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Canto 4

Il canto quarto dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel primo cerchio,


ovvero il Limbo dove si trovano i virtuosi non battezzati; siamo nella notte
tra l'8 e il 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori tra
il 25 e il 26 marzo 1300.

Incipit
« Canto quarto, nel quale mostra del primo cerchio de l’inferno,
luogo detto Limbo, e quivi tratta de la pena de’ non battezzati e de’
valenti uomini, li quali moriron innanzi l’avvenimento di Gesù Cristo
e non conobbero debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di
questo luogo molte anime. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

Il Limbo - versi 1 - 63
Dopo lo svenimento di Dante causato da un fulmine vermiglio davanti
all'Acheronte, il poeta si sveglia a inizio del nuovo canto al rumore del tuono
sovrannaturalmente portato dall'altra parte del fiume: con quest'evento
prodigioso egli supera l'ostacolo della condizione di Caronte di non far
salire mai anima viva sulla sua barca.
Dante si sente confortato, si guarda attorno, e si accorge di essere sulla
nuova sponda degli infiniti guai, cioè dei lamenti eterni. L'aria eraOscura e
profonda e nebulosa, quindi per quanto egli cercasse di scorgere con gli
occhi non poteva vedere niente in particolare: è l'oscurità dell'Inferno,
dove il sole non batte mai. Virgilio infatti chiama quel luogo il cieco mondo,
e si appresta a iniziare il viaggio lui per primo e Dante dietro.
Virgilio però è tutto smorto e Dante, preoccupato per questo colorito, ne
chiede la ragione: Virgilio spiega che ciò è dovuto alla suaangoscia (intesa
come "tristezza"), di dover entrare nell'Inferno, e in particolare,
nonostante non lo specifichi, nel Limbo, il luogo della sua pena.
I due entrano così nel primo cerchio e Dante registra subito un dato
auditivo: non sente pianti ma solo sospiri, che
fanno tremare l'aria etterna (molte volte si insiste sull'eternità in questa
prima parte dell'inferno), per via del dolore che non è provocato da pene
fisiche (martiri), in quelle schiere d'infanti e di femmine e di viri.
È il Limbo, dal latino "limbus" orlo, dove sono tenuti coloro che non ebbero
peccati, se non quello originale di non essere stati battezzati: vi si trovano
quindi i bambini nati morti, le persone rette nate prima della venuta di
Cristo e quelle che per varie ragioni non ebbero modo di conoscere il suo
messaggio (Dante nominerà anche tre musulmani); inoltre vi erano tenuti gli
ebrei nell'attesa della venuta di Cristo, i quali furono liberati
da Gesù durante la sua discesa agli Inferi. Quindi, in contrasto alla dottrina
dei Padri della Chiesa, in particolare di San Tommaso d'Aquino, che
affermava che nel limbo risiedessero solo i bambini morti senza battesimo,
Dante racconta che nel limbo vi erano tutte le persone rette, ma non
battezzate.
Virgilio inizia allora a spiegare che lì si trovano coloro che non peccarono
ma, per quanti meriti (mercedi) avessero, essi non ebbero battesimo verso
la porta della fede: Virgilio stesso è tra questi e si sente perduto come gli
altri perché sanza speme vivemo in disio, cioè deve vivere senza la speranza
di vedere Dio, in un continuo desiderio e rimpianto.
Dante è toccato da questa confessione e chiede a Virgilio se di lì sia mai
uscito qualcuno per i suoi meriti e collocato tra i beati; Virgilio allora
racconta come, quand'era da poco in quello stato, vide venire Cristo (mai
nominato nell'Inferno e qui citato come un possente, / con segno di vittoria
coronato, / alto fattore, / nemico di tutti i mali), che portò via gli ebrei
dell'Antico Testamento, in particolare tutti coloro che si affidarono nelle
mani di Dio (Abramo, Noè, Mosè... etc). Tale episodio viene preso
dal Vangelo di Nicodemo.
Virgilio elenca:
Adamo (il primo parente)
Abele
Mosè
Noè
Abramo
Re Davide
Giacobbe (detto Israel)
Isacco (padre di Giacobbe)
I dodici figli di Giacobbe
Rachele, sua moglie che tanto gli costò (quattordici anni di servizio presso
il suocero)
altri molti (cioè tutti coloro che credettero nella venuta di Cristo).
Essi, spiega Virgilio, furono i primi uomini ad essere salvati.

I grandi poeti antichi - vv. 64 - 105


Mentre i due poeti parlando attraversano la selva, intesa come selva di
spiriti spiega Dante, egli nota un fuoco che vinceva la tenebra, illuminando
quel cerchio, così che egli può già intravedere l'orrevol (onorevole, degna di
onori) gente che vi era sistemata: nelle prossime terzine la parola "onore"
con i suoi derivati ricorrerà ben otto volte, ed è il concetto chiave della
descrizione.
Dante chiede a Virgilio, anima che onora scienza e arte, chi siano coloro
separati dal resto del cerchio per cotanta onranza, ed egli risponde che
sono quelli cui l'onorata nominanza, cioè il nome degno di gloria in vita, ha
acquistato in cielo una tale grazia da privilegiarli anche qui.
Una voce si leva quindi: "Onorate l'altissimo poeta; / l'ombra sua torna,
ch'era dipartita"; parole riferite a Virgilio e pronunciate da una delle
quattro ombre che Dante vede venire incontro a loro, dalle sembianze né
tristi né liete e questo non perché non soffrano anch'essi del vano desiderio
di vedere Dio, ma perché, essendo appunto privilegiati, non manifestano la
loro sofferenza. Virgilio fa le presentazioni prima che si avvicinino: il primo,
con la spada in mano è Omero poeta sovrano (e poeta epico, per questo la
spada; ma Dante non aveva mai letto le sue opere e lo conosceva solo tramite
accenni di poeti latini), segue Orazio satiro (dei Sermones e
delle Epistole), Ovidio e Lucano (questi ultimi due citatissimi
nella Comedìa dantesca, soprattutto all'Inferno). Virgilio spiega che sono
tutti poeti per questo lo hanno lodato a voce sola, cioè in coro.
Dante si unisce a questa schiera guidata da quel segnor de l'altissimo
canto (inteso in senso tecnico, come stile poetico tragico, quindi Omero, o
forse Virgilio stesso) dopo esser stato salutato e accolto tra loro con il
sorriso di Virgilio; essi lo accettano nella loro schiera, che per Dante fu il
più grande onore, d'essere il sesto in una compagnia così importante. Dante
quindi riconosce la sua diretta discendenza dai classici, ma, senza usare
modestia, che lui vedeva come qualità degli uomini modesti cioè mediocri,
con piacere si inserisce (e oggi possiamo confermare che può farlo di
diritto) in quella compagnia.
Il gruppo va quindi verso la luce, parlando cose che 'l tacere è bello quanto
fu bello chiacchierare laggiù: Dante non si dilunga raccontandoci la
conversazione.

Il castello degli spiriti magni - vv. 106 - 151


Essi arrivano così ai piedi di un nobile castello, con sette cerchie di mura e
un fossato con un bel fiumicello; essi lo attraversano camminandoci sopra
come su terra dura, poi attraversano sette porte fino a un prato con una
fresca vegetazione: sull'interpretazione di questi numeri simbolici si è
scritto molto senza trovare però un'insindacabile soluzione. Simile ai Campi
elisi virgiliani, molto probabilmente il castello rappresenta la nobiltà umana,
basata sulle quattro virtù morali (prudenza, giustizia, fortezza e
temperanza) unite alle tre virtù intellettuali (intelligenza, scienza e
sapienza); sono escluse le virtù teologali, le uniche che mancarono a queste
anime; oppure le sette cinte/porte sono le arti liberali e il castello
rappresenta la scienza; o ancora il castello della filosofia con le sue sette
ramificazioni. Per quanto riguarda il fiumicello esso sarebbe un ostacolo alla
nobiltà, passato con facilità dai poeti, che potrebbe rappresentare i beni
terreni o la vanità o altro. La luce stessa attorno al castello è un simbolo di
conoscenza.
Il castello è circondato da sette mura, sette volte cerchiato d'alte mura.
Il numero sette ha due interpretazioni simboliche differenti. La prima è
riferita alle sette virtù del buon cristiano: prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza (virtù anche del buon cittadino), fede, speranza e carità (virtù
teologali). La seconda è riferita alle materie che si studiavano all'epoca:
grammatica, dialettica, retorica (chiamate anche trivio), musica,
aritmetica, geometria e astronomia (dette quadrivio).
Nel castello sono ospitate persone che esprimono autorità, che hanno
occhi tardi e gravi, cioè lenti e dignitosi, che parlano raramente e quando lo
fanno hanno voci soavi. Dante e gli altri allora escono e salgono su un
monticello verdeggiante dal quale fosse possibile vedere tutti gli abitanti
del castello. Inizia poi l'elencazione degli spiriti magni.
Prima Dante elenca alcuni troiani, dai quali discesero i romani, popolo
privilegiato da Dio perché fondatore di Roma che sarà il caput
mundi tramite il papato. Essi sono:
 Elettra, progenitrice dei troiani, con molti compagni tra i quali
 Ettore
 Enea
 Cesare armato e con gli occhi minacciosi (grifagni)
Poi due vergini guerriere virgiliane:
 Camilla
 Pantasilea
Continuando con la storia romana, mitologica o reale, ci sono:
 Re Latino
 Lavinia
 Bruto (che cacciò Tarquinio il Superbo)
 Lucrezia
 Giulia
 Marzia
 Cornelia
Isolato, perché di una civiltà diversa, sta il grande comandante musulmano:
 Saladino
Dopo i nobili secondo alcuni critici di azione si passa ai nobili di pensiero,
ovvero i filosofi:
 Aristotele, indicato come 'l maestro di color che sanno / seder tra
filosofica famiglia
 Socrate
 Platone (questi ultimi che stanno più avanti degli altri, perché più
importanti)
 Democrito (che 'l mondo a caso pone)
 Diogene il Cinico (non è certa l'attribuzione)
 Anassagora
 Talete
 Empedocle
 Eraclito
 Zenone (non si sa quale)
Seguono un naturalista:
 Dioscoride
Poi di nuovo poeti e scrittori:
 Orfeo
 Cicerone (Tulïo)
 Lino
 Seneca
Matematici e astronomi:
 Euclide
 Tolomeo
Medici:
 Ippocrate
 Avicenna
 Galeno
Infine il commentatore di Aristotele:
 Averroè (terzo personaggio musulmano della serie: Averroìs che 'l
gran commento feo)
Dante chiude dicendo che non può ritrarre tutti (ha già impiegato nove
terzine per l'elenco), perché lo incalza il lungo tema, cioè il lungo viaggio da
narrare, che spesso gli farà trascurare alcune delle cose "accadute". La
compagnie dei sei quindi si divide in due: Dante e Virgilio si allontanano per
altra via, fuori dalla quiete dell'aere che trema (per i sospiri, come detto a
inizio di canto) e fuori dalla luce.

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