva Stazio convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita
di eccessiva prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento
anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al
Paradiso, si offre di accompagnare i due fino alla sommità del monte,
attraverso le cornici sesta, dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono
magrissimi, e settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante
ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue opere, che
hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli, infatti, grazie all 'Eneide e alle
Bucoliche ha capito l'importanza della fede cristiana e l'errore del vizio
della prodigalità: come un lampadoforo, Virgilio ha fatto luce a Stazio
rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta
inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo solo
ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per
l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare
un muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al
Paradiso terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti
qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato,
Virgilio e Dante si devono congedare, poiché il poeta latino non è degno di
guidare il toscano fin nel Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.
Quindi Dante s'imbatte in Matelda, la personificazione della felicità
perfetta, precedente al peccato originale, che gli mostra i due fiumi Lete,
che fa dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene
compiuto, e si offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco
dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere
senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio
maestro Virgilio che ormai non c'è più. Dopo avere bevuto prima le acque
del Lete e poi dell'Eunoè, infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed
ultimo regno: il Paradiso.

Paradiso
Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, al cui centro sta la Terra;
in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più
vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. Ma le anime del Paradiso
non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di
quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello
che si ha; Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri
inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione
a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere
il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.
Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti
(Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra
fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino
(Arcangeli); nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti
amanti (Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà);
nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militantidei combattenti per la fede
(Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti
giusti (Dominazioni)
Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti
contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto
finora; il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio,
sarebbe per Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In
questo cielo risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza
Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma
nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della
Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il
poeta osserva il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra,
piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di
proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede, Speranza,
Carità, da parte di tre esaminatori particolari: San Pietro, San Giacomo e
San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice
assurgono al nono cielo, il Primo Mobile o Cristallino, il cielo più esterno,
origine del movimento e del tempo universale (Serafini).
In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo,
contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto,
spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per
quantità di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove
si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino
più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei
beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre
Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e
inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca.
Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di
Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio)
aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione
del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e
vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto
nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante
vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha
immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di
Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo
intelletto viene meno, ma in un excessus mentis[12] la sua anima è presa da
un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di
Dio, dell’ amor che move il sole e l'altre stelle.

Data de composizione
Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna delle
cantiche della Commedia e gli studiosi hanno formulato ipotesi anche
contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In linea di massima
la critica odierna colloca:
L'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio 1304-1305 oppure in quello
1306-1307, in ogni caso dopo l'esilio (1302) mentre il poeta si trovava
in Lunigiana. Salvo l'eccezione del riferimento al papato di Clemente
V (1305-1314), spesso indicato come un possibile ritocco post-conclusione,
non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il 1309. Al 1317 risale la prima
menzione in un documento (un registro di atti bolognese, sulla cui copertina
era trascritta un'intera terzina dell'Inferno, i versi 95-96 del Canto III,
con il celebre "Vuolsi così colà dove si puote..."), mentre i manoscritti più
antichi che ci sono pervenuti risalgono al 1330 circa, una decina di anni dopo
la morte di Dante.
La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte
dell'Inferno e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il
1313. Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-1316.
Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta.
Non ci è pervenuta nessuna firma autografa di Dante, ma sono conservati
tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni
Boccaccio, il quale non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a
loro volta copiati. Si deve anche immaginare che Dante si spostò molto in
vita per via dell'esilio, quindi non potendo portarsi dietro molte carte è
probabile che i manoscritti originali si disperdessero sin dalle prime
diffusioni.

Struttura
La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale
di cento canti: la prima cantica (Inferno) è di 34 canti (33 hanno argomento
l'Inferno; uno, il primo, èproemio all'opera intera), le altre due
cantiche, Purgatorio e Paradiso, sono di 33 canti ciascuna. Il primo canto
dell'Inferno viene considerato un prologo a tutta l'opera: in questo modo si
ha un canto iniziale più 33 canti per ciascuna cantica, con un chiaro
riferimento numerico alla Trinità.
Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate[13] di versi endecasillabi. La
lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160;
l'intera opera conta complessivamente 14.233 versi. La Divina Commedia è
dunque superiore in lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia
all'Odissea omerica (12.100 esametri), ma più breve
dell'Iliade omerica (15.683 esametri). In ogni caso, se altre opere, anche
molto più lunghe, sono state composte dalla tradizione e dai vari poeti che
nel tempo le hanno ampliate ed arricchite, la Divina Commedia è un'opera
straordinaria perché frutto dell'intelletto di un solo uomo, autore di tutti
e 14.233 i versi.
La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana
medievale, arricchita da una straordinaria creatività immaginativa.

Struttura cosmologica
La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la
rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale.[14] Il viaggio
all'Inferno e nel monte del Purgatoriorappresentano infatti
l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera, dalle sue
profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una
rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.
L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma
conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno
di terre e l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle
terre inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue
schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva
il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della
semisfera occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico.
Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si
ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre
fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In
cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico,
il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si vede, Dante riprende dalla
concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica, ma le sovrappone un
universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria sferica. Alla
sfericità della Terra, infatti, non corrisponde una simmetria generale nella
distribuzione delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni
passanti per il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per
Gerusalemme e per la montagna del Purgatorio ha un ruolo privilegiato, il
che richiama le concezioni della Grecia arcaica, ad esempio
di Anassimandro.
Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata
all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e risistemata dai teologici
cristiani secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento
celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del
cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende il Pleroma
infinito (Empireo) in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto
con la visione di Dio. Ai nove cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori
angelici che, col loro movimento circolare intorno all'immagine di Dio,
provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è
preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta
dalla Metafisica di Aristotele.
La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla
struttura dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al
loro interno, l'ordine delle anime (ovvero delle pene e delle grazie),
corrisponde a precisi intendimenti di ordine morale e teologico.
In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi:
Un ampio vestibolo o Antinferno, dove vengono puniti coloro che nessuno
vuole, né Dio né il demonio: gli ignavi.
Il fiume Acheronte, che separa il vestibolo dall'inferno vero e proprio.
Una prima sezione costituita dal Limbo, immerso in una tenebra perenne.
Una serie di cerchi meno scoscesi in cui patiscono i peccatori incontinenti.
La città infuocata di Dite, le cui mura circondano la voragine finale.
Il cerchio dei violenti in cui scorre il fiume sanguigno del Flegetonte.
Un burrone scosceso, che dà all'ottavo cerchio, chiamato Malebolge: il
cerchio dei fraudolenti.
Il pozzo dei Giganti.
Il lago ghiacciato di Cocito, dove sono immersi i traditori.
La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio,
costituito da una spiaggia, su cui vengono traghettate le anime dall'angelo
nocchiero che le preleva alla foce del Tevere, e da una valletta fiorita;
specularmente all'Inferno, in essa attendono di iniziare la loro purificazione
i negligenti, i tardi cioè a pentirsi. Il purgatorio vero e proprio è un monte
scosceso, formato da ampi dirupi e cerchirocciosi, a ciascuno dei quali è
preposto un angelo guardiano. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre,
che ha l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.
I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico
- Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno - più il cielo delle
Stelle fisse e del Primo Mobile.

Struttura dottrinale
La struttura dottrinale coincide con l'impianto teologico-filosofico proprio
della poetica di Dante. La complessità degli schemi adottati dal poeta
richiede che la materia venga trattata in apposite voci di approfondimento.
Struttura dell'Inferno
Struttura del Purgatorio
Struttura del Paradiso

Cronologia
Le date in cui Dante fa svolgere l'azione della Commedia si ricavano dalle
indicazioni disseminate in diversi passi del poema.
Il riferimento principale è Inferno XXI, 112-114: in quel momento sono le
sette del mattino del Sabato Santo del 1300, 9 aprile[15] o, secondo altri
commentatori, del 26 marzo del 1300.[16] L'anno è confermato
da Purgatorio II, 98-99, che fa riferimento al Giubileo in corso. Tenendo
questo punto fermo, in base agli altri riferimenti si ottiene che:
alla mattina dell'8 aprile (Venerdì Santo) o del 25 marzo, Dante esce dalla
"selva oscura" e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre
fiere e incontra Virgilio.
al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell'Inferno, che dura circa
24 ore[17] e termina quindi al tramonto del 9 aprile o del 26 marzo. Nel
superare il centro della Terra, però, i due poeti passano al "fuso orario" del
Purgatorio (12 ore di differenza da Gerusalemme[18] e 9 ore dall'Italia),
per cui è mattina quando essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il
giorno successivo.
all'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) o del 27 marzo, Dante e Virgilio
iniziano la visita del Purgatorio, che dura tre giorni e tre notti:[19] all'alba
del quarto giorno, 13 aprile o 30 marzo, Dante entra nel Paradiso Terrestre
e vi trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice.
a mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo. Da qui in avanti non vi sono
più indicazioni di tempo, salvo che nel cielo delle stelle fisse trascorrono
circa sei ore (ParadisoXXVII, 79-81). Considerando un tempo simile anche
per gli altri cieli, si ottiene che la visita del Paradiso duri due-tre giorni.
L'azione terminerebbe quindi il 15 aprile o il 1º aprile.
Quindi con un tempo totale stimato in sette giorni di viaggio.

Tematiche e contenuti
Personale universale (redenzione dell'umanità)
Autobiografico: redenzione dell'anima del poeta dopo il periodo di
traviamento (selva oscura)
Redenzione politica: l'umanità con la guida della ragione (Virgilio) e
dell'impero raggiunge la felicità naturale (Paradiso terrestre = giustizia e
pace)
Redenzione religiosa: con la guida della Teologia (Beatrice), e della fede
(San Bernardo) si arriva alla felicità ultraterrena (Paradiso)
Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto
universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini.
Leggendo, infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio
dantesco purificandosi anch'esso dai sette vizi capitali.
Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una
rappresentazione nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In
Dante è presente un modo nuovo e disincantato di percepire la storia: il
racconto storico abbraccia il corso dei secoli con la storia dell'Impero
romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra guelfi bianchi e neri, una larga
considerazione prospettica della storia della Chiesa e della storia
contemporanea del Papato.
L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo
valore prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche e visive si
succedono.
Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un
intreccio di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre
da un riferimento personale ed è, non di rado, attratta nell'orbita
drammatica della rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore soggettivo,
il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche
la vicenda personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli
avvenimenti che narra. Dante è sempre attore e giudice.
Il poeta ci presenta l'uomo nella sua complessità e ne mostra il rapporto
con Dio, alla luce della tradizione ebraico-cristiana la quale si innestava su
quella classica, greca e latina.[20]
La profezia religiosa e politica si sviluppa su un terreno di esperienze
personali, dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante
sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni
vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo
vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi
ben precisi: una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione
dell'Impero, la fine delle lotte civili nelle città.
L'allegoria e la concezione figurale sono il fondamento del poema ed il segno
più scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un
lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato
della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il
costante riferimento al sopramondo attesta la subordinazione medievale di
ogni realtà a un fine morale e religioso. Siffatta subordinazione è rigida e
imperante e nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo
stile ereditati dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.
I sesti canti del poema sono di contenuto politico, secondo una visione che
si amplia da Firenze (Ciacco, Inferno), all'Italia (Sordello da
Goito, Purgatorio), all' impero (Giustiniano, Paradiso). Nell'Inferno è
presente un dialogo fra Dante e Ciacco in cui viene condannata la
decadenza morale e civile di Firenze ("superbia, invidia e avarizia sono/ le
tre faville c'hanno i cuori accesi"; Inf. VI, vv.74-75). Nel Purgatorio è
Dante stesso che affronta la tematica politica. Il poeta, in veste di autore,
in una digressione deplora gli imperatori germanici suoi contemporanei
poiché non si occupano più del "giardino dell'impero" ("giardin de lo imperio";
Purg. VI, v. 105), cioè dell' Italia ("Che val perché ti racconciasse il freno /
Iustinïano, se la sella è vòta?"; Purg. VI, vv.88-89). Nel Paradiso la tematica
è quella della legittimità dell'impero universale, istituzione voluta dalla
Provvidenza, garante di pace e di giustizia, ed è affidata
all'imperatore bizantino Giustiniano, personaggio fondamentale della storia
antica, colui che aveva riordinato le leggi romane (Corpus iuris civilis)
consentendo la loro trasmissione alle epoche successive. Quindi sia i guelfi,
simpatizzanti per la monarchia francese (i gigli gialli; Par. VI, v. 100),
opponendosi all'impero, sia i ghibellini, che strumentalizzano il pubblico
segno per interessi privati e particolari, sono in errore ed ostacolano i
disegni della Provvidenza. Il pensiero politico del poeta ruota perciò attorno
alle istituzioni del Papato e dell'Impero e alle loro funzioni, motivi già
trattati nel Convivio e nel De Monarchia.[21]
Dal punto di vista filosofico Aristotele è "il maestro di color che sanno"
(Inferno, IV,131), il cui pensiero, ripreso e interpretato in
chiave cristiana da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, è fondamentale
nella filosofia dantesca. "Un peso maggiore sulla base dottrinale
della Commedia lo assume il neoplatonismo, soprattutto perché in esso,
soprattutto ad opera dei Padri della Chiesa alessandrini (per
esempio Origene, III secolo) e dello stesso Pseudo-Dionigi l'Areopagita (V
secolo) si fusero concezioni cristiane e platoniche sulla base di un criterio
sincretistico. A questo proposito va notato che la disposizione e la struttura
stessa di Inferno e Paradiso risentono in modo determinante delle
dottrineneoplatoniche: Satana è collocato nel punto del cosmo più lontano
da Dio ed è caratterizzato dalla brutalità meccanica tipica delle creature
che costituiscono l'ultimo gradino della scala degli esseri, in cui prevale la
materia.
Quanto al criterio complementare, fatto proprio da figure fondamentali
come sant' Agostino che considera l'influsso divino in termini di
irradiazione di luce, esso è assunto da Dante come grande sistema di
collegamento della terza cantica, accogliendo le suggestioni che erano
venute dalla metafisica della luce, elaborata in particolare dalla Scuola di
Chartres (XII secolo) e dal teologo inglese Roberto Grossatesta (XIII
secolo) nonché da san Tommaso e san Bonaventura. Quanto all' ordine delle
gerarchie angeliche, Dante abbandona la proposta di Gregorio Magno (VI
secolo), le cui dottrine aveva utilizzato nella sistemazione delle pene
purgatoriali, per passare alla Gerarchia celeste dello Pseudo-Dionigi, a
conferma della importanza strutturale della
cultura neoplatonica della Commedia".[22][23][24]
Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia.[25][26] Il profetismo
era largamente diffuso ai tempi del poeta, come del resto lo fu durante
tutto il Medioevo ed era caratterizzato da un'attesa escatologica. Inoltre
nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, segno di una volontà
di rinnovamento spirituale. Nel XII secolo, in un clima di rinnovamento
spirituale, il profetismo si sviluppò in due principali direzioni: una, legata ad
un diretto contatto con Dio da ricondurre alla monaca
benedettina Ildegarda di Bingen ed alle sue "visioni"; l'altra, che ebbe il suo
maggior esponente in san Bernardo di Chiaravalle, avente come base l'esame
della complessa realtà del proprio tempo con il fine di apportarvi
miglioramenti dettati dalla carità.[27] "Ad alimentare questo clima di
attesa e di speranze contribuì inoltre il commento all'Apocalisse del
francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu, 1248-1298), le cui idee
Dante conobbe frequentando a Firenze la scuola conventuale francescana
di Santa Croce, dove conobbe anche uno dei suoi più ferventi discepoli,
Ubertino da Casale (1259 - 1330 circa). Proprio nel 1300 Dante colloca il
suo viaggio nell'oltretomba, non a caso strutturato in forma di visione,
attraverso cui denunciare agli uomini i mali del mondo e della Chiesa e
indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a tutti gli uomini quale
fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento dello spirito. Il
profetismo della Commedia, oltre che richiamarsi in generale alla Bibbia ha
radici nel gioachimismo, col quale condivide la visione di una profonda
decadenza dei valori e della corruzione della Chiesa, identificata con la
prostituta dell'Apocalisse (Purg. XXXII, 160), e l'esigenza di combatterle
nella speranza di un rinnovamento. Garanzia di tale speranza sono la gravità
del dolore sopportato da coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e la
promessa di Cristo stesso di non abbandonarli, nonché la certezza, basata
sull'Apocalisse, della sconfitta finale dei malvagi. Dante ritiene infatti non
lontana la fine dei tempi, se gli scanni della candida rosa sono sì ripieni, /
che poca gente più ci si disira(Par. XXX 131 - 132). Come Gioacchino da
Fiore e la linea spirituale del francescanesimo, anche a Dante, nel suo
messaggio profetico, prospetta l'ideale di una Chiesa povera e aderente ai
princìpi evangelici, che dopo Cristo è stato sostenuto solo da San Francesco,
ritenuto per questo da Dante un secondo Cristo (v. Paradiso XI), iniziatore
di una svolta decisiva nella storia cristiana. Mentre però il gioachimismo
identificava nell'Ordine francescano l'artefice del processo di redenzione,
Dante se ne distacca, escludendo che il rinnovamento potesse scaturire
dall'interno della Chiesa. Egli basa invece il proprio messaggio profetico
sul veltro (Inferno I, 101), ossia un riformatore laico voluto da Dio
(identificabile con l'imperatore), unica forza in grado di realizzare il piano
provvidenziale svelato a Dante nell'oltretomba".[28]
In varie occasioni alcuni personaggi incontrati da Dante durante il suo
viaggio oltremondano, grazie alla loro capacità di prevedere il futuro,
preannunciano al poeta il suo esilio. Il primo che pronuncia contro Dante
"parole gravi" è Farinata degli Uberti (Inferno X, 79 e ss.);
seguono Brunetto Latini (Inferno XV, 61 e ss.), Vanni Fucci (Inferno XXIV,
133-151),Corrado Malaspina (Purgatorio VIII, 133 e ss.), Oderisi da Gubbio
(Purgatorio XI, 139 e ss.) e infine Cacciaguida nel Paradiso (canto XVII).
Il ricorso alla profezia consente a Dante-personaggio (agens) anche di
anticipare narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore
(auctor) vede dispiegarsi sotto i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque
disseminate molte profezie post-eventum, che riguardano fatti della
biografia dell'autore (l'esilio) o collettivi (per esempio il trasferimento
della sede papale ad Avignone ad opera di Papa Clemente V sotto la
pressione dei sovrani di Francia. Tuttavia il messaggio di Dante riguarda
anche un misterioso piano provvidenziale, personificato
dall'enigmatico veltro, che interverrebbe a punire i responsabili della
corruzione morale, come la curia papale e il re di Francia.[29][30] I vari
commenti sull' Apocalisse fioriti nel Medioevo influirono notevolmente
sull'atteggiamento profetico di Dante nel suo poema. La prima linea di
sviluppo di tali commenti è molto attenta all'interpretazione letterale del
testo e mira ad una interpretazione in senso morale (san Girolamo, Beda il
Venerabile, Riccardo di San Vittore, Alberto Magno). La seconda linea si
basa su un'interpretazione allegorica e tende a vedere rappresentata nel
testo apocalittico una successione storica delle vicende della Chiesa.
Questa linea interpretativa ha i suoi maggiori esponenti in Gioacchino da
Fiore e Pietro di Giovanni Olivi, i cui commenti probabilmente influenzarono
molto Dante. Dante si riferisce a san Giovanni e all'Apocalisse nell'Inferno
(XIX, 106-111) e nel Paradiso (XXXII, 127-128). Nella processione mistica
del Paradiso terrestre (Purgatorio, XXIX) vari elementi sono ripresi dal
testo di san Giovanni (i sette candelabri, i ventiquattro seniori, i quattro
animali, il drago, ecc.) ed il libro dell'Apocalisse viene rappresentato
simbolicamente come un vecchio solo, che avanza dormendo, con la faccia
arguta (Purgatorio, XXIX, 143-144).[31]
Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-
simbolo del numero. Secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo
criteri armonici: "tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso"
(Sapienza 11, 21). I Padri della Chiesa avevano dedicato grande attenzione
alla numerologia, come attestano le opere Libro dei numeri di Isidoro di
Siviglia e il libro XV (De Numero) dell'enciclopedia di Rabano Mauro. Dante
aveva già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del tre simbolo
della Trinità, nella Vita Nuova, dove lo applica a Beatrice: i due si incontrano
la prima volta a nove anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto all'ora nona,
ecc.
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10
(moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza. Dieci sono Le zone
dell'Inferno (nove più l'antinferno); dieci le zone del Purgatorio
(antipurgatorio, formato da spiaggia più primi due balzi, poi le sette cornici
ed infine il paradiso terrestre); dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli
planetari, cielo delle stelle fisse, Primo Mobile, Empireo). Il numero
simbolico trinitario 3 si trova nel numero delle cantiche, nei versi in terzine,
nelle tre guide (Publio Virgilio Marone, Beatrice, San Bernardo) oltre che
nelle tre facce di Lucifero, nelle tre fiere del primo canto dell'Inferno, nei
tre gradini della porta del Purgatorio. Tre sono i gruppi di peccatori
nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti); nel Purgatorio le anime
sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un oggetto
sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono troppo
i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono
dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti
contemplativi. Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le
cornici del Purgatorio 7, a cui si devono aggiungere Antipurgatorio
e Paradiso Terrestre, 9 sono le sfere dei cieli (il decimo, l'Empireo, non è
un luogo fisico).
La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza
frequente nella Commedia. Nel Medioevo le teorie musicali furono
influenzate dal trattato De Musica diSeverino Boezio che si rifaceva alla
dottrina di Pitagora e al principio di proporzione basato sul numero.
L'atmosfera terrifica e dolente dell'Inferno è caratterizzata dalla
disarmonia (III, 22-28; V, 46; XX, 8-9; XXXII, 36). Nel Purgatorio il canto
delle anime ha effetto catartico (purificatorio), creando effetti di
rasserenamento ed i riferimenti musicali hanno valoreetico. Lo si vede in
vari canti: la canzone intonata dal musico Casella (II, 107-108); poi in II,
47; V, 24; VIII, 13-18; X, 58-60; XII, 110-111; XXIII, 11-12. Nel Paradiso
Terrestre la musica è frequente con le sue melodie (lo stormire delle foglie
XXVIII, 13-18; l'apparizione di Matelda XXVIII 40-42; XXVIII 85;
la melodia XXIX, 22-23; XXXI, 97-99; XXXII, 61-63). IlParadiso è la
cantica in cui la musica, intrecciandosi con le immagini luminose, costituisce
la sostanza della cantica stessa. Numerosi sono gli esempi di una celeste
musica polifonica: XXVII, 1-6, VI, 124-126; VIII, 16-20; X, 139-148; XIV,
28-32 e 118-123; XVII, 43-44; XXVIII, 118-120; XXIII, 97-102 e 109-111;
XXVIII, 118-120; XXXII, 95-98; XXXIII, 68-75.[32][33]
La rappresentazione della luce è frequente nel poema e ad essa si
contrappongono le tenebre. Tutte le divinità dell'antichità si identificavano
con la luce ed il Bene: il Bel semitico, il Ra egizio, l'Ahura Mazdā iranico, il
Bene di Platone. Attraverso il neoplatonismo la luce entra nella tradizione
cristiana soprattutto grazie a Sant'Agostino e a Dionigi l'Areopagita in cui
sono frequenti le immagini di Dio come luce, fuoco, fontana luminosa.
Nella filosofia Scolastica fu elaborata la "teologia della luce" da Roberto
Grossatesta e san Bonaventura da Bagnoregio nel XIII secolo. L'Inferno è
invece il regno delle tenebre. Dante si smarrisce nella selva oscura (I, 2) e
cerca di salire su un colle illuminato dal sole (I, 13-18, 37-43). La prima
cantica è il regno che scaturisce dalla privazione di Dio e quindi è
senza luce. L'Inferno è cieco mondo (IV, 13; XXVII, 25), cieco /
carcere (X, 58-59; XXII, 103), valle buia (XII, 86), "loco d'ogne luce muto"
(V, 28). I cerchi infernali sono scuri (XXV, 13), l'aria è morta (I,
17), nera (V, 51), sanza tempo tinta (III, 29); l'acqua dell'Acheronte
è bruna (III, 118) e quella dello Stige "buia assai più che persa" (VII, 103);
la vegetazione della selva dei suicidi è di color fosco (XIII, 4). Attraverso
la scura natural burella (Inf. XXXIV, 98) Dante e Virgilio giungono
nel Purgatorio dove la luce riconquista lo spazio. Il sole è simbolo di Dio,
l'alto Sol (Purg. VII, 26), l'alto lume (Purg. XIII, 85). Dante giunge
sull'Antipurgatorio alle prime ore del mattino (I, 13-30; 107, 115), l'ascesa
alla montagna avviene al sorgere del sole (II, 1) e l'arrivo sul Paradiso
Terrestre al momento dello splendere della luce (XXVII, 112, 133). Il sole
concede ai due poeti di vedere l'accesso alla montagna (I, 107-108). La luce
solare è presente in vari passi (XIII, 16-18; XVII, 70-75). Ovviamente è
il Paradiso il regno della luce che è la sostanza stessa del regno celeste.
Dante guidato da Beatrice, allegoria della grazia e della teologia, sale per
lo ciel di lume in lume (XVII, 115) attraverso al materia eterea dei cieli:
Luna (II, 34-36), Mercurio (V, 94-96), Venere (VIII, 13-15), Sole (X, 41),
Marte (XIV, 85-86), Giove (XVIII; 68-69), Saturno (XXI, 13). I cieli sono
fatti di materia eterea e pertanto riflettono all'esterno la luce che
ricevono dal sole (III, 109-111; VIII, 19; X, 40-42). Gli angeli vengono
rappresentati come fuochi(IX, 77), facelle (XXIII, 94), scintille (XXVIII,
91), splendori (XXIX, 138). I beati hanno un corpo etereo e sono luci, lumi,
faville (VIII, 8; XVIII, 101), stelle cadenti (XV, 16), rubini (XIX, 4-
6), gioie (IX, 37), lapilli (XX, 16), fuochi (XX, 34; XXII,
119), fiammelle (XXI, 136), lucerne (VIII, 19; XXIII, 28), lampe (XVII,
5). Dio è etterna luce (V, 7-8), viva luce (XIII, 55-57). Dio è definito
"lume" (XXXIII, 43, 110), "Sol dei beati" (IX, 8; XV, 76; XVIII, 105; XXX,
126) e nell'Empireo appare a Dante come "stella", punto luminoso molto
acuto (XXVIII, 16-18; XXX, 11), "favilla pura" che illumina i cori angelici
(XXVIII, 37-39). Nell'Empireo Dante può contemplarlo come "trina
luce....'n unica stella" (XXXI, 28). La Candida rosa dei beati è fatta di luci
e fiamme splendenti (XXXI, 1-24) e, alla fine del poema, all'arcobaleno è
associata la sostanza stessa della luce divina (XXXIII, 116-120).[34]

Le tre guide
Il viaggio ultraterreno di Dante richiede l'appoggio di una guida, in quanto
il protagonista rappresenta l'uomo smarrito in conseguenza del peccato e
pertanto incapace di recuperare da solo la retta via. Per l'intero cammino
che si svolge attraverso il baratro dell' Inferno e su per la montagna
del Purgatorio la guida prescelta è Virgilio, l'antico poeta latino autore dell'
Eneide. Egli, sebbene pagano, per l'alto valore morale della sua poesia,
rappresenta la saggezza naturale, la ragione della cui luce l'uomo ha bisogno
per riscattarsi e rendersi disponibile a comprendere la Rivelazione.
Comunque la figura di Virgilio non rimane chiusa in una schematica funzione
allegorica; essa, in virtù della capacità poetica di Dante, assume il ruolo di
un personaggio di grande rilievo: ora egli si anima di sollecitudine paterna e
riesce a rassicurare con la sua rasserenante protezione Dante sbigottito
dagli orrori dell'Inferno, ora, specialmente nel Purgatorio, resta soggetto
all'incertezza, al timore e vive un suo dramma personale, in quanto
diversamente da Dante egli è escluso dalla salvezza. Il suo compito si
conclude nel Paradiso terrestre in quanto Virgilio, estraneo al mondo della
fede, non può guidare Dante a comprendere il mistero divino che gli si
svelerà nel Paradiso. Per questo occorre l'intervento della Grazia,
della scienza teologica, che viene rappresentata dalla nuova guida, Beatrice,
la quale condurrà Dante dalla cima del Purgatorio alle soglie dell' Empireo.
Anche nel caso di Beatrice il significato allegorico si arricchisce di
componenti che fanno della sua figura un personaggio altamente poetico.
Beatrice è pur sempre la donna angelica che ha illuminato la giovinezza del
poeta: adesso, divenuta beata, risplende di una luce che si esprime nel suo
sguardo e nel suo sorriso, rendendola bella in modo indicibile. Beatrice
spiega al poeta con un linguaggio dotto ardui problemi teologici, ma lo fa
salire attraverso i cieli con la forza del suo sorriso, cioè con la forza di un
amore che è il riflesso di quello divino.
Dopo aver condotto Dante all'interno dell'anfiteatro occupato dai beati,
Beatrice ritorna al suo seggio da dove appare al poeta cinta di un'aureola
luminosa e il ruolo di guida viene assunto nel momento conclusivo del viaggio
da San Bernardo, il quale per la sua vita dedita, già in Terra,
alla contemplazione, appare singolarmente adatto a sostenere Dante nel
momento in cui, con l'aiuto della preghiera di tutti i beati, e in particolare
della Vergine, riuscirà ad entrare in diretta comunione con la viva presenza
di Dio.

Modelli e fonti
La lingua
Uno dei problemi più ardui della filologia italiana è lo studio della lingua dei
principali autori della nostra tradizione letteraria. Tale problema è
connesso strettamente allo studio della tradizione manoscritta delle opere.
Nel caso di Dante, la questione è molto più complessa e delicata in quanto
nel poema dantesco si è tradizionalmente identificata l'origine stessa della
lingua italiana. La definizione di "padre della lingua italiana", spesso
utilizzata per Dante, non è solo una teoria della critica contemporanea;
generazioni di lettori, a partire dai primi commentatori fino ai moderni
esegeti, non hanno potuto fare a meno di confrontarsi, anche quando hanno
anteposto alla Commedia altri modelli linguistici e letterari, con il poema
sacro. Ad esempio, la teorizzazione del Bembo nelle Prose della volgar
lingua, in quanto fondamentalmente normativa, tendeva a canonizzare un
modello linguistico più vicino a Petrarca che a Dante. Ciononostante,
nelle Prose, il poema è comunque il testo più importante cui fare
riferimento, anche e soprattutto in prospettiva critica, per la sua ricchezza
linguistica e lessicale.
Tuttavia, l'importanza irrinunciabile della Commedia è dimostrata dal peso
attribuito al poema dantesco nella compilazione del primo Vocabolario degli
Accademici della Crusca. Poiché il numero di citazioni
della Commedia supera di gran lunga quello di qualsiasi altra opera e poiché
è evidente che l'influenza di un vocabolario sullo sviluppo storico di una
lingua è senz'altro superiore a quello di ciascuna singola opera, ne risulta
dimostrata la centralità del poema per la coscienza linguistica e letteraria
italiana.
La storia della tradizione manoscritta dimostra d'altronde quanto il
processo di copia del poema abbia contribuito fin dalle origini alla
formazione di un volgare letterario italiano. Tuttavia, l'esatta forma della
lingua dantesca è ancora oggetto di studio e di dibattito, così come accade
per le maggiori opere della letteratura antica. Solitamente, viene
considerata una soluzione efficace basarsi sulla lingua del testimone più
antico di un'opera.
Nel caso della Commedia, si tratta del manoscritto Trivulziano 1080.[35]
Tra gli studi sulla linguistica dell'opera di Dante, va segnalato il filosofo del
linguaggio Antonino Pagliaro.

Stile
Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla
poesia provenzale non si può separare lo Stil Novo di cui Dante fu insigne
rappresentante. Stile e linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici
della letteratura latina medievale: giustapposizione sintattica (brevi
elementi successivi) cesure, stacchi, uno stile che non conosce la fluidità e
il modo mediato e legato dei moderni. Dante ama l'espressione concentrata,
il rilievo visivo e rifugge dai legami logici, il suo linguaggio è essenziale.
A differenza di Petrarca che utilizzava un linguaggio semplice e puro,
caratterizzato da un ristrettissimo numero di parole, secondo un criterio
unilinguistico, Dante nella Commediaadotta una grande ampiezza di lessico
e di registri stilistici, dal più basso e "comico" nel senso medioevale del
termine, al più alto e "sublime". Si parla dunque di plurilinguismo dantesco.

Studi e fonti
Sull'istruzione di Dante la ricerca è tuttora aperta; quasi sicuramente non
frequentò regolarmente un'istituzione di studi superiori, e tuttavia la sua
opera dimostra perfetta conoscenza delle discipline delle Arti, insegnate
come base comune a tutte le facoltà universitarie. È stata avanzata l'ipotesi
di suoi contatti con un gruppo di filosofi averroisti bolognesi. Quasi
sicuramente studiò la poesia toscana, nel momento in cui la Scuola poetica
siciliana, un gruppo culturale originario della Sicilia, stava cominciando ad
essere conosciuta in Toscana. I suoi interessi lo portarono a scoprire i
menestrelli ed i poeti provenzali e la cultura latina. Scritta in toscano
volgare.
Evidente è la sua devozione per Virgilio (Tu se' lo mio maestro e 'l mio
autore, / tu se' solo colui da cu'io tolsi / lo bello stilo che m'ha fatto
onore, Inferno v. 85 canto I)) anche se laDivina Commedia mette in gioco
una complessa tradizione classica e cristiana esaltando la cultura del
Nostro; volendo ricordare alcune fonti si può iniziare dal verso 32
dell'Inferno "Io non Enea, io non Paulo sono" in cui sono presentati i due
testi chiave sui quali si basa la sua opera: l'Eneide, (in particolare il canto
VI) e la Seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, là dove racconta del suo
rapimento estatico.
Numerosi altri testi agiscono sulla fantasia di Dante, dal Commentario
di Macrobio al Somnium Scipionis (su una parte del libro VI
della Repubblica di Cicerone), in cui viene narrata la visione delle sfere
celesti e la dimora delle grandi anime, all'Apocalisse di S. Giovanni, come la
meno nota Apocalisse apocrifa di s. Paolo (condannata da sant'Agostino, ma
molto diffusa nel basso Medioevo) che contiene alcune descrizioni delle
pene infernali e la prima generica definizione dell'esistenza del Purgatorio.
Il tema della visione ebbe grande fortuna nel Medioevo, e molti di questi
racconti d'esperienze mistiche erano noti a Dante, come la Navigatio sancti
Brendani, la Visio Tnugdali, il Purgatorio di san Patrizioe i Dialoghi di san
Gregorio Magno. Vanno pure menzionate le seguenti "visioni" medievali:
la Visione di Ansello (secolo XII) e la Visione di Eynsham (secolo XII).
Bisogna ricordare altresì il viaggio oltremondano (catabasi)
di Drythelm nella Storia ecclesiastica d'Inghilterra scritta da Beda il
Venerabile nel secolo VIII. In essa l'anima del protagonista, guidata da uno
spirito luminoso, visita i luoghi infernali dei dannati dove teme di essere
presa dai diavoli ma viene salvata dallo spirito-guida e condotta ad ammirare
i prati luminosi e profumati delle anime elette che cantano cori celestiali.
Dopo questa esperienza oltremondana l'anima rientra nel corpo e il
protagonista vive una vita santa per meritarsi la beatitudine
celeste.[36][37] Nella Leggenda del viaggio di tre santi monaci al Paradiso
terrestre (X secolo) si racconta invece di tre monaci di enorme bontà che
dal fiume di Sion arrivano al Paradiso terrestre la cui porta è custodita da
un cherubino. All'interno incontrano i profeti Enoch ed Elia. Poi ripartono
credendo di essere vissuti all'interno del Paradiso terrestre tre giorni
mentre in realtà vi hanno trascorso tre anni.[38]
Anche la coeva escatologia ebraica e musulmana sembra essere stata
presente a Dante: in particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere
di Hillel da Verona, che trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì,
morendovi poco prima dell'arrivo di Dante in quella città. Per quanto
riguarda elementi della cultura islamica che potevano essere presenti al
mondo di Dante, sono stati molto rilevanti gli studi di Miguel Asín Palacios,
di Enrico Cerulli, di Bruno Nardi e di Louis Massignon. Il testo islamico che
presenta analogie interessanti con il poema dantesco è il Libro della
Scala [39] (Isra' e Mi'raj). Sull'influenza dell'Islam sul Poeta si incentrano
numerosi studi della celebre dantista Maria Cortisecondo la quale si
ispirerebbe in particolare la configurazione del Paradiso dantesco al
Paradiso arabo soprattutto per la "metafisica della luce".
Molto spesso è Dante, presentando i vari autori nella sua opera, a lasciare
una visione superficiale della sua biblioteca; ad esempio, nel cielo del Sole
(canti X e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra
questi mistici, teologi, canonisti, filosofi vi si ritrova Ugo di San Vittore,
Graziano, Pietro Lombardo, Gioacchino da Fiore ecc.
Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Divina vanno
considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti
e De Babilonia civitate infernali) ilLibro delle tre scritture di Bonvesin de
la Riva, con la descrizione dei regni dell'Aldilà, e la Visione del
monaco cassinese Alberico. Da ricordare anche il poemetto allegorico-
didascalico Detto del Gatto lupesco (XII secolo), viaggio allegorico di un
cavaliere-eroe che deve superare tre ostacoli, simbolo del male, per
raggiungere la beatitudine eterna.[40]
Sulla biblioteca classica di Dante ci si deve accontentare di deduzioni
interne ai suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono;
si può affermare che accanto al nome di Virgilio
compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui seguono i nomi di Tito
Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano presenti, con l'aggiunta
di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nuova (XXV, 9-10), così ci si
accorge che questi erano i poeti più diffusi e più letti
nelle scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione
da parte di Dante.

Storia della critica


L'opera ebbe grande fortuna già nei primi anni in cui venne diffusa: a parte
il fiorire di manoscritti e citazioni, alcune ancora precedenti alla morte di
Dante, già nel XIV secolo vengono composti commenti all'intera opera o solo
all' Inferno. Fra i primi commentatori annoveriamo anche i figli di
Dante, Jacopo e Pietro Alighieri, ma anche Giovanni Boccaccio che negli
ultimi anni della sua vita tenne delle letture pubbliche, le Esposizioni sopra
la Comedia.

Tradicione manoscritta
Dal punto di vista filologico, il caso della Commedia è tra i più complessi nel
panorama delle lingue romanze per la vastità delle testimonianze e per la
conseguente difficoltà di stabilire con certezza i rapporti tra i manoscritti.
I manoscritti oggi noti sono infatti circa ottocento (un registro è
consultabile sul sito www.danteonline.it a cura della Società Dantesca
Italiana, dove è possibile inoltre visionare direttamente un ampio numero
di codici). Per i manoscritti più antichi del poema (1330-1350) si possono
quindi distinguere, secondo lo stemma codicum approntato da Giorgio
Petrocchi per la sua edizione del 1966-7: una tradizione fiorentina molto
antica (rappresentata sostanzialmente dal manoscrittoTrivulziano 1080,
datato 1337 e dalle postille collazionate dall'umanista Luca Martini su una
stampa cinquecentesca, da un codice approntato da un pievano, Forese
Donati, databile al 1322), un tradizione toscana occidentale, una tradizione
emiliana e infine una ulteriore tradizione fiorentina, alla quale si può
ricondurre la maggioranza dei manoscritti trecenteschi e
quattrocenteschi.[41] È probabile che la Commedia sia stata inizialmente
diffusa per cantiche o gruppi di canti; non sarebbe quindi mai esistito
un originaleesplicitamente pubblicato dall'autore.

Edizioni
La prima edizione della Divina Commedia fu stampata a Foligno il 5 ed il 6
aprile 1472 dal tedesco di Magonza Johannes Numeister e dal
folignate Evangelista Mei (come risulta dal colophon). Alcuni identificano
l'"Evangelista Mei" citato nel colophon dell'edizione, con
il mecenate folignate Emiliano Orfini, altri ancora con il
tipografo Evangelista Angelini. Si tratta del primo libro mai stampato
in lingua italiana.

Edizioni critiche
Prima di Petrocchi
Una prima edizione completa della Commedia potrebbe essere stata
allestita da uno dei figli di Dante, Iacopo, dopo la morte del poeta, attorno
al 1322. A partire da tale ipotetico testo della Commedia, si sarebbero
determinate diverse edizioni del poema. Il grande numero di testimoni che
tramandano il testo della Commedia rendono l' elaborazione di una edizione
critica un lavoro molto oneroso. La prima edizione critica condotta
attraverso metodi lachmaniani fu curata nell'Ottocento da Karl Witte, che,
però, si basò solo su quattro testimoni. D'altronde portare a termine
la recensio di tutta la tradizione è uno dei problemi maggiori per un editore
critico della Commedia: cercò di risolverlo Michele Barbi proponendo una
serie di loci critici, ossia di passi significativi in cui la tradizione si
differenzia, su cui collazionare tutti i testimoni. Si servirono di questo
espediente gli editori critici Parodi e Pellegrini, i quali approntarono il testo
per il seicentenario della morte di Dante nel 1921.

L'edizione Petrocchi
L'edizione critica ancor oggi di riferimento è quella di Giorgio
Petrocchi,[42] tale edizione non segue precipuamente i canoni lachmaniani:
Petrocchi ritiene impossibile tracciare uno stemma codicum viste la diffusa
contaminazione, già frequente in testimoni molto alti, e la perdita di tutta
la prima tradizione manoscritta, dalla morte di Dante (1321) al primo
testimone rimastoci, Triv, datato 1337. Pertanto Petrocchi, dopo aver
eliminato tutti i codici successivi al 1355 come codices descripti nonché
corrotti dall'intervento destabilizzante di Giovanni Boccaccio come
copista, ritiene di poter risalire non tanto al testo originale, quanto
alla vulgata, ossia al testo conosciuto all'altezza di quel periodo.
Le ultime edizioni
Di recente, gli editori hanno effettuato scelte molto diverse. Oltre
l'edizione critica a cura di Giorgio Petrocchi, esiste un'edizione a cura di
Antonio Lanza,[43] di tipo bédieriano, basata sostanzialmente sul
manoscritto Trivulziano, scelto in base allo stemma disegnato da Petrocchi
stesso. Successivamente è apparsa l'edizione di Federico Sanguineti,[44]
che invece si basa su un impianto di tipo lachmanniano, ovvero su un
procedimento teso all'esame esaustivo della tradizione manoscritta e alla
decifrazione dei rapporti tra i codici. In pratica, come è stato sottolineato
da più parti,[45] l'edizione giunge essenzialmente alla pubblicazione di un
unico manoscritto (l'Urbinate lat. 366). Infatti Sanguineti, dopo aver
scartato i testimoni recentiores in base ad errori comuni, senza tuttavia
averne scientificamente dimostrato l'apografia, traccia uno stemma
bipartito, di cui il ramo beta è rappresentato praticamente solo dal
manoscritto Urbinate Urb, che pertanto conta da solo per il 50% per
l'accertamento della lezione da mettere a testo. Più recente è l'edizione
del solo testo di Giorgio Inglese, [46] che ha sostenuto l'impossibilità di
un'edizione bedieriana per la Commedia, vista la precoce contaminazione,
ed ha pertanto concentrato la propria attenzione sulla revisione dello
stemma Petrocchi, di cui risulta, a parte alcune modifiche (quali l'ipotesi di
una contaminazione extrastemmatica) la sostanziale validità, pur nella
maggiore attenzione dedicata alla famiglia settentrionale. Su criteri
analoghi ma sostanzialmente col testo di Petrocchi, l'edizione bilingue
di Jean-Charles Vegliante, La Comédie - Poème sacré, per i tipi di Gallimard
(poésie), 2012.

Traduzioni
La Divina Commedia ha avuto molteplici traduzioni in lingue e epoche
diverse: qui se ne ricordano alcune. Antoine Rivaroli (1753-1801) e Félicité
de Lamennais (1782-1854) sono autori di due diverse traduzioni
in francese.[47][48] Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) è stato il
primo statunitense a tradurla in inglese, completando il lavoro nel
1867.[49]. Giovanni Peterlongo (1856-1941) l'ha tradotta
in esperanto.[50] Mons. Pádraig de Brún (1889-1960) ne ha fatto una
traduzione in gaelico irlandese, che venne pubblicata postuma.[51] In
spagnolo è stata tradotta da Ángel Crespo.
La prima traduzione in latino è stata quella di Giovanni Bertoldi da
Serravalle, francescano di origine sammarinese, vescovo di Fermo e
di Fano, durante il Concilio di Costanza su richiesta di alcuni prelati o
addirittura dall'allora Re Sigismundo di Lussemburgo. La traduzione con
commento fu portata a termine nel 1417 e la prima edizione a stampa nel
1891.[52]
Molte sono le versioni in spagnolo:
il politico argentino Bartolomé Mitre ha tradotto la Divina Commedia,[53]
il filologo spagnolo Ángel Chiclana, ne ha curato una versione in prosa,[54]
il filologo argentino Ángel J. Battistessa la ha anche tradotta,
il poeta cileno Raúl Zurita sta preparando una traduzione.[54]

La Divina Commedia nell’ arte


Trasposizioni cinematografiche (lista parziale)
 Francesca da Rimini (The Two Brothers), regia di William V.
Ranous (1907)
 Il conte Ugolino, regia di Giuseppe De Liguoro (1908)
 Il conte Ugolino, regia di Giovanni Pastrone (1909)
 Pia de' Tolomei, regia di Mario Caserini (1910)
 Francesca di Rimini, regia di Ugo Falena (1910)
 Guelfi e ghibellini (Wanda Soldanieri), regia di Mario Caserini (1910)
 L'Inferno, regia di Giuseppe Berardi e Arturo Busnengo (1911)
 L'Inferno, regia di Giuseppe De Liguoro, Adolfo Padovani, Francesco
Bertolini (1911)
 Dante e Beatrice, regia di Mario Caserini (1913)
 Beatrice (1919)
 Dante nella vita e nei tempi suoi, regia di Domenico Gaido (1921)
 Dante's Inferno (1924)
 Maciste all'Inferno, regia di Amleto Palermi (1926)
 La nave di Satana (Dante's Inferno), regia di Harry Lachman (1935)
 Pia de' Tolomei, regia di Esodo Pratelli (1941)
 Il conte Ugolino, regia di Riccardo Freda (1949)
 Paolo e Francesca (Francesca da Rimini), regia di Raffaello
Matarazzo (1949)
 47 morto che parla, regia di Carlo Ludovico Bragaglia -
con Totò e Silvana Pampanini (1950)
 Totò all'inferno, regia di Camillo Mastrocinque (1955)
 Maciste all'Inferno, regia di Riccardo Freda (1962)
 Vita di Dante, regia di Vittorio Cottafavi (1965)
 Paolo e Francesca, regia di Gianni Vernuccio (1971)
 La divina commedia (A Divina Comédia), regia di Manoel de
Oliveira (1991)

Musica
 From Hell to Heaven (2008) è un'opera rock-sinfonica ispirata alla
Divina Commedia. Composta da Andrea Bezzon con gli arrangiamenti
di Andrea 'Urpilo' Guarnieri e le orchestrazioni di Fabrizio Castania
 La Divina Commedia-l'opera (2007) è un'opera musicale ideata e
composta da Monsignor Marco Frisina, con la collaborazione di grandi
firme internazionali ed un ricco cast di cantanti, attori ed acrobati.
Dante è interpretato da Vittorio Matteucci, già interprete
eccezionale in musical come Notre Dame de Paris, Tosca Amore
Disperato e Dracula. Quest'opera musicale ha vinto il "Premio Miglior
Spettacolo del 2008" della rassegna "Fatti di Musica" ideata ed
organizzata da Ruggero Pegna.
 Francesca da Rimini (1876) fantasia sinfonica di Pëtr Il'ič Čajkovskij
 Francesca da Rimini (1906) opera lirica di Sergej Vasil'evič
Rachmaninov
 Inferno (1973), album dei Metamorfosi
 Paradiso (2004), album dei Metamorfosi
 La canzone Dante's Inferno del gruppo heavy metal americano Iced
Earth è chiaramente ispirata alla divina commedia. La canzone è
presente nell'album Burnt Offerings, la cui copertina è
un'incisione di Gustave Doré, tratta dall'edizione da lui illustrata
della Commedia nel 1857.
 Le canzoni Inferno - The Divine Comedy e Acheron's Way del gruppo
svizzero hard rock Shakra, presenti sull'album Infected.
 "Après une Lecture de Dante: Fantasia quasi Sonata" di Franz Liszt
 "Francesca da Rimini" (1914), opera in quattro atti di R. Zandonai su
libretto di T. Ricordi. Il riferimento è ovviamente al notissimo
personaggio dell'Inferno dantesco e l'opera è un libero adattamento
dell'omonima tragedia di Gabriele D'Annunzio.
 Il gruppo industrial-gothic italiano Deuxvolt ha realizzato un brano
in 100 versi tributo all'inferno dantesco.[55]
 "Sonora Commedia" (2009), triplo CD ("Inferno", "Purgatorio" e
"Paradiso") edito da Kipple Officina Libraria, in cui trentatré
musicisti italiani si sono cimentati nella composizione di tre brani
(ognuno dei quali ispirato a un canto) fino a comporre 99 brani a cui
è aggiunto un ultimo brano ottenuto mixando parte degli altri.

Teatro, televisione e videogiochi


 Tutto Dante; è una tournée teatrale curata dal Premio
Oscar Roberto Benigni, iniziata nel 2006 con letture e commenti dei
canti più famosi della Divina Commedia. Per questa opera di
divulgazione della Commedia, Benigni è stato candidato nel 2007 al
Premio Nobel per la Letteratura. La tournée è stata riadattata per
la televisione: la serie "Tutto Dante-La Divina Commedia in tv" ha
debuttato su Rai 1 il 29 novembre 2007 con la lettura del Quinto
Canto dell'Inferno con un share di oltre dieci milioni di
telespettatori. Le altre letture si sono tenute invece in seconda
serata sempre su Rai Uno.
 La Divina Commedia: l'Opera: il 23 novembre 2007, debuttando a
Roma al "Teatro Divina Commedia" costruito appositamente per lo
spettacolo, la Commedia si trasforma in sontuosa Opera destinata al
grande pubblico, traghettato da armonie musicali e incredibili effetti
scenici dall'Inferno al Paradiso. Oltre cento artisti tra musicisti,
attori, cantanti, ballerini e acrobati che hanno dato vita alle musiche
di Marco Frisina, accompagnate dalla suggestione delle creature
fantastiche create dal premio Oscar Carlo Rambaldi (creò King Kong,
E.T e il mostro di Alien).
 Dante Inferno - l'Opera in Musical: il 7 aprile 2008 è andata in scena,
al Teatro Politeama di Viareggio, la prima del musical ideato e scritto
da Francesco Ricci e musicato dal compositore Tiziano Puritani, che
attraverso una stesura fedele all’opera originale, ma riletta in chiave
musicale, ha voluto avvicinare al poema il grande pubblico con un
linguaggio nuovo e suggestivo. Lo spettacolo ha portato in scena oltre
venti elementi tra cantanti, ballerini e attori, una successione di 114
abiti realizzati da Alessandra Dini, oltre 30 realizzazioni in
cartapesta create dal carrista viareggino Jacopo Allegrucci e le
scenografie di Giacomo Callari realizzate dal laboratorio
scenografico del Teatro Verdidi Pisa. Le coreografie dello spettacolo
sono state curate da Paola Caldarazzo Jenco.
 "La Divina Commedia mostrata con la lanterna magica". Il Museo del
Precinema Collezione Minici Zotti di Padova ha ideato una proiezione
con la lanterna magica dell'800 e vetri originali dell'epoca,
accompagnata da relative letture. Le 75 immagini raffiguranti la
Divina Commedia sono, per la maggior parte, tratte dalle incisioni del
Dorè. Si effettuano proiezioni dal vivo, oppure i visitatori del Museo,
a richiesta, possono assistere a una video proiezione.[56]
 Dante's Inferno (Beyond). Videogioco di tipo arcade-adventure,
basato sulla prima cantica dell'opera. È uscito nel 1986 per il
sistema Commodore 64, le uscite previste per i sistemi Sinclair ZX
Spectrum e Amstrad CPC non furono mai realizzate.
 Dante's Inferno (Electronic Arts). Riguarda la versione videoludica
della prima cantica della Divina Commedia. Il genere di questo
videogioco è Action-Adventure. L'uscita è avvenuta il 12 febbraio
2010 in Nord America e in Europa.
 "La Divina Commedia - La Serie". Si tratta del primo caso in assoluto
di Produzione di una Serie Televisiva in tre stagioni (Inferno -
Purgatorio - Paradiso) sulla Divina Commedia. Prodotto da
FreeStageFilms per la regia di Claudio Cicconetti, scritto da Claudio
Cicconetti e Mizio Curcio con la produzione esecutiva di Ivan Villa, la
serie tratta in una chiave ultra moderna con contaminazioni fantasy
e mistery, il tortuoso viaggio di un giovane Dante attraverso universi
paralleli e gironi infernali. Il trailer, pubblicato sulla rete, ha
stabilito il più alto record di visualizzazioni in 48 ore su youtube,
creando il caso mediatico dell'anno
2013. http://www.youtube.com/watch?v=yGcrCxSVL5o

Pittura
La Divina Commedia nella Valle delle Pietre dipinte è un'opera pittorica
di Silvio Benedetto, realizzata negli anni novanta su 110 massi in
travertino di 1,50 per 2,50 metri, dipinti in più facciate, sulla grande opera
di Dante. Pur privilegiando il lato frontale, la pittura si sviluppa su tutti i
lati della pietra. Tuttavia nessun lato dei poliedri dovrebbe essere letto
autonomamente. Si trova a Campobello di Licata[57]
Ispirato da Dante: Viaggio di un Artista nella Divina Comedia. Disegni di
Jennifer Strange

Scultura
Monumento a Dante a Trento di Cesare Zocchi (1896): oltre a Dante sono
rappresentate immagini da Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Filmografia
La famosa frase "Lasciate ogne speranza, voi ch'entrate" del Canto III
dell'Inferno è pronunciata da Buck nel film d'animazione L'era glaciale 3 -
L'alba dei dinosauri.

Dante nel fumetto


L'Inferno è stato oggetto di due parodie disneyane.
La prima, probabilmente la più fedele all'originale, è uscita in sei puntate su
Topolino nº 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 dell'ottobre, novembre e dicembre 1949,
gennaio, febbraio e marzo 1950. La storia, ad opera completa, di Guido
Martina, si intitola L'Inferno di Topolino. È anche famosa poiché si tratta
della prima storia di Topolino interamente scritta e disegnata da un autore
italiano.
L'inferno di Paperino, testo e disegni di Giulio Chierchini originariamente
pubblicato su Topolino numero 1654 del 9 agosto 1987 è una libera
trasposizione di parte dell'Inferno dantesco in cui l'autore nonché
disegnatore traspone nei vari gironi figure di peccatori quali: burocrati,
persone che hanno inquinato l'ambiente, automobilisti non rispettosi delle
norme, piromani, disturbatori della quiete altrui ecc. Il protagonista è
Paperino che impersona un ipotetico Dante Alighieri accompagnato nel suo
percorso da Arkimedio Poeta, trasposizione di Virgilio. Parte del testo è
scritto richiamando lo stile Dantesco delle terzine incatenate di versi
endecasillabi, proposte in simil lingua volgare fiorentina. Pur essendo gran
parte dei personaggi di pura fantasia, l'autore cita alcune figure chiave
quali Caron Dimonio, le Erinni, e la figura di Lucifero che però viene
rinominato Belzebù. Così come la frase lasciate ogni speranza o voi che
entrate... diventa scordatevi del tempo o voi ch'entrate posta all'ingresso
del girone dove scontano la pena coloro hanno abusato di timbri e carte
bollate a danno altrui. L'aspetto forse più curioso e interessante è che
probabilmente si tratta di una delle pochissime storie a fumetti di casa
Disney in cui si cita l'Aldilà e vengono rappresentati personaggi trapassati.
L'autore giapponese Gō Nagai, per il suo capolavoro Devilman, ha dichiarato
più volte di essere stato ispirato dalla Divina Commedia di Dante. Non a
caso, Go Nagai chiamò Mao Dante il manga che divenne poi il prototipo di
Devilman. Inoltre, in Devilman vengono esplicitamente citati il Sommo Poeta
e il suo immortale capolavoro.
Marcello Toninelli, che iniziò la sua esperienza fumettistica con una sua
versione di Dante, ha realizzato negli anni'90 una parodia della Commedia.

Note
^ Nel Medioevo le opere spesso non avevano un vero e proprio "titolo", ma
nei manoscritti erano indicate, per esempio, dal loro incipit. Uno degli incipit
più conosciuti dell'opera di Dante era: «Qui comincia la commedia di Dante
Alighieri, fiorentino di nascita ma non di costumi» (Incipit Comoedia Dantis
Alagherii, florentini natione, non moribus). Dante volle designare il suo
poeta come "Comedia" (probabilmente letta con accento tonico sulla i) per
il fatto che in esso vi è una progressione "dal male al bene": l'opera inizia in
un contesto segnato da negatività e con linguaggio e contenuti "bassi"
(l'Inferno) e termina con linguaggio e contenuti "alti" e con la soluzione del
dramma iniziale dell'autore (nel Paradiso). L'aggettivo Divina, attribuito
da Boccaccio, si ritrova solo a partire dalle edizioni a stampa del 1555 a
cura di Ludovico Dolce.
^ sulla discussa cronologia della composizione si veda: E. Cecchi, N.
Sapegno, Storia della Letteratura italiana, vol. II, Il Trecento, Garzanti,
Milano, 1965, p. 69
^ v. Harold Bloom,Il canone occidentale, Bompiani, Milano, 1996; Erich
Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1964; ecc. È inclusa ad
esempio fra i Grandi Libri del Mondo Occidentale e nel 2002 è stata
inserita nella lista de I 100 libri migliori di sempre secondo Norwegian Book
Club.
^ Secondo il teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio, nella sua
opera più famosa L'itinerario della mente verso Dio (1259), il «viaggio»
spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla
«ragione suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve
passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti
dall'intensa ed umile preghiera.
^ La Commedia secondo l'antica vulgata, Milano, A. Mondadori, 4 voll., 1966-
67
^ La Commedìa. Testo critico secondo i più antichi manoscritti fiorentini,
De Rubeis Editore, 1995
^ Dantis Alagherii Comedia, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001
^ Neologismi in "Enciclopedia dantesca, Treccani.it
^ Le Epistulae di Dante su Liber Liber. URL consultato il 3 aprile 2008.
^ A proposito di questi versi, sono state notate le somiglianze con
l'anonimo Serventese romagnolo del 1277, certamente noto a Forlì, quando
Dante vi giunse. Si veda: A. E. Mecca, "Dante e il Serventese romagnolo del
1277", in Nuova rivista di letteratura italiana, 2005, 1-2, pp. 9-18. Si veda
anche: A. F. Massera, Il serventese romagnolo del 1277.
^ Paolo Malatesta e Francesca da Rimini
^ «...estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé»
(T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli, 1988, p. 622)
^ Per un approfondimento sulla rima dantesca risulta utile il "Rimario" di
Luigi Polacco ne " La Divina Commedia" della Società Dantesca Italiana col
commento scartazziniano, Ed. Ulrico Hoepli, Milano.
^ Sulla cosmologia di Dante, si veda l'intervista video a Giorgio Stabile,
nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche.
^ Natalino Sapegno (a cura di), La Divina Commedia - Vol. I. Inferno,
Firenze, La Nuova Italia, p.4, ISBN non esistente.
^ Vittorio Sermonti (a cura di), La Divina Commedia - Inferno,, Milano,
Bruno Mondadori, 1996, ISBN 88-424-3077-3. e Manfredi
Porena (commentata da), Canto I, nota finale 1 inLa Divina Commedia di
Dante Alighieri - Vol. I. Inferno, Nuova edizione riveduta e ampliata,
Bologna, Zanichelli, ristampa maggio 1968, pp. 14-16, ISBN non esistente.
^ Si desume da Inferno XXXIV, vv. 68-69, cfr. M. Porena, op. cit., Inferno
Canto XXXIV, nota al v. 68, p.312
^ Le date successive sono riferite alle 12 ore di fuso orario contate
all'indietro; se si contano in avanti si deve passare al giorno successivo.
^ Purgatorio, canto IX, vv.1-12; Canto XIX, vv.1-9; canto XXVII, vv.88-93
^ Dio e l'uomo nella Divina Commedia - Treccani Portale
^ Il pensiero politico di Dante nei versi della Commedia - Treccani Portale
^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, ed. La Scuola,
1997, p. 21.
^ Bruno Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1985
^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medio Evo, Firenze, La Nuova Italia, 1983
^ Bruno Nardi, Dante profeta, in «Dante e la cultura medievale», Bari,
Laterza, 1983.
^ N.Mineo, Profetismo e Apocalittica in «Dante», Catania, Facoltà Lettere
e Filosofia, 1968
^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, pag.189, Editrice
La Scuola, 1997.
^ Da Percorsi danteschi, cit., p. 190.
^ Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, Antologia della
Commedia, edizione rossa, ed. Loescher, pag. 15
^ Le profezie dell'esilio
^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, pag. 20, Editrice
La Scuola, 1997.
^ R. Monterosso, Musica, in Enciclopedia dantesca
^ Bruno Nardi, "La novità del suono e 'l grande lume", in "Saggi di filosofia
dantesca", Firenze, La Nuova Italia, 1967
^ Percorsi danteschi, Riccardo Merlante, Stefano Prandi, ed. La Scuola,
1997, pagg. 235-246.
^ La Lingua della Commedia - Treccani Portale
^ The Incredible Vision of St. Drythelm — Classical Christianity
^ Regina Mundi - Il Purgatorio nel Magistero
^ Il Viaggio Dei Tre Monaci Al Paradiso Terrestre
^ http://www.treccani.it/enciclopedia/libro-della-scala_%28Enciclopedia-
Dantesca%29/
^ Gatto Lupesco - Biblioteca Classica Uroboro
^ Dante Alighieri, Commedia. Inferno, a cura di G. Inglese, Carocci, Roma,
2007, pp. 385-396
^ La Commedia secondo l'antica vulgata, Milano, A. Mondadori, 4 voll., 1966-
67)
^ Dante Alighieri, La Commedìa. Nuovo testo critico secondo i più antichi
manoscritti fiorentini, a cura di A. Lanza, Anzio, De Rubeis, 1995
^ Dantis Alagherii Comedia, edizione critica per cura di F.
Sanguineti, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001. L'autore ha apportato
correzioni al testo critico in Dantis Alagherii Comedia. Appendice
bibliografica 1988-2000, per cura di F. Sanguineti, Firenze, Edizioni del
Galluzzo, 2005
^ Cfr. ad esempio M. Veglia, Sul testo della Commedia (da Casella a
Sanguineti), in «Studi e problemi di critica testuale», a. LXVI 2003, pp. 65-
119; P. V. Mengaldo, Una nuova edizione della Commedia, in «La parola del
testo», a. V 2001, fasc. 2 pp. 279-289.
^ Commedia: Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese,
Roma, Carocci, 2007; Commedia: Purgatorio, revisione del testo e commento
di Giorgio Inglese, Roma, Carocci, 2011.
^ Dante Alighieri, La Divine Comédie, (traduzione di
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^ Dante Alighieri, The Divine Comedy, (traduzione di Henry Wadsworth
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^ Dante Alighieri, La Divina Commedia-La dia komedio. Testo esperanto a
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^ (GA) Dainté Ailígiéiri, An Choiméide Dhiaga, trad. di Pádraig de Brún,
Dublino, An Clóchomhar, 1997, pp. 380 p..
^ Fratris Johannis de Serravalle translatio et comentum totius libri Dantis
Aldigherii cum textu italico fratris Bartholomæi a Colle eiusdem ordinis
nunc primum edita, a cura di Marcellino da Civezza M.O. e Teofilo
Domenichelli M.O., Prato, Giachetti, 1891, 3 volumi.
^ La Divina Comedia traducida por Mitre (ES)
^ a b Tradurre La Divina Commedia, EL PAIS Cultural, Montevideo, 14
giugno 2013.(ES)
^ The Descent
^ Museo del PRECINEMA - Collezione Minici Zotti
^ “...Un luogo, La Valle delle Pietre Dipinte, dove il pittore, scultore e uomo
di teatro Silvio Benedetto, argentino che vive in Italia da molto tempo, ha
realizzato dal 1992 ad oggi un progetto straordinario, coraggioso e
apparentemente impossibile: illustrare su centodieci blocchi di marmo,
ciascuno con due facce spianate e un peso di parecchie tonnellate, tutta la
Divina Commedia nell'ordine in cui l'ha scritta Dante Alighieri. Dopo sette
anni l'opera è finita, s'inaugura oggi e manca solo l'ultimo tocco che verrà
completato in agosto: un tunnel che segnerà la fine del viaggio e nel quale i
visitatori entreranno per poi riaffiorare sulla superficie davanti all'ultima
grande pietra con il famoso distico... " e quindi uscimmo a riveder le stelle".
L'itinerario comincia dall'Inferno, continua con il Purgatorio e finisce con il
Paradiso, lungo una strada in cui cambia anche il terreno sul quale il
viaggiatore cammina: prima è una distesa di lava nera sbriciolata, poi diventa
ciottoli, quindi ghiaia e infine erba, con lo sfondo della campagna siciliana,
fra campi di grano e macchie di fichi d'India...”
Fabrizio Zampa, Il Messaggero/Cultura & spettacoli, 31 luglio 1999.
Bibliografia
Bruno Nardi, Saggi e note di critica dantesca, Milano, Ed. Dante Alighieri,
1930; Firenze, La Nuova Italia, 19672
Antonino Pagliaro, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, 1967,
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Ernesto Giacomo Parodi, Poesia e storia nella «Divina Commedia» (a cura
di Gianfranco Folena e Pier Vincenzo Mengaldo), Venezia, Neri Pozza, 1965
D'Arco Silvio Avalle, Modelli semiologici nella «Commedia» di Dante, Milano,
Bompiani, 1975
Charles S. Singleton, La poesia della «Divina Commedia», Bologna, il Mulino,
1978
Carlo Ossola, Introduzione alla Divina Commedia, Venezia, Marsilio, 2012
Stefano Carrai, “Dante e l'antico. L'emulazione dei classici nella
«Commedia»”, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2012 (Società
internazionale per lo studio del Medioevo latino)

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