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ΩΡΙΓΕΝΟΤΣ
ΠΕΡΙ ΤΟΥ ΠΑΣΧΑ
ΜΜΧΙ
OPERE DI ORIGENE
XIX
Origene
LA PASQUA
A cura di R o ber to S pataro
Città Nuova
2011
Testo greco a cura di B. Witte, Die Schrift des Origenes “Ober das Pas
sa”. Textausgabe und Kommentar, Altenberge 1993.
ISBN 978-88-311-9527-0
Il trattato Pas di Origene \ ritrovato circa settanta anni fa, è stato og
getto, a partire dalla pubblicazione della prima edizione critica nel 1979,
di ricerche di notevole valore. Esse permettono di fornire delle informa
zioni storico-letterarie affidabili e di individuare le linee portanti della
teologia espressa in questo scritto.
La s c o p e r t a d e l p a p ir o
1 Parleremo preferibilmente di «un trattato» e delle sue due parti o libri più
che di «due trattati». In effetti, una delle questioni filologicamente più importanti
relative a questo scritto riguarda la sua unità e il motivo della sua distribuzione in
due libri. Nel corso dell’introduzione, proporremo l’ipotesi che ci sembra più ragio
nevole: il Pas di Origene è un’opera unitaria per pensiero e composizione, articolato
in due parti destinate a due differenti categorie di destinatari, i cristiani «semplici»
e gli «spirituali» o «perfetti».
2 A partire dagli anni ’40 del secolo scorso assistiamo ad una rinascita degli
studi origeniani sempre più apprezzabili. Oramai è opinione comune che Orige
ne sia un «gigante» nella storia del Cristianesimo antico la cui eredità, attraverso
molteplici mediazioni, ha attraversato i secoli successivi, persino quelli notevol
mente a lui posteriori, nonostante la condanna «ufficiale» del Concilio di Co
stantinopoli del 553.
3 «Nell’estate del 1941 le autorità militari britanniche preparavano l’instal
lazione in Egitto di un considerevole deposito di munizioni in vista di eventuali
campagne nel Vicino Oriente. Ebbero l’idea di collocare questo materiale delicato,
per qualche chilometro, nelle cave di Tura, scavate al fianco della catena arabica,
ad una dozzina di chilometri a sud del Cairo. Era proprio quello il luogo da cui
i faraoni, sin dall’epoca dell’Antico Impero, facevano estrarre i blocchi di puro
calcare duro a grani fini, destinati ai loro monumenti più curati. Ne era risultato un
vasto reticolato di gallerie, notevolmente conservate, che solcavano la montagna e
potevano offrire, al momento opportuno, dei rifugi pressoché inviolabili. Prima di
occupare le gallerie, i militari vi fecero eseguire dei lavori di sistemazione e pulizia
8 IN T R O D U Z IO N E
A utore
8 Alla fine di una sezione degli estratti del CRm, nel margine inferiore del
papiro, si legge: «attesto che sempre susciti in me ammirazione per la tua cultura,
non sempre però ti riconosco come ortodosso». L’annotazione potrebbe essere
stata introdotta anche da un lettore e non dal copista.
9 D ’altra parte, questa presa di distanza da Origene e da ciò che ad Origene
veniva attribuito, segue a una lunga fase di interesse per il pensiero origeniano
presso gli ambienti monastici egiziani, compreso lo stesso monastero di Sant’Ar-
senio. In particolare, Pas, come vedremo esaminando i suoi contenuti, presenta
va temi di indubbia attrazione per la spiritualità monastica, quali la fuga mundi,
la rinuncia e il combattimento spirituale.
10 «E veramente Origene che scrive? Confrontando il linguaggio e lo stile,
si notavano in continuazione diversità dal resto degli scritti. Evidente sembra lo
stacco dal primo trattato. Da un’ipotesi di inautenticità, che ci appariva certa,
abbiamo però dovuto fare in gran parte marcia indietro estendendo ulterior
mente i confronti: solo parzialmente per il linguaggio, più nettamente per le idee
IO IN T R O D U Z IO N E
Oltre all’oggettiva informazione data dai copisti con le due iscrizioni alla
fine della prima e della seconda parte, il contenuto essenziale, lo sviluppo
del pensiero, la metodologia esegetica e lo stile letterario sono tipicamente
origeniani. La conoscenza della teologia pasquale origeniana viene così
significativamente arricchita e integrata dalla lettura di questo trattato.
Di esso, però, non viene fatta menzione nella nota lista delle opere
di Origene riportata da Gerolamo nella sua lettera 33, indirizzata a Paola,
sulla base, assai probabilmente, dello scritto eusebiano, perduto, Vita di
Panfilo, e della sua frequentazione della biblioteca di Cesarea in Palesti
na, ove erano raccolte le opere origeniane. Gerolamo parla di «Otto ome
lie sulla Pasqua», ma di nessun trattato. Si potrebbe pensare a un errore
di trascrizione della lista geronimiana e leggere II al posto di Vili. Questa
ipotesi si scontra con l’assoluta estraneità al genere letterario omiletico di
questo trattato che, del resto, secondo alcuni studiosi moderni, sarebbe
in realtà un solo scritto diviso in due parti. Secondo un’altra congettura,
Gerolamo avrebbe associato questi due trattati agli altri sei pezzi omile
tici pure perduti. Essa, però, appare artificiosa11. Più ragionevole pensare
che, come anche per altri testi identificati come origeniani e non inclusi
nell’elenco di Gerolamo, anche i due libri del trattato di cui ci stiamo oc
cupando gli fossero ignoti per motivi a noi sconosciuti11.
che sono, in linea di massima, certamente origeniane, forse anche troppo, nel
senso che vi si trovano irrigiditi quelli che sono gli elementi più contestabili della
speculazione origeniana. Dopo il riscontro delle idee, tornando, però, alla lettura
del testo, non si eliminava l’impressione di disagio... L’attribuzione a Origene
si rivela, tutto sommato, come la più ragionevole, sebbene resti da spiegare il
problema delle differenze»: Sgherri 1989, p. 41.
11 Nautin e Sgherri ritengono che la dicitura geronimiana «Omelie V ili»
si riferisca a una serie di scritti sulla Pasqua, alcuni dei quali realmente omelie.
Per Nautin tutti questi scritti trattavano della legislazione pasquale contenuta in
Es 12, 1-11. Diversa l’opinione di Sgherri, che osserva come la notizia di G ero
lamo parli delle Omelie di Origene dalla Genesi fino ai Giudici e, solo a questo
punto, di quelle sull’Esodo: «Non pensiamo invece che questi scritti fossero tutti
commento di & 12, perché in questo caso la menzione di essi si sarebbe dovuta
trovare dopo quella delle Omelie sull’Esodo. I brani dell’AT che concernono la
Pasqua sono molti: se non tutti, evidentemente vari di essi dovevano essere stati
commentati da Origene, ciò spiega la collocazione particolare delle omelie Sulla
Pasqua nella lista che san Gerolamo ha tratto da Eusebio»: Sgherri 1989, p. 27.
12 Altre due antiche testimonianze sembrerebbero conoscere il nostro trat
tato. Esse, però, appaiono inaffidabili. La prima appartiene allo storico ecclesia
stico Socrate, autore vissuto nel V secolo. Egli, trattando delle diverse consuetu
dini liturgiche praticate dalle Chiese e biasimando la rottura della comunione tra
esse a motivo di queste differenze, parlando della Chiesa di Alessandria, riassume
il kerygma pasquale di Origene. U n’analisi attenta di questo testo socratico con
duce a cogliere una proiezione anacronistica: Socrate attribuisce a Origene, pur
sullo sfondo di autentico materiale risalente al nostro autore, ciò che era il suo
pensiero. La conclusione è pertanto la seguente: «Il pensiero di Origene riferito
da Socrate non deriva né dal papiro né da un altro testo pasquale conservatosi
dell’Alessandrino»: Buchinger 2001, voi. 1, p. 104. Anche un testo del VI secolo,
proveniente dall’Irlanda, parla di un origeniano Libellus de Pascha: si tratta del
Liber Anatholi de ratione paschali, ambientato nel contesto delle controversie
IN T R O D U Z IO N E II
pasquali delle Chiese iro-scozzesi. «La presunta citazione di Origene del testo
dello pseudo-Anatolio non si adatta però al testo del papiro. Al contrario non si
armonizza per nulla con il limitato interesse di Origene per il calcolo puntuale
della Pasqua. Il redattore associa Origene alla sua posizione come un protago
nista della controversia del VI-VII secolo sulla data della Pasqua»: Buchinger
2001, voi. 1, p. 99.
13 Un elenco completo dei frammenti origeniani tramandati da questi autori
è riportato da G uérard - Nautin 1979, pp. 52-77. Ricordiamo che le catene sono
«vere e proprie antologie di esegesi biblica, grazie alle quali è dato conoscere, sia
pure in frammenti, le interpretazioni che furono date dai Padri su vari testi della
Scrittura e che, senza le catene, non sarebbero arrivate a noi»: C. Curri, Catene
bibliche, in DPAC voi. 1, col. 630. Per un’informazione generale su Procopio e
su Vittore di Capua cf. J. Irmscher, Procopio di Gaza, in DPAC voi. 2, coll. 2912-
2913 e V. Loi, Vittore di Capua, in DPAC voi. 2, coll. 3607-3608.
14 «Le catene, i commentari di Procopio e di Vittorio di Capua ci recano un
aiuto apprezzabile per ricostruire le linee mutilate del papiro e conoscere il con
tenuto delle parti che non sono state recuperate. D ’altra parte si vede che con
viene utilizzarli con prudenza»: Guérard - Nautin 1979, p. 76. La scelta adottata
da Nautin ha riscontrato l’adesione e l’apprezzamento degli origenisti. «Come ha
fatto per l’edizione di un altro papiro di Tura contenente il Commento alla Gene
si di Didimo, Nautin ha avuto l’ottima idea di far ricorso alle catene per integrare
il testo così malridotto del papiro: Procopio e altre catene gli hanno permesso
sia di risarcire passi rovinati sia di supplire alcuni dei tanti vuoti»: M. Simonetti
nella recensione a Nautin, p. 421. Del resto, lo studio di Origene è imprescindi
bilmente legato al materiale presentato dalle catene, pur nella consapevolezza dei
limiti oggettivi di questa testimonianza. «La speciale importanza della tradizione
catenaria per gli studi origeniani è legata alle consistenti perdite della tradizione
diretta dei suoi scritti, in seguito alle controversie che ne portarono alla ripetuta
condanna retrospettiva, soprattutto durante i secoli IV e VI. Sono quindi assai
numerosi i libri biblici per i quali la conoscenza dell’esegesi di Origene si deve
in minore o maggiore misura e non di rado unicamente alle catene»: F. Pieri,
Catene, in DO, p. 65.
15 «L’errore di 15, 31-32 che si trova allo stesso tempo nel papiro del περί
πάσχα e in Procopio prova, come abbiamo affermato, che essi dipendono en
trambi da un manoscritto che conteneva già questo errore. Niente di più vero
simile che questo “antenato” sia un manoscritto della biblioteca di Cesarea, se
si ricorda che Procopio ha abitato in Palestina, che ha trascorso un soggiorno
12 IN T R O D U Z IO N E
D a t a z io n e
D e s t i n a t a r i , m o t i v a z i o n i e S i t z -i m - L e b e n
31 Non è solo questa una delle peculiarità della teologia pasquale origenia
na. «La trattatistica origeniana sulla Pasqua si differenzia nettamente da quella a
lui precedente e successiva. Estranea a questioni di calendario, priva di retorica,
più che sul dato soteriologico insiste sulla dimensione spirituale della celebrazio
ne, strettamente connessa con l’interpretazione spirituale delle Scritture. Stacca
ta dalla celebrazione liturgica, non la esclude, ma se ne disinteressa»: G. Sgherri,
Pasqua, in DO, pp. 343-344.
32 La scuola di Origene a Cesarea può essere rappresentata come una sorta
di scuola di filosofia cristiana comprensiva di più livelli. Cf. Thummel 1984, pp.
206-217.
33 «Origene vi commenta le norme di & 12, 1-11 in modo abbastanza par
ticolareggiato e con una sommaria osservanza della loro successione... La sua
osservazione, per esempio, nella digressione sull’etimologia Pasqua-passaggio
mostra che l’autore si rivolgeva ad una cerchia di lettori privi di formazione...
Nelle successive spiegazioni della prima parte egli si limita prevalentemente a
trattare la tematica della crescita dei cristiani con le conseguenze che ne derivano
per la loro condotta di vita ed una personale perfezione»: Witte 1993, p. 81.
20 IN T R O D U Z IO N E
34 Cf. Witte 1993, pp. 81-82. E stato osservato che in Origene vi sarebbe
una radicale attitudine elitaria che lo induce a privilegiare i «migliori» anche
nell’ambito della vita cristiana. A questi destinatari egli si rivolgerebbe nella con
vinzione che fossero gli unici capaci di apprezzare la sua proposta: cf. Monaci
Castagno 2005, p. 34. Questa osservazione va però inquadrata in un altro sfondo:
è insito nel Cristianesimo stesso il concetto di una gradualità, di una processuali-
tà, insomma di un itinerario spirituale, che consente di passare da una condizione
di «principiante» nella fede ad una condizione di perfezione spirituale e morale.
Origene è stato il primo autore a teorizzare in modo sistematico questo principio
che, soprattutto nella storia della letteratura mistica e della teologia spirituale, ha
trovato un approfondimento sempre più articolato.
35 «Dopo aver insistito, nel primo trattato, su Pasqua = passaggio (5ιάβασις),
secondo il testo degli editori detto ben cinque volte, senza variazioni, Origene
nel secondo sarebbe passato al significato di “passar oltre” (ύπέρβασις), detto due
volte, senza che più resti traccia dell’uso precedente... Il primo trattato faceva
con precisione l’esegesi di Es 12,1 -11, pur con lievi contaminazioni derivanti dal
la conoscenza di passi più o meno paralleli. Il secondo commenta invece l’immo
lazione di Cristo, in tu tt’altro spirito; i riferimenti a Es 12 sono più limitati per un
verso, perché non fanno l’esegesi di tutti i versetti, e nello stesso tempo più estesi,
perché citano anche i w. 14.22.24. [Il secondo trattato] è pieno di ripetizioni,
di variazioni improvvise, di allusioni non facili a capirsi, di termini sottintesi, di
citazioni scritturistiche fatte a memoria e assai imprecise, che servono spesso da
occasione per passare da un tema all’altro, è molto improvvisato... frequenti sono
le formulazioni secche, di natura scolastica, le variazioni su parole della stessa ra
dice, talvolta a scopo di catalogazione. Il testo ci appare perciò freddo; mancano
totalmente le aperture verso nuovi spazi di ricerca, sono limitati i riferimenti alla
vita spirituale del cristiano. Al loro posto sono subentrati rinvìi a una dottrina di
natura esoterica combinati con una polemica anti-giudaica di matrice esclusiva-
mente negativa e in gran parte gratuita»: Sgherri 1989, pp. 35-36.
IN T R O D U Z IO N E 21
viamo nei due testi le caratteristiche delle omelie di Origene» 36. Sono
assenti, ad esempio, le consuete dossologie finali e, pur ammettendo la
possibilità di una loro cancellazione nel corso della trascrizione, sono as
senti pure le parole che le introducono, di natura esortatoria e formulate
con un appello diretto agli ascoltatori. A l contrario, il secondo trattato si
conclude con un riferimento agli «amici della sapienza e dello studio»,
dunque a studenti e lettori, non ad ascoltatori. N el corso delle sue omelie,
inoltre, Origene inserisce frequentemente elementi parenetici e domande
retoriche, di cui il suo Pas è del tutto privo37.
Se le osservazioni di Nautin valgono indistintamente per le due par
ti del trattato, Sgherri si sofferma a considerare i motivi che inducono a
escludere l’identità omiletica della prima parte: la presenza di una lunga
ed erudita digressione, quella che stabilisce la differenza tra «principio»
e «primo», del tutto estranea al genere omiletico, e il procedimento ese
getico che, anziché commentare la pericope versetto per versetto come
generalmente nelle omelie, preferisce suddividere il testo in varie unità di
uno o più versetti, e ognuna di esse, con una citazione precisa, viene posta
in testa alla parte di commento che la riguarda: «è il modo di procedere
tipico dei commentari e nei trattati esegetici in genere» 38.
C ontenuto
La prima parte del trattato è una spiegazione dei versetti della legi
slazione pasquale Jz'Es 12, 1-11. La seconda, più breve della prima, è una
ripresa degli stessi tem i con alcune integrazioni e differenze interpretati
ve. Prima ancora di passare rapidamente in rassegna il loro contenuto,
occorrono due osservazioni preliminari.
La prima riguarda la divisione in paragrafi. Com’è noto, essa è assen
te nei testi antichi ed è stata introdotta nelle edizioni critiche moderne.
Tra gli studiosi vige una certa pluralità di scelte nell’articolazione del
testo e nell’adozione di «titoli». N oi ci atteniamo a quella proposta da
Witte, pur consapevoli che alcune sue scelte sono opinabili39
La seconda osservazione concerne la questione dell’integrità del te
sto. Secondo Sgherri, infatti, la prima parte, che, secondo la sua opinione
è un testo del tutto autonomo rispetto alla seconda, è priva della sua con
clusione: «Lo scritto termina con un secco abbiamo letto nei Proverbi, che
non può certo rappresentare una conclusione. Quando arriva alla fine di
un libro, Origene è solito notarlo, dicendo che esso ha preso un’ampiezza
sufficiente, o rinviando al discorso che verrà in seguito ripreso» 40. Per cor
schio, di un anno, lo sceglierà tra agnelli e capri» (Es 12, 4-5). La realtà
del banchetto spinge Origene a pensare ad altre scene evangeliche di pa
sto comune, soprattutto alla moltiplicazione dei pani. Sospende questo
richiamo per concentrarsi su un’interpretazione cristologica dell’agnello.
Cristo è il vero agnello, perfetto perché senza alcuna manchevolezza, ma
schio perché forte e coraggioso, di un anno, cioè, secondo una digressione
cosmologica che si concede, completo nella sua perfezione.
In piena consonanza con la sua visione del progresso della vita cri
stiana, egli dà la sua interpretazione della differenza tra agnello e capro. Si
nutrono dell’agnello coloro che hanno raggiunto il grado della perfezione
nella vita cristiana, del capro coloro che rimangono allo stato iniziale e
che sono ancora sottoposti, sia pure parzialmente, al regime del peccato.
La stessa distinzione, secondo Origene, si ritrova nel brano della molti
plicazione dei pani, qui ripresa, laddove si distinguono i pani di grano,
cinque, e quelli di orzo, sette, i primi per designare il cibo di cui si nutro
no i perfetti, i secondi per indicare il nutrimento di chi vive ancora «sen
sualmente». Partecipare al mistero di Cristo, pur nella gradualità della
vita spirituale che caratterizza la pluralità dell’appartenenza alla Chiesa,
è questo l’incessante appello che soggiace all’esegesi origeniana, mai li
mitata a una spiegazione dottrinale ma sempre aperta e finalizzata alla
parenesi.
I versetti compresi in Es 12, 6-7 sono trattati più rapidamente: «Lo
conserverete fino al quattordicesimo giorno di questo mese». L ’assemblea
intera dei figli di Israele lo immolerà al tramonto, ne prenderanno del
sangue e lo porranno sui due stipiti e sull’architrave in ogni abitazione, in
cui mangeranno agnelli tra loro. In effetti, Origene aveva già anticipato
la spiegazione del «quattordicesimo giorno». Si limita a dare un’interpre
tazione cristologico-escatologica del tramonto e si sofferma poi sul gesto
apotropaico previsto dalla legislazione pasquale: spargere sangue sugli sti
piti e gli architravi. La spiegazione data è liturgico-battesimale: l’unzione
è la fede nel Cristo, espressa ritualmente, nell’unzione battesimale.
D i grande importanza nell’economia generale del trattato è il com
mento di Es 12, 8-9: «Mangiano le carni arrostite in questa notte e si
cibano degli azzimi posti su erbe amare. Non mangerete da un agnello
crudo o bollito, ma arrostito, la testa con i piedi e le viscere». Nutrirsi
delle carni dell’agnello, alla luce della spiegazione mistico-spirituale di
Origene, equivale ad essere alimentati dal Logos divino, cioè dalla Sacra
Scrittura. Mangiare le carni crude significa interpretare materialmente,
cioè letteralmente, la Sacra Scrittura, come fanno i giudei. Mangiarle ar
rostite significa lasciare che il fuoco dello Spirito Santo consenta di coglier
ne l’autentico senso spirituale. Mangiare la testa, i piedi, le viscere sono
simboli dei diversi gradi di adesione e partecipazione al mistero di Cristo,
secondo quella «gerarchia della santità» che è un concetto molto caro ad
Origene, al vertice della quale sono segnalati coloro che si nutrono delle
viscere dell’agnello, cioè coloro che penetrano nel mistero della divinità.
«Non lascerete avanzare alcuna parte dell’agnello fino al mattino e
non ne spezzerete un osso: le parti avanzate le brucerete al mattino» (Es
12, 10). Questo versetto è interpretato come un riferimento alla funzione
IN T R O D U Z IO N E 2-5
I destinatari del commento sono gli «amici della verità», cioè i cre
denti, diventati figli di Dio, avanzati nella vita cristiana ai quali Origene
propone una «comprensione spirituale». In questa parte introduttiva, ci
si rende conto che il tipico vocabolario origeniano è stato qui adottato.
La redenzione - dichiara Origene all’inizio del commento facendo
riferimento all’agnello pasquale scelto con cura - potrà essere ottenuta so
lo attraverso il sacrificio di Cristo, evocato attraverso la profezia dei canti
del servo diJH W H che avevano parlato di un agnello innocente condotto
al macello. Le varie caratteristiche dell’agnello pasquale, maschio, di un
anno, perfetto e senza difetti, vengono così applicate a Cristo, attraverso
il ricorso ad altri brani neotestamentari. Stabilita questa corrispondenza,
si giunge alla dimostrazione che colui che è in se stesso il principio della
creazione, il Logos, ne ottiene pure il suo compimento e il suo perfezio
namento.
Origene si sofferma poi a commentare il significato di due termi
ni contenuti nella prescrizione successiva, ossia il significato dei «figli di
Israele» e di «sera». Il testo è brevissimo: i figli di Israele sono i figli de
gli uomini che vedono Dio, la sera è interpretata come la fine dei tempi.
Anche molto breve è la spiegazione del rito apotropaico dell’unzione con
il sangue delle porte. A differenza di quanto detto nel primo trattato, gli
architravi sono paragonati alla ragione, gli stipiti alle passioni dell’ira e
della sensualità. In altri termini, viene data un’interpretazione antropo-
logica, secondo la quale il sangue di Cristo-agnello redime tutto l’uomo,
nella pienezza delle sue facoltà.
L ’autore passa a parlare dettagliatamente del luogo del sacrificio, l’E
gitto. Riprende il significato presentato alla fine della prima parte dell’E
gitto come mondo sensibile. Interpreta la signoria del Faraone sull’Egitto
come la tirannia del diavolo sul mondo sensibile. Per spiegare il signifi
cato di «Egitto» si serve anche delle tre possibili traduzioni della parola
stessa, oppressione, oscurità e residenza straniera. Impiega i primi due
possibili significati etimologici in quanto afferma che l’Egitto terreno è
dominato dall’oscurità, cioè dall’ignoranza. Il terzo possibile significato,
residenza straniera, è applicato a coloro che compiono il sacrificio. Nello
sviluppo di questo commento Origene presuppone un punto-chiave della
sua dottrina soteriologica: la caduta delle anime preesistenti nella mate
rialità e nella sensibilità dei corpi, che, solo grazie al sacrificio di Cristo-
agnello, possono ottenere la liberazione e la purificazione.
I calzari ai piedi e il bastone in mano sono interpretati proprio alla
luce di questa visione tipicamente origeniana. Emerge così l’ideale misti
co di una fuga mundi. Colui che vuole essere salvato dovrebbe dedicarsi
interamente e con sollecitudine alla fede, reprimendo le sue disposizioni
corporali, compiendo opere buone, vivendo nel timore di Dio. Le anime
cadute nei corpi hanno dimenticato la loro patria originaria, il mondo
dello spirito, e hanno scambiato la loro condizione materiale, qui qualifi
cata come «la terra nutrice», per la loro essenziale natura. Il sacrificio di
Cristo-agnello «toglie il peccato del mondo», rende cioè possibile la risa
lita delle anime dal mondo transeunte a quello eterno stabilito dal Padre.
IN T R O D U Z IO N E 27
T e o l o g ia p a s q u a l e
43 Uno studioso non esita a definire il trattato come «una delle gemme più
preziose della letteratura cristiana degli inizi», ed auspica che esso possa «appari
re in modo rilevante nelle future antologie di testi patristici»: Daly 1985. Questo
studioso ha curato un’edizione del Pas in lingua inglese: cf. Daly 1992.
44 Cantalamessa 1981, p. XIII.
45 Cantalamessa 1984, pp. 178-179.
IN T R O D U Z IO N E 29
A b b r e v ia z i o n i d e l l e o p e r e o r ig e n ia n e
cc Contro Celso
CCol Commento ai Colossesi
CCt Commento al Cantico dei Cantici
CEz Commento a Ezechiele
CGal Commento ai Galati
CGn Commento a Genesi
Ciò Commento a Giovanni (nelle citazioni è indicato il
libro e il paragrafo)
CMt Commento a Matteo
CMtS Serie (lat.) del Commento a Matteo
COs Commento a Osea
CPh Commento a Filemone
CPs Commento ai Salmi
CRm Commento alla Lettera ai Romani
CRm T Commento alla Lettera ai Romani (Papiro di Tura)
C lTs Commento alla I Lettera ai Tessalonicesi
CTt Commento alla Lettera a Tito
Diai Dialogo con Eraclide
EM Esortazione al Martirio
EpAfr Lettera a Giulio Africano
EpCar Lettera agli amici di Alessandria
EpGr Lettera a Gregorio
FrCor Frammenti sulla I Lettera ai Corinti
FrCt Frammenti sul Cantico dei Cantici
FrDt Frammenti sul Deuteronomio
FrEph Frammenti sulla Lettera agli Efesini
FrEx Frammenti sull’Esodo
FrEz Frammenti su Ezechiele
FrGn Frammenti su Genesi
Frler Frammenti su Geremia
Frlo Frammenti su Giovanni
Frlob Frammenti su Giobbe
Frlos Frammenti su Giosuè
Frlud Frammenti sui Giudici
FrLam Frammenti sulle Lamentazioni
FrLc Frammenti su Luca
FrLv Frammenti sul Levitico
FrMt Frammenti su Matteo
32 SIGLE E ABBREVIAZIONI
Inoltre:
A ltre s i g l e e a b b r e v ia z io n i
Ab Abacuc Is Isaia
Abd Abdia
H Aggeo Lam Lamentazioni
Am Amos Lv Levitico
Ap Apocalisse Le Luca
At Atti
1 Mac 1 Maccabei
Bar Baruc 2 Mac 2 Maccabei
MI Malachia
Ct Cantico Me Marco
Col Colossesi Mt Matteo
1 Cor 1 Corinzi Mi Michea
2 Cor 2 Corinzi
lC r 1 Cronache Na Naum
2 Cr 2 Cronache Ne Neemia
Nm Numeri
Dn Daniele
Dt Deuteronomio Os Osea
lP t 1 Pietro
Eb Ebrei
2 Pt 2 Pietro
Ef Efesini
Pr Proverbi
Esd Esdra
Es Esodo Qo Qoèlet
Est Ester
Ex Ezechiele 1 Re 1 Re
2 Re 2 Re
Fm Filemone Rm Romani
Fil Filippesi Rt Rut
Gal Galati Sai Salmi
Gn Genesi 1 Sam 1 Samuele
Ger Geremia 2 Sam 2 Samuele
Gc Giacomo Sap Sapienza
Gb Giobbe Sir Siracide
Gl Gioele Sof Sofonia
Gio Giona
Gv Giovanni 1 Ts 1 Tessalonicesi
1 Gv 1 Giovanni 2Ts 2 Tessalonicesi
2 Gv 2 Giovanni 1 Tm 1 Timoteo
3 Gv 3 Giovanni 2Tm 2 Timoteo
Gs Giosuè Tt Tito
Gd Giuda Tb Tobia
Gdc Giudici
Gdt Giuditta Zc Zaccaria
BIBLIOGRAFIA
E d iz io n i
T r a d u z io n i
Origene
Studi
LA PASQUA
ΤΟΜ ΟΣ I
α
1.1. Πριν αρξασθαι της κατά λεξιν έξηγήσεως της τοϋ πάσχα, άξιον
αύτης ψιλής της ονομασίας ολίγα είπεΐν της του πάσχα. Οί μεν γάρ πλεϊστοι των
άδ[ελ]φών, τάχα δέ κα'ι οί πάντ[ες], την ονομασίαν λαμβάνο[υσι]ν τοϋ πάσχα
παρά το πάθο[ς το]0 σ(ωτη)ρ(ο)ς κεκλήσθαι τω όνόματι τοΰ πάσχα, πάσχα δε ΐ[δ]ί-
ως κατ’ Εβραίους ου καλεϊτ[αι] ή εορτή ή προκειμένη, άλ[λά] φας, των τριών
γραμμάτ[ων] τοϋ φας και της παρ’ αύτοΐς μείζ[ονος] δασείας [ά]ποτελ[ούντ]ω[ν
το] ταύτης [τ]ής έορτ[ης ό]νομ[α, δ]περ εί έρμηνευ[θ]είη, έστίν [δι]άβασις. Έπεί
[γ]άρ έν ταύτγι τη [έο]ρτη ό λαός έξ Α[ίγύπτου] έξ[έρχε]ται, άκολούθως φ[ας]
κα[λ]εΐ[ται, τοϋτ’ εσ]τιν διάβασ[ις]. Ο ύχ οϊ[ου] τε ουν δντος διά της Ελλάδος
φωνής [α]ΰτό έβραϊκώς λ[έγεσ]θαι το δνομα, [ού] δυναμ[ένων Έλ]λήνων π[α]-
ρά το μή ΐ[σχύειν τ]ί] δασεία τ[η] παρ’Έβρα[ίοις] με[ί]ζονι λέγειν φας, έξηλ[λη]-
νίσθη το δνομα, κα'ι έν μ[έν τ]οΤς προφήταις φασέκ [εΐ']ρηται \ τελειοτέρω[ς] δέ
έξελληνισθεν πάσχα ώνόμασται2. Και εϊ τις προπετέστερον των ήμετέρων Έβραίοις
συμβαλών λέγοι το πάσχα διά τό πάθος του σ(ωτη)ρ(ο)ς οίίτως ώνομάσθαι,
καταγέλαστος ύπ’ αύτών εσται ώς δ'λως ούκ έ|2|πιστάμενος τί το σημαινό<μενο>ν
έκ της ονομασίας, εί κυρίως ώς Εβραίοι οί τέλειοι τό τοϋ πάσχα έρμηνεύσαιεν
δνομα.
Και ταϋτα μεν [ί]κανά περί αύτης ψιλής της [όν]ομασίας εϊρηται εις τό
δ[ιδ]αχθηναι ήμας τί τό σ»]μ[αιν]όμενον έκ της τοϋ φας όνομασία[ς] και εις τό
οϊκοδομηθήναι, μή προπετώς τοΐς έβραϊκώς εί[ρη]μένοις έπιχειροϋσι έπιβά[λλε]ιν
καί μή ούχί πρότερον [τή]ν ερμηνείαν τήν έβραϊ[κ]ήν έπεγνωκόσι[ν], έλευσόμ[ε0α
δ]ε κ[α'ι] έπ’ αύτών ήδη των [ρη]τ[ών τή]ν έξέτ[α]σιν, διάβ[ασι]ν ση[μα]ίνοντος
τοϋ πάσχ[α].
(1) «La maggior parte dei fratelli» poteva aver adottato l’etimologia propo
sta da Melitone, Sulla Pasqua 46, SC 123, p. 84: «Che cos’è la Pasqua? Da ciò che
è sopravvenuto è stato dato il nome: dall’aver patito la Pasqua».
(2) Per la derivazione etimologica, Origene si appoggiava a Clemente di
Alessandria, il primo tra gli scrittori cristiani che adoperava la parola διάβασις
come equivalente per l’ebraico pesach, cioè «passaggio», (cf. Clemente di Ales
sandria, StromatiW, 11,51, a cura di G. Pini, Milano 1985, p. 274). Nel corso del
trattato, come ricordato, Origene usa cinque volte la parola διάβασις e per due
volte, nella seconda parte, la parola ΰπέρβασις.
LIBRO PRIM O
[I. I n t r o d u z io n e a l l ib r o p r i m o ]
[II. I n t e r p r e t a z io n e l e t t e r a l e d i E s 12,1-2]
Ma ora passeremo al testo stesso, parola per parola (8), per indi
care con il nostro ragionamento, in modo più completo, il significato
profondo che riguarda gli avvenimenti storici (9).
Disse il Signore a Mosè e ad Aronne in Egitto: Questo è per voi il
principio dei mesi, il primo per voi tra i mesi dell’anno.
Π.1.1. Τούτον τον μήνα άρχήν μη|4|νών λέγει είναι ό θ(εό)ς προ; Μωϋσην
καί Άαρών, και πρώτον αύτόν έν τοΐς μησίν του ένιαυτοϋ αύτοΐς είνα[ι], ήνίκα
τήν Αίγυπτον έξέ[ρχο]νται· καί οσον μέν κατά [τή]ν ιστορίαν, οδτος αύτός
πρ[ώτο]ς μην έστιν καί ταύτην άγ[ουσι]ν οί Ιουδαίοι κατ’ έτος τήν έο[ρτ]ήν τη
τεσσαρεσκαιδεκάτη [το]ϋ πρώτου μηνάς 16 κατ’ οίκου[ς] πρόβατον 17 κατά τον
διά Μω[ϋσ]έως αύτοΐς δοθέντα νόμο[ν] <θύοντες>, επειδή δέ ό Χ(ριστό)ς ηλθεν
[ού κ]αταλϋσαι τον νό[μον] ή τ[ούς] προφήτας άλλα [πλ]ηρ[ώσαι 18, ε]δειξεν
ήμΐν τί [το άληθινόν] πάσ[χα, ή διάβασις] ή αληθινή ή [έξ Αίγυπτου,] καί έστι
τ[ώ διαβαίνοντι] τότε άρ[χή μηνών, δτε γίνεται] ό μήν ό τ[ής] δια[βάσε]ως τ[ης]
Α[ίγ]ύπτου, ώσπε[ρ α]ύτω γ[εν]νήσεως γίν[εται άρ]χή [τις έ]τέρας, κ[αινής
π]ολιτ[είας γι]νομενη[ς καταλί]πον[τι] το σκότος κ[αί έρχ]ομένω προς το φώς 19,
λ[εγω] οίκείω[ς] ώς πρός το σύμ[βολ]ον το δι’ ίίδατος διδόμ[ενον] τοΐς είς Χ(ριστό)ν
ήλπικόσ[ι]ν, ο [λο]υτρόν παλιγγενεσίας ώνόμασται 20. Ή γάρ παλιγχενεσία τί
έτερον η έτέρας γενέσεως άρχήν σημαίνει;
tipo di altri fatti storici e le cose corporee di altre cose corporee, ma che le
cose corporee siano tipo di realtà spirituali, i fatti storici di realtà intelligibili»:
Ciò 10, 18, 110, p. 405. Esso non nega il fatto che l’AT sia profezia della realtà
storica di Cristo, ma vuole piuttosto sottolineare la fondamentale interpretazio
ne spirituale degli stessi avvenimenti storici, evitando la ricerca «aneddotica»
delle corrispondenze con la vita del Cristo, proprio come facevano i quartode-
cimani a proposito della passione di Cristo. Origene adopera qui la parola νους,
da me tradotta con «significato più profondo», quel significato che, per quanto
riguarda i testi biblici, coincide con quello ispirato dallo Spirito, come osserva
Crouzel 1961, pp. 41-42.
(10) Il «vero passaggio dall’Egitto» implica una rottura definitiva con l’ido
latria pagana, l’adesione alla fede cristiana, ed un comportamento morale rigo
roso. Illuminante il confronto con un altro testo origeniano: «Hai attraversato il
Mar Rosso, hai seguito Mosè, nel senso che hai osservato i precetti e i comanda-
menti della Legge. Ma da Mosè ti ha accolto ormai Gesù, per circonciderti una
seconda volta in quel luogo chiamato colle dei prepuzi. Non devi circoncidere
solo il culto degli idoli, respinto in partenza; devi anche circoncidere l’avarizia,
che è la più sottile idolatria»: HIos 1, 7, p. 61. Al battesimo che segna la rottura
con l’idolatria ed è il principio di una nuova vita, occorre dare seguito con la
pratica di una vita virtuosa. Si prepara così l’introduzione al passaggio successivo
del trattato incentrato sul valore del battesimo.
(11) Il significato allegorico che Origene attribuisce all’«inizio del mese»
rappresenta uno dei punti dottrinalm ente più rilevanti del trattato: esso va
inteso come il battesimo. Questo tema viene introdotto con un riferimento
al simbolismo del passaggio dalle tenebre alla luce, che appartiene alle p ri
me formulazioni della teologia battesimale dell’antica letteratura cristiana. In
questo passaggio del suo trattato, il nostro autore fonda la sua interpretazione
LIBRO I, I I . I . I - 1 .2 47
avvalendosi di citazioni tratte dalle lettere paoline per approfondire sia la re
sponsabilità esistenziale richiesta al battezzato sia la dimensione cristologica
del sacramento.
(12) Si parla del battesimo come «sacramento» adoperando un termi
ne importante nella prima elaborazione cristiana della teologia sacramentaria:
σύμβολον. Evoca le due realtà costitutive del «sacramento», successivamen
te designate come segno visibile e res sacramenti. La ritualità infatti rinvia alla
realtà spirituale comunicata ed esperita in un rapporto di integrazione e su
peramento. Lo stesso vocabolo σύμβολον è adoperato da Origene nell’ambito
della sua terminologia esegetica per indicare il rapporto tra lettera e spirito, tra
prefigurazione veterotestamentaria e compimento neotestamentario: cf. M. Si
monetti, Scrittura Sacra, in D O , p. 435.
(13) Origene parla quasi sempre del battesimo nelle sue opere insistendo
soprattutto sulla novità radicale a cui esso introduce. Adoperando una termino
logia paolina e giovannea, non esita a definirlo «principio di vita nuova» e «nuo
va nascita». E stato rilevato che per Origene «l’acqua del battesimo rigenera nel
senso proprio del termine. Essa permette di diventare figli di Dio; come Adamo
fu il padre della nostra vita terrena, il Cristo è per noi principio di vita nuova; è
una nuova nascita da parte di Dio, una partecipazione alla natura divina dell’a
more»: Blanc 1972, p. 118. Sulla dottrina di Origene riguardo al battesimo cf.
Ferguson 2009, pp. 424-427.
(14) Il vocabolario greco qui adoperato è abbastanza interessante: la «con
dotta di vita» corrisponde alla parola πολιτεία che, nella cultura greca classica,
indicava la dimensione «politica» in cui si costruiva la perfezione etica del sog-
48 Τ Ο Μ Ο Σ I ( α 1), I I .1 .2
μόν[ους] Μωϋσην καί Άαρών· [ού y]àp γέγραπται· Καί εϊπε[ν ό] θ(εό)ς προς τον
λαόν· Ό μήν ού[τ]ος ύμΐν άρχή μηνών, πρώ[τ]ος ύμϊν έστιν έν τοΐς μ[ησί]ν του
ένιαυτοϋ, άλλα γέγρ[απτ]αι· ΕΪπεν δέ Κ(ύριο)ς πρ[ός Μ]ω[ΰσ]ήν καί Άαρών [έν
γ]η [Αίγύ]πτω [λ]έγω[ν· Ό μήν ουτο]ς ύμΐν άρχή [μηνών, πρ]ώτός έστιν ύμΐ[ν έν
τοΐς μησίν] του ένιαυ[τοϋ 21, τότε δ’ έπιφ]έρει· [Λάλησον προς πασαν συ]ναγω[γήν
υιών Ί(σρα)ήλ λέγων· Τή δεκά]τη τ[οϋ μηνός] τούτο[υ λ]α[βέτ]ω[σ]α[ν έκαστος]
πρόβατον 22. [Εί μ]έν γ[άρ έπευη]νόχει· Λάλη[σον] πρό[ς πασαν συ]ναγωγ[ήν
υί]ών Ί(σρα)ή[λ λέγων·] Ό μήν ου[τος] ύμΐ[ν άρ]χή μηνών, άπ[ο]λελυμέ[νως]
καί προς Μωϋσην κα[ί Άαρ]ών καί πρός δλο[ν] τον λαό[ν] ήν τοϋτο λέγων, έπεί
δέ τώ Μωϋση καί Ααρών λέγεται· Ό μήν οδτος ύμΐν άρχή μηνών, πρώτος έστιν
ύμΐν έν τοΐς μησίν του ένιαυτοϋ 23, κελεύεται δέ αύτώ λαλήσαι <ού> τοΰτο, άλλα
τη δεκάτη |6| του μηνός iva λάβωσιν πρόβατον κατ’ ο’ίκους πατριών 24, δήλον δτι
ού παντί τώ λαώ τότε έκεΐνος ήν ό μήν άρχή μηνών άλλα [μό]νοις Μωϋση καί
Άαρών, π[ρός οΰ]ς ε’ίρηται. Τελείως γάρ άπ[οτά]ξασθαι τη κτίσει καί τώ κ[όσ]μω
τούτω δει ώς καταλαμ[β]άνειν δτι σχεδόν έτερος γ[εγ]έυηταί τις παρ’ δ ήν, ϊνα
[ά]κοϋσαι δυνηθη· Ό μή[ν] οδτο[ς σοι] άρχή μηνών, πρώτ[ός έσ]τι [σοι έ]ν τοΐς
μησίν το[ϋ ένι]α[υτο]ΰ. Ό τ ι γάρ ό τέλειος [έτέρα]ς [γεν]έσεως άρχ[ήν] έχει κ[αί
έτερος παρ’] δ ήν [γί]νεται, [ό απόστολος ή]μας διδάσ[κει λέγων] ότε μ[έν· Ό
παλαιός] άνθρωπος συ[νεσταυρώθη τώ Χ (ριστ)ώ ]25, [καί πάλιν· Εί συναπεθάνο]-
μ[ε]ν, καί σ[υζήσο]μεν 26, περί δέ αύ[τοϋ γυμ]νώς λ[έγει]· Ζώ δε ού[κέτι έγ]ώ,
ζ[η δέ] έν έμοί Χ[(ριστό)ς 21. Τοιοϋ]τοι δ[έ] οί δυνάμ[ενοι ετι] έν κ[όσμω] δντες
άκούειν [πρ]ώτον [μή]να καί άρχήν μ[ην]ών αύ[τοΐς] γεγον<έν>αι. Ό τ [ι δε ό] τέλειος
έτερος παρ’ δ ήν γ[εν]όμενος τότε επαγγελίας καί εύλογίας παρά τοϋ θ(εο)ϋ λαμβάνει,
κατανοήσωμεν. Άβράμ τάς έπαγγελίας ού λαμβάνει άλλα Αβραάμ 28, καί Ιακώβ
|7| τάς εύλογίας ού λαμβάνει άλλα Ί(σρα)ήλ 29· καί Σίμων πρώτος μαθητής τοϋ
21 Ex. 12, 1-2. 22 Ex. 12, 3. 23 Ex. 12, 1-2. 24 Ex. 12, 3.
25 Rom. 6, 6; Gal. 2, 19. 26 2 Tim. 2, 11. 27 Gal. 2, 20. 28 Gen. 17,
5. 29 Gen. 32, 28-29.
per te» (15). Infatti questa prescrizione non viene data da Dio a tutto il
popolo, ma solo a Mosè ed Aronne, perché non è scritto: «E Dio disse
al popolo, questo è per voi il principio dei mesi, il primo per voi tra i
mesi dell’anno», ma è scritto: Il Signore disse a Mosè ed ad Aronne in
terra d’Egitto: Questo è per voi il principio dei mesi, il primo per voi tra
i mesi dell’anno. Solo allora aggiunge: Riferisci a tutta l’assemblea dei
figli di Israele: Il decimo giorno di questo mese ognuno prenda un agnello.
Se infatti avesse aggiunto: «Riferisci a tutta l’assemblea dei figli di
Israele: è questo per voi il principio dei mesi», Dio avrebbe parlato indi
stintamente sia a Mosè e ad Aronne sia al popolo intero. Poiché invece
viene detto a Mosè ed Aronne: E questo per voi il principio dei mesi, il
primo per voi tra i mesi dell’anno, e poi viene dato l’ordine di riferire al
popolo non questo comando, ma che al decimo giorno del mese prendano
un agnello nelle case di ogni famiglia, è chiaro che quello era principio
del mese non per tutto quanto il popolo ma solo per Mosè ed Aronne, ai
quali viene dato il comando.
E infatti necessario aver rinunciato completamente alla creazione
e a questo mondo per comprendere che uno è diventato quasi un’altra
persona rispetto a ciò che era, affinché sia in grado di ascoltare: questo è
per te il principio dei mesi, il primo per te tra i mesi dell’anno. Che poi il
credente perfetto abbia il principio di un’altra nascita e diventi un’altra
persona rispetto a ciò che era prima, ce lo insegna l’Apostolo quando
dice: Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Cristo, ed ancora: Se
siamo morti insieme a Cristo, insieme con lui anche vivremo, di se stesso
dice semplicemente: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (16).
Costoro, pur vivendo ancora nel mondo, sono in grado di sentirsi
dire che questo è il primo mese ed è per essi il principio dei mesi. Ri
flettiamo sul fatto che il credente perfetto, diventato un’altra persona ri
spetto a ciò che era, riceva da Dio promesse e benedizioni. Non riceve le
promesse Abram, ma Abraàm, e non riceve le benedizioni Giacobbe, ma
Israel. Il primo discepolo del Salvatore è Pietro e non Simone, Giacomo e
Giovanni, apostoli, sono inviati essendo diventati boanerghés, che signi
fica «figli del tuono».
(17) «Se osserviamo con attenzione tutta la Scrittura presa nella sua totali
tà»: si avverte in quest’espressione l’eco dell’insegnamento impartito da Origene
ai suoi allievi nella scuola di Cesarea, milieu in cui va ambientata l’origine del
trattato. Non sfugga il riferimento alla totalità della Scrittura come criterio erme
neutico delle singole parti, altro principio fondamentale dell’esegesi origeniana.
(18) Secondo la cultura semitica, assimilata da Origene attraverso il suo diu
turno contatto con la Scrittura e con l’interpretazione giudaica della Bibbia larga
mente diffusa nella Chiesa antica pre-nicena, il «nome» esprime l’essenza di una
realtà e, dunque, l’identità più profonda di una persona. «Ora, il nome è una sin
tetica espressione per indicare la qualità propria di chi viene chiamato per nome»:
Chat 24, 2, p. 115.
(19) I richiami al battesimo presenti in questo passaggio inducono a iden
tificare questa «perfezione» con l’accoglienza, tout court, dell’azione salvifica del
Logos divino. Nel prosieguo del trattato compare l’accezione di «perfezione»
come raggiungimento dell’eccellenza nella vita cristiana ed è significativamente
associata alla metafora del nutrimento, ossia del nutrirsi delle carni dell’agnello
anziché di quelle del capretto. Essa è raggiunta solo da alcuni battezzati.
(20) Non infrequentemente nel corso della sua spiegazione Origene pone
delle domande, eco del suo insegnamento orale. Si tratta del cosiddetto metodo
euristico e zetetico origeniano: «Il porre domande è un progredire spiritualmente,
LIBRO I, I I . 1 .2 - 1.3 51
del mondo sensibile è stata preceduta da quella degli spiriti intelligibili, l’una e
l’altra opera del Demiurgo. «Tale formula... implica un primo atto creativo che
pone in essere un numero definito di creature spirituali, “intelletti”, chiamati
anche “anime”. In conseguenza di una colpevole caduta di una larga parte di essi,
si opera un secondo intervento creativo che fornisce di un sostrato materiale,
capace di ricevere tutte le qualità, gli esseri razionali in vista della loro progres
siva educazione e purificazione, fino al recupero finale»: G. Sfameni Gasparro,
Preesistenza, in DO, p. 361.
L IB R O I , I I . Ι·3 53
(23) Il versetto tratto dal libro dei Proverbi è uno dei più citati dagli a
autori cristiani. La Sapienza viene identificata nella letteratura cristiana antica
con il Logos. In quanto Sapienza, presiede alla creazione. La Sapienza è la prima
delle èmvom o attributi del Logos, secondo Origene. Pertanto, il Logos può essere
considerato tanto come primo quanto come principio, o rispetto alla creazione o
riguardo al suo rapporto intratrinitario con Ù Padre: cf. Ciò 1, 19, 111, pp. 118-
119.
54 Τ Ο Μ Ο Σ I ( a ' ) , Ι Ι.1 .3 - 1·4
έ]ν τώ εύαγγελίω οί)τω[ς ή'ρ]ξατο.Έν άρχη [ήν ό] λόγος, καί ό λόγος ήν πρός [τον]
θ(εό)ν, και θ(εό)ς ήν ό λόγος· ουτος ψ [έν] άρχη πρός τον θ(εό)ν 37. Έ πί γάρ τή[ς
σο]φίας τήν άρχήν λαμβάνε[ι κα]ί τ[δν λ]όγον <λέγει> ούκ άρχή[ν εΐν]αι [άλλ’]
έν άρχή. Ό τ ε γάρ πα[ρά τώ π(ατ)ρί ό υ(ίο)ς] έν τη ιδία δόξη 38 [έστίν, ού πρ]ώτος
[εΐ]ναι [λέγεται· τούτο γ]άρ μόνου τ[οϋ π(ατ)ρ(ό)ς έστιν· μ]όνος γάρ ό θ(εό)ς
ά[γέννητος, ό δέ υ(ίό)ς οί!]κ έστιν πρώ[τος ...]τον...ε ...ν... [πρ]ώτο... δτι κ[α]ί
...παν...νεν...ομε ... πρώτον ...ων...ρ τό πρ[ώτός] έστ[ιν ...]ι και σο[φ]ώς τά δ[λα
οΐ]κον[ο]μ[ε]ϊ, άρχή [έσ]τιν· [διό κ]αί εις κό[σ]μον αύτοϋ γινομέν[ου Ί]ωάννης ού
λέγε[ι]· πρώτος [ήν ό λ]όγος, άλλα έν άρχή ή[ν ό] λόγος 39. Ταύτην τήν διαίρεσιν
του πρώτου και τής αρχής και Ιακώβ ό Ί(σρα)ήλ γενόμενος εύλογών τόν 'Ρουβήν
ελεγεν οίίτως· 'Ρουβήν πρωτότοκός μου καί ισχύς μου καί άρχή τέκνων μου 4°·
οίδεν γάρ |12| καί πρωτότοκον αύτον δντα καί άρχήν τέκνων αύτοϋ υπάρχοντα.
Καί δειχθήσεται πολλά τοιαϋτα [κα]τά τήν γραφήν, δοκοϋ[ντα] μέν τοΐς
παρέργως ά[ναγι]νώσκουσιν ταυτότη[τα έχει]ν, τοΐς δέ μετ’ έπιμελεία[ς κ]αί
έπιστάσεως έντυγχά[νο]υσιν άποδεικνύμενα δι[ηρ]ήσθαι. Έάν γάρ λέγη [· Έ ]πί
το αύτο ανους [καί] άφ[ρω]ν άπολοϋνται 41 εν ... έπί το [α]ύ[τό] αλλο[... δ]ήλοι·
καί ε[... ά]πολοϋ[ν]ται ετ.,.ειν. ... σημα[ιν... άπόστ]ολος [δ']τα[ν ...]μένους δ...οι
καί ...εγε...τούτων ο...
11.1.4· [Έ]πεί ουν ...μ...σιν το...το...γοις το ...ivo. [Tò μέν ] πρόβα[τ]ον ύπ[ο
άγί]ων. ή [Να]ζιραίων 42 θύ[εται,] ό δέ σ(ωτ)ήρ υπό άνομων [καί ά]μαρτωλών
θύεται· κα[ί δτι] του πάσχα τό πρόβατον ύπό άγίων θύεται, ε’ίρηκέν τε ό άπόστολος·
Καί γάρ τό πάσχα ήμών έτύθη Χ(ριστό)ς 43, θύεται μέν ό Χ(ριστό)ς κατά τον τύπον
τοΟ πάσχα, ύπό των άγίων θύεται, |13| καί τύπος μέν Χ(ριστο)ΰ έστιν τό πάσχα, ού
μέντοι γε τοϋ πάθους αύτοϋ.
(24) «Forse»: è il τάχα che compare molto frequentemente nelle opere ori
geniane a segnalare l’umiltà dell’esegeta e del teologo che, mentre avanza ipotesi e
piste di ricerca, riconosce anche la possibilità di altre spiegazioni. Esso ricorre più
volte anche nel trattato. Purtroppo, com’è noto, quando nei secoli IV, V e VI divam
parono le controversie contro Origene, i suoi avversari dimenticarono questa mo
derazione e gli attribuirono dottrine che egli aveva formulato in modo congetturale.
Ciò fu una delle cause dell’infelice condanna a cui il grande maestro alessandrino fu
sottoposto durante il V Concilio Ecumenico, a Costantinopoli nel 553.
(25) Il lungo excursus, che tra esempi e citazioni bibliche rischia di lasciare
smarrito il lettore, espone a questo punto la tesi centrale, vitale nella teologia tri
nitaria di Origene: per conservare l’unità di Dio, egli distingue il principio senza
principio, il Padre, da colui che, essendo Dio, è «secondo» in rapporto al Padre,
cioè il Logos divino. Pur non avendo raggiunto la maturità del secolo successivo
e della definizione nicena, la teologia trinitaria alessandrina del III secolo aveva
già espresso con Origene un elevato livello speculativo, in piena fedeltà al dato
biblico, nonostante alcuni inevitabili limiti terminologico-concettuali di sapore
subordinazionista.
LIBRO I, I I . 1 . 3 - I .4 55
Ήμας γάρ δει θϋσαι τό ά[λη]θές πρόβατον, έάν ίερω[θώ]μεν ή ϊσον τοΐς ίερεϋσιν
[προσ]ενέγκωμεν, και ήμα[ς όπτ]ησαι καί ήμας φαγεϊν [τάς σ]άρκας αύτοϋ- τοΰτ[ο]
δέ [έπ]ί τοϋ πάθους τοϋ σ(ωτή)ρ(ο)ς εί ού γ[εγ]ένηται, ούκ άρα τύπος τοϋ [πάσ]χα
τό πάθος αύ[το]ϋ, άλλα [τύπος αύτο]ϋ τοϋ Χ(ριστο)ϋ [τό πά]σχα [γίνεται το]ϋ ύφ’
ήμών θυ[ομένου· εκ]αστος γάρ ήμ[ών πρώτον μέν λα]μβάνει τ[ό πρόβατον 44, έ'πει]
τα έπονομ[άζει, είτα θύε]ι, καί οΰτως [όπτήσας έσθίει] καί φαγών 45 [έ'ως πρωΐ ούδέν ά]π"
αύ[τοΰ καταλείπει καί τότε άζυμα έορτάζει47 ή]δη τ[ή]ν [Αϊ]γυπτ[ον έξελη]λυθώς 48.
[Καί] 6'[τ]ι [νοητόν έστι] τό πάσχα [καί] ού τ[οϋτο τό αίσθ]ητόν, α[ύτός]
λέγ[ει· Έάν μ]ή φάγη[τ]έ μου [τήν σάρ]κα και πί[η]τέ μο[υ τό] αίμα, ούκ έχετε
ζωή[ν έν] έαυτοΐς 49. Όφείλομ[εν αρ]α κατά αισθητόν τάς [σ]άρκας αύτοϋ τρώγειν
καί τό αίμα αύτοϋ πίνειν; Εί δέ τοϋτο νοητώς λέγει, αρα νοητόν καί ούκ αισθητόν έστι
τό πάσχα.
44 Ex. 12, 3. 45 Ex. 12, 8. 46 Ex. 12, 10. 47 Ex. 13, 6; 12, 15.18.
48 Ex. 12,22. 49 Io. 6,53.
cordia, la vittima del pudore, la vittima della giustizia, la vittima della santità»:
HLv 9, 1, p. 204. Sul tema del sacerdozio battesimale negli scritti di Origene cf.
Dal Covolo 1993, pp. 85-95.
(30) In questa sezione ritorna significativamente il verbo «sacrificare» e il
termine «sacrificio» (θύω, θυσία) una delle parole più frequenti nel Pas. Ciò non
sorprende. «Approssimativamente, Origene parla del sacrificio o di argomenti
connessi ad esso in circa 550 diversi passi di tutti i suoi scritti di cui ci siano
rimaste parti significative, fatta eccezione per il De prindpiis»: Daly 1972, p. 126.
(31) In questo passaggio si insiste sull’opposizione, tipicamente origeniana,
tra «sensibile» (αισθητόν) e «intelligibile» (νοητόν). Si tratta di una terminologia
squisitamente platonica adottata da Origene per illustrare la sua visione del mondo
«a due piani», il mondo sensibile e quello sovrasensibile, il temporaneo e l’eterno,
il materiale e lo spirituale. La stessa teologia sacrificale si inquadra perfettamente
nella sua visione che tende ad interpretare spiritualmente ogni realtà cultuale e a
ricondurla all’impegno ascetico e mistico del credente. «Quando Origene parla del
sacrificio cristiano, lo fa per lo più apparentemente nella luce di un rito liturgico
ecclesiale. In realtà insiste sulla liturgia interiore del cuore e dello spirito del cristia
no per mezzo della quale un uomo offre se stesso, tutte le sue preghiere, opere e
pensieri attraverso Gesù Cristo a Dio Padre»: Daly 1972, p. 129.
(32) «In Origene la Parola svolge una funzione soteriologica e “sacramen
tale”, che va al di là di qualsiasi rito liturgico; per questo egli tende sistemati
camente a spostare dal punto di vista soteriologico il mangiare l’eucaristia sul
mangiare spiritualmente la Parola nel mondo intelligibile dello Spirito. Il “man
giare il corpo” e il “bere il sangue di Cristo” tendono cioè a diventare sinonimi
di “accogliere le parole di Cristo”»: P.A. Gramaglie, Eucaristia, in DO, p. 153.
(33) «La sua affermazione che mangiare la Pasqua “non riguarda i sensi”
si chiarisce ulteriormente alla luce della sua dottrina sui sensi spirituali. “Spesso
infatti i nomi delle membra sensibili sono riferiti all’anima, sì che si dice che essa
vede con gli occhi del cuore, cioè intuisce con l’intelligenza qualcosa di intelligibile.
Così diciamo che essa ascolta con le orecchie, allorché intende un concetto di più
profonda intelligenza. E ancora diciamo che si serve dei denti, quando mastica e
mangia il pane della vita, che scende dal Cielo»: Prin 1,1,9, pp. 139-140. Lo stesso
concetto è enunciato anche in HEx 10, 3, p. 188: «Abbiamo detto più volte che
nelle Scritture le membra dell’anima sono designate con le stesse parole e le stesse
funzioni di cui usufruiscono o con cui sono chiamate le membra del corpo».
58 Τ Ο Μ Ο Σ I ( α 1) , Ι Ι . Ι . 4 - Π .2
Π.2. ’Ήδη δέ καί έπ[ί τήν] έξης λέξ[ιν] έ'λθωμεν- [Λαλ]ήσον πρός πάσαν
συν[αγωγ]ήν υίών Ί(σρα)ήλ λέγων· Τη δ[ε]κάτη τοΰ μηνός τούτου λ[αβέ]τωσαν
έκαστος [πρόβατον κα]τ’<οϊκους πατριών, έκαστος πρόβατον κατ’> οίκ[ίαν] 59.
50 Num. 9, 13. 51 Ex. 12, 23. 52 Heb. 11, 28. 53 Io. 3, 14.
54 Num. 21, 8-9; Deut. 21, 22-23. 55 Deut. 21, 22. 56 Gal. 6, 14.
57 Col. 2, 15. 58 Gal. 6, 14. 59 Ex. 12,3.
(34) Per la prima volta nel trattato Origene afferma esplicitamente l'ide
cazione di Cristo con l’agnello pasquale. Secondo la dottrina origeniana, esistono
molteplici manifestazioni ο έπίνοιαι del Verbo divino, adottate nella sua sapienza
lungo il corso della rivelazione. «Sta scritto nel Profeta, nel nome del Signore che
dice: Mediante i profeti mi sono fatto simile. Questa parola significa che, essendo
il nostro Signore Gesù Cristo unico per la sua sostanza e null’altro che il Figlio di
Dio, tuttavia si manifesta vario e diverso nelle figure e negli aspetti delle Scritture.
Per esempio, come ricordo di aver spiegato in precedenza, di lui era tipo Isacco,
quando veniva offerto in olocausto, e che peraltro anche l’ariete era figura di lui.
Dico di più: anche nell’angelo che parlò ad Abramo e gli dice: Non stendere la tua
mano sul fanciullo, è lui che appare, poiché una seconda volta gli dice: Poiché hai
compiuto questa parola, benedicendo ti benedirò. Lui è detto la pecora o l’agnello
che viene immolato nella Pasqua, ed è anche designato come il pastore delle pe
core; nondimeno anche il sommo sacerdote, che offre il sacrificio, raffigura lui.
LIBRO I, I I . I .4 - I I .2 59
Π.2.3. Καί ώς έκεΐ ούχ αμα τω λαβεΐν τη δεκάτη τό πρόβατον θύεται άλλα τη
τεσσαρεσκαιδεκάτη 62, πέντε ήμερων διαγενομένων, καί ένθάδε |ΐ8 | [ό τό άληθινόν
πρόβατον λαβών, τοϋτ’ έστιν Χ(ριστό)ν, ούκ εύθέως θύει καί τρώγει, άλλ’ ήμερων πέντε
διαγενομένων μετά τήν λήψιν αύτοϋ. Ό γάρ άκούων περ’ι Χ(ριστο)ΰ καί πιστεύων,
[... ] Cristo è il vero agnello perché egli, che è secondo dopo il Padre,
è preso durante la seconda monade, cioè, intendo il numero dieci (39).
in onore: come pure si spiega che il frutto dello Spirito germoglia in dieci virtù
e il servo fedele offre al Signore dieci mine dai profitti dei suoi affari, e riceve
il potere sopra dieci città»: HGn 16, 6, p. 244. I numeri infatti, secondo i tipici
procedimenti dell’allegorizzazione alessandrina, hanno un valore simbolico: «Si
potrebbe affermare che i singoli numeri racchiudano un loro valore considerato
secondo il simbolismo numerico»: FrPs, PG 12, 1073c.
(40) Il verbo usato da Origene in questo passo è τρώγω, meno comune di
Ισθίω ed έ'φαγον. Esso evoca un contesto eucaristico, infatti è adoperato anche
nel quarto Vangelo, nell’ambito del discorso sul «pane di vita» nella sinagoga di
Cafarnao (cf. Gv 6, 54).
(41) Mentre Ippolito aveva spiegato l’intervallo del tempo tra la scelta e
l’immolazione dell’agnello come una prefigurazione del fatto che Gesù, dopo
il suo arresto, aveva trascorso del tempo in prigione presso il sommo sacerdote,
Origene, che rifiuta del tutto la tipologia Pascha-Passio, si attiene, come spesso ac
cade, a Filone Alessandrino che aveva interpretato il passo biblico come simboli
smo del progresso spirituale dell’anima, fino al giorno della luna piena, la sera del
quattordicesimo giorno del mese (cf. De Congressu, 106, ed. M. Alexandre, Paris
1967, pp. 177-179). I «cinque giorni», tempo di ascolto e di maturazione della
fede in attesa di celebrare il sacrificio, forse, sono qui associati al catecumenato,
quando il candidato al battesimo veniva istruito nei misteri della fede prima di
essere ammesso ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Sull’organizzazione del
catecumenato nelle Chiese origeniane cf. Brakmann 2003, pp. 511-512.
62 Τ Ο Μ Ο Σ I ( α 1), ΙΙ.2 .3
ουτος έ'λαβεν τόν Χ(ριστό)ν, ού πρότερον δέ θύει αύτόν καί τρώγει μή ούχ'ι πρότερον
διαγενομένων ήμερων πέντε· πέντε γάρ ούσών αισθήσεων των τοϋ άν(θρώπ)ου,
εί μή έν έκαστη αύτών γένηται Χ(ριστό)ς, ούκ αν δύνηται τυθήναι και όπτηθείς
βρωθήναι. Ό τα ν γάρ έκ τοϋ πτύσματος αύτοϋ πηλόν ποιήση καί έπιχρίσ]η ή[μών
τούς οφθαλμούς] 63 καί [ποιήση τηλαυγώς βλέπ]ειν, [καί όταν άνοιξη ήμών τά ωτα
τα τής καρδίας 64 ΐνα ωτ]α εχον[τες άκούειν δυνη]θώμεν 65, <καί όταν τής εύωδίας
αύτοϋ όσφρανθώμεν> 66 [έπιγνόντες μϋρον έ]κκεν[ωθέν είναι τό όνομα] αύτοϋ 6?,
[καί έάν] γε[υσά]μενοι [ϊ]δ[ωμεν ότι] χρη[στός] ό κ(ύριο)ς 68, κ[α]ί δ[ι]ά τ[ής άφ]-
ής αύτ[όν] ψηλαφήσωμεν [ώς κ]α'ι ό Ίω[άν]νης· Ό ην γάρ φ[ησιν] άπ’ άρχής, δ
άκηκόαμεν κ[α'ι έ]ωράκαμεν τοΐς όφθαλμοΐς ήμών κ(α'ι) αϊ χεΐρες ήμών έψηλάφησαν
περ’ι τοϋ λόγου της ζωής 69, τότε και θϋσαι τό πρόβατον δυνησόμεθα καί φαγεϊν |19 |
[καί ουτω τήν Αίγυπτον έξελθεΐν] ...
... [δπερ πρός τώ τύπω των μυστικών καί νοητήν θεωρίαν δηλοΐ, περ’ι ής ύστερον
έροϋμεν· τό γάρ σκιάν είναι τόν νόμον καί τύπον, δηλοΐ φάσκον τό λόγιον· Ό ρα
ποιήσεις πάντα κατά τόν τύπον τής σκηνής τόν δειχθέντα σοι έν τω δρει.]70
[... έξελη]λύθα[μεν. Ακολούθως δέ] καί ετε[ρά τινα δεικνύντα] έστιν [έν τώ
πρώτω μηνί έν] τη τεσ[σαρεσκαιδεκάτη τοϋ] μηνό[ς άνά μέσον των έσπε]ρινώ[ν] 73
ν[ενομοθετησθαι θύ]εσθαι- τό πάσχ[α, πλήρους και] τελείου τοΰ φ[ωτός της σε]λήνης
γενομ[ένου. Έθύετο γάρ] τό πρόβατον τη [τεσσαρεσκαι]δεκάτη του μηνός [άνά μέ]σον
των εσπερινών, [οτε, άρ]χομένης πεντεκαιδ[εκά]της, πληρέστατος ό τ[ης σε]λήνης
κύκλος γίνετ[αι |211 ώς τοΐς περί ταΰτα δοκεΐ. Καί ήμεϊς δέ εί μή τέλειον τό φως ήμΐν
τό αληθινόν 74 άνατείλη καί ίδωμεν ώς πεφώτισται ήμών τελείως τό ηγεμονικόν, ού
δυνησόμεθα τό αληθινόν πρόβατον θΰσαι καί φαγεΐν.]
Π.2.4· [... Καί γά]ρ τους λα[οΰς λέγων πρός τους] μαθητ[ά]ς [άνακ]λίν[ειν έπί
χόρτ]ω τοϋτο [παρ]αινεΐ [■ Ποιήσα]τε γάρ [ά]ναπεσεΐν [συμπόσια σ]υμπόσια 75, [κ]αί
ούτως π[α]ρατίθε[τ]αι αύτοΐς. [Τ]ούς γάρ λαούς ούχ ομοίως των άρτον τρωγόντων αύτοΰ
<άλλά> τούς όμοιους μετά των όμοιων συναγαγών παρατίθησιν αύτοΐς. Καί τό έξης δε
έπιφερόμενον ρητόν δμοιον καί ταύτόν έστιν τη δυνάμει τοΐς έρμηνευομενοις. |22|
11.3- [Έάν δέ όλίγιστοι ώσιν έν τη οικία ώστε μή είναι ικανούς εις πρόβατον,
συλλήψεται μεθ’ έαυτοΰ τόν γείτονα τον πλησίον αύτοΰ. Κατά άριθμόν ψυχών έκαστος
το άρκοΰν αύτω συναριθμήσεται εις πρόβατον. Πρόβατον τέλειον άρσεν ένιαύσιον
έ'σται ύμΐν. Άπο τών άρνών καί των έρίφων λήψεσθε.] 76...
73 Lev. 23,5. 74 Ιο. 1,9. 75 Me. 6,39; Le. 9,13; Ιο. 6,10. 76 Ex. 12,
4-5.
(46) Questa espressione riporta al cuore dell’interpretazione globale del libro
dell’Esodo nella letteratura origeniana. «L’Esodo è “uscire da” - dall’Egitto-mon-
do, “rifugio della vita disordinata” secondo Filone - e Origene dice: “dobbiamo
abbandonare (il mondo), non in senso spaziale, ma con l’anima”; “uscire per” -
l’annuncio pasquale ha inizio con la vittoria su Faraone, contempla la redenzione
in cui il Cristo “fu glorificato umilmente”, attende “il secondo avvento (in cui il
Cristo) sarà gloriosamente glorificato”»: M.I. Danieli, Esodo, in DO, p. 143.
(47) H o tradotto con «parte superiore della nostra anima» il termine greco
ηγεμονικόν. Nell’ambito dell’antropologia stoica indica la parte direttiva dell’ani
ma che presiede alle funzioni psicologiche più importanti ed è organo della vita
morale. Essa va identificata con la ragione secondo Clemente di Alessandria: cf.
Stromati 2, 11, 51, p. 274. Questo concetto è ripreso anche altrove da Origene:
cf. Crouzel 1955, pp. 375-376.
LIBRO I, I I .2 .3 - I I .3 .I 65
Π.4. Καί εσται ύμΐν διατετηρημένον έ'ως τής τεσσαρεσκαιδεκάτης τοϋ μηνός
τούτου, καί σφάξουσιν αύτο παν τό πλήθος συναγωγής υιών Ί(σρα)ήλ προς έσπέραν,
καί λήψον|25 |[ται άπό τοϋ αίματος καί Θήσουσιν έπί τών δύο σταθμών καί έπί τήν
φλιάν έν τοΐς οί'κοις, έν οίς έάν φάγωσιν αύτά έν αύτοΐς] 85.
77 Ιο. 1, 29. 78 Num. 28, 22; Lev. 4, 28; Heb. 10, 18; Num. 7,
28.34.40. 79 Mt. 14, 20. 80 Mt. 6, 41; Le. 9, 16; Mt. 15, 36; Me. 8, 6.
81 Io. 6, 9. 82 Io. 9, 4. 83 Apoc. 7, 16-17; Is. 49, 10. 84 Is. 5, 27.
85 Ex. 12,6-7.
ΙΙ.4-2. [... δ θύομεν, καί χρίομεν τούς οίκ]ους ήμ[ών αϊματι, λέγω δή τό σώμ]α
ημών, [ηπερ] χρϊσ[ις ή πίστι]ς έστιν [ή εΐ]ς αύτόν, [5ι’ ης πι]στεύο[μ]ευ τήν τ[οϋ
όλε]θρ[ε]υτοϋ 88 δύναμιν κα[ταρ]γου[μ]ένην.
ΙΙ.5- Μετά δε τό χρισθηναι ήμας, τοΟτ’ έ'στιν τό πιστεϋσαι εις Χ(ριστό)ν, τότε
καί επί τήν βρώσιν ερχεσθαι κελευόμεθα τοϋ Χ(ριστο)0 ώς δηλοϊ τα έξης ρητά- Καί
φάγονται τα κρέα τη νυκτι ταύτη όπτά ταιρί και άζυμα έπί πικρίδων εδονται. |26|
sono appena iniziati, prima del compimento del giorno spirituale, che è la nostra
vita. La “cena” è invece il compimento finale, che viene apprestata a coloro che
sono già molto avanzati. In altro senso, qualcuno potrebbe dire che il “pranzo”
è il senso profondo degli scritti dell’Antico Testamento, mentre la “cena” sono
i misteri nascosti nel Nuovo Testamento»: Ciò 32, 5-7, p. 736. Nel suo trattato
Origene parla evidentemente di un pasto consumato dopo il tramonto, dunque
di una cena. Secondo la sua interpretazione, la cena pasquale del cristiano è ali
mentarsi delle Scritture assaporando la pienezza del loro significato, ossia l’unità
della Rivelazione, incentrata in Cristo, il Logos divino incarnato che si offre come
nutrimento.
(56) Mentre la letteratura cristiana di ispirazione quartodecimana identi
ficava la sera in cui avveniva il sacrificio degli agnelli con l’ora della passione,
Origene, che volutamente evita ogni elemento che possa giustificare la tipologia
Pasqua-Passione, identifica la sera con l’evento più rilevante della storia della
salvezza, giunto a compimento di una lunga storia di preparazione: l’incarna
zione. L’agnello dell’antica legislazione, pur nella provvisorietà e parzialità della
tipologia, era già una manifestazione del Logos destinata a realizzarsi in modo
pieno e definitivo con l’incarnazione. Questo principio esegetico-teologico, caro
a Origene e agli scrittori dell’antica letteratura cristiana esponenti della Logo-
schristologie, permette di cogliere l’unità e la gradualità della Rivelazione divina
e di valorizzare il tempo della Chiesa come estensione dell’incarnazione. La pre
senza del Logos si è realizzata nella storia d ’Israele. Egli ha condotto il popolo
aiutandolo con i suoi miracoli; ha parlato nei profeti; si è fatto vedere nelle teo
fanie raccontate dai libri biblici che costituiscono, essi stessi, una sua venuta: cf.
Crouzel 1986, pp. 85; 251-252. «In seguito il Logos è venuto nella sua esistenza
umana, e continua a venire nella vita della Chiesa e a rendersi presente nelle
anime»: B. Studer, Incarnazione, in D O , p. 226. Inoltre, questa interpretazione
dell’“ultima ora” permette di agganciare saldamente l’escatologia alla cristologia,
secondo una corretta ortodossia cattolica, di cui Origene si rivela qui autorevole
e antico testimone. «I suoi discepoli si avvicinarono a lui quando si fece sera. Vale
a dire: alla fine del mondo, per cui si può ben dire a proposito: è l’ultima ora»:
CMt 11, 1, p. 173.
(57) Già in altri testi della letteratura cristiana antica anteriori ad Orige
ne, «la comprensione dello spargimento del sangue come unzione, la relativa
interpretazione tipologica del sangue di Cristo, l’allegoria delle case unte come
i credenti stessi, i loro corpi e le loro anime, l’associazione dell’unzione alla fede
erano delle interpretazioni su Es 12,7 già stabilite»: Buchinger 2001, voi. 2, p. 73.
Si può citare, a mo’ di esempio, un bel testo del II secolo, inserito nel contesto
LIBRO I, I I .4 .I - II.5 69
Dopo essere stati unti, cioè dopo aver creduto in Cristo (59),
allora ci viene dato l’ordine di accedere al pane di Cristo, come mo
strano chiaramente le parole seguenti: Mangiano le carni arrostite in
questa notte e si cibano degli azzimi posti su erbe amare. Non mange-
[ούκ έ'δεσθε απ’ αύτών ώμον ούδέ ήψημένον έν ΰδατι, άλλ’ ή όπτά πυρί, κεφαλήν συν
τοΐς ποσί κα'ι τοΐς ένδοσθίοις] 89.
89 Ex. 12,8-9. 902 Cor. 3,6. 91 Deut. 4,24; Heb. 12,29. 92Rom.
12,11.
κα... Τοιού[τω ουν ΰδατι κελευ]όμεθ[α μή συνέψειν τάς τοϋ] σ(ωτη)ρ(ο)ς σάρ[κας,
λέγω δή τάς λέξεις] τών γρ[αφών, μηδέ έπιμίσγειν] το[ΐς] ρ[ητοϊς έτέραν ΰ]λην έξυδαροϋν
δυναμένην διά της συνεψήσεως αυτά, άλλα μόνω τω πυρί, τοϋτ5έ'στιν τω θείω ττν(εύματ)ι,
εψοντας μεταλαμβάνειν αύτών, μήτε ώμάς αύτάς <τρώγοντας> μήτε ίίδατι ήψημενας.
Ιουδαίοι μέν γάρ ώμων μεταλαμβάνουσιν αύτών, μόναις ταΐς λέξεσιν έπερειδόμενοι τών
|29| [γραφών· εΐ δέ διά τοϋ πν(εύματο)ς όρώσι τήν άληθή περιτομήν, εί τύχοι, καί τό
αληθινόν σάββατον, και εργάζονται έως ήμέρα έστίν πρ'ιν έλθεΐν τήν νύκτα 96, δτε ούκέτι
ούδείς δύναται έργάζεσθαι, ή'δη διά τοϋ πν(εύματο)ς ήψημένον έσθίουσι τό ρητόν.]
ΙΙ.5 .2 ....
(70) «La carne dell’agnello non va mangiata cruda, come fanno gli schiavi della
lettera, i quali si cibano di animali selvatici, a guisa di bestie irragionevoli e inselvati
chite, in confronto con quelli che son dotati veramente di Logos, in quanto vogliono
coglierne gli aspetti spirituali»: Ciò 10, 18, 103, p. 404. Limitarsi all’interpretazio
ne letterale significa precludersi la conoscenza della divinità del Verbo incarnato. E
questo che Origene contesta ai letteralisti giudei o giudeo-cristiani perché incapaci
di conoscere realmente l’identità di Cristo. «Negli ultimi giorni il Verbo di Dio, ri
vestito di carne tramite Maria, uscì in questo mondo, e altro era quello che in lui si
vedeva, altro quello che si comprendeva - giacché la vista della carne in lui si mani
festava a tutti, ma a pochi eletti era concesso il riconoscimento della divinità; così an
che quando il Verbo di Dio è proferito agli uomini mediante i profeti o il legislatore,
non è proferito senza vesti convenienti. E come là è ricoperto del velo della carne,
lo è qui dal velo della lettera, di modo che si scorge la lettera come la carne, ma si
percepisce nascosto al di dentro il senso spirituale come la divinità»: HLv 1,1, p. 33.
La dottrina esegetica di Origene è in realtà una dottrina cristologica che, passando
attraverso il crogiuolo delle dispute dogmatiche del IV e del V secolo, troverà la sua
espressione completa e più matura nella definizione calcedonense.
(71) Della discussione sulla «vera circoncisione» si trova eco già in G iu
stino, Dialogo con Trifone 18, 2. Origene spiega il significato spirituale della
circoncisione in una lunga digressione contenuta mentre commenta Rm 2, 26-
27, a conclusione della quale ricorda che l’unica circoncisione necessaria è stata
l’effusione del sangue di Cristo: «Come erano necessari molti battesimi, prima
del battesimo di Cristo e molte purificazioni prima che avvenisse la purificazione
per mezzo dello Spirito Santo e molte vittime prima che una sola vittima, Cristo,
agnello immacolato, si offrisse come vittima al Padre, così anche se vi è stato bi
sogno di molte circoncisioni fino a quando si trasmettesse a tutti una sola circon
cisione, quella in Cristo e l’effusione del sangue di molte persone ha preceduto
fino a quando si compisse la redenzione di tutti per il sangue di uno solo»: CRm
2, 13, p. 107. In questo testo vivace è il tono polemico anti-giudaico.
(72) Come il termine «vera circoncisione», così anche il «vero sabato» evoca
la disputa giudeo-cristiana dei primi secoli, in cui Origene fu coinvolto, e prima di
lui Giustino: cf. Randazzo 2007. La sua interpretazione del «vero sabato» assume
un orientamento escatologico: «Il sabato vero, nel quale Dio riposerà da tutte le
sue opere, sarà il secolo futuro, quando fuggiranno dolore, tristezza e gemito e Dio
sarà tutto e in tutti. A noi pure Dio conceda di celebrare con lui la festa di questo
sabato e di fare festa con i suoi angeli santi»: HNm 33, 4, p. 317. Qui diventa
più vibrante la polemica antiletteralista e antigiudaica («se infatti, per mezzo dello
Spirito, conoscessero in che cosa consiste la vera circoncisione e il vero significato
del sabato») che attraversa l’intero trattato origeniano e, generalmente, tutta la sua
predicazione. Nelle espressioni origeniane si avverte l’eco delle recriminazioni dei
LIBRO I, I I .5 .I - 5.3 75
Alcuni prendono parte della sua testa, altri delle mani, altri del
petto, gli uni delle viscere, gli altri delle cosce, alcuni anche dei piedi,
dove non c’è molta carne, perché ognuno partecipa dell’agnello secon
do la propria capacità. E così noi siamo in grado di prendere una parte
adeguata del vero agnello, se partecipiamo del Logos divino (74).
giudei tout court e dei giudeo-cristiani più radicali che accusavano i cristiani «gen
tili» di aver abbandonato l’osservanza della Torah e la pratica della circoncisione.
I cristiani di origine ebraica erano fortemente attratti dall’insegnamento rabbinico
e dall’esegesi tendenzialmente letteralista praticata a Cesarea, luogo in cui il trat
tato fu composto, che, all’epoca di Origene, era un centro importante della cultu
ra ebraica, sede di un’accademia rabbinica. Il trattato è coevo all’intensa attività
omiletica di Origene e a quel milieu antigiudaizzante descritto nell’introduzione.
«Com’è prassi abituale nelle omelie, Origene si rivolge in tono polemico ai lette-
ralisti: sono i giudei e altri di cui si dice in modo generico che intendono la Scrit
tura semplicemente e carnalmente. Si tratta ovviamente di cristiani di tendenza
giudaizzante, per certo ancora ben rappresentati nelle comunità ecclesiali ubicate
in Palestina; più in particolare sono presi di mira abituali ascoltatori, e anche conte-
statori, delle prediche origeniane, che non ne approvavano la sistematica tendenza
a trasferire il significato letterale dei testi dell’AT a livello spirituale mediante la
tecnica dell’allegoria, in modo da poter applicare il testo veterotestamentario alle
realtà di Cristo e della Chiesa»: Simonetti 2003, p. 139.
(73) Si potrebbe ipotizzare il contenuto del commento origeniano alla pre
scrizione sui pani azzimi e sulle erbe amare, andato totalmente perduto, con
frontando la sezione parallela del Ciò ove essi sono identificati con il pentimento
e l’accettazione di prove difficili. «La carne dell’agnello poi e gli azzimi noi li
mangiamo con erbe amare, o perché a causa delle conversioni dei nostri peccati,
noi ci rattristiamo di quella tristezza secondo Dio la quale genera in noi quella
conversione che porta a salvezza e di cui noi ci si pente; oppure perché noi cer
chiamo attraverso le prove e ci nutriamo dei teoremi della verità che sono stati
trovati»: Ciò 10,17,102, p. 403. È questo il tentativo di Witte 1993, pp. 178-179:
«i cristiani, che mangiano la Pasqua arrostita al fuoco, devono mangiarla con
pani azzimi ed erbe amare, cioè, se trattano gli scritti biblici sotto l’ispirazione
dello Spirito Santo, dovrebbero trovare la sensazione del pentimento per il loro
comportamento, che li ha portati nella situazione in cui essi si trovano attualmen
te (essenze spirituali decadute), in altre parole sulla loro condotta di vita attuale,
oppure dovrebbero per lo meno riflettere sulla situazione in cui la creazione è
venuta a trovarsi a causa del loro comportamento».
(74) L’argomentazione è entrata nel vivo: mangiare le carni dell’agnello si
gnifica nutrirsi della Scrittura. Questa la tesi centrale dell’esegesi origeniana di Es
76 τομ ος ι ( α ') , ι ι . 5-3
97 Mt. 11, 15; 13, 9.43. 98 Ps. 33, 1; Heb. 6, 4-5. 99 Ps. 90, 12; Ier.
13, 16. 100 Io. 9, 4. 101 Heb. 12, 12. 102 Eccli. 4, 31. 103 Ps. 2,
12. 104 Io. 13, 25. 105 Io. 13, 21-26. 106 1 Cor. 2, 10. 107 Apoc.
14, 4. 108 Rom. 12, 11. 109 Phil. 3, 14. 110 Iac. 2, 17. 111 Act. 2,
44. 112 1 Cor. 12, 21. 113 1 Cor. 12, 20. 114 1 Cor. 6, 15.
è che ognuno vi prende parte secondo la sua propria capacità. Q uanto questa
idea gli stia a cuore emerge anche dal fatto che egli, pur non abbandonando
l’intelaiatura del testo, si concede una grande libertà nello sviluppo dell’interpre
tazione. Oltre alla testa, ai piedi e alle interiora, menzionate esplicitamente nel
testo biblico, egli aggiunge mani, petto e articolazioni. Una parte notevole della
spiegazione non consiste dunque né in un diretto confronto con il testo interpre
tato, né è tenuta insieme da un’interpretazione uniforme e, tuttavia, l’audacia di
questa metafora, a lungo sviluppata, comunica tutta la «passione» di Origene, il
suo afflato mistico e quell’entusiasmo religioso che trasmetteva ai suoi discepoli.
(78) Come accennato, Origene applica la metafora del corpo non alla S
tura come oggetto, ma ai cristiani come soggetto dell’atto metaforico del con
sumare il cibo. Pertanto l’unità qui non è identificata con l’armonia che unifica
i libri della Scrittura, ma con l’impegno morale di coloro che consumano le di
verse membra affinché sia conservata la comunione ecclesiale. Di qui il richiamo
all’esortazione paolina sull’unità del corpo di Cristo. Si tratta di una tematica
molto sentita da un autore spirituale come Origene dolorosamente scosso dai
fenomeni di conflitto intraecclesiale che turbavano la Chiesa del suo tempo. Il III
secolo è, infatti, l’epoca in cui lo gnosticismo eterodosso attraeva non pochi cre
denti e posizioni rigoriste in campo penitenziale tendevano a creare una Chiesa
elitaria e di perfetti. Lo stesso Origene aveva abbandonato Alessandria in seguito
ad una rottura sancita dalle misure prese contro di lui dal suo vescovo Demetrio.
78 τ ο μ ο ς ι ( a ') , π .6 - 6 . ζ
Π.6. [Ούκ άπολείψετε άπ’ αύτοϋ έ'ως πρωί, κα'ι όστοϋν ού συντρίψετε άπ’
αύτοϋ· τά δε καταλειπόμενα άπ’ αύτοϋ εως πρωΐ έν πυρί κατακαύσετε]ΙΙ5.
II.6.2. μεταλαμβάνομεν των σαρκών τοϋ Χ(ριστο)0, τοϋτ’ έ'στι [των θείων γρα-
φ]ών ...π...τ...π...ν..σα...τοΰ προβάτου τοϋ άλ[ηθινοϋ] έρευνήσωμεν, όμο[λογοϋν]τος
τοϋ άποστόλου το [πρό]βατον τοϋ ήμετέρου [πάσχα] Χ(ριστό)ν είναι λέγοντας
[· Και γάρ] τό πάσχα ήμών έτύ[θη Χ(ριστό)ς 116, οδ] σάρκες καί όστέα καί α[ίμα,]
ώς προαπεδείχθη, αί [θείαι] είσιν γραφαί 1Ι7, ας έ<ά>ν τ[ρώγω]μεν, Χ(ριστό)ν
εχομεν, των [μέν λέ]ξεων των οστών αύ[τοϋ γι]νομένων, των δέ σ[αρκών] των έκ της
λέξεως νο[ημά]των, οίστισιν ώς εΐκός [έπι]βαίνοντες έν αίνίγμα[τι] καί δι’ έσόπτρου
βλέπο[μεν] τά μετά ταϋτα 11β, αίματ[ος δε] της πίστεως τοϋ εύαγ[γελ!]ου της καινής
διαθήκης 119, ώ[ς ό ά]πόστολος μαρτυρεί λέγ[ων] οΰτως· Καί τό αίμα της δ[ιαθή]κης
κοινόν ήγησάμεν[ος] 12°, ωπερ αϊματι, τη πίστε[ι, χρι]|34|σθ[έ]ντες τον όλεθρεύοντα
[διαφ]ευξόμεθα 121. Καν ιδιώτης ...ρ...ραχυ...υ...ν
...ι...β...ν...
115 Ex. 12, 10. 116 1 Cor. 5, 7. 117 Io. 6, 53-56. 118 1 Cor. 13,
12. 1191 Cor. 11,25; Le. 22,20. 120 Heb. 10,29. 121 Ex. 12,23.
(79) Origene esprime qui uno dei suoi concetti più importanti riguardanti
il rapporto tra la Legge antica e il Nuovo Testamento. Esso non si esaurisce
nella relazione tipologica e nel compimento della prima nel secondo. Anche 0
Nuovo Testamento è dotato di una sua provvisorietà in quanto anticipazione
e proiezione verso il compimento definitivo delΓέσχατov. Si legga per esempio
l’interpretazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Su questo argomento
cf. G. Sgherri, Legge, in DO, p. 235. Ciò conferma, come detto nell’introdu
zione, che nel Pas non è del tutto assente il discorso sulla «terza Pasqua», la
«Pasqua eterna», di cui Origene parla nella sezione relativa al commento della
legislazione pasquale del suo Ciò.
(80) Altrove, Origene propone u n ’interpretazione diversa del significa
to del mattino e della sera, considerati rispettivamente come la fase iniziale
e quella finale della crescita nella vita spirituale. «Soprattutto possiamo com
prendere anche che per ciascuno di noi il mattino, il principio del giorno è quel
LIBRO I , I I .6 - 6 .2 79
Noi prendiamo parte alle carni di Cristo, cioè alle divine Scritture,
[...] cerchiamo di seguire le orme del vero agnello, perché l’Apostolo
dichiara che Cristo è l’agnello della nostra Pasqua, quando dice: Cristo,
nostra Pasqua, è stato immolato. Le sue carni, le sue ossa e il suo sangue,
come già mostrato, sono le divine Scritture (81): se le mangiamo, pos
sediamo Cristo, in quanto le sue ossa sono diventate parole, i pensieri
che derivano dalle parole carni. Se le avviciniamo come conviene, noi
contempliamo il futuro in un enigma e come attraverso uno specchio,
perché il suo sangue è la fede evangelica della nuova alleanza, come
l’Apostolo testimonia quando dice: profanando il sangue dell’alleanza.
Unti di questo sangue, cioè con la fede, sfuggiremo allo sterminatore.
momento in cui per la prima volta siamo illuminati e accediamo alla luce della
fede. D unque in questo tempo, nel quale ancora siamo agli inizi, non possiamo
mangiare le carni del Verbo, cioè non siamo ancora capaci di una dottrina
perfetta e compiuta. Ma dopo lunghi esercizi, dopo un notevole progresso, quando
ormai siamo prossimi alla sera e tocchiamo quasi il fine stesso della perfezione, allora
finalmente possiamo diventare capaci di un cibo solido e perfetto»: HEx 7, 8,
p. 144.
(81) E questo il messaggio centrale del trattato che Origene sente
sogno di ribadire. Esso è espresso chiaramente anche nelle omelie: «Colui che
ascolta in segreto le prescrizioni della Legge sulla Pasqua, mangia dell’agnello
Cristo - poiché Cristo nostra Pasqua è stato immolato; e sapendo qual è la
carne del Verbo e sapendo che è vero cibo, ne partecipa: egli infatti ha inteso
la Pasqua in segreto»: Hler 12, 13, p. 158. «I cristiani ogni giorno mangiano le
carni dell’agnello, ossia ogni giorno si cibano delle carni del Verbo». HGn 10,
3, p. 171.
8o τ ο μ ο ς ι ( α ') , π . 6 .3 - ι ι . γ . ι
Π-7- Συγ/ράφει δέ καί [τοιό]νδε σχήμα έχειν τούς [τρώγο]ντας τό πάσχα διά
τών [έξης] ρητών· Ούτως δέ φά[γεσθε] αύτό· αί όσφύες ύμών [περιε]ζωσμέναι, καί
τα ύποδή[ματα] ύμών έν τοΐς ποσίν ύμών, |35| κα'ι αί βακτηρίαι ύμών έν ταΐς χερσίν
ύμών. Κα'ι έδεσθε αύτό μετά σπουδής.
Πάσχα έστ'ιν [Κ(υρί)]ω !3°.
122 1 Cor. 13, 9-10. 123 Gal. 1, 4. 124 Mt. 12, 32; Eph. 1, 21; Heb.
6, 5. 125 Rom. 13, 12. 126 Heb. 5, 14. 127 Heb. 5, 12. 128 Ex.
12, 10.46. 129 Deut. 32, 30; Eccle. 7, 28; Eccli. 6, 6. 130 Ex. 12, 11.
131 Heb. 7,5.10. 132 Heb. 7, 9-10. 133 Heb. 7,5. 134 Iob 40,16.
(83) Da notare come Origene parli, sulla scorta del testo biblico citato, di
distinzione del «bello» e non del «buono» dal male. L’ideale etico greco della
καλοκάγαθία viene assunto e riletto in chiave cristiana. È questo un altro esempio
di quella felice operazione di «inculturazione» che il Cristianesimo delle origini
seppe attuare nel mondo ellenistico-romano.
(84) «Nel passo si riflette l’amara consapevolezza di quanto lontane siano
le masse, anche cristiane, dal senso e dalla comprensione delle cose di Dio»:
Sgherri 1989, p. 106, n. 5. Scrive altrove Origene: «Su Dio tutti facciamo delle
congetture, formandoci un’idea di Lui, ma non tutti ne comprendiamo l’essenza
(pochi infatti o, per dir così, meno ancora che pochi sono quelli che comprendo
no completamente la sua santità)»: Orat 24,2, p. 116. Si legga a questo proposito
A. Monaci Castagno, Semplici, in DO, pp. 440-443.
82 τ ο μ ο ς ι ( α 1) , η . γ . ι
Μαρτυρούσες ούν της γραφής τήν όσφύν έπί συνουσίας κεΐσθαι εις οδόν έρχόμεθα
του κατανοεϊν <τί> περί τό πάσχα περ[ι]εζωσμένους ημάς τάς όσφύας θέλει έσθίειν
κατά συγγένειας 135. Κελευόμεθα, δτε τρώγομεν |3β| τό πάσχα, <καθαροι γενέσθαο
άπό συνελεύσεως σωματικής, της περιζώσεως της όσφΰος τοΰτο σημαινούσης, ώ[ς]
περικαταδήσαι ήμας τον σπερματικόν τόπον διδάσκει κ[α]ί έμφράξαι τά της μίξεως
κινήματα κελεύει, δτε τών σαρκών μεταλαμβάνομεν [το]ϋ Χ(ριστο)ΰ. Ε’ί τις γάρ
αθλητικός ... τ.,.λογον ε.,.νως με..α...δυ...αι των..ε... εται,.ν.,.ις άγω[ν]ιζ[όμε]νος και
άφορών εις [τούς έ']νεκεν φθαρτού άγώ[νος έγ]κρατευομένους, ί'να [φθαρ]τόν αγώνα
λάβωσιν, [α]ύτ[άς] δέ αφθαρτον διώκων [λα]βεΐν 136. Εί γάρ οΰτως περιζώσαι τό τις
τήν όσφύν, δυνήσεται καί μηδέν τών κρεών καταλιπεϊν έ'ως πρω ΐ137.
Τούτω τάχα τω λογω καί Ιωάννης ό βαπτιστής, έπει τέλ[ε]ιος ήν, είχεν ζώνην
δερματίνην περί τήν όσφύν αύτοϋ 138, δηλουμένου δτι νενέκρωκεν έκεΤ πασαν τήν
κίνησιν αύτοΰ τήν σπερματικήν, τοΰ δέρματος νεκρότητα δηλοΰντος δτι ή νεκρότης
δλην αύτοϋ περιέ[π]λησεν τήν φύσιν. Κα'ι ό έν γάμω δέ τό πάσχα τρώγων τήν όσφύν
αύτοΰ περιζώσεται- μακάριοι γάρ οί εχοντες |37| γυναίκας ώς {οί} μή εχοντες Ι39, ό
απόστολος εΐρηκεν.
135 Ex. 12, 21. 136 1 Cor. 9, 25. 137 Ex. 12, 10.46. 138 Mt. 3, 4.
139 1 Cor. 7,29.
(85) L’eccellenza del Battista è legata al fatto che la sua anima, secondo Ori-
gene, è venuta nel mondo non per espiare la colpa originale ma per svolgere la
sua missione di precursore del Cristo. «Chi infatti si preoccupa di non fare alcun
ché né ingiustamente né a caso né a capriccio deve ammettere necessariamente
che l’anima di Giovanni, anteriore al suo corpo ed esistente già in precedenza,
è stata mandata per un servizio, cioè per “dare testimonianza alla luce”»: Ciò 2,
30,181, p. 258.
(86) «Una volta parlando di Giovanni il Battista e un’altra volta di Geremia
- di Geremia si diceva che aveva avuto una cintura, e di Giovanni una cintura di
pelle attorno ai fianchi, abbiamo sufficientemente mostrato come mediante tali
segni si indicava che quella parte del corpo presso uomini di tal genere era così
morta che non era da credersi che neppure un lieve moto o qualsivoglia altro
fosse nei loro lombi, ma unicamente la castità e la pudicizia perfetta»: HLv 9, 2,
p. 207.
(87) Origene ha in grande stima la pratica della continenza (εγκράτεια),
senza evidentemente aderire alle posizioni di gruppi ereticali del Cristianesimo
che deprezzavano del tutto la corporeità e la sessualità (per un elenco di testi
origeniani apertamente in polemica con le tendenze encratite della Chiesa an
tica cf. Sgherri 1989, p. 109, n. 1). Nella forma totale della verginità e in quella
condizionata e parziale di astensione dai rapporti matrimoniali, cui qui si allude
come requisito per la celebrazione della Pasqua, la continenza è intesa come una
LIBRO I, I I .7 .I 83
Π.7.2. Λέγει καί τά υποδήματα έν τοϊς ποσίν [ε]χειν τούς τρώγοντας το π[ά]σχα,
δπερ έναντίωμα τ[ο]ΐς χρησθεϊσιν προς Μωϋση[ν] δόξειέ τισιν είναι- έπει γάρ Μ[ω]
ϋσης έφ’ αγίαν έπάτει γ[ην], κελεύεται λΰσα<ι> το ύπό[δημ]α έκ των ποδών αύτοϋ140.
[Π]ώς οδν, αγίου δντος καί τοϋ πάσχα, οί τοϋτο τ[ρ]ώγοντες ύποδεδέσθαι κελεύονται
τα υποδήματα αυτών; Άλλα ταϋτα ού μαχόμενά έστιν, έτέρας δε και έτέρας έπινοίας
λαμβανόμευα- οτε γάρ αγίαν τις πατεϊ γην, ούδεμίαν νεκρότητα έν αύτω έχειν
κελεύεται ούδέτι μέλλων αύτοϋ νεκρότητά τινα περικαλύπτειν, δ'τε δε τρώγει τό
πάσχα, κελεύεται μετά σπουδής έσθίειν ύπερ τοϋ έτοιμος είναι, ώς καί ό άπόστολος
διδάσκει λέγων· Ύποδησάμενοι τούς πόδας ύμών έν ετοιμασία τοϋ εύαγγελίου 141.
“Ινα, ημέρας γενομένης 142, άνεμποδίστως έξελθεϊν δυνηθη, ύποδεδέσθαι κελεύεται,
έν τούτω δε κα'ι έμφανέστερόν τι δηλοΐ τα περί άναστάσεως σαρκός, συνεξερχομένης
κα'ι αύτης ήμϊν τήν Αίγυπτον έξιοϋσιν- νεκρώσαι γάρ ήμας τά μέλη |38| δ ει143 τά έπί
της γης πορνείαν ακαθαρσίαν ασέλγειαν ειδωλολατρίαν 144 καί τά έξη[ς] καί οίίτω την
Αίγυπτον έξε[λθ]εΐν.
140 Ex. 3, 5. 141 Eph. 6, 15. 142 Rom. 13, 12. 143 Col. 3, 5.
144 Gal. 5, 19-20.
ΙΙ·7·3· "Ινα δέ την όμοιότ[η]τα τοϋ νόμου τήν προς το εύ[α]γγέλιον ίδωμεν,
τα νομ[ίμ]ως ε'ιρημένα καί έξ εύαγγε[λι]κών παραθησόμεθα. Μω[ϋσ]ής τον λαόν
μέλλων έξ[αγα]γεΐν έξ Αίγυπτου, ϊνα εις τή[ν ά]γίαν γην είσάξη έντολάς θ(εο)ΰ
λαμβάνων, κελεύεται υπόδημα μή εχειν 145, καί οί άπόστολοι άποστελλόμενοι έξαξαι
άπό της <νοητης> Αΐγύπτου τον έξ έθνών λαόν κελεύονται μή ράβδον α<ϊ>ρειν εις
όδόν 14β, μη πήραν μηδε σανδάλια ύποδεδέσθαι147. Ώ ς έκεΐ οί τό πάσχα μετά σπουδής
έσθίοντες κελεύονται τα υποδήματα ίχειν έν τοΐς ποσιν αύτών, ομοίως καί έν τω
εύαγγελίω τούς ήδη δυναμένους τό πάσχα θϋσαι καί φαγεΐν, ώς δεδήλωται, κελεύει
ό άπόστολος ώς ήδη περιεζωσμένους τήν όσφύν έν άληθεία καί περιτιθεμένους τόν
θώρακα τής δικαιοσύνης 14ί καί λαβόντας τήν περικεφαλαίαν τοΰ σωτηρίου 149 ήδη
καί ύποδήσασθαι έν έτοιμασία τοϋ ευαγγελίου 150 και ήδη τάς βακτηρίας εχειν έν
ταΐς χερσ'ιν αύτών ώς ήδη παιδείας |39| μετασχόντας, επειδή ή βακτηρία παιδείας
σύμβολον· ό φειδόμενος γάρ της βακτηρίας αύτοΰ μισ[εΐ τ]όν έαυτοΰ υιόν, ό δέ
άγαπ[ώ]ν έπιμελώς παιδεύει151, έν τοΐς Παρ[οιμ]ίαις άνέγνωμεν.
Ώρ(ιγένους) [πε]ρ'ι πάσχα α
145 Ex. 3, 5. 146 Le. 9, 3. 147 Me. 6, 9; Mt. 10, 10. 146 Eph. 6,
14. 149 Eph. 6,17. 150 Eph. 6,15. 151 Prov. 13, 24.
ΠΙ.1. Της ιερουργίας κα'ι ίεροθυσίας μυστηριωδώς κατά τον προστάξαντα θ(εό)ν
προς <σ>ωτηρίαν των πρωτοτόκων των υιών Ί(σρα)ήλ διά τό τήν οργήν έπιφέρεσθαι1
Φαραώ τε καί τοϊς κατά τήν αύτοϋ άρχήν άπειθοϋσιν 2 λόγω θ(εο)ΰ τετελεσμένης
έν τώ πρόσθεν χρόνω Μωϋσέως, έπιζητουμένης δε νϋν ύφ’ ήμών εί μόνω χρόνω
τώ κατ’ έκείνους, πεπληρωμένου τοϋ πράγματος, τετέλεσται, ώς μή δεΐν άλλως
κατ’ άλλην έκδοχήν δέξασθαι είς τούς καθ’ ήμας συμπληρωτικούς χρόνους, είς οΰς
τά τέλη των αιώνων κατηντηκεν 3, εϋραμεν τάς [ί]εράς καί ένθέσμους γραφάς ού
παρασιωπησάσ<ας> |40| άλλα άναγκαζούσας ήμας τήν περί τών γενομένων εντολών
έκπλήρωσιν, εις ήμας έκτελουμένας κ[α]τά το είρημένον- Ζητεΐτ[ε] τάς γραφάς έν
αίς ζωήν έχετε έν αύταΐς κάκεϊναι μαρ[τυρο]ΰσιν περί έμοϋ 4. ’Έστι δε ή ύπ’ α[ύ-
τ]ών μαρτυρία μή έν προ[φ]ητική φωνη μόνη {ω} κει[μέυ]η, έν τοϊς πεπραγμένοις [δέ
γέγ]ραπται έπιστημη, ήν έ[πισ]τημονικώς ό μέγας προφήτης διατάσσεται τώ [γ]έ-
νει τών Εβραίων, τήν τε λήψιν κ[’ι] τήρησιν {καί θυσίαν} ένορών έτι τε καί θύσιν
καί βρώσιν έ'μπυρον κα’ι σχήμα στολισμοΰ καί σπουδήν προς την τοϋ ίερουργηθέντος
άνάλωσιν καί τήν τών περιλειφθέντων τέφρωσιν καί τήν εννομον έντολήν είς γε[νεά]ς
αύτών5μεχρις αίώνος [έκτε]λουμενην είς μνημ[όσυ]νον αύτοΐςτε καί [το]ΐς υ[ίοΐς] αύτών 6·
(1) Al principio del secondo libro il testo greco è abbastanza contorto sin
tatticamente e con alcune lezioni di non facile comprensione cui gli editori hanno
dato diverse interpretazioni. Seguo il testo critico di Witte che, in questo punto,
corregge il papiro: anziché avere Mosè al nominativo, lo pone, più ragionevol
mente, al genitivo.
(2) La questione cui Origene accenna era ancora molto viva nelle comuni
tà cristiane del III secolo, soprattutto in Palestina, ove egli predica ed insegna.
«C’erano le perplessità dei fedeli nei confronti della normativa cultuale contem
plata nella Scrittura veterotestamentaria e, accanto a molti che si sentivano ob
bligati a osservarla, almeno per alcuni aspetti, non mancavano quelli che non
riuscivano più a coglierne il senso ed erano in cerca di spiegazioni soddisfacenti»:
C. Mazzucco, Culto, in DO, p. 107.
(3) Sono innumerevoli i testi in cui Origene enuncia il principio basilare
della sua teologia biblica: le Scritture sono state redatte affinché quello che vi è
contenuto sia utile per la salvezza dei fedeli. Con termini tratti dall’ermeneutica
contemporanea si potrebbe dire che la Scrittura ha un significato non solo e non
tanto informativo ma anche e soprattutto performativo.
(4) Il titolo profetico attribuito a Mosè si ritrova anche altrove. «Mosè, il più
antico dei nostri profeti»: CC 6,21, p. 507; «Nella lettura odierna, anche il più gran
de dei profeti, Mosè»: HEx 3,1, p. 65. Origene fa qui riferimento alla teoria secondo
la quale già gli antichi legislatori, come Mosè, erano consapevoli dell’autentico signi-
LIBRO SE C O N D O
[I I I . I n t r o d u z io n e a l l ib r o s e c o n d o ]
ficato cristologico e spirituale delle istituzioni cultuali da essi stabilite e che doveva
essere svelato nella nuova economia. «Mosè comprendeva senza dubbio qual era la
vera circoncisione, comprendeva qual era la vera Pasqua, sapeva quali erano le vere
neomenie e i veri sabati; e pur comprendendo in spirito tutte queste cose, tuttavia
le velava nelle parole con l’apparenza e l’ombra di realtà corporali; così sapeva che
come vera Pasqua doveva essere immolato il Cristo»·. HNm 5,1, pp. 69-70.
(5) In questa introduzione al secondo libro Origene afferma contem
neamente la validità del culto veterotestamentario e la sua provvisorietà in quanto
orientato a Cristo. Si tratta di un principio che ritorna frequentemente anche nelle
sue HLv, laddove il sistema veterotestamentario è giustificato in quanto pedagogi
camente imposto da Dio ad Israele per curare il male dell’idolatria e dei sacrifici
pagani. Esso è già monoteisticamente orientato e finalizzato alla rivelazione dell’uni
co sacrificio salvifico di Cristo-Agnello, che pure lo abroga. Con la venuta del vero
agnello, Dio ha abbattuto la Gerusalemme terrena e il suo sistema cultuale perché
90 ΤΟ Μ Ο Σ II ( β ') , ΙΙΙ.Ι - IV.I
όμολογε[ΐ γά]ρ [ού μό]νον ίστορία<ς> άλλα καί {π...} αναγωγής έχεσθαι, κ[αθ]ώς
γέγραπται- Πν(ευματ)ικά πν(ευματ)ικοΐς συγκρίνοντες 7.
IV. 1. Τούτοις γάρ ή σωτηρία περιεγένετο διά {της} τοϋ αίματος αύτοΰ τοΰ ώς
άμνοΰ άμώμου 12 Χ(ριστο)ΰ· τό γάρ ώς πρόβατον έπ'ι σφαγήν ήχθη, καί ώς αμνός
έναντίον τοΰ κείροντος αύτόν άφωνος, ούτως ούκ άνοίγει τό στόμα. Τήν γενεάν αύτοΰ
τις διηγήσεται, δτι αίρεται έκ της γης ή ζωή αύτοΰ, καί άπό τών άνομιών τοΰ λαοΰ αύτοΰ
ή'χθη εις θάνατον [αύ]τοΰ. Καί δώσω τούς πτω[χούς άντί] τοΰ Θανάτου αύτοΰ [καί
la figura non facesse ombra alla verità rivelata. Cf. Lettieri 2003, pp. 19-21. Origene,
avversato da coloro che ne contestavano la sua lettura spirituale, sente spesso il biso
gno di giustificare il suo metodo esegetico che ravvisa negli eventi e nelle istituzioni
dell’Antica Alleanza la tipologia di quelli della Nuova. Proprio parlando dei sacrifici
della legislazione ebraica, si appella all’autorità di Paolo e scrive: «Prima di tutto mo
striamo come l’apostolo dica che queste cose che vengono scritte attorno ai sacrifici
siano figure e forme, la cui verità si mostra in altre realtà, affinché non pensino gli
ascoltatori che noi ci facciamo idee preconcette e pieghiamo con violenza la Legge
di Dio ad altro senso rispetto a quello secondo il quale è stata scritta, come se non
ci fosse il precedente di alcuna autorità apostolica nelle nostre affermazioni. Paolo,
dunque, scrivendo agli ebrei, cioè a quelli che certamente erano in grado di leggere
la Legge e meditavano tali cose e conoscevano bene tali cose, ma mancavano dell’in
telligenza sul modo in cui si dovessero interpretare i sacrifici, si esprime così: Gesù
non entrò in un santuario manufatto, copia del vero, ma nel cielo stesso, per apparire
oramai davanti al volto diDio per noi»·. HLv 9,2, p. 205.
(6) «Quanto all’uso della terminologia indicante il senso spirituale della Scrit
tura, la principale innovazione va additata nell’mtroduzione del termine άναγωγη, di
cui non conosciamo precedente utilizzo in ambito esegetico. Dato che άναγωγη, da
άνάγειν, indicava l’atto di innalzare, innalzarsi, Origene ha ritenuto il termine idoneo
a esprimere il senso spirituale della Scrittura, in quanto senso superiore, che, al di
sopra della materialità del senso letterale, attinge alla realtà spirituale e intelligibile»:
M. Simonetti, Scrittura Sacra, in DO, p. 435.
(7) L’espressione origeniana, mutuata da 1 Cor 2 , 13, πνευματικά πνευματικοΐς
συγκρίνοντες, è molto frequente in Origene: ricorre per ben quaranta volte nelle
sue opere! (cf. BP 3, pp. 386-387). Witte 1993, pp. 81-82, ne dà una traduzione
originale: «distinguendo le realtà spirituali per coloro che sono spirituali». Questi
ultimi sarebbero, nel contesto della scuola di Cesarea, gli studenti già avanzati nel
cammino di fede.
LIBRO II, I I I .I - IV .I 91
Riconosce infatti che tutto ciò concerne non solo la storia ma an
che un significato anagogico (6), com’è scritto: Mettendo a confronto lo
spirituale con lo spirituale (7).
Cerco ora di proporre, con l’aiuto della grazia di Dio, una com
prensione spirituale, affinché diventi nota agli amici della verità (8) la
potenza della salvezza di Dio compiuta in Cristo, com’è scritto: A quan
ti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, essi che non
da sangue, né da volontà della carne, né da volontà d ’uomo, ma da Dio so
no stati generati. L’adozione in Cristo è diventata potenza che ci ottiene
una tale salvezza per noi che siamo nati non da sangue, né da volontà di
un uomo o di una donna, e che egli definisce suoi fratelli, nell’affermare:
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli.
[IV. S p ie g a z io n e d e l s i g n if ic a t o s p ir it u a l e
DELLE PRESCRIZIONI VETEROTESTAMENTARIE SULLA PASQUA]
(8) «Gli amici della verità» sono la traduzione che ho scelto per il term
greco φιλομαθέσιν, letteralmente «amici dell’insegnamento». Nel contesto del
la scuola origeniana, gli studenti erano, secondo una ipotesi abbastanza fonda
ta, filosofi, catecumeni, credenti, tutti accomunati dalla ricerca della verità: cf.
Crouzel 1970, pp. 15-27. La stessa parola ritorna anche alla fine del trattato. In
questo passaggio, di decisiva importanza per chiarire le finalità del trattato, l’au
tore chiarisce l’identità dei destinatari ai quali riserva le sue spiegazioni. «Si può
già dedurre che in questa seconda parte egli si rivolga non ai semplici membri
della comunità, il cui pensiero e la cui condotta di vita sono caratterizzati dai
problemi di ogni giorno, ma a quei cristiani, probabilmente alcuni dei quali suoi
studenti, che disponevano di una specifica formazione ed erano nella condizione
di conformare la loro vita all’ideale di una condotta ispirata dalla fuga dal mondo
presentato nella prima parte. Nel prosieguo dell’argomentazione egli li descrive,
in riferimento a Gv 1, 13, con parole di entusiastica lode come generati da Dio
e destinatari della salvezza e li paragona senza esitazione ai fratelli di Cristo, con
un’allusione ad Eb 2, 12»: W itte 1993, p. 190.
92 Τ Ο Μ Ο Σ II ( β ') , IV .I - IV. 2
τούς π]λουσίους άντί της [τ]αφής αύ[τ]οΰ, δτι αμαρτίαν [ο]ύκ έποίησεν ουδέ εΰρέθη
δόλος έν τω στόματι αύτοϋ 13. Καί γάρ ούκ έξ αμαρτίας έγένετο αύτοϋ ό θάνατος, άλλα
αύτός τάς αμαρτίας ημών φέρει καί περί ημών όδυναται, καί τώ μώλωπι αύτοϋ πάντες
ήμεΐς ίάθημεν 14. Ώ ς γάρ έ|42|κεϊνοι προετυπώθησαν έν άρσενικω προβάτω 15, οίίτως
ήμεΐς έν άνθρώπω τώ ώς άμνω 16· <ώς> έν τελείω, [οίί]τως ήμεΐς έν πληρώματ[ι αύ]τοΰ
τελειώσαντος τό πατρικόν βούλημα17· ώς <έν> ένιαυ[σί]ω 18, ούτως έν τέλει αιώνων19-
[ώ]ς γάρ ό ένιαυτός συμπληρ[ωτι]κός έστιν μηνών, οϋτω[ς καί α]ύτός συμπληρωτικός
έσ[τιν] νόμου τε καί προφητών 20 - ώς έν άμώμω, οΰτως έν άναμαρτητω 21■ώς έν μην!
πρώτω22, οΰτως {τό ώς} έν άρχη πάσης κτίσεως 23, έν ω έ'κτισται τά πάντα 24· έν δεκάτη,
έν πληρώματι μοναρχίας. Τό <δ’ ε>ως τεσσαρεσκαιδεκάτης, δευτέρας έβδομάδος25, {δ}
σημαίνει δύο έβδομάδων κατάπαυσιν, ητις έκ πρώτης κτίσεως, τοΰτ1εστιν άφανοϋς, έπί
δευτέραν ηλθεν έμφανη.
IV.2. Σφάξουσιν δε αύτόν παν τό πλήθος υ(ί)ών Ί(σρα)ήλ πρός εσπέραν 26·
παν δε πλήθος υ(ί)ών άν(θρώπ)ου όρώντος θ(εό)ν, τοϋτ’ έ'στιν δυνάμεως θ(εο)ΰ· πρός
έσπέραν, πρός τά τέλη τών αιώνων 27.
13 Is. 53, 7-9; Act. 8, 32-33. 14 Is. 53, 4-5; 1 Petr. 2, 24. 15 Ex.
12, 5. 16 Is. 53, 7. 17 Is. 53, 7; Io. 1, 16; 1 Petr. 1, 19. 18 Ex. 12, 5.
19 1 Cor. 10, 11. 20 Mt. 5, 17. 21 1 Petr. 1, 19. 22 Lev. 23, 5; Num. 28,
16. 23 Apoc. 3, 14. 24 Col. 1, 15-16. 25 Ex. 12, 3. 26 Ex. 12, 6.
271 Cor. 10,11.
gli darò poveri in cambio della sua morte e ricchi in cambio del suo sepol
cro, perché non commise peccato e inganno non fu trovato sulla sua bocca.
Infatti la sua morte non fu causata dal peccato, ma egli stesso porta i nostri
peccati e per noi è afflitto, grazie ai colpi da lui subiti noifum m o guariti (9).
Come quelli furono prefigurati in un agnello maschio, così noi in un
uomo simile ad agnello; come quelli in un agnello perfetto, così noi nella
pienezza di colui che porta a compimento la volontà del Padre; come
quelli in un agnello di un anno, così noi nel compimento dei secoli - come
infatti un anno è il compimento dei mesi, così egli è il compimento della
Legge e dei Profeti-, come quelli in un agnello senza difetti, così noi in un
agnello senza peccato-, come quelli nel primo mese, così noi al principio
di tutta la creazione, perché in lui tutte le cose sono state create-, come
quelli nel dieci, così noi nella pienezza della monarchia (10). Il fino al
quattordicesimo giorno, della seconda settimana, significa il riposo (11)
di due settimane, che andò dalla prima creazione, che è nascosta, alla
seconda, che è visibile (12).
Καί χρίσουσιν άπό τοϋ αίματος αύτοϋ έπί τής φλιάς καί επ’ άμφοτέρων τών
σταθμών 28, φλιάς δέ τα ύπέρ κεφαλής πάντων άρνών, σταθμούς δέ τούς τούτων ορούς,
δι’ ών |43| είσπορεύονται καί έκπορεύονται έν αύτοΐς - οί μέν έν αύτοΐ<ς> εισέρχονται,
οί δέ έξ αύτών έξέρχονται - έν οΤς καταλαμβάνοντ[α]ι οίκοΰντες έν αύτοϊς.
Ή δέ [θ]ύσις γίνεται έν Αίγύπτω, ά[ρχ]ής οΰσης Φαραώ, τη κατά γ[ήν] οΰση
καί σκότω τεθλιμμένη], ήτις έστ'ιν αγνοί α. Κ[αί οί] ύπό τήν τούτου άρχήν [τοΰ
τ]ής Αίγύπτου άρχοντος έν πολλή άγνοια τυφλώσεώς είσι, καί αύτός ένοικισθείς
κεκράτηται δόξη έπάρσεως αύτοϋ, καθώς εϊπεν; Τίς έστιν ό κ(ύριο)ς, ού γινώσκω, καί
τόν Ί(σρα)ήλ ούκ άποστέλλω 29, όμολογών τό αύτό <τώ> θήσω μου τόν θρόνον επάνω
τών νεφελών, εις ούρανόν άναβήσομαι, Ισομαι ίσος τω ύψίστω 30.
Οί ο3ν τοΰ προφήτου κατακούσαντες τελέσουσιν τοϋτο πάροικοι31 αύτω δντες,
κατά τήν αύτοΰ τυραννίδα γενόμενοι έν χρόνω λιμοϋ 32, ώς άπό πατέρων αύτών τήν
παλαιτ<άτ>ην ορκωμοσίαν είληφότες δτι πάροικον έ'σται τό σπέρμα αύτών 33ώς προς
π(ατέ)ρα Αβραάμ.
Ή γάρ τούτου θύσις ή δι’ αύτών έν άγνοια έγίνετο διά το μή αυτούς γινώσκειν
8 ποιοΰσιν - ένθεν και άφίεται αύτοΐς 34· καλάν γάρ ένα αν(θρωπ)ον άποθανεΐν ύπέρ
δ'λου τοϋ λαοΰ 35. Ού γάρ έξόν προφήτην |44| έ'ξω Ί(ερουσα)λήμ άποθανεΐν 36, τοϋτ’
έ'στιν τών έπ’ι ειρήνη καί δικαιοσύνη ένοικεΐν πειρωμένων.
54 Le. 23, 24. 35 Ιο. 18, 14; 11, 50. 36 Le. 13, 33. 37 1 Cor. 9,
21; Rom. 2, 12. 38 Sap. 18, 3; 19, 5. 39 Ex. 12, 11. 40 1 Petr. 1, 17.
41 Io. 6, 53; 13, 8. 42 Io. 1, 29. 43 Act. 17, 26. 44 Io. 11, 49-51.
45Gen. 15, 13. 46 1 Cor. 13, 11.
(18) Gli ebrei sono qui considerati come causa strumentale del sacrificio di
Cristo. Lo stesso concetto è espresso altrove. «Solamente così, certamente, potrà
salvare il sommo sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek e l’agnello
di Dio che prende su di sé il peccato del mondo, offerto in sacrificio a Dio non da
empi ma da pio e sommo sacerdote»: Ciò 19, 19, 120, pp. 591-592.
(19) La mente e il cuore di Origene sono imbevuti di testi biblici, a lungo
meditati e commentati. Spontaneamente, allora, nel corso del ragionamento, af
fiorano reminiscenze bibliche. Qui Gerusalemme è associata al compimento del
le promesse e delle profezie messianiche di giustizia e di pace (cf. ad esempio Is
54,13-14). Anche l’etimologia della parola «Gerusalemme» come «città di pace»
accompagna lo svolgimento del pensiero. «Agli uomini di Giuda parla il Verbo
e agli abitanti di Gerusalemme. Questa è la Chiesa, poiché la Chiesa è la città di
Dio, la visione di pace; in lei c’è la pace che lui ci ha portato»: Hler 9, 2, p. 116.
(20) Il viaggio è un tema ampiamente valorizzato nell’interpretazione ori
geniana del libro dell’Esodo, commentato anche nelle Omelie e negli Excerpta.
«Fra i temi esodici, l’esegesi origeniana privilegia quello del viaggio, con le tappe
che delineano una geografia dello spirito che non smentisce ma sublima quella
della storia; l’anelito platonico al passaggio dal sensibile all’intelligibile, il motivo
filoniano della migrazione si inverano nella vicenda storico-salvifica della libera
zione d’Israele»: M.I. Danieli, Esodo, in DO, p. 143.
(21) Origene crede che le anime cadute, diventate corpi umani, sotto l’in
flusso della materia, abbiano perduto il ricordo della loro precedente esistenza
come esseri spirituali. Si comprende così l’affermazione secondo la quale la terra,
semplice nutrice, viene erroneamente considerata come madre. In Prin egli parla
LIBRO II, IV .2 - IV.3 97
delia graduale rovina delle anime, che, una volta cadute, anziché ricongiungersi a
Dio di nuovo, si sono allontanate da lui sempre di più e perciò hanno provocato
un loro ulteriore crollo verso il basso. Nel CC 4, 44, Origene, seguendo Gal 4,
26, si riferisce alla «Gerusalemme di lassù», originario luogo di soggiorno delle
anime, come alla «vera madre» delle anime.
(22) L’argomentazione proposta da Origene fa perno sull’etimologia d
parola «ebrei» qui intesa come «coloro che devono attendere il cielo sperato»,
prendendo le mosse dalla traduzione della parola ebraica attestata nell’edizione
dei LXX di Gn 14, 13 m ράτης, «coloro che vanno dall’altra parte». In ebraico la
radice 'abr significa: attraversare, passare di là. E questo un procedimento caro
all’esegesi alessandrina che fa scaturire il significato spirituale del testo biblico
dall’etimologia di un nome ebraico. Innumerevoli gli esempi presenti nelle ope
re origeniane e, sulla scorta della sua eredità, in autori successivi, da Gerolamo
ad Agostino. In particolar modo, sull’etimologia di ebrei-περάται Filone aveva
dato la seguente spiegazione: «agli ebrei è costume di venir trasportati dalle cose
sensibili a quelle intelligibili» (De migratione Abrahami 20, ed. J. Cazeaux, Paris
1965, p. 107). La spiegazione filoniana riecheggia anche in altre opere orige
niane: «ebrei significa: passanti. Viene dunque chiamato ebreo questo popolo
proprio perché è passato dall’Egitto alla terra della promessa, dalle tenebre alla
luce, dalla morte alla vita»: HNm 19, 4, pp. 272-273.
98 Τ Ο Μ Ο Σ II ( β ') , IV.3
των Εβραίων προσκέκληται ήμας 47. Περατικοϋ γάρ άντιπερατουμένου κόσμου εις
τον καθεστηκότα πατρικόν αιώνα, γίνεται ή τών τέκνων επιστροφή τη του πάσχα
ονομασία ένεργώς τελούμενη, ήτις καλείται ύπέρβασις. Τπερβαίνουσιν γάρ διά της
ονομασίας τοϋ μυστηρίου τούτου μετειληφότες αύτοΰ, σωτηρίαν έαυτοϊς πορισάμενοι
τό μή συνεξολεθρευθήναι τοΐς πρωτοτόκοις τών Αιγυπτίων άπό Φαραώ, ος καθήται
έπί τοϋ θρόνου αύτοϋ, καί έως παιδίσκης τής παρά τόν μύλον 4β, δ έστιν τών έν
έπάρσει πλούτου καί τυραννίδος δντων έν άγνοια και μή έπιγνόντων τόν βασιλείς
έγείροντα άπό κοπρίας και καθιζάνοντα έπ'ι θρόνους βασιλικούς 49.
Άποδέδωκεν γάρ <***> άγνοια κρατούμενοι τοΐς κατ’ αύτοϋ<ς> όρίοις 50, οί
μέν ειμαρμένη, οί δέ τύχη, οί δέ τη τοϋ άρχοντος άρχή, διά τήν προς αύτόν έν χρόνω
νηπιότητος άνατροφήν ώς άνετράφησαν άμνημονήσαντες τήν κατά φύσιν μη 1461τέρα
κα'ι τον άληθή π(ατέ)ρα τόν είπόντα· Ίδών είδον τήν κάκωσιν τοϋ λαοϋ μου τοϋ
έν Αίγύπτω, καί της κραυγής αύτών άκήκοα κα'ι κατέβην έξελέσθαι αύτούς έκ
τών έργοδιωκτών καί έκ τής δουλείας Φαραώ έξελέσθαι αύτούς καί έκ χειρός τών
Αιγυπτίων και είσαγαγεϊν αύτούς εις τήν γην τών πατέρων, ήν ώμοσα τώ Αβραάμ κα'ι
τώ Ισαάκ καί τώ Ιακώβ δούναι αύτοΐς έν κλήρω 5Ι, δπερ κα'ι έποίησεν έπί συντελεία
τών αιώνων έλθών εις άθέτησιν τής άμαρτίας 52 διά τής σαρκός αύτοϋ άποκτείνας τήν
έχθραν 53. έλθών εύηγγελίσατο ήμϊν τοΐς μακράν καί τοΐς έγγύς, λυτρωσάμενος ήμας
έκ τής έξουσίας τοϋ σκότους κα'ι μεταστήσας ήμας έν τώ φωτ'ι αύτοϋ 54.
Όμολογουμένως γάρ μετέστησεν ήμας Αίγύπτου καί τών αύτής άρχόντων, οΟς
προσηλωσεν τώ σταυρώ παραδειγματίσας <έν παρρησία θριαμβεύσας> αύτούς έν αύτω 55.
Διά τοϋτο Ιδού ήκω - γέγραπται γάρ έν κεφαλίδι βιβλίου περί έμοϋ - , ό θεός,
(23) «Il termine “eone” con il suo equivalente latino saeculum si trova più
spesso in correlazione al tema della successione dei mondi forse perché usato in
passi biblici citati in appoggio (Eh 9,26; E f 2,1) ed esprime il concetto di mondo
nella sua durata temporale»: A. Monaci Castagno, Cosmo, in DO, p. 93.
(24) Origene introduce una nuova traduzione della parola Pasqua. Anzi
ché διάβασις (attraversamento, passaggio), che egli utilizzava nella prima parte
del trattato, qui fa uso di una variante più forte ύπέρβασις (passaggio in alto,
ascesa). Ci sembra che questa traduzione, anziché essere in contraddizione con
la teologia pasquale della prima parte del trattato al punto da mettere in di
scussione la paternità origeniana della seconda parte, sia coerente con l’impo
stazione generale. In questa seconda parte del trattato, infatti, Origene si rivolge
ai «perfetti» esortandoli ad assumere un comportamento di vita che consenta
loro di anticipare già nella loro condizione terrena quel ritorno alla condizione
originaria, precedente cioè alla caduta delle anime. La salvezza cioè si configura
come un ritorno-ascesa, al seguito del Logos divino disceso con l’incarnazione e
risalito per primo con la sua Pasqua. I successivi passaggi del trattato illustrano
infatti l’azione salvifica di Cristo adoperando passi biblici in cui si parla della
sua «ascesa». In altri termini, διάβασις e ύπέρβασις indicano la stessa realtà della
Pasqua, il primo nel contesto della narrazione dell’Esodo, il secondo in quello
della risurrezione-ascensione di Cristo.
(25) «I primogeniti degli egiziani» non si sottraggono alla morte. Si tratte
rebbe dunque delle anime cadute che alla fine del mondo sensibile non potranno
essere salvate. Anche il diavolo, designato come il Faraone, subisce la stessa sorte.
LIBRO I I, IV.3 99
(26) Il riferimento a chi vive recluso nei confini del «destino e della sorte»
richiama la polemica contro la credenza nella predestinazione delle vite umane
dovuta al corso degli astri, diffusa nel mondo antico. Il senso e la dignità della
persona umana e della libertà delle sue scelte libere è uno dei rivoluzionari an
nunci etico-teologici con cui il Cristianesimo rinnovò il mondo pagano. Origene
ne parla anche in CC 8, 65.
(27) Il Faraone-diavolo esercita una tirannide nel mondo sensibile. La ter
minologia richiama sia il Nuovo Testamento, ove si parla del diavolo come del
«principe di questo mondo», sia, forse più prossimamente, la terminologia degli
gnostici, secondo i quali il mondo materiale si trovava sotto la signoria di divinità
inferiori ostili, gli άρχοντες.
(28) Il «vero padre» è qui il Logos e non Dio-Padre. Origene, che si ispira
qui a Filone, afferma poco oltre che egli viene alla fine dei tempi.
(29) Secondo Origene, «Egitto» evoca il concetto di schiavitù e di dram
matica indisponibilità a lasciarsi liberare da Dio: «L’Egitto è dunque diventato
la casa della schiavitù, e quel che è più sventurato, della schiavitù volontaria... la
posterità degenere riproduce la non nobiltà della razza... la Legge divina non si
prende cura in alcun luogo della libertà degli egiziani, poiché essi l’hanno perdu
ta di loro volontà... riconosciamo cosa sia la schiavitù degli egiziani... nessuno è
costretto a questo da una necessità venuta dal di fuori, ma vi è spinto dall’inerzia
dell’animo, dalla libidine e dai piaceri del corpo, cui si assoggetta per la viltà
dello spirito»: HGn 16, 1, 2, 3, pp. 234-237.
ΙΟΟ Τ Ο Μ Ο Σ II ( β ') , IV. 3 - IV-5
τοϋ ποιήσαι τό θέλημά σου, προειπών- θυσίαν κα'ι προσφοράν ούκ ήθέλησας, σώμα δέ
μοι κατηρτίσω, ολοκαύτωμα και περί αμαρτίας ούκ εύδόκησας 56, δι’ ης προσφοράς
αύτοϋ καθαρίζεται |47| πλανώμενος κόσμος είς έπιστροφήν έρχόμενος, καί είρηνοποιεϊ
τά πάντα έν τώ αϊματι τοϋ στ(αυ)ροΰ αύτοϋ 57, άποκτανθείσης της έχθρας58, ήτις έστίν
οργή είς όλέθρευσιν τών άπειθούντων 59.
IV.5· Ό γάρ ύπερβάς τούς δρους τους θείους διά τήν έν Άδάμ παρακοήν οΰτός
έστιν κ(ύριο)ς ό τοϋ |48| θανάτου τό κέντρον 68 άμβλύνας καί τήν δύναμιν αύτοϋ
καθαιρήσας, δούς ύπερπηδησιν δι’ εύαγγελισμοϋ τοϊς έν αδου φρουρηθεϊσιν 69 πν(εύμα)
σιν, άλλως δε καί άνοδον πορείας είς ού(ρα)νόν παρασχόμενος διά της αύτοϋ άνόδου,
θυρών και πυλών έπαιρομένων διά τήν αύτοϋ είσοδον- ’Άρατε πύλας οί άρχοντες ύμών,
καί έπάρθητε πύλαι αιώνιοι, καί είσελεύσεται ό βασιλεύς της δόξης 70. Και δεύτερον
36 Heb. 10, 5-7; Ps. 39, 7. 57 Col. 1, 20. 58 Eph. 2, 16. 59 Rom.
2, 8. 60 Ex. 12, 22. 61 Io. 17, 19.21. 62 Is. 7, 9. 63 Io. 6, 38.
M l Ti m. 2, 6. 65 Ex. 12, 11. 66 Io. 17, 19. 67 Ex. 2, 11. 68 1 Cor.
15,55. 69 1 Petr. 3,19. 70 Ps. 23,7.9.
con il suo trionfo. Perciò: Ecco io vengo - è scritto nel rotolo del libro
su di me - o Dio, per eseguire la tua volontà, avendo detto prima: Non
hai voluto né sacrificio né offerta, hai preparato per me un corpo, non hai
gradito olocausto per il peccato (30).
Per mezzo di questa offerta di se stesso si ottiene la purificazione
del mondo smarrito fino a quando giungerà alla sua conversione. Egli
pacifica tutte le cose nel sangue della sua croce, avendo fatto perire l’ini
micizia, che è l’ira per lo sterminio dei disobbedienti (31).
originario delle anime cadute consiste nel loro allontanamento da Dio. Sareb
bero stati dunque eventi consequenziali la loro caduta e la loro incorporazione
come pure la vita legata al mondo sensibile. L’azione redentiva di Cristo rende
possibile la risalita delle anime al loro luogo originario, vicine a Dio.
(33) La Pasqua designata come ascesa ed il mistero della descensio a
feros - ascensio ad caelum di Cristo rappresentano un discreto riferimento alla
«terza Pasqua» di cui Origene parla nel Ciò 10, 18, 111, celebrata nell’eternità
dalle anime oramai definitivamente liberate dalla corruzione del mondo sensibile
e restituite alla loro santità protologica.
102 Τ Ο Μ Ο Σ II ( β ') , IV-5
[V. C o n c l u s i o n e ]
Sullo status quaestionis cf. Moreschini - Norelli 1995, pp. 438-442. In ogni caso
l’autore del Discorso di ringraziamento aveva colto finemente la mens origeniana
che fa dell’interpretazione della Scrittura un itinerario mistico verso l’unione con il
Logos, che in essa si incarna, dotandola di una riserva illimitata di significati. In un
passo abbastanza noto il dottore alessandrino scrive: «Ma quanto a coloro che de
dicano la loro opera alla sapienza e alla scienza, poiché non vi è alcuna fine - giac
ché quale sarà il termine della sapienza di Dio? - quanto più uno si avvicinerà,
tanto più troverà profondità, quanto più uno scruterà, tanto più le troverà ineffabi
li e incomprensibili - giacché incomprensibile e inestimabile è la sapienza di Dio...
Giacché per l’anima - quando in lei si è acceso un piccolo fuoco di scienza - non è
mai possibile stare in ozio e in riposo, ma sempre è chiamata dalle cose buone alle
migliori e di nuovo, dalle migliori alle più alte»: HNm 17,4, pp. 241-242.
INDICI
INDICE SCRITTURISTICO
2 C ronache 53,4-5:92
53, 7: 90; 92
30, 1-2: 42
53,7-9:92
34, 13: 62
54, 13-14: 96
G io b b e
G e r e m ia
40, 16: 80
11,19: 102
13, 16: 76
S alm i
38, 8: 42
2, 12: 76
8:62
21,23:90
23,7.9: 100 N u ovo T e stam ento
9, 16: 66 8, 32-33:92
9,22: 102 17,26: 96
13,33:96
22, 20: 78 R om ani
23, 24: 96 2 , 8: 88; 100
2, 12: 96
G io v a n n i 2, 26-27: 74
1,1:54 3 ,5 :8 8
1,1-2:54 6, 6: 48
1,9: 64; 68 12, 11:70; 76
1, 12-13: 90 13, 12: 80; 84
1,13: 90; 91
1 C o r in z i
1, 16: 92
1,29: 66; 96 2, 13: 19; 88; 90
I, 34: 92 2, 10: 76
3,14:58 5, 7: 22; 23; 54; 78
3,19-20: 46 5, 7-8: 44
4,13:72 6, 15:78
4,14: 72 7, 29: 82
5, 39: 25; 88 9 ,21:96
6, 9: 66 9,25: 82
6, 10: 64 10,11: 88; 92
6,38: 100 11,25:78
6,53:56; 96 12,13: 88
6,53-56: 78 12, 20: 76
6,54: 61 12,21:76
7,38: 72 13, 9-10: 80
9,4: 66; 76 13, 11:96
9, 6-7: 62 15, 55: 100
9, 14: 72
2 C o r in z i
II,49-51:96
11,50: 96 2, 15: 62
12,24:102 3, 6: 70; 71
12,37-43:92 5, 19: 102
13, 8: 96
13,21-26: 76 G alati
13,25:76 1,4: 80
16, 7: 102 2,19: 48
17,5:54 2,20: 48
17,19: 100 4,26: 97
17,19.21: 100 5, 19-20: 84
18,14: 96 6, 14: 58
2 ,4 4 :7 6 1,5:90
3, 13.26: 92 1,21:80
4,27.30: 92 2, 7: 98
112 IN D IC E SC R IT TU R IST IC O
2, 14-15: 98 5,12: 80
2, 16: 100 5,14: 80
2, 19: 94 6,4-5: 76
5, 2: 62 6,5: 80
6 , 12: 102 7 ,5 :8 0
6, 14: 34; 86 7,5.10: 80
6,15: 84 7, 9-10: 80
6,17: 86 9,26: 98
10,5-7: 100
F il ip p e s i 10, 18: 66
2,7: 92 10,29: 78
3 ,14:76 11,28: 44; 58
12, 12: 76
COLOSSESI
12, 29: 70
1, 12-13: 98 G ia c o m o
1,15:52
1, 15-16: 92 2, 17:76
1, 20 : 100
1 P ie t r o
2, 9: 92
2, 14: 102 1,17: 96
2, 14-15: 98 1, 19: 90; 92
2, 15:58 2 ,3 :6 2
3 ,5 :8 4 2,21-25: 92
2, 24: 92
1 T im o t e o 3, 19: 100
2 , 6:100
1 G io v a n n i
2 T im o t e o
1,1: 62
2 ,1 1 :4 8 2,18: 68
T it o A po c a l isse
3 ,5 :4 6 1,8: 52
3,14: 92
E b r ei
7,16-17: 66
2,12: 90 14,4:76
2,13-15: 102 22, 13:52
INDICE DEI NOMI
Abram/Abraàm: 49; 58; 81; 95; 99 Eusebio di Cesarea: 10; 11; 13; 15
Adamo: 47; 100; 101
Adriano: 95 Felici: 39
Agostino: 97 Ferguson: 39; 47; 70
Alexandre: 61 Filone Alessandrino: 59; 61; 64;
Ambrogio: 13 65; 87; 94; 97; 99
Aniceto: 15
Geremia: 82
Antoniono: 37
Gerolamo: 10; 15; 97
Arcadio: 9
Giacobbe/Israele: 49; 55
Aronne: 22; 45; 47; 49 Giacomo: 49; 94
Giobbe: 81
Bettiolo: 80 Giovanni Evangelista: 49; 53; 55;
Blanc: 38; 47 63
Blasto: 15 Giovanni il Battista: 25; 82; 83
Brakmann: 38; 61 Giustino: 69; 74; 92
Buchinger: 8; 10; 12; 17; 21; 38; Gramaglia: 57; 70
44; 44; 63; 65; 68; 84 Grappone: 13; 39; 72
Grego: 18; 39
Cantalamessa: 28; 38 Gregorio il Taumaturgo: 104
Cazeaux: 97 Guérard: 7; 8; 11; 12; 15; 16; 21;
Celso: 48 37; 51; 59; 60; 63; 65; 95
Ciccarese: 38; 100
Clements: 12; 17; 18; 38 Hanson: 39
Clemente di Alessandria: 18; 42; Harrauer: 38
64; 92
Cocchini:37; 38; 100 Ippolito: 15; 16; 61; 65
Cohn-Sherbok: 17; 38 Ireneo di Lione: 15; 84; 86; 92
Colonna: 37 Irmscher: 11
Corsini: 37; 51 Isacco: 58; 99
Cross: 38
Janin: 18
Crouzel: 38; 39; 46; 64; 68; 91; 104
Curti: 11 Lettieri: 39; 51; 65; 90
Levi: 81
Dal Covolo: 13; 30; 39; 57; 72 Loi: 11
Daly: 28; 37; 39; 57; 100
Danieli: 37, 64; 96 Maier: 17; 39
De Lange: 39; 60 Marcus: 51
Demetrio: 23; 77 Maria: 74
Didimo il Cieco: 8; 9; 11 Maritano: 13; 39; 72
IN D IC E D E I N O M I
Paola: 10 Visonà: 69
Paolo/Apostolo: 45; 49; 55; 71; Vittore Papa: 15
79; 80; 83; 84; 86 Vittore di Capua: 11; 12
Pieri: 11 Von Balthasar: 40; 72
Pietro/Simone: 49
Pini: 42 Witte: 6; 8; 18; 19; 20; 22; 29;
Policarpo: 15 37; 44; 59; 63; 72; 75; 87; 88;
Policrate: 15 90; 91
INDICE ANALITICO
F araone F retta
Insegue gli ebrei e perisce nel ma Il pasto pasquale va celebrato “in
re: 45. fretta”: 85.
Subisce l’ira di Dio: 89. La fretta è segno di prontezza e
Regna in Egitto e opprime gli sollecitudine: 85.
ebrei: 95. Fretta relativa al modo di consu
I figli primogeniti degli egiziani mare il sacrificio: 101.
compreso quello del Faraone
sono sterminati: 99. F uoco
II Logos, vero Padre, libera dalla Le carni dell’agnello vanno man
schiavitù del Faraone: 99. giate arrostite al fuoco: 69; 71.
120 IN D IC E A NALITICO
G erusalem me I ra
Non è permesso a un profeta mo I fedeli aderiscono all’insegnamen
rire fuori di Gerusalemme: 97. to del Signore, prima che di
vampi la sua ira: 77.
G ia c o b b e Scoppia l’ira di Dio sul Faraone:
Riceve le benedizioni Israel, ma 89.
non Giacobbe: 49. Cristo è l’ira per lo sterminio dei
Benedice Ruben: 55. disobbedienti: 101.
L egge
G io r n o
La maggior parte della gente vive E stata data attraverso Mosè: 47.
pigra e disoccupata fino al sor Cristo è venuto non per abolire la
gere del giorno: 67. Legge ma per portarla a com
pimento: 47.
Finché è giorno prima che venga
II Salvatore è offerto in sacrificio
la notte nessuno può lavorare:
dai trasgressori della legge: 55.
75.
Secondo la legge, un capro è of
II giorno simboleggia il mondo fu
ferto per i peccati: 67.
turo: 81.
Somiglianza tra la legge mosaica e
La notte è avanzata, il giorno è vi
il Vangelo: 85.
cino: 81.
Il comandamento sulla Pasqua di
sposto dalla legge va compiuto
G u sto
dalle generazioni future: 89.
Con il gusto apprendiamo che il Gli ebrei agirono contro la legge:
Signore è un cibo eccellente: 97.
63.
L e g is l a z i o n e
I m m o l a r e - I m m o l a z io n e
Il popolo di Israele riceve una le
L’immolazione dell’agnello pa gislazione inerente alla festa di
squale avviene cinque giorni Pasqua: 45.
dopo la sua scelta: 61 La legislazione è un’ombra e una
Si dà l’ordine di immolare l’agnel tipologia: 63.
lo al tramonto: 69. Il vero significato dell’obbedienza
L’immolazione del sacrificio è pra alla legislazione: 101.
ticata dagli ebrei nell’ignoran
za: 97. L ogos
In principio era il Logos, e il Lo
I n c a r n a z io n e gos era presso Dio, e il Logos
Chi è iniziato ai misteri coglie il era Dio: 55.
senso profondo dell’incarna Il Logos non era il principio ma
zione: 77. era “nel principio”: 55.
Per mezzo della sua carne Cristo Udire, vedere, toccare il Logos
fece perire l’inimicizia: 99. deliavita: 63.
IN D IC E A NALITICO 121
P r im o g e n i t i R is u r r e z io n e
Sterminio dei primogeniti degli I misteri del Nuovo Testamento
egiziani: 45; 99. non saranno necessari con la
Salvezza dei primogeniti degli risurrezione finale: 79.
israeliti: 99. Condizione della carne alla risur
rezione finale: 85.
P rofeti
Presso i profeti dell’Antico Testa S abato
R ip o so S a n d a l i/ C a lzari
Il riposo di due settimane simbolo Prescrizione di mangiare la Pasqua
del tempo tra la prima e la se con i sandali ai piedi e suo si
conda creazione: 93. gnificato: 81; 85.
IN D IC E ANALITICO 125
I n t r o d u z i o n e ...................................................................................... pag. 7
La scoperta del papiro...................................................................... » 7
A u t o r e ................................................................................................... » 9
D a ta zio n e.............................................................................................. » 12
D estinatari, m otivazioni e S itz-im -L e b e n .................................. » 14
C o n te n u to ............................................................................................ » 21
Teologia p a s q u a le ............................................................................. » 27
B ibliografia ....................................................................................... » 37
ΠΕΡΙ TO T ΠΑΣΧΑ
LA PA SQ U A
τομ ος i ( a ) ....................................................................................... » 42
L ibro p r im o .......................................................................................... » 43
[I. Introduzione al libro p r im o ] ................................................... » 43
[II. Interpretazione letterale di Es 12, 1-2] ............................. » 45
INDICI