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Gregorio di Nissa

FINE PROFESSIONE E
PERFEZIONE DEL CRISTIANO
Traduzione introduzione e note
a cura di Salvatore Lilla

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. Cenni biografici1

Nato a Cesarea in Cappadocia tra il 332 e il 335


da Emmelia e da Basilio il Vecchio, famoso retore,
ebbe come fratelli maggiori san Basilio Magno e Nau-
crazio, come fratello minore Pietro vescovo di Seba­
ste e come sorella santa Macrina iunior. A partire dal
348 fu « lettore », uno dei prim i gradini della carrie­
ra ecclesiastica. Anche dietro la spinta del fratello
Basilio, non ancora battezzato, subì il fascino della
cultura e della retorica greca, e non potè sottrarsi al­
l'influenza del neoplatonismo e di Libanio, che era
allora il retore più famoso. Nel 365, sotto il regno di
Giuliano l’Apostata, abbandonò il suo posto di « let­
tore » per abbracciare la professione di « retore »,
suscitando il risentimento di Gregorio Nazianzeno.
Non per questo rinnegò però la sua fede: verso il 371
il fratello Basilio, divenuto vescovo di Cesarea, lo fece

1 Una biografia più dettagliata di Gregorio di Nissa si


trova nel volume: Gregorio di Nissa ■Giovanni Crisostomo,
La verginità, apparso in questa stessa collana nel 1976 (pp.
9-12). Qui ci limitiamo a ricordare i dati più importanti.
8 Introduzione

nominare vescovo di Nissa, piccola città della Cappa-


docia orientale.
Più spirito speculativo che uomo di azione, Gre­
gorio difettava di quelle qualità pratiche che pur era­
no necessarie ad un vescovo in quei tempi diffìcili.
Proprio per questa ragione neWinverno 375-376 il
vicario del Ponto Demostene, Ariano, ebbe buon gioco
nell’accusarlo di aver dilapidato i beni ecclesiastici:
nella primavera del 376 un sinodo di vescovi ariani
fedeli all'imperatore Valente, anch’egli ariano, depose
Gregorio dalla sua carica di vescovo. Solo nel 378,
dopo la morte dell'imperatore Valente alla battaglia
di Adrianopoli, Gregorio potè tornare a Nissa come
vescovo.
Nel 379, dopo la morte di Basilio, avvenuta il
primo gennaio di quell’anno, prese parte al concilio
di Antiochia; durante il viaggio di ritorno a Nissa (di­
cembre del 379) si recò ad Annesi sul Ponto per far
visita alla sorella Macrina, ormai in punto di morte.
Poco dopo, nel 380, dovette recarsi prima ad Ibora e
poi a Sebaste, per mettere pace in quelle Chiese. A
Nissa fece ritorno solo nella seconda metà del 380,
dopo aver contribuito alla nomina del fratello Pietro
a vescovo di Sebaste.
Nel 381 prese parte al secondo concilio ecume­
nico, tenutosi a Costantinopoli. Era ormai divenuto
una delle maggiori autorità dell’ortodossia orientale,
e come tale è citato nella legge del 30 luglio del 381
promulgata dall’imperatore Teodosio. Dopo la morte
della moglie Teosebia, avvenuta verso il 385, abbrac­
ciò la vita monastica, e nella solitudine del monastero
dell’Ibis fondato dal fratello Basilio deve aver vis­
suto gli ultimi anni della sua vita, facendo solo qual­
che comparsa a Costantinopoli. Dopo il 394 — l’anno
Introduzione 9

del locale sinodo costantinopolitano a cui prese par­


te — non si parla più di lui; la sua morte deve essere
quindi avvenuta in quell'anno o sùbito dopo.

2. Gli scritti ascetici

Dei tre scritti ascetici di Gregorio di Nissa conte­


nuti nel presente volume — Il fine cristiano, La pro­
fessione cristiana e La perfezione cristiana — il pri­
mo si riferisce specificamente all’ambiente monastico
in quanto vuol essere un vero e proprio codice morale
del comportamento dei m onaci2, mentre il secondo
e il terzo sviluppano in termini più generali la tema­
tica dell'imitazione di Cristo che, pur valendo soprat­
tutto per i monaci, può applicarsi anche a tutti colo­
ro che professano la religione cristiana.

2 Sul Fine cristiano ancora fondamentale è il lavoro di


W. Jaeger, Two rediscovered Works of ancient Christian
L iterature: Gregory of N yssa and Macarius, Leida 1954. Lo
Jaeger fa risalire il trattato agli ultim issim i anni della vita
di Gregorio, vale a dire a dopo il 390 (op. cit., pp. 118-119). Per
quanto riguarda i suoi rapporti con la cosiddetta « grande let­
tera » dello Pseudo-Macario, non è questa la sede per una
discussione approfondita: ci limiteremo a ricordare qui che
mentre lo Jaeger considera autentico lo scritto di Gregorio
e derivati da esso sia l ’excerptum stampato nel volume 46 della
Patrologia greca del Migne sia la « grande lettera » dello Pseu­
do-Macario, (cf. op. cit., pp. 37-47 e soprattutto p. 44), altri
studiosi pensano a un rapporto inverso o giungono sinanco
a negare l ’autenticità del trattato (ima rassegna delle tesi in
proposito — sostenute soprattutto da J. Gribomont, R. Staats
e J. Daniélou — si può trovare in G. May, Die Chronologie des
Lebens und der Werke des Gregor voti Nyssa, Écriture et
culture philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse,
ed. da M. Harl, Leida 1971, p. 62).
10 Introduzione

Il fine cristiano non è un documento storico para­


gonabile aZ/'Historia Lausiaca o a//’Historia monacho-
rum in Aegypto, che ci danno modo dì conoscere da
vicino Veremitismo e le comunità monastiche fiorite
in Oriente nei prim i secoli dell'era cristiana: non sof­
fermandosi sulla descrizione delle pratiche ascetiche
e della vita esteriore degli anacoreti e dei monaci, ma
tracciando il profilo ideale del monaco — non solo del
monaco dei tempi di Gregorio di Nissa ma del mona­
co di tutti i tempi —, esso varca gli angusti limiti cro­
nologici del IV secolo d.C. per diventare, grazie alla
sua altissima spiritualità, un documento di portata
universale.
Quattro sono i temi sui quali Gregorio insiste par­
ticolarmente in questo suo scritto e dai quali dipen­
de in definitiva il conseguimento della perfezione da
parte del monaco: la stretta unione tra la grazia dello
Spirito Santo, che si riceve tramite il battesimo, e
l’impegno personale nell’edificazione della virtù; la
lotta contro tutte le passioni — non solo quelle della
carne, ma anche e soprattutto quelle dell’anima, rap­
presentate in primo luogo dalla vanagloria e dall’orgo*·
glio; lo spirito di assoluta umiltà e abnegazione; l’in­
sistenza nella preghiera, rappresentata come la som­
ma virtù e come mezzo di unione tra l'anima e Dio.
a) La perfezione non può prescindere dall’e
librio tra l’intervento soprannaturale della grazia e
lo sforzo personale. In altre parole, il monaco non può
realizzare nessun progresso morale se la grazia dello
Spirito Santo trova un terreno sterile e non si com­
bina con l’impegno personale che è alla base della
virtù. « Il dono della grazia è commisurato agli sfor­
zi di chi lo riceve: mentre infatti la grazia dello Spi­
rito dona la vita eterna e la gioia nei cieli, è l’amore
Introduzione 11

per le fatiche, che si manifesta attraverso la fede, a


renderci degni di ricevere i doni e di godere della
grazia. Le azioni giuste e la grazia dello Spirito, quan­
do si trovano insieme, riempiono di vita beata l'ani­
ma su cui convergono, purché restino unite: se si se­
parano, non sono di nessuna utilità all'anima. La gra­
zia di Dio non può infatti, per propria natura, alber­
gare nelle anime che rifuggono dalla salvezza, e la
virtù umana, per quanto potente, non riesce da sola a
far salire al tipo di vita più alto l’anima priva di gra­
zia » 3. Mentre infatti la grazia dello Spirito restituisce
all’anima rigenerata dal battesimo la sua bellezza ori­
ginaria, deturpata e offuscata dai peccati, è l’impegno
della virtù a farle assumere una più alta dimensione
spirituale e a farla giungere a una completa maturità.
« La grazia dello Spirito Santo viene concessa a cia­
scuno perché chi la riceve possa progredire e cresce­
re... cosi anche l’anima appena nata... non deve rima­
nere sempre bambina e indugiare oziosa e immobile
cullandosi nella condizione propria della sua nasci­
ta, ma farsi irrigare dal proprio nutrimento spirituale
e alimentarsi con le virtù e le fatiche fino a raggiun­
gere le dimensioni richieste dalla sua natura » 4.
b) La vanagloria e l’orgoglio sono i due vizi
il monaco deve bandire prima di ogni altro sia nei
suoi rapporti con il prossimo sia nel suo impegno
ascetico dì ogni giorno in vista del raggiungimento
della perfezione. Perfettamente in armonia con i pre­
cetti evangelici, Gregorio sottolinea che le buone azio­
ni nei riguardi del prossimo non vanno compiute per
ricevere le lodi degli uomini, ma soltanto per rendersi

3 Pp. 46, 25-47, 11 Jaeger.


4 Pp. 44, 26-45, 14 Jaeger.
12 Introduzione

graditi a Dio; e lo stesso impegno posto nell’edifica­


zione spirituale non deve porta.re il monaco all’auto­
compiacimento e quindi alla superbia, ma fargli sen­
tire quanto sia ancora lontano dalla perfezione. « Egli
[il Signore] comanda a chi segue i comandamenti di
Dio di pensare a lui in ogni sua azione e di cercare di
piacere soltanto a lui, senza andare a caccia della glo­
ria umana: occorre rifuggire dalle lodi degli uomini
e dall’ostentazione » 5; « Se c’insuperbiamo per i doni
dello Spirito e prendiamo qualche nostro atto virtuoso
come spunto per gloriarci e vantarci, corriamo il peri­
colo... di rendere vane con la nostra tracotanza le
fatiche compiute, rivelandoci indegni della perfezione
verso la quale ci trascinava la grazia dello Spirito » 6;
« Chi è attaccato a quest’amore... non s’inorgoglisce
per ciò che ha realizzato... s’impegna fino alla fine
della sua vita... finisce con il rendersi prezioso di fron­
te a Dio, senza però presumere nella propria coscien­
za di essersi reso degno di lui » 7.
c) L ’eliminazione della vanagloria e dell’orgo
produce necessariamente, nell’anima del monaco, quel­
lo spirito di umiltà, di abnegazione e di rinunzia alla
propria personalità che deve caratterizzare sia il suo
atteggiamento di fronte a Dio sia il suo comportamen­
to nei riguardi dei confratelli e dei superiori: « Dob­
biamo produrre la contrizione nei nostri cuori... » 8;
« Chi disprezza le cose che hanno valore in questa vita...
deve rinnegare assieme alla vita anche la propria ani­
ma. Rinnegare l’anima significa non cercare mai di

5 P. 52, 1-5 Jaeger.


6 P. 65, 1-7 Jaeger.
7 Pp. 65, 17-66, 4 Jaeger.
8 P. 65, 12-13 Jaeger.
Introduzione 13

assecondare la propria volontà » 9; « [Il monaco] deve


sottomettersi a tutti e servire i confratelli come un
debitore, preoccupandosi di tutti nel suo intimo e
manifestando l’amore dovuto » 10; « Nessun orgoglio
sia visibile in voi... ognuno si convinca di essere infe­
riore non solo al confratello che vive con lui ma ad
ogni altro uomo » n. Non solo nel semplice monaco,
ma anche nel superiore deve albergare quest’atteggia­
mento di profonda umiltà: « Anche i superiori di que­
sto coro spirituale devono rendersi conto dell'impor­
tanza delle loro preoccupazioni... e impegnarsi in modo
degno del loro ufficio, senza insuperbire i loro pensie­
ri fino all'arbitrio » 12; « Se nell’intimo del loro pensie­
ro conservano grazie alla fede l’umiltà come dei buoni
servi, con una tale vita si preparano un gran pre­
mio » 13.
d) La preghiera è considerata da Gregorio
corifeo delle virtù, in quanto è tramite essa che chie­
diamo le rimanenti virtù a Dio » 14. Essa, inoltre, rap­
presenta il mezzo dell'unione dell’anima del monaco
con Dio e il bene più grande: « Chi insiste nella pre­
ghiera si unisce a Dio in una stretta comunione, gra­
zie a una santità mistica, a un’energia spirituale e a
una disposizione d’animo ineffabile » 15; « Il confra­
tello che si dedica interamente a questo tipo di virtù
— parlo della preghiera — va in cerca di un gran te­
soro e ama il bene più grande » 16.

9 Pp. 66, 19-67, 3 Jaeger.


»° P. 68, 12-15 Jaeger.
11 Pp. 70, 20-71, 2 Jaeger.
12 Pp. 68, 15-69, 3 Jaeger.
13 P. 63, 14-16 Jaeger.
14 P. 78, 9-11 Jaeger.
15 P. 78, 1.1-13 Jaeger.
16 Pp. 80, 15-81, 1 Jaeger.
14 Introduzione

In questo quadro caratterizzato dalla netta pre­


dominanza di temi tipicamente cristiani — la dottrina
della grazia, la condanna della vanagloria, l’esortazio­
ne all’umiltà e l’esaltazione della preghiera — non
mancano dei motivi derivanti dalla filosofia greca.
Cosi, l’idea dell'impegno nell’attuazione della virtù
richiama il concetto greco dell’aretè, anche se poi
finisce con il risolversi nell’attuazione delle virtù cri­
stiane dell’umiltà e dell’obbedienza; l’idea della puri­
ficazione, connessa con quella della contemplazione
della « luce intellegibile e ineffabile » 17 richiama ana­
loghi concetti platonici e neoplatonici; l ’idea dell’imi­
tazione di Cristo e della somiglianza a lu i18 — che di­
verrà basilare nella Professione cristiana e nella Per­
fezione cristiana — è, in fondo, quella platonica della
xnimesis e della homoiosis theó; l’accenno alla neces­
sità di liberarsi dalle passioni19 ripropone un ideale
stoico fatto proprio da Filone e dal neoplatonismo; la
dottrina dell’unione delle virtù tra loro 20 è parimenti
stoica e si ritrova nel neoplatonismo; infine, la raffi­
gurazione della ragione come pilo ta 21 ha la sua origi­
ne in Platone ed è ripresa da tutto il platonismo suc­
cessivo. A differenza però di quanto avviene in altre
opere di Gregorio, tutti questi motivi sembrano nel
Fine cristiano degli spunti occasionali, e vengono
quasi messi in ombra dalla grande tematica pretta­
mente cristiana.
L’idea della scrupolosa imitazione di Cristo — già
presente, come abbiamo osservato, nel Fine cristiano

17 P. 48, 1-5 e p. 79, 17 Jaeger.


18 P. 50, 1-5 Jaeger.
19 P. 84, 18 Jaeger.
μ P. 77, 18-19 Jaeger.
21 P. 82, 1-2 Jaeger.
Introduzione 15

— diventa il motivo basilare degli altri due scritti, La


professione cristiana e La perfezione cristiana. Il tema
trattato in essi è lo stesso, ed è ancora estremamente
attuale: la qualifica di « cristiano », secondo Gregorio,
non può e non deve rappresentare una semplice eti­
chetta o una maschera per chi se ne fregia, ma deve
penetrare nell'interno dell’anima e diventare una vera
e propria norma di vita, da realizzarsi appunto attra­
verso l'imitazione di Cristo. Chi vuol essere cristiano
non solo a parole ma nei fatti deve cioè cercare di rea­
lizzare in sé tutte quelle virtù che sono presenti come
modelli in Cristo e di cui la sua regalità — espressa
appunto dal termine « Cristo » — costituisce la più
alta espressione. San Paolo è per Gregorio colui che
più di ogni altro ha saputo comprendere quelli che
sono gli attributi essenziali di Cristo; è quindi a lui
che egli si rifà nella sua enumerazione delle varie
virtù che il vero cristiano deve realizzare in sé. Già
nella Professione cristiana Gregorio, basandosi su san
Paolo, ricorda che Cristo è giustizia, sapienza, potenza,
verità, bontà, vita, salvezza e incorruttibilità72; ma è
soprattutto nella Perfezione cristiana che egli sviluppa
pienamente questa tematica enumerando prima, e spie­
gando esaurientemente poi, tutti gli attributi a cui san
Paolo ha fatto ricorso per definire Cristo: potenza e
sapienza di Dio, pace, luce inaccessibile in cui abita
Dio, santificazione, redenzione, gran sacerdote, Pasqua,
offerta espiatoria per le anime, splendore della gloria,
espressione della sostanza del Padre, creatore dei seco­
li, cibo e bevanda spirituale, pietra, acqua, fondamen­
to della fede, vertice dell’angolo, immagine del Dio in­
visibile, grande Dio, capo del corpo della Chiesa, pri­

22 P. 134, 17-19 Jaeger.


16 Introduzione

mogenito della nuova creazione, primizia dei morti,


figlio primogenito risorto, primogenito di m olti fra­
telli, intermediario tra Dio e gli uomini, figlio unige­
nito incoronato di gloria e di onore, signore della
gloria e principio degli e s s e r i G r e g o r i o analizza
minutamente ciascuno di questi termini secondo il
punto di vista della sua teologia mistica, e illustra
quindi il modo in cui essi possono adattarsi all’a­
nimo di colui che deve cercare di farli propri per
meritare la qualifica di « cristiano ». Ed è qui che
si fa sentire in tutta la sua veemenza lo slancio
mistico di Gregorio. Certi m otivi neoplatonici e filo­
niani — non ancora presenti o semplicemente accen­
nati nel Fine cristiano — assumono dei contorni mol­
to più netti e marcati nella Professione cristiana, e nel­
la Perfezione finiscono con l'influenzare fortemente
l’interpretazione che Gregorio dà di alcuni termini
paolini.
Queste due opere di Gregorio non sono quindi
soltanto dei semplici scritti ascetici e di edificazione
spirituale, ma anche dei veri e propri trattati teologici,
d'importanza basilare per la comprensione della teo­
logia del vescovo di Nissa. Quando, nella Professione
cristiana, Gregorio dice che Dio « attraversa tutto il
creato in modo uguale » 24 non può non venire in men­
te la dottrina stoica del pneuma, ripresa dalla Sapien­
za di Salomone, da Filone e da Plotino nella sua con­
cezione dell'anima mundi; quando, nello stesso scrit­
to, Gregorio afferma che « nulla potrebbe continuare
ad esistere se fosse separato dall’essere superiore » 25

23 Pp. 175, 15-176, 7 Jaeger.


24 Pp. 138, 27-139, 1 Jaeger.
25 P. 139, 1-2 Jaeger.
Introduzione 17

egli espone una dottrina neoplatonica che sarà ripre­


sa e sviluppata, un secolo più tardi, dallo Pseudo-Dio-
nigi l’Areopagita nel quinto capitolo del suo trattato
Sui nomi divini; quando, sempre nella Professione cri­
stiana, Gregorio presenta Dio come colui « che tutto
stringe dentro di sé con la sua forza, che tutto abbrac­
cia » 26, egli non fa che riprendere una dottrina filo­
niana, presente anche in Plotino; quando, infine, nella
Perfezione cristiana Gregorio, per spiegare le due idee
paoline della potenza e della sapienza di Dio, dice che
Dio, nel momento in cui crea l’universo, prima lo pen­
sa e poi traduce in atto ciò che ha pensato*1, egli fa
uso di una dottrina già formulata da Filone e dal neo·
platonismo. E nella Perfezione cristiana i tre concet­
ti della trascendenza assoluta, dell’inconoscibilità e
dell'ineffabilità di Dio — Dio si allontana sempre da
chi cerca di raggiungerlo, è superiore a qualsiasi com­
prensione umana e supera di gran lunga ciò che la
parola riesce a esprimere nei suoi riguardi — sono
idee basilari della teologia non solo di Gregorio, ma
anche di Filone e di Plotino.

* P. 139, 3-4 Jaeger.


* P. 182, 13-17 Jaeger.

N ota: La presente traduzione italiana si basa sull’edi­


zione critica di W. Jaeger, Gregoriì N ysseni opera ascetica
{Gregorii N ysseni opera, Voi. V ili, Pars I), Leida 1952. Quan­
do ci siamo distaccati dal suo testo — si tratta di raris­
simi casi — ne abbiamo spiegato le ragioni in nota. Tutti i
passi scritturali citati dallo Jaeger nell’apparatus fontium
sono stati da noi ricontrollati sull’edizione greca deÌl'Antico
e del Nuovo Testamento; abbiamo avuto cosi m odo di sco­
prire alcune inesattezze, che abbiamo segnalato nelle note.
Gregorio di Nissa

FINE PROFESSIONE
E PERFEZIONE DEL CRISTIANO
I. IL FINE CRISTIANO

Scritto di Gregorio vescovo di Nissa sul fine conforme


ai voleri di Dio e sulla vera ascesi

Chi, dopo avere staccato il pensiero dal corpo ed


essersi liberato dalla schiavitù delle passioni e dalla
propria follia, osserva la propria anima con la mente
schietta e pura, vede chiaramente riflessi nella sua na­
tu ra l'amore di Dio per noi e l'intento della sua crea­
zione. In effetti, conducendo il suo esame in tal modo,
egli constata che l'impulso che porta a desiderare le
cose belle e migliori fa parte integrante dell'essenza
e della natura dell'uomo, e che parim enti legato alla
sua natura è il suo amore, scevro da passioni e beato,
per quell'immagine intellegibile e b e a ta 1 di cui l'uo­
mo stesso non è che l'imitazione. Ma l'errore prodot­
to dalle cose visibili e perennemente instabili, serven­
dosi delle passioni irrazionali e dell’amaro piacere, in­

1 Si tratta deirimmagine di Dio, che Dio stesso ha creato


mettendo insieme tutte le virtù e le qualità superiori, per­
ché l’uomo ne divenga partecipe. Due passi del De hominis
opificio di Gregorio aiutano a comprendere quest’idea basila­
re: « Pensa che il nostro Creatore ha adom ato l’immagine con
le virtù come se fossero dei colori, adeguandola alla propria
bellezza ed esprimendo in noi la sua sovranità » (PG 44. 137 A);
« Questi fiori il demiurgo della propria immagine ha impresso
sulla nostra natura » (PG 44. 137 B). Cf. anche M. Naldini, Per
una esegesi del « De hominis opificio » di Gregorio di Nissa,
in Studi ital. di filologia classica, 45 {1973), pp. 93-97.
22 Gregorio di Nissa

ganna e incanta l'anima resa negligente e incauta dal­


la sua indolenza, e la conduce verso un terribile vizio,
generato dai piaceri della vita e generatore a sua volta
di m orte in chi lo ama. Per questo la grazia del Sal­
vatore nostro ha fatto dono a coloro che sono dispo­
sti a riceverla della conoscenza della verità, salvifico
farmaco delle anime: è proprio essa a distruggere
l’errore che incanta l'uomo e a spegnere i vili pensieri
della carne, nel momento in cui l’anim a che ha rice­
vuto la conoscenza viene guidata verso il divino e la
salvezza dalla luce della verità.
Poiché dunque, dopo avere ricevuto degnamente
questa conoscenza ed avere impresso al divino amore
un corso conforme alla natura assegnata all’anima, vi
siete radunati qui volentieri, ripetendo tutti insieme
quello che avevano fatto gli apostoli negli A tti2, e desi­
derate sentire da noi un discorso che vi faccia da gui­
da e da capo nel cammino della vita, che sia in
grado di condurvi per la via diritta, e che vi mostri
con esattezza qual è la m èta di questa vita per coloro
che la percorrono, qual è la volontà buona, accetta­
bile e perfetta di D io3, qual è la strada che conduce a
tale mèta, come devono convivere coloro che la per­
corrono, come devono comportarsi i superiori quando
dirigono i m onasteri4 e quali sforzi devono compiere
coloro che intendono salire fino alla somma virtù e
preparare le loro anime a ricevere degnamente lo Spi­
rito; poiché, dunque, ci chiedete un discorso che non
venga profferito soltanto dalla bocca, ma che s'impri­

2 Cf. Atti, 1, 6.
3 Rom. 12, 2.
4 Per indicare i m onasteri Gregorio usa l'espressione
« philosophias ohorós »: cf. la nota dello Jaeger, app. crit.,
p. 41.
Il fine cristiano 23

ma in imo scritto, in modo che possiate custodirlo in


esso e servirvene come una n o rm a 5 nelle necessità
presenti come se attingeste alla dispensa del ricordo,
cercheremo di parlare in questo momento di fervore
conformandoci alla grazia dello Spirito che ci guida.
Sappiamo bene che la norm a della vostra religiosità
è fermamente radicata nel retto insegnamento della
fede: essa non consente alterazioni di alcun genere
nella divinità unica della beata ed eterna Trinità, e
obbliga a concepirla e ad adorarla nelle tre persone
attribuendo loro la stessa essenza, la stessa gloria
e la stessa volontà conformemente alla professione di
fede che, sulla scorta di numerose testimonianze, ab­
biamo già avuto modo di formulare con l'aiuto dello
Spirito che ci ha lavati nella fonte del m istero6. Con­
sapevoli del fatto che questa pia e giusta professione
di fede si trova ben fissa nel profondo della vostra ani­
ma assieme all'impulso che vi porta a salire in alto
verso il bello e la beatitudine superando il corso delle
cose, scriviamo per voi brevemente dei semi d'insegna­
mento che trascegliamo dai fr u tti7 già concessici dal­
lo Spirito. Spesso, là dove ce ne sarà bisogno, per
rendere credibile ciò che diremo e per manifestare
la nostra opinione in proposito, riporterem o le stesse
parole della Scrittura: in tal modo, non daremo l'im­
pressione di abbandonare la grazia superiore, di gene­

5 Per il testo greco che sta alla base della traduzione ita­
liana cf. l'apparato critico dello Jaeger, p. 42, 1. 3. Il testo
greco di questo passo è corrotto.
6 Allusione al concilio di Costantinopoli del 38.1, nel quale
Gregorio svolse un ruolo m olto attivo: cf. la nota dello Jaeger,
app., p. 42.
7 La traduzione « frutti » si basa suH'emendamento pro­
posto dallo Jaeger nell’apparato: cf. p. 42, 1. 18.
24 Gregorio di Nissa

rare creature spurie in virtù di vili e bassi calcali, e


di forgiare, insuperbiti da vani pensieri, con l’aiuto di
ragionamenti estranei, dei simulacri di religiosità da
inserire irresponsabilmente nelle Scritture.

Il male nulla può contro la potenza del Signore

Chi intende accostare a Dio l’anima e il corpo


conformandosi alla legge della religiosità e offrirgli
un’adorazione pura ed im m acolata7a, deve quindi por­
re a guida della sua vita quella pia fede che i santi
proclamano ad alta voce in tu tta la Scrittura e affidare
al corso della virtù un’anima obbediente e docile, scio­
gliendosi in modo puro dai ceppi di questa vita e stac­
candosi da ogni schiavitù verso le cose meschine e
vane. Egli sa bene che nell'uomo in cui albergano
la fede religiosa e una vita irreprensibile è presente
anche la potenza di Cristo, e che dall’uomo in cui è
presente la potenza di Cristo rifuggono tutti i mali e
la m orte che ci priva della vita. Il male non è infatti
tanto forte da potere opporsi alla potenza del Signore,
ma ha potuto nascere in virtù della disobbedienza ai
comandamenti. La sorte che toccò al primo uomo
creato tocca a tutti coloro che imitano con un libero
atto di volontà la sua disobbedienza. Coloro, invece,
che si accostano allo Spirito con la mente pura e che
possiedono una fede nutrita da una totale certezza,
non avendo alcuna macchia nella loro coscienza, ven­
gono purificati dalla potenza dello Spirito, secondo le
parole dell'Apostolo: « Il vangelo che vi annunziamo
non nasce solo dalle parole, ma dalla potenza, dallo

Cf. Rom. 12, 1.


[I fine cristiano 25

Spirito Santo e dalla grande fiducia, come voi sapete;


possano il vostro spirito, la vostra anima e il vostro
corpo conservarsi integri in modo irreprensibile nel
nome del Signore nostro Gesù Cristo » 8. Fu proprio
Cristo a offrire con il battesimo la garanzia dell'im­
m ortalità alle persone degne, affinché il talento asse­
gnato a ciascuno di noi producesse la ricchezza invisi­
bile facendo fruttare quanto ci era stato affidato 9. In
effetti, in vista dell'acquisizione dei beni intellegibili
molto im portante è, o fratelli, il santo battesimo per
coloro che l'accolgono con timore reverenziale. Lo spi­
rito ricco e abbondante, riversandosi sempre su colo­
ro che ricevono la grazia — gli apostoli riempiti di
essa mostrarono alle Chiese di Cristo i frutti della sua
pienezza — rimane come aiutante e inquilino in chi ne
accetta il dono in modo puro, in proporzione alla mi­
sura della fede di colui che ne è partecipe. In cia­
scuno costruisce il bene, stimolando l'anima nelle ope­
re della fede, secondo le parole del Signore, il quale
dice che chi riceve la mina la riceve10 per fare frut­
tare ciò che gli è stato d a to 11: ciò significa che la gra­
zia dello Spirito Santo viene concessa a ciascuno per­
ché chi la riceve possa progredire e crescere. L'anima
rigenerata dalla potenza di Dio deve, infatti, nutrirsi
fino a raggiungere le dimensioni proprie della m atu­
rità intellegibile dello Spirito, facendosi irrigare in
misura sufficiente dal sudore della virtù e dalla con­
cessione della grazia. Come il corpo, dopo che il feto
è venuto alla luce, non resta fermo all’età tenera, ma

« 1 Tess. 1, 5 e 5, 23.
» Cf. Mt. 25, 16-17.
10 Per il testo greco che sta alla base della traduzione cf.
l’apparato dello Jaeger, p. 44, 1. 25.
u Cf. Le. 19, 16-19.
26 Gregorio di Nissa

corroborato dai nutrim enti materiali progredisce se­


condo le leggi della natura fino a raggiungere la mi­
sura assegnatagli, cosi anche l'anim a appena nata, in
cui la presenza dello Spirito distrugge la malattia
prodotta dalla trasgressione e rinnova l’originaria bel­
lezza n a tu rale12, non deve rimanere sempre bambina
e indugiare oziosa e immobile, cullandosi nella con­
dizione propria della sua nascita, m a farsi irrigare
dal proprio nutrimento spirituale e alimentarsi con
le virtù e le fatiche fino a raggiungere le dimensioni
richieste dalla sua natura. In tal modo, grazie alla
potenza dello Spirito e per mezzo della propria virtù,
non offre più alcuna presa al ladro che tende tante
insidie invisibili alle anime.

L ’elevazione dell’uomo

L’uomo deve quindi sempre elevarsi fino a diven­


tare perfetto, cosi come dice l'Apostolo: « Finché non
approderemo tutti nell’unità della fede e della cono­
scenza del Figlio di Dio, nell'uomo perfetto, nell'età
propria della pienezza di Cristo, per non essere più dei
bambini sbattuti e trascinati nella malvagità dai ven­
ti di tu tti gl'insegnamenti che li portano a seguire l'er­
rore, per crescere al contrario nella verità fino a rag­
giungere sotto ogni aspetto lui, Cristo, che è il nostro
capo » u. Altrove, sempre l'Apostolo dice: « Non ade­
guatevi a questo secolo, m a trasformatevi rinnovando

12 Allusione alla perfezione dell'immagine divina posseduta


dall’uomo quando fu creato e successivamente corrotta e of­
fuscata dai suoi peccati. Per quest’idea cf. anche De virgini-
tate (pp. 78-80 della mia traduzione italiana, apparsa in que­
sta stessa collana).
» Ef. 4, 13-15.
Il fine cristiano 27

la vostra mente, fino a considerare quella che è la


volontà buona, accettabile e perfetta di Dio » 14. Per
volontà perfetta di Dio egli intende la formazione, sot­
to l’effetto della religiosità, ddl'anim a che la grazia
dello Spirito, unendosi agli sforzi di chi la riceve, fa
giungere alla più alta fioritura. L'aumento delle dimen­
sioni del corpo nella crescita non dipende da noi: la
natura, nel misurare la grandezza fisica, si basa non
sulle nostre opinioni o sui nostri piaceri, ma soltan­
to sul suo impulso e le sue necessità; nel caso invece
deH’anima che si rinnova nella sua rigenerazione, le
dimensioni e la bellezza prodotte dalla grazia dello
Spirito per mezzo deirimpegno di chi la riceve dipen­
dono dalle nostre intenzioni. Quanto più infatti t'im ­
pegni nella gara della religiosità, tanto più aumenta la
grandezza della tua anima, proprio grazie ai cimenti
e alle fatiche che anche il Signore c'impone là dove
dice: « Gareggiate per entrare attraverso la porta più
stretta; sforzatevi: chi si sforza riesce a strappare il
regno dei cieli; chi sopporta fino alla fine si salva;
con la vostra sopportazione vi salverete l'anima » 1S.
L'Apostolo, da parte sua, dice: « Sopportando corria­
m o nella gara che ci viene proposta; correte per pren­
dere; come servi di Dio, con m olta sopportazione,
ecc. » 16. Egli ci esorta a correre e ci comanda di parte­
cipare con fervore nella gara perché il dono della gra­
zia è commisurato agli sforzi di chi lo riceve: mentre
infatti la grazia dello Spirito dona la vita eterna e la
gioia nei cieli, è l'amore per le fatiche, che si mani­
festa attraverso la fede, a renderci degni di ricevere

m Rom. 12, 2.
15 Le. 13, 24; Mt. 11, 12 e 10, 22; Me. 13, 13; Le. 21, 19.
« Ebr. 12, 1; 1 Cor. 9, 24; 2 Cor. 6, 4.
28 Gregorio di N'issa

i -doni e di godere della grazia. Le azioni giuste e la


grazia dello Spirito, quando si trovano insieme, riem­
piono di vita beata l'anima su cui convergono, purché
restino unite: se si separano non sono di nessuna
utilità all'anima. La grazia di Dio non può infatti, per
propria natura, albergare nelle anime che rifuggono
dalla salvezza, e la virtù umana, per quanto potente,
non riesce da sola a far salire al tipo di vita più alto
l’anima priva di grazia. « Se — è detto — non è il
Signore a costruire la casa e a custodire la città, inu­
tilmente veglia il custode e si affatica il costrutto­
re » 17; ed è detto anche: « Non erediteranno la terra
con la spada, e il loro braccio non li ha salvati, anche
se nelle gare hanno fatto uso di spade e di braccia; li
hanno salvati invece la tua destra, il tuo braccio e la
luce del tuo volto » Che cosa ha voluto dire colui
che ha parlato cosi? Si è riferito all’aiuto del Signore
che scende dall’alto su chi opera, ed ha anche ricor­
dato che coloro che credono di ottenere la corona
soltanto con le proprie fatiche non devono pensare
in modo umano, ma rim ettere sempre al volere di
Dio ogni speranza di conseguire il fine desiderato.

L ’anima sposa di Cristo

Bisogna dunque conoscere quel volere di Dio che


deve tener presente e verso cui deve tendere chi aspi­
ra alla vita beata, e al quale deve conformare la pro­
pria vita chi veramente desidera la beatitudine. La
volontà perfetta di Dio esige che, per mezzo della gra­
zia, si purifichi l'anima da ogni sozzura ponendola

w Sai. 126, 1.
i* Sai. 43, 4.
Il fine cristiano 29

al disopra dei piaceri corporei e che la si accosti pura


a Dio, nel momento in cui essa desidera e può vedere
la luce intellegibile e ineffabile. Anche il Signore chia­
ma beate tali persone là dove dice: « Beati i puri di
cuore, perché vedranno Dio » 19. Altrove proclama:
« Diventate dunque perfetti, com’è perfetto il vostro
Padre celeste » 20. Anche l’Apostolo esorta a correre
verso questa perfezione dicendo: « Affinché io possa
presentare ogni uomo perfetto in Cristo; per questo
mi affatico e lotto » 21. Anche David, parlando in virtù
di u n ’ispirazione, insegna a coloro che vogliono vive­
re rettam ente la strada della vera filosofia, che è neces­
sario percorrere per giungere alla mèta perfetta, chie­
dendo al dispensatore < d i grazie > ciò che lo Spirito
annunzia tram ite lui: « Divenga — è detto — il mio
cuore irreprensibile nelle mie azioni giuste, affinché
io non abbia a vergognarmi » n. <Lo S p i r i t o ordina
di temere la vergogna e di spogliarsene come se fosse
ima veste sudicia e vile a coloro che se ne vestono a
causa dei loro vizi; e aggiunge: « Allora non mi vergo­
gnerò di pensare a tutti i tuoi comandamenti » 23. Os­
serva come lo Spirito consideri la sicurezza un comple­
mento dei comandamenti. Dice inoltre: « Fonda in me,
o Dio, un cuore puro, rinnova uno spirito retto nelle
mie viscere, e sorreggimi con uno spirito che mi faccia
da guida » 24. Altrove chiede: « Chi salirà al monte del
Signore? » 25. E risponde: « Chi ha le mani nette ed

w Mt. 5, 8.
20 Mt. 5, 48.
Col. 1, 28-29.
22 Sai. 118, 80.
23 Sai. 118, 6.
» Sai. 50, 12 e 50, 14.
25 Sai. 23, 3.
30 Gregorio di Nissa

è puro di cuore » 26. Conduce al monte di Dio chi è


assolutamente puro, chi fino alla fine non ha contami­
nato la sua anima né con i pensieri né con le azioni,
chi non ha perseverato nel male, chi, ricevendo lo Spi­
rito-guida tram ite le sue buone azioni e i suoi buoni
pensieri, ha ricostruito puro il suo cuore, già corrotto
dal vizio. Il santo Apostolo d a parte sua, parlando
della verginità a coloro che hanno scelto di vivere in
sua compagnia, dà uno schizzo di quella che deve
essere una vita di tal fatta: « La vergine — dice — si
preoccupa delle cose del Signore per rim anere santa
nel corpo e nello spirito » 71) egli intende parlare della
purezza dell'anima e della carne. Inoltre, ingiunge di
rifuggire il più possibile da ogni peccato sia visibile
che nascosto, vale a dire di tenersi lontani in modo
assoluto dai peccati commessi con le azioni e con il
pensiero: il fine deH'anima che onora la verginità è
infatti quello di accostarsi a Dio e di diventare sposa
di Cristo.
Chi desidera entrare in fam iliarità con qualcuno
deve fare proprio il suo carattere, imitandolo; di con­
seguenza, l'anima che desidera diventare sposa di Cri­
sto deve per quanto è possibile rendersi simile alla
sua bellezza tram ite la virtù: non ci si può unire ad
una luce se non si risplende imitandola. Ho sentito le
parole dell'apostolo Giovanni: « Tutti coloro che nu­
trono questa speranza si santificano, alla stessa ma­
niera di lui » 28. E l'apostolo Paolo dice: « Im itate me,
cosi come io imito Cristo » 29. L’anima che ha intenzio­
ne di salire verso il divino e di attaccarsi a Cristo deve

» Sai. 23, 4.
« 1 Cor. 7, 34.
1 Gv. 3, 3.
» 1 Cor. 11, 1.
Il fine cristiano 31

bandire da sé tutti i peccati, sia quelli che si com­


mettono apertamente con le azioni — parlo dei furti,
delle rapine, degli adulteri, dell'avidità, della fornica­
zione, delle cattive parole e di tutti i tipi di peccati
visibili — sia quelli che si nascondono nell'anima di
un uomo e che, senza farsi riconoscere dalle altre per­
sone, lo corrodono in modo amaro con i loro terribili
denti — mi riferisco all’invidia, alla mancanza di fede,
alla malignità, all'inganno, al desiderio delle cose che
non si devono desiderare, all'odio, alla millanteria,
alla vanagloria e a tutto lo sciame di vizi interiori,
odiati e aborriti dalla Scrittura al pari dei peccati visi­
bili, simili tra loro e provenienti da un unico vizio30.
Di chi disperde le ossa il Signore31? Non disperde
forse le ossa di coloro che vogliono piacere agli uomi­
ni? Chi aborrisce il Signore come esecrato e contami­
nato? Non aborrisce forse l'uomo macchiato di san­
gue ed ingannatore32? Non impreca apertamente David
contro coloro che parlano di pace con il prossimo ma
che tramano il male nei loro cuori, gridando: « Com­
pensali secondo le loro opere » 33? E aggiunge: « Sulla
terra agite con il cuore pieno d'iniquità » M. Dio chia­
ma opera del peccato il movimento nascosto35: per
questo ci dice di non cercare le buone parole degli
uomini e di non vergognarci della loro mancanza di
stim a3*. La Scrittura priva dei beni celesti chi com­

30 Allusione alla dottrina stoica della sostanziale unità dei


vizi: cf. il mio precedente volume: Gregorio di Nissa - Giovanni
Crisostomo, La verginità, prefazione, p. 18.
Cf. Sai. 17, 15; 143, 6.
32 Sai. 5, 7.
33 Sai. 23, 3-4.
3" Sai. 57, 3.
35 Cf. Rom. 2, 16.
36 Cf. Mt. 6, 2; 6, 5; 6, 16; 5, 11.
32 Gregorio di Nissa

misera il povero ostentatamente e mena vanto sulla


terra della propria carità; se vuoi piacere agli uomi­
ni e dai solo per essere lodato, il prem io della tua
buona azione consiste tutto nelle lodi degli uomini,
per ottenere le quali hai ostentato la tua misericordia.
Non cercare quindi il premio celeste: hai abbassato
troppo le tue azioni; non aspettarti onori da Dio: li
hai già ricevuti dagli uomini. Desideri ima gloria im­
mortale? Mostra di nascosto la tua vita a colui che
può offrirti ciò che vuoi. Temi la vergogna eterna?
Abbi tim ore di colui che la svela nel giorno del giu­
dizio. Come mai allora il Signore dice: « Risplenda la
vostra luce al cospetto degli uomini affinché vedano
le vostre belle azioni e glorifichino il Padre vostro
che è nei cieli »?37.

Rifuggire dalle lodi degli uomini

Perché egli comanda a chi segue i comandamenti


di Dio di pensare a lui in ogni sua azione e di cerca­
re di piacere soltanto a lui, senza andare a caccia
della gloria umana: occorre rifuggire dalle lodi degli
uomini e dall'ostentazione e farsi riconoscere da tutti
tram ite la vita e le opere, affinché tutti ne diventino
spettatori. <11 Signore> non ha detto: « Affinché tu t­
ti ammirino chi mena ostentazione », ma: « Affinché
tu tti glorifichino il Padre vostro che è nei cieli » 38: egli
ci ordina di far risalire ogni gloria a colui che tiene
in serbo il premio delle azioni virtuose, e di compiere
ogni azione secondo il suo volere. Quanto a te, ti
comanda di evitare e di rifiutare le parole di lode pro­

37 Mt. 5, 16.
3» Mt. 5, 16.
Il fine cristiano 33

venienti dalle lingue degli uomini e da questa terra:


chi le cerca e regola la propria vita in conformità,
non solo si priva della gloria celeste, m a deve atten­
dersi fin da ora anche un castigo: « Guai — è detto —
quando tutti parlano di voi » 39. Rifuggi quindi da ogni
onore umano, che sbocca nella vergogna e nel diso­
nore eterni; aspira invece alle lodi di lassù, ripetendo
le parole di David: « Da te provengono le mie lodi;
nel Signore sarà lodata la m ia anima » 40. Il beato
Apostolo non perm ette neanche a chi mangia di pren­
dere tranquillamente il cibo che gli sta dinnanzi, ma
gli ordina di glorificare innanzi tutto chi gli ha dato
la possibilità di vivere41: per questo proclama sempre
il dispregio della gloria umana, e la ricerca della glo­
ria che proviene solo da Dio. Chi si trova in queste
condizioni è chiam ato dal Signore fedele; chi invece
desidera la stima di quaggiù, è annoverato tra gl'in­
fedeli. « Come potete credere — dice — se vi glorifi­
cate reciprocamente, e non cercate la gloria che pro­
viene solo dal Signore? » 42. Se poi vuoi comprendere
la natura dell’odio, ascolta la parola di Giovanni: « Chi
odia il proprio fratello è un omicida; sapete che l’omi­
cida non gode della vita eterna » 43. Egli scaccia dalla
vita eterna come se fosse un omicida chi odia il fra­
tello ed anzi, senza mezzi termini, chiama omicidio
l’odio: chi infatti distrugge e corrompe l'amore per il
prossimo diventando nemico invece che amico va giu­
stamente annoverato tra gli om icidi44, giacché conser-
39 Le. 6, 26.
40 Sai. 21, 26; 33, 3.
« Cf. 1 Cor. 10, 31.
« Gv. 5, 44.
« 1 Gv. 3, 15.
44 Per il testo greco su cui si basa la traduzione italiana,
of. l'apparato critico dello Jaeger, p. 53, 1. 10.
34 Gregorio di Nissa

va nascosta in sé quell’inimicizia nei riguardi del suo


prossimo che gli omicidi manifestano nei confronti
delle loro vittime. Che non esiste alcuna differenza
tra i vizi nascosti dentro e quelli evidenti e visibili lo
m ostra chiaramente l'Apostolo là dove li mette tutti
insieme e li enumera dando loro lo stesso peso: « Poi­
ché non hanno cercato di riconoscere Dio — dice —
Dio li ha gettati in preda a vili pensieri: commettono
quindi azioni sconvenienti, e sono pieni di ogni ingiu­
stizia, fornicazione, malvagità, avidità, vizio; traboc­
cano d ’invidia, di omicidi, di discordia, d ’inganno, di
malignità; sono ciarlieri, calunniatori, nemici di Dio,
violenti, tracotanti, millantatori, orditori di cattive
azioni, disobbedienti ai genitori, stolti, perfidi, crudeli,
implacabili, privi di misericordia, pur conoscendo il
giusto volere di Dio; chi si comporta cosi è degno di
morte, e per giunta non solo si comporta cosi, ma
approva chi agisce nello stesso modo » 45.
Vedi come < l'Apostolo > lega strettam ente al­
l'omicidio, aH'avidità e ad altri simili vizi la maligni­
tà, la tracotanza, l’inganno e i rim anenti vizi nasco­
sti? E che cosa grida il Signore stesso? Ci dice: « Ciò
che per gli uomini è alto diventa una cosa abominevo­
le al cospetto di Dio; chi si esalta sarà umiliato e chi
si umilia sarà esaltato » 46. Anche la Sapienza dice:
« Chiunque esalta il suo cuore è impuro di fronte al
Signore » 47. In altri luoghi della Scrittura si potrebbe­
ro trovare molti esempi che pongono sotto accusa le
passioni nascoste nell'anima. Esse sono cosi cattive,
cosi difficili a curarsi e cosi forti nel profondo dell'ani-

« Rom. 1, 28-32.
« Le. 16, 15 e 14, 11.
« Prov. 16, 5.
Il fine cristiano 35

ma, che non è possibile cancellarle ed eliminarle sol­


tanto con l'impegno e la -virtù umana; solo se per mez­
zo della preghiera si prende come alleata la forza
dello Spirito si può riuscire a dominare il vizio che ci
tiranneggia dal di dentro, cosi come insegna lo Spi­
rito facendo uso della voce di David: « Purificami dai
vizi nascosti e risparm ia al tuo servo i mali che gli
sono estranei » 48.

L’anima e il corpo

Poiché l'anima e il corpo sono i due elementi che


fanno dell'uomo un composto armonico, e poiché il
secondo avvolge < l'anima > dal di fuori, mentre la
prim a resta nell'uomo per tutta la vita, occorre veglia­
re sul corpo come se fosse il tempio di D io49, facen­
do attenzione a che nessuno dei peccati visibili si ab­
b atta su di esso per sconvolgerlo e corromperlo; a
tal proposito l'Apostolo lancia una minaccia, là dove
dice; « Chi corrompe il tempio di Dio verrà corrotto
da Dio » 50. L'anima che si trova dentro < il corpo >
va a sua volta custodita con m olta diligenza, perché
la schiera dei vizi che si leva dalle sue profondità non
distrugga i pensieri pii e non la renda schiava, riem­
piendola delle passioni che di nascosto la trascinano
con sé.
Occorre dunque vigilare con diligenza, volgendo­
si spesso all'anima e gridandole e ingiungendole come
uno stratega: « 0 uomo, conserva il tuo cuore sorve­
gliandolo bene » 51. Da questa sorveglianza dipende l'esi-
« Sai. 18, 13-14.
« Cf. 1 Cor. 6, 19.
so 1 Cor. 3, 17.
si Prov. 4, 23.
36 Gregorio di Nissa

to della vita. Il custode dell'anima è la ragione pia,


fortificata dal timore di Dio, dalla grazia dello Spi­
rito e dalle opere della virtù; chi arm a con questi stru ­
m enti la propria anima riesce facilmente a respingere
gli assalti del tiranno; parlo dell'inganno, del deside­
rio, dell’orgoglio, dell'ira, dell’invidia e di tutti i cat­
tivi movimenti interni dei vizi. Chi coltiva la virtù
deve essere semplice e saldo e saper coltivare solo i
frutti della pietà, senza volgere la propria vita verso
le strade del vizio e senza allontanare i propri pensieri
dalla religiosità prodotta dalla fede; deve essere inol­
tre puro e retto ed estranearsi dalle passioni che si
trovano fuori della sua via: la donna che vive solo con
il proprio marito non può aspettarsi alla fine della
vita la stessa ricompensa che tocca alla donna che
macchia con l'adulterio il proprio m atrimonio.
« Non aggiogherai insieme — dice il beato Mosè
— nella tua aia animali di genere diverso come il
bue e l'asino, ma mieterai il tuo campo dopo avere
aggiogato animali dello stesso genere; e non tesserai
il lino in una veste di lana, né la lana in una veste
di lino; non coltiverai nel tuo terreno due frutti insie­
me, e neppure l’uno dopo l'altro nel corso deH'anno;
non farai montare l'uno sull'altro due animali di gene­
re diverso per la riproduzione, m a unirai insieme quel­
li dello stesso genere » 52.
Che cosa significano questi enigmi per la persona
santa? Nella stessa anima non si devono piantare in­
sieme il vizio e la virtù; dalla stessa anima non si de­
vono far spuntare le spine e il grano, dividendo la
propria vita tra principi opposti; non si deve far si
che la sposa di Cristo commetta un adulterio con i

“ Cf. Deut. 22, 10; Lev. 19, 19; Deut. 22, 9.


Il fine cristiano 37

suoi nemici o che generi la tenebra: deve generare


solo la luce. Queste due cose non possono stare in­
sieme, cosi come i vari aspetti della virtù non possono
stare assieme ai vari aspetti del vizio. Quale amici­
zia ci può essere tra la temperanza e l’intemperanza?
Quale concordia tra l'ingiustizia e la giustizia? Quale
unione tra la luce e la tenebra? Non è forse vero che
un principio evita l'opposto e non vuole stare dove c'è
l'altro che lo combatte? Il saggio agricoltore deve far
sgorgare pure e senza melma le acque della sua vita
da ima fonte potabile e buona, conoscere solo i poderi
di Dio e lavorare costantemente per questi per tu tta
la vita; in tal modo, anche se un pensiero estraneo
nasce furtivamente tra i frutti della virtù, chi tutto
vede, osservando le tue fatiche, recide con la sua po­
tenza la fallace e purulenta radice dei cattivi pensie­
ri prim a che spuntino i germogli. La grazia dello Spi­
rito, che distrugge i semi del vizio, va infatti subito
dietro a chi non abbandona le fatiche insite nella
pratica della virtù; chi resta sempre presso Dio non
può vedere svanire le proprie speranze né venire tra ­
scurato, rimanendo senza difesa.

La pienezza di Dio

Tu conosci la vedova del vangelo, che mise a parte


un giudice insensibile della grande ingiustizia ricevuta;
il molto tempo da lei trascorso nelle suppliche e la
sua insistenza ebbero ragione del carattere del giudi­
ce, e ottennero la punizione del colpevole53. Per que­
sto neanche tu devi desistere dalla preghiera: se l'in-

» Cf. Le. 18, 2 ss.


38 Gregorio di Nissa

sistenza delle preghiere della vedova riuscì a piegare


la mente del magistrato, perché mai noi non dovremmo
insistere presso Dio, la cui misericordia sa spesso pre­
venire la richiesta? Il Signore stesso, accogliendo di
buon grado la nostra insistenza nella preghiera ed esor­
tandoci a rim anere assidui in essa, ci dice: « Guar­
date cosa dice l'ingiusto giudice; a maggior ragione
il vostro Padre celeste renderà giustizia a chi l’invoca
notte e giorno; e vi dico che vi renderà presto giusti­
zia » M. Anche l’Apostolo, che tanto s'impegna perché
chi coltiva la pietà progredisca in modo perfetto, nel­
l’intento di rendere visibile il vero scopo, dice: « Con­
sigliamo ogni uomo e gl’insegniamo ogni sapienza, per
presentarlo perfetto in Cristo: per questo mi affatico
e lotto » 55. Inoltre, prega per coloro che sono stati
ritenuti degni di ricevere il sigillo dello Spirito tra ­
mite il battesimo perché crescano fino all'età intelle-
gibile grazie alla somministrazione dello Spirito; dice
a tal proposito: « Avendo saputo della vostra fede
e dell'amore che avete per tutti i santi non cesso di
pregare per voi, perché il Dio del Signore nostro Gesù
Cristo, il padre della gloria, vi conceda lo spirito della
sapienza e della rivelazione dandovi la possibilità di
conoscerlo, e illumini gli occhi dei vostri cuori in
modo che sappiate qual è la speranza nella sua chia­
mata, qual è fra i santi la ricchezza della gloria della
sua eredità e qual è la straordinaria grandezza della
sua potenza nei riguardi di noi fedeli » 56. A proposito
del modo in cui si può divenire partecipi dello Spiri­
to, dice quindi: « Secondo l'esplicazione della sua po-

« Le. 18, 6-8.


55 Col. 1, 28-29.
» Bf. 1, 15-19.
Il fine cristiano 39

tenza, che mise in atto in Cristo, risvegliandolo dalla


morte » 57. Egli parla in modo puro della partecipazio­
ne allo Spirito e della sua azione in chi ne è parteci­
pe, affinché — sono le sue parole — « anche voi pos­
siate ricevere allo stesso modo la sua pienezza »
Poco dopo nella stessa lettera, nel tentativo di fare
giungere su di loro ancora più perfetta la potenza del­
lo spirito, invoca per loro qualcosa di più grande:
« Per questo piego le ginocchia dinnanzi al Padre del
Signore nostro Gesù Cristo, da cui prende il nome ogni
idea di paternità in cielo e in terra: nella ricchezza
della sua gloria vi conceda di fortificare l'uomo inte­
riore mediante il suo Spirito, di ospitare nei vostri
cuori Cristo tram ite la fede, e di avere nell'amore
le vostre radici e il vostro fondamento. Possiate ave­
re la capacità di comprendere assieme a tutti i santi
qual è la sua larghezza, la sua lunghezza, la sua pro­
fondità e la sua altezza, e di conoscere lo straordina­
rio amore proprio della conoscenza di Cristo, affinché
possiate assumere l'intera pienezza di Dio » 59.
Anche in un'altra lettera <l'A postolo> parla ai
discepoli dello stesso argomento, svelando loro il teso­
ro dello Spirito e invitandoli a diventarne partecipi:
« Cercate di emulare — dice — le grazie spirituali; io
vi m ostro una strada eccellente. Se parlo le lingue
degli uomini e degli angeli ma non ho l'amore, sono
un bronzo che riecheggia o un cembalo che risuona;
e se posseggo il dono della profezia, se conosco tutti
i misteri e ogni scienza, se ho la fede che fa sposta­
re i monti ma non ho l'amore, non sono nulla; e se

s? Ef. 1, 19-20.
se Cf. 1 Tess. 1, 5.
» Ef. 3, 14-19.
40 Gregorio di Nissa

do tutto ciò che possiedo e consegno il mio corpo per­


ché venga bruciato, m a non ho l'amore, non ricevo
nessun giovamento » ®. < Paolo > m ostra chiaramen­
te nelle parole seguenti quali sono i vantaggi dell’amo­
re, quali i suoi germogli, da che cosa esso allontana
e che cosa offre a coloro che lo possiedono: « L'amore
non invidia, non fa m ostra di sé, non si gonfia, non
si comporta in modo indecente, non cerca ciò che gli
appartiene, non si irrita, non pensa al male, non si ral­
legra dell’ingiustizia, gioisce della verità, tutto nascon­
de, in tutto crede, in tutto spera, tu tto sopporta: l'amo­
re non cade mai » 61. Veramente sapiente ed esatta è
la frase: « L'amore non cade m ai » 62. Che cosa signi­
fica? Anche se si ottengono le altre grazie offerte dal­
lo Spirito (parlo delle lingue degli angeli, della pro­
fezia, della conoscenza63 e della grazia di curare) ma
non ci si è purificati per mezzo dell’amore dello Spi­
rito dalle passioni interne che ci disturbano e non si
riceve nelle proprie anime il perfetto farmaco della
salvezza, si devono ancora temere le cadute, giacché
non si possiede l'amore che fortifica e rende saldi nella
guerra richiesta dalla virtù.

Il tentatore tende da ogni parte le insidie

Non riposarti sui doni dello Spirito credendo, data


la ricchezza e l'abbondanza della sua grazia, di non
avere più bisogno di nulla per raggiungere la perfe­
zione; al contrario, proprio quando giunge su di te

« 1 Cor. 12,31 - 13,3.


« 1 Cor. 13, 4-8.
« 1 Cor. 13, 8.
« 1 Cor. 13, 1-2.
Il fine cristiano 41

questo ricco dono, devi diventare povero nei tuoi


pensieri, m ostrarti sempre contrito, considerare l'amo­
re come il fondamento del tesoro della grazia che toc­
ca alla tua anima, e lottare contro tutte le passioni,
finché non avrai raggiunto il sommo fine della reli­
giosità. Anche l’Apostolo lo raggiunse e vi condusse
i discepoli, indicandolo per mezzo della preghiera e
dell'insegnamento a chi amava il Signore; egli si rife­
riva al miglioramento e alla grazia prodotti 'dall’amo­
re: « Non c’è più né la circoncisione né il prepuzio,
ma una rifondazione; a chi segue questa regola, toc­
cano la pace e la misericordia di cui gode l’Israele di
Dio » 64. Dice ancora l’Apostolo: « La rifondazione che
avviene in Cristo è una novità; il vecchio è passato » 65.
La rifondazione è il canone apostolico; si tratta del
canone che egli stesso ha chiaramente illustrato altro­
ve dicendo: « Per presentare a me stesso una Chiesa
illustre, che non abbia macchie o rughe o qualcosa di
simile, ma sia santa e senza biasimo » 66. Per rifonda­
zione egli intende il soggiorno dello Spirito Santo
nell’anima pura, irreprensibile e priva di qualsiasi
vizio, malvagità e vergogna. L'anima, quando odia il
peccato, quando si associa a Dio secondo le sue pos­
sibilità grazie alla condotta virtuosa, quando accoglie
in sé la grazia dello Spirito trasform ando la propria
vita, diventa come nuova e si rigenera totalmente. La
frase: « Liberatevi dal lievito vecchio per formare un
nuovo impasto » 67 significa proprio questo, al pari
dell'altra: « Celebriamo la festa non con il lievito anti-

« Gal. 6, 15-16.
« 2 Cor. 5, 17.
« Ef. 5, 27.
« 1 Cor. 5, 7.
42 Gregorio di Nissa

co, ma con gli azimi della purezza e della verità » 68.


Poiché il tentatore tende da ogni parte molte insidie
all'anima facendo m ostra della propria malvagità, e
le forze umane non riescono da sole a vincerlo, l'Apo­
stolo ci ordina di araiare le membra con le armi cele­
sti: dobbiamo indossare la corazza della giustizia, cal­
zare i piedi con la preparazione della pace, cingere i
fianchi con la verità, prendere lo scudo della fede, con
il quale — sono le sue parole — « potete spegnere tut­
ti i dardi infuocati del maligno » a. I dardi infuocati
sono le passioni sfrenate. <L'Apostolo> c'invita inol­
tre a metterci l'elmo del Salvatore, e ad impugnare la
santa spada dello S pirito70: chiama santa spada il
potente verbo di Dio, con il quale bisogna arm are la
destra dell'anima per respingere le macchinazioni del
nemico.
Im para dalle stesse parole dell'Apostolo come si
devono prendere queste armi: « Pregando e imploran­
do ardentemente in ogni momento con lo spirito e
vegliando con esso insistentemente nell’implorazio­
ne » 71. Cosi egli prega quindi per tutti: « La grazia del
Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comu­
nione dello Spirito Santo siano con tu tti voi » 72. Dice
inoltre: « Lo spirito, l'anima ed il corpo vi siano con­
servati integri nel giorno del Signore nostro Gesù Cri­
sto » 73. Riesci a vedere i vari modi di salvezza da lui
indicati? Essi portano a un'unica strada e a un unico
fine, quello della perfezione del cristiano. Questa è la

« 1 Cor. 5, 8.
« Ef. 6, 14-16.
™ Ef. 6, 17.
« Ef. 6, 18.
72 2 Cor. 13, 13.
73 1 Tess. 5, 23.
Il fine cristiano 43

mèta a cui devono giungere con la forte fede e la


salda speranza gli amanti della verità, che con gioia
camminano tra le lotte e gli sforzi. In tal modo ter­
mina facilmente la corsa della vita verso i più alti
comandamenti, dai quali dipendono tu tti i profeti
e la legge. Di quali comandamenti parlo? « Amerai il
Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua anim a e con tu tta la tua mente, e il tuo prossimo
come te stesso » 74.

Il viatico della croce di Cristo

Il fine della religiosità è quello che ci hanno tra­


mandato il Signore stesso e gli apostoli che hanno
ricevuto da lui la conoscenza; nessuno ci rimproveri
se, prolungando la nostra dimostrazione e il nostro
discorso, abbiamo pensato più a presentare la verità
che a tagliare le nostre parole. Coloro che conoscono
la vera filosofia e che lavano l’anima togliendo ogni
sporcizia prodotta dal vizio devono conoscere con
esattezza anche il fine di questa filosofia: una volta
che si saranno resi conto della fatica del cammino e
della mèta della corsa, getteranno via tutti ogni pre­
sunzione e superbia nel compimento dei loro atti
virtuosi e, rinnegata assieme alla vita la loro anima
secondo il comandamento della Scrittura, penseranno
a queirunica ricchezza che Dio ha riservato come pre­
mio deH’amore per Cristo a coloro che lo amano. Ad
essa Dio chiama tutti coloro che accettano volentieri
di partecipare alla gara e che, nel cammino di questa
vita, restano paghi del viatico rappresentato dalla cro-

» Deut. 6, 5; of. Mt. 22, 37-39.


44 Gregorio di Nissa

ce di Cristo: è necessario caricarsela con gioia e con


una buona speranza e seguire il Dio salvatore, adot­
tando come legge e strada della nostra vita il suo vo­
lere, come ha detto l'Apostolo: « Diventate miei imi­
tatori, come io lo sono di Cristo » 75; « Con pazienza
corriamo nella gara che ci sta di fronte, guardando
Gesù, l'autore e il perfezionatore della nostra fede:
rifiutata la gioia che aveva a portata di mano, egli ha
preferito sopportare la croce disprezzando la vergo­
gna, e si è seduto alla destra del trono di Dio » 76. Se
c'insuperbiamo per i doni dello Spirito e prendiamo
qualche nostro atto virtuoso come spunto per glo­
riarci e vantarci, corriamo il pericolo di veder venir
meno il nostro impulso prim a ancora di raggiungere
l'oggetto delle nostre speranze, e di rendere vane con
la nostra tracotanza le fatiche compiute, rivelandoci
indegni della perfezione verso la quale ci trascinava
la grazia dello Spirito.
In nessun caso bisogna quindi diminuire l'inten­
sità dello sforzo o abbandonare la gara che c'impegna
o pensare alle cose buone fatte in precedenza; al con­
trario, occorre dimenticare queste e, come dice l'Apo­
stolo, impegnarci in ciò che ci sta davanti77: pensando
alle fatiche, dobbiamo produrre la contrizione nei
nostri cuori e provare un desiderio insaziabile di giu­
stizia. Solo di questa devono aver fame e sete coloro
che cercano di raggiungere la perfezione e che si umi­
liano e s'intimoriscono come se si trovassero lontani
da ciò che è stato loro promesso e separati da una
lunga distanza dal perfetto am ore per Cristo. Chi

« 1 Cor. 11, 1.
™ Ebr. 12, 1-2.
” Cf. FU. 3, 13.
Il fine cristiano 45

è attaccato a quest’amore e pensa alla promessa cele­


ste non cessa mai né di digiunare né di vegliare né
d'impegnarsi negli altri atti virtuosi e non s’inorgo­
glisce per ciò che ha già realizzato: pieno di desiderio
divino, fissa intensamente colui che lo chiama, e ri­
tiene ben poca cosa e indegni dei prem i tutti gli sforzi
che compie per raggiungerlo. S’impegna fino alla fine
della sua vita accumulando fatiche su fatiche e atti
virtuosi su atti virtuosi e per mezzo delle sue opere
finisce con il rendersi prezioso di fronte a Dio, sen­
za però presumere nella propria coscienza di essersi
reso degno di lui. La più alta realizzazione della con­
dotta cristiana consiste infatti neH’umiliare il proprio
cuore p ur essendo grandi nelle opere, nel disprezzare
la vita e nel gettare via la presunzione con l’aiuto del
timore di Dio: in tal modo, si gode della promessa
non in proporzione agli sforzi compiuti, ma in pro­
porzione alla fede e all’amore per essa. Data la gran­
dezza dei doni, non si possono trovare degli sforzi
proporzionati: solo una grande fede e una grande spe­
ranza sono in grado di m isurare la ricompensa, pre­
scindendo dagli sforzi; e il fondamento della fede è
rappresentato dalla povertà di spirito e dall'amore
smisurato per Dio.
Credo di avere parlato abbastanza del fine in cui
sperano coloro che hanno scelto di vivere secondo
la vera filosofia. In aggiunta a ciò che ho detto devo
ora spiegare come devono convivere tali persone, qua­
li fatiche devono amare, e come devono correre insie­
me finché non giungono alla città celeste. Chi disprez­
za le cose che hanno valore in questa vita e se ne puri­
fica, chi rinnega i propri congiunti e la gloria terre­
na, chi ama l'onore celeste e stabilisce con i propri
confratelli un legame spirituale, deve rinnegare assie­
46 Gregorio di Nissa

me alla vita anche la propria anima. Rinnegare l'ani­


ma significa non cercare mai di assecondare la propria
volontà, o, per meglio dire, trasform are in propria
volontà il verbo di Dio che è il nostro superiore e
vedere in lui un pilota che guida nella concordia l’in­
tera comunità dei confratelli fino al porto del volere
di Dio. Inoltre, non bisogna possedere nulla, e non rite­
nere nulla proprio e non della comunità, fatta ecce­
zione per la veste che ricopre il corpo. Chi non pos­
siede nulla e non nutre in sé alcun pensiero monda­
no serve ai bisogni comuni ed esegue prontam ente gli
ordini dei superiori pieno di gioia e di speranza, come
uno schiavo buono e semplice di Cristo, riscattato per
i bisogni comuni dei confratelli. Questo vuole anche
il Signore, e a questo esorta là dove dice: « Chi fra di
voi vuole essere il prim o e il più grande sarà l'ultimo
e lo schiavo di tutti » 78.

Il coro spirituale

Questa schiavitù non deve dunque essere ricom­


pensata dagli uomini, e non deve portare allo schiavo
nessun onore e nessuna gloria; in caso contrario egli,
abituandosi a servire soltanto per compiacere l'occhio
del padrone, darebbe l'impressione di cercare soltan­
to l'approvazione degli uomini, contro le prescrizioni
della S crittu ra79: al contrario, egli deve servire non
gli uomini, ma il Signore, camminare per la strada irta
di trib o li80 e m ettere di buon grado il proprio collo

« Cf. Me. 9, 35; 10, 43-44; Mt. 20, 26-27; 23, 11.
™ Cf. Ef. 6, 6.
«ο Mt. 7, 14.
Il fine cristiano 47

sotto il suo giogo81, che deve poi portare con sé fino


alla fine pieno di gioia e di buona speranza. Deve sot­
tom ettersi a tutti e servire i confratelli come un debi­
tore, preoccupandosi di tutti nel suo intimo e manife­
stando l ’amore dovuto. Anche i superiori di questo
coro spirituale devono rendersi conto dell’importanza
delle loro preoccupazioni, stare attenti alle arti del
vizio che insidia la fede e impegnarsi in modo degno
del loro ufficio, senza insuperbire i loro pensieri fino
all'arbitrio. C'è infatti il pericolo che alcuni superiori,
nel momento in cui credono di dirigere altri e di gui­
darli verso la vita celeste, divengano artefici con la
loro superbia della propria perdizione senz'accorger-
sene. I superiori nell'esercizio delle loro funzioni de­
vono dunque affaticarsi più degli altri, essere più umi­
li dei sottoposti, presentare ai confratelli la propria
vita come un modello di schiavitù, e vedere in coloro
che sono stati loro affidati un deposito di Dio.
Se si comportano cosi tenendo unito con le loro
cure il sacro coro, se impartiscono apertamente il loro
insegnamento secondo i bisogni di ciascuno per con­
servare il giusto ordine, se nell'intimo del loro pen­
siero conservano grazie alla fede l'um iltà come dei
buoni servi, con ima tale vita si preparano un gran
premio. Dovete prendervi cura dei confratelli cosi come
i buoni educatori si prendono cura dei bambini deli­
cati, che sono stati affidati loro dai padri. Gli educa­
tori, osservando l'indole dei fanciulli, fanno uso ora
delle percosse, ora dell'ammonimento, ora delle lodi;
non si comportano cosi per compiacere o per odio,
ma si conformano a ciò che è consentito dalle circo­
stanze o è richiesto dall'indole dei bambini, in modo

si Mt. 11, 29-30.


48 Gregorio di Nissa

che imparino a emulare nobilmente la vita migliore.


Anche voi, deposto ogni odio e ogni tracotanza verso
i vostri confratelli, dovete adattare le vostre parole
alle capacità e al pensiero di ciascuno: devi biasimare
uno, ammonire un secondo, confortare un terzo, dando
la medicina come un buon medico a seconda dei biso­
gni di ciascuno. Il medico, tenendo conto della m alat­
tia, dà a chi una medicina più leggera, a chi ima più
forte, senz'adirarsi con nessuno dei pazienti, m a adat­
tando la sua arte alle loro anime e ai loro corpi; an­
che tu devi conform arti alle necessità delle circostan­
ze, in modo da educare bene l'anima del discepolo che
ti guarda e da far arrivare al Padre la sua fulgida vir­
tù, degna erede dei suoi doni.
Se vi comporterete cosi gli uni con gli altri —
parlo dei superiori e di coloro che li hanno per mae­
stri — ubbidendo con gioia agli ordini e guidando
con piacere i confratelli verso la perfezione, e se cer­
cherete di superarvi a vicenda nel rispetto che m ostra­
te agli a ltri82, vivrete sulla terra come gli angeli. Nes­
sun orgoglio sia visibile in voi; al contrario, la sempli­
cità, la concordia e la schiettezza tengano insieme il
coro. Ognuno si convinca di essere inferiore non solo
al confratello che vive con lui m a ad ogni altro uomo:
se riconoscerà questo, sarà veramente discepolo di
Cristo. Come dice il Salvatore: « Chi si esalta sarà umi­
liato e chi si umilia sarà esaltato » 83; egli aggiunge:
« Chi fra di voi vuole essere il primo, sarà l'ultimo fra
tu tti e il servo di tutti; cosi pure, il Figlio dell'uomo
è venuto non per essere servito m a per servire e
offrire la sua anima come riscatto al posto di mol-

«2Cf. Rom. 12, 10.


« Mt. 23, 12; Le. 14, 11; Le. 18, 14.
Il fine cristiano 49

ti » M. L’Apostolo da parte sua ricorda: « Non annun­


ziamo noi stessi, ma il Signore Gesù Cristo e noi stessi
come schiavi a causa di Gesù » M. Se dunque conosce­
te i fru tti dell'umiltà e le punizioni che toccano all'or­
goglio, im itate il Signore amandovi reciprocamente, e
rim anendo uniti non abbiate timore né della m orte né
di alcun'altra pena, destinata a tram utarsi in bene:
per raggiungere Dio, camminate per la strada che egli
ha percorso quando si trovava fra noi; formate un
unico corpo e un'unica anima, e accogliete l'invito
celeste, amando Dio e amandovi tra di voi. L'amore
e il timore del Signore sono il primo adempimento
della legge.

L'amore di Dio è amore verso il prossimo

Ciascuno di voi deve quindi fare albergare nella


propria anima il timore e l'am ore < d i D io> conside­
randoli come delle forti e dure fondamenta, e irriga­
re l'anim a stessa con opere buone e preghiere costan­
ti. L'amore per Dio non si forma infatti in noi sem­
plicemente e automaticamente, m a attraverso molte
fatiche e gravi preoccupazioni e con l'aiuto di Cri­
sto, come ha detto la Sapienza: « Se lo cerchi come
l'argento e come un tesoro, allora arriverai a com­
prendere il timore del Signore e troverai la conoscen­
za di Dio » Una volta trovata la conoscenza e com­
preso il timore di Dio riuscirai a raggiungere facil­
mente anche il resto: mi riferisco all’amore per il
prossimo. Quando con la fatica si è giunti a possedere

« Me. 9, 35; Mt. 20, 38; Me. 10, 45.


«5 2 Cor. 4, 5.
86 Prov. 2, 4-5.
50 Gregorio di Nissa

il primo e il più grande bene, il secondo, inferiore al


primo, gli vien dietro con facilità, mentre se il primo
non è presente neanche il secondo può esserlo in modo
puro. Chi non am a Dio con tutto il suo cuore e con
tutto il suo pensiero come può pensare rettamente
e sinceramente all’amore per i confratelli, se non ma­
nifesta nessun amore verso colui a causa del quale do­
vrebbe pensare all'altro amore? Chi si trova in questa
condizione, chi non dona tu tta la sua anima a Dio,
chi non si unisce all'amore per lui viene sorpreso disar­
mato daH'artefice del vizio, che s'impadronisce facil­
mente di lui dandogli lo sgambetto con i suoi malva­
gi pensieri: ora gli fa credere pesanti i comandamenti
della Scrittura e odiosa la cura dei confratelli, ora,
facendogli abbandonare le cure dei suoi compagni di
servitù, lo solleva fino alla millanteria e all'orgoglio,
e produce in lui l'illusione di avere adempiuto ai co-
mandamenti di Dio e di essere grande nei cieli. Si
tra tta di una mancanza non piccola. Il servo affet­
tuoso e diligente deve rim ettere al padrone il giudi­
zio sul suo affetto e non erigersi a giudice e celebra-
tore della propria condotta al posto del Signore. Se
diventasse giudice respingendo il vero giudice, non
riceverebbe nessuna ricompensa celeste, giacché sen­
za attendere il suo giudizio troverebbe appagamento
nelle proprie lodi e nella propria vanagloria. Secondo
il detto di Paolo, « Lo Spirito di Dio deve fare da testi­
mone al nostro spirito » 87; quello che invece non dob­
biamo fare, è esaminare i nostri atti con il nostro
giudizio. « Chi si raccomanda — dice Paolo — non è
pregevole; lo è chi è raccomandato dal Signore » M. Chi

« Rom. 8, 16.
*» 2 Cor. 10, 18.
Il fine cristiano 51

non aspetta la raccomandazione del Signore ma previe­


ne il suo giudizio, cade nella gloria umana, giacché cer­
ca di riscuotere l’apprezzamento dei confratelli per
le sue fatiche e si comporta come gl'infedeli. Infedele
è infatti chi va a caccia di onori um ani in luogo di
quelli celesti, come dice il Signore stesso: « Come
potete avere fede, se volete la gloria gli imi dagli altri,
e non cercate la gloria che dà l’unico Dio? » 89.
A chi posso dunque paragonare costoro? Non sono
forse simili a coloro che puliscono l'esterno del bic­
chiere e del piatto e che di dentro sono pieni di ogni
vizio90? Cercate di non cadere in questo stato; al con­
trario, offrite la vostra anima a D io91, pensate soltanto
a piacere al Signore, a non dimenticare mai le cose
celesti e a non accettare gli onori di questa vita, e
mettetevi a correre; badate però a nascondere nel
vostro pensiero la vostra partecipazione a questa gara
per la virtù, in modo che colui che vi mette sotto gli
occhi gli onori del mondo, trovato il momento propi­
zio, non distragga la vostra mente, non vi trascini via
dalla pratica della verità e non vi getti nella vanità
e nell'errore. Se non trova mai il momento adatto e
il modo d’insinuarsi per adescare coloro che tengono
occupata la loro anima nelle cose celesti, egli muore
e diventa un cadavere: la m orte del diavolo si verifica
infatti proprio quando si priva il vizio della possibilità
di agire e di manifestarsi. Se in voi si trova l’amore per
Dio, non possono non presentarsi al suo seguito le
altre buone qualità: l’amore per i confratelli, la mi-

8» Gv. 5, 44.
«> Cf. Mt. 23, 25.
91 Per il testo greco ohe sta alla base della traduzione of. la
nota dello Jaeger, app., p. 74,1. 4.
52 Gregorio di Nissa

tezza, la sincerità, la costanza e la diligenza nelle pre­


ghiere e in una parola ogni virtù.

Esercitare l’anima

Se dunque il bene è grande, per possederlo sono


necessarie molte fatiche, che devono m irare non all’o-
stentazione umana, ma al piacere del Signore che
conosce i pensieri nascosti92. Bisogna pensare sempre
a lui, scrutare l'intim o della propria anima e fortificar­
la con i ragionamenti della pietà, in modo che il nemi­
co non s'introduca e non trovi spazio per le sue insi­
die: < in altre parole > , occorre tenere in esercizio le
parti più deboli dell’anima e condurle al discernimento
del bene e del male. Sa come tenerle in esercizio la
mente che segue Dio e che si unisce a lui con tu tta la
propria anima, curandone il marciume con l'amore
per lui, con i nascosti pensieri della virtù e con le
opere prescritte dai com andam enti93. Poiché l'unica
fortificazione e l’unica cura dell'anima consistono nel
ricordare e desiderare Dio e nel non abbandonare mai
i buoni pensieri, non dobbiamo mai allontanarci da
tale pratica né quando mangiamo, né quando bevia­
mo, né quando riposiamo né quando facciamo o dicia­
mo qualcosa: tutto deve in noi contribuire non alla
nostra gloria, m a alla gloria di Dio; e la nostra vita
non deve presentare nessuna sporcizia e nessuna mac­
chia prodotta dalle insidie del maligno.

® Cf. Mt. 6, 4; 6, 6; 6, 18.


93 Ho omesso nella traduzione le parole greche synaptòn
to dynatò (Jaeger, p. 75, 11-12) perché sono una ripetizione di
quelle precedenti: « ...che si unisce a lui con tutta la propria
anima ».
Il fine cristiano 53

D’altronde, per coloro che amano Dio le fatiche


prescritte dai comandamenti non presentano difficol­
tà e sono gradevoli, giacché l’amore per lui rende leg­
g e ra 94 e amabile la gara. Per questo il maligno fa di
tutto per scacciare da n o i95 il timore del Signore e
per dissolvere l'am ore per lui ricorrendo a piaceri proi­
biti e ad esche allettanti, e si adopera per sorpren­
dere la nostra anima in un momento in cui è priva
delle armi spirituali e dei custodi, per rendere vane le
nostre fatiche, per sovrapporre in noi alla gloria cele­
ste la gloria umana e per intorbidare il vero bene con
dei beni che sembrano tali solo all'immaginazione di
chi si lascia ingannare. Se sorprende i custodi in un
momento di ozio, è capace di cogliere l'occasione pro­
pizia, di lanciare un attacco contro le fatiche della
virtù e di seminare assieme al grano la sua zizzania
mi riferisco alla maldicenza, all'orgoglio, alla vanaglo­
ria, al desiderio di onori, alla discordia e a tutti gli
altri prodotti del vizio. Occorre dunque vigilare97 e
sorvegliare da ogni parte il nemico, in modo che possa
essere respinto prim a ancora che tocchi l'anima, qua­
lora con la sua sfrontatezza dovesse tendere qualche
tranello.
Potete sempre ricordarm i che « Abele offriva al Si­
gnore in sacrificio i primogeniti delle pecore e degli
animali grassi, mentre Caino gli offriva i frutti della
terra, m a non le primizie; Dio guardava i sacrifìci di

« Cf. Mt. 11, 30.


95 Ho tradotto « da noi » invece che « dalle nostre anime »
(Jaeger, p. 75, 24) per evitare una ripetizione nel testo italia­
no: cf. poche righe dopo (Jaeger, p. 76, 3) le parole « la nostra
anima ».
* Cf. Mt. 13, 25.
« Cf. ad es. Mt. 24, 42.
54 Gregorio di Nissa

Abele, ma non prestava attenzione ai doni di Caino »


Qual è la morale della storia? Si può imparare da essa
che a Dio sono gradite tutte le offerte fatte con timo­
re e con fede, m a non le offerte fatte senza amore, an­
che se ricche. Abramo ricevette la benedizione di Mel-
chisedech solo dopo avere offerto al sacerdote di Dio
le primizie e i doni più im portanti99. < L a S crittura>
chiama primizie dei beni l'anim a e la mente: essa ci
vieta di offrire in sacrificio a Dio con animo meschi­
no le lodi e le preghiere, e ci ordina di presentare al
Signore non dei doni ordinari, m a il bene più impor­
tante deH'anima: per meglio dire, dobbiamo offrirgli
l'anima stessa con tutto il nostro amore e con tutto il
nostro slancio. In tal modo, nutriti sempre dalla gra­
zia dello spirito, riceveremo la forza da Cristo e potre­
mo partecipare con disinvoltura alla corsa per la sal­
vezza, rendendoci piacevole e leggera la gara per la
giustizia. Dio ci aiuta mentre c'impegniamo e ci sfor­
ziamo, e compie tram ite noi atti di giustizia.

Le virtù sono tutte collegate

Su questo abbiamo finito di parlare. Per quanto


riguarda invece le parti della virtù, non è facile dire
qual è quella che bisogna considerare superiore e col­
tivare più delle altre, qual è la seconda dopo di essa
e quali sono le rimanenti, viste una per ima. Tutte
sono infatti unite tra loro in un'uguale dignità, e l'una
tram ite l'altra conduce fino alla vetta coloro che ne
fanno uso. La semplicità consegna < l'anim a> all'ob-

9» Gen. 4, 4-5.
5» Gen. 14, 18-19.
Il fine cristiano 55

bedienza, l’obbedienza alla fede, la fede alla speranza,


la speranza alla giustizia, la giustizia alla buona dispo­
sizione a servire, e quest'ultim a aH'umiltà; la mitezza
poi, ricevuta < l'anima > da quest'ultima, la conduce
alla gioia; la gioia da parte sua la conduce all’amore e
l’amore alla preghiera. In tal modo esse tutte, dipen­
dendo le ime dalle altre e facendo dipendere da sé chi
si attacca a loro, lo conducono al sommo dei suoi
desideri; analogamente, nel campo opposto la malva­
gità tram ite le sue parti conduce chi la ama fino al
vizio più basso. Noi dobbiamo insistere soprattutto
nella preghiera 10°, che è come il corifeo delle virtù in
quanto è tram ite essa che chiediamo le rim anenti
virtù a Dio. Chi insiste nella preghiera si unisce a lui
in una stretta comunione grazie a una santità misti­
ca, a un'energia spirituale e a una disposizione d’ani­
mo ineffabile. Costui, ricevuto da Dio lo spirito come
guida ed alleato, brucia di amore per il Signore, ribol­
le di desiderio e non si sazia mai di pregare. Sempre
divampa di amore per il bene e irriga l'anim a con il
suo fervore, secondo il detto: « Coloro che mi mange­
ranno avranno ancora fame, coloro che mi berranno
avranno ancora sete » 1M. Altrove è detto: « Mi hai dato
la gioia nel mio cuore » 102. E il Signore dice: « Il regno
dei cieli si trova dentro di voi » 103.
Qual è il regno dei cieli che secondo lui si trova
dentro di noi? Di cos'altro si può trattare, se non della
gioia che si riversa dall'alto nelle anime tram ite lo
Spirito? Essa è come l’immagine, la garanzia e la pro­
va della gioia eterna di cui godranno le anime dei santi

«» Rom. 12, 12.


ιοί Qo. 24, 21.
102 Sai. 4, 8.
103 Le. 17, 21.
56 Gregorio di Nissa

nel secolo che attendono. Tramite l'attività dello Spi­


rito il Signore ci esorta a salvare gli altri e a renderli
partecipi delle sue grazie tutte le volte che soffriamo:
« Colui che ci esorta tutte le volte che soffriamo — è
detto — a consolare gli afflitti in tutte le loro afflizio­
ni » 104. Ed è anche detto: « Il mio cuore e la mia ani­
m a si rallegrano per il Dio vivente; la mia anima
possa riempirsi di ima grande abbondanza » 105. Tutte
queste parole indicano per enigmi la gioia e la conso­
lazione concesse dallo Spirito.
Poiché abbiamo m ostrato il fine della religiosità
che devono tener presente coloro che hanno deciso di
vivere in modo gradito a Dio e che consiste nella puri­
ficazione dell'anima e nella presenza dello Spirito, pro­
dotta dal progresso nelle opere buone, ognuno di voi
deve preparare la sua anima nel modo indicato e, riem­
pitala di amore divino, darsi tu tto alla preghiera e
ai digiuni secondo il volere del Signore, ricordandosi
delle esortazioni: « Pregate ininterrottam ente » 106 e:
« Insistete nella preghiera » 107. < Non deve neanche
dimenticare > la promessa del Signore: « Tanto più
Dio renderà giustizia a coloro che lo implorano notte
e giorno » 10S. Il Signore dice di avere raccontato que­
sta parabola perché occorre pregare sempre e non sco­
raggiarsi mai. Che l’insistenza nella preghiera è fon­
te di grandi grazie e fa abitare nelle anime lo Spirito,
lo m ostra chiaramente l’Apostolo nelle parole con cui
ci esorta: « Pregate e implorate ogni momento nel vo-

i» 2 Cor. 1, 4.
105 Sai. 83, 3; 62, 6.
1 Tess. 5, 17.
107 Rom. 12, 12.
io» Le. 18, 7.
Il fine cristiano 57

stro spirito e vegliate insistendo sempre e imploran­


do » 109. Di conseguenza, il confratello che si dedica
interamente a questo tipo di virtù — parlo della pre­
ghiera — va in cerca di un gran tesoro e ama il bene
più grande; ognuno di voi si limiti ad agire cosi con
una coscienza vigorosa e netta, senza fare errare vo­
lontariamente il proprio pensiero e senza comportarsi
come se fosse costretto contro voglia a restituire un
debito: riempia invece l'anima di amore e di deside­
rio e mostri a tutti i buoni frutti della sua perseve­
ranza. Gli altri confratelli gli devono fornire le occa­
sioni propizie e rallegrarsi della sua insistenza nella
preghiera, in modo da poter essere anch'essi parte­
cipi dei buoni frutti: se infatti si rallegrano con lui,
vengono anch'essi a partecipare a una simile vita. Il
Signore stesso suggerisce il modo di pregare a chi
glielo chiede, secondo il detto: « Colui che concede la
preghiera a chi prega » 110. Chi insiste in tale pratica
deve dunque chiedere e sapere che, cosi facendo, par­
tecipa a una gara che esige molto impegno e m olta
energia. I grandi prem i richiedono infatti grandi fati­
che, giacché è soprattutto ad esse che il vizio tende
insidie, dandosi da fare da ogni parte, correndo intor­
no e cercando di far venire meno l'impegno. Cosi si
originano il sonno, la pesantezza corporea, la mollez­
za dell’anima, l’accidia, la negligenza, l'intolleranza e
le rim anenti passioni e attività prodotte dal vizio:
l ’anima va alla perdizione, facendosi rapire almeno in
parte e passando nel campo del nemico.
La ragione deve dunque sorvegliare l’anima come
un saggio pilota, senza far cadere il pensiero in preda

iw Ef. 6, 18.
»o 1 Re, 2, 9.
58 Gregorio di Nissa

alla confusione prodotta dallo spirito maligno e senza


farsi portare in giro dalle sue onde: è suo dovere
tenere sempre fisso lo sguardo sul porto celeste, e resti­
tuire pura l'anima al Dio che gliel'ha affidata e che la
rivuole indietro. La Scrittura non ritiene un segno di
diligenza né gradisce l'inginocchiarsi e l’assumere la
posizione propria di chi prega: < quello che vuole> ,
è l’abbandono di ogni pensiero infingardo e ingiusto
e la dedizione alla preghiera con tutta l’anima e con
tutto il corpo.

Il frutto della preghiera

I superiori devono aiutare tale confratello, mo­


strarsi zelanti e ammonirlo per alimentare in lui il
desiderio dell’oggetto delle sue preghiere e per puri­
ficare bene la sua anima. Il frutto delle virtù di coloro
che pregano cosi quando si rivela ai confratelli rie­
sce utile non solo a colui che progredisce, m a anche a
coloro che sono ancora bambini e che hanno bisogno
di essere istruiti, giacché li invita e li esorta a imitare
coloro che sono sotto i loro occhi. I frutti della pre­
ghiera pura sono la semplicità, l'amore, l'umiltà, la
forza, l'innocenza, e altre simili virtù, che l'impegno
dell'uomo diligente fa fiorire già durante questa vita
prim a ancora dei frutti celesti. La preghiera si adorna
di questi frutti, m a se ne è priva rende inutile ogni
fatica. E non solo la preghiera, ma qualsiasi pratica
virtuosa se ha questi germogli è veramente una strada
di giustizia che porta al retto fine, m entre se ne è
priva lascia solo un vuoto nome, e diventa simile alle
vergini stolte che nel momento del bisogno non ave­
vano l'olio necessario per entrare nella cam era nu­
Il fine cristiano 59

ziale111: nelle loro anime non c’era la luce, frutto della


virtù, e nel loro pensiero non c’era il lume dello Spi­
rito. Giustamente quindi la Scrittura le ha chiamate
stolte: in loro la virtù si era spenta prim a ancora che
giungesse lo Sposo, e per questo lo Sposo tenne fuo­
ri le misere dalla camera nuziale celeste; fece bene a
non prendere in considerazione il loro impegno nella
verginità, giacché non si faceva sentire in loro l’atti­
vità dello S p irito m. Che utilità c’è nell’affaticarsi a
coltivare la vite, se non spuntano i frutti per i quali
il contadino ha sostenuto tante fatiche? E quale gua­
dagno portano i digiuni, le preghiere, e le veglie se
mancano la pace, la gioia, l’amore e i rim anenti frutti
della grazia dello Spirito, enumerati dal santo Apo­
stolo? 113. Chi ama la gioia superiore sopporta ogni
fatica per i frutti per mezzo dei quali attira su di sé
lo Spirito; divenuto partecipe della grazia superiore,
produce i suoi frutti e gode in letizia del raccolto che
la grazia dello Spirito ha coltivato in lui per mezzo
della sua um iltà e del suo impegno attivo.
Occorre dunque sobbarcarsi alle fatiche delle
preghiere, dei digiuni e delle altre pratiche con ima
grande gioia, con un grande amore e con una grande
speranza, e credere che i fiori e i frutti delle fatiche
derivino dall’attività dello spirito. Chi se li attribuisce
e fa risalire tu tto alle proprie fatiche fa crescere in sé
al posto di questi puri frutti la m illanteria e la super­
bia; queste passioni, attaccandosi alle anime delle
persone leggere come ima cancrena, corrompono e ro­
vinano ogni fatica.

i» Cf. Mt. 25, 3.


112 Cf. Mt. 25, 12.
113 Cf. Gal. 5, 22-23.
60 Gregorio di Nissa

Che cosa deve fare allora colui che vive per Dio
e per la speranza che nutre in lui? Deve partecipare
con gioia alla gara per la virtù, consistente nel riscat­
to deH’aninia dalle passioni e nell’ascesa fino alla
somma virtù, e credere che la speranza nella perfe­
zione dipenda da lui e dal suo amore per gli uomi­
ni; con questa disposizione d’animo, gode della gra­
zia di colui in cui crede, corre senza fatica e disprezza
la malvagità del nemico, giacché con l’aiuto della gra­
zia di Cristo si è ormai estraneato da lui e si è riscat­
tato dalle sue passioni. Come coloro che, trascurando
il bene, fanno entrare nella propria natura le passio­
ni cattive e vivono in esse si rendono facilmente colpe­
voli di avidità, d’invidia, di lussuria e dei rimanenti
vizi opposti al bene e ne godono come se fossero dei
piaceri innati, cosi coloro che coltivano Cristo e la
verità ricevono dalla grazia dello Spirito tramite la
fede e l’impegno nella virtù i beni superiori alla loro
natura, ne godono con un'ineffabile gioia e realizzano
un amore schietto e immutabile, una fede inamovi­
bile, una pace che non conosce cadute, la vera bontà
e tutti gli altri beni grazie ai quali l’anima, divenuta
superiore a se stessa e più forte del vizio del nemico,
si trasform a in una pura dimora dello Spirito adorato
e santo: ricevuta da esso la pace immortale di Cristo,
tram ite questa si lega e si attacca al Signore. Dopo
avere accolto in sé la grazia dello Spirito, dopo essersi
attaccata al Signore e dopo essersi identificata con
lui in u n unico spirito, non si limita soltanto a com­
piere facilmente le opere virtuose che le sono pro­
prie, senza più lottare contro il nemico giacché si trova
ormai al disopra delle sue insidie: la cosa più impor­
tante è che accoglie in sé le sofferenze del Signore e si
gloria di esse più di quanto gli amanti di questa vita
Il fine cristiano 61

si glorino degli onori, della gloria e della potenza


umana. Per il cristiano che in virtù della sua buona
condotta e del dono dello Spirito ha raggiunto la di­
mensione propria dell’età intellegibile prodotta dalla
grazia che gli è stata accordata la gloria, l'orgoglio e
il godimento superiore a ogni piacere consistono in­
fatti nell’essere odiato a causa di Cristo, nell’essere
perseguitato e nell’essere oggetto di ogni violenza e
offesa in nome della fede in Dio; se in lui alberga
integra la speranza nella risurrezione e nei beni fu­
turi, tutte le offese, tutte le frustate, tutte le persecu­
zioni e tutte le altre sofferenze inclusa la crocifissio­
ne sono una fonte di orgoglio e di riposo, e la garan­
zia dei beni celesti. « Beati siete voi — dice < il Si­
gnore > — quando a causa m ia tutti gli uomini vi
oltraggiano, vi perseguitano e dicono mentendo ogni
male di voi; godete ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli » 114. E l'Apostolo dice da
parte sua: « Non solo, ma meniamo vanto nella sof­
ferenza » us. Altrove aggiunge: « Sarò contento di me­
nar vanto nella mia debolezza, nelle offese, nelle
costrizioni, nella prigionia: quando sono debole, sono
forte » m. In un altro passo dice: « Come servi di Dio,
animati da una grande capacità di sopportazione»117.
Questa è la grazia dello Spirito Santo che s'impadro­
nisce di tu tta l'anima e che riempie la sua dimora di
gioia e di forza: è essa a renderle gradite le sofferen­
ze del Signore, cancellando con la speranza dei beni
futuri ogni capacità di avvertire i dolori presenti.

Mt. 5, 11-12; Le. 6, 22-23.


us Rom. 5, 3.
ii4 2 Cor. 12, 9-10.
il7 2 Cor. 6, 4.
62 Gregorio di Nissa

Il Signore non chiede nulla di superiore alle nostre


forze

Comportatevi dunque come se foste in procinto


di elevarvi fino a un’alta potenza e un'alta gloria con
l'aiuto dello Spirito: sostenete con gioia ogni fatica
e ogni gara in modo da mostrarvi degni della presenza
dello Spirito e deH'eredità di cui godrete assieme a
Cristo; non rilassatevi e non lasciatevi indebolire dal­
la pigrizia, in modo da non cadere e da non indurre
altri a peccare. Se alcuni di voi, non possedendo anco­
ra l’energia necessaria per la preghiera più alta e non
sapendosi impegnare con la forza dovuta, rimangono
al disotto di tale virtù, adempiano almeno nel resto
al loro dovere di obbedienza secondo le loro possi­
bilità: servano di buona voglia, lavorino diligente­
mente, attendano alle loro mansioni con gioia, senza
pensare alle ricompense rappresentate dagli onori o
dalla gloria umana, senza cedere alle fatiche per mol­
lezza o pigrizia e senza servire gli altri come se si
trattasse di corpi e di anime estranee; pensino invece
che essi sono i servi di Dio, i nostri figli: le vostre ope­
re appariranno cosi al Signore nella loro purezza e
schiettezza. Nessuno invochi come pretesto per non
impegnarsi nelle opere buone la propria incapacità
di compiere ciò che è in grado di salvare l'anima. Dio
non comanda ai suoi servi nulla d'impossibile; al con­
trario, m ostra a tutti in m isura cosi larga e ricca
l'amore e la bontà propri della sua divinità, da offri­
re a ciascuno secondo il suo volere la possibilità di
fare qualcosa di buono: in tal modo, in nessuno di
coloro che s'impegnano vengono meno le possibilità
di salvezza. Dice < il Signore>: « In verità vi dico:
Il fine cristiano 63

chi dà da bere solo un calice d’acqua fredda a un


mio discepolo, non perderà la sua ricompensa » 118.
Cos’è più forte di questo comandamento? Il cali­
ce di acqua fredda è seguito da un premio celeste. Os­
serva con me la smisurata bontà < d el Signore > :
« Ciò che avete fatto ad uno di costoro — egli dice —
l'avete fatto a me » 119. Mentre nel comandamento si
chiede ben poco, il guadagno che si ricava daU’obbe-
dienza ad esso è grande, cosi com'è ricco il dono che
Dio dà in cambio. Egli non ci chiede nulla che sia
superiore alle nostre forze. Faccia tu una cosa pic­
cola o grande, ti tocca un premio corrispondente alla
tua disposizione d'animo: se fai una cosa in nome di
Dio e temendolo, ti giunge un dono splendido, che
non può esserti portato via; se fai invece qualcosa per
ostentazione e per ricevere la gloria umana, ascolta
il giuramento del Signore: « In verità vi dico: hanno
ricevuto il loro premio » 120. Perché non ci tocchi que­
sta sorte, egli raccomanda ai suoi discepoli e a noi
tram ite loro: « Badate a non fare l'elemosina e a non
pregare o digiunare davanti agli uomini; altrimenti,
non riceverete alcuna ricompensa dal Padre vostro
che è nei cieli » 121. In tal modo ci ordina di evitare e
fuggire le lodi mortali provenienti da creature mor­
tali e la gloria destinata ad appassirsi e ad abbando­
narci e di cercare solo quella la cui bellezza è inespri­
mibile e il cui limite è introvabile: grazie ad essa po­
tremo anche noi glorificare il Padre, il Figlio e lo Spi­
rito Santo ora e sempre e nei secoli dei secoli. Cosi sia.

118 Mt. 10, 42; cf. Me. 9, 41.


iK Mt. 25, 40.
1“ Mt. 6, 2; 6, 5; 6, 16.
i2i Mt. 6, 1; 6, 2; 6, 16.
II. LA PROFESSIONE CRISTIANA

Scritto di Gregorio vescovo di Nissa ad Ammonio sul


significato della professione cristiana

Nei riguardi della tua sacra persona mi compor­


terò come si comportano nei riguardi dei potenti colo­
ro che sono soggetti al pagamento di tributi quoti­
diani: se il debito non viene pagato per più giorni,
quando hanno delle disponibilità pagano tutto in ima
volta un debito risultante da più debiti parziali. Cosi
io, che ti sono debitore di varie lettere in quanto per
i cristiani la promessa è un debito, desidero ora sop­
perire alla mancanza di scritti di cui in passato sono
stato causa involontariamente. Allungherò a tal punto
la lettera, da farla sembrare un insieme di più lettere,
qualora la si divida secondo la m isura consueta delle
epistole. Per non parlare invano in questo mio lungo
scritto, ritengo opportuno imitare, nelle parole della
lettera, le conversazioni che facevamo quando ci tro­
vavamo l'uno di fronte all'altro. Ricorderai bene che
a fornire lo spunto a tutte le nostre conversazioni era­
no la pratica della virtù e l'esercizio della pietà: tu
replicavi sempre diligentemente alle mie parole e
non prendevi per buono nulla di ciò che si diceva
senza un previo esame; io da parte mia, data la mia
età più avanzata, risolvevo ogni volta le questioni che
si presentavano nel contesto della conversazione. La
soluzione di gran lunga migliore sarebbe poter fare
66 Gregorio di Nissa

cosi anche adesso: la tua intelligenza fornirebbe lo


spunto al discorso, ed entrambi ne trarrem m o vantag­
gio sotto un duplice punto di vista, giacché potremmo
guardarci (che cosa c'è di più gradito nella mia vita?)
ed io avrei modo di far suonare la mia vecchia cetra
con l ’aiuto del plettro rappresentato dalla tua saggez­
za. Ma poiché le necessità della vita ci costringono
a rimanere fisicamente lontani anche se le nostre ani­
me sono unite, non potrò evitare di m ettermi la tua
maschera se durante il discorso si presenterà qual­
che obiezione. È bene proporre innanzi tutto per lo
scritto un tema di edificazione spirituale, e occuparci
quindi di esso nella nostra conversazione. Come se
fossimo alle prese con un problema, cerchiamo dun­
que di rispondere alla seguente domanda: Cos’è la
professione cristiana?
L'esame di questa questione non sarà forse inu­
tile. Se si trovasse, infatti, l’esatto significato di que­
sto nome, ne ricaveremmo un grande aiuto nella
nostra vita virtuosa, giacché mediante un'elevata con­
dotta di vita cercheremmo di essere veramente quello
che il nostro nome vuole esprimere. Chi desidera es­
sere chiam ato medico, retore o geometra non vuole
essere criticato per questo suo nome a causa della sua
ignoranza, qualora esso alla prova dei fatti non risul­
tasse rispondente alla realtà: se desidera avere vera­
mente tali nomi li rende credibili con i fatti, per evi­
tare che risultino falsi. Allo stesso modo anche noi,
se nel corso del nostro esame riuscissimo a trovare il
vero significato della professione cristiana, non accet­
teremmo mai di non essere ciò che il nostro nome
esprime nei nostri riguardi: in caso contrario, la sto­
ria della scimmia cosi diffusa tra i pagani riguarde­
rebbe anche noi da vicino. Si narra che ad Alessan­
La professione cristiana 67

dria un giocoliere addestrasse una scimmia a com­


piere agili movimenti di danza, e le facesse indossa­
re una maschera da danzatore ed una veste adatta a
tale attività; il coro dei danzatori che stava attorno
alla scimmia ne ricavava gloria, mentre essa si contor­
ceva tu tta al ritmo della musica e con i suoi movimenti
e le sue sembianze nascondeva la propria natura. Men­
tre tutto il teatro era preso dalla novità dello spetta­
colo, un burlone m ostrò con uno scherzo agli spetta­
tori che assistevano a bocca aperta alla scena che la
scimmia era in realtà solo una scimmia. Proprio nel
momento in cui tutti gridavamo e applaudivano ai
contorcimenti della scimmia che si muoveva ritmica­
mente secondo il canto e la musica, gettò sull'orche­
stra quei frutti secchi che allettano la golosità di que­
sti animali. Viste le mandorle sparse davanti al coro,
la scimmia non esitò un istante: senza pensare più
alla danza, agli applausi e agli ornamenti della veste,
corse verso di esse e afferrò con le palme delle mani
ciò che trovava; e perché la maschera non le chiudes­
se la bocca, rimosse quella fìnta sembianza laceran­
dola per bene con le unghie. In luogo delle lodi e del­
l'ammirazione provocò le risa degli spettatori m ostran­
do il suo brutto e ridicolo aspetto sotto i resti della
maschera. Come la finta sembianza non bastò alla
scimmia a farla sembrare un uomo, giacché la sua
vera natura si rivelò nell'avidità per quei frutti sec­
chi, cosi coloro che non danno con la fede ima vera
im pronta alla loro natura si rivelano diversi da ciò
che professano di essere una volta allettati dalle ghiot­
tonerie offerte dal diavolo. Al posto dei fichi secchi,
delle mandorle e di altre simili cose il cattivo mer­
cato del diavolo offre infatti agli uomini golosi la va­
nità, l’ambizione, la cupidigia e l'amore per il piace­
68 Gregorio di Nissa

r e 1, e conduce quindi facilmente alla prova dei fatti


le anime simili alle scimmie: questi uomini fingono di
essere cristiani con un’imitazione esteriore, ma quan­
do giunge il momento di soffrire distruggono la ma­
schera della temperanza, della mitezza e delle altre
virtù. È dunque necessario pensare al significato del­
la professione cristiana: potremmo forse diventare
ciò che indica il nome, evitando cosi di far consiste­
re la nostra trasformazione unicamente nel nome e
nella sua esteriorità e di rivelarci quindi di fronte a
colui che vede le cose nascoste2 diversi dalle nostre
sembianze.

Nel nome di Cristo tutti i concetti più alti

Esaminiamo dunque innanzi tutto che cosa si


deve intendere per cristianesimo proprio in base a
questo nome. Un significato certamente più alto e
sublime, pari all'altezza del termine, potranno trovarlo
i più esperti. Per quanto però ci riguarda, ecco ciò che
riusciamo a vedere in esso: il nome di Cristo, tra ­
sposto in una parola più chiara e più facilmente com­
prensibile, sta ad indicare il re, giacché la Sacra Scrit­
tura, secondo una sua abitudine peculiare, con questa
parola allude alla dignità regale. Ma poiché, come dice
la Scrittura, la divinità è una cosa ineffabile e incom­
prensibile3 e trascende ogni pensiero conoscitivo, i

1 Ho om esso nella traduzione italiana le parole greche


antì traghemàtón {Jaeger, p. 133, 10-11) in quanto mi sembra­
no un'inutile ripetizione delle precedenti (cf. Jaeger, p. 133,
7-8). Si tratta forse di un'interpolazione? Sarei incline a espun­
gerle dal testo greco.
2 Cf. ad es. Mt. 6, 4; 6, 6; 6, 18.
3 II passo di 1 Tim. 6, 16 a cui rimanda lo Jaeger, app.,
La professione cristiana 69

profeti e gli apostoli animati dallo Spirito Santo si


servono necessariamente di molti nomi e concetti per
condurci alla comprensione della natura incorrutti­
bile: un concetto degno della divinità ci guida subito
verso un altro. Di conseguenza, la sovranità < ch e la
divinità esercita > su tutte le cose è indicata dal nome
« regno », m entre il fatto che essa è esente e libera da
qualsiasi passione e da qualsiasi vizio trova espres­
sione nei nomi delle virtù, ciascuna delle quali va
pensata e predicata a proposito della divinità supe­
riore. Questa natura superiore è quindi giustizia4,
sapienza5, potenza6, v erità7, b o n tà 8, v ita 9, salvezza10,
incorruttibilità n, im m utabilità e inalterabilità u; e Cri­
sto s’identifica con tu tti i concetti elevatiindicati da
tali nomi, e riceve da essi i suoi appellativi. Sedun­
que nel nome di Cristo si possono pensare compresi
tutti i concetti più alti (il significato più alto compren­
de anche i rimanenti, cosi come nel concetto di regno
si vedono tutti gli altri concetti), possiamo forse, di

p. 134, riga 7 non è pertinente, giacohé in esso si parla sol­


tanto deU’impossibilità di vedere Dio. In realtà i due concet­
ti deU’incomprensibilità e ineffabilità di Dio, entrambi basilari
nella teologia di Gregorio, provengono da Filone e dal neopla­
tonismo, anche se nell'Antico e nel Nuovo Testamento non man­
cano passi in cui il nome di Dio è definito irrivelabile e al di
sopra di qualsiasi nome {Gen. 33, 30; Es. 6, 3; Ef. 1, 21; Fil. 2, 9).
* Cf. 1 Cor. 1, 30.
s Cf. 1 Cor. 1, 30; 1, 24.
« Cf. 1 Cor. 1, 24.
7 Gv. 14, 6.
« Mt. 19, 17; Me. 10, 17; Le. 18, 19.
» Gv. 14, 6.
“ Atti, 4, 12.
» Cf. 1 Cor. 1, 53.
n Questi ultim i due concetti derivano dalla filosofia greca,
ed in particolare da Platone e dal neoplatonismo; cf. anche la
nota dello Jaeger, app., p. 134.
70 Gregorio di Nissa

conseguenza, arrivare a comprendere il significato del


termine « cristianesimo ». Se noi, unendoci a Cristo
tram ite la fede che abbiamo in lui, prendiamo lo stes­
so nome di colui che trascende i nomi che esprimono
la natura incorruttibile, ne consegue necessariamente
che diventano nostri appellativi anche tutti quei con­
cetti che si vedono presenti nella natura incorrutti­
bile perché legati al nome di Cristo. Come abbiamo
ricevuto il nome di cristiani perché siamo divenuti
partecipi di Cristo, cosi, di conseguenza, dobbiamo
entrare in comunione con tutti i nomi più alti; e
come chi tira a sé il gancio estremo di una catena
tira anche tutti gli anelli attaccati strettam ente gli
uni agli altri p u r tirandone uno solo, cosi, giacché nel
nome di Cristo sono strettam ente uniti anche i rima­
nenti termini che esprimono la natura beata, ineffa­
bile e molteplice della divinità, colui che ne afferra
uno non può non trascinare assieme ad esso anche i
rimanenti.
Calunnia dunque il nome di Cristo chi se ne ap­
propria senza però far m ostra nella sua vita delle
virtù che si contemplano in esso: secondo l’esempio
da noi prim a citato, fa indossare alla scimmia una
maschera priva di vita, che di umano ha solo la forma.
Come Cristo non può non essere giustizia, purezza, ve­
rità e allontanamento d a ogni male, cosi non può
essere cristiano (parlo del vero cristiano) chi non
prova la presenza in sé anche di questi altri nomi. Per
esprimere con una definizione il concetto di cristia­
nesimo, diremo che il cristianesimo consiste nell’imi­
tazione della natura divina. Nessuno muova rimpro­
veri a questo mio ragionamento, come se fosse esage­
rato e superasse gli angusti limiti della nostra natura:
la definizione da noi data non va al di là di essa. Se
La professione cristiana 71

si pensa alla primitiva conformazione dell'uomo, gli


insegnamenti della Scrittura m ostrano che la defini­
zione non oltrepassa la misura naturale. La prim iti­
va conformazione dell'uomo imitava infatti la somi­
glianza a Dio; questa verità insegna Mosè a proposito
dell’uomo là dove dice: « Dio creò l'uomo: lo creò
secondo l’immagine di Dio » 13. La professione cristia­
na consiste nel far ritornare l’uomo alla primitiva con­
dizione fortunata.

Allontanare ogni vizio

Se anticamente l’uomo era simile a Dio, dicendo


che il cristianesimo è un’imitazione della natura divi­
na non abbiamo forse dato una definizione priva di
senso. La professione di questo nome è dunque una
cosa seria. È ora il momento di vedere se chi fa m ostra
solo del nome senza uniformare la propria vita a
questa regola corre o no dei rischi. La questione po­
trebbe chiarirsi con un esempio. Supponiamo che uno
vada dicendo di conoscere l’arte della pittura, e che
riceva da un magistrato l’ordine di raffigurare l’im­
magine del re per coloro che risiedono in zone lonta­
ne. Se, dopo avere delineato su di una tavola una figura
bru tta e deforme, chiamasse « immagine del re » que­
sto sconveniente dipinto, non attirerebbe forse giu­
stamente su di sé l’ira delle autorità? A causa del suo
bru tto dipinto le persone ignare offenderebbero in­
fatti la bellezza del modello. La forma m ostrata dal­
l’immagine è ritenuta necessariamente anche la for­
ma del modello. Se allora, in base alla definizione

“ Gen. 1, 27.
72 Gregorio di Nissa

< d a noi d a ta > , il cristianesimo è imitazione di Dio,


chi non ha ancora ricevuto l'istruzione sacramentale
è portato a credere che il nostro Dio sia identico alla
vita che egli ha modo di osservare e che, secondo la
nostra fede, si basa sulla sua imitazione: se vede < in
essa> i segni del bene, crede che il Dio da noi vene­
rato sia buono. Chi però diventa preda delle passio­
ni e si rende simile a una bestia, trasformandosi ora
in una passione ora in un’altra, facendo assumere al
proprio carattere l’aspetto di varie bestie — è possi­
bile vederle subito, una volta che sono state formate
dalle deviazioni della nostra natura — e professan­
dosi quindi cristiano, con la propria vita rende ripro­
vevole tra gl'infedeli il Dio in cui noi crediamo, giac­
ché tutti sanno bene che il professarsi cristiani indica
l’imitazione di Dio. Per questo la Scrittura lancia con­
tro costoro ima minaccia paurosa là dove dice: « Guai
a coloro a causa dei quali il mio nome è bestemmiato
tra i popoli » 14. Mi sembra che il Signore proprio per
condurci alla comprensione di questo pensiero abbia
detto a coloro che erano capaci di ascoltarlo: « Diven­
tate perfetti, com'è perfetto il vostro Padre celeste » 15.
Chi chiama il vero Padre « Padre dei fedeli » vuole
che anche coloro che sono generati tram ite lui si avvi­
cinino ai beni perfetti che si contemplano in lui. Tu
mi chiederai: « Ma come può la piccolezza umana rag­
giungere la beatitudine che si vede in Dio? La nostra
impotenza non risulta chiara proprio dal comanda­
mento? Com’è possibile che la creatura terrena di­
venti simile a colui che è nei cieli, quando proprio la
differenza tra le due nature m ostra l'impossibilità del-

M Cf. Is. 52, 5.


« Mt. 5, 48.
La professione cristiana 73

l’imitazione? È ugualmente impossibile adeguare la


vista alla grandezza celeste e alle sue bellezze e ren­
dere l’uomo nato dalla terra simile al Dio celeste ».
Ma ciò che diciamo a tal proposito è chiaro: il vangelo
ci ordina non di paragonare tra loro le due nature,
l’umana e la divina, ma d’imitare nella nostra vita,
per quanto è possibile, le buone azioni di Dio. Quali
sono dunque fra le nostre azioni quelle che possono
assomigliare alle azioni di Dio? L'allontanamento da
ogni vizio nella m isura possibile e la purificazione
dalle sue sporcizie nelle opere, nelle parole e nel pen­
siero rappresentano la vera imitazione della perfezio­
ne del Dio celeste16.

La natura divina tocca ciascun essere

Non mi sem bra che il vangelo dica che il cielo,


in quanto elemento, è la sede separata di Dio, là dove
ci comanda di diventare perfetti come il Padre cele­
ste, giacché Dio si trova in uguale m isura in tutte le
cose ed attraversa tutto il creato in modo uguale17, e
nulla potrebbe continuare ad esistere se fosse sepa­
rato dall’essere superiore: la natura divina tocca allo
stesso modo ciascun essere, stringendo tutto dentro
di sé con la sua forza che tutto abbraccia18. Anche il

16 Ho omesso nella traduzione italiana le parole tès theias


te kai in quanto m i sembrano un’inutile ripetizione di quelle
che vengono subito dopo: sarei incline a espungerle dal testo
greco.
17 Su questo motivo di origine stoica ripreso dalla Sa­
pienza di Salomone e da alcuni padri greci anteriori e poste­
riori a Gregorio di N issa cf. il m io libro Clement of Alexan­
dria, Oxford 1971, pp. 209-211.
18 Su questo motivo filoniano cf. il mio Clement of Alexan­
dria, pp. 210-211.
74 Gregorio di Nissa

Profeta ce lo insegna quando dice: Anche se con il pen­


siero mi trovo in cielo, anche se con il pensiero mi
calo giù per esplorare gli abissi sotterranei, anche se
faccio giungere il pensiero della m ia anima fino ai
limiti dell’universo, vedo che tutto è stretto dalla tua
destra. Queste sono le sue parole esatte: « Se salgo
fino al cielo, tu sei là; se scendo nell’Ade, sei presente;
se dirigo le mie ali a oriente, se mi stabilisco all'e­
strem ità del mare, anche in questi casi la tua mano
m i guida e la tua destra mi tiene » 19. Da queste parole
si può capire che la sede celeste non è la sede separata
ed esclusiva di Dio. Purtuttavia, la dimora superiore
è in grado di purificarci dal vizio, come ci fa inten­
dere per enigmi la Scrittura in molti passi; e in que­
sta vita bassa e materiale si fanno sentire le passioni
del vizio, giacché lo scopritore del vizio, il serpente,
si attorciglia e striscia sulla vita terrena, come ricorda
a proposito di lui il sacro racconto in modo enigma­
tico, là dove dice « cammina sul petto e sul ventre e
si nutre sempre di terra » 20: questo tipo di movimento
sta ad indicare il tipo di nutrizione, giacché questa
bassa vita è fatta di terra, assume il movimento stri­
sciante del multiforme vizio e diventa nutrim ento del­
la bestia che striscia su di essa. Il Signore, ordinan­
doci d'im itare il Padre celeste, ci ordina quindi di
purificarci dalle passioni terrene; da esse ci possiamo
allontanare non spostandoci da un posto all’altro, ma
soltanto con la nostra volontà. Se dunque l’allontana­
mento dal male può essere prodotto soltanto dall'im­
pulso del pensiero, le parole del vangelo non ci co­
mandano nulla di faticoso.

» Sai. 138, 81-IO.


2° Gen. 3, 14.
La professione cristiana 75

I tesori celesti

Nessuna fatica accompagna l'impulso del pensie­


ro, giacché con il pensiero siamo in grado di arrivare
dove vogliamo senza nessuno sforzo. La vita celeste
è quindi facile per chi vuol rimanere anche sulla ter­
ra: ce l'insegna il vangelo < quando ci esorta > a
pensare alle cose celesti e a riporre la ricchezza della
virtù nei tesori del cielo21. « Non accumulate — dice
< il Signore > — tesori sulla terra, m a accumulate
tesori nei cieli, là dove né le tarm e né la ruggine li
possono distruggere, e dove i ladri non possono né sca­
vare né rubare » 22. Con queste parole < il Signore c i>
m ostra che nella vita superiore non alberga nessuna
forza capace di distruggere la beatitudine. Colui che
in vari modi fa sentire la sua multiforme malvagità
nella vita umana allo scopo di distruggerla, s’introdu­
ce come una tarm a nel pensiero, rovinando con la sua
forza corrosiva e distruggitrice la parte in cui si trova;
se non viene cacciato subito via da essa, striscia den­
tro le p arti vicine, lasciando con i suoi movimenti in
ciò in cui penetra le tracce della sua opera corrut­
trice. Oppure, se le parti interne sono sicure, tende
varie insidie ricorrendo alle circostanze esterne: o si
serve del piacere per scavare nel tesoro del cuore, o
usa qualche altra passione per togliere la virtù dal
recipiente dell’anima, sottraendole la ragione con l’ira,
con il dolore o con qualche altra passione analoga.
Poiché il Signore afferma che nei tesori celesti non
ci sono né le tarm e né la ruggine né i furti che inse­
gnano a compiere ciò a cui abbiam o prim a pensato,

21 Cf. Col. 2, 2-3.


22 Mt. 6, 19; Le. 12, 33.
76 Gregorio di Nissa

dobbiamo trasferire la nostra attività là dove ciò che


accumuliamo non solo non viene saccheggiato e ri­
mane integro per sempre, ma si moltiplica e si accre­
sce allo stesso modo dei semi. Data la natura di chi
riceve il deposito, la ricompensa non può non cre­
scere. Come noi, quando offriamo miseri doni, ci com­
portiamo secondo la nostra natura perché siamo po­
veri per natura, cosi è naturale che colui che è oltre­
modo ricco dia in cambio ciò che ha a chi in prece­
denza gli aveva offerto i suoi doni. Nessuno deve quin­
di scoraggiarsi nel momento in cui, secondo le proprie
possibilità, m ette la sua parte nei tesori celesti, pen­
sando di ricevere in proporzione a ciò che ha dato:
aspetti il compimento della promessa di colui che ha
assicurato che avrebbe ripagato le cose piccole con
le grandi, e ricambiato le cose terrene con quelle ce­
lesti e le cose caduche con quelle eterne. La natura
dei suoi doni è tale, che non può né essere concepita
dal pensiero, né spiegata con le parole: a proposito
di essi la Scrittura ispirata da Dio insegna che né
l'occhio umano ha mai visto, né l’orecchio ha mai udito
né il cuore umano ha mai ospitato ciò che il Signore
ha preparato a coloro che lo am ano23. Scrivendo su
quest'argomento, o venerando uomo, ho inteso non
solo sopperire alla < passata > mancanza di scritti,
ma anche pagare in anticipo i miei debiti futuri. Possa
tu vivere nel Signore secondo i tuoi desideri; e possa
esserti sempre gradito ciò che è caro a Dio e gradito
a noi.

23 1 Cor. 2, 9.
III. LA PERFEZIONE CRISTIANA

Scritto di Gregorio vescovo di Nissa ad Olimpio sulla


perfezione

È degno del tuo carattere il tuo desiderio di sape­


re come potresti diventare perfetto mediante una con­
dotta di vita virtuosa e realizzare l'irreprensibilità in
tutti gli atti della tua vita. Io avrei tenuto moltissimo
a farti trovare nella mia vita l'esempio di ciò che desi­
deri e ad im partirti più con i fatti che con le parole
l’insegnamento che cerchi: se la m ia vita corrispon­
desse alle mie parole, le mie lezioni sul bene sareb­
bero certo più credibili. Poiché però mi auguro di
diventare perfetto, m a non mi considero ancora degno
di m ostrare come esempio la mia vita al posto delle
parole, per non darti l'impressione di essere del tutto
inadatto a tale scopo e inutile, ho pensato di sugge­
rirti il fine a cui deve tendere una vita rigorosa: e
questo sarà il punto di partenza del mio discorso.
Il nostro buon Signore Gesù Cristo ci ha conces­
so la grazia di diventare partecipi del suo nome ado­
rato; in effetti, ciascuno di noi, ricco o nobile, ple­
beo o povero, anche quando le sue occupazioni o il
suo grado gli danno un lustro, non riceve il suo nome
da nessuna delle cose che ci circondano. Mentre tutti
i nomi terreni tacciono, coloro che credono in Cristo
hanno un unico vero nome, quello di cristiani. Se
questa grazia superiore ci è stata data, è necessario
78 Gregorio di Nissa

tutto riflettere sulla grandezza del dono in


in n an zi
modo da ringraziare degnamente il Dio che ce l'ha
concesso, e poi m ostrarci nella nostra vita degni di
ciò che la forza di questo nome esige. La grandezza
del dono di cui siamo stati considerati degni quando
abbiamo ricevuto lo stesso nome del padrone della
nostra vita ci risulterebbe chiara se riuscissimo ad
afferrare il significato del termine « cristiano »: quan­
do nelle nostre preghiere invochiamo con questa paro­
la il padrone universale, dovremmo comprendere il
concetto che dobbiamo accogliere nella nostra anima
o l'idea che dobbiamo supporre alla base del termi­
ne per poter essere sicuri d'invocarlo in modo pio.
Una volta compreso questo, impareremo di conse­
guenza bene anche come dobbiamo m ostrarci nel­
l’impegno della nostra vita, prendendo come maestro
e guida della nostra condotta il termine « cristiano ».
Se faremo di san Paolo il nostro istruttore in queste
due cose, avremo una guida più che sicura nella com­
prensione di ciò che cerchiamo. San Paolo infatti me­
glio di chiunque altro ha compreso cos'è Cristo e con
le sue azioni ci ha spiegato come dev'essere colui che
prende il suo nome. Lo imitò in modo cosi evidente,
da m ostrare in se stesso le sembianze del suo Signo-

1 2 Cor. 13, 3.
2 Gal. 2, 20.
3 1 Cor. 1, 24.
♦ Ef. 2, 14.
s 1 Tirn. 6, 16.
« 1 Cor. 1, 30.
i 1 Cor. 1, 30.
« Ebr. 4, 14.
» 1 Cor. 5, 7.
10 Rom. 3, 25.
u Ebr. 1, 3.
« Ebr. 1, 3.
La perfezione cristiana 79

re: l’imitazione scrupolosa di Cristo trasformò l’aspet­


to della sua anima nel modello originario a tal punto,
che si aveva l’impressione che chi viveva e parlava
non fosse più Paolo, e che Cristo in persona vivesse
in lui. Lo dice colui che si rese conto dei propri beni:
« Poiché cercate una prova del Cristo che parla in
me » « Non sono più io a vivere: è Cristo che vive
in me » 2.

Concepire la grandezza di Cristo


Egli ci ha anche reso noto il significato del nome
« Cristo » dicendoci che Cristo è la potenza e la sa­
pienza di D io3; ed ha chiamato Cristo anche pace4,
luce inaccessibile in cui abita D io5, santificazione6,
redenzione7, gran sacerdote8, P asqua9, offerta espia­
toria per le anim e10, splendore della gloria11, espres­
sione della sostanza < d el Padre > 12, creatore dei se­
coli 13, cibo e bevanda spirituale14, p ie tra 1S, acq u a16,
fondamento della fe d e 17, vertice dell'angolo18, imma­
gine del Dio invisibile19, grande Dio ” , capo del corpo
della Chiesa21, primogenito della nuova creazione22,
primizia dei m o rtia , figlio primogenito risorto M, figlio
primogenito fra molti fratelli25, intermediario tra
« Ebr. 1, 2.
μ 1 Cor. 10, 3-4.
15 1 Cor. 10, 4.
“ Gv. 4, 14.
” 1 Cor. 3, 11.
i* Sai. 117, 22; cf. Mt. 21, 42; Me. 12, 10; Le. 20, 17.
» Col. 1, 15.
2» Tit. 2, 13.
zi Col. 1, 18.
22 Col. 1, 15.
23 1 Cor. 15, 20.
24 Col. 1, 18; cf. Ap. 1, 5.
25 Rom. 8, 29.
80 Gregorio di Nissa

Dio e gli uom ini26, figlio unigenito incoronato di glo­


ria e di onore27, signore della gloria28 e principio degli
esseri29. Cosi si è espresso sul suo conto: « Egli è il
principio, e inoltre il re della giustizia, il re della pace
e il re di tutte le cose; possiede la sm isurata potenza
della regalità e tu tti gli altri attributi analoghi, che
non è facile enumerare » 30. Poiché l'idea implicita in
ciascuno di questi nomi contribuisce per la sua parte
a spiegare il significato del nome « Cristo », essi, som­
m ati gli uni agli altri, sono in grado di darcene un’im­
magine, rivelandoci quella parte della sua grandezza
che le nostre anime sono capaci di concepire. Se dun­
que la dignità regale è superiore a ogni altra dignità,
potenza e signoria; se il nome « Cristo » allude vera­
mente ed in primo luogo alla potenza regale (come ci
fa sapere la storia, l'unzione era il prim o atto del
regno31); se nel concetto di regno sono racchiusi i
significati di tutti i rim anenti nomi, per questa ragio­
ne chi pensa ai significati parziali compresi in esso
pensa contemporaneamente anche al significato che
li comprende tutti: e questo significato è quello di
regno, m ostrato appunto dal nome « Cristo » 32. Poiché
il nostro buon Signore ci ha concesso di essere parte­
cipi del nome più grande, più divino e più importante,
che fa chiamare cristiani coloro che vengono onorati
da esso, in noi devono essere visibili anche tu tti i

“ 1 Tim. 2, 5.
27 Cf. Gv. 3, 18; Ebr. 2, 7 e 2, 9; Sai. 8, 6.
28 1 Cor. 2, 8.
29 Col. 1, 18.
» Cf. Ebr. 7, 2; Le. 1, 33.
31 1 Re, 9, 16; 10, 1; 16,12. Cf. anche De Professione Christia­
na, p. 134, 5-6 Jaeger.
32 Lo stesso concetto si ritrova in De Professione Christia­
na, p. 135, 1-5 Jaeger.
La perfezione cristiana 81

nomi che lo spiegano, affinché quest’appellativo non


risulti falso, ma riceva una testimonianza dalla nostra
v ita 33. La realtà di una cosa non deriva dalla sua de­
nominazione: la natura che sta alla sua base, qualun­
que essa sia, deve essere riconoscibile in base al signi­
ficato del nome che le si addice. Faccio un esempio:
se a u n albero o a ima roccia si attribuisce l'appella­
tivo di « uomo », la pianta o la pietra divengono for­
se un uomo in virtù di questa denominazione? Non è
cosi: prim a ci deve essere l’uomo, e poi egli deve es­
sere chiamato con quest'appellativo naturale. Nean­
che nel caso delle imitazioni i nomi esprimono la loro
vera realtà, come quando si chiama uomo una statua
o cavallo una copia: per poter essere chiamata in
modo giusto e veritiero, la natura di una cosa deve
avere un nome che sia assolutamente vero. La natura
che riceve l'imitazione, qualunque essa sia, si chiama
bronzo o pietra o in un altro modo analogo; l’arte,
poi, le imprime una forma, dandole una parvenza.

Nella propria vita tutti i beni conformi a Cristo

Chi vuole ricevere il suo nome da Cristo deve


quindi conformarsi innanzi tu tto a ciò che questo
nome esige, e solo in un secondo momento attribuir­
selo. Come chi, per distinguere l’uomo reale dall'im­
magine che prende il suo stesso nome, basa la sua
distinzione sulle loro proprietà caratteristiche chia­
mando il primo essere vivente, razionale e pensante,
e l'altra m ateria inanimata che ha assunto un aspet­
to umano grazie all'imitazione, cosi noi siamo in gra­

33 Cf. De Professione Christiana, pp. 135,22-136, 6 Jaeger.


82 Gregorio di Nissa

do di riconoscere il vero e il presunto cristiano in


base alle qualità peculiari che si rivelano nei loro
caratteri. Il carattere del vero cristiano è rappresen­
tato da tutte quelle qualità che abbiamo immaginato
presenti in Cristo. Di esse, noi imitiamo quelle che
riusciamo a realizzare in noi stessi, e veneriamo e
adoriamo quelle che la nostra natura non riesce ad
imitare. Se, come dice l'Apostolo, l’uomo di Dio vuole
restare integro senza mutilare con il vizio la pro­
pria integrità34, tutti i nomi che spiegano il signifi­
cato di Cristo devono rifulgere nella vita del cristiano
o grazie all'imitazione o grazie all'adorazione. Coloro
che rappresentano i prodigi mitici o nei racconti o nei
dipinti, quando mettono insieme elementi eterogenei
forgiando creature con la testa di bue o con il corpo
di cavallo o con le gambe di serpente o altri simili
esseri, non basano la loro imitazione sul modello ori­
ginario, ma nella loro fantasia irrazionale trasgredi­
scono le leggi naturali e creano esseri diversi dagli
uomini, formando secondo la loro immaginazione ciò
che non esiste. Il prodotto di queste combinazioni di
cose eterogenee, anche se qualche sua parte è simile
a qualche parte del corpo umano, non può essere
chiam ato uomo. Allo stesso modo, non può essere
chiamato a buon diritto cristiano chi ha una testa
priva di ragione e del verbo35, vale a dire chi, p ur
avendo integre le altre parti del corpo, per mancan­

34 Cf. 2 Tim. 3, 17.


35 Nel termine àlogos sono im pliciti due significati, peral­
tro interdipendenti: la mancanza di ragione e la mancanza del
verbo divino. Chi è idolatra e non crede in Cristo (il Verbo
divino) è infatti paragonato da Gregorio al minotauro, che ha
il corpo umano e la testa d i toro, vale a dire priva di ragione
(of. poche righe più avanti).
La perfezione cristiana 83

za di fede non possiede la testa di tu tte le cose, il


V erbo36; oppure chi m ostra di non aver conforme al
capo della fede37 il corpo della sua condotta38, o per­
ché accoglie nella sua natura l'ira dei serpenti, o
perché s’imbestialisce come questi rettili, o perché
unisce al carattere umano la passione per il sesso
femminile propria dei cavalli, diventando un centauro
form ato da due nature, una razionale ed una irrazio­
nale. È possibile vedere molte persone di tal fatta: o
come il minotauro raffigurato nei dipinti conducono
una vita decente m a con una testa di vitello, vale a
dire restando in balia delle dottrine idolatre; o, al
pari dei centauri o degli uomini con le gambe di
serpente scolpiti nelle statue, cercano nella loro vita
di adattare al volto cristiano il loro corpo animalesco.
Perché, come nel caso del corpo umano, il cristiano
venga riconosciuto nella sua integrità, l’uomo fedele
deve m ostrare nella propria vita l'im pronta di tutti

36 Alla base di questa frase di Gregorio ci sono vari passi


di san Paolo: cf. Ef. 3, 17, « fare abitare Cristo nei cuori tra­
m ite la fede », Col. 1, 18 dove Cristo è raffigurato com e « la
testa della Chiesa », Col. 2, 9 dove Cristo è definito « il capo
di ogni dominazione e di ogni podestà » (questo passo è citato
dallo Jaeger, app., p. 179), Ef. 4, 15 dove Cristo è chiamato
« la testa » e 1 Cor. 11, 3 dove Cristo è definito « la testa del­
l ’uomo ».
37 II « capo della fede » è evidentemente Cristo. Alla stessa
immagine di Cristo com e capo della fede Gregorio ricorre in
Contra Eunomium, 1. II (voi. I, pp. 227, 27-228, 3 Jaeger).
38 C’è un voluto parallelismo tra le due espressioni « capo
della fede » e « corpo della condotta ». La stretta interdipen­
denza che c ’è tra Cristo, la fede e la testa c'è anche tra il
corpo e la condotta umana: come la testa è il simbolo d i Cri­
sto e della fede in lui, cosi il corpo è il simbolo della con­
dotta. Nel vero cristiano ci deve essere una piena corrispon­
denza tra la condotta e la fede. Lo stesso concetto si trova
espresso nell'epistola di Giacomo, 2, 20: « La fede senza le
opere è una cosa inerte ».
84 Gregorio di Nissa

i beni che si possono pensare conformi a Cristo. Il


conformarsi sotto un certo aspetto a ciò che il nome
richiede e lo strisciare sotto certi altri verso il suo
contrario altro non è che tagliare una parte di sé e
rendersela nemica, fare scontrare in sé stessi la virtù
e il vizio, e condurre tuia vita che non conosce né tre­
gue né accordi. « Quale rapporto ci può essere tra la
luce e la tenebra? » 39. Sono parole dell'Apostolo.
Poiché la contrapposizione tra la luce e la tene­
bra non conosce compromessi e mediazioni, colui
che si tiene stretto a entram bi i principi senza abban­
donare nessuno dei due non può non dividersi in due
parti, data la presenza in lui dei due contrari che si
combattono tra loro: la sua è una vita mista, ed egli
diventa contemporaneamente luce e tenebra, giacché
mentre la fede invia la sua luce la vita tenebrosa oscu­
ra la fiaccola accesa dal verbo. Se è vero che il rap­
porto tra la luce e la tenebra è impossibile e non
conosce accordi, colui che si lascia avvolgere da en­
tram bi i contrari diventa nemico di se stesso, divi­
dendosi tra la virtù e il vizio e assumendo posizioni
contrarie tra loro. Come non è possibile che due ne­
mici risultino entrambi vincitori in quanto la vitto­
ria dell’uno comporta sempre la morte dell’altro, cosi
anche in questa battaglia interna prodotta da una
vita m ista la schiera più forte non può vincere se
l’altra non viene totalmente sterminata. Come può
l’esercito della religiosità avere la meglio sul vizio, se
la cattiva schiera dei contrari gli marcia contro? Per­
ché il più forte possa vincere, occorre che l’avversario
venga totalmente annientato. Cosi la virtù otterrà la
vittoria sul vizio dopo che l'intervento della ragione

3» 2 Cor. 6, 14.
La perfezione cristiana 85

avrà fatto ritirare e scomparire tutti i suoi nemici.


Allora si compie il detto di Dio pronunziato tram ite i
profeti: « Io ucciderò e farò vivere » 40. Il bene che
si trova in me non può infatti vivere se non è vivificato
dalla m orte del nemico. Finché ci lasceremo avvolge­
re da entrambi i principi toccando i contrari con
entram be le mani, non potrem o essere partecipi di
nessuno dei due nello stesso momento: mentre si cer­
ca di afferrare il vizio, la virtù allontana dalla presa.

Una sola la strada: Gesù Cristo

Riprendiamo dunque di nuovo il discorso dall'i­


nizio, ricordando che per le persone amanti della
virtù una sola è la strada che porta alla vita pura e
divina, la conoscenza del significato del nome di Cri­
sto: la nostra vita si deve uniform are ad esso, e di­
ventare virtuosa comprendendo i nomi rimanenti. I
term ini e i nomi che abbiamo raccolto dalla santa
voce di Paolo nel proemio del nostro discorso in
quanto servono a illustrare il significato di Cristo dob­
biamo tenerli presenti nella nostra futura trattazione
facendo di essi la guida più sicura nella vita virtuo­
sa: come abbiamo già detto in precedenza, ne imitere­
mo alcuni e ne adoreremo e venereremo altri. Met­
tiamo in ordine ciò che abbiamo detto enumerando
i nomi uno per imo. Cominciamo dai prim i due. Cri­
sto — dice Paolo — è la potenza e la sapienza di D io41.
Grazie a questi due appellativi di Cristo impariamo
innanzi tutto a conoscere i concetti che ci fanno vene­
rare il suo nome. Poiché tu tta la creazione — sia quel-

« Deut. 32, 39.


« 1 Cor. 1, 24.
86 Gregorio di Nissa

la che si conosce tram ite le sensazioni sia quella che


trascende le percezioni sensoriali — ha avuto origine
tram ite lui ed esiste in lui, nella definizione del signi­
ficato di Cristo, creatore di tutte le cose, la sapienza
non può non apparire strettam ente unita alla potenza.
Grazie aH'accoppiamento di questi due termini, la
potenza e la sapienza, noi comprendiamo che le gran­
di e ineffabili meraviglie del creato non avrebbero
potuto esistere, se la sapienza non avesse concepito
la loro origine, e se la potenza non si fosse accompa­
gnata alla sapienza per m andare a compimento ciò
che era stato pensato; solo cosi i pensieri diventano
atti concreti42.
Nel significato del nome di Cristo si possono quin­
di distinguere in modo appropriato due aspetti, la
sapienza e la potenza: quando consideriamo la gran­
dezza della struttura dell'universo, abbiamo modo di
pensare, tram ite ciò che percepiamo, alla sua ineffa­
bile potenza; e quando riflettiamo sul modo in cui
hanno avuto origine le cose che prim a non esisteva­
no — è il divino comando che ha dato l'esistenza alla
varia natura degli esseri — abbiamo modo di adora­
re l'incomprensibile sapienza di colui che ha conce­
pito tutto questo, quella sapienza la cui attività è rap­
presentata dai pensieri43. Credere Cristo potenza e

42 Alla base di questo passo di Gregorio c ’è la dottrina


filoniana di Dio che pensa l’universo prima di crearlo: cf. so-
prattutto Filone, De Opif. M. 16 (I, p. 5, 3-6 Cohn-Wendland)
e 19 (I, p. 6, 5-6).
43 Alla base di quest’affermazione c’è la dottrina dell’attivi­
tà noetica di Dio produttrice di pensieri ohe, formulata da Ari­
stotele, è stata poi ripresa dal platonismo medio, dal neoplato­
nismo, da Filone e da alcuni Padri greci anteriori a Gregorio;
cf. Aristotele, Metaf., 1072 b 19-20 e 1074 b 33-35; Albino, Did.,
pp. 163,29-30 e 164, 27 Hermann; Attico, fr. IX Baudry; Plutarco,
La perfezione cristiana 87

sapienza non è per noi del tutto inutile in vista del


possesso del bene: tram ite la preghiera, attiriam o su
di noi il nome che invochiamo quando preghiamo e
che guardiamo con l’occhio dell’anima. Come dice
l'Apostolo, chi pensa alla potenza — e Cristo è poten­
za — viene dominato da essa nella sua parte inte­
rio re 44; e come dice il proverbio, chi invoca la sa­
pienza — anche cosi ci raffiguriamo il Signore — di­
venta sapiente45. Chi dunque prende lo stesso nome
di Cristo che è potenza e sapienza, rafforzandosi con­
tro il peccato, assume un nome conforme alla sua
potenza; nel momento poi in cui sceglie le cose miglio­
ri, m ostra di possedere anche la sapienza. Se in noi
appaiono la sapienza e la potenza — la prim a sceglie
il bene, la seconda rafforza il pensiero— si realizza la
perfezione di vita, composta da entrambi gli elemen­
ti. Analogamente, considerando Cristo pace, mostria­
mo in noi un vero nome cristiano, a condizione di far
m ostra di Cristo nella nostra vita tram ite la pace che
regna in noi. Come dice l'Apostolo, egli ha ucciso l'ini­
m icizia4*. Noi non dobbiamo farla rivivere, ma far
vedere che è m orta nella nostra vita. Non facciamo
risorgere contro di noi per mezzo dell’ira e del ranco­
re, mandando alla perdizione le nostre anime, colei
che è stata giustamente uccisa da Dio per la nostra
salvezza; non provochiamo la funesta risurrezione di
colei che ha avuto ima giusta morte. Se invece abbia­
mo in noi Cristo, che è la pace, anche noi uccidiamo il

De Plac. philos., 882 d; Ippolito, Refut., I. 19, 2; Plotino, Enti.,


V 1. 4 e V 9. 5; Filone, De Opif. M. 19; Clemente, Stremi., V,
16, 3.
« Ef. 3, 16.
« Cf. Prov. 2, 3-5.
« Ef. 2, 14 e 2, 16.
88 Gregorio di Nissa

nostro odio, e realizziamo nella nostra vita ciò che


crediamo presente in lui. Come egli ha rotto il muro
divisorio e ha realizzato in se stesso la trasformazio­
ne dei due uomini in un uomo nuovo, producendo la
p ace47, cosi anche noi dobbiamo portare a un accor­
do non solo i nemici che ci combattono dal di fuori,
m a anche quelli che si rivoltano in noi stessi, in
modo che la carne non desideri più contro lo spirito
e lo spirito non desideri più contro la c arn e 48. Sotto­
messi i pensieri della carne alla legge divina, facciamo
regnare in noi la pace trasformandoci in un unico
uomo, nuovo e pacifico, e diventando una sola cosa
da due che eravamo p rim a 49: la pace consiste infat­
ti proprio nell'accordo tra gli elementi che prim a era­
no in discordia. Quando la guerra intestina viene
bandita dalla nostra natura, allora anche noi, facendo
regnare la pace in noi stessi, diventiamo pace e mo­
striamo di possedere in modo vero ed appropriato
questo nome di Cristo. Quando poi concepiamo Cristo
come luce v e ra 50, inaccessibile51 alla menzogna, dob­
biamo ricordare che anche la nostra vita deve essere
illuminata dai raggi della vera luce. I raggi del sole
della giustizia52 sono le virtù che si riversano su di noi
per illuminarci: grazie ad esse, siamo in grado di libe­
rarci dalle azioni dettate dalla ten eb ra53, di cammi­
nare decentemente alla luce del giorno54, di discono-

« Ef. 2, 14.
« Gal. 5, 17.
« Cf. Rom. 8, 7 ed Ef. 6, 14.
» Gv. 1, 9.
si 1 Tim. 6, 16.
52 Cf. Mt. 3, 20.
53 Rom. 13, 12.
» Rom. 13, 13.
La perfezione cristiana 89

scere la vergogna nascosta55, di fare tutto nella luce


e di diventare luce in modo da risplendere di fronte
agli a ltri56, proprio come fa la luce. E quando conce­
piamo Cristo come santificazione, allontaniamoci da
ogni azione e pensiero empio e impuro, mostriamo di
essere veramente partecipi di questo nome, e profes­
siamo la forza della santificazione con i fatti e non a
parole, vale a dire nella nostra vita.

La natura divina incomprensibile al pensiero umano

Quando sentiamo che Cristo è riscatto giacché si


è offerto come riscatto per n o i57, tram ite queste pa­
role apprendiamo che egli, offrendoci l'immortalità
come prezzo per il riscatto dell'anima di ciascuno di
noi, ci ha trasform ati in una sua proprietà: in effetti,
ci ha comprati dalla m orte mediante la vita. Se dun­
que siamo divenuti schiavi di colui che ci ha riscat­
tati, dobbiamo guardare sempre colui che è il nostro
Signore, in modo da vivere non più per noi stessi, ma
per colui che ci possiede avendoci riscattati con la
v ita 58. Non siamo più padroni di noi stessi: chi com­
pra è padrone dei propri beni, e noi siamo suoi beni.
La legge della nostra vita deve essere quindi rappre­
sentata dal volere del Signore. Come, durante il perio­
do in cui la morte ci dominava, governava in noi la
legge del peccato59, cosi, essendo divenuti proprietà
della vita, dobbiamo adattare la nostra condotta a

55 2 Cor. 4, 2.
50 Mt. 5, 15-16.
57 1 Cor. 1, 30.
58 Cf. Mt. 16, 26.
59 Rom. 8, 2.
90 Gregorio di Nissa

colei che è la nostra signora: altrimenti, se ci allon­


taniamo dal suo volere, tram ite i nostri peccati fac­
ciamo di nuovo ritorno dal malvagio tiranno delle
nostre anime, la morte. Quando sentiamo da Paolo che
Cristo è la Pasqua e il sacerdote60, gli stessi pensieri
ci avvicinano a lui: Cristo, la Pasqua, si è veramente
sacrificato per n o i61. Ma il sacerdote che offre a Dio
il sacrificio altri non è che lo stesso Cristo. « Egli
— è detto — si è concesso per noi come offerta e
sacrificio »62. Queste parole c'insegnano che chi guar­
da colui che si è offerto diventando offerta, sacrificio
e P asqua63, si presenta anch'egli a Dio come un sacri­
ficio vivente, santo e g radito64, diventando suo servo
nel proprio pensiero. Il sacrificio consiste nel « non
conformarsi a questo secolo, m a nel trasform arsi rin­
novando la propria mente e pensando al volere buono,
gradito e perfetto di Dio » ω.
Il buon volere di Dio non può apparire nella car­
ne, se essa vive e non viene sacrificata secondo la
legge spirituale. Per questo il pensiero della carne è
nemico di Dio e non si sottomette alla sua legge: non
può farlo, finché la carne continua a vivere. Se invece
essa viene sacrificata nel sacrificio vivificatore — e
questo avviene quando si fanno m orire le membra
terrene, tram ite le quali si manifestano le passioni —
si realizza nella vita dei fedeli il gradito e perfetto
volere di D io66. Analogamente Cristo, quando è con-

« 1 Cor. 5, 8; Ebr. 4, 14.


«i 1 Cor. 5, 8.
« Ef. 5, 2.
63 Cf. 1 Cor. 5, 8 ed Ef. 5, 2.
«♦ Rorn. 12, 1.
65 Rom. 12, 2.
« Rom. 12, 2.
La perfezione cristiana 91

cepito come offerta propiziatoria grazie al suo san­


g u e67, insegna a colui che lo pensa in tal modo a
diventare anch’egli un’offerta propiziatoria e a puri­
ficare la sua anima facendo m orire le sue membra.
E quando Cristo è definito splendore della gloria e
immagine della sostanza < d el Padre > 68, noi median­
te queste parole giungiamo ad avere un’idea della sua
adorata grandezza. In effetti Paolo, veramente ispi­
rato e istruito da Dio, colui che nella profondità della
ricchezza della sapienza e della conoscenza di D io69
indagò sugli oscuri e nascosti misteri divini, avendo
la lingua più debole della mente, mostrò con delle
allusioni le illuminazioni che gli provenivano da Dio
circa la comprensione delle cose introvabili e non rin­
tracciabili, nella misura in cui l’orecchio degli ascol­
tatori riusciva a comprendere il suo misterioso pen­
siero: diceva ciò che il pensiero era capace di espri­
mere servendosi della parola. Avendo compreso tutto
ciò che le facoltà umane riescono a concepire sulla
natura divina, mostrò che il discorso sull’essenza tra­
scendente è irraggiungibile e incomprensibile per il
pensiero umano.

Il Verbo porta all’esistenza tutte le cose

Quando parla di ciò che si può contemplare in


quest'essenza — la pace, la potenza, la vita, la giusti­
zia, la luce, la verità e altre simili cose — Paolo defi­
nisce quindi assolutamente incomprensibile il discor­
so che si può fare su di essa; non per nulla afferma

67 Rom. 3, 25.
« Ebr. 1, 3.
® Rom. 11, 33.
92 Gregorio di Nissa

che Dio non si può vedere né potrà mai essere visto:


« Colui — dice — che nessuno degli uomini ha visto
né può vedere » 70. Per questo, non avendo trovato
nessun nome capace di spiegare l'incomprensibile nel­
la sua ricerca di un nome da dare a ciò che non è
comprensibile al pensiero, ha chiamato gloria e so­
stanza il principio che trascende ogni bene e per il
quale non esistono né pensieri né parole adeguate71.
Egli lascia dunque senza nomi l'essenza che trascen­
de gli esseri72, mentre nella sua interpretazione chiama
splendore della gloria e immagine della sostanza73 lo
stretto e inscindibile rapporto tra il Figlio e il Padre
e ciò che si può contemplare insieme al Padre inde­
finibile ed eterno in modo parim enti indefinibile ed
eterno: con il termine « splendore » egli indica l’iden­
tità di natura, con il termine « immagine » la sua ugua­
glianza. Non si può concepire nulla d'intermedio tra
il raggio e la natura che lo emana, e l'immagine non
presenta alcuna diminuzione rispetto alla sostanza
che trova espressione in essa; al contrario, chi pensa
alla natura risplendente pensa sempre contemporanea­
mente anche al suo splendore, e colui che riesce a

™ 1 Tim. 6, 16.
71 Sulla presenza dei due concetti dell'inconoscibilità e
ineffabilità di Dio nel neoplatonismo, in Filone, in Clemente e
nello gnosticismo cf. op. cit., pp. 217-221 e 222 nn. 3 e 4.
72 È vero che Paolo afferma che Cristo è superiore a qual­
siasi nome (cf. Ef. 1, 21 e Fil. 2 ,9); quando però parla del-
1’ « essenza che trascende gli esseri » Gregorio è sotto la diret­
ta influenza del neoplatonismo, che pone l'uno, il primo princi­
pio, al disopra degli esseri: cf. Plotino, Enn. V, 1, 10 e V, 5, 6.
Circa un secolo e mezzo più tardi, lo Pseudo-Dionigi l’Areopa-
gita riecheggerà quest’affermazione di Gregorio, quando dirà
che Dio è « l’essenza che si trova in modo puro al disopra
di tutte le essenze » (De div. Nom., c. II, 10, PG 3. 648 C 9-10).
73 Ebr. 1, 3.
La perfezione cristiana 93

concepire nella sua mente la grandezza della sostanza


m isura sempre quest'ultima in base all'immagine che
gli appare. Per questo < Paolo > chiama il Signore
« forma di Dio » 74; con il concetto di « forma » egli
non diminuisce il Signore, ma m ostra la grandezza di
Dio: nella forma si può contemplare la grandezza del
Padre, che non supera mai la sua forma e che non si
trova mai fuori della sua immagine. Non c’è nel Padre
nessuna cosa priva di form a e di bellezza che non
gioisca della bellezza del Figlio unigenito. Per questo
il Signore dice: « Chi vede me vede il Padre » 75: con
tali parole intende dire che non esistono né diminu­
zioni né eccessi. Quando poi dice che il Signore « pro­
duce tutto con la parola della sua potenza » 76 < Pao­
lo > elimina l'imbarazzo di coloro che si affannano
attorno all'introvabile. Nella loro ricerca di una spie­
gazione della m ateria non cessano mai di affannarsi,
chiedendosi: « Come può esistere la m ateria in virtù
di ciò che è immateriale, come può la quantità origi­
narsi da ciò che ne è privo, la forma da ciò che è sen­
za forma, il colore da ciò che è invisibile, e ciò che
è circoscritto dalle proprie misure da ciò che è inde­
terminato? E se nel semplice che non conosce compo­
sizioni non ci sono qualità, come può la natura intrec­
ciarsi con le sue qualità? » 77. Tutti questi e altri simi­
li dubbi dei ricercatori scioglie colui che dice che il
Verbo con la parola della sua potenza78 porta all’esi-

w FU. 2, 6.
« Gv. 14, 9.
™ Ebr. 1, 3.
77 Queste aporie erano formulate da chi metteva in dubbio
i postulati della filosofia neoplatonica; proprio ad esse il neo-
platonismo intendeva dare una risposta.
™ Ebr. 1, 3.
94 Gregorio di Nissa

stenza dal non essere tutte le cose. In effetti, tu tto ciò


che si trova nella m ateria e tu tto ciò che ha ima natu­
ra immateriale ha come unica causa della propria
realtà la parola della potenza ineffabile. Tutto questo
c'insegna a considerare colui dal quale si originano
gli esseri. Se infatti siamo stati condotti all’esistenza
da lui ed esistiamo in lui, è necessario supporre che
nulla si trovi al di fuori della conoscenza di colui nel
quale esistiamo, dal quale siamo nati e al quale ritor­
niamo. Grazie a questo pensiero si realizza in modo
naturale l’irreprensibilità della nostra vita. Chi infat­
ti, credendo fermamente di derivare da lui e di vive­
re tram ite lui e in lu i79, oserebbe prendere come testi­
mone della propria vita discordante colui che contiene
in sé la vita di ciascun essere? Il divino Apostolo,
quando chiama il Signore cibo e bevanda spirituale *°,
tram ite queste parole vuol farci pensare al fatto che
la natura umana non è semplice: poiché l'elemento in-
tellegibile si trova mescolato al sensibile, esiste un
nutrim ento appropriato per ciascuno degli elementi
che si vedono in noi; il cibo sensibile sostiene il cor­
po, mentre il nutrim ento spirituale produce il benes­
sere nella nostra anima. E come nel caso del corpo i
cibi solidi e liquidi mescolandosi insieme conservano
la sua natura, giacché tram ite una digestione appro­
priata si uniscono a ciascuno degli elementi di cui sia­
mo composti, allo stesso modo Paolo, ricorrendo
all’analogia, fra una distinzione anche nel nutrimento
intellegibile, chiamando cibo e bevanda la stessa cosa
nel momento in cui si adatta in modo appropriato ai
bisogni di coloro che l'ingeriscono. Lo stesso nutri-

» Cf. Rom. 11, 36 e Gv. 14, 6.


*» 1 Cor. 10, 34.
La perfezione cristiana 95

mento diventa pane per coloro che sono privi di vi­


gore e di energia, fortificando il cuore umano; per
coloro invece che sono stanchi delle tribolazioni di
questa vita e che quindi hanno sete diventa vino, in­
fondendo l'allegria nel cuore81.

Fermezza nel sopportare le sofferenze

Quanto è stato detto ci deve far pensare alla po­


tenza del Verbo, grazie al quale l'anima si nutre in
proporzione ai propri bisogni, ricevendo la sua grazia
secondo il detto enigmatico del Profeta, che chiamò
luogo erboso e acqua ristoratrice la consolazione
che il Verbo concede a chi è stanco82. Se poi, consi­
derando il sacramento, si volesse dire che il Signore
è giustamente chiamato cibo e bevanda spirituale,
neanche quest'interpretazione si allontana dal vero
significato: la sua carne è infatti un vero cibo, e il
suo sangue una vera bevanda83. Per quanto riguarda
però la prim a interpretazione, tu tti possono essere
liberamente partecipi del Verbo che, ima volta accol­
to, diventa un cibo e una bevanda che possono esse­
re ingeriti senza alcuna discriminazione da tu tti co­
loro che lo cercano; nel caso invece della seconda in­
terpretazione, l'ingerimento di tale cibo e di tale be­
vanda non può più prescindere da un esame e da una
discriminazione, giacché l'Apostolo ha decretato « 0-
gnuno esamini se stesso e solo dopo mangi il pane
e beva dal calice » M. Chi quindi mangia e beve senza

“ Sai. 103, 14-15.


“ Sai. 22, 2.
« Cf. Gv. 6, 55.
« 1 Cor. 11, 28.
96 Gregorio di Nissa

esserne degno si condanna con questo suo atto. A mio


parere l’Evangelista, tenendo presente quest'esigenza,
allude ad essa in modo inequivocabile là dove narra
che subito dopo la passione mistica quel giusto mem­
bro del consiglio avvolse il corpo del Signore in ima
sindone senza macchia e pura e lo depose in un se­
polcro nuovo e p u ro 85: di conseguenza, sia il precetto
dell'Apostolo sia la scrupolosa osservanza di cui par­
la l ’Evangelista sono diventati per noi una legge, che
ci prescrive di accogliere il santo corpo in una co­
scienza pura, lavando con l'acqua delle lacrime le
eventuali macchie prodotte dal peccato. Ma anche il
nome « pietra » dato a C risto86 ci aiuta per quanto
riguarda la saldezza e immutabilità della nostra vita
virtuosa, la nostra fermezza nella sopportazione del­
le sofferenze, e il nostro dovere di m ostrare dura e
inflessibile la nostra anima di fronte a tutti gli as­
salti del peccato: in tal modo anche noi diventeremo
pietre, imitando per quanto è possibile nella nostra
natura mutevole l'inflessibilità e immutabilità del Si­
gnore. E se sempre Cristo è chiamato dal divino ar­
chitetto fondamento della fed e87 e vertice dell’ango­
lo 88, neanche questi due nomi ci si rivelano inutili
nella costruzione della vita virtuosa, giacché c ’inse­
gnano che il Signore è il principio e la fine di ogni
buona azione e di ogni buon insegnamento. Egli è la
speranza — a questo ci fa pensare la parola « vertice »
— verso la quale volgono i loro sguardi tutte le azio­
ni virtuose — proprio cosi lo chiama Paolo89; e l’ini­

85 Cf. Le. 23, 53.


“ 1 Cor. 10, 4.
« 1 Cor. 3, 10.
ω Cf. Mt. 21, 42; Me. 12, 10; Le. 20, 17; 1 Pt. 2, 7; Atti, 4, 11.
8? Col. I, 27.
La perfezione cristiana 97

zio dell’alta costruzione della nostra vita, simile a


quella di ima torre, è la fede in lu i90. Se su di essa
poniamo il principio della nostra vita come un fon­
damento, e regoliamo i nostri pensieri e le nostre
azioni pure secondo gli atti virtuosi di tutti i giorni,
il vertice di tutte le co se91 diventa anche il nostro
vertice: grazie all'unione che si verifica nell'angolo,
esso si adatta ai due lati della nostra vita, quello
relativo al corpo e quello relativo all’anima, che la
compostezza e la purezza aiutano a costruire92. Di
conseguenza, se viene meno ima delle due costruzioni,
o perché la compostezza esteriore non viene edificata
assieme alla purezza dell'anima, o perché la virtù del­
l'anim a non concorda con l'aspetto esteriore, Cristo
non può diventare il vertice di questa vita dimezzata,
giacché egli si adatta solo alla doppia costruzione,
quella angolare: l'angolo non si può infatti formare
se non si uniscono insieme i due lati. La nostra co­
struzione riceverà la bellezza propria dell'angolo quan­
do da entrambi le parti secondo il retto canone della
vita e con l'aiuto della fune della virtù vengono trac­
ciate le due linee della vita, che devono essere asso­
lutamente diritte, e non storte o curve.
« Immagine del Dio invisibile » 93 è chiamato da
Paolo Cristo, il Dio superiore a tutte le cose e grande
(con questi due termini < l'Apostolo > proclama la
grandezza del vero Signore, là dove dice « del grande

so Cf. Le. 14, 28.


« Cf. Ef. 2, 23 e 4, 15.
92 La vita dell'uomo è paragonata all'angolo i cui due lati
simboleggiano la vita dell'anima e quella del corpo. Il vertice
dell'angolo è invece il simbolo di Cristo. Come nel vertice del­
l’angolo si uniscono i due lati, cosi a Cristo fanno capo la vita
dell'anima e quella del corpo.
» Col. 1, 15.
98 Gregorio di Nissa

Dio e salvatore nostro Gesù Cristo » 94 e « dai quali


discende Cristo per quanto riguarda la carne, il Dio
superiore a tutte le cose, benedetto nei secoli » 59); par­
lando cosi, egli c'insegna96 che colui che è sempre ciò
che è — egli solo sa ciò che è, e rimane superiore
sempre nella stessa m isura alla comprensione umana,
anche se chi si eleva con il pensiero tenta di progre­
dire e di aw icinarglisi97 — colui che è al disopra di
ogni conoscenza e com prensione98, l'ineffabile, l’ine­
sprimibile, l'inspiegabile ", per renderti di nuovo im­
magine di Dio, spinto dal suo amore per gli uomini 10°,
si è fatto anche lui immagine del Dio invisibile: ha
assunto una form a uguale alla tua, e ti ha adattato
di nuovo alla forma della bellezza originaria, perché
tu tornassi ad essere quello che eri all'inizio. Se an­
che noi vogliamo diventare immagine del Dio invisi­
bile 101, dobbiamo imprimere nella nostra vita un ca­
rattere conforme all'esempio che ci sta dinnanzi. Di
che cosa si tratta?

» Tit. 2, 13.
95 Rom, 9, 5.
96 Ho omesso nella traduzione italiana le parole greche
dia ton legomenon (Jaeger, p. 194, 10-11) perché ripetono quan­
to è stato detto immediatamente prima.
97 Si tratta di un concetto già espresso da Filone, da Cle­
mente e dal neoplatonismo: cf. Filone, De Post., cc. 13 e 18,
Clemente, Strom ., II, 5, 3 e Plotino, Enn., V, 5, 10.
98 Per la presenza di quest'idea in Filone, in Clemente e
nel neoplatonismo cf. il m io Clement of Alexandria, cit., pp.
217-220 e p. 222, n. 3.
99 Cf. il m io Clement of Alexandria, cit., pp. 220-221 e p.
222, n. 4.
100 La stessa espressione verrà usata dallo Pseudo-Dionigi
l ’Areopagita, De div. Nom., II, 10 (PG 3. 648 D 2-3).
“i Col. 1, 15.
La perfezione cristiana 99

La virtù della pazienza

Pur vivendo nella carne, non dobbiamo vivere se­


condo la c arn e102. L’originaria immagine del Dio invi­
sibile103, che ha soggiornato < sulla terra > grazie alla
Vergine, fu tentata in tu tti i modi cosi come lo è la
natura umana, m a non cedette alla tentazione del
peccato: egli non ha commesso peccati, e nelle sue
parole non si è trovato l’inganno104. Quando imparia­
mo l'arte della pittura, se il m aestro ci fa vedere una
bella immagine su di un quadro, ciascuno di noi deve
im itare nel suo dipinto la sua bellezza, in modo che
tutti i quadri risultino belli cosi com'è bello il model­
lo che ci sta dinnanzi; allo stesso modo, giacché cia­
scuno è il pittore della propria vita, la volontà è
l'esecutrice di questo lavoro, e i colori < d i cui dispo­
niamo > per eseguire l’immagine sono le virtù, cor­
riam o il non lieve rischio di sfigurare l'imitazione del­
la bellezza originaria e di produrre un volto orrendo
e brutto, dipingendo con degli sporchi colori in luo­
go dell'immagine del Signore quella del vizio. Dobbia­
mo invece, nella nostra imitazione della bellezza, usa­
re per quanto è possibile puri i colori delle virtù
mescolandoli tra loro ad arte, in modo da diventare
immagini dell'immagine105 e da riprodurre la bellez­
za originaria attraverso un'imitazione il più possibile
assidua: cosi si comportò Paolo, quando grazie alla
sua vita virtuosa divenne im itatore di C risto106. Se poi

i« Cf. Rom. 8, 12-13.


Col. 1, 15.
i« 1 Pt. 2, 22.
105 L’idea dell' « immagine dell'immagine » si trova già in
Clemente: cf. Strom ., V, 94, 5.
iw 1 Cor. 11, 1. Il riferimento dello Jaeger a 1 Cor. 4, 6
(cf. apparato, p. 196) non è pertinente.
100 Gregorio di Nissa

occorre anche distinguere uno per uno i colori grazie


ai quali si realizza l'imitazione dell'immagine, <dire-
mo ch e> un colore è rappresentato dall'umiltà. « Im­
parate da me — dice < il Signore > — perché sono
mite e umile di cuore » 107. Un altro colore è rappresen­
tato dalla magnanimità, che in cosi larga misura ap­
pare nell'immagine del Dio invisibile. < Ricorda> la
spada, la croce, le catene, le frustate, gli schiaffi sulla
guancia, gli sputi sulla faccia, il dorso offerto ai col­
pi, il tribunale empio, la sentenza crudele, i soldati
che si rallegravano deH’orribile sentenza e che si ab­
bandonavano agli scherni, aU'ironia, alle offese e ai
colpi di canna, i chiodi, la bile, l'aceto, e tutti i terri­
bili supplizi inferti al Signore senza motivo, o piut­
tosto come ricompensa per le sue molteplici buone
azioni. Come si difese egli da coloro che gli facevano
tutto questo? « Padre, perdona loro, perché non san­
no quello che fanno » 10S. Non avrebbe potuto fare
rompere il cielo su di loro, o annientare gli autori di
tante offese facendo aprire la terra, o fare uscire il
mare dai suoi confini inondando la terra con le sue
profondità o far cadere su di loro ima pioggia di fuo­
co cosi come aveva fatto con Sodoma, o provocare
con il suo comando un altro di questi terribili eventi?
Tutto sopportò invece con mitezza e magnanimità
colui che con il suo comportamento prescrive alla
tua vita proprio quest'ultima virtù. Allo stesso modo,
si possono vedere tutte le altre virtù nell'immagine
originaria di Dio: chi la guarda può abbellire in modo
evidente il proprio aspetto, e diventare anch'egli un'im-

“7 Mt. 11, 29.


ite Le. 23, 34.
La perfezione cristiana 101

magine del Dio invisibile, delineata con la virtù del­


la pazienza109.

Cristo testa della Chiesa

Chi ha compreso che Cristo è la testa della Chie­


sa 110 deve tener presente innanzi tu tto che ogni testa
ha la stessa natura e la stessa essenza del corpo che
le è sottoposto e che tra le singole membra e il tutto
esiste un unico rapporto che per mezzo di un unico
atteggiamento produce l'arm onia tra le parti e il tut­
to. Ciò che è estraneo al corpo è quindi del tutto estra­
neo anche alla testa. Per mezzo di questa constatazio­
ne il nostro ragionamento c'insegna che le singole
mem bra devono diventare quello che la testa è già
per sua natura, in modo da accordarsi con esso. Noi,
che concorriamo a formare il corpo di Cristo, siamo
le sue m em bra111. Chi quindi elimina un membro di
Cristo e introduce < n el corpo > il membro di una
p ro stitu ta 112 immettendo in esso la frenesia intempe­
rante come se fosse una spada, a causa di questa mal­
vagia passione provoca il totale allontanamento del
membro dalla testa. In tal modo anche gli altri stru­
menti del vizio diventano spade che tagliano tutte le
membra del corpo che è cresciuto con esse e le sepa­
rano dalla testa: è proprio su di esse che le passio­

109 II riferimento dello Jaeger a Ef. 5, 23 (cf. apparato, p.


197) non è pertinente. In questo passo di Gregorio è implicita
la dottrina dell’imitazione di Cristo — definito « immagine »
secondo Col. 1, 15 e 2 Cor. 4, 4 — che era già stata espressa
poco prima, p. 196, 11-14.
•w Ef. 5, 23 Col. 1, 18.
ni 1 Cor. 6, 15.
112 1 Cor. 6, 15.
102 Gregorio di Nissa

ni intervengono con i loro tagli. Perché dunque tutto


il corpo possa rimanere nell’ambito della legge natu­
rale, ciascun membro deve adeguarsi alla testa; cosi,
se nel nostro ragionamento supponiamo che la testa
sia una pura essenza, le membra che concorrono a
formare il corpo sotto la sua direzione devono essere
assolutamente pure; se invece supponiamo che la
testa sia corrotta, le membra devono vivere nella to­
tale corruzione. Cosi si devono veder presenti nelle
membra in modo corrispondente anche gli altri pen­
sieri concepiti dalla testa, quali la pace, la santifica­
zione, la verità e le altre cose analoghe. Il fatto che
esse risultano presenti nelle membra sta a testimonia­
re proprio l’unione delle membra alla testa. L'Apo­
stolo ha detto: « Egli è la testa, e da lui tutto il cor­
po riceve la sua armonia e la sua compostezza in ogni
articolazione trasm ettitrice di movimento, e grazie
a lui ha modo di crescere in misura proporzionata ogni
sua parte » 113. Il termine testa deve insegnarci che
come nel caso degli animali è la testa a im partire i
movimenti al corpo — l'occhio e l'udito dirigono
infatti le singole attività quali il movimento dei pie­
di e delle mani, e se l'occhio non dirige il comporta­
mento e l'orecchio non riceve le istruzioni non si rea­
lizza in modo appropriato nulla di ciò che gli animali
si propongono di fare — cosi noi, che siamo il corpo,
in ogni nostro impulso e attività dobbiamo muoverci
in modo degno della vera testa, andando là dove ci
porta colui che ha creato l'occhio e ha piantato in noi
l'orecchio114. Poiché la testa guarda verso l'alto, an­
che le membra, adeguandosi ad essa, devono seguire
totalmente la sua guida e tendere verso l'alto.
113 Ef. 4, 16.
im Ef. 4, 15 e Sai. 93, 9.
La perfezione cristiana 103

Cristo primogenito della creazione

Quando sentiamo < d a Paolo > che Cristo è il


primogenito della creazione115, il prim o dei m o rti116
e il prim o di molti frate lli117, dobbiamo innanzi tutto
respingere l'opinione degli eretici — le loro malvagie
dottrine non ricevono infatti nessuna difesa da que­
ste parole — e pensare quindi al contributo che tali
termini possono dare aU'edificazione della vita virtuo­
sa. Poiché i nemici di Dio affermano che il dio unige­
nito, il demiurgo dell'universo, « colui dal quale e
tram ite il quale tutte le cose sono nate e nel quale
tutte le cose esistono » lie, è un'opera di Dio e una sua
creatura e lo definiscono quindi il primogenito di tu t­
ta la creazione come se fosse un suo fratello e si distin­
guesse da essa solo per la prerogativa dell'anzianità
cosi come Ruben è più im portante dei suoi fratelli
non per natura ma per e tà 119, dobbiamo dire per pri­
m a cosa a costoro che non si può credere la stessa
persona primogenita e unigenita. Non si può conce­
pire un unigenito con fratelli né un primogenito sen­
za fratelli: l’unigenito non ha fratelli, e chi è il pri­
mogenito dei fratelli non è né può essere definito uni­
genito. Questi due nomi, se riferiti alla stessa perso­
na, sono dunque inconciliabili e non ammettono nes­
sun rapporto tra loro: di conseguenza, è impossibile
che la stessa persona venga chiamata primogenita e
imigenita. Eppure la Scrittura, a proposito del Ver-

iis Col. 1, 15.


Col. 1, 18.
Rom. 8, 29.
118 Rom. 11, 36 (nell’edizione dello Jaeger, app., p. 200, è
stampato erroneamente 11, 56).
119 Chiara allusione alla dottrina ariana.
104 Gregorio di Nissa

bo « che era nel principio » 12°, dice che è un dio uni­


genito 121, mentre Paolo afferma che egli è il primoge­
nito di tu tta la creazione122. Occorre dunque operare
una distinzione con il criterio della verità, esaminan­
do con esattezza entrambi questi nomi. Il Verbo ante­
riore ai secoli è unigenito, mentre il Verbo che si è
fatto carne è il primogenito di tutta la creazione che
si è verificata in Cristo. A proposito del primogenito
della creazione dobbiamo pensare quello che pensia­
mo quando apprendiamo che egli è il prim o dei mor­
ti e il primo di molti frate lli123. Colui che è la prim i­
zia dei m o rti124 diventa il primo dei m orti per guida­
re tutti i corpi alla risurrezione. Nell'intento poi di
fare di noi, che per natura siamo i figli dell'ira, i
figli del giorno e della lu ce125 tram ite la rinascita cele­
ste prodotta dall’acqua e dallo S p irito 126, egli ci fa
da guida in questa nascita nella corrente del Giordano,
facendo scendere sulla primizia della nostra n a tu ra 127
la grazia dello spirito. Di conseguenza, tutti coloro che
rinascono alla vita in seguito alla rigenerazione spiri­
tuale vengono chiamati fratelli di colui che fu gene­
rato prim a di loro tram ite l'acqua e lo Spirito. Analo­
gamente, quando pensiamo a Cristo come al primo­
genito della creazione avvenuta in lui, non ci allonta­
niamo da una pia supposizione. Poiché la vecchia crea­
zione è scom parsa128 ed è stata annullata dal peccato,

«ο Gv. 1, 1.
121 Gv. 1, 18 e 3, 16; 1 Gv. 4, 9.
122 Col. 1, 15.
123 Col. 1, 18 e Rom. 8,29.
124 1 Cor. 15, 20.
125 Gv. 12, 36; 1 Tess. 5, 5.
126 Gv. 3, 3-5.
127 Si tratta evidentemente di Cristo stesso.
128 2 Cor. 5, 17.
La perfezione cristiana 105

la nuova creazione caratterizzata dalla vita, rappre­


sentata dalla rigenerazione e dalla risurrezione dalla
morte e guidata da colui che è il principio della v ita 129
e che diventa ed è chiamato il primogenito della crea­
zione, non ha potuto non succedere alla scomparsa di
ciò che è andato distrutto. Le poche parole che abbia­
mo detto possono offrire subito un aiuto sufficiente
alle persone zelanti per quanto riguarda il loro atteg­
giamento verso i nemici e il loro attaccamento alla
verità. Passiamo però adesso a spiegare brevemente
come esse possono contribuire < all'edificazione > del­
la vita virtuosa. Ruben era il primogenito dei fratelli
generati dopo di lui 13°; l’aspetto esteriore dei fratelli
più giovani, affine a quello del primogenito, testimo­
niava la loro parentela: non si poteva ignorare che
fossero fratelli, giacché la somiglianza del loro aspet­
to lo provava. Se dunque anche noi, grazie a un'ana­
loga rigenerazione prodotta dall'acqua e dallo Spi­
rito, siamo divenuti fratelli del Signore che è dive­
nuto primogenito di molti fratelli proprio per noi, la
conseguenza da trarre è che dobbiamo m ostrare nel
carattere della nostra vita la nostra parentela con lui,
avendo il primogenito della creazione assunto la no­
stra vita. Secondo l'insegnamento della Scrittura, qual
è il carattere che ha assunto? L'abbiamo detto più
volte: « Non commise peccato, e nelle sue parole non
fu trovato l'inganno » 131. Se vogliamo essere chiamati
fratelli di colui che ha diretto la nostra generazione,
l'irreprensibilità della nostra vita è la prova più sicu­
ra della parentela tra noi e lui, giacché nessuna spor-

i» Atti, 3, 15.
13° Gen. 29, 32.
131 1 Pt. 2, 22.
106 Gregorio di Nissa

cizia c’impedisce di rimanere attaccati alla sua purez­


za. Ma il primogenito è anche giustizia132, santificazio­
ne 133, am o reI34, redenzione135 e altre simili cose. Se
la nostra vita è caratterizzata anche dalla presenza
di questi altri requisiti, siamo in grado di m ostrare i
segni evidenti della nostra nobiltà: di conseguenza,
chi li vede presenti nella nostra vita può testimoniare
che siamo fratelli di Cristo. In effetti, egli è colui che
ci ha aperto la porta della risurrezione e che per
questo è diventato la primizia dei morti. Che noi ri­
sorgeremo tutti in un b atter d'occhio al suono del­
l'ultima tro m b a 136 egli lo ha dim ostrato con quello
che ha compiuto su di sé e sulle altre persone dive­
nute preda della morte.

La nostra risurrezione

Nella vita futura però non tutti coloro che risor­


gono dal sepolcro di terra vanno incontro alla stessa
sorte: « Coloro che hanno agito bene — è detto —
andranno incontro a una risurrezione di vita, coloro
che hanno agito in modo basso a una risurrezione di
condanna » 137. Per questo calunnia il proprio nome
chi a causa della sua vita deve attendersi questa ter­
ribile condanna, anche se grazie alla rinascita cele­
ste fa parte dei fratelli del Signore: con la sua malva­
gità egli rinnega infatti la parentela che lo lega al

“ 1 Cor. 1, 30.
133 1 Cor. 1, 30.
134 Cf. Col. 1, 13.
135 1 Cor. 1, 30. Cf. anche Col. 1, 14; Ef. 1, 7.
i3« 1 Cor. 15, 52.
137 Gv. 5, 29.
La perfezione cristiana 107

primogenito. L'intermediario tra Dio e gli uom ini138,


colui che si serve di se stesso per unire a Dio il gene­
re umano, unisce in realtà a lui solo quegli uomini
che sono degni di quest'unione. Come nella propria
persona egli rende simile alla potenza di Dio la sua
parte umana, che p u r appartenendo alla comune natu­
ra um ana non cade in preda alle passioni naturali in­
clini al peccato — « Non commise peccato — è detto —
e nelle sue parole non fu trovato l'inganno » 139; cosi
condusse all’unione con la divinità le singole perso­
ne, a condizione che non abbiano in sé nulla che ne
sia indegno. Chi è veramente il tempio di D io140 e non
ospita in sé nessun simulacro di malvagità, è condot­
to daH’intermediario verso l'unione con la divinità,
giacché, diventando puro, si rende degno di ricevere
la sua purezza. Come dice la parola < di D io > , « né
la sapienza entra nell'anima m alvagia141, né il cuore
puro contempla in se stesso altro all’infuori di Dio » 142:
unendosi a lui grazie all'incorruttibilità, riceve in se
stesso tutto il buon regno < d i D io>. Le nostre paro­
le diverrebbero più chiare, se per spiegarle ricorres­
simo a quelle dette dal Signore agli apostoli tram ite
Maria < Maddalena> : «Tom o dal Padre mio e vo­
stro, dal Dio mio e vostro » 143. Questo ha detto l'in­
termediario tra il Padre e le persone b an d ite144, colui
che riconcilia i nemici di Dio con la divinità vera e
unica. Poiché, secondo il detto profetico, gli uomi­

138 1 Tini. 2, 5.
US 1 Pt. 2, 22.
i« 1 Cor. 3, 16; cf. 2 Cor. 6, 16.
i« Sap. 1, 4.
Cf. Mt. 5, 8.
i« Gv. 20, 17.
i« 1 Tim. 2, 5.
108 Gregorio di Nissa

ni con i loro peccati si sono allontanati dal grembo


donatore di vita e vagano lontani dal ventre in cui
si sono form ati dicendo menzogne in luogo della ve­
r i t à 145, egli ha assunto e santificato nell’anima e nel
corpo la primizia della comune natura umana conser­
vandola assolutamente immune dal vizio, per poterla
offrire incorrotta al Padre dell’incorruttibilità, per con­
durre con sé tram ite essa tutti coloro che le sono
parenti per natura, per rendere gli uomini banditi
figli adottivi di D io146, e per unire alla divinità i suoi
nemici. Come la primizia dell’impasto è divenuta si­
mile al vero Padre e Dio grazie alla purezza e all'as­
senza di passioni, cosi anche noi, che siamo l'impa­
s to 147, percorrendo una simile strada potrem o unirci
al Padre dell'incorruttibilità: ci basterà im itare per
quanto è possibile la mancanza di passioni e l'inalte­
rabilità proprie dell'intermediario. Saremo cosi la
corona fatta di pietre preziose del Dio imigenito, e
grazie alla nostra vita diverremo onore e gloria. Dice
Paolo che colui che con la sua passione e la sua mor­
te si è messo un po’ al disotto degli angeli148 ha tra­
sformato in una corona, con l’economia della sua mor­
te, coloro che erano divenuti spine a causa dei loro
peccati: con la sua passione, ha trasform ato le spine
in onore e gloria. Corriamo dunque un non lieve ri­
schio: anche se il Signore ha preso su di sé i peccati
del mondo 149 e si è messa sul capo una corona di spi­
ne per forgiare una corona fatta di onore e gloria, a
causa della nostra vita cattiva potremmo risultare

Sai. 57, 4.
^ Cf. Ef. 1, 5.
Cf. 1 Cor. 5, 7.
Ebr. 2, 7 e 2, 9.
Μ» Cf. Gv. 1, 29.
La perfezione cristiana 109

aculei e spine inserite nella corona del Signore in vir­


tù della nostra unione con il suo corpo. A siffatte per­
sone dirà la giusta voce: « Come mai sei entrato qui
senza avere la veste nuziale? 15°. Come mai tu, spina,
ti trovi in mezzo a coloro che fanno parte della mia
corona grazie al loro onore e alla loro gloria? Quale
rapporto c'è tra Cristo e Beliar? Quale tra il fedele e
l’infedele?151. Quale tra la luce e la tenebra? » 152. Per
evitare dunque che la nostra vita attiri su di noi que­
ste parole, dobbiamo preoccuparci di eliminare da
tutta la nostra vita ogni opera, ogni parola e ogni
pensiero rassomigliante a una spina: divenuti onore
e gloria grazie a una condotta pura e scevra da pas­
sioni, potremo cosi formare la corona della testa di
tutte le c o se153, e diventare un cimelio e una proprietà
del Signore. Il Signore della gloria154 non vuole di­
ventare né essere definito il Signore degli indegni. Chi
si estranea da ogni indecenza e turpitudine sia nel suo
intimo che nel suo aspetto esteriore rende signore di
sé colui che è ed è definito il Signore non del diso­
nore, ma della gloria.

Cristo principio di tutte le cose

< Cristo > è anche principio155. E il principio di


tutte le cose non ha una natura diversa dalle cose che
vengono dopo di esso. Se si definisce il principio vita,
bisogna considerare vita anche tutto ciò che si trova

1=0 Mt. 22, 12.


isi 2 Cor. 6, 15.
152 2 Cor. 6, 14.
153 Cf. Col. 1, 18 e 2, 9; Ef. 4, 15.
154 Cf. 1 Cor. 2, 8.
155 Col. 1, 18.
110 Gregorio di Nissa

dopo il principio; e se il principio è luce, si deve con­


siderare luce anche tutto ciò che si trova dopo di esso.
Quale utilità ricaviamo allora dal fatto che lo credia­
mo il principio? In effetti, noi diventiamo quello che
il principio è secondo la nostra fede. La luce non può
essere definita il principio della tenebra; e quando
identifichiamo la vita con il principio, non possiamo
pensare che esso ha in sé la morte. Chi non ha la
stessa natura della sua guida e non si unisce al prin­
cipio con la mancanza di passioni e la virtù non può
vedere nel principio degli esseri il proprio principio.
Il principio della vita tenebrosa è il capo della tene­
b r a 156, e il principio del peccato apportatore di mor­
te è colui che possiede la forza della morte. Chi dun­
que a causa della sua vita malvagia è sottoposto al
principio della tenebra non può dire che il suo princi­
pio è rappresentato dal principio di ogni bene; e un
ragionamento analogo vale per coloro che ascoltano
per il proprio bene la voce divina, quando chiama­
no il Signore re della giustizia e della p a c e 157. Chi in­
fatti, secondo l’insegnamento della preghiera, prega
perché venga su di lui il regno di Dio, sa che il vero
re è il re della giustizia e della pace, e realizza di con­
seguenza nella propria vita la giustizia e la pace, affin­
ché il re della giustizia e della pace possa regnare su
di lui. Dobbiamo pensare che siano tutte le virtù a
comporre l'esercito del re, giacché, a mio parere, la
giustizia e la pace non possono non sottintendere la
totalità delle virtù. Chi dunque abbandona l'esercito
di Dio e si unisce alla schiera di coloro che gli sono
estranei diventando un oplita dello scopritore del vi-

Cf. Ef. 6, 12.


157 Ebr. 7, 2.
La perfezione cristiana 111

zio e deponendo la corazza della giustizia158 e tutto


l’armamento pacifico, come può essere messo nella
schiera del re, se ha rigettato la verità? Il re è indicato
non dall'immagine dipinta sulle armi, ma dalla bel­
lezza dell’arm atura, che grazie al tipo di vita mostra
qual è la guida effettiva. Com'è beato colui che appar­
tiene al divino esercito, che è arruolato nelle schiere
composte d’infinite diecine di migliaia di soldati159, e
che per combattere il vizio si arm a delle virtù, che
provano la presenza dell'immagine regale in colui che
le indossa!

Progredire sempre nella crescita

Ma perché mai dovremmo prolungare il discorso,


sottoponendo a un successivo esame tutti i termini
che spiegano il nome di Cristo e che sono in grado
di guidare alla vita virtuosa giacché ciascuno di essi,
in base al proprio significato, ci aiuta a realizzare la
sua perfezione? Io dico invece che è bene ricapitolare
quanto abbiamo ricordato, in modo da ricevere un
aiuto nel raggiungimento dello scopo del nostro di­
scorso: ce l'eravamo proposto fin dall'inizio, quando
cercavamo di precisare il modo in cui si può realiz­
zare la perfezione. A mio avviso, colui che tiene sem­
pre presente che, chiamandosi cristian o 160, assume lo
stesso nome adorato secondo l'insegnamento aposto­
lico, non può non m ostrare in sé la potenza degli

158 Cf. Ef. 6, 14. L’allusione a questo passo d i Paolo non


è stata notata dallo Jaeger, app., p. 209.
159 Cf. Dan. 7, 10. Questo passo a cui allude Gregorio non
è stato notato dallo Jaeger, app., p. 209.
i« Cf. Atti, 11, 26.
112 Gregorio di Nissa

altri nomi che fanno pensare a Cristo, prendendo cia­


scuno di essi grazie alla vita che conduce. Faccio un
esempio. Tre cose caratterizzano la vita del cristiano:
l'azione, la parola, il pensiero. Il pensiero è il princi­
pio di ogni discorso; dopo il pensiero, è il discorso a
occupare il secondo posto, perché svela con la voce
il pensiero espresso nell’anima; il terzo posto, dopo
la mente e la parola, è occupato dall'azione, che m ette
in atto ciò che si è pensato. Quando le vicissitudini
della nostra vita ci portano verso una di queste tre
cose, è bene esaminare con esattezza, in rapporto a
ogni nostra parola, azione e pensiero, i concetti divi­
ni che fanno pensare a Cristo e che gli danno un
nome, onde evitare che una nostra azione, una nostra
parola o un nostro pensiero esca fuori della portata
di questi nomi elevati. Dice Paolo che tutto ciò che
non proviene dalla fede è peccato161; cosi pure, se si
pensa in modo conseguente, si può dimostrare chia­
ramente che tutte le parole, tutte le azioni e tutti i
pensieri che non sono rivolti a Cristo sono rivolti al
nemico di Cristo. Se infatti si è fuori della luce o
della vita non si può non essere immersi del tutto nel­
la tenebra o nella morte. Se le azioni, le parole e i
pensieri che non si uniformano a Cristo sono im pa­
rentati con il nemico del bene, è chiara a tutti la con­
seguenza che ne deriva: chi con i suoi pensieri o le
sue azioni o le sue parole si allontana da Cristo lo rin­
nega. Sono dunque vere le divine parole del profeta
quando dicono: « Ho considerato tutti i peccatori del­
la terra dei trasgressori » I62. Come chi rinnega Cristo
nelle persecuzioni agisce contro il suo nome adorato,

“i Rom. 14, 23.


Sai. 118, 119.
La perfezione cristiana 113

cosi pure chi rinnega la verità o la giustizia o scac­


cia dalla propria vita la santificazione, l’incorruttibilità
o la virtù quando diviene preda delle passioni è giu­
stamente chiamato dal profeta un trasgressore, giac­
ché in ognuno di questi casi con il suo comportamen­
to va contro colui che è tutte queste cose. Come deve
dunque com portarsi colui che è stato ritenuto degno
del grande nome di Cristo? Cos'altro deve fare, se non
esaminare sempre nel suo intimo i propri pensieri, le
proprie parole e le proprie azioni per vedere se esse
sono rivolte a Cristo o si allontanano da lui? Operare
una distinzione a tal proposito è molto facile. Le azio­
ni, i pensieri o le parole che sono originate da una
passione non concordano in nessun modo con Cristo,
ma ricevono l ’im pronta del suo nemico, il quale spal­
ma le sue passioni sulla perla dell'anima come se fos­
sero fango e rovina cosi lo splendore della pietra pre­
ziosa. Ciò che invece è scevro da qualsiasi disposizio­
ne passionale è rivolto verso il capo deH'incorruttibi-
lità, Cristo: chi attinge da lui i propri pensieri come
da una fonte pura e incorruttibile m ostra di posse­
dere rispetto al modello la stessa somiglianza che
esiste tra la semplice acqua e l'acqua che sgorga dal­
la fonte e che da essa si riversa nell'anfora. La purez­
za di Cristo e quella che si osserva in chi ne è parte­
cipe sono per natura un'unica cosa, anche se il pri­
mo la fa scaturire, mentre chi ne è partecipe l'attin­
ge, trasferendo nella propria vita la bellezza dei con­
cetti < p ro p ri dei vari nomi di Cristo> . Si determina
quindi un accordo tra l'uomo interiore e quello este­
riore, giacché la compostezza della vita trova ima ri­
spondenza con i pensieri conformi a Cristo.
A mio giudizio, la perfezione della vita cristiana
consiste nell'unirsi con l'anima, con le parole e con
114 Gregorio di Nissa

gli atti della vita stessa a tutti i termini che spiegano


il nome di Cristo: in tal modo, conformemente alla
benedizione data da Paolo163, riceveremo integra la
santificazione in tutto il nostro corpo, nella nostra
anima e nel nostro spirito, e la terrem o lontana da
ogni contatto con il male. Qualcuno potrebbe obietta­
re che questo bene è difficilmente realizzabile, giacché
solo il Signore del creato è immutabile, mentre la
natura umana è mutevole e incline ai cambiamenti.
« Come può < — mi si potrebbe chiedere — > la natu­
ra immutabile e inflessibile del bene realizzarsi nella
natura mutevole? ». A questo ragionamento rispondia­
mo dicendo che chi non partecipa a una gara secon­
do le regole non può ricevere la c o ro n a164: la gara non
si può svolgere regolarmente, se non c’è l'avversario.
Se non ci fosse l’avversario, non ci sarebbe neanche
la corona: non esiste una vittoria che prescinda dal­
lo sconfitto. Lottiamo dunque contro la nostra natura
mutevole, stringendoci ad essa con i nostri pensieri
come se fosse un avversario: risulteremo vincitori non
se l'abbatteremo, ma se non le consentiremo di farci
cadere. L’uomo non è mutevole soltanto in rapporto
al male: non avrebbe potuto nascere nel bene, se per
natura fosse stato incline solo verso il suo contrario.
La più bella manifestazione della mutevolezza è rap­
presentata dalla crescita nel bene: l’ascesa a ima con­
dizione migliore fa di chi si trasform a in senso buo­
no un essere più divino. Il nostro ragionamento ci fa
dunque capire che ciò che ci sembra temibile (parlo
della mutevolezza della nostra natura) è in realtà
un’ala adatta al volo verso le cose più grandi: rap-

i® Cf. 1 Tess. 5, 23.


2 Tim. 2, 5.
La perfezione cristiana 115

presenterebbe dunque un danno per noi il non poter­


ci trasform are in esseri migliori. Non si rattristi quin­
di chi vede nella nostra natura la tendenza al cambia­
mento: trasformandosi sempre in un essere migliore
e salendo da gloria a gloria subisca un cambiamento
che lo renda sempre più grande e migliore giorno
dopo giorno e sempre più p e rfe tto 16S, senza farlo mai
giungere all’estremo limite della perfezione1W. La vera
perfezione consiste infatti proprio in questo, nel non
fermarsi mai nella propria crescita e nel non circo­
scriverla entro un limite.

165 Gregorio adombra qui la dottrina dei vari gradi di per­


fezione spirituale, che nel VII secolo troverà la sua espressio­
ne più compiuta in Giovanni Climaco.
166 L'estremo lim ite della perfezione è infatti rappresenta­
to da Dio stesso, che per sua natura è irraggiungibile, nono­
stante i tentativi fatti dall'uomo per awicinarglisi. Che Dio
sfugge sempre a chi tenta di raggiungerlo è affermato, oltre
che da Gregorio, anche da Filone, da Clemente e dal neopla­
tonismo (cf. sopra, la nota 97).
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Abele: 53 Aristotele: 86
Abramo: 54 Armi celesti: 42
Accostamento (a Dio): 24 Armonia e compostezza: 102
Acqua delle lacrime: 96 Arte della pittura: 99
Adrianopoli (battaglia di): 8 Arte del vizio: 47, 50
Agricoltore saggio: 37 Artefice: 47, 50
Aiuto del Signore: 49 Assenza di passioni: 109
Albino: 86 Attico: 85
Alessandria: 66 Attività dello Spirito: 59
Amaro piacere: 21 — noetica di Dio: 86
Amicizia: 37 Atto virtuoso: 43
Ammirazione: 68 Autocompiacimento: 12
Ammonimento: 47
Amore come donazione di Basilio il Vecchio: 7
tutta l'anima a Dio: 50 Basilio Magno (s.): 7, 8
Amore dello Spirito: 40 Battesimo: 25
— di Dio per l’uomo: 22, Beatitudine: 28
42 Beliar: 109
— per Cristo: 43, 44 Beni celesti: 31
— per Dio: 45, 49 Bronzo: 39
— per i confratelli: 50, 51 Bue: 83
Anacoreti: 10
Anima che si associa a Dio: Caccia di onori umani: 51
41 Caino: 53, 54
— e corpo: 35 Camera nuziale: 58, 59
— mundi: 16 Campo del nemico: 57
— priva di grazia: 28 Canone apostolico: 41
Anime simili alle scimmie: Capo del corpo della Chie­
68 sa: 26
Annesi: 8 Cappadocia: 7, 8
Antiochia: 8 Cavallo: 82, 83
Aporia: 93 Cembalo: 39
Apparatus fontium: 17 Cesarea: 7
118 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Cibo e bevanda spirituale: Dignità regale: 80


95 Diligenza nelle preghiere: 52
Circoncisione: 41 Dio vivente: 56
Città celeste: 45 Dionigi l'Areopagita (Ps.):
Clemente Alessandrino: 87 16-17
Colore della virtù: 93 Distacco del pensiero dal
Comportamento: 9, 101, 103, corpo: 21
114 Doni dello Spirito Santo:
Comunione con Dio: 13, 55 40, 44
— dello Spirito Santo: 42 Dono della profezia: 39
Concilio di Costantinopoli:
23 Economia della morte: 108
Conformazione primitiva Educatori dei fanciulli: 47
dell’uomo : 72 Elmo del Salvatore: 42
Conoscenza del figlio dd Emmelina: 7
Dio: 26 Eremitismo: 10
Consolazione del Verbo: 95 Esortazione a salvare gli al­
Contemplazione: 14 tri: 56
Contrizione: 44 Essenza e natura dell’uomo:
Corazza della giustizia: 42 21
Coro della semplicità, della Età propria della pienezza
concordia e della schiet­ di Cristo: 26
tezza: 48
Corpo come tempio di Dio: Farmaco della salvezza: 40
35 Fermezza nella sopportazio­
Corso (della virtù): 24 ne: 96
Costantinopoli: 8 Filone: 16, 17, 87
Costanza nelle preghiere: 52 Filosofia: 43, 45
Cristo creatore dei secoli: Fondamento della fede: 45
79 Frenesia intemperante: 101
— gran sacerdote: 79 Frutti della preghiera: 58
— superiore a qualsiasi — dello Spirito Santo: 23
nome: 92 Gioia nei cieli: 27
— (vari attributi di): 79, Giorno del giudizio: 32
80 — del Signore: 42
Croce di Cristo: 43-44 Giovanni Climaco: 115
Giuliano l’Apostata: 7
Daniélou J.: 9 Giuramento del Signore: 63
Dardi infuocati le passioni Gloria di Dio: 52
dell'anima: 42 — umana: 61
David: 29, 31, 33, 35 Gradi di perfezione: 115
Demostene (vicario del Pon­ Gregorio Nazianzeno: 7
to): 8 Gribomont J.: 9 n, 2
Digiuno secondo il volere
del Signore: 56 Hari M.: 9
Indice dei nomi e delle cose notevoli 119

Historia Lausiaca: 10 Macario (Ps.): 9


— monachorum in Aegyp- Macrina (s.) iunior: 7, 8
to: 10 Malvagità multiforme della
vita umana: 75
Ibis (monastero dell’): 8 Maria Maddalena: 107
Idolatra paragonato al Mi­ Maschera della temperanza
notauro: 82 e della mitezza: 68
Imitazione esteriore: 69 Maturità intellegibile dello
Immutabilità della natura Spirito: 25
superiore: 69 May G.: 9
Impegno della nostra vita: Melchisedech: 54
78 Mercato cattivo del diavolo:
Impossibilità di vita tra 67
principi opposti: 36 Mitezza e magnanimità: 100
Inalterabilità della natura Mollezza (dell'anima): 57
superiore: 69 Monte del Signore: 29, 30
Ingiustizia ricevuta: 37 Morte del diavolo: 51
Innocenza (frutto della pre­ Mosè: 36
ghiera): 58
Insegnamento della preghie­ Naldini M.: 21
ra: 110 Natura indicibile dei doni
Insidia del maligno: 52 celesti: 76
Insistenza nella preghiera: Naucrazio: 7
56, 57 Nemico di Cristo: 112
Ippolito: 87 Neoplatonismo: 14, 93
Ira dei serpenti: 83 Nissa: 8
Israele di Dio: 41 Nomi divini (trattato dello
Ps. Dionigi): 17
Jaeger W.: 9, 17 Nomi vari di Cristo: 113
Legge naturale: 82 Obbedienza: 14, 55, 62, 63
— della nostra vita: 89 Olio delle vergini: 58
Libanio: 7 Onori umani: 51, 61
Liberazione (dal lievito vec­ Oplita: 110
chio): 41 Ostentazione deH’elemosina,
— (dalle passioni): 14 della preghiera e del di­
Limiti del pensiero umano: giuno: 63
91
Lodi degli uomini: 11, 12, Padre delfincorruttibilità:
32 108
— mortali: 63 Partecipazione alla pienezza
Lotta (contro le passioni): dello Spirito Santo: 39
10, 43 Parvenza deH'arte: 81
Luce e tenebre: 84 Passioni nascoste dell'ani­
Lume dello spirito: 59 ma: 34
120 Indice dei nomi e delle cose notevoli

— prodotte dal vizio: 57 Spada santa dello Spirito:


— sfrenate: 42 42
Persone (della Trinità): 23 Speranza nella resurrezione
Pietro vescovo di Sebaste: e nei Beni futuri: 61
7,8 Staats R.: 9
Pioggia di fuoco: 100 Suono dell'ultima tromba:
Platone: 14 106
Plotino: 87, 92 Superbia e millanteria can­
Plutarco: 86-87 crena delle anime legge­
Povertà di spirito: 45 re: 59
Preghiera continua: 56
— corifeo della virtù: 50 Teodosio: 8
Professione di fede: 23 Teosebia: 8
Purezza di Cristo: 113 Timore di Dio: 45
Purificazione dell’anima: 56 Tribolazioni della vita: 95
Radice dei cattivi pensieri: Ultimo sarà il primo (1’): 48
37 Umiltà come semplicità, ob­
Ragione umana come saggio bedienza, fede, speranza,
pilota: 57 giustizia, servizio: 54
Resurrezione: 104, 106 Unità della fede: 26
Rigenerazione dall’acqua e — dei vizi: 31
dallo Spirito: 105 Unzione regale: 80

Sapienza di Salomone: 73 Valente (imperatore): 8


Sebaste: 8 Vanagloria e orgoglio: 10
Servi di Dio: 62 Verbo primogenito di tutta
Sfrontatezza del nemico: 53 la creazione: 104
Sicurezza, complemento dei Vergogna esterna: 32
comandamenti: 29 Vertice dell’angolo: 96
Signore della gloria: 109 Virtù della preghiera: 57
Simulacri di religiosità: 24 Virtù totali, la giustizia e
Sofferenze del Signore: 61 la pace: 110
Soggiorno (dello Spirito
Santo nell’anima pura): Zizzania come maldicenza,
41 orgoglio, vanagloria, desi­
Somministrazione (dello derio di onori e discordia:
Spirito): 38 53
INDICE SCRITTURISTICO

Antico Salmi 4, 23 : 35
Testamento 16, 5 : 34
4. 8 : 55
5, 7 : 31 Qoelet
Genesi 8, 6 : 80
17, 15 : 31 24, 21 : 55
1, 27 : 71 18, 13-14 : 35
3, 14 : 74 21, 26 : 33
4, 4-5 : 54 Sapienza
22, 2 : 95
14, 18-19 : 54 23, 3 : 29
29, 32 : 105 1, 4 : 107
23, 3-4 : 31
33, 30 : 69 23, 4 : 30 Isaia
33, 3 : 33
Esodo 43, 4 : 28 52, 5 : 72
50, 12 : 29
6, 3 : 69 50, 14 : 29 Daniele
57, 3 : 31
Levitico 57, 4 : 108 7, 10 : 111
62, 6 : 56
19, 19 : 36 83, 3 : 56
93, 9 : 102
Deuteronomio 103, 14-15 : 95 Nuovo
117, 22 : 79 Testamento
6, 5 : 43 118, 6 : 29
22, 9 : 36 118, 80 : 29
22, 10 : 36 118, 119 : 112 Matteo
32, 39 : 85 126, 1 : 28
138, 8-10 : 74 3, 20 : 88
1 Re 143, 6 : 31 5, 8 : 29, 107
5, 11 : 31
2, 9 : 57 Proverbi 5, 11-12 : 61
9, 16 : 80 5, 15-16 : 89
10, 1 : 80 2, 3-5 : 87 5, 16 : 32
16, 12 : 80 2, 4-5 : 49 5, 48 : 29, 72
122 Indice scritturistico

6, 1 : 63 6, 22-23 : 61 Romani
6, 2 : 31, 63 6, 26 : 33
6, 4 : 52, 68 12, 33 75 1, 28-32 : 34
6, 5 : 31, 63 13, 24 27 2, 16 : 31
6, 6 : 52, 68 14, 11 48 3, 25 : 79, 91
6, 16 : 31, 63 14, 28 97 5, 3 : 61
6, 18 : 52, 68 16, 15 34 8, 2 : 89
6, 19 75 17, 21 55 8, 7 : 88
7, 14 46 18, 2 : 37 8, 12-13 : 99
10, 22 : 27 18, 6-8 : 38 8, 16 : 50
10, 42 : 63 18, 7 : 56 8, 29 : 79, 103, 104
11, 12 : 27 18, 14 : 48 9, 5 : 98
11, 29 : 100 18, 19 69 11, 33 : 91
11, 29-30 : 47 19, 16-19 : 25 11, 36 : 94, 103
11, 30 : 53 20, 17 : 79, 96 12, 1 : 24, 90
13, 25 : 53 21, 19 : 27 12, 2 : 22, 27, 90
16, 26 : 89 23, 34 : 100 12, 10 48
19, 17 : 69 23, 53 : 96 12, 12 55, 56
20, 26-27 : 46 13, 12 88
20, 38 : 49 Giovanni 13, 13
21, 42 : 79, 96 14, 23 112
22, 12 : 109
22, 37-39 : 43 1, 1 : 104
1, 9 : 88 1 Corinti
23, 11 : 46 1, 18 : 104
23, 12 : 48 1, 29 : 108 1, 24 : 69, 79, 85
23, 25 : 51 3, 16 : 104 1, 30 : 69, 79, 89,
24, 42 : 53
25, 3 59 3, 3-5 :: 104 106
3, 18 : 80 1, 53 : 69
25, 12 : 59 2 , 8 : 80, 109
25, 16-17 : 25 4, 14 : 79
5, 29 : 106 2, 9 : 76
25, 40 : 63 3, 10 : 96
5, 44 : 33, 51
6, 55 : 95 3, 11 : 79
Marco 3, 16 : 107
12, 36 : 104
14, 6 : 69, 94 3, 17 : 35
9, 35 : 46, 49 4, 6 : 99
9, 41 : 63 14, 9 : 93 5, 7 : 41, 79, 108
10, 17 : 69 20, 17 : 107 5, 8 : 42, 90
10, 43-44 : 46 6, 15 : 101
10, 45 : 49 Atti degli Apostoli 6, 19 : 35
12, 10 : 79, 96 7, 34 : 30
13, 13 : 27 1, 6 : 22 9, 24 : 27
3, 15 : 105 10, 3-4 : 79, 94
Luca 4, 11 : 96 10, 4 : 79, 96
4, 12 : 69 10, 31 : 33
1, 33 : 80 11, 26 : 111 11, 1 : 30, 44, 99
Indice scritturistico 123

11, 3 : 83 3, 14-19 : 39 1 Timoteo


11, 28 : 95 3, 16 : 87
12, 31 : 40 3, 17 : 83 2, 5 : 80, 107
13, 1-2 : 40 4, 13-15 : 26 6, 16 : 68, 79, 88,
13, 3 : 40 4, 15 : 83, 97, 102, 92
13, 4-8 : 40 109
13, 8 : 40 4, 16 : 102 2 Timoteo
15, 20 : 79, 104 5, 2 : 90
15, 52 : 106 5, 23 : 101 2, 5 : 114
5, 27 : 41 3, 17 : 82
2 Corinti 6, 6 : 46
6, 12 : 110 Tito
1, 4 : 56 6, 14 : 88, 111
4, 2 : 89 6, 14-16 : 42 2, 13 : 79, 98
4, 4 : 101 6, 17 : 42
4, 5 : 49 6, 18 : 42, 57 Ebrei
5, 17 : 41, 104 1, 2 : 79
6, 4 : 27, 61 Filippesi 1, 3 : 79, 91, 92,
6, 14 : 84, 109 93
6, 15 : 109 2, 6 : 93 2, 7 : 80, 108
6, 16 : 107 2, 9 : 69, 92 2, 9 : 80, 108
10, 18 : 50 3, 13 : 44 4, 14 : 79, 89
12, 9-10 : 61 7, 2 : 80, 110
13, 3 : 78 Colossesì 12, 1 : 27
13, 13 : 42 12, 1-2 : 44
1, 13 : 106
Galatì 1, 14 : 106 Giacomo
1, 15 : 79, 97, 98,
2, 20 : 78 99, 101, 103, 104 2, 20 : 83
5, 17 : 88 1, 18 : 79, 80, 83,
5, 22-23 : 59 101, 103, 104, 109 1 Pietro
6, 15-16 : 41 1, 27 : 96
1, 28-29 : 29, 38 2, 7 : 96
Efesini 2, 2-3 : 75 2, 22 : 99, 105,107
2, 9 : 83, 109
1, 5 : 108 1 Giovanni
1, 7 : 106 1 Tessalonicesi 3, 3 : 30
1, 15-19 : 38 3, 15 : 33
1, 19-20 : 39 1, 5 : 25, 39 4, 9 : 104
1, 21 : 69, 92 5, 5 : 104
2, 14 : 79, 87, 88 5, 17 : 56 Apocalisse
2, 16 : 87 5, 23 : 25, 42, 114
2, 23 : 97 1, 5 : 79
INDICE GENERALE

Introduzione . . . . . . . pag. 7

1. Cenni biografici . . . . . . . » 7
2. Gli scritti ascetici . . . . . . » 9

Fine professione e perfezione del cristiano » 19

I. Il fine c r i s t i a n o .......................................... » 21
II. La professione c ristia n a ..............................» 65
III. La perfezione c r i s t i a n a ..............................» 77

Indice dei nomi e delle cose notevoli . . . » 117

Indice s c r ittu ris tic o ................................................ » 121

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