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Ps.

Dionigi l’Areopagita

GERARCHIA CELESTE
TEOLOGIA MISTICA
LETTERE
Traduzione, introduzione e note
a cura di Salvatore Lilla

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. Cenni su lla «questione areopagitica»

Nulla si sa ancora di preciso, nonostante i tentativi


com piuti da vari studiosi moderni, sull'identità di colui
che, sotto il nome di Dionigi l'Areopagita, il discepolo di
san Paolo ricordato ih Atti, 17, 34, compose quell'insie­
me di scritti - la Gerarchia celeste, la G erarchia ecclesia­
stica, i Nomi divini, la Teologia mistica, dieci Lettere -
che è com unem ente noto come Corpus Areopagiticum (o
Dionysiacum). Il Corpus viene menzionato ufficialmente
per la prim a volta nell'incontro tra cattolici calcedonesi
e m onofisiti Severiani avvenuto a Costantinopoli nel
532 per provare l’ortodossia della loro dottrina monofi-
sita, i Severiani si richiamarono, oltre che ad altri auto­
ri, anche a Dionigi l’Areopagita2. Rispose loro Ipazio,
vescovo di Efeso, negando apertamente l'autenticità dei
suoi scritti \
Anche se per tutto il Medioevo, sia in occidente che
in oriente, l’autore del Corpus fu effettivam ente venerato
come il discepolo di san Paolo ed isuoi scritti, com'è
noto, assunsero per questa ragione un ruolo determ inan­
te nello sviluppo della teologia scolastica e della mistica

Il testo relativo si può trovare in E. Schwartz, Acta concil. oe-


cum., IV, 2, 1914, pp. 169-184.
2 Cf. Schwartz, op. cit., p. 172, 5.
3 Cf. Schwartz, op. cit., p. 173, 12-18.
6 Introduzione

- ne subirono l’influenza, per ricordare solo alcuni no­


mi, in oriente Massimo il Confessore e Giovanni Dama­
sceno, in occidente Scoto Eriugena, Roberto Grossatesta,
Alberto Magno, Tommaso d ’Aquino, Dante Alighieri,
Marsilio Ficino - il caso di Ipazio non rimase del tutto
isolato: nei secoli successivi, specie in oriente, i dubbi
sull'effettiva autenticità del Corpus continuarono di tan­
to in tanto a riaffiorare. Va ad I. Hausherr il gran merito
di avere raccolto, in un suo breve ma erudito articolo del
1936 4, le testimonianze di dotti che non mostrarono di
credere nell’appartenenza all’età apostolica degli scritti
del Corpus: si tratta di alcuni autori del VI sec. non
meglio specificati, di Fozio, di Areta, di Pietro di Dama­
sco, di Giovanni di Antiochia, di Giuseppe Hazzaia (scrit­
tore siriaco dell’V III sec.) e di Simeone Petritsi (monaco
georgiano del X III sec.).
Fu però soprattutto nel Rinascimento, ad opera di
Lorenzo Valla 5 e di Erasmo 6, che la leggenda di Dionigi
l’Areopagita com inciò ad essere sfatata in modo decisi­
vo. Anche se non sono mancati, dal Rinascim ento fino
quasi ai giorni nostri, gli apologeti intransigenti dell’au­
tenticità del Corpus, specie tra i francesi, che volevano
assolutamente identificare il Dionigi Areopagita di Atti,
17, 34 non solo con l’autore del Corpus ma anche con il
prim o vescovo di Parigi \ la tesi del Valla e di Erasmo
relativa al carattere spurio degli scritti dionisiani fu

* I. Hausherr, Doutes au sujet du «Devin Denys», «Orientalia Chri­


stiana Periodica», 2, 1936, pp. 484-490.
5 In Novum Testamentum annotation.es apprime utiles, Basileae
1526, p. 184.
‘ In Novum Testamentum... Annotationes item ab ipso recogni-
tae, Basileae 1522, pp. 260-261.
7 Nel Rinascimento furono sostenitori dell’autenticità del Cor­
pus Marsilio Ficino e Pico della Mirandola; fra i francesi ricordere­
mo 11 Goulu, l’Halloix, il De Chaumont, il Millet, il Doublet ed il Vi-
dieu; il più recente difensore deH’autenticità è, a quanto ci risulta, il
Bulhak, Authenticité des oeuvres de saint Denys l'Aréopagite, Roma
1938. Il presente elenco è ben lontano dall'essere completo.
Introduzione 7

adottata ed ulteriormente approfondita da eruditi del


X V II sec. come il Le Quien, il Le Nourry ed il Daillé \ ed
è ormai universalmente accettata.
Le ricerche com piute parallelamente dal Koch e dal­
lo Stiglmayr alla fine del secolo scorso sono valse, se
non a dare un volto all'autore del Corpus, a precisare
con sufficiente approssimazione la sua cronologia, giun­
gendo a risultati che si possono ormai considerare defini­
tivi. In due articoli apparsi nello stesso anno (1895) essi
mostrarono come la parte del quarto capitolo del De
divinis nom inibus dedicata al problem a della natura e
dell’origine del male dipendesse dal De m alorum subsi-
stentia di Proclo; era cosi autom aticam ente dimostrato
che l'autore del Corpus doveva essere o un contempora­
neo di Proclo (morto nel 485) o di poco posteriore a lui,
ed essere quindi vissuto nella seconda m età del V sec., e
forse fino all’inizio del V I 9.
Allo Stiglmayr va anche il merito di avere ulterior­
m ente precisato in un altro suo lavoro la cronologia del
Corpus, richiamando l’attenzione sui p u n ti seguenti: a)
poiché il concilio di Calcedonia del 451 condannò la
dottrina eutichiana della com m istione in Cristo tra natu­
ra divina e natura umana e di conseguenza insistette su
espressioni spesso usate nella cristologia dionisiana, il
Corpus è senz'altro posteriore al 451; b) poiché in De
eccl. hier., Ili, 2, viene fatta chiara allusione al credo
come parte della messa, il Corpus deve essere posteriore
al 476, anno in cui il credo fu ufficialmente introdotto

8 M. Le Quien, Dissertatio Damascenica, II, PG 94, 274-303; D. Le


Nourry, Dissertatio de oper. S. Dionysii Aeropagitae, PG 3, 9-56; J.
Daillé, De scriptis quae sub Dionys. Aerop. et Ign. Antioch. nomini­
bus circumferuntur libri duo..., Genève 1666.
9 H. Koch, Proclus als Quelle des Pseudo-Dionysius Aeropagita in
der Lehre vom Bòsen, «Philologus», 54 (1895), pp. 438-454; J. Stigl­
mayr, Der Neuplatoniker Proclus als Vorlage des sog. Dionysius Aero­
pagita in der Lehre vom Ubel, «Hist. Jahrb.», 16 (1895), pp. 253-273.
8 Introduzione

nella messa ad Antiochia dal patriarca m onofista Pietro


il Fullone; c) nel 482 l'imperatore Zenone, allo scopo di
riconciliare cattolici e monofisiti, emanò il cosiddetto
Henotikon, in cui se da una parte si condannava Eutiche
e si ribadivano la vera um anità e la vera divinità di
Cristo, dall’altra si evitava l’uso di espressioni come
«due nature» o «una natura»; tali espressioni sono accu­
ratamente evitate anche dallo pseudo Dionigi; d) allo
pseudo Dionigi si richiamano Andrea di Cesarea nel suo
com m ento all'Apocalisse dì Giovanni scritto alla fine del
V sec. e Severo di Antiochia in una lettera all'abate Gio­
vanni che risale probabilmente al 510. Il periodo di com ­
posizione del Corpus sarebbe quindi m olto circoscritto:
esso risulta compreso tra il 482 (data cte/ZHenotikonj e
la fine del V sec. o l’inizio del V I 10.
Già prim a del lavoro dello Stiglmayr, ma soprattutto
dopo la sua apparizione, non sono m ancati gli studiosi
che hanno tentato o di far risalire l’autore del Corpus a
secoli compresi tra il II e il V o d ’identificarlo con que­
sto o quel personaggio storico (ad es. Pietro l’Iberico,
Pietro il Fullone, Severo di Antiochia, Giovanni di Scito-
poli, Sergio di Resaina). Non è possibile, in questa sede,
passare in rassegna tutti questi tentativi: un loro panora­
ma dettagliato sì può del resto trovare nel libro di R. F.
Hathaway, al quale risale anche l’ultim a ipotesi d ’identi­
ficazione (lo pseudo Dionigi sarebbe Eraisco, un discepo­
lo di Damascio) 11.

10 J. Stiglmayr, Das Aufkom m en der pseudo-dionysischen Schrif-


ten und ihr Eindringen in die christliche Literatur bis zum Lateran-
konzil 649, Feldkirch 1895, pp. 21-48. Su queste questioni cf. anche E.
Corsini, La questione aeropagitica. Contributi alla cronologia dello
pseudo Dionigi. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino, Classe
di se. morali, storiche e filologiche, 93, 1958-1959, pp. 128-227.
" R. F. Hathaway, Hierarchy and thè Definition o f Order in thè
Letters of pseudo-Dionysius, The Hague 1959, pp. 31-35. Per quanto
riguarda l’identificazione dello ps. Dionigi con Eraisco cf. le pp.
28-29.
Introduzione 9

2. S o m m a rio dell'opera e su o intento 12

La G erarchia celeste si compone di quindici capitoli.


N el c. I si afferma che il raggio divino, nel m om ento in
cui si rivela all'intelligenza umana, non può non ade­
guarsi alle sue limitate capacità e non avvolgersi quindi
in velami che sono piti alla sua portata: tali «velam i»
sono rappresentati dalle im m agini sensibili con cui gli
angeli sono raffigurati nella Scrittura, e che hanno il
com pito di elevare la nostra m ente verso le realtà intelle-
gibili. Nel c. II, mentre viene recisamente respinta l'inter­
pretazione letterale delle im m agini scritturali raffiguran­
ti gli angeli, viene difesa nello stesso tempo la loro legitti­
mità: la divinità si è servita di esse sia per adeguarsi a
noi ed elevarci, sia per rendere inaccessibile ai profani la
verità più alta. L'uso che di queste im m agini materiali
ed assurde deve fare chi intende elevarsi è strettamente
parallelo al procedim ento della cosiddetta «teologia ne­
gativa»: la mente umana, come spoglia il prim o princi­
pio di ogni possibile attributo e proprietà quando cerca
di accostarsi ad esso, cosi, nel suo tentativo di compren­
dere le intelligenze celesti e sovrasensibili, deve elim ina­
re dalle raffigurazioni scritturali ogni elemento materia­
le e sensibile. Il c. I l i illustra la funzione della gerar­
chia: essa è un ordinamento che mira a realizzare nei
suoi membri, per quanto è possibile, la somiglianza a
Dio e l'unione con Lui. In vista di tale fine, i m em bri
superiori ricevono il raggio divino e lo riflettono quindi
verso i m em bri inferiori; questa «riflessione» della luce
dall’alto verso il basso produce il triplice effetto della
purificazione, dell'illuminazione e dell’iniziazione, tra-

l! Sulla Gerarchia celeste, cf. anche l’introduzione di R. Roques


all’edizione critica di quest’opera, Sources chrétiennes, 58, Paris
1958 (la seconda edizione è del 1970, Sources chrétiennes, 58 bis). Ba­
silare è anche il libro di R. Roques, L ’univers dionysien: structure
hiérarchique dii monde selon le pseudo-Denys, Paris 1954.
10 Introduzione

smesse dai m em bri piti aiti e fatte proprie dai m em bri


inferiori, che cosi hanno modo di elevarsi secondo le
loro capacità. Nel c. IV è spiegato perché le essenze cele­
sti si chiamano «angeli»: tale appellativo deriva dal fatto
che il loro com pito precipuo è quello di trasmettere le
varie rivelazioni divine. Il c. V ricorda che il termine
«angelo» va riferito con più precisione soltanto all'ordi­
ne inferiore della gerarchia celeste, anche se la Scrittura
lo usa a proposito di tutte le essenze, giacché gli ordini
superiori possiedono tutte le proprietà di quelli inferiori
e possono quindi essere chiam ati «angelici» in senso la­
to. Il c. VI illustra l’ordinamento rigorosamente ternario
della gerarchia celeste, mostrando come ciascuno dei tre
gradi gerarchici si articoli in tre ordini: il grado superio­
re si compone dei troni, dei Cherubini e dei Serafini;
l’intermedio delle podestà, delle dom inazioni e delle vir­
tù; l’inferiore degli angeli, degli arcangeli e dei principa­
ti (mentre i tre gradi gerarchici sono ricordati proceden­
do dall'alto verso il basso, i tre ordini che compongono
ciascuno di essi sono enum erati in senso inverso, proce­
dendo dal basso verso l’alto). I cc. VII, V ili e IX illustra­
no, basandosi in parte su ll’interpretazione allegorica del­
la Scrittura, le proprietà e le funzioni dei tre principali
gradi della gerarchia e dei tre ordini in cui ciascuno di
essi si articola: viene posto in particolare l’accento sul
fatto che m entre il prim o grado viene illum inato ed ini­
ziato direttamente dalla divinità, i gradi inferiori sono
sottoposti a questo stesso processo da parte del grado
im m ediatamente superiore. Il c. X riassume i concetti
esposti nei tre capitoli precedenti e ricorda che i gradi
gerarchici si ritrovano anche in ciascun ordine, diviso a
sua volta in potenze superiori, intermedie ed inferiori. Il
c. X I spiega come mai il termine «virtù», che pure desi­
gna il secondo ordine del secondo grado gerarchico, si
può applicare a tutte le essenze celesti: a differenza del
termine «angelo» che è usato a proposito di tutte le es­
senze celesti perché designa il loro «atto» precipuo (vale
Introduzione 11

a dire la loro funzione rivelatrice, cf. il c. IV), il termine


«virtù» si riferisce alla potenza (dynamis) che tutte le
essenze possiedono, anche se in m isura diversa, a secon­
da del loro grado. Nel c. X II viene affermato che anche i
gran sacerdoti possono essere chiamati a buon diritto
«angeli» in quanto, essendo istruiti da essi, vengono ad
essere partecipi della loro attività rivelatrice. N el c. X III
l'azione dell’angelo che purifica Isaia e gli apre la visio­
ne di Dio viene fatta risalire, oltre che a Dio, all'ordine
dei Serafini, che è quello che si trova p iù vicino al prim o
principio; e la visione a cui Isaia stesso è iniziato viene
interpretata in termini neoplatonici. Il c. X IV insiste sul
num ero infinito delle potenze angeliche. Il c. XV, con
cui si conclude lo scritto, contiene una m inuta analisi
allegorica delle varie im m agini materiali con cui gli an­
geli sono raffigurati nella Scrittura.
Già dalla lettura di questo breve somm ario risultano
chiare quelle che, a nostro avviso, sono le tesi principali
della presente opera:
a) le raffigurazioni scritturali degli angeli, con le lo­
ro connotazioni materialistiche, non vanno interpretate
alla lettera, ma devono servire alla m ente um ana solo
come punto di partenza nella sua progressiva elevazione
verso il sovrasensibile e l'immateriale;
b) il mezzo che rende possibile il superamento del­
l’interpretazione letterale dell'immagine e la scoperta del
suo senso più profondo - questa è la condizione indispen­
sabile per l'elevazione della m ente umana - è rappresen­
tato dalla sua interpretazione allegorico-ftlosofica. Sotto
questo punto di vista lo pseudo Dionigi si colloca nella
tradizione che, partendo da Filone di Alessandria, passa
per Clemente ed Origene e giunge fino a Gregorio di
Nissa;
c) gli angeli, considerati nel loro complesso, non han­
no form a um ana o animalesca, m a sono intelligenze in­
corporee, assolutamente pure, riflettenti la luce divina e
disposte secondo una precisa scala gerarchica;
12 Introduzione

d) la loro funzione precipua è quella di rivelare


m em bri inferiori della gerarchia la divinità che si rivela
direttam ente all'ordine piti alto; ed u n ’analoga funzione
rivelatrice è svolta dall’ordine p iù basso - quello dei veri
e propri «angeli» - nei confronti degli uomini.

3. La qu estione delle fonti

Gli «angeli» ricorrono di frequente sia nell'Antico


che nel Nuovo Testamento; i «Serafini» e i «Cherubini»
sono caratteristici dell'Antico Testamento; e le altre cate­
gorie di angeli prese in esame dallo pseudo Dionigi - i
troni, le dominazioni, le virtù, le podestà, i principati e
gli arcangeli - sono già nom inate da san Paolo. Come si
è visto nella sezione precedente, allo pseudo Dionigi va il
m erito non solo di averne fornito un'interpretazione m i­
rante ad elevare l’idea che l’uomo può farsi di loro e a
purificarla da qualsiasi elem ento materialistico, antropo­
m orfico o addirittura animalesco, m a anche di averli
ordinati secondo un preciso ordine gerarchico, piena­
m ente conforme alla sua teologia e regolato da leggi ri­
gorose.
È proprio in questo contesto che la questione delle
fonti filosofiche e patristiche utilizzate dallo pseudo Dio­
nigi assume tutta la sua rilevanza: esse sono indispensa­
bili per la comprensione di questo suo scritto - come del
resto di tutte le sue opere - in quanto marcano di un'im ­
pronta indelebile non solo i concetti che egli via via
espone, ma anche i term ini in cui essi trovano espressio­
ne. Se dopo il lavoro di H. Koch dell'inizio di questo
secolo - seguito da una serie di lavori di altri s tu d io s i13

11 H. Koch, Pseudo-Dionysius Aeropagita in seinen Beziehungen


zum Neuplatonism us und Mysterienwesen, Mainz 1900. Sull’articolo
del Koch apparso nel 1895, cf. sopra, la nota 9. Non si possono enu­
m erare qui tutti i lavori che si sono occupati dei rapporti tra Dionigi
Introduzione 13

- la dipendenza dello pseudo Dionigi dal Neoplatonismo


ed in particolare da Proclo non è p iù un fatto contestabi­
le, ad H. Ch. Puech e soprattutto a W. Volker va il merito
di aver posto nella giusta luce l’incidenza sul Corpus
Dionysiacum della tradizione patristica greca preceden­
te, ed in particolare di quella risalente ai Padri Alessan­
drini e Cappadoci (Clemente, Origene, Gregorio di Nissa,
Gregorio Nazianzeno) H.
L'idea della gerarchia angelica è già presente in Cle­
mente in passi come Strom., VII, 5, 6 (III, 6, 3-4) «al
figlio di Dio è sottoposta tutta la schiera degli angeli e
degli Dei» e Strom. VII, 9, 2 (III, 8, 16-21) «... gli uni sono
sottoposti agli altri, che li guidano, finché non si giunge
al Gran sacerdote [il Logos]. Dall’unico som m o princi­
pio, che agisce secondo il volere “del Padre”, dipendono
il primo, il secondo ed il terzo ordine; e cosi il beato
m ondo angelico giunge fino all'estremo limite del m on­
do visibile: fino a noi gli uni sono schierati sotto gli altri,
e dipendono da un unico capo, venendo salvati tramite
lui ed operando a loro volta la salvezza».
Lo ps. Dionigi prese da Clemente Alessandrino l'idea
generale dei tre ordini della gerarchia angelica che dalla
divinità si estendono fino al mondo sensibile ed umano.
Per poter fare di essa un vero e proprio «sistem a», egli
dovette però ricorrere alla dottrina neoplatonica di Pro­
clo. Per una maggiore com piutezza riporto l'elenco delle
leggi sulle quali lo pseudo Dionigi poggia la sua concezio­
ne della gerarchia celeste. È inutile ribadire che le fonti
sono i Padri e Proclo.

ed il Neoplatonismo: ci limitiamo a ricordare il libro di E. Corsini, Il


trattato De divirtis nominibus dello pseudo-Dionigi e i com m enti neo­
platonici al Parmenide, Torino 1962, e quello di R. F. Hathaway cita­
to sopra, nella nota 11.
14 H. Ch. Puech, La ténèbre mystique chez le Pseudo-Denys l'Aréo-
pagite et dans la tradition patristique, «Études carmélitaines», 23
(1938), pp. 33-53; W. Volker, Kontemplation und Ekstase bei pseudo-
Dionysius Aeropagita, W iesbaden 1958.
14 Introduzione

4. Le leggi basilari che regolano la concezione dionisiana


della gerarchia ce le ste

1) Il prim o principio, pur moltiplicandosi per dare


origine ai vari esseri nella sua emanazione, rimane sem ­
pre identico a se stesso, senza subire alterazioni e dim i­
nuzioni e senza esaurirsi.
2) La gerarchia celeste è il modello di quella terrena
o ecclesiastica.
3) La via piti idonea che la m ente um ana può seguire
nel suo tentativo di avvicinarsi alla divinità som m a è
quella negativa, che consiste nello spogliare Dio stesso
di qualsiasi attributo, indicando non ciò che è, ma ciò
che non è.
4) I m em bri superiori della gerarchia ricevono il rag­
gio divino direttam ente da Dio in proporzione alle loro
capacità e lo riflettono quindi verso i m em bri inferiori.
Questa legge ha un suo corollario: la divinità invia la
propria luce prim a alle essenze piti alte e poi, tramite
queste, alle inferiori in proporzione alle loro capacità;
esiste una stretta connessione tra il grado gerarchico di
ciascun essere e la sua capacità di ricevere la luce
divina.
5) I m em bri superiori della gerarchia purificano, illu­
m inano e rendono perfetti i m em bri inferiori.
6) Ogni grado della gerarchia nel m om ento in cui
purifica, illum ina e rende perfetti im ita Dio in quanto
svolge le funzioni che sono proprie della divinità, princi­
pio di ogni purificazione, illum inazione e perfezione.
7) I m em bri superiori della gerarchia «iniziano» gl'in­
feriori, vale a dire impartiscono loro un vero e proprio
insegnamento esoterico; i m em bri inferiori vengono in
tal modo iniziati alla più alta conoscenza della divinità.
8) Dio, la causa universale, chiama tutti gli esseri
alla partecipazione di sé, secondo le capacità di ciascu­
no di essi.
Corollario di questa legge è il seguente assioma: Dio
Introduzione 15

spinge le essenze più alte ad essere partecipi per prim e


della sua attività provvidenziale.
9) Tutti gli esseri sono partecipi della provvidenza
che si riversa dalla divinità.
10) La funzione precipua degli angeli è quella di rive­
lare e trasmettere l’arcano della divinità.
11) Anche nei singoli gradi della gerarchia le essenze
angeliche sono ordinate gerarchicamente.
12) Mentre gli ordini superiori possiedono tutte le
proprietà degli ordini inferiori, questi ultim i possiedono
solo parzialm ente le proprietà degli ordini superiori.
13) Nell'attività della gerarchia vanno distinti i due
m om enti della partecipazione e della trasmissione.
14) L'iniziazione, perfetta alla sua origine, si fa piti,
pallida man mano che procede verso gli ordini inferiori.
15) La conoscenza della divinità propria dell'ordine
piti alto è più chiara dell’iniziazione realizzata dai m em ­
bri intermedi.
16) Gli esseri dell’ordine inferiore possono essere par­
tecipi delle illum inazioni divine solo tramite gli esseri
dell’ordine superiore.
Suo corollario è la seguente proposizione: il secondo
ordine è elevato dal prim o e il terzo dal secondo.
17) Il processo d ’iniziazione si fa sempre più m anifè­
sto m an mano che si scende nella scala gerarchica: m en­
tre l’ordine più alto inizia in modo misterioso l’interme­
dio, la funzione rivelatrice della seconda gerarchia è più
manifesta di quella della prim a e più nascosta di quella
dell’ultima; l’ordine inferiore, infine, rivela ciò che è più
vicino al mondo.
18) L ’ordine angelico più basso istruisce e tutela la
gerarchia umana.
19) Il maggiore o minore grado di partecipazione alla
luce divina dipende non dalla natura della luce, che è
sempre la stessa, ma solo dalla maggiore o minore attitu­
dine degli esseri a riceverla.
16 Introduzione

20) L'unica provvidenza divina ha affidato i vari popo­


li della terra alla tutela dei rispettivi angeli.
21) Un'unica com unione lega tra loro tutti gli esseri.
22) La potenza divina giunge dappertutto ed esercita
nascostamente su tutto la propria attività provvi­
denziale.
23) Gli ordini più alti partecipano all’attività provvi­
denziale divina in quanto com unicano la loro emanazio­
ne agl'inferiori.
24) La potenza divina collega tra loro le estremità
della gerarchia, ed unisce i m em bri superiori agl'inferio­
ri e gl'inferiori ai superiori rispettivamente mediante la
trasmissione della potenza e la conversione.
N. B. La presente traduzione si basa su ll’edizione cri­
tica della G erarchia celeste apparsa nelle Sources chré­
tiennes: La hiérarchie céleste, introd. par R. Roques,
étude et texte crit. par. G. Heil, trad. et notes par M. de
Gandillac, Sources chrétiennes, 58, Paris 1958 (una se­
conda edizione è apparsa nel 1970, Sources chrétiennes,
58 bis). In italiano abbiamo le traduzioni di E. Turolla,
Dionigi Areopagita. Le opere, Padova 1956 e di P. Scazzo-
so, Dionigi Areopagita. Tutte le opere. Traduzione di P.
Scazzoso, Introduzione, prefazione, note e indici di E.
Bellini, Milano 1981 (quest’ultim o volume è apparso
quando il nostro manoscritto, ormai ultimato, era sul
punto di essere consegnato all’editore).
Ps. Dionigi l’Areopagita

LA GERARCHIA CELESTE
D ionigi prete a l confratello Timoteo,
sulla gerarchia celeste

CAPITOLO I

O gn i divina illum inazione che, grazie alla su a bontà, proce­


de in vario m odo verso gli e sse ri che son o o gge tto della
sua provvidenza, non so lo rim ane sem plice, ma unifica c o ­
loro che la ricevono 1

1. Ogni elargizione benevola ed ogni dono perfetto


scendono giù dall’alto, dal Padre delle lu c i2. Ma anche
ogni em anazione che, sotto la spinta del Padre, fa brilla­
re la luce 3, quando ci visita benevolmente, ci apre di
nuovo come una forza unificatrice sollevandoci verso
l’alto, e ci volge verso l’un ità e la sem plicità deificante
del Padre che tutto riunisce \ In effetti, come dice la
santa Parola, tutto proviene da Lui e tutto va verso di
Lui \
2. Invochiamo dunque Gesù, la luce del Padre, quel­
la vera che illum ina ogni uom o che viene al mondo 6,

Tutti i concetti raccolti in questo titolo sono caratteristici del


Neoplatonismo e di autori patristici precedenti.
2 Giac. 1, 17.
3 Per quanto riguarda l'idea della luce, associata aH'emanazione,
oltre ai riferimenti raccolti da M. de Gandillac, Denys l’Aréopagite,
La hiérarchie céleste (Sources chrétiennes, 58), Paris 1958, p. 70, η. 1,
va ricordato che essa è un motivo com une non solo nell’Antico Testa­
mento, ma anche nel Vangelo di Giovanni (cf. ad es. 1, 4; 1, 9; 3,19; 8,
12).
4 II motivo della conversione (epistrofé) degli esseri verso il pri­
mo principio - che ne è la causa - riveste grande im portanza nel
Neoplatonismo.
5 Rom. 11, 36.
6 Gv. 1, 9. L'appellativo «luce del Padre» attribuito a Gesù trova
uin preciso parallelo in Clemente, Strom., VII, 5, 6 (III 6, 1-2).
20 Ps. Dionigi l'Areopagita

tram ite la quale noi siam o ricondotti verso il Padre, il


principio della luce 7; apriam o gli occhi, per quanto è
possibile, alle illuminazioni dei santissim i oracoli, tra­
smesseci dai padri; contem pliam o ", nei limiti delle no­
stre capacità, le gerarchie delle intelligenze celesti che
esse ci rivelano in simboli per elevarci; riceviamo negli
occhi im m ateriali ed immobili della nostra intelligenza
la luce, propria del principio e superiore ad ogni princi­
pio, che ci viene trasm essa dal Padre divino, e che ci
rivela in simboli fig u ra ti5 le beatissim e gerarchie angeli­
che; partendo da essa, eleviamoci quindi verso il suo
semplice raggio. Essa non abbandona mai la propria
interiorità caratterizzata daH’unità; p u r moltiplicandosi
benevolmente e procedendo < verso gli esseri > per
dare a coloro che sono oggetto della sua provvidenza
una costituzione che li elevi e li unifichi, rim ane ferm a­

7 Questo è forse il più im portante passo del Corpus Dionysiacum


in cui è posta chiaram ente in risalto la funzione mediatrice di Gesù:
di solito Dionigi preferisce riservare tale funzione agli angeli (come
avviene nel presento scritto) o parlare dell'unione diretta (hénosis)
tra l'anima um ana ed il sommo principio, che non conosce interm e­
diari. L’idea della funzione mediatrice di Cristo si trova già nel Van­
gelo di Giovanni ed in san Paolo (cf. ad es. Gv. 10,9; 14, 6; 1 Tim. 2, 5),
è sviluppata in particolar modo da Clemente e da Origene e si ritro­
va anche in Gregorio di Nissa, cf. ad es., De perf., 204, 18-19. Il termi­
ne archifotos «principio della luce» (cf. anche ad es. De div. nom., IV,
6, PG 3, 701 B 2) è usato da Efrem Siro a proposito della Trinità, Or.
ad dei gen., Ili, 541 A Assemani.
8 Cf. il mio Clement o f Alexandria, Oxford 1971, pp. 163-164.
9 L’idea secondo cui la Scrittura si esprime in raffigurazioni sim­
boliche che celano ai più il senso più profondo della Parola di Dio e
che vanno quindi considerate solo come il punto di partenza per
un ’interpretazione più vicina al vero significato del testo sacro, mol­
to differente da quella letterale, risale a Filone e fu fatta propria da
Clemente, Origene e Gregorio di Nissa. Essa spiega anche il tipo di
esegesi scritturale adottato da Dionigi in questo suo scritto, ed è
quindi d ’importanza basilare per una sua retta comprensione. Cf. a
tal proposito W. Volker, Kontemplation und Ekstase bei pseudo-Dio-
nysios Aeropagita, W iesbaden 1958, pp. 92-106.
La gerarchia celeste - I 21

m ente dentro se stessa, stabilm ente fissa nella sua im­


m obile identità; essa eleva verso di sé, in proporzione
alle loro capacità, gli esseri che la guardano nella m isu­
ra consentita e li unifica grazie alla sua unità p roduttri­
ce di semplicità. In effetti, il raggio divino non può bril­
lare per noi in un altro modo: non può non rim anere
avvolto, per elevarci, nella varietà dei sacri v e li10 e, gra­
zie alla provvidenza paterna, non può non adeguarsi
alle nostre capacità nel modo che più si addice alla loro
natura.
3. Per questo anche la legislazione che ha consac
to i nostri riti ha ritenuto la nostra santissim a gerarchia
degna d ’im itare le gerarchie celesti in una m aniera che
trascende il m ondo " ; ed avendo variegato queste gerar­
chie im m ateriali con figure m ateriali e con composizio­
ni che si prestavano a d ar loro una forma, ce le ha
trasm esse, in modo che, partendo da queste sacre finzio­
ni, potessim o elevarci, secondo le nostre capacità, alle
altezze ed alle somiglianze semplici e prive di form a ,2.
In realtà, la nostra intelligenza non può elevarsi all’im i­
tazione ed alla contemplazione im m ateriale delle gerar­
chie celesti se non si serve di una guida m ateriale ad at­
ta ad essa. < Solo cosi > può considerare le bellezze
visibili im itazioni della bellezza invisibile l3, gli odori
sensibili im pronte dell’em anazione intellegibile 14, le lu­

10 Sul simbolismo scritturale cf. sopra, la nota 9.


Sulla presenza in Clemente ed in Massimo il Confessore del­
l’idea secondo cui la gerarchia celeste è il modello di quella terrena,
cf. Vòlker, Kontemplation und Ekstase..., pp. 108-109.
11 I due term ini «semplici» «privi di forma» compaiono insieme
anche in De div. nom., I, 1 (PG 3, 588, B 3).
1J L’identificazione della bellezza assoluta con il sommo princi­
pio è ripresa da Dionigi nel quarto capitolo del suo trattato Sui nom i
divini (PG 3, 701 C - 704 C).
14 Sul profumo em anante direttam ente dalla Sapienza divina cf.
Sir. 24, 15; sul profumo proprio del Signore, cf. Cant. 1, 3; sull’«odore
della conoscenza» trasmesso da Dio, cf. 2 Cor. 2,14. Su questo punto.
22 Ps. Dionigi l'Areopagita

ci m ateriali im m agini dell'illum inazione im m ateriale l5, i


sacri insegnam enti discorsivi espressione della pienezza
p ropria della sua contemplazione, l’ordine che regola le
disposizioni di quaggiù < un riflesso > dello stato che è
confacente alle schiere divine, e la partecipazione alla di­
vina Eucaristia < un segno > della nostra partecipazio­
ne a Gesù; e lo stesso si può dire a proposito di tutti gli
altri doni trasm essi alle essenze celesti in una m aniera
che trascende il mondo, ed a noi sotto form a di simboli.
Proprio per deificarci in m odo conforme alle nostre capa­
cità il principio iniziatore l6, nel suo am ore per gli uom i­
ni, ci ha rivelato le gerarchie celesti, ha reso compagni
del loro m inistero i m em bri della nostra gerarchia ren­
dendoli simili al loro sacerdozio deiforme secondo le no­
stre capacità, ed ha rappresentato le intelligenze celesti
con immagini sensibili nelle sacre composizioni presenti
nei detti scritturali: in tal modo, attraverso le immagini
sensibili, esso ci eleva verso l’intellegibile, e, < facendo­
ci partire > dai simboli che raffigurano le cose sacre,
< ci fa raggiungere > le semplici altezze delle gerarchie
celesti.

cf. anche de Gandillac, p. 73. Per quanto riguarda l’«emanazione in-


tellegibile» cf. sopra, la nota 3.
15 La luce identificata con Dio e irradiata direttam ente da Lui è
un motivo, al pari della dottrina del bello assoluto ripresa e sviluppa­
ta da Dionigi nel quarto capitolo dei Nomi divini (cf. in particolare
PG 3, 700 C 10 - 701 B 12).
16 Lo pseudo Dionigi fa sempre ricorso al linguaggio misterico
penetrato nella tradizione platonica per porre in risalto il carattere
«esoterico» delle più alte dottrine relative alla conoscenza della divi­
nità somma ed all’unione con essa.
CAPITOLO II

Le c o se divine e celesti son o adeguatam ente rivelate


anche per mezzo di sim boli d issim ili

1. A mio parere, dunque, bisogna innanzitutto i


strare quello che è, secondo noi, il fine di tu tte le gerar­
chie ed i vantaggi che ciascuna di esse procura ili suoi
m embri, e quindi celebrare le gerarchie celesti cosi co­
me le rivelano gli oracoli: seguendo questi ultim i, occor­
rerà parlare delle sacre forme sotto cui le Sacre Scrittu­
re oracolari rappresentano gli ordinam enti celesti, e del­
la sem plicità alla quale ci si deve elevare p er mezzo di
tali raffigurazioni. In tal m odo noi, a differenza del vol­
go, non riterrem o pili em piam ente le intelligenze celesti
e simili a Dio creature dai m olti piedi e dai m olti volti
caratterizzate da forme anim alesche proprie dei buoi o
dei leoni ", e forgiate come aquile dal becco ricurvo 19 o
come volatili dal ricco pium aggio 20, e non penserem o
più alle ruote infuocate nel cie lo 2I, ai troni materiali,
fatti per far sedere la divinità 22, ai cavalli dai m olti colo­
ri ” , agli strateghi portatori di lance 2\ ed a tu tte le altre

Cf. Ez. 1, 6; Dan. 7, 4.


1· Cf. Ez.1, 10; 10, 14; Dan. 7, 4; Apoc. 4, 7.
” Cf. Ez.1,10; 10, 14; Apoc. 4, 7.
20 Cf. Is. 6, 2; Ez. 1, 11.
Cf. Ez.1,15; Dan. 7, 9.
22 Cf. Ez.1,26; Dan. 7, 9; Apoc. 4, 4.
23 Cf. Zac. 1', 8; 6, 2-3.
2" Cf. Gios. 5, 14.
24 Ps. Dionigi l'Areopagita

sacre raffigurazioni tram andateci dagli oracoli in una


grande varietà di simboli rivelatori. E certo la Parola di
Dio, nel rappresentare l’intelligenza priva di figura, ha
fatto uso delle sacre raffigurazioni poetiche perché, co­
me si è detto, h a tenuto presenti < i limiti > della no­
stra intelligenza ed ha pensato al tipo di elevazione che
più le conviene e che le è più connaturale: proprio per
la nostra m ente ha form ato le Sacre Scritture, destinate
ad elevarla.
2. Qualcuno però, p u r essendo disposto ad accetta
le sacre composizioni giacché le realtà semplici restano
per noi sconosciute ed incontem plabili, ritiene assurde
sia le rappresentazioni delle sacre intelligenze presenti
negli o raco li25 sia, per cosi dire, tu tte le inadeguate m es­
se in scena dei nomi angelici; a suo dire i teologi, nel
loro tentativo di dar corpo alle realtà incorporee, avreb­
bero dovuto forgiarle e rivelarle per mezzo di figure più
adeguate ed il più possibile affini alla loro natura, ba­
sandosi su quelle tra le nostre essenze che sono più
preziose, in un certo senso im m ateriali e superiori, sen­
za attribuire alle entità celesti e simili a Dio le più basse
e molteplici forme che si trovano sulla terra - il prim o
procedim ento, infatti, avrebbe potuto elevarci maggior­
m ente e non avrebbe abbassato le rivelazioni u ltraterre­
ne 26 al livello di certe assurde dissomiglianze, m entre il
secondo offende em piam ente le potenze divine, e indu­
ce in errore in ugual m isura la nostra intelligenza, facen­
dola fermare su delle em pie composizioni; < in tal m o­
do > , essa è subito pronta a credere che le regioni ipe-
ruranie 27 siano piene di schiere di leoni e di cavalli, di

Seguendo l’esempio di Gregorio di Nissa, Dionigi chiama «ora­


coli» la Scrittura.
“ Il termine «ultraterreno» ricorre spesso nel Corpus Dionysia-
cum.
i7 II termine «iperuranio», risalente al Fedro di Platone, ricorre
La gerarchia celeste - Il 25

canti che ricordano i muggiti, di storm i di uccelli, di


altri animali, di cose m ateriali ancora più infime, e di
tutto ciò che, cadendo nell’assurdo, nell’ibrido e nel pas­
sionale, si trova espresso in simboli del tu tto dissimili
presenti negli oracoli rivelatori. < A tal proposito > tu t­
tavia < va ricordato > , a mio avviso, che la ricerca del­
la verità ci fa vedere come la santissim a sapienza degli
oracoli, quando attribuisce delle forme alle intelligenze
celesti, tenga presenti entram bi le esigenze: da una par­
te non ha, per cosi dire, recato offesa alle potenze divi­
ne; dall'altra ha fatto si che noi non ci sentissim o im pi­
gliati con le nostre passioni nelle abiette bassezze delle
immagini. Del fatto che è giusto attribuire figure a ciò
che è privo di figura e forme a ciò che è privo di form a
non si può invocare come unica ragione < la lim itatez­
za > delle nostre facoltà, che non sono in grado di ele­
varsi direttam ente alle contem plazioni intellegibili e
che hanno bisogno di elevazioni appropriate e conformi
alla loro natura, grazie alle quali le visioni prive di for­
m a e soprannaturali ci vengono presentate con forme
per noi comprensibili; m a < bisogna aggiungere an­
che > che si addice pienam ente alla natu ra dei mistici
oracoli il nascondersi in enigmi ineffabili e sacri e rende­
re inaccessibile ai più la sacra e nascosta verità delle
intelligenze ultraterrene u. Non tu tti infatti come dicono
gli oracoli sono santi, e la conoscenza non è di t u t ti29. E

negli autori greci cristiani antichi oltre che nella tradizione pla­
tonica.
28 Quanto è detto qui rientra nel carattere esoterico proprio della
più alta conoscenza di Dio, di cui è diretta espressione il simbolismo
della Scrittura. In questo Dionigi segue da vicino soprattutto Cle­
m ente Alessandrino, che già aveva posto in stretto rapporto il forte
esoterismo della gnosis con il significato della Scrittura ed il suo
simbolismo: cf. i riferimenti contenuti nel mio Clement of Alexan­
dria, pp. 137,140-141,144-148,154-155, dove è m ostrata anche la dipen­
denza di Clemente da Filone.
29 Cf. 1 Cor. 8, 7; Mt. 13, 11; Le. 8, 10. Al pari di Clemente (cf. il mio
26 Ps. Dionigi l'Areopagita

se qualcuno volesse accusare le sacre rappresentazioni,


dicendo che è vergognoso attribuire forme cosi turpi
agli ordini simili a Dio e santissimi, basterebbe rispon­
dergli che due sono i m odi della sacra rivelazione: il
primo, com’è naturate, procede per mezzo di sacre im ­
magini che sono abbastanza simili; il secondo invece,
servendosi di raffigurazioni dissimili, spinge la finzione
fino all'estrem o grado dell’inverosimiglianza e dell'as­
surdità.
3. E certo le tradizioni segrete degli oracoli rivela
ri alcune volte celebrano la veneranda beatitudine della
divinità sovraessenziale come p a ro la 30, come intelligen­
za 31 e come essere n, alludendo < cosi > alla razionali­
tà che le si addice, alla sua sapienza, alla sua reale
esistenza ed al fatto che essa è la vera causa dell'esisten­
za degli esseri; la raffigurano come luce 33 e la chiamano
v ita 34, giacché tali sacre raffigurazioni incutono mag­
gior rispetto e sem brano, in un certo senso, elevarsi al
disopra delle forme materiali, anche se neppure esse
raggiungono una vera somiglianza alla divinità, che si
trova al disopra di ogni essere e di ogni vita, che non si
lascia esprim ere da nessuna luce, e che lascia al disotto
di qualsiasi rassomiglianza, senz’alcuna possibilità di
paragone, ogni parola ed intelligenza. Altre volte, inve­
ce, gli stessi oracoli la celebrano in una m aniera che

Clement of Alexandria, pp. 147-148) lo ps. Dionigi interpreta questi


passi in senso strettam ente esoterico.
30 Cf. Gv. 1,1. L’aggettivo «sovraessenziale», con il quale Dionigi,
seguendo Proclo, designa molto spesso la divinità somma, sta a si­
gnificare che il bene si trova al di sopra dell’essenza (o idea): cf. Pla­
tone, Rep., VI 509b.
31 Cf. Is. 40, 13 (citato da san Paolo in Rom. 11, 34 e 1 Cor. 2, 16).
32 Cf. Es. 3, 14 (il passo è citato in Apoc. 1, 4 e 1, 8).
“ Cf. Gv. 1, 4; 1, 9; 3, 19; 8, 12.
34 Cf. Gv. 1,4; 8,12; 14, 6 .1 nomi «parola», «intelligenza», «essere»,
«luce», «vita» qui ricordati formano oggetto di una particolare tratta­
zione nell’opera Sui nomi divini, rispettivam ente nei cc. VII, V, IV,
VI.
La gerarchia celeste - Il 27

trascende il m ondo con rivelazioni negative, chiam ando­


la invisibile ” , infinita 36, incom prensibile 37, e con tutti
gli altri term ini analoghi, che designano non ciò che è,
m a ciò che non è. A mio parere, quest’ultim o m etodo le
si addice di più 38: come ci ha insegnato la segreta trad i­
zione sacerdotale, noi siam o nel vero < quando affer­
m iam o > che essa non ha u n ’esistenza conform e a quel­
la di nessun essere ”, e < nello stesso tem po > ignoria­
mo la sua sovraessenziale, inconcepibile ed ineffabile
in fin ità 40. Se dunque nella trattazione delle cose divine
le negazioni sono più veritiere, m entre le affermazioni
non appaiono adeguate alla natu ra segreta dell’ineffabi­
le, nel caso delle realtà invisibili la rivelazione che si
basa su raffigurazioni dissimili risulta più appropriata
di quella che si serve di simboli più simili. Di conseguen­
za le sacre scritture oracolari non deturpano, m a al con­
trario onorano gli ordinam enti celesti allorché li rivela­
no con raffigurazioni dissimili, m ostrando cosi la loro
trascendenza ultraterrena rispetto a tu tte le cose m ate­
riali; e credo che nessuna persona assennata possa nega­
re che le raffigurazioni assurde sono in grado di elevare
la nostra m ente più di quelle simili. Nel caso delle sacre
raffigurazioni più elevate è facile infatti cadere in erro­
re: si può essere portati a credere che le essenze celesti
siano figure d ’oro 41 e uomini lum inosi e b rilla n ti42, ele-

” Cf. Gv. 1, 18; Col. 1, 15; 1 Tim, 6, 16.


Cf. Sai. 144, 3.
Cf. Mt. 11, 27; Le. 10, 22.
38 Cf. De div. nom., XIII, 3 (PG 3, 981 B): «per questo anch’essi [i
teologi] hanno dato la preferenza all’ascesa che si basa sulle negazio­
ni, in quanto libera l'anima da ciò che le è affine e la guida attraver­
so tutti i divini pensieri».
39 Queste parole vanno raffrontate con De div. nom., IX, 7 (PG 3,
916 A 4-5).
40 Anche qui l’infinità di Dio viene messa in stretto rapporto con
la sua inconoscibilità: cf. sopra, la nota 36.
41 Cf. Dan. 10, 5; 2 Macc. 3, 25.
41 Dan. 10, 5-6; Mt. 28, 3.
28 Ps. Dionigi l'Areopagita

gantem ente ricoperti di vestiti risp len d en ti43, irradianti


fuoco senza risentirne danno 44, e provvisti di tutte le
altre simili bellezze con cui la Parola di Dio ha dato
form a alle intelligenze celesti. Proprio per non far cade­
re in questo pericolo coloro che non sanno concepire
nulla di più alto delle bellezze apparenti, la sapienza
elevatrice dei sacri teologi si abbassa, nella sua santità,
fino alle raffigurazioni assurde e dissimili: essa non con­
sente a quella parte di noi che più si attacca alla m ate­
ria 45 di rim anere indietro e d ’indugiare sulle turpi im m a­
gini, m a libera al contrario quell’elem ento della nostra
anim a che è più portato a salire verso l’alto, e lo pungo­
la con la bruttezza dei vari segni. In tal modo, neanche
a coloro che sono troppo attaccati alla m ateria sem bra
lecito e rispondente alla verità che le visioni iperuranie
e divine debbano corrispondere ad immagini cosi tu r­
pi 46. Bisogna d ’altronde ricordare anche che nessun es­
sere è del tutto privo della partecipazione al bello 47,
giacché, come dice la verità oracolare, Tutto è sin trop­
po bello 4β.
4. In base a tutte queste considerazioni è quindi po
sibile farsi un'idea delle belle contemplazioni e, parten­
do dalle cose materiali, applicare le cosiddette «somi­
glianze dissimili» agli esseri intellegibili ed intelligen­
ti 45, < senza dim enticare > che gli esseri intelligenti
possiedono in m odo diverso le facoltà che < com une­
m ente > vengono attribuite agli esseri sen sib ili50. Negli

43 Cf. Dan. 10, 5; 2 Macc. 3, 26; Mt. 28, 3; Me. 16, 5; Atti, 1, 10; Apoc.
4,4.
44 Cf. Dan. 10, 6.
45 Cf. Gregorio di Nissa, De virg., Τ1Ί, 10-16.
44 Secondo Dionigi è enorme la distanza che separa il senso lette­
rale della Scrittura dal suo più vero e profondo significato.
47 Cf. De div. nom., IV, 7 (PG 3, 704 B 2-3): «e non esiste nessun
essere che non sia partecipe del bello e del bene».
48 Gen. 1, 31.
49 Cf. anche Damaselo, Dub. et sol., 320 (II, 188, 5 e 11).
50 Cf. Gregorio di Nissa, De an. et res., PG 46, 61 B 5-14.
La gerarchia celeste - Il 29

esseri irrazionali l’ira deriva da un im pulso passionale,


ed il loro m ovim ento irascibile è pieno d ’irrazionalità;
nel caso invece degli esseri intelligenti l’ira va concepita
in m aniera diversa, giacché, a mio avviso, essa è indice
della loro razionalità virile e dell’àtteggiam ento inflessi-
bile che è proprio della loro fermezza simile a Dio ed
im m utabile. Allo stesso m odo noi diciam o che negli es­
seri irrazionali la concupiscenza consiste in u n ’affezione
sconsiderata per la m ateria - in coloro che sono sogget­
ti a cam biam enti, essa è originata in m odo irrefrenabile
d a un m ovim ento congenito o da un’abitudine 51 - e nel­
l’im pero irrazionale del desiderio corporeo, che spinge
tutto l’essere vivente verso l’oggetto desiderato dalle
sue sensazioni; m a quando, applicando agli esseri intel­
ligenti le «somiglianze dissimili», attribuiam o loro la
concupiscenza, occorre concepire quest’ultim a come un
am ore divino p er queH’im m aterialità che si trova al diso­
pra della parola e dell’intelligenza ” , e come un deside­
rio costante ed inesauribile sia della contem plazione
che è pura ed im passibile in m odo sovraessenziale, sia
della com unione veram ente eterna ed intellegibile con
10 splendore puro e sommo e con la bellezza invisibile,
produttrice di bellezza. L’intem peranza va a sua volta
interpretata com e una volontà decisa ed inflessibile,
che non si lascia abbattere da nulla grazie al suo am ore
puro ed im m utabile per la bellezza divina ed al suo
totale trasporto verso ciò che è veram ente desiderabile.
Nel caso degli anim ali irrazionali e della m ateria priva
di vita noi giustam ente intendiam o p er irrazionalità ed

L'idea dell’affezione per le cose materiali, di origine stoica, si


trova espressa già in Clemente Alessandrino (cf. Strom., IV, 139, 5;
II, 310, 9-10; VII, 79, 6; III, 56,32) ed in Gregorio di Nissa (cf. De an. et
res., PG 46, 85 D 6).
” Cf. Clemente Alessandrino, Strom., II, 6, 1; IV, 156, 1; V, 71, 5;
Gregorio di Nissa, De vita Moys., 1, 22,10-17. Il motivo dell’amore per
11 divino si trova già nel Simposio di Platone, da dove si trasm ette
nel Neoplatonismo ed in Gregorio di Nissa.
30 Ps. Dionigi l'Areopagita

insensibilità la m ancanza di ragione e di sensazioni; nel


caso invece degli esseri im m ateriali ed intelligenti, ci
riferiamo santam ente alla loro superiorità, in quanto
esseri ultraterreni, rispetto alla nostra ragione mutevole
e corporea ed alle sensazioni materiali, estranee alle
intelligenze incorporee. È dunque possibile forgiare per
gli esseri celesti delle forme non del tutto assurde, pren­
dendo le mosse anche dalle parti pili vili della materia,
giacché anche quest’ultima, avendo ricevuto la sua esi­
stenza dalla vera bellezza ” , possiede in tu tta la sua con­
formazione m ateriale delle tracce della bellezza intelli­
gente 54. Grazie a queste, è possibile elevarsi verso gli
archetipi im m aterialiss, purché, come si è detto, le somi­
glianze vengano interpretate in modo dissimile, e venga­
no definite non in m aniera univoca, m a secondo un cri­
terio pienam ente conforme alle proprietà degli esseri
intelligenti e di quelli sensibili.
5. Avremo m odo di constatare che i teologi inizi
non forgiano santam ente queste immagini solo per rive­
lare gli ordini celesti: talvolta essi le usano anche nelle
rivelazioni della divinità. In certe occasioni, prendendo
le mosse dalle cose che ci sem brano più preziose, la
celebrano come sole della g iu stizia56, come stella m attu ­
tina che si leva santam ente suH’intelligenza ”, come lu­
ce che brilla senza veli ed in modo intellegibile 58; in

5J Cf. De div.nom., IV, 7 (PG 3, 704 A 6-7):«da questo bello provie­


ne l’esistenza a tutti gli esseri». Non va dim enticato che Dionigi, al
pari di Gregorio, identifica il bello con il primo principio, vale a dire
con l’uno e con il bene.
51 Cf. Plotino, Enn., I, 6, 1 (I, 95, 12-13) e I, 6, 3 (I, 99, 33-36).
55 II termine «modello» al pari del suo corrispondente «immagi­
ne» si trova anche in Clemente Alessandrino, Strom., V, 93, 4(11, 387,
22) e Gregorio di Nissa, De an. et res., PG 46,44 A 5-7; De virg., 290,21 e
298, 8. Entrambi i term ini risalgono alla tradizione platonica.
” Cf. Mal. 3,20; Sap. 5, 6.
57 Cf. Sir. 50,6; Apoc. 22, 16.
58 Cf. Sai. 35, 10; Gv. 1, 4-5; 1, 9; 1 Gv. 2, 8; Apoc. 22, 5. Il termine
noetós riporta tuttavia nella sfera neoplatonica.
La gerarchia celeste - Il 31

certe altre, partendo dagli oggetti di grado intermedio,


< la chiam ano > fuoco che illum ina senza arrecar dan­
no 59, acqua che trasm ette la pienezza della vita 60 e che
- per parlare in simboli - penetra nel ventre e fa sgorga­
re fiumi che scorrono senza im p ed im en ti61; in certe al­
tre < infine > , ricorrendo alle cose più basse, < usano
appellativi > come «unguento odoroso» 62 o «pietra an­
golare» Ma le attribuiscono anche forme di belve, af­
fibbiandole le proprietà di un leone 64 o di u n a pante­
ra 65; ed afferm ano pure che essa è un leopardo 66 od
u n ’orsa priva < dei figli > 67. Aggiungerò anche che la
raffigurazione che fra tutte sem bra la più vile e la più
assurda: gli esperti nelle cose divine ci tram andano che
essa assum e l’aspetto di un verme ‘8. In tal modo, tu tti i
teologi e gl’interpreti del pensiero nascosto tengono lon­
tano il «santo dei santi» 69 dai non iniziati e dagli empi
conservandolo incontam inato 70; e venerano le sacre raf­
figurazioni dissimili sia per non rendere accessibili le
cose divine ai profani sia per evitare che coloro che
am ano contem plare le immagini divine si soffermino su
queste raffigurazioni come se fossero vere: < solo co­
si > le cose divine possono essere onorate m ediante le
vere negazioni e le rappresentazioni dissimili che si spin­
gono sino all'estrem o limite della degradazione. Non c’è

” Cf. Deut. 4, 24; Ebr. 12, 29; Sir. 50, 9.


60 Cf. Ger. 2, 13; Ez. 47, 9; Gv. 4, 14; Apoc. 7, 17; 22, 1.
Cf. Sai. 108, 18 (acqua che penetra nelle viscere); Gv. 7, 38;
Apoc. 22, 1.
62 Cf. Cant. 1, 3.
“ Cf. Is. 28, 16; Ef. 2, 20.
M Cf. Os. 5, 14; Dan. 7, 4.
45 Cf. Dan. 7, 6; Apoc. 13, 2.
“ Cf. Dan. 7, 6; Apoc. 13, 2.
67 Cf. Os. 13, 8; Dan. 7, 5; Apoc. 13, 2.
“ Cf. Sai. 21, 7.
6’ Cf. Lev. 16, 2-3; Ebr. 9, 3.
70 Nel «Santo dei Santi», la parte pili interna del tabernacolo, sol­
tanto il gran sacerdote poteva entrare una volta l’anno (cf. Ebr. 9, 7).
32 Ps. Dionigi l'Areopagita

quindi nulla di strano se, in base alle ragioni sopra espo­


ste, essi affibbiano anche alle essenze celesti immagini
basate su assurde «somiglianze dissimili». Forse nean­
che noi ci sarem m o dati alla ricerca spinti dal dubbio o
ci sarem m o elevati m ediante lo scrupoloso esame delle
sacre realtà se non fossimo stati turbati dalla dissomi­
glianza delle im magini rivelatrici degli angeli, che non
ha consentito alla nostra intelligenza d’indugiare su raf­
figurazioni assurde, m a l’ha spinta a rigettare ogni incli­
nazione m ateriale, abituandola a ricercare santam ente,
attraverso le apparenze, l’elevazione ultraterrena.
Queste cose dovevamo dire a proposito delle materiali
ed assurde rappresentazioni degli angeli presenti nei sa­
cri oracoli. Adesso però occorre dare una definizione di
quello che è a nostro avviso la gerarchia, e precisare i van­
taggi che da essa ricavano coloro che hanno avuto in sorte
di appartenervi. Se cosi mi è lecito parlare, guidi il mio di­
scorso «il mio Cristo» 7I, l’ispiratore di ogni rivelazione ri­
guardante la gefarchia. Q uanto a te, o figlio mio 72, confor­
m andoti al santo com andam ento della tradizione propria
dei m em bri della nostra gerarchia, ascolta queste sacre
parole con il rispetto dovuto alle cose sacre: una volta ispi­
rato dall’iniziazione proveniente dagl’ispirati, riponi le co­
se sacre nel nascondiglio della tua m ente e proteggile dal­
l’empio volgo ”, giacché esse recano l’im pronta dell’uni­
tà 74. Come dicono gli oracoli, non è lecito gettare ai porci
la bellezza incontam inata, lum inosa e produttrice di bel­
lezza che è propria delle perle intellegibili75.

Cf. il passo di Ignazio, Ep. ad Rom., VIII, 2 citato da Dionigi in


De div. notti., IV, 12, PG 3, 709 B.
72 Qui Dionigi si rivolge a Timoteo, il destinatario dei suoi scritti
(escluse le lettere).
73 Riecheggia in queste parole lo stesso divieto che ricorre in tu t:
te le filosofie di tipo eosterico: cf. i riferimenti nel mio Clement of
Alexandria, pp. 144-158.
" Le cose sacre «recano l’im pronta dell’unità» in quanto subisco­
no l’influenza dell’uno, «produttore dell’unità».
75 Cf. Mt. 7, 6.
CAPITOLO III

Definizione della gerarchia; qual è il v an ta ggio che da


e s s a si ricava

1. Secondo me, la gerarchia è un ordine sacro, una


scienza ed un'attività che cerca di rendersi simile al
divino per quanto è possibile 76 e di elevarsi all’im itazio­
ne di Dio secondo le proprie capacità grazie all'illumina-
zione che Dio stesso le concede. E la bellezza che convie­
ne a Dio, proprio perché è semplice, buona e principio
d ’iniziazione, è assolutam ente scevra da qualsiasi disso­
miglianza, trasm ette la propria luce a ciascun essere
nella m isura in cui ne è degno e gl’infonde la perfezione
iniziandolo divinamente, giacché rende simili a sé gl’ini­
ziati in virtù di un processo di trasform azione arm onio­
so ed inalterabile.
2. Lo scopo della gerarchia è quello di realizzare per
quanto è possibile la somiglianza a Dio e l’unione con
Lui, prendendolo come m aestro di ogni scienza e di
ogni azione. Contem plando incessantem ente la sua divi­
na bellezza e ricevendo la sua im pronta nei limiti del
possibile, essa fa dei propri m em bri delle im magini divi­
ne, degli specchi trasparenti ed im m aco lati11, capaci di

76 Quest’espressione, che ricorre molto di frequente nel Corpus


Dionysiacum, sta ad indicare l’incapacità della mente um ana a rag­
giungere una piena comprensione della divinità somma. È un princi­
pio di Clemente Alessandrino (cf. Strom., VI, 82, 4; II, 473, 7) e di
Origene (cf. Comm. a Giov., ir. XIII, p. 495, 14).
77 Sugli «specchi immacolati», cf. Sap. 7, 26; espressione ripresa
da Origene, Comm. a Giov., XII, 153 (249, 32).
34 Ps. Dionigi l'Areopagita

ricevere il raggio divino proprio della luce originaria, di


riem pirsi santam ente dello splendore che è loro trasm es­
so e di rifletterlo abbondantem ente verso gli esseri infe­
riori, conform em ente alle prescrizioni divine 7B. Invero,
coloro che iniziano ai santi m isteri e coloro che vengo­
no santam ente iniziati non possono fare assolutam ente
nulla che sia in contrasto con le sacre disposizioni pro­
prie della loro iniziazione; e non potrebbero neppure
avere una diversa esistenza, se veram ente desiderano lo
splendore deificante 79, lo contem plano santam ente e ne
ricevono l’im pronta in proporzione alle capacità delle
singole sacre intelligenze. Chi parla quindi della gerar­
chia si riferisce ad un sacro ordinam ento, im magine del­
la bellezza della divinità: nei limiti dell’ordine e della
scienza propri dei suoi membri, essa som m inistra le co­
noscenze m isteriche im plicite nell’illuminazione ricevu­
ta, e si rende simile al proprio principio nella m isura
del lecito. Per ciascuno di coloro a cui è toccato in sorte
di far parte della gerarchia la perfezione consiste nèl-
l’elevarsi secondo le proprie capacità all’imitazione di
Dio e - cosa che fra tutte è la più divina - nel diventare,
come dicono gli oracoli, «collaboratore di Dio» 80 facen­
do vedere come l’attività divina si m anifesti in lui nei
limiti del possibile. Poiché, in base all’ordine proprio
della gerarchia, alcuni vengono purificati m entre altri
purificano, alcuni vengono illum inati m entre altri illu­
minano, alcuni divengono perfetti m entre altri rendono
perfetti, in ciascun m em bro l’im itazione di Dio si realiz­
za in questi modi Per parlare in term ini umani, la

71 L’idea dell'anim a pura, pronta a ricevere il raggio divino e la


purezza, ricorre già in Gregorio di Nissa, De perf., 185, 1-6 e 205, 9-10.
” Non mi sem bra giusta la traduzione «éclat divin» dell'espres­
sione theotikés... aglaias (de Gandillac, p. 89): qui l’aggettivo theoti-
kés ha senso attivo e va quindi tradotto «deificante».
80 Cf. 1 Cor. 3, 9; 3 Gv. 8.
81 Sul motivo dell’imitazione di Dio cf. ad es. Clemente Alessan-
La gerarchia celeste - III 35

beatitudine divina è scevra da qualsiasi dissomiglianza,


è piena di luce eterna, è perfetta e non bisognosa di
perfezione; essa purifica, illum ina e rende perfetti; per
meglio dire, è essa stessa purificazione, illuminazione e
perfezione *2; è il principio assoluto della perfezione, an­
teriore alla perfezione, ed al disopra della purificazione
e della luce; è la causa di ogni gerarchia e nello stesso
tempo, grazie alla sua eccellenza, trascende ogni cosa
sacra.
3. A mio parere, quindi, coloro che vengono purifi
ti devono diventare com pletam ente scevri da qualsiasi
com mistione e liberarsi da ogni contam inazione capace
di renderli dissimili < da Dio > ; coloro che vengono
illum inati devono essere riem piti dalla luce divina ed
elevarsi, con il santissim o sguardo della loro intelligen­
za, alla condizione ed alla capacità contem plativa; e co­
loro che vengono resi perfetti, una volta allontanatisi
dall’imperfezione, devono diventare partecipi della
scienza iniziatrice, relativa ai sacri m isteri che essi giun­
gono a contemplare. A loro volta, coloro che purificano,
grazie all’abbondanza della purificazione < di cui godo­
no > , devono trasm ettere anche agli altri la loro purez­
za; coloro che illuminano, nella loro qualità d’intelligen­
ze pili trasparenti, adatte alla recezione ed alla trasm is­
sione della luce e felicemente piene del sacro splendore,
devono indirizzare la luce che < in loro > trabocca da
ogni parte verso chi ne è degno; coloro che iniziano alla
perfezione, proprio perché esperti nell’insegnam ento ini­
ziatore, devono rendere perfetti gl’iniziati tram ite la san­
tissim a iniziazione alla scienza dei sacri m isteri che essi
contem plano e\ Ogni grado dell’ordinam ento gerarchico

drino, Paed., I, 4, 2; Strom., VI, 72, 1 e 150, 3; Gregorio di Nissa, De


profess. Christ., 136, 7-8 Jaeger; De perf., 178, 13.
12 Quest'affermazione di Dionigi non contrasta con quanto egli
dice subito dopo.
" Il motivo dell’istruzione e dell’iniziazione im partito ai membri
36 Ps. Dionigi l'Areopagita

viene quindi elevato, secondo le proprie capacità, alla


collaborazione con Dio: in virtù della grazia e della po­
tenza trasm esse da Lui, esso svolge le funzioni che in
modo naturale e sovrannaturale sono proprie della divi­
nità; quest'ultim a le esplica in modo sovraessenziale e,
all'intem o della gerarchia, le rivela nell’im itazione < di
Dio > a cui le intelligenze che lo am ano riescono a
giungere.

dei gradi gerarchici inferiori dai m embri dei gradi gerarchici supe­
riori, che ricorre anche più avanti, è già presente in Clemente Ales­
sandrino, Exc. ex Theod. 27, 3; Ecl. proph. 57, 5.
CAPITOLO IV

Il sign ificato del nome «angelo»

1. Poiché, a mio parere, abbiam o dato una definiz


ne conveniente del carattere della gerarchia, dobbiam o
ora passare alla celebrazione della gerarchia angelica, e
contem plare con occhi che trascendono il m ondo le sa­
cre forme che appaiono negli oracoli: ci eleveremo cosi,
attraverso queste raffigurazioni misteriche, alla loro
sem plicità tanto simile a Dio e celebrerem o il principio
di ogni scienza gerarchica con la venerazione che ad
esso è dovuta e con le parole di ringraziam ento che più
si addicono al principio di ogni iniziazione. E questa è
la verità che va proclam ata prim a di tu tte le altre: gra­
zie alla sua bontà, la divinità sovraessenziale ha prodot­
to le essenze degli esseri e le ha portate all’esistenza. È
proprio della natura della causa universale e della bon­
tà che tutto trascende chiam are gli esseri alla partecipa­
zione di sé *4, a seconda della condizione assegnata a
ciascuno di essi dalle sue stesse capacità. Tutti gli esseri
sono partecipi della provvidenza che si riversa dalla di­
vinità sovraessenziale, che è anche la causa universale;
e questo non potrebbe verificarsi, se essi non fossero
pàrtecipi di ciò che rappresenta la loro essenza ed il
loro principio. Di conseguenza, gli esseri inanim ati sono
partecipi della divinità in virtù della loro esistenza, giac­
ché la divinità che è superiore all'esistenza rappresenta

M Lo stesso motivo si ritrova in De div. nom., I, 2 (PG 3, 588 D 1-3).


38 Ps. Dionigi l'Areopagita

l’esistenza di tu t to es; gli esseri viventi sono partecipi


della sua potenza produttrice di vita e superiore ad ogni
v ita 86; e gli esseri razionali ed intelligenti della sua sa­
pienza assolutam ente perfetta, anteriore alla perfezione
e superiore ad ogni ragione ed intelligenza 87. Ed è chia­
ro che attorno alla divinità si trovano quelle essenze che
partecipano di essa in m odo più ricco.
2. I santi ordinam enti delle essenze celesti sono du
que partecipi dei doni divini in m isura maggiore dei
semplici esseri, degli esseri viventi irrazionali e di noi
uomini provvisti di ragione. Poiché recano im pressa in
sé l’im pronta intellegibile dell’im itazione di Dio, guarda­
no alla parentela con la divinità in una m aniera che
trascende il m ondo e desiderano conform are ad essa la
loro intelligenza, è naturale che esse siano in com unio­
ne con la divinità in m isura più ricca, che si trovino
vicino ad essa, che tendano sem pre verso l’alto nella
m isura che è loro consentita ed in pieno accordo con il
loro am ore divino ed indeflettibile, che ricevano le illu­
minazioni originarie in m odo im m ateriale e puro, che
vengano ordinate da queste e che vivano sem pre una
vita conforme alla loro intelligenza. Sono queste le es­
senze che sono partecipi prim a di tutte le altre ed in
vari modi di Dio, e che prim a di tu tte le altre ed in vario
m odo rivelano il suo arcano; sono state ritenute degne
di essere chiam ate angeli m olto più di tutti gli altri esse­
ri sia perché è innanzitutto in loro che si m anifesta l'illu­
minazione divina, sia perché è tram ite loro che ci vengo­
no trasm esse le rivelazioni che trascendono le nostre

!S La stessa idea si ritrova in De div. nom., I, 5 (PG 3, 593 D 9-10);


IV, 4 (PG 3, 700 B 7-8).
“6 Cf. De div. nom., I, 5 (593 D 9); IV, 4 (700 B 5-7). Il motivo della
vita è trattato nel sesto capitolo del De divinis nominibus.
" Cf. De div. nom., I, 5 (593 D 7-8); IV, 4 (700 B 4-5). Il motivo della
sapienza divina è trattato nel settimo capitolo del De divinis no­
minibus.
La gerarchia celeste - IV 39

capacità ee. Per questo, come dice la Parola di Dio 89, la


legge ci è stata data tram ite gli an g eli90, e gli angeli
hanno condotto verso la divinità i nostri illustri padri
sia prim a che dopo la legge: 91 o hanno insegnato loro
ciò che dovevano fare conducendoli via dall’errore e dal­
la vita em pia verso la diritta via della verità 92, o hanno
rivelato loro, a guisa d’interpreti, i santi ordinam enti
< celesti > ” , le segrete visioni dei m isteri u ltraterre­
ni 94, o certe divine profezie 95.
3. Chi poi volesse obiettare che Dio si è rivelato
alcuni santi da solo e senza interm ediari 9\ dovrebbe
im parare bene anche quest’insegnam ento dei santissim i
oracoli: anche se nessuno ha mai v is to 97 e nessuno ve­
drà mai l’arcano di Dio nella sua essenza, la divinità è
tuttavia apparsa ai santi in rivelazioni degne di lei, ser­
vendosi di visioni sacre, proporzionate alle capacità dei
veggenti. La sapientissim a Parola di Dio chiam a giusta­
m ente «rivelazione di Dio» 98 tale visione - che m ostra

" Sulla «trasmissione» operata dagli angeli cf. Clemente Alessan­


drino, Strom., VI, 161, 2 (II, 514, 34-35). Sono gli angeli a concedere i
beni agli uomini. Sull’apparizione degli angeli agli uomini nell’Anti­
co Testamento, cf. ad es. Es. 3, 2 (passo ripreso in Atti, 7, 30); Num.
22, 31.
99 Seguendo de Gandillac, traduco cosi il term ine theologia, che
qui come in altri casi non ha ovviamente il significato di «scienza
relativa alla divinità».
90 Cf. Gal. 3, 19; Ebr. 2, 2; Atti, 7, 53.
91 Cf. ad es. Gen. 18, 2; 19, 1; 22, 11-18; Es. 3, 2.
92 Cf. ad es. Gen. 19, 15; 22, 12; 48, 16; Es. 23, 23; Num. 20, 16.
93 Dan. 7, 10; 2 Cor. 12, 4; Col. 1, 16; Ef. 1, 20-21.
94 Cf. ad es. Dan. 2, 2745.
95 Cf. ad es. Ez. 11, 22-25.
96 Cf. ad es. Gen. 12, 7; 17, 1; 18, 1; 22, 14; 26, 2; 26, 24; 31, 13; 35, 9;
48, 3; Es. 6, 3; 16, 10; Lev. 5, 23; Num. 14, 10; 16, 19; Atti, 22, 6-7; 22, 17;
26, 13-14; Apoc. 1, 12-17.
97 Gv. 1, 18.
98 II termine teofania non figura nell’Antico e nel Nuovo Testa­
mento, ma passi come Num. 23, 3 e 23, 4, Sai. 96, 4, Is. 60, 2, 1 Gv. 2, 8,
Apoc. 1, 16 possono averlo suggerito. Sull’uso del term ine in autori
40 Ps. Dionigi l'Areopagita

come tracciata in sé in un profilo la divina rassom iglian­


za delle realtà senza form a - proprio perché eleva il
veggente verso il divino: è tram ite essa che la divina
illuminazione si presenta ai veggenti, i quali vengono
cosi santam ente iniziati alla contem plazione di alcune
realtà divine. I nostri illustri padri sono stati iniziati a
queste divine visioni dalle potenze celesti che hanno
fatto da interm ediarie. Se è vero che la tradizione degli
oracoli ci dice che la santa istituzione della legge fu
data da Dio stesso a M o sè99 perché c'insegnasse che
essa adom brava veram ente una legge divina e sacra 10°,
non è forse anche vero che la Parola di Dio c’insegna
chiaram ente che essa scende a noi tram ite gli a n g e li101
giacché l’ordine fissato dalla legge divina prescrive che
gli esseri di secondo rango vengano condotti verso il
divino da quelli di prim o rango 102? In effetti, il sovraes­
senziale principio dell'ordine di tu tte le cose ha fissato
questa legge non solo per le intelligenze superiori ed
inferiori, m a anche per quelle dello stesso rango: in
ogni grado gerarchico le schiere e le potenze occupano
chi il primo, chi l’interm edio, chi l’ultim o posto; e le
intelligenze più divine iniziano quelle inferiori, e le gui­
dano in modo che possano avvicinarsi a Dio, esserne
illum inate ed entrare in com unione con Lui.
4. Osservo che furono innanzitutto gli angeli ad es
re iniziati al divino m istero dell’am ore di Gesù per gli
uomini, e che in un secondo tem po la grazia di questa
conoscenza giunse a noi tram ite loro. Cosi dunque il
divinissimo Gabriele rivelò al gran sacerdote Zaccaria
che il bam bino che gli sarebbe nato per grazia divina

patristici anteriori allo pseudo Dionigi cf. ad es. Eusebio, Comm. in


Lue., PG24, 540 C; Vita Const., Ili, 51, 1 (105,12 Winkelmann); Grego­
rio di Nissa, Ref. conf. Eunomii (II, 323, 20 Jaeger).
” Cf. Es. 19, 3; 19, 9; 19, 20; 20, 1-17; 20, 22 - 21, 33; 24, 12 - 31, 18.
,0° Cf. a tal proposito de Gandillac, p. 98, nota 1.
101 Cf. sopra, la nota 90.
I0! Cf. sopra, la nota 83.
La gerarchia celeste - IV 41

contro ogni sua speranza avrebbe annunziato l’opera


um ana e divina di Gesù destinata a m anifestarsi al m on­
do in m aniera benefica e salutare 103, ed a M aria che in
lei si sarebbe com piuto il divino m istero dell’ineffabile
procreazione di Dio 404. Un altro angelo fece conoscere a
Giuseppe il reale com pim ento del divino annuncio fatto
al suo antenato David 10s, ed un altro ancora portò la
buona novella ai pastori, che si erano purificati allonta­
nandosi dalla folla e rim anendo ra c c o ltil06; insiem e a
lui «una m oltitudine di schiere celesti» trasm ise agli
abitanti della terra il famoso inno di gloria tanto canta­
to l07. Ma ora leverò il mio sguardo verso le più alte
illum inazioni oracolari. Osservo che lo stesso Gesù, la
causa sovraessenziale delle essenze sovracelesti, una
volta giunto nella nostra n atu ra senza subire m utam en­
ti loe, non abbandona il posto um ano che egli stesso si è
assegnato ed h a scelto, m a si sottom ette docilm ente ai
disegni di Dio l0,I suo Padre, trasm essigli per mezzo de­
gli angeli; e fu tram ite gli angeli che vennero ordinati a
Giuseppe il ritiro del figlio in Egitto, deciso dal Padre,
ed il suo ritorno dall’Egitto in Giudea "°. [Vediamo pure
che Gesù si sottom ette alle prescrizioni paterne grazie
all’intervento degli angeli] Tralascio a tal proposito
di parlarti - ne sei già a conoscenza - di ciò che ci
hanno rivelato le nostre tradizioni sacerdotali “2, dell’an­

101 Cf. Le. 1, 11-17.


Cf. Le. 1, 30-33.
105 Cf. Mt. 1, 20-23.
106 Cf. Le. 2, 8-12.
107 Cf. Le. 2, 13-14.
I0' Cf. De div. nom., I, 4 (PG 3, 592 A 13 - B 2).
Cf. Le. 22, 42-44.
110 Cf. M t 2, 13; 2, 19-20.
111 Considero interpolate le parole messe tra parentesi quadra,
che mi sembrano una ripetizione di quelle di poche righe prima.
112 Dionigi allude qui a quella tradizione segreta di cui fan parte
il suo m aestro Ieroteo e san Paolo stesso (cf. De div. nom., II, 9, PG 3,
648 A - B; III, 2, 681 A).
42 Ps. Dionigi l'Areopagita

gelo che incoraggiò Gesù 113 o del fatto che Gesù stesso,·
nel mom ento in cui si rivela nella sua opera benefica e
salvifica, viene chiam ato angelo del gran consiglio "4. Co­
me Egli stesso dice con parole degne di un messaggero,
ci annunzia ciò che ha sentito dal Padre 115.

" J Cf. Le. 22, 43.


m Is. 9, 5.
1,5 Gv. 15, 15.
CAPITOLO V

Perché tutte le e sse nze ce le sti hanno in com une


l'appellativo «angeli»

Questa è, per quanto ne sappiam o, la ragione per cui


negli oracoli < le essenze celesti > sono chiam ate ange­
li; ma, a mio parere, bisogna anche indagare sul motivo
per cui i teologi, pur chiam ando angeli tu tte le essenze
celesti nel loro complesso, quando passano ad illustrare
i loro ordinam enti ultraterreni chiam ano con più preci­
sione «angelico» solo l’ordine che com pleta e conclude
le schiere divine e celesti. Prim a ed al disopra di que­
st'ultim o essi collocano gli ordini degli arcangeli, i prin­
cipati, le podestà, le virtù e tutte le altre essenze, supe­
riori ad esse, conosciute nelle tradizioni rivelatrici pro­
prie degli oracoli. Noi diciamo che in ogni sacra disposi­
zione gli ordini superiori possiedono le illuminazioni e
le facoltà proprie degli ordini inferiori, m entre gli ultimi
ordini non sono partecipi delle illuminazioni e delle fa­
coltà proprie degli ordini superiori. Quindi, benché i
teologi chiam ino angeli anche gli ordini più santi delle
essenze più alte (anch’essi infatti rivelano l’illum inazio­
ne divina), non c’è motivo di chiam are principati, troni
o serafini l’ultim o ordine delle intelligenze celesti. Esso
non è partecipe delle facoltà degli ordini più alti; come
eleva i nostri sacerdoti ispirati da Dio verso quegli
splendori divini di cui è a conoscenza, cosi le santissim e
facoltà delle essenze superiori elevano verso il divino
l’ordine che rappresenta il com pim ento della gerarchia
angelica. Si potrebbe anche dire che il nom e angelo è
44 Ps. Dionigi l'Areopagita

com une a tutte le essenze celesti perché tutte le potenze


celesti partecipano, in m isura m inore o maggiore, della
somiglianza a Dio e deH’illuminazione che proviene da
Lui. Ma perché la nostra trattazione risulti più ordinata,
passiam o ad esam inare santam ente le sante proprietà
di ciascun ordine celeste, rivelate dagli oracoli.
CAPITOLO VI

Q ual è il prim o ordine delle e sse n z e celesti,


quale l'intermedio, quale l'ultimo

1. Io dico che il num ero e la n atu ra degli ordini


delle essenze iperuranie e cosi pure il m odo in cui le
loro gerarchie raggiungono la loro perfezione sono cono­
sciuti con esattezza soltanto dal loro deificante princi­
pio iniziatore; ed inoltre, che gli ordini stessi conoscono
i propri poteri, le proprie illum inazioni e la propria col-
locazione sacra ed ultram ondana. Noi non siam o infatti
in grado di conoscere i m isteri delle intelligenze iperura­
nie e le loro santissim e perfezioni, a m eno che non vo­
gliamo parlare delle proprietà alle quali la divinità ci ha
iniziato tram ite loro, che ben le conoscono. Non direm o
dunque nulla di nostra iniziativa, m a ci lim iterem o a
descrivere, secondo le nostre capacità, le visioni angeli­
che contem plate dai sacri teologi, alle quali siam o stati
iniziati.
2. La Parola di Dio designa tu tte le essenze celesti
con nove nomi rivelatori il nostro divino iniziatore 117
le distingue in tre ordini ternari. A suo dire, il prim o
ordine è quello che si trova sem pre vicino a Dio e che,
secondo la tradizione, è unito direttam ente a Lui e pri-

1,4 Cf. Ef. 1, 21; Col. 1, 16 e 2, 10; 1 Tess. 4, 16; Giud. 9. In que
passi compaiono tu tti i componenti dei tre ordini gerarchici descrit­
ti dallo ps. Dionigi, ad eccezione dei Serafini e dei Cherubini, che si
leggono nell'Antico Testamento.
1,7 Si tratta di Ieroteo (cf. sopra, la nota 112).
46 Ps. Dionigi l'Areopagita

m a degli altri, senza interm ediari (secondo il nostro ini­


ziatore, la rivelazione dei sacri oracoli ci h a tram andato
che i santissim i troni 118 e gli ordini dai m olti occhi e
dalle molte ali che la lingua ebraica chiam a Cherubini e
Serafini grazie alla loro vicinanza a Dio superiore a
quella di tutti gli altri ordini, sono collocati im m ediata­
m ente attorno a Lui; a proposito di quest’ordine terna­
rio, che è uno ed uniform e e che rappresenta veram ente
la prim a gerarchia, il nostro illustre precettore dice che
nessun’altra gerarchia è più simile a Dio di esso e più
im m ediatam ente vicina alle illuminazioni originarie del­
la divinità). Il secondo ordine è quello com posto dalle
podestà, dalle dom inazioni e dalle virtù l20; il terzo, ri­
guardante le ultim e gerarchie celesti, è quello degli an­
geli, degli arcangeli e dei principati m.

Cf. Col. 1, 16.


Cf. Gen. 3,24; Ez. 1,6; 10,1; 10,4-9; 10,15-16; 10,18-20(sui Cheru­
bini); Is. 10,12 e 10, 21-22 (sui loro occhi, volti ed ali); Is. 6, 2 e 6, 6 (sui
Serafini).
,2“ Cf. Ef. 1, 21; Col. 1, 16.
121 Cf. Ef. 1, 21 e Col. 1, 16 (sui principati); 1 Tess. 4, 16 e Giud. 9
(sugli arcangeli). Gli angeli ricorrono molto di frequente sia nell’An­
tico che nel Nuovo Testamento.
CAPITOLO VII

Dei Serafini, Cherubini e troni, e della prim a gerarchia


form ata da e ssi

1. Accettando quest’ordine delle sante gerarchie,


ferm iam o che ogni nome delle intelligenze celesti è indi­
cativo delle proprietà simili a Dio di ciascuna di esse.
Chi conosce bene la lingua ebraica ci dice che il santo
nom e dei Serafini significa che essi bruciano o riscalda­
no, m entre quello dei Cherubini sta ad indicare o l’ab­
bondanza della conoscenza o l’effusione della sapien­
za G iustam ente quindi la prim a delle gerarchie cele­
sti è retta dal santo m inistero delle essenze più alte; fra
tu tte essa ha il posto più alto perché è collocata im m e­
diatam ente vicino a Dio, e grazie a questa prossim ità,
riceve le rivelazioni divine e le iniziazioni quando anco­
ra possiedono la loro efficacia originaria e sono molto
vicine al loro principio. Tali intelligenze sono chiam ate
«coloro che riscaldano», «troni» ed «effusione di sapien­
za» giacché questi nomi indicano la loro condizione si­
mile a Dio. Il loro movimento eterno ed incessante atto r­
no alle realtà divine, il calore, l’acutezza ed il ribollim en­
to di tale m ovimento eterno e continuo che non viene
mai meno e non deflette, la loro facoltà di rendere simi­
li a sé le essenze inferiori elevandole ed agendo su di
esse in modo da farle ribollire e da accenderle fino a
che non raggiungono un calore simile al loro, la loro
forza purificatrice, simile a quella della folgore e del-

Cf. Is. 6, 6.
48 Ps. Dionigi l'Areopagita

l’olocausto 123 e la loro peculiare n atu ra lum inosa ed illu­


m inante, che non conosce veli, che non si spegne mai,
che resta sem pre la stessa e che caccia via e distrugge
ogni oscura produzione di tenebra - < tu tte queste pro­
p rietà > ci vengono rivelate ed insegnate dal nome dei
Serafini. Il nom e dei Cherubini < indica > invece la
loro conoscenza e visione di Dio, il fatto che essi ricevo­
no la più alta illuminazione, contem plano la bellezza
divina nella sua potenza originaria, sono pieni della gra­
zia produttrice di sapienza e trasm ettono con liberalità
alle essenze del secondo rango, riversandola < su di lo­
ro > , questa sapienza che hanno ricevuto in dono. Il no­
me degli altissim i ed elevatissimi troni < indica infi­
ne > che essi si trovano al disopra di ogni com piacenza
terrena senza venire contam inati, vengono trasportati
verso l’alto in m odo ultraterreno, si allontanano senza
deviazioni da ogni bassezza, si trovano collocati, con
tu tte le loro facoltà, intorno al vero Altissimo m senza
lasciarsi scuotere e stabilm ente, ricevono l’illuminazio­
ne divina in uno stato di totale assenza di passioni e
d’im m aterialità, portano in sé Dio e si aprono devota­
m ente alla recezione dei doni divini.
2. Questo ci rivelano il loro nomi, per quanto
sappiam o; m a dobbiam o anche parlare di quella che, a
nostro parere, è la loro gerarchia. Che il fine di ogni
gerarchia consiste nell’adesione indeflettibile alla somi­
glianza a Dio risultante dalla sua im itazione e che in
ogni attività gerarchica vanno distinte la sacra parteci­
pazione e la trasm issione della purificazione incontam i­
n ata della luce divina e della scienza iniziatrice credo di
averlo già detto a sufficienza l2S. Ora mi auguro di poter

123 Cf. Lev. 1, 3; 1, 9; 1, 10.


124 L’espressione «altissimo» riferita a Dio è molto frequente nel­
l’Antico Testamento (cf. E. Hatch - H. Redpath, A Concordance to thè
Septuagint, VI, Oxford 1897, pp. 1420-1421).
125 Questo era stato detto nel terzo capitolo, par. II.
La gerarchia celeste - VII 49

parlare, in modo adatto alle somme intelligenze, della


loro gerarchia, cosi come è rivelata dagli oracoli. Biso­
gna ritenere che le prim e essenze, collocate subito dopo
la divinità che le ha prodotte e schierate per cosi dire
nel suo vestibolo 126 - esse si trovano al disopra di ogni
potenza visibile ed invisibile venuta alla luce - formino
una gerarchia particolare ed omogenea sotto ogni aspet­
to. Esse vanno concepite pure non tanto perché sono
scevre da em pie macchie e contaminazioni, o perché
non accolgono in sé immaginazioni attaccate alla m ate­
ria, quanto perché sono superiori a qualsiasi rilassam en­
to senza esserne mai vittime, perché, grazie alla loro
som m a purezza, si trovano collocate con tu tte le loro
facoltà simili a Dio al disopra di tutti gli esseri sacri
inferiori, perché, grazie al loro im m utabile am ore per
Dio, si m antengono senza mai deflettere nel proprio or­
dine che si m uove perennem ente ed in m aniera sem pre
uguale, perché non conoscono in qualche loro facoltà
dim inuzioni capaci di portarle verso gli esseri inferiori,
e perché la loro collocazione purissim a, che rispecchia
il loro carattere peculiare simile a Dio, non conosce mai
cadute e spostam enti. Sono poi anche contem platrici,
non perché contem plino simboli sensibili o intellettuali
o perché si elevino verso il divino contem plando la va­
rietà delle sacre immagini, m a perché sono colme di
una luce più alta di qualsiasi conoscenza im materiale,
perché si riempiono, nei limiti del consentito, della con­
tem plazione della bellezza produttrice di bellezza, origi­
naria, sovraessenziale e triplice, e perché sono allo stes­
so m odo ritenute degne di entrare in com unione con
Gesù; < tale com unione si realizza > non grazie a sa­
cre immagini, che riproducono in figure u n a parvenza
dell’attività divina, m a perché esse si avvicinano vera­
m ente a Lui e partecipano in modo im m ediato della

1!‘ Il term ine «vestibolo» ricorre anche in De div. notti., V, 8 (PG 3,


821 C 7).
50 Ps. Dionigi l’Areopagita

conoscenza della sua luce divinam ente operante, perché


la facoltà d’im itare Dio è loro concessa in som m a m isu­
ra, e perché, grazie alle loro facoltà originarie, com uni­
cano per quanto possono con le sue virtù divinamente
attive e benevole nei riguardi degli uomini. Sono < infi­
ne > , allo stesso modo, perfettam ente iniziate non per­
ché irradino la scienza analitica dei vari argom enti sa­
cri, m a perché sono riem pite della deificazione più origi­
naria e sublim e grazie alla più alta scienza delle attività
divine a cui possono accedere gli angeli. Avendo ricevu­
to la loro iniziazione gerarchica non da altre sante essen­
ze m a dalla divinità stessa, in quanto tendono ad unirsi
direttam ente a Lei grazie alle loro facoltà ed al loro
grado che tutto trascendono, si trovano collocate nel
Santissim o e nell’assolutam ente im m utabile, e si lascia­
no condurre nella m isura del lecito alla contemplazione
della bellezza m ateriale ed intellegibile; essendo le pri­
me essenze e trovandosi attorno a Dio, vengono iniziate
alla conoscenza dei principi razionali 127 che sono alla
base della loro scienza delle operazioni divine; la supre­
m a iniziazione gerarchica è loro trasm essa dal principio
stesso dell'iniziazione.
3. I teologi m ostrano chiaram ente che gli ordini in
riori delle essenze celesti sono istruiti in modo appro­
priato da quelli superiori nella scienza riguardante l’atti­
vità divina, m entre gli ordini più alti ricevono, nei limiti
del consentito, le illuminazioni iniziatrici dalla divinità
stessa. Esse ci m ostrano come alcune di queste essenze
< inferiori > , nel processo di iniziazione, apprendano
santam ente da quelle più originarie che il re delle poten­
ze ce le sti128 ed il re della gloria 129 è colui che è stato
assunto in cielo sotto form a um ana l3°. Altre, nutrendo

Cf. De div. nom., V, 8 (PG 3, 824 C 6-15).


128 Sai. 23, 10.
129 Sai. 23, 7-10.
’30 Cf. Me. 16, 19; Atti, 1, 2; 1, 11; 1, 22; 1 Tim. 3, 16.
La gerarchia celeste - VII 51

dei dubbi a proposito di Gesù e desiderando apprende­


re la scienza relativa all’attività da Lui svolta in nostro
favore, vengono iniziate direttam ente da Gesù stesso, il
quale rivela loro in modo im m ediato la sua opera bene­
fica nei riguardi degli uomini. Io, dice, parlo di giustizia
e del giudizio della salvezza 131. Ammiro anche il fatto
che le prim e essenze celesti, cosi elevate rispetto a tutte
le altre, desiderano le illuminazioni divine con circospe­
zione, al pari di quelle interm edie. Non chiedono infatti
spontaneam ente Perché le tue vesti sono rosse? I32, m a
interrogano prim a se stesse, m ostrando cosi che, nono­
stante il loro desiderio d'im parare e di giungere alla
conoscenza delle attività divine, non intendono precorre­
re l’illuminazione concessa dalla divina em anazione.
Dunque la prim a gerarchia delle intelligenze celesti, ini­
ziata dal principio stesso dell’iniziazione in quanto ten­
de ad unirsi direttam ente ad esso e riem pita in propor­
zione alle sue capacità dalla purificazione assolutam en­
te immacolata, dalla luce infinita e dall’attività divina
che inizia in m odo perfetto e che è anteriore alla perfe­
zione, viene purificata, illum inata e perfettam ente inizia­
ta. Essa non è contam inata dal rilassam ento, m a è ricol­
m a della luce originaria, ed è resa perfetta dalla sua
partecipazione alla conoscenza ed alla scienza ricevute
come prim o dono. In breve, non sbaglierei dicendo che
la partecipazione alla scienza divina è insieme purifica­
zione, illuminazione e perfetta iniziazione: grazie alla
conoscenza delle iniziazioni più perfette concessa in rap­
porto al grado gerarchico, essa purifica, per cosi dire,
dall’ignoranza l33; sem pre in virtù di questa conoscenza

Is. 63, l.
132 Is. 63, 2.
113 Sulla purificazione dalle tenebre dell’ignoranza resa possibile
dalla luce divina cf. soprattutto De div. nom., IV, 5 (PG 3, 700 D 6-7).
Sulla necessità di purificarsi dall’ignoranza per poter raggiungere la
più alta conoscenza cf. anche Clemente Alessandrino, Strom., II, 45,
52 Ps. Dionigi l'Areopagita

divina con la quale purifica, illum ina la conoscenza che


prim a non era in grado di contem plare le realtà poi
rivelate dalla più alta illuminazione; ed infine proprio
con la luce inizia alla scienza - che diventa connaturata
- delle più brillanti iniziazioni.
4. Questo è dunque, p er quanto ne so, il prim o or
ne delle essenze celesti, quello che circonda im m ediata­
m ente Dio e che danza in m odo semplice ed incessante­
m ente attorno alla sua eterna conoscenza in una stabili­
tà perpetuam ente mobile, la più alta di cui possano go­
dere gli angeli. Esso contem pla in m odo puro num erose
e beate visioni, è illum inato da semplici ed im m ediati
splendori, ed è riem pito di nutrim ento divino, vario da
u n a parte in virtù dell'effusione concessa come prim o
dono, ed unico dall’altra grazie all'unità semplicissim a
ed unificatrice del banchetto divino. Grazie alla somi­
glianza a Dio che riesce a raggiungere nella sua bella
condizione e nelle sue belle attività, è giudicato degno
di com unicare e collaborare con Lui in larga misura,
conosce in m odo superiore m olte cose divine e, nei limi­
ti del lecito, giunge a partecipare della scienza e della
conoscenza divine. Per questo la Parola di Dio ha tra­
smesso agli abitanti della terra certi suoi inni, nei quali
si rivela santam ente l’eccellenza della sua altissim a illu­
minazione. Per parlare in term ini sensibili l3\ alcuni di
questi inni gridano come un rumore d ’acqua 135: Sia bene­
detta dal suo luogo la gloria del Signore l3‘; altri annunzia­
no ad alta voce la parola divina cosi celebrata e venerata:
Santo, santo, santo il Signore Sabaot, tutta la terra

6 (II, 137, 6-9), V, 19, 2 (II, 338, 22-26); Corpus Herm., XIII, 8 (II, 203, 21
- 204, 4).
114 Dionigi am a ricorrere ad espressioni di questo tipo: cf. ad es.
De div. nom., II, 4 (PG 3, 641 A 13-14): «per usare esempi sensibili e
più adatti a noi».
135 Ez. 1, 24; Apoc. 19, 6.
134 Ez. 3, 12.
La gerarchia celeste - VII 53

è piena della sua gloria 137. Abbiamo già spiegato, per


quanto era possibile, questi altissim i inni delle intelli­
genze iperuranie nel nostro scritto «Gl’inni divini» l3e;
ed in esso abbiam o parlato abbastanza su quest’argo­
mento, secondo le nostre possibilità. Di conseguenza
basta ricordare nella presente circostanza che il prim o
ordine, avendo ricevuto dalla divina bo n tà l'illum inazio­
ne relativa alla scienza teologica, nella sua qualità di
gerarchia simile al bene la trasm ette agli ordini successi­
vi. Per dirla in breve, esso insegna loro che la divinità
veneranda, al disopra e nello stesso tem po oggetto di
tu tte le lo d il”, può essere ragionevolm ente conosciuta e
celebrata, nella m isura del possibile, dalle intelligenze
capaci di riceverla - sono proprio esse, in quanto simili
a Dio, i luoghi divini del riposo divino, di cui parlano gli
oracoli l4°; e che essa è una m onade ed u n ’un ità in tre
persone m, che estende la sua provvidenza oltrem odo
benevola a tu tti gli esseri, a partire dalle essenze iperu­
ranie fino agli ultim i esseri della terra 142, in quanto è il
principio superiore al principio 143 e la causa di ogni
essere 144, e tutto stringe in modo sovraessenziale con il
suo abbraccio assoluto l45.
137 Is. 16, 3.
138 È il titolo di uno degli scritti dello ps. Dionigi - o fittizi o anda­
ti perduti - da lui ricordati nelle sue opere a noi giunte.
139 Un’idea analoga era stata espressa da Gregorio di Nissa: la
virtù è al disopra di ogni lode, cf. De virg., 252, 25.
1,0 Cf. Is. 66, 1; Sai. 131, 14.
141 Questo tem a è trattato diffusamente nel secondo capitolo del
trattato Sui nomi divini.
142 Cf. Proclo, In Ale. pr., 53, 18-20; El. teol, 140 (124, 1-3); In Cra-
tyl, 174 (99, 4-5).
143 II termine «superiore al principio», hyperàrchios, è più volte
usato dallo ps. Dionigi (cf. A. van den Daele, Indices pseudo-dionysia-
ni, Louvain 1941, p. 138).
144 Che l'uno, il prim o principio, è anche la prim a causa era stato
già affermato da Proclo: cf. ad es. El. teol., 11 (12, 8 e 30); 12 (14, 1; 14,
22-23); 20 (22, 28); Teol. piai., Ili, 8 (III, 32, 4).
145 Cf. i riferim enti da me raccolti in «Journal of theological Stu-
dies», New Series, 31 (1980), n. 2, pp. 98-99.
CAPITOLO Vili

D e lle dominazioni, delle virtù e delle podestà, e della loro


gerarchia interm edia

1. Dobbiamo ora passare 146 all’ordine interm e


delle intelligenze celesti, contem plando per quanto è
possibile, con uno sguardo superiore a quello terre­
no 147, le dominazioni e le visioni veram ente possenti
delle divine podestà e virtù. Ogni nome delle essenze
che si trovano sopra di noi indica le proprietà caratteri­
stiche della loro somiglianza a Dio, basata sulla sua
imitazione. A mio parere, il nom e rivelatore delle santè
dominazioni sta ad indicare la loro elevazione che non
conosce schiavitù, che è libera da qualsiasi com piaci­
m ento per le cose basse, che non si lascia piegare in
nessun modo da nessuna dissomiglianza tirannica, che
si m antiene al disopra di tutto ciò che può produrre
u n ’avvilente schiavitù cosi come conviene alla libertà
propria delle dominazioni inflessibili [che non cede a
nessun compiacimento, che trascende ogni dissom iglian­
za] l4e, che desidera incessantem ente la vera dom inazio­
ne ed il principio della dominazione, che, nei limiti del
possibile, adatta benevolmente se stessa e le essenze

144 La stessa form ula introduttiva ricorre all’inizio del capitolo


quinto del trattato Sui nomi divini (PG 3, 816 B).
La stessa espressione si ritrova in De div. nom., V, 7 (PG 3, 821
B 4-5).
148 Sono propenso a considerare interpolate le parole messe tra
parentesi quadra, giacché ripetono concetti e term ini che ricorrono
poche righe prima.
La gerarchia celeste - Vili 55

inferiori alla piena rassom iglianza ad essa, che si volge


interam ente non verso le casuali apparenze, m a verso
l’essere sovrano e che, per quanto è possibile, giunge
ad essere sem pre partecipe della somiglianza a Dio, in
quanto principio di ogni dominazione. Il nom e delle
sante virtù indica invece il coraggio virile ed im pavido
che è presente in tutte le attività simili a Dio che sono
im prontate ad esso, che non s’indebolisce, rim anendo
inattivo, nel m om ento in cui riceve le illum inazioni divi­
ne che gli vengono concesse, che si eleva sem pre con
forza aH'imitazione di Dio, che non abbandona per debo­
lezza il suo m ovimento simile a Dio, che contem pla sen­
za deviazioni la potenza sovraessenziale, produttrice di
altre potenze l5G, che, per quanto è possibile, diviene l’im­
m agine della sua potenza, che si volge con forza verso
di essa in quanto è la potenza originaria, e che procede
verso gli esseri subordinati facendo dono di questa po­
tenza ed in m odo simile a Dio. Il nom e delle sante pode­
stà, uguali in rango alle divine dominazioni e virtù, indi­
ca < infine > l’ordine bello ed incontam inato caratteri­
stico della loro recezione di Dio, e la m isura della pode­
stà ultraterrena ed intelligente, che non abusa in modo
tirannico delle proprie potenti facoltà in vista delle cose
più basse; al contrario, essa si eleva verso le cose divine
im petuosam ente e < nello stesso tem po > con ordi­
ne 15‘, conduce in alto con sé in m odo simile a Dio le
essenze inferiori, si rende simile, nei limiti del lecito, al
principio della podestà, produttore di podestà 152, e lo
riflette negli ordini armoniosi della sua possente virtù,

145 Dio come essere per eccellenza è l’oggetto del quinto capitolo
del trattato Sui nomi divini.
150 Cf. De div. nom., V ili, 2 (PG 3, 889 D 1-9).
La stessa idea dell’elevazione ordinata verso il divino si ritro­
va in De div. nom., VII, 3 (PG 3, 872 Al).
152 Si tra tta di un ’idea analoga a quelle che ricorrono poche righe
prima: Dio è anche il «principio della dominazione» e «la potenza
sovraessenziale, produttrice di altre potenze».
56 Ps. Dionigi l'Areopagita

per quanto è possibile agli angeli. Possedendo queste


facoltà simili a Dio, l’ordine interm edio delle intelligen­
ze celesti viene purificato, illum inato ed iniziato, nel
modo, prim a illustrato, dalle illuminazioni divine che gli
vengono concesse in una seconda fase tram ite il prim o
ordine gerarchico e che si trasm ettono attraverso l’ordi­
ne interm edio con degli splendori secondari.
2. E certo la parola che, secondo il racconto < sc
turale > , fu profferita da un angelo aH’indirizzo di un
altro angelo 153 potrebbe essere da noi in terp retata come
il simbolo dell’iniziazione che, perfetta alla sua lontana
origine, si fa più pallida m an m ano che procede verso il
secondo ordine. Come infatti, a detta degli esperti dei
nostri sacri misteri, le rivelazioni dirette delle realtà di­
vine sono più perfette delle partecipazioni alle visioni
divine rese possibili da altri, cosi, a mio avviso, la parte­
cipazione diretta degli ordini angelici che per prim i ten­
dono ad unirsi a Dio è più chiara delle iniziazioni com­
piute dagl’in te rm e d ia ril54. Per questo anche la nostra
tradizione sacerdotale chiam a le prim e intelligenze le
virtù iniziatrici, illum inatrici e purificatrici delle intelli­
genze inferiori, che vengono elevate dalle prim e verso il
sovraessenziale principio di tu tto e che, nella m isura
del lecito, giungono a partecipare delle purificazioni,
delle illuminazioni e delle iniziazioni proprie del princi­
pio iniziatore. Questa è la legge universale, istituita in
modo degno di Dio dal divino principio dell’ordine: gli
esseri del secondo ordine devono essere partecipi delle
illuminazioni divine tram ite gli esseri del prim o ordine.
Puoi tu stesso constatare come questo trovi conferm a in
num erose rivelazioni dei te o lo g i155. Quando il divino e

,!1 Cf. Zac. 2, 7-8.


La m isura della partecipazione al bene, il primo principio, si
riduce man mano che si scendono i gradini della scala gerarchica a
causa della minore capacità di partecipazione propria degli esseri
inferiori, cf. Proclo, In Ale. pr., 2, 6-8 e 181, 20.
155 Per Dionigi, i profeti dell'Antico Testamento, san Paolo e Iero-
La gerarchia celeste - Vili 57

paterno am ore per gli uom ini educò Israele p er farlo


convertire alla sua santa salvezza, lo lasciò in balia di
popoli punitori e crudeli perché si correggesse e perché
le persone che erano oggetto della provvidenza divina
subissero un radicale miglioramento, ed infine lo liberò
dalla prigionia, conducendolo dolcem ente alla sua pre­
cedente felicità 1S6, Zaccaria, uno di questi teologi, vide
un angelo - a mio parere, si trattav a di uno dei primi, di
quelli che si trovano vicino a Dio (come ho già detto, il
nom e «angelo» è com une a tu tte le essenze celesti '” ) -
nell’atto di ascoltare da Dio stesso le cosiddette parole
consolatrici15e; un altro angelo, uno di quelli inferiori,
andava incontro al primo, cam m inando di fronte a
l u i IS9, come per accogliere l’illuminazione ed esserne
partecipe: era iniziato alla conoscenza del volere di Dio
dall’altro, che era il suo gran sacerdote l6°, e riceveva il
com pito di far sapere al teologo, iniziandolo, che Geru­
salem m e sarebbe stata abbondantemente abitata da una
m oltitudine di uom ini ]6‘. Un altro teologo, Ezechiele, ci
dice che questa legge è stata santam ente istituita dalla
divinità - superiore alla gloria - che discese sui Cherubi­
ni Quando, come si è detto, educò Israele con il suo
paterno am ore per gli uomini conducendolo a miglior
vita, con la sua giustizia degna di Lei decretò che gl’in­
nocenti fossero separati dai colpevoli. A questa decisio­
ne fu iniziato per prim o tra i Cherubini quello che aveva

teo, essendo iniziati alle visioni, possiedono una più alta conoscenza
della divinità e possono quindi a buon diritto essere chiamati
«teologi».
,s‘ Cf. Am. 9, 14.
157 Cf. sopra, il quinto capitolo.
,s‘ Zac. 1, 13.
159 Cf. Zac. 2, 7.
,i0 Già san Paolo (Ebr. 9, 11) aveva identificato il gran sacerdote
con Cristo.
Zac. 2, 8.
Cf. Ez. 10, 18.
58 Ps. Dionigi l'Areopagita

i fianchi recinti di zaffiro e che indossava una lunga


tunica, simbolo della dignità gerarchica l63; ai rim anenti
angeli, che portavano le scuri IM, il divino principio del­
l’ordine com andò di farsi iniziare dal prim o a questa
decisione divina: m entre ordinò al prim o di attraversa­
re Gerusalemme e di segnaré la fronte degl’innocenti l65,
agli altri disse: Andate in città dietro di lui, colpite, e
non abbiate uno sguardo pietoso, m a non avvicinatevi a
coloro che recano un segno < sulla fronte > l66. E che
cosa si può dire a proposito dell’angelo che disse a Da­
niele la parola è stata profferita l67, e del prim o angelo
che prese il fuoco dei C h eru b in i|6β, e dell’episodio in cui
i Cherubini m ettono il fuoco nelle m ani dell’angelo che
indossa la santa stola 169 - esso è u n ’ulteriore prova del
bell’ordine angelico - o di colui che chiam ò il divinissi­
mo Gabriele e gli disse: Istruiscilo sulla visione l7°, o di
tu tti gli altri racconti fatti dai santi teologi a proposito
dell’ordine arm onioso e simile a Dio delle gerarchie cele­
sti? A quest’ordine si rende simile, p er quanto è possibi­
le, quello della nostra gerarchia, che reca riflessa in sé,
come in u n ’immagine, la bellezza angelica; è quest’ulti-
m a che le dà la sua im pronta, e che la eleva verso il
sovraessenziale principio di ogni ordine gerarchico.

Cf. Ez. 9, 2-3; 9, 11.


,M Cf. Ez. 9, 2.
165 Cf. Ez. 9, 4.
Ez. 9, 5-6.
167 Dan. 9, 23 (Teodoz.).
Cf. Ez. 10, 6-7.
165 Cf. Ez. 10, 7.
170 Dan. 8, 16.
CAPITOLO IX

Dei principati, degli arcangeli, degli angeli e dell’ultima


gerarchia form ata da e ssi

1. Ci resta ora da contem plare santam ente l’ordine


che conclude le gerarchie angeliche, quello form ato dai
principati, dagli arcangeli e dagli angeli simili a Dio.
Penso di dover parlare innanzitutto, secondo le mie pos­
sibilità, delle rivelazioni im plicite nei loro santi nomi. Il
nom e dei principati celesti sta ad indicare il loro ruolo
di com ando e di guida simile a Dio, caratterizzato da un
ordine sacro, che si addice in modo perfetto a delle
potenze incaricate di com andare; ed anche il fatto che
essi si volgono interam ente verso il principio superiore
ad ogni principio, com andano sulle altre essenze inferio­
ri e le guidano, ricevono p er quanto è possibile un’im ­
pronta del principio produttore di ogni principio, e lo
rivelano come il sovraessenziale principio dell’ordine,
grazie all'arm onia delle loro facoltà destinate al
comando.
2. I santi arcangeli appartengono allo stesso rango
dei principati celesti: come ho già detto, entram bi for­
mano, assiem e agli angeli, un unico ordine gerarchico.
Ma poiché non esiste una gerarchia che non com prenda
potenze superiori, interm edie ed inferiori, il santo ordi­
ne degli arcangeli, grazie alla sua collocazione interm e­
dia nella gerarchia, è partecipe di entram bi gli estremi,
in quanto ha alcune proprietà in com une con i santissi­
mi principati e con i santi angeli: < è simile > agli uni
in quanto, come i principati, si volge verso il principio
60 Ps. Dionigi l'Areopagita

sovraessenziale, ne riceve l’im pronta per quanto è possi­


bile ed unifica gli angeli grazie alla sua guida arm onio­
sa, ordinata ed invisibile; < ed è simile > agli altri,
perché appartiene anch’esso all’ordine degl’interpreti, in
quanto riceve le illuminazioni divine per via gerarchica
tram ite le potenze pili alte, le annunzia benevolmente
agli angeli e le rivela a noi tram ite essi, in proporzione
alla santa capacità < di com prendere > propria di cia­
scun essere divinam ente illum inato. Gli angeli infine,
come già abbiam o avuto m odo di dire, com pletano e
concludono gli ordini delle intelligenze celesti: fra le
essenze celesti, sono gli ultim i a possedere la facoltà di
annunziare, e vengono chiam ati da noi «angeli» a mag­
gior titolo degli esseri che li precedono in quanto il loro
ordine gerarchico si riferisce < in particolare > a ciò
che è più m anifesto e più vicino a questo mondo. Come
si è detto, dobbiam o ritenere che l’ordine più alto, essen­
do il più vicino all’arcano grazie alla sua collocazione,
inizi in modo m isterioso il secondo; che il secondo, com­
posto dalle sante dominazioni, virtù e podestà, guidi la
gerarchia dei principati, degli arcangeli e degli angeli;
che la funzione < della seconda gerarchia > sia più
m anifesta di quella della prim a, e più nascosta di quella
dell’ultima; ed < infine > , che l’ordine rivelatore dei
principati, degli arcangeli e degli angeli sia preposto
alla gerarchia um ana m. In tal modo, da una parte l'ele­
vazione e la conversione a Dio, e cosi pure lo stretto
rapporto e l’unione con Lui, avranno luogo ordinata-
m ente; dall’altra l’emanazione < divina > , concessa be­
nevolmente da Dio a tutte le gerarchie, le visiterà tutte
secondo una santissim a arm onia. Per questo la Parola
di Dio ha assegnato agli angeli la tutela della nostra

Secondo Clemente Alessandrino, Strom., VII, 6,4 (III, 6,16-17)


sarebbero stati gli angeli inferiori a trasm ettere la filosofia ai Greci
(cf. anche Enoch 16, 3); e sono sem pre gli angeli a distribuire agli
uomini i vari beni, Strom., VI, 161, 2 (II, 514, 34-35).
La gerarchia celeste - IX 61

gerarchia, chiam ando Michele arconte del popolo ebrai­


co 172 e gli altri angeli arconti degli altri popoli in
effetti, l’Altissimo ha fissato i confini dei popoli secondo
il num ero degli angeli di Dio 17\
3. All’obiezione: Come m ai solo il popolo ebraico
elevato alle illum inazioni divine?, si dovrebbe risponde­
re che non si deve attribuire alla retta tu tela degli ange­
li la colpa della deviazione degli altri popoli verso < il
culto di > dèi non veri: furono essi, p er propria decisio­
ne, ad abbandonare la retta ascesa verso il divino, a
causa del loro egoismo, della loro presunzione e della
loro venerazione, com m isurata a questi vizi, per ciò che
essi ritenevano degno di Dio. Secondo le testimonianze,
lo stesso popolo ebraico fu vittim a di quest’errore. È
detto infatti: Hai respinto la conoscenza di Dio, ed hai
cam m inato dietro il tuo cuore l7\ La nostra vita non è
asservita alla necessità e la luce divina propria degli
splendori della provvidenza non è affievolita dal libero
arbitrio degli esseri che ne sono oggetto; è la dissom i­
glianza che esiste tra le capacità visive delle diverse
intelligenze o ad im pedire del tutto la partecipazione
alla luce sovrabbondante concessa dalla bontà del Pa­
dre e la sua penetrazione nella loro durezza, o a produr­
re diverse partecipazioni - minori o maggiori, più debo­
li o più forti - al raggio originario che è unico, semplice,
sem pre identico a se stesso ed oltrem odo diffuso 17t. An­
che gli altri popoli - provenendo dai quali anche noi
abbiam o levato lo sguardo verso il m are infinito e so­
vrabbondante della luce divina, generosam ente dispo­
sta a concedersi - furono tutelati non da estranei, m a

172 Dan. 10, 13; 10, 21 (Teodoz.).


173 Cf. Dan. 10, 13; 10, 20 (Teodoz.).
174 Deut. 32, 8.
1,5 Os. 4, 6; Ger. 7, 24.
176 La stessa idea si trova anche in De div. nom., II, 6 (PG 3 644 B 4
C 5).
62 Ps. Dionigi l'Areopagita

dall’unico principio universale; fu verso di esso che gli


angeli iniziatori, assegnati a ciascun popolo, elevarono
coloro che erano disposti a seguirli Melchisedech, il
grande amico di Dio, va concepito come il gran sacerdo­
te non dei falsi dèi, m a del Dio altissimo, realm ente
esistente |7β. Gli esperti nei m isteri divini non lo chiam a­
no soltanto amico di Dio, m a anche sacerdote 179, per
m ostrare chiaram ente ai saggi che egli non si limitò a
volgersi verso il Dio realm ente esistente, ma, nella sua
q ualità di gran sacerdote, insegnò anche ad altri ad ele­
varsi verso la divinità vera ed unica.
4. Ricorderò anche questo alla tu a intelligenza
gran sacerdote: furono rispettivam ente l’angelo che ave­
va in tutela gli Egiziani e l’angelo assegnato < ai Babilo­
nesi > a com unicare nelle visioni sia al Faraone che al
capo dei Babilonesi la sollecitudine e la potenza della
provvidenza e della signoria universale ieo. Quei popoli
ebbero come guide gli adoratori del vero Dio: tram ite
gli angeli Dio rivelò a due uom ini assai vicini ad essi,
Daniele e Giuseppe, la spiegazione delle visioni inviate
sem pre per mezzo degli a n g e li161. Unico è il principio
universale, ed unica è la provvidenza: non si deve asso­
lutam ente pensare che la divinità si sia riservata la gui­
da degli Ebrei, e che degli altri angeli, dello stesso suo
livello o contrapposti ad essa, o anche degli altri dèi
tutelino gli altri popoli. Anche i detti oracolari vanno
interpretati secondo questo santo pensiero ιβ2: Dio non
si è diviso con altri dèi e con altri angeli la guida di noi

177 L’idea dell’assegnazione degli angeli ai diversi popoli si trova


già in Clemente Alessandrino, cf. Strom., VI, 157, 5 (II, 513, 6-7); VII,
6, 4 (III, 6, 17-18).
,7! Cf. Gen. 14, 18; Ebr. 7, 1.
179 Cf. Gen. 14, 18; Sai. 109, 4; Ebr. 7, 1-3.
,!0 Cf. Gen 41, 1-7; Dan. 2, 1-3.
'·' Cf. Dan. 2, 16-49; Gen. 41, 14-36.
182 Cf. Rom. 3, 29-30; 10, 12.
La gerarchia celeste - IX 63

uomini, né è toccato in sorte ad Israele per essere suo


capo e guida; al contrario, anche se l’unica provvidenza
universale dell’Altissimo h a affidato tutti gli uom ini per
salvarli alla guida elevatrice dei rispettivi angeli l83,
Israele è stato pressoché l'unico, tra tutti i popoli, a
volgersi verso l’illuminazione del vero Signore ed a rico­
noscerlo. Per questo la Parola di Dio, allo scopo di dim o­
strare come Israele si sia votato al culto del vero Dio,
dice divenne parte del Signore IM. E per farci vedere che
anche Israele, al pari dei rim anenti popoli, fu affidato
ad uno dei santi angeli perché tram ite lui riconoscesse
l'unico principio universale, ci dice che Michele guidò il
popolo ebraico 18S. < In tal modo > essa c’insegna chia­
ram ente che unica è la provvidenza universale che si
trova, in modo sovraessenziale, al disopra di tu tte le
potenze visibili ed invisibili 18‘, e che gli angeli che tute­
lano ciascun popolo elevano secondo le proprie possibi­
lità verso di essa, in quanto loro principio, coloro che
sono disposti a seguirli.

1,3 In Clemente Alessandrino, Strom., VI, 159, 9 (II, 514, 5-10), VII,
3 (III, 6, 13-14), VII, 6, 5-6 (III, 6, 19-28) si ritrova la stessa idea che
compare in questo passo dello ps. Dionigi: tutti i popoli sono ogget­
to dell'unica provvidenza di un unico Dio.
Deut. 32, 9.
,9S Cf. Dan. 10, 13; 10, 21.
186 L’accostamento dei termini «visibili» e «invisibili» richiama
san Paolo, Col. 1, 15 (subito dopo, Col. 1, 16, sono nom inati i vari
ordini angelici). Sull'unica provvidenza divina cf. Clemente Alessan­
drino, Strom., VI, 159, 8 (II, 514, 4-5); VI, 159, 9 (II, 514, 8-9).
CAPITOLO X

Ricapitolazione so m m aria d ell'arm on ioso ordine angelico

1. Abbiamo dunque m ostrato succintam ente come il


prim o ordine delle intelligenze che si trovano attorno a
Dio venga iniziato daH’illuminazione iniziatrice in quan­
to tende ad unirsi direttam ente ad essa, e come venga
purificato, illum inato e reso perfetto dall’irraggiam ento
prodotto dalla divinità, insiem e più segreto e più brillan­
te: più segreto in quanto è più intellegibile e produtto­
re, in m isura maggiore, di sem plicità e di unità; più
brillante, in quanto rappresenta il prim o dono, è il p ri­
m o ad apparire, è più integro e si riversa maggiorm ente
nel prim o ordine, che è il più trasparente. Analogamen­
te, il secondo grado è elevato per via gerarchica dal
prim o verso il principio - superiore ad ogni principio -
ed il limite di ogni ordine, secondo la stessa legge stabi­
lita daH’arm onioso principio di ogni ordine e caratteriz­
zata dall'arm onia e dalla proporzione divina; ed allo
stesso processo sono soggetti il terzo grado ad opera del
secondo e la nostra gerarchia ad opera del terzo grado.
2. Tutte le intelligenze celesti rivelano ed annunzia­
no gli esseri che si trovano prim a di loro: le intelligenze
più originarie rivelano ed annunziano il Dio che le m uo­
ve; e similmente le rim anenti rivelano ed annunziano
gli esseri che sono m ossi da Dio. La sovraessenziale
arm onia universale ha provveduto a tal punto al sacro
ordine di ciascun essere razionale ed intelligente ed alla
sua elevazione ben regolata, che ha stabilito dei sacri
ordini anche in ciascun grado gerarchico: vediamo quin­
La gerarchia celeste - X 65

di non solo che ogni grado gerarchico è diviso in poten­


ze superiori, interm edie ed inferiori, m a anche che cia­
scuno di questi ordini - per parlare in term ini appro­
priati 187 - presenta delle distinzioni basate sulle stesse
arm onie divine. Per questo i teologi dicono che gli stessi
divinissimi Serafini gridano l'uno all’altro 188: a mio pare­
re, essi m ostrano in tal m odo chiaram ente come i prim i
esseri trasm ettano ai secondi la conoscenza della di­
vinità.
3. Ed aggiungerei anche questo, non senza ragion
anche ogni intelligenza celeste ed um ana, considerata in
se stessa, possiede facoltà distribuite ordinatam ente in
gradi superiori, interm edi ed inferiori e che si m anifesta­
no secondo le elevazioni di cui si è parlato, prodotte
dalle illuminazioni che ciascuna di esse riceve per via
gerarchica; grazie ad esse, ciascuna intelligenza diventa
partecipe, nella m isura che le è consentita e che riesce a
raggiungere, della purificazione oltrem odo pura, della lu­
ce sovrabbondante, e della perfezione che è anteriore al­
la perfezione. Nulla è autosufficiente e può fare a meno
totalm ente della perfezione, eccetto il principio veram en­
te autosufficiente ed anteriore alla perfezione

1,7 Lo ps. Dionigi ama ricorrere a simili espressioni, cf. De d


nom., XI, 6 (PG 3, 953 D 7).
m Cf. Is. 6, 3.
La dottrina aristotelica, filoniana e neoplatonica dell’assoluta
autosufficienza del prim o principio si ritrova in Clemente Alessan­
drino, Strom., V, 68, 2 (II, 371, 16); VII, 14, 5 (III, 11, 9); Origene,
Comm. in Giov., XIII, 34 (259, 20-21); Gregorio di Nissa, De an. et res.,
PG 46, 96 A 3-5.
CAPITOLO XI

Perché tutte le e sse n ze celesti ven gon o chiam ate


indistintam ente «virtù celesti»

1. Una volta definiti questi concetti, vale la pena di


chiedersi come mai siamo soliti chiam are «virtù celesti»
tutte le essenze angeliche nel loro complesso. Non si
può certo dire, come a proposito degli angeli, che l’ulti­
mo ordine è quello delle sante virtù; che, m entre gli
ordini delle essenze superiori sono partecipi della santa
illuminazione degli ultimi ordini, lo stesso non si verifi­
ca affatto a proposito degli ultimi, considerati nei loro
rapporti con i primi; e che quindi tu tte le intelligenze
divine possono essere chiam ate «virtù celesti» m a non
Serafini, troni e dominazioni (le ultim e essenze non so­
no infatti partecipi di tutte quante le proprietà delle
superiori). Gli angeli e prim a di essi gli arcangeli» i prin­
cipati e le podestà, collotati dalla Parola di Dio al disot­
to delle virtù, spesso vengono chiam ati da noi indistinta­
m ente «virtù celesti» al pari delle altre sacre essenze.
2. Noi però diciamo che, quando usiam o il nome
delle virtù celesti riferendoci a tu tte le essenze < angeli­
che > , non intendiam o affatto confondere le proprietà
di ciascun ordine: al contrario, poiché in base al criterio
ultraterreno che le riguarda tutte le intelligenze divine
possono essere divise in tre modi, vale a dire secondo
l’essenza, secondo la potenza (o virtù) e secondo l’atto,
bisogna supporre che noi, quando le chiam iam o o tutte
o in parte «essenze celesti» o «virtù celesti» senza riflet­
tere troppo, designiamo gli esseri di cui parliam o con
La gerarchia celeste - XI 67

u na perifrasi, ossia in base all’essenza e alla virtù pre­


sente in ciascuno di essi; non intendiam o certo attrib u i­
re alle essenze inferiori le proprietà delle sante virtù, da
noi già ben definite, sovvertendo il principio ordinatore
delle gerarchie angeliche, che non am m ette confusione.
In base al criterio da noi più volte correttam ente spiega­
to, gli ordini più alti possiedono in modo sovrabbondan­
te anche le sacre proprietà di quelli più bassi, m entre
gli ultim i ordini non possiedono integralm ente le pro­
prietà superiori dei primi: tram ite questi, le illum inazio­
ni originarie vengono trasm esse solo parzialm ente ad
essi, secondo le loro capacità.
CAPITOLO XII

C o m e mai i gran sacerdoti - che pure so n o uomini -


ven gon o chiam ati angeli

1. Anche su questo indagano coloro che am ano ri­


flettere sul senso degli oracoli intellegibili: se gli ultimi
esseri non sono partecipi delle integre proprietà degli
esseri superiori, perché mai il nostro gran sacerdote è
chiam ato angelo del Signore onnipotente ',0?
2. A mio parere, quest'appellativo non contraddice
le definizioni date in precedenza. Noi diciamo infatti
che gli ordini, p u r difettando delle virtù integre e supe­
riori proprie dei primi, ne sono tuttavia partecipi in
modo parziale e corrispondente < alle loro capacità > ,
grazie a quell’unica com unione che arm onizza e lega tra
loro tutti gli esseri. Cosi l’ordine dei Cherubini è parteci­
pe della più alta sapienza e conoscenza, m entre gli ordi­
ni delle essenze inferiori partecipano di una sapienza e
conoscenza che può essere solo parziale ed inferiore se
paragonata a quella dei Cherubini. L’essere partecipi in
modo generico della sapienza e della conoscenza è una
proprietà com une a tu tte le intelligenze simili a Dio;
Tesserne invece partecipi in m odo più diretto ed im m e­
diato, e in m odo indiretto e subordinato non è più una
proprietà comune, m a dipende dal posto assegnato a
ciascun essere in base alle sue capacità. E non sarebbe
sbagliato fissare il seguente principio a proposito di tu t­
te le intelligenze divine: come le prim e intelligenze pos-

1,0 Mal. 2, 7.
La gerarchia celeste - XII 69

siedono in m odo sovrabbondante le sacre proprietà del­


le inferiori, cosi le ultim e possiedono le proprietà delle
prim e non in modo simile, m a in m isura inferiore. Non
è quindi assurdo, a mio avviso, se la Parola di Dio chia­
m a «angelo» anche il nostro gran sacerdote, che secon­
do le sue capacità è partecipe della funzione interpreta­
tiva propria degli angeli e m ira ad assim ilarsi alla loro
attività rivelatrice, per quanto è possibile agli uomini.
3. Avrai m odo di constatare che la Parola di D
chiam a «dèi» sia le essenze celesti e superiori a noi sia
quelli tra i nostri santi uomini che sono più am anti di
Dio m, anche se l’arcano divino trascende tu tti gli esseri
e si trova al disopra di essi in modo sovraessenziale, ed
anche se nessun essere può a buon diritto ed in m isura
integrale essere chiam ato con un appellativo simile a
quello della divinità ”2. Eppure, se mi è consentito espri­
merm i cosi, quegli esseri intelligenti e razionali che per
quanto possono si volgono interam ente verso l’unione
con essa e si aprono incessantem ente, nella m isura del
possibile, alle sue divine illuminazioni, sono ritenuti de­
gni di ricevere lo stesso nom e divino grazie all’im itazio­
ne di Dio che riescono a realizzare con le loro forze.

1.1 Cf. Gen. 32, 29 e 31; Os. 12, 4 (sull'angelo che riceve l’appellati­
vo «dio»); Sai. 81, 6; Gv. 10, 34 (sugli uomini chiamati «dèi»).
1.2 Alla base di quanto è detto qui c’è la dottrina dell’assoluta tra­
scendenza ed ineffabilità di Dio. Sul nome di Dio nascosto e superio­
re a qualsiasi nome, cf. anche Gen. 32, 30; Es. 6, 3; Ef. 1, 21; Fil. 2, 9.
CAPITOLO XIII

Perché si dice che il profeta Isa ia sia stato purificato da


un Serafin o

1. Esam iniam o anche questa questione, secondo le


nostre possibilità: perché mai si dice che un Serafino
sia stato inviato ad uno dei teologi 193? Ci si potrebbe
stupire del fatto che a purificare l’interprete sia stato
non uno degli angeli inferiori, m a proprio uno degli
angeli annoverati tra le prim e essenze.
2. In base all’idea della com unione tra tu tte le intelli­
genze da noi poc’anzi definita, alcuni afferm ano che se­
condo l’oracolo a purificare il teologo sarebbe venuta
non una delle prim e intelligenze che si trovano attorno
a Dio, ma uno degli angeli che tutelano noi uomini:
sacro artefice della purificazione del profeta, sarebbe
stato chiam ato Serafino perché cancellò in un incendio
i peccati riferiti < dagli oracoli > l94, ed accese nella
persona purificata il sentim ento dell’obbedienza a
Dio 195. Secondo loro l’oracolo, nom inando uno dei Sera­
fini, si sarebbe riferito non ad uno di quelli che si trova­
no attorno a Dio, m a sem plicem ente ad una delle poten­
ze purificatrici che ci tutelano.
3. Un altro interprete mi ha proposto, per il presen­
te problem a, u n ’altra soluzione, non tanto assurda: mi
ha detto che il grande essere - chiunque fosse l’angelo

1,3 Cf. Is. 6, 6.


Cf. Is. 6, 6-7.
1,5 Cf. Is. 6, 8.
La gerarchia celeste ■ XIII 71

che produsse la visione allo scopo d’iniziare il teologo


alle verità divine 196- fece risalire la propria attività puri­
ficatrice a Dio e, dopo di Lui, alla gerarchia che compie
gli atti più originari. Forse questo ragionam ento è più
conforme alla verità? Chi si è espresso cosi ha afferm a­
to che la potenza divina giunge dappertutto ed attraver­
sa tu tto senza im pedim enti, rim anendo nello stesso tem ­
po invisibile a tu tti gli esseri non solo perché li trascen­
de tutti in m odo sovraessenziale, m a anche perché eser­
cita nascostam ente su tu tto la propria attività provvi­
denziale. Purtuttavia, essa si rivela a tu tti gli esseri intel­
ligenti in m odo corrispondente alle loro capacità, e men­
tre invia la propria luce alle essenze più originarie, la
trasm ette ordinatam ente tram ite le prim e anche a quel­
le inferiori, a seconda della capacità di vedere Dio che
ogni ordine possiede in m isura proporzionata. Parlerò
in m odo più chiaro, servendomi di esempi più alla no­
stra portata che, pur essendo inadeguati al Dio che tu t­
to trascende, sono per noi più evidenti: il raggio solare,
nel m om ento in cui si trasm ette, penetra bene attraver­
so la prim a m ateria, che è la più trasparente, e fa ri­
splendere più chiaram ente in essa i propri splendori;
m a quando s'im batte in m aterie più spesse, appare più
pallido m entre si diffonde, a causa dell'incapacità della
m ateria illum inata di trasm ettere la luce; ed a poco a
poco si spegne, quando da questo tipo di m ateria passa
a quella che è assolutam ente incapace di trasm etterlo.
Analogamente, il calore del fuoco si trasm ette di più
nella m ateria che è più in grado di riceverlo e che è più
disposta a diventare simile ad esso e a trasm etterlo; al
contrario, nelle sostanze resistenti o del tu tto refrattarie
o non c'è alcun segno della sua attività incendiaria o ne
appare solo una pallida traccia. Questo si verifica ancor
più quando il fuoco s'im batte in sostanze non affini do­
po avere attraversato sostanze più vicine alla sua n atu­

,9‘ Cf. Is. 6, 1-13.


72 Ps. Dionigi l'Areopagita

ra, quando cioè prim a rende incandescenti i corpi facil­


m ente infiamm abili e poi, dopo averli attraversati, cer­
ca di riscaldare proporzionalm ente o l’acqua o qualcu­
na di quelle sostanze che non bruciano facilmente. Se­
condo lo stesso criterio proprio del bell'ordine naturale
il principio di ogni bell’ordine visibile ed invisibile fa
apparire in modo sovrannaturale lo splendore della pro­
pria luce prim a alle essenze più alte, riversandolo su di
esse in m isura più che generosa, e < poi > , tram ite
queste, alle essenze inferiori che < cosi > divengono
partecipi del raggio divino. Le essenze più alte, essendo
le prim e a riconoscere Dio e a desiderare in m isura
superiore la virtù divina, sono ritenute degne di diventa­
re le prim e trasm ettitrici della facoltà d’im itare Dio nei
limiti del possibile e dell’attività relativa, e, per quanto
possono, spingono benevolmente le essenze inferiori ad
em ularle, trasm ettendo loro benevolm ente lo splendore
ricevuto. Allo stesso modo, quest’ultim e lo trasm ettono
alle inferiori; ed in ciascun ordine l’essenza superiore
trasm ette a quella inferiore la luce divina che le è con­
cessa e che raggiunge tutte le essenze secondo u n a prov­
videnza proporzionata < alle loro capacità > . Per tutti
gli esseri che vengono illum inati Dio è dunque il vero e
proprio principio naturale dell’illuminazione, in quanto
è l’essenza e la causa della luce; m a in virtù della loro
posizione e della loro im itazione di Dio < i principi
dell’illuminazione > di ogni essenza inferiore sono an­
che le essenze relativam ente superiori, attraverso le qua­
li la luce divina è trasm essa alle altre. È naturale quindi
che le essenze di tutti gli altri angeli considerino il più
alto ordine delle intelligenze celesti come il principio -
che viene subito dopo Dio - di ogni sacra conoscenza e
di ogni imitazione di Lui, giacché è proprio tram ite loro
che la divina illuminazione viene concessa ad esse tutte
ed a noi; e per questo esse fanno risalire ogni sacra
attività im itatrice di Dio < da una parte > a Lui in
quanto sua causa, e < dall’altra > alle prim e intelligen-
La gerarchla celeste - XIII 73

ze simili a Lui, in quanto prim e trasm ettitrici e m aestre


delle attività divine. Il prim o ordine dei santi angeli
possiede più di tu tti gli altri le proprietà di bruciare, di
trasm ettere la divina sapienza infusa in esso, di conosce­
re secondo la scienza più alta le illum inazioni divine, e
di essere troni - quest'ultim a indica la loro am pia rece­
zione di Dio. Gli ordini delle essenze inferiori sono an-
ch’essi partecipi delle facoltà di bruciare, di essere sa­
pienti, di conoscere e di ricevere Dio, m a solo in m isura
inferiore, e solo perché contem plano le prim e essenze e
vengono elevati alla possibile somiglianza a Dio da esse,
le prim e ad essere ritenute degne d’imitarle. Proprio
alle prim e essenze, oltre che a Dio, le essenze inferiori
attribuiscono dunque le sante proprietà di cui si è parla­
to, e di cui divengono partecipi tram ite esse.
4. Chi ci h a fornito queste spiegazioni ci ha anc
detto che quella visione fu rivelata al teologo < Isaia >
da uno dei santi e beati angeli che ci tutelano; grazie
alla sua guida luminosa, egli potè elevarsi alla sacra
contem plazione che gli perm ise di vedere - per parlare
in simboli - le essenze più alte poste sotto Dio, accanto
a Dio e attorno a Dio e la cim a superiore ad ogni princi­
pio, che trascendeva tutte le essenze, loro comprese, in
modo più che ineffabile e che si trovava in mezzo alle
virtù più alte, m a sem pre al disopra di esse 197. Da que­
sta visione il teologo apprese che, grazie alla sua assolu­
ta eccellenza sovraessenziale, la divinità è collocata, sen­
za possibilità di raffronto, al di sopra di ogni potenza
visibile ed invisibile che tu tto trascende in quanto
non è simile neanche alle prim e essenze, e che inoltre è
il principio e la causa universale produttrice di essenze
ed il fondam ento inalterabile deH’indistruggibile stabili­
tà degli esseri, dal quale anche le potenze più alte rice­

1,7 Cf. Is. 6, 1-2.


',8 Cf. Col. 1, 16-17.
74 Ps. Dionigi l'Areopagita

vono la loro esistenza e la loro beata condizione Fu


poi iniziato < alla conoscenza > delle facoltà simili a
Dio dei santissim i Serafini: il loro santo nome sta ad
indicare la loro n atu ra infuocata (ne riparlerem o tra
breve, quando cercherem o di spiegare nei limiti del pos­
sibile l’elevazione verso il divino prodotta dalla loro for­
za ignea); la sacra raffigurazione delle sei ali esprim e
invece lo slancio assoluto e sublim e verso la divinità
proprio dei loro primi, interm edi ed ultim i pensieri 20°.
Osservando i loro innum erevoli piedi ed i loro m oltepli­
ci volti, le loro ali che im pedivano di guardare attorno
ai piedi ed ai v o lti20', e l’incessante movimento delle ali
intermedie, il santo teologo fu elevato alla com prensio­
ne intellegibile della visione: gli vennero rivelate la ric­
ca facoltà contem platrice delle intelligenze pili alte, la
loro santa circospezione - che esercitano in modo ultra-
terreno per non im pegnarsi in u n ’indagine arrogante,
audace ed im possibile sui m isteri più alti e più profondi
- e la proporzionata ed incessante m obilità 202, tendente
verso l’alto, della loro attività im itatrice di Dio. Fu inizia­
to anche all’illustre canto di lode rivolto alla divini­
tà 203, giacché l’angelo che aveva im presso in lui la visio­
ne gli trasm ise per quanto potè la propria conoscenza
del sacro mistero. L’angelo gl’insegnò anche che per gli
esseri puri —in qualsiasi modo lo siano —la purificazio­
ne consiste nell’essere partecipi, per quanto è possibile,
della purezza propria della trasparenza divina. E questa
purificazione, che per ragioni trascendenti la divinità
stessa produce in modo m isterioso e sovraessenziale in

1,9 La stessa espressione si ritrova in De div. nom., IV, 1 (PG 3,696


A 4 ).
200 Sulle sei ali dei Serafini, cf. Is. 6, 2.
20! ££ Is 6 2

202 De div. 'nom., VI, 1 (PG 3, 856 B 1) e VIII, 4 (PG 3, 892 B 10). Il
termine è procliano: cf. ad es. In Tim., Ili, 9, 12.
205 Cf. Is. 6, 3.
La gerarchia celeste - XIII 75

tutte le sacre intelligenze, è più risplendente e si m anife­


sta e trasm ette maggiormente nelle potenze ad essa più
vicine in quanto più alte; nel caso invece delle potenze
intermedie, delle ultime e delle nostre facoltà intellet­
tuali, alla lontananza di ciascuna di esse rispetto alla
somiglianza a Dio corrisponde la m isura del ritiro del
suo risplendente irraggiam ento nell’unità sconosciuta
del suo arcano. La divinità risplende alle essenze di se­
condo rango tram ite le prime; per dirla in breve, il suo
arcano diventa manifesto solo tram ite le prim e potenze.
Al teologo l'angelo che l’ha illum inato ha insegnato che
la purificazione e tutte le attività divine che attraverso
le prim e essenze sono riflesse a tu tte le rim anenti vengo­
no trasm esse in base alla proporzionata capacità di cia­
scuna di esserne partecipe. Per questo < l'angelo > at­
tribuisce giustam ente ai Serafini oltre che a Dio la pro­
p rietà di purificare con il fuoco: non c’è quindi nulla di
assurdo nel dire che il Serafino purificò il teologo 20\
Come Dio purifica tutti in quanto è causa di ogni purifi­
cazione - o piuttosto, per usare un esempio che è più
alla nostra portata, come il nostro vescovo, nel m om en­
to in cui purifica ed illum ina tram ite i suoi m inistri o i
suoi sacerdoti, esercita personalm ente queste funzioni
per com une ammissione, giacché gli ordini da lui consa­
crati fanno risalire a lui la propria sacra attività; cosi
anche l’angelo che produce la purificazione nel teologo
fa risalire la propria essenza e facoltà purificatrice a
Dio in quanto causa, ed al Serafino in quanto prim o
iniziatore gerarchico. Con la circospezione degna di un
messaggero egli cosi istruisce per cosi dire colui che
purifica: «Della purificazione che ho prodotto in te è
principio trascendente, essenza, artefice e causa colui
che ha portato all’esistenza le prim e essenze, che le tie­
ne insieme facendole stare attorno a sé, che le m antiene
im m utabili ed indeflettibili e che le spinge ad essere

2M Cf. Is. 6, 7.
76 Ps. Dionigi l'Areopagita

partecipi per prim e della sua attività provvidenziale


(chi mi ha im partito tale insegnam ento mi ha detto che
l'invio del Serafino significa proprio questo); m a subito
dopo Dio, l'iniziatore gerarchico ed il capo vanno visti
nell’ordine delle essenze più originarie, dal quale sono
stato iniziato in modo divino alla purificazione. È esso
che ti purifica tram ite me; servendosi di esso, la causa e
l'artefice di ogni purificazione fa uscire dall’arcano e ci
rivela la sua attività provvidenziale». Tali cose mi ha
insegnato < il secondo interprete > ed io a m ia volta te
le trasm etto. Sta alla tua scienza intelligente e provvista
di senso critico risolvere il problem a o adottando una
delle due soluzioni sopra esposte e preferendola all'al­
tra in quanto più verosimile, più plausibile e forse più
vera, o trovando da te qualche altra soluzione più vicina
alla verità reale, o facendoti istruire da altri. È chiaro
com unque che sarà sem pre Dio a parlare, e che saranno
sem pre gli angeli a trasm ettere la sua Parola; per quan­
to ti sarà possibile, potrai in tal modo rivelare a noi,
cosi amici degli angeli, una visione più chiara ed a me
più gradita.
CAPITOLO XIV

Il sign ific a to delle m oltitudini angeliche, di cui parla la


tradizione < scritturale >

Penso che anche quest’altro tem a sia degno della


riflessione della nostra mente: la tradizione oracolare
relativa agli angeli parla di migliaia di migliaia e di
diecine di migliaia di m iria d i20S, ripetendo e m oltiplican­
do tra loro i nostri num eri più alti e rivelando cosi in
modo evidente gli ordini delle essenze celesti, per noi
innumerevoli. Grande è in effetti il num ero dei beati
eserciti delle intelligenze ultraterrene, che sorpassano il
debole ed angusto ordine dei nostri num eri m ateriali:
nel cam po conoscitivo, essi sono delim itati soltanto dal­
la loro attività intellettiva e dalla loro scienza u ltraterre­
na e celeste, concessa loro felicemente dalla divina ed
onnisciente fonte produttrice di ogni sapienza 2°6, che è
in modo sovraessenziale il principio di tu tti gli esseri, la
causa produttrice di essenze, la potenza che tu tto tiene
insieme ed il com pim ento che tu tto abbraccia.

2M Dan. 7, 10; Apoc. 5, 11.


Il motivo dell’infinita sapienza divina è trattato nel settimo
capitolo del De divinis nomintbus.
CAPITOLO XV

D elle im m agini che danno form a alle virtù angeliche e


degli altri argom enti su c c e s siv i

1. Ma ora, se lo ritieni opportuno, facciamo ripos


l’occhio della nostra intelligenza dallo sforzo, com m isu­
rato alla dignità degli angeli, in cui le contemplazioni
caratterizzate dall'unità e sublim i lo tengono im pegna­
to, e scendiamo verso la distesa - caratterizzata dalla
divisione e dalla m olteplicità di parti - propria della
variegata abbondanza delle forme angeliche; da esse -
che sono come im magini - ritornerem o quindi, per via
analitica, alla sem plicità delle intelligenze celesti. Que­
sto devi sapere innanzitutto: le illustrazioni proprie del­
le sacre im magini ci m ostrano talvolta che nelle gerar­
chie gli stessi ordini delle intelligenze angeliche com an­
dano e sono com andati; che gli ultim i ordini com anda­
no, m entre i prim i sono com andati; e che, come si è
detto, gli stessi ordini possiedono le facoltà prim arie,
interm edie ed ultime, senza che questo tipo di spiegazio­
ni introduca dei ragionam enti assurdi. E certo, se dices­
simo che certi ordini inferiori ora sono com andati dai
prim i ed ora li com andano; e che i prim i ordini, pur
com andando gli ultimi, sono com andati dagli stessi ordi­
ni che dovrebbero com andare, questa nostra afferm azio­
ne sarebbe veram ente assurda e darebbe adito ad una
grande confusione. Se però dicessimo che gli stessi ordi­
ni com andano e sono com andati non nel senso che co­
m andano su altri ordini e sono < nello stesso tem po >
com andati da essi, m a nel senso che ciascuno di essi è
La gerarchia celeste - X V 79

com andato dai prim i e com anda gli ultimi, non sarebbe
assurdo afferm are che le stesse sacre raffigurazioni de­
gli oracoli possono talvolta applicarsi in modo appro­
priato e veritiero alle prime, alle interm edie ed alle ulti­
me virtù < angeliche > ; e che le loro proprietà di rivol­
gersi verso l’alto, di girare attorno a se stesse in modo
costante conservando le loro facoltà, di essere partecipi
della funzione provvidenziale com unicando la loro em a­
nazione agli esseri di rango inferiore si addicono vera­
m ente a tutte le essenze celesti, anche se, come abbia­
mo spesso ripetuto, alcune le possiedono in m isura su­
periore ed interam ente, altre in m isura parziale ed in­
feriore.
2. Dando inizio al nostro esame, cerchiamo di stab
re, in una prim a spiegazione delle immagini, il motivo
per cui la Parola di Dio sem bra quasi preferire a tu tte le
altre la sacra raffigurazione rappresentata dal fuoco. È
possibile constatare che essa forgia non solo ruote infuo­
cate 207, m a anche animali ignei 208 e uom ini che risplen­
dono come il fuoco 20!l; e che pone attorno alle stesse
essenze celesti mucchi di carboni a rd e n ti210 e fiumi di
fuoco dall’im peto irrefrenabile 2 1 Essa ci dice anche
che i troni sono di fuoco 212 e ci presenta i più alti Serafi­
ni come creature incandescenti, conformi al loro nome,
attribuendo loro le proprietà e le funzioni del fuoco 2I3;
per dirla in breve, onora e predilige a tutti i livelli le
im magini basate sul fuoco. A mio parere, il fuoco è indi­
ce dell’aspetto più simile a Dio delle intelligenze celesti:
in effetti, i sacri teologi spesso rappresentano l’essenza

207 Cf. Ez. 1, 15; 10, 2; 10, 6; 10, 9; Dan. 7, 9 (Teodoz.).


208 Cf. Ez. 1, 13.
209 Cf. Dan. 10, 6.
2,0 Cf. Prov. 25, 22; Rom. 12, 20.
Cf. Dan. 7, 10.
212 Cf. Dan. 7, 9; Apoc. 4, 5.
2,3 Cf. Is. 6, 6.
80 Ps. Dionigi l'Areopagita

sovraessenziale e priva di fo rm a 2,4 come un fuoco, giac­


ché, se è lecito dirlo, esso possiede in sé m olte immagini
visibili delle proprietà divine. Il fuoco sensibile si trova,
per cosi dire, in tutte le cose, attraversa tutto senza
contam inarsi, trascende tu tto e conserva il suo splendo­
re p u r rim anendo nascosto: considerato in se stesso,
resta sconosciuto se non trova un supporto m ateriale in
cui esplicare la propria attività, m a nello stesso tem po è
irresistibile ed inguardabile. Tutto domina, e trasform a
nella propria energia tutto ciò in cui viene a trovarsi; si
trasm ette in tu tte le cose com unque gli si avvicinino,
rinnova grazie al suo calore vivificante, rischiara con
illuminazioni senza veli, non si lascia dom inare né con­
tam inare, divide e resta inalterabile, tende verso l’alto, è
veloce, sublim e e scevro da ogni bassa simulazione; si
muove perennem ente ed in modo uniforme, muove le
altre cose, le abbraccia senza esserne abbracciato, è au­
tosufficiente, cresce segretam ente, rivela la propria
grandezza nella m ateria che lo riceve, è attivo e potente;
si trova vicino a tutte le cose p u r restando invisibile e
sem bra non esistere quando non è ricercato, m a in se­
guito ad un soffregamento - che è come una ricerca di
esso - appare im provvisam ente in modo conforme alla
sua natura, e quindi sparisce in modo incomprensibile;
pur concedendosi sem pre in m isura cosi generosa, non
conosce diminuzioni. Sarebbe possibile trovare molte
altre proprietà del fuoco, che sono come immagini sensi­
bili dell'attività divina. Essendo a conoscenza di questo,
gli esperti nelle cose divine ricorrono al fuoco per raffi­
gurare le essenze celesti, e cosi m ettono in luce la loro
tendenza a rassom igliare a Dio e ad im itarlo per quanto
è possibile.
3. Essi le rappresentano anche sotto form a urna-

2I* Sull’associazione tra Dio ed il fuoco cf. Es. 3, 2; 14, 24; 19, 18;
Deut. 4, 24; Is. 4, 5; 29, 6; 30, 30; Sai. 88, 47.
La gerarchia celeste - X V 81

na 2I5, giacché l’uom o possiede l’intelligenza, u n a facoltà


visiva orientata verso l’a lto 2I6, u n a form a diritta ed eret­
ta 2I7, e l'attitudine naturale al com ando ed alla guida 21“;
p u r occupando l’ultim o posto nella sfera sensoriale se si
considerano le varie facoltà degli esseri viventi irrazio­
nali, egli li dom ina tutti grazie alla sovrabbondante po­
tenza della sua intelligenza, alla superiorità propria del
suo sapere razionale, ed all’assoluta libertà che la sua
anim a possiede per n a tu r a 2I9. In ciascuna delle varie
parti del nostro corpo è possibile osservare, io penso,
delle immagini adeguate delle virtù celesti. Possiamo
< cosi > dire che la facoltà visiva 220 indica la loro più
che trasparente contem plazione della luce divina, e la
loro recezione delicata, dolce, priva di resistenza, velo­
ce, pura, aperta e non passionale delle illuminazioni di­
vine; che la facoltà olfattiva indica la loro capacità di
percepire, per quanto è possibile, l’em anazione odorosa
che trascende l’intelligenza e di discem ere in m odo saga­
ce ciò che è estraneo ad essa rifuggendone totalm ente;
che la facoltà u d itiv a 221 indica la loro capacità di essere
partecipi del pensiero divino e di recepirlo, trasform an­
dolo in conoscenza; che il gusto 222 indica la loro capaci­
tà di saziarsi dei nutrim enti intellegibili e di abbeverar­
si ai condotti divini e nutritivi; che le facoltà ta ttili223
2,s Cf. Gen. 18, 2; 19, 5; 32, 25; Ez. 1, 10; Dan. 10, 5-6; Mt. 28, 3; Me.
16, 5; Le. 24, 4; Gv. 20, 12; Apoc. 4, 7.
216 Platone, Tim. 47 a-b, Clemente Alessandrino, Strom., IV, 163,1
(II, 320, 23); Gregorio di Nissa, De hom. opif., V ili (PG 44, 144 A
14-15).
217 Cf. Platone, Tim. 90 a, Clemente Alessandrino, Strom., IV, 163,
1 (II, 320, 22-23).
218 Sull’uom o che esercita il comando, cf. Gen. 1, 26; 2, 19; Grego­
rio di Nissa, De hom. opif., V ili (PG 44, 144 B 1-2).
219 Sulla suprem azia dell’uomo, cf. Gregorio di Nissa, De hom.
opif., V ili (PG 44, 145 A 6-9).
220 Sugli occhi degli angeli, cf. Dan. 10, 6; Ez. 10, 12; Apoc. 4, 6-8.
221 Cf. Sai. 102, 20.
222 Cf. Gen. 18, 5-8; 19, 3.
223 Cf. Giud. 6, 21.
82 Ps. Dionigi l’Areopagita

indicano la loro conoscenza scientifica di ciò che è utile


e di ciò che danneggia; che le palpebre e le sopracci­
glia 224 indicano la loro capacità di salvaguardare le loro
visioni intellettuali di Dio; che l’adolescenza e la giovi­
nezza 225 indicano la loro forza vitale, sem pre fiorente;
che i denti 226 indicano la loro capacità di dividere il
perfetto nutrim ento che è loro concesso (in effetti, ogni
essenza intelligente divide e moltiplica, con la sua attivi­
tà provvidenziale, il pensiero caratterizzato dall’unità
che le è stato trasm esso dall’essenza più divina, in mo­
do che l’essenza inferiore possa elevarsi secondo le sue
capacità); che le spalle, le braccia e le m ani 227 indicano
la loro capacità di produrre, di essere attive e di agire;
che il cuore 228 simboleggia la loro vita divina, che semi­
n a benevolmente la propria forza vitale negli esseri che
sono oggetto della loro provvidenza; che il petto 229 è
indice della loro inflessibilità e della loro capacità di
custodire la trasm issione della vita cosi come avviene a
proposito del cuore che si trova al di sotto di esso 23°;
che il d o rs o 231 indica la loro capacità di tenere insieme
tutte le facoltà produttrici di vita; che i piedi 232 indica­
no la mobilità, la prontezza e la celerità caratteristiche
del loro m ovimento eterno, che procede verso il divino.
Q uesta è la ragione per cui la Parola di Dio ha forgiato

224 Cf. Prov. 4,25. Evidentemente, per Dionigi queste parole si rife­
riscono ad un angelo.
225 Cf. Me. 16, 5.
226 Cf. de Gandillac, p. 175., n. 3.
227 Cf. Is. 9,5 (sulle spalle); Giud. 6,21; Sai. 90, 12; Ez. 1,8; 10,8; 10,
12; 10, 21; Dan. 12, 7; Apoc. 10, 5 (sulle mani).
228 Cf. Enoch 16,3 dove è ricordata esplicitamente la «durezza dei
cuori degli angeli».
229 Cf. Sir. 26, 18.
230 Secondo gli stoici il cuore era la sede del principio della vita,
delle sensazioni e degl'impulsi.
231 Cf. Ez. 1, 18; 10, 12.
232 Cf. Is. 6, 2; Apoc. 10, 2.
La gerarchia celeste · XV 83

piedi alati per le sante intelligenze 233: l'ala è infatti il


simbolo della prontezza dell’elevazione, di ciò che è cele­
ste, di ciò che apre la strad a verso l’alto e di ciò che si
separa da ogni bassezza grazie alla sua capacità di ele­
varsi, m entre la sua leggerezza sta ad indicare l’assoluto
distacco dalla terra e l’elevazione verso l’alto, scevra da
qualsiasi com m istione e priva di peso. La nudità ed i
piedi privi di calzari 234 indicano infine che essi sono
liberi, sciolti, senza rapporti, scevri da ogni aggiunta
esterna e simili per quanto è possibile alla sem plicità
divina.
4. Ma poiché la sapienza, che è nello stesso tem
semplice e ricca 235, riveste gli angeli ignudi e fa portare
loro degli oggetti, è bene spiegare, p er quanto ci è possi­
bile, i sacri param enti delle intelligenze celesti ed i loro
strum enti. A mio parere, la veste risplendente ed arden­
te 236 sta ad indicare sia la loro somiglianza a Dio, espres­
sa dall’im magine del fuoco 237, sia la loro lum inosità do­
vuta alla loro dim ora nel cielo, dove si trovano la luce,
la sua irradiazione intellegibile e la sua riflessione sulle
intelligenze; il param ento sacro 238 allude alla loro capa­
cità di accostarsi alle visioni divine e segrete e di consa­
crare ad esse tu tta la loro vita; e le cinture 239 sono il
simbolo della loro capacità di custodire le loro forze
generatrici, dell’unificante ritorno in se stessa della loro
facoltà di radunare tutto insieme e della sua ordinata,

233 Cf. Ez. 1, 7.


23< Cf. Is. 20, 2-3. Le parole profferite qui dal Signore sono indiriz­
zate ad Isaia, e non ad un angelo. Evidentemente Isaia, presentato
come un portatore di segni divini (cf. 20, 4), simboleggia per lo ps.
Dionigi un angelo, che per lui è di regola il portatore della parola di
Dio e il rivelatore della sua potenza.
235 Cf. Ef. 3, 10.
236 Cf. Le. 24, 4; Mt. 28, 3; Me. 16, 5; Atti, 1, 10.
237 Sulla stretta analogia tra il fuoco e la divinità, cf. sopra, nota
214.
238 Cf. Dan. 10, 5; Is. 6, 1; Ez. 6, 2; Apoc. 1, 13; 15, 6.
Cf. Ez. 9, 2; Dan. 10, 5; Apoc. 15, 6.
84 Ps. Dionigi l'Areopagita

indefettibile ed im m utabile rotazione attorno a se stes­


sa 24°.
5. Le verghe 241 simboleggiano la loro regalità e so­
vranità, ed anche la loro capacità di portare tu tto diret­
tam ente a com pimento; le lance e le scuri 242 la loro
attitudine a dividere le cose dissimili e la prontezza,
energia ed efficacia delle loro facoltà separatrici; gli
strum enti propri dei m isuratori e dei costruttori 243 la
loro capacità di gettare le fondam enta, di costruire e di
portare a com pimento, ed anche le altre funzioni pro­
prie della loro attività provvidenziale, che eleva e fa
volgere < verso la divinità > gli esseri di rango inferio­
re. Talvolta gli strum enti dei santi angeli forgiati < dal­
la S crittura > simboleggiano i giudizi divini che ci ri­
guardano: alcuni indicano la correzione, l'educazione 241
e la giustizia punitrice, altri la libertà che subentra alla
prova, la fase finale del processo educativo, il ritorno al
precedente stato felice 245 e l’aggiunta di nuovi doni, sia­
no essi piccoli o grandi, sensibili o intellegibili: per dir­
la in breve, un'intelligenza perspicace non si troverebbe
in im barazzo nell’adattare convenientem ente il visibile
all’invisibile.
6. Il nome «venti» che viene loro attribuito 246 indica

240 Sui movimenti delle intelligenze celesti, cf. anche De div.


nom., IV, 8 (PG 3, 701 D - 705 A).
241 Cf. Giud. 6, 21.
242 Cf. Gios. 5, 14; Dan. 11, 15; Ez. 9, 2.
243 Cf. Zac. 2, 5; Am. 7, 7; Ez. 40, 3; 47, 3; Apoc. 21, 15.
244 L’idea della punizione come mezzo educativo si trova in Cle­
mente, Origene e Gregorio di Nissa (cf. il mio volume apparso in
questa stessa collana, Gregorio di Nissa, L ’anima e la risurrezione,
Città Nuova, Roma 1981, pp. 14-16, 29-30).
245 Soprattutto per Gregorio di Nissa, la purificazione dai peccati
m ira a restituire l’uomo al suo perfetto stato originario, in cui si tro­
vava prim a di com m ettere il peccato originale, e che era caratterizza­
to dalla presenza in lui dell'immagine divina.
24‘ Cf. Sai. 103, 4; Ez. 1, 4.
La gerarchia celeste - XV 85

la loro prontezza, il loro volo che giunge dappertutto


quasi istantaneam ente 247 ed il loro movimento che pro­
cede dall’alto verso il basso e dal basso verso l'alto indi­
rizzando le essenze inferiori verso maggiori altezze e
spingendo le essenze superiori ad entrare in com unione
con le inferiori e a provvedere ad esse. Si può dire che il
term ine «vento» attribuito al soffio aereo simboleggi la
somiglianza a Dio delle intelligenze celesti. In effetti,
come abbiam o avuto modo di m ostrare più diffusam en­
te nella spiegazione dei quattro elem enti fornita nella
«Teologia simbolica», il vento possiede un'im m agine ed
un'im pronta dell'attività divina grazie alla sua natu ra
produttrice di m ovimento e di vita, al suo procedere
spedito e libero, ed al carattere segreto - per noi scono­
sciuto ed invisibile - dell'origine e della fine del suo
movimento. Tu non sai è detto da dove viene e dove
va 24S.
Ma la Parola di Dio presenta gli angeli anche sotto
form a di nuvole 249: con ciò essa allude al fatto che le
sacre intelligenze sono riem pite della luce nascosta in
una m aniera che trascende il mondo, accolgono in sé
con um iltà lo splendore originario, lo ritrasm ettono, co­
me una seconda illuminazione, agli esseri inferiori in
m isura abbondante ed in proporzione alle loro capacità
e possiedono una forza fecondatrice e produttrice di
vita, di crescita e di perfezione, generando u n a pioggia
intellegibile che, con la sua abbondanza, spinge il grem ­
bo che la riceve a partorire esseri viventi.
7. Se poi la Parola di Dio attribuisce alle essenze

2,7 Cf. i miei due precedenti volumi: Gregorio di Nissa, Fine, p


fessione e perfezione del Cristiano, Città Nuova, Roma 1979, p. 73,
nota 17 e L'anima e la risurrezione, Città Nuova, Roma 1981, pp.
18-19.
248 Gv. 3, 8.
249 Cf. Ez. 1, 4; 10, 3-4; Apoc. 10, 1.
86 Ps. Dionigi l'Areopagita

celesti l’aspetto del bronzo 2S0, dell’a m b ra 251 o delle pie­


tre m ulticolori 252, < occorre dire che > l’am bra, riunen­
do in sé sia l’aspetto dell’oro che quello dell’argento,
indica la trasparenza incorruttibile, inesauribile, non
soggetta a dim inuzioni ed im m acolata dell’oro, e lo
splendore brillante, lum inoso e celeste dell’argento 25\
In base alle spiegazioni da noi fornite 254, al bronzo van­
no attribuite le proprietà del fuoco e quelle dell’oro; le
immagini multicolori delle pietre simboleggiano infine,
a nostro parere, o la luce se sono bianche, o il fuoco se
sono rosse, o l’oro se sono gialle, o la giovinezza e l’età
fiorente se sono verdi; ed è facile trovare per ogni tipo
di pietra una spiegazione delle immagini simboliche ca­
pace di elevare. Ma poiché penso di avere parlato abba­
stanza di quest’argom ento secondo le mie possibilità,
occorre ora passare alla sacra spiegazione delle forme
di animali che simboleggiano santam ente le intelligenze
celesti.
8. Per quanto riguarda la sem bianza di leone 25S,
sogna ritenere che essa indichi il dominio, la forza, l’in-
dom abilità e la somiglianza, nei limiti del possibile, al­
l’arcano della divinità ineffabile: < gli angeli > la rea­
lizzano velando lè tracce dei loro pensieri 256 e nascon­
dendo in tu tta segretezza e con um iltà la loro elevazione
verso la divinità, resa possibile dall’illuminazione divi-

1,0 Cf. Ez. 1, 7; 40, 3; Dan. 10, 6.


251 Cf. Ez. 1, 4; 1> 27; 8, 2.
252 Cf. Ez. 1, 26; 10, 1; Apoc. 4, 3.
253 Sulla celebrazione dell’oro e dell’argento nell’Antico e nel Nuo­
vo Testamento cf. ad es. Gb. 22, 25; Apoc. 3, 18.
Il de Gandillac, p. 183, nota 4,pensa che Dionigi alluda qui al
suo scrìtto La teologia simbolica.
255 Cf. Ez. 1, 10; 10, 14; Dan. 7, 4; Apoc. 4, 7.
156 Non va dim enticato che per Dionigi la Scrittura, contenente le
rivelazioni angeliche, è «ricoperta da veli».
La gerarchia celeste - X V 87

na 257. L’aspetto di bue 258 indica la forza, l’età fiorente, la


capacità di aprire i solchi deH’intelligenza alla recezione
delle piogge celesti e fecondatrici, m entre le com a sim­
boleggiano la loro funzione protettrice e la loro invinci­
bilità. L’aspetto di aquila 259 è indice della loro regalità,
della loro capacità di elevarsi e di volare velocemente,
della prontezza, vigilanza, velocità e destrezza con cui
afferrano il nutrim ento fortificante, e della contem pla­
zione priva di ostacoli, diretta ed indeflettibile del rag­
gio ricco ed oltrem odo lum inoso proveniente dal sole
divino, resa possibile dal forte impegno delle loro facol­
tà visive. L’aspetto di cavallo 260 è il segno dell’obbedien­
za e della docilità: < i cavalli > , se sono bianchi, sim bo­
leggiano lo splendore e la maggiore affinità possibile
alla luce divina, se sono azzurri l'arcano, se sono rossi il
fuoco ed il principio attivo, se hanno u n a tin ta m ista di
bianco e di nero la capacità di unire le estrem ità con la
forza che giunge dappertutto 261 e di collegare i prim i
esseri ai secondi ed i secondi ai prim i o provocando la
conversione o agendo in m aniera provvidenziale. Sé
non dovessimo badare alle giuste proporzioni del no­
stro discorso, potrem m o adattare convenientem ente al­
le virtù celesti, secondo il criterio delle somiglianze dis­
simili, anche le proprietà particolari degli anim ali sopra
ricordati: farem m o cosi risalire la loro facoltà irascibile
al coraggio dell’intelligenza, la cui ultim a traccia è rap ­
p resentata dall’ira, la facoltà concupiscibile all’am ore
divino, e, per dirla in breve, tu tte le facoltà sensoriali e
le varie parti degli animali irrazionali ai pensieri imma·

2:7 SuH’«umiltà» delle intelligenze angeliche quando si elevano


verso Dio cf. anche De div. nom., I, 2 (PG 3, 589 A 6-8).
258 Cf. Ez. 1, 10; Apoc. 4, 7.
2” Cf. Ez. 1, 10; 10, 14; Apoc. 4, 7.
240 Cf. Gioe. 2, 4; Zac. 1, 8 e 6, 2-3; Apoc. 6, 2-8; 19, 11 e 19, 14.
241 Sui cavalli bianchi, rossi e dalla tinta mista,cf. Zac. 6, 2-3; sui
cavalli bianchi e rossi, cf. Apoc. 6, 2-3; suicavalli bianchi, cf. anche
Apoc. 19, I l e 19, 14.
88 Ps. Dionigi l'Areopagita

teriali ed alle facoltà - caratterizzate dall’un ità - delle


essenze celesti. Per le persone assennate non solo que­
sto è pili che sufficiente: anche l’interpretazione di una
sola im magine assurda basta a spiegare in m aniera ana­
loga quelle affini.
9. Bisogna anche spiegare il motivo per cui <
oracoli > dicono che con le essenze celesti sono in stret­
to rapporto i fiumi, le ruote ed i carri. I fiumi di fuo­
co 262 indicano i canali divini, che trasm ettono loro un
fiotto abbondante ed inesauribile, e che le nutrono con
la loro fecondità vivificante; i carri 263 la com unione che
unisce tra loro le essenze dello stesso rango; le ruote 26\
che sono alate e che procedono in avanti senza mai
rivoltarsi indietro e senza mai deflettere, la forza del
loro procedere in modo assolutam ente diritto, in quan­
to la rotazione della loro intelligenza 265 le m antiene, in
u na m aniera che trascende il mondo, su di un cammino
che non conosce deviazioni e retto.
Ma l’immagine delle ruote intellettuali usata dalla
S crittura può essere spiegata anche in un altro modo
adatto ad elevare lo spirito. Come dice il teologo, sono
state chiam ate Gelgel 26‘, term ine che, nella lingua ebrai­
ca, significa sia «rotazione» che «rivelazione». Le ruote
ignee e simili a Dio ruotano in quanto girano perenne-
m ente attorno al bene che resta sem pre lo stesso, e
producono le rivelazioni in quanto svelano l’arcano, ele­
vano ciò che si trova in basso e fanno scendere verso gli
esseri inferiori le illuminazioni più alte.
Ci resta < infine > da spiegare il discorso relativo
alla gioia degli ordini celesti 267. Si dice che < gli ange­

262 Cf. Dan. 7, 10.


2" Cf. Zac. 6, 1-3.
26< Cf. Ez. 1, 15-23; 10, 9-19; Dan. 7, 9.
265 Sulla rotazione delle intelligenze angeliche, cf. anche sopra,
nota 240.
“* Cf. Ez. 10, 13. Gelgel è un term ine dalla radice ebraica.
267 Cf. Le. 15, 10.
La gerarchia celeste - XV 89

li > , p u r essendo del tutto scevri dai nostri piaceri pas­


sionali, si rallegrano assiem e a Dio per il ritrovam ento
delle creature perdute “ 8: < essi godono di > u n a quie­
te simile a quella di Dio, di una gioia benevola e priva
d'invidia caratteristica della sollecitudine e dell’attività
salvifica che m anifestano nei riguardi di coloro che si
volgono verso Dio 269, e della felicità ineffabile di cui
spesso vengono ad essere partecipi anche certi uomini
santi, allorché ricevono u n a visita divina, produttrice di
u na divina illuminazione 270.
Tutto questo bisognava dire a proposito delle sacre
immagini: le nostre parole sono certo inadeguate ad
una loro esatta spiegazione, ma, a mio parere, ci aiuta­
no a non farci rim anere in basso, vittim e delle im magi­
nazioni attaccate ai simboli. E se ci venisse obiettato
che non abbiam o ricordato in ordine tutte le facoltà, le
attività o le im magini degli angeli presenti negli oracoli,
risponderem m o in modo veritiero dicendo che, per
quanto riguarda alcune di esse, noi non ne possediam o
una conoscenza scientifica trascendente, ed abbiam o
per di più bisogno di un altro iniziatore che c’illumini; e
che per quanto riguarda certe altre, le abbiam o trala­
sciate in quanto sono analoghe a quelle spiegate: abbia­
mo < cosi > badato alla giusta m isura del nostro di­
scorso, ed onorato con il silenzio l’arcano che ci tra­
scende.

2“ Cf. Le. 15, 10.


Cf. Le. 15, 7 e 10.
270 Cf. Gv, 16, 22-24; 17, 13.
Ps. Dionigi l’Areopagita

TEOLOGIA MISTICA
INTRODUZIONE

La Teologia m istica riveste una particolare importan­


za sia perché tratta esaurientemente la dottrina mistica
dello ps. Dionigi, sia perché illustra i due m etodi fonda-
m entali della sua teologia, quello basato sulle afferma­
zioni e quello contraddistinto invece dalle negazioni.
Per comprendere pienamente la mistica e la teologia
dello ps. Dionigi vanno sempre tenute presenti due dot­
trine basilari del suo pensiero: la distinzione, nella divi­
nità, tra il m om ento della trascendenza (monè) e quello
della emanazione (próodos) e la trascendenza della di­
vinità stessa non solo rispetto agli esseri che produce
facendoli emanare da sé, ma anche rispetto al pensiero
umano, e quindi rispetto alla conoscenza e alla p a ro la 2.
La m onè considera la divinità nella sua assoluta im m obi­
lità ed inalterabilità. Pur facendo emanare da sé gli esse­
ri, il prim o principio rimane sempre nel suo stato origi­
nario, assolutamente immobile, e non vede in alcun m o­
do affievolirsi o esaurirsi la sua potenza creatrice \
L ’emanazione si riferisce invece alla totalità degli esseri

Cf. S. Lilla, «Augustinianum», 22 (1982), pp. 542-543; e il par. 2


del capitolo «Dionigi» nell’opera La mistica, Città Nuova, Roma
1984.
2 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 547 nn. 2, 3, 7, 8 e La mistica,
cap. «Dionigi», par. 4, punti b, c, f, g.
1 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 543, 550.
94 Introduzione

provenienti dalla fonte originaria in seguito al trabocca­


m ento della sua potenza Per lo ps. Dionigi la mente
um ana purificata, illum inata e resa perfetta o «inizia­
ta» 5può raggiungere soltanto la «contem plazione» (theo-
ria) degli esseri o idee che emanano dal prim o principio
e che costituiscono la sua próodos 6, ma non la fonte
originaria della próodos stessa (moné) che, lontanissima
dagli esseri, rimane nella sua intim a natura nascosta ed
inaccessibile non solo all’intelligenza umana, m a anche
alle intelligenze angeliche più alte \ Nel m om ento in cui
tenta di oltrepassare la conoscenza (o contemplazione)
della próodos per accostarsi alla m onè in term ini razio­
nali, la mente umana, consapevole della diversità incom ­
mensurabile che intercorre tra le idee ed il prim o princi­
pio, può ricorrere soltanto al metodo negativo, che consi­
ste nello spogliare la divinità di tutti gli attributi - anche
di quelli più alti come «bene», «bellezza», «luce», «esse­
re», «vita», che possono applicarsi non alla monè, ma
solo alla próodos
È chiaro che questo procedimento rigorosamente ne­
gativo può sboccare soltanto, sul piano razionale, nell’as­
soluta ignoranza della vera essenza della m onè divina,
che resta quindi superiore al pensiero e alla conoscen­
za E poiché qualsiasi attributo positivo risulta inade­
guato alla monè, essa è anche al disopra di qualsiasi

4 Ibid.
s Sui tre concetti di purificazione, d ’illuminazione e di perfezio­
ne, cf., in questo stesso volume, l’introduzione alla Gerarchia cele­
ste; cf. anche «Augustinianum», 22 (1982), p. 555 n. 4 e La mistica,
capitolo «Dionigi», par. 8.
‘ Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 543, 550; La mistica, cap.
«Dionigi», par. 9.
’ Cf. Nomi div., II, 9 (648 A); La mistica, cap. «Dionigi», par. 9.
8 La mistica, cap. «Dionigi», par. 9. Sull’applicazione alla próodos
e non alla monè dei più alti attributi divini, cf. N om i div., II, 7 (645 A
7 - B 2), V, 1 (816 B).
9 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 546 e La mistica, cap. «Dioni­
gi », par. 9.
Introduzione 95

discorso, vale a dire ineffabile e senza n o m i10. Su l piano


razionale, la conoscenza che la m ente umana può avere
del prim o principio s'identifica quindi totalmente con la
sua ignoranza e con il piti assoluto silenzio. Quest'igno­
ranza e questo silenzio che avvolgono la m ente umana
alla conclusione del suo tentativo di superare la contem ­
plazione della próodos per accostarsi alla monè, trovano
il loro simbolo scritturale nella tenebra in cui, secondo
Es. 20, 21, Mosè si addentrò allorché si avvicinò alla
cima del Monte Sinai per accostarsi a Dio N ell’adotta-
re quest’interpretazione della «tenebra» e dell’ascesa di
Mosè sul Monte Sinai lo ps. Dionigi, come ha mostrato
H. Ch. Puech, segue la tradizione patristica precedente
che, in ultim a analisi, risale a Filone di Alessandria ‘2.
L'ignoranza e il silenzio non rappresentano tuttavia
la fase conclusiva del processo di ascesa della mente
umana a Dio. Dopo che ogni attività noetica si è acquie­
tata per effetto dell’ignoranza prodotta dal procedim ento
negativo, l’intelligenza, ormai del tutto inerte sul piano
razionale e muta, viene a sperimentare la form a di cono­
scenza (o visione) che è caratteristica dell’unione (héno-
sis) con il prim o principio e che è superiore a qualsiasi
conoscenza razionale. La tenebra dell’ignoranza che pri­
ma l’avvolgeva si risolve in u n ’illum inazione ineffabile,
che - è bene sottolinearlo - nulla ha da vedere con le
illum inazioni di cui era stata oggetto durante il processo
d ’iniziazione, indispensabile per giungere alla theoria de­
gli esseri (o idee) costituenti la próodos Una volta rag­

10 Cf. sopra, la nota 2.


Cf. Teol. mist., I, 3 (1001 A 11), II (1025 A 5-8, B 9-10), Ep. I (1065 A
13 - B 1), Nomi div., I, 1 (580 A 5-7), I, 3 (589 B 3), VII 3 (872 A 3-4); cf.
«Augustinianum», 22 (1982), p. 563; La mistica, cap. «Dionigi», par. 9.
12 Cf. H. Ch. Puech, La ténèbre mystique chez le pseudo-Denys
l’Aréopagite et dans la tradition patristique, «Études carmelitaines»,
23 (1938), 2, pp. 33-53 (= En quète de la Gnose, I, Paris 1978, pp.
119-141).
13 Cf. La mistica, cap. «Dionigi», par. 10, nota 162.
96 Introduzione

giunta e sperimentata gwes/Tiénosis che trascende ogni


facoltà ed ogni attività noetica 14e che è quindi «soprara­
zionale», la m ente umana perde ogni coscienza della pro­
pria identità, e non appartiene più a se stessa, m a alla
m onè divina con cui praticamente s ’identifica l5.
Se, come si è visto, il «metodo negativo» (o «teologia
negativa») ripercorre a ritroso il processo della próodos
- partendo dagli esseri più infim i e p iù lontani da Dio
esso risale infatti a quelli più alti e più vicini a Lui, e
cerca quindi di accostarsi alla m onè divina, che tuttavia
rimane sempre nascosta nell’arcano, inconoscibile e inef­
fabile - il «metodo positivo» (o «teologia affermativa»)
accompagna invece nella sua discesa dalla m onè fino
agli esseri più bassi l'emanazione divina E poiché tutti
gli esseri destinati ad essere prodotti dalla próodos sono
contenuti nella próodos stessa, emanante dalla monè, il
prim o principio, che è del tutto privo di nom i in quanto
non può essere oggetto né di discorsi né di scienza allor­
ché è preso in esame con il m etodo negativo, è al contra­
rio suscettibile di ricevere i nom i di tutti gli esseri e di
essere oggetto di conoscenza allorché è preso in esame
sotto il profilo del metodo positivo l7. In altre parole,
m entre il metodo negativo ha per oggetto la monè, scono­
sciuta, ineffabile e indefinibile in term ini razionali, il
metodo positivo ha per oggetto la próodos che, in quan­
to comprendente tutti gli esseri conoscibili, può essere
invece conosciuta e definita ie.
Se si tiene presente questa distinzione, si comprende

M Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 564-565; La mistica, cap.


«Dionigi», par. 10, sez. b.
15 Cf. La mistica, cap. «Dionigi», par. 10, sez. f.
16 Cf. Teol. mist., II (1025 b 4-14); «Augustinianum», 22 (1982), pp.
544-545; La mistica, cap. «Dionigi», par. 3.
17 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 545; La mistica, cap. «Dioni­
gi», par. 3.
18 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 545; La mistica, cap. «Dioni­
gi», par. 3.
Introduzione 97

anche come m ai i due metodi, p u r giungendo a conclu­


sioni opposte, non si contraddicono tra loro 19. L'uso di
entram bi i m etodi è perfettam ente legittimo; m a quando
la m ente um ana vuole accostarsi alla monè, il metodo
negativo è senz’altro da preferire, giacché è p iù confor­
me all'ineffabilità ed inconoscibilità della m onè divi­
na 2°. In effetti, esso trova la sua applicazione piti com ple­
ta e coerente nei capp. IV e V della Teologia mistica.
La presenza delle dottrine sopra descritte nella teolo­
gia e nella m istica dello ps. Dionigi non sarebbe piena­
m ente comprensibile, se non si tenesse conto nella giu­
sta misura della sua dipendenza dalla tradizione platoni­
ca e patristica precedente. La distinzione fondamentale
tra il m om ento della monè e quello della próodos; l’asso­
luta im m obilità ed inalterabilità della m onè che non ve­
de mai affievolirsi la propria energia nonostante la pro­
duzione degli esseri; la trascendenza della monè rispetto
agli esseri che essa fa emanare con la próodos; l’incono­
scibilità ed ineffabilità della m onè stessa, che non può
essere oggetto né di scienza, né di discorsi, né di nomi, e
che ammette, sul piano razionale, solo il «metodo negati­
vo», sono tutte dottrine caratteristiche del Neoplatoni­
smo a partire da Plotino fino al suo discepolo Porfirio ed
ai più tardi epigoni, Proclo e Damascio 21. In particolare,.
la dottrina pseudo-dionisiana e neoplatonica del prim o
principio (l’«uno», identico alla monè) assolutamente ne­
gativo, sconosciuto ed ineffabile affonda le sue radici
nella prim a ipotesi - caratterizzata da conclusioni negati­
ve - dell’uno della prim a ipotesi del Parm enide platoni­
co, o, per meglio dire, nell'interpretazione che di essa era

” Cf. N om i div., IX, 7 (916 A 7), Teol. mist., I, 2 (1000 B 7-8); «Augu­
stinianum», 22 (1982), p. 545; La mistica, cap. «Dionigi», par. 3.
20 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 546; La mistica, cap. «Dioni­
gi», par. 3.
21 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 543, 546-547, 548, 550; La m i­
stica, cap. «Dionigi», parr. 2-4.
98 Introduzione

stata data in seno al Neoplatonismo 22. Un analogo di­


scorso vale a proposito dell'adozione del metodo negati­
vo e di quello positivo: se il m etodo negativo risale, in
ultim a analisi, sia alla prim a ipotesi del Parm enide che
all’interpretazione che di essa era stata data nel Neopla­
tonismo, il metodo positivo si spiega tenendo presenti
sia le conclusioni positive della seconda ipotesi del Par­
m enide che la sua interpretazione neoplatonica 2\ Al pa­
ri dello ps. Dionigi, i Neoplatonici della scuola di Atene
del V sec. d.Cr. applicano il metodo negativo — basato
sulla prim a ipotesi del Parm enide - alla monè, e quello
positivo - basato sulla seconda ipotesi - alle sue successi­
ve emanazioni 2\ Nella preferenza accordata al metodo
negativo, lo ps. Dionigi si uniforma poi perfettamente
alla tradizione platonica e patristica precedente La
contemporanea adozione dei due metodi, il positivo e il
negativo, ha infine un chiaro precedente nel Commento
al Parm enide di Porfirio u.
Anche nel motivo dell’unione (hénosis) della mente
um ana con il som m o principio, lo ps. Dionigi è stretta-
m ente legato al Neoplatonismo. Che la conoscenza del
som m o principio è, sul piano razionale, un tu tt’uno con
l’ignoranza, la mancanza di pensiero e di parola ed il
silenzio derivanti dall’applicazione coerente del metodo
negativo; e che ZTiénosis ha il suo presupposto nella ces­
sazione - prodotta dall’ignoranza - di ogni attività noeti­
ca, trascende per sua natura le facoltà e le funzioni del­
l’intelligenza ed è caratterizzata da una sorta d ’illumina-

22 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 545-546; La mistica, cap.


«Dionigi», par. 3, nota 20.
23 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 545.
2" Cf. «Augustinianum», 22(1982), pp. 545 n. 2,546n. 55, con i riferi­
m enti ai lavori di H. D. Saffrey - L. G. W esterink e di E. Corsini.
25 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 546-547; La mistica, cap.
«Dionigi», par. 3, nota 26.
26 Comm. in Parm., XIV, 26-34; cf. La mistica, cap. «Dionigi»,
par. 9.
Introduzione 99

zione «sovrarazionale» nella quale l'intelligenza perde la


propria identità e si confonde con l’uno, il som m o princi­
pio, era stato già affermato da esponenti del Neoplatoni­
sm o come Plotino, Porfirio e Proclo 21. Num erosi paralle­
li si possono individuare tra lo ps. Dionigi e ciascuno di
questi a u to ri2e; ed alcune· interessanti analogie si posso­
no anche osservare tra la dottrina m istica pseudo-dioni-
siana e quella di Gregorio di Nissa
Delle Epistole, la prim a pone in rilievo l'assoluta tra­
scendenza di Dio, superiore all'intelligenza, all'essere e
alla conoscenza, sottolinea la distinzione tra la conoscen­
za degli esseri e la conoscenza di Dio e fa coincidere
quest'ultima, sul piano razionale, con la totale ignoran­
za. La seconda afferma la trascendenza di Dio anche
rispetto ai concetti di bene e di divinità. La terza e la
quarta trattano di questioni cristologiche: m entre la ter­
za ricorda che la natura divina di Gesti rimane incom ­
prensibile ed ineffabile anche dopo la sua incarnazione,
la quarta da una parte ribadisce il carattere insieme divi­
no ed umano della persona di Gesù, dall’altra precisa
che la sua natura divina ha continuato a rimanere e ad
agire come tale nonostante l’assunzione della natura
um ana (Gesti è Dio fatto uomo, che svolge un'attività
insieme divina ed umana). La quinta epistola afferma
che la tenebra in cui si trova Dio, espressione della sua
inconoscibilità, è in realtà una luce oltremodo risplen­
dente, accessibile solo a coloro che riescono a giungere
all'apice della conoscenza mistica, che è «sopraraziona­
le» in quanto è superiore ad ogni visione e conoscenza
intellettuale. La sesta epistola esorta a mettere da parte
le inutili polemiche contro le opinioni altrui, a ricercare
piuttosto la verità e a parlare in modo del tutto confor­

27 Cf. La mistica, cap. «Dionigi», parr. 9-10.


29 Cf. La mistica, cap. «Dionigi», parr. 9-10.
29 Cf. La mistica, cap. «Dionigi», parr. 9-10.
100 Introduzione

me ad essa. La settim a rimprovera l’incredulità manife­


stata dal sofista Apollofane nei riguardi di alcuni feno­
m eni celesti soprannaturali descritti nell'Antico Testa­
mento, prova inconfutabile dell’esistenza e dell’onnipo­
tenza di Dio, e ricorda quindi la straordinaria eclissi di
sole che si verificò alla morte di Gesti, ed a cui lo ps.
Dionigi dice di avere assistito assieme ad Apollofane
m entre si trovava ad Eliopoli. L ’ottava epistola, diretta
al monaco Demofilo, da una parte è un elogio della virtù
cristiana della mitezza, dall’altra ribadisce un principio
fondamentale del sistem a gerarchico: nella gerarchia un
m em bro di grado inferiore non può per nessuna ragione
ed in alcun modo rivoltarsi contro un m em bro di grado
superiore (in questo caso particolare, un monaco come
Demofilo non ha alcun diritto d ’intervenire contro un
prete, superiore a lui gerarchicamente). La nona epistola
illustra il carattere simbolico della Scrittura, ed insiste
sulla necessità di un'esegesi che sappia penetrare attra­
verso i veli rappresentati dalle sue raffigurazioni sim boli­
che, spesso m olto basse, e giungere al suo significato piti
alto. La decima preannunzia a san Giovanni evangelista
la fine della sua prigionia a Patmo ed il suo ritorno in
Asia.
Mentre la terza e la quarta epistola rappresentano le
fonti piti im portanti per la conoscenza delle vedute cri­
stologiche dello ps. D ionigi30, la prim a e la seconda illu­
strano alcuni aspetti della dottrina pseudo-dionisiana
della trascendenza di Dio, cosi strettam ente connessa
con la tradizione platonica e patristica precedente 31. A
tal proposito, particolare attenzione meritano la dottrina
di Dio come «non esistente» - vale a dire non identifica­
bile con nessuno degli esseri esistenti, compresi quelli

50 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 553-554 e p. 554 n. 122 con il


riferimento al libro di R. Roques, L ’univers dionysien, Paris 1954.
31 Cf. soprattutto La mistica, cap. «Dionigi», par. 4.
Introduzione 101

più a lti32 - e la dottrina della superiorità di Dio anche


rispetto al bene 33: entrambe si riallacciano al Neoplato­
nismo La prim a e la quinta epistola si ricollegano, per
i loro spunti mistici, alla Teologia m istica oltre che ad
alcuni passi del trattato Sui nomi d iv in i3S: basta pensare
al «criterio dell'eccellenza», che sostituisce quello negati­
vo delle priva zio n ii6; all'abisso incolmabile tra la cono­
scenza degli esseri e l’inconoscibilità di Dio, simboleggia­
ta dalla tenebra 37; alla perfetta identità tra l’ignoranza e
la conoscenza di Dio sul piano razionale 3e; al carattere
«soprarazionale» della conoscenza di Dio 3’; e alla sosti­
tuzione della tenebra con la luce, che non fa conoscere
Dio in term ini razionali e che porta al disopra della visio­
ne e della conoscenza40. L ’ottava epistola com pleta il
quadro - presentato nella G erarchia celeste e nella Ge­
rarchia ecclesiastica - delle leggi destinate a regolare
ogni sistem a gerarchico. Anch’essa è una prova dello
stretto vincolo che unisce lo ps. Dionigi alla tradizione
platonica. L ’assoluto divieto per il m em bro inferiore del­
la gerarchia di rivoltarsi contro il superiore, sul quale lo
ps. Dionigi tanto insiste, trova infatti la sua spiegazione

32 Cf. Ερ. I 1065 A 12 e la nota 5 all’£p. I. Cf. anche «Augustinia­


num», 22 (1982), pp. 547, n. 5, 548; La mistica, cap. «Dionigi», par. 4
lett. d.
33 Cf. Teologia mistica, c. V e la nota 1 all’£p. II.
34 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 548 n. 76; La mistica, cap.
«Dionigi», par. 4, nota 31.
35 Essi si trovano raccolti e citati nei parr. 9-10 del capitolo «Dioni­
gi» dell'opera La mistica.
“ Cf. anche La mistica, cap. «Dionigi», par. 10, sez. d.
Ερ. I 1065 A; Ερ. V 1073 A; cf. «Augustinianum», 22 (1982), p.
564; La mistica, cap. «Dionigi», par. 9.
38 Ερ. I 1065 A 11 - B 2; Ερ. V 1073 A 6-8; cf. «Augustinianum», 22
(1982), pp. 563-564; La mistica, cap. «Dionigi», par. 9.
39 Ερ. 1 1065 A 13; Ερ. V 1073 A 8-9; cf. «Augustinianum», 22 (1982),
pp. 564-565; La mistica, cap. «Dionigi», par. 10, sez. b.
40 Ερ. 1 1065 A 1-3; V 1073 A 3-6; cf. La mistica, cap. «Dionigi», par.
10, sez. c.
102 Introduzione

nella concezione platonica della giustizia, cosi come si


trova espressa nel quarto libro della Repubblica: ciascu­
na classe nello Stato, e parallelamente ciascuna parte
nell'anima umana, deve svolgere la propria funzione na­
turale senza interferire in quella delle altre classi o delle
altre parti. In particolare, come nello Stato il governo è
riservato alla classe superiore dei sapienti e nell'anima
la direzione e il comando toccano alla parte razionale,
mentre le classi inferiori dello Stato e le parti irrazionali
dell'anima devono rimanere sottomesse senza usurpare
le funzioni che a loro non spettano; cosi pure la gerar­
chia deve essere regolata dalla stessa idea di giustizia:
solo ai m em bri superiori spettano la direzione e il co­
mando, mentre i m em bri inferiori devono rimanere sotto­
messi, senza arrogarsi diritti illegittimi. La rivolta nella
gerarchia di un m em bro inferiore nei confronti di un
m em bro superiore disturba e distrugge l'ordine (tàxis)
da cui il sistem a gerarchico deve essere sempre permea­
to per poter sussistere, ed è del tutto analoga alla rivolta
(stàsis) delle classi inferiori dello Stato o delle parti infe­
riori dell’anima, che sopprime ogni idea di giustizia. La
nona epistola infine, riprendendo ed integrando concetti
espressi soprattutto nei prim i due capitoli della G erar­
chia celeste, spiega l’atteggiamento dello ps. Dionigi nei
riguardi della Scrittura e dà una chiara idea della sua
intim a avversione nei confronti della sua interpretazione
letterale. La tendenza della Scrittura a rappresentare la
divinità in atteggiamenti infimi, assolutamente incompa­
tibili con la sua natura, trova per lo ps. Dionigi la sua
spiegazione nel fatto che la «lettera» della Scrittura stes­
sa altro non è che una raffigurazione simbolica, un velo
allegorico al di là del quale deve penetrare la mente
umana che desidera elevarsi al significato p iù alto e re­
condito del sim bolo scritturale. L ’esegesi della Scrittura
è quindi indispensabile per chi non vuole rimanere pri­
gioniero dei bassi sim boli sensibili. È importante qui
sottolineare che l’esegesi pseudo-dionisiana è caratteriz-
Introduzione 103

tata dalla costante presenza di dottrine neoplatoniche.


Come Filone, Clemente, Origene e Gregorio di Nissa ave­
vano utilizzato nella loro esegesi il Platonismo sincreti-
stico o il Neoplatonismo contemporaneo, allo stesso m o­
do lo ps. Dionigi notì esita a far ricorso a dottrine caratte­
ristiche del Neoplatonismo, anche di quello p iù tardo.
L'interpretazione da lui data del «cratere» e della «sa­
pienza» di Prov. 9,1-3 ne rappresenta una prova eloquen­
te*'.

Ep. IX 3 (1109 B 9 - D 5); cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 559.


CAPITOLO I

C o s ’è la tenebra divina

I. Trinità sovraessenziale oltrem odo divina ed olt


modo buona, custode della sapienza dei Cristiani relati­
va a Dio, guidaci verso la cima oltrem odo sconosciuta,
oltrem odo risplendente ed altissim a dei m istici oraco­
li ', dove i m isteri semplici, assoluti ed im m utabili della
teologia vengono svelati nella tenebra lum inosissim a
del silenzio che inizia all’arcano 2: là dove c’è più buio
essa fa brillare ciò che è oltrem odo risplendente, e nella
sede del tutto intoccabile ed invisibile ricolma le intelli­
genze prive di vista di stupendi splendori. Questa sia la
m ia preghiera. Ma tu, o mio caro Timoteo \ applicati
intensam ente alle mistiche visioni, m etti da parte le sen­
sazioni, le attività intellettuali, tu tte le cose sensibili ed
intellegibili, tutto ciò che non esiste e che esiste e per
quanto puoi abbandonati senza più conoscere all’unio­
ne con ciò che è al di sopra di ogni essere e di ogni
conoscenza: nel tuo abbandono incondizionato, assolu-
' Con questo term ine vengono costantem ente designati nel Cor­
pus Dionysiacum i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.
2 Si tratta della tenebra di Es. 20, 21 che nella Teologia mistica e
nelle Epp. I e V diventa il simbolo dell’ignoranza assoluta che avvol­
ge la mente um ana allorché essa tenta di giungere alla conoscenza
razionale del prim o principio.
J Ricordato varie volte dagli A tti e da san Paolo (cf. ad es. Atti, 17,
14-15, Rom. 16, 21, 1 Cor. 4,17 ecc.) è il destinatario degli scritti dello
ps. Dionigi (Gerarchia celeste. Gerarchia ecclesiastica. Nom i divini,
Teologia mistica). Cf anche la nota 4 all’-Ep. IX.
106 Ps. Dionigi l'Areopagita

to e puro al raggio sovraessenziale della tenebra divina


elim ina tutto, e una volta staccatoti da tutto lasciati
portare verso l’alto.
II. Bada a che nessuno dei non iniziati ascolti: mi
riferisco a coloro che rim angono prigionieri delle realtà,
che pensano che nulla esista in modo sovraessenziale al
disopra degli esseri, che ritengono di conoscere con la
loro scienza colui che «ha fatto della tenebra il suo na­
scondiglio» \ Se le divine iniziazioni vanno al di là delle
capacità di costoro, che cosa si dovrebbe dire a proposi­
to di coloro che sono ancor meno iniziati, che definisco­
no la causa trascendente di tutto anche per mezzo degli
esseri più bassi, e che dicono che essa non è affatto
superiore alle em pie e svariate raffigurazioni forgiate
da loro? Ad essa, in quanto causa di tutto, vanno appli­
cate tutte le affermazioni positive relative agli esseri;
< nello stesso tem po > però, in quanto trascende tu t­
to, è più giusto negare a proposito di essa tu tti questi
attributi. Non si deve credere che le negazioni siano
contrapposte alle affermazioni: la causa universale, es­
sendo al disopra di ogni negazione ed affermazione, è
anche al disopra delle privazioni.
III. Per questo dunque il divino Bartolom eo dice
che la teologia è < nello stesso tem po > diffusa e bre­
vissima, e che il Vangelo è vasto e grande e nello stesso
tem po conciso. A mio parere, questo è stato il suo pen­
siero soprannaturale: la buona causa universale è insie­
me di molte parole, di poche parole e ad dirittura muta,
giacché ad essa non si possono applicare nessun discor­
so e nessun pensiero: essa trascende infatti in m aniera
sovraessenziale tu tte le cose, e si rivela senza veli e vera­
cem ente solo a coloro che, dopo avere attraversato tutte
le cose im pure e pure, dopo essersi lasciata dietro ogni
ascesa che porta alle sante vette, e dopo avere abbando­
nato tutte le luci, tutti i suoni e tutte le parole celesti.

4 Sai. 17, 12.


Teologia m istica - I 107

penetrano nella tenebra dove veram ente si trova, come


afferm ano gli oracoli, colui che è al di sopra di tu tto s.
Non senza ragione il divino Mosè riceve innanzitutto
l’ordine di purificarsi e poi quello di separarsi da coloro
che non sono p u r i6; dopo essersi del tutto purificato,
sente il m olteplice suono delle trom be, e vede molte
luci, irradianti raggi puri e d iffu si7; quindi si separa
dalla m oltitudine, ed assiem e ai sacerdoti scelti procede
verso la som m ità della divina ascesa *. Ma anche a que­
sto punto non si trova assieme a Dio: ciò che contem pla
non è Lui (Egli è incontemplabile), m a il luogo in cui si
trova 9. A mio avviso, tutto questo significa che le cose
più divine e più alte tra quelle visibili e pensabili sono
soltanto parole che suggeriscono < alla m ente > le
realtà che rim angono sottoposte a colui che tu tto tra ­
scende e che rivelano la sua presenza superiore ad ogni
pensiero, situata al disopra delle vette intellegibili dei
suoi luoghi più s a n ti,0. Allora egli si distacca da ciò che
è visibile e da coloro che vedono, e penetra nella tene­
b ra veram ente m istica dell’ignoranza. Rim anendo in es­
sa, chiude ogni percezione conoscitiva ed entra in colui
che è del tutto intoccabile ed invisibile: < allora > ap­
partiene veram ente a colui che tutto trascende, senza
essere più di nessuno, né di se stesso né di altri; fatta
cessare ogni conoscenza, si unisce al principio del tutto
sconosciuto secondo il meglio < delle sue capacità > , e
proprio perché non conosce più nulla, conosce al diso­
p ra dell’intelligenza.

5 Vale a dire Dio: cf. Es. 20, 21.


6 Es. 19, 10-13; 19, 14-15.
7 Es. 19, 16; 19, 19; 20, 18.
8 Es. 19, 22; 19, 24.
5 Cf. Es. 33, 21. Il «luogo in cui Dio si trova» è rappresentato per
lo ps. Dionigi dalla próodos divina, vale a dire dall’insieme delle idee
(o esseri) che em anano dal primo principio e che possono essere con­
template dalla m ente umana.
10 Sulla trascendenza di Dio rispetto al pensiero e alla conoscen­
za, cf. S. Lilla, «Augustinianum», 22 (1982), p. 547, n. 7.
CAPITOLO II

C o m e ci si deve unire alla ca u sa universale e superiore a


tutto, e com e si devono levare ad e s s a gl'inni di lode

Preghiamo per trovarci anche noi in questa tenebra


luminosissima, per vedere tram ite la cecità e l'ignoran­
za, e per conoscere il principio superiore alla visione ed
alla conoscenza proprio perché non vediamo e non cono­
sciamo; in questo consistono infatti la reale visione e la
reale conoscenza. Celebreremo < allora > il principio
sovraessenziale in modo sovraessenziale, vale a dire eli­
m inando tutte le cose: allo stesso modo, coloro che mo­
dellano una statu a bella di per sé elim inano da essa
tutti gl’im pedim enti che potrebbero sovrapporsi alla pu­
ra visione della sua nascosta bellezza, e sono in grado di
m ostrare in tu tta la sua purezza questa bellezza occulta
solo grazie a questo processo di eliminazione. A mio
parere, le negazioni e le affermazioni vanno celebrate
con procedim enti contrari: in effetti, noi facciamo delle
affermazioni quando partiam o dai principi più originari
e scendiamo attraverso i m em bri interm edi fino alle ulti­
me realtà; nel caso invece delle negazioni, noi elim inia­
mo tutto allorché risaliam o dalle ultim e realtà fino a
quelle più originarie, in modo da conoscere senza veli
l'ignoranza nascosta in tutti gli esseri da tu tte le cose
conoscibili, e da vedere la tenebra sovraessenziale na­
scosta da tutte le luci presenti negli esseri.
CAPITOLO III

Q ual è la teolo gia afferm ativa, e quale la negativa

Negli «Schizzi teologici» abbiam o celebrato gli aspet­


ti più im portanti della teologia affermativa: < abbiam o
spiegato > in che senso la natu ra divina e buona è chia­
m ata una ed in che senso è chiam ata trina; quale signifi­
cato hanno, se riferiti ad essa, i concetti di paternità e di
figliolanza; che cosa intende m ostrare la teologia dello
Spirito < santo > ; come le intim e luci della bo n tà sono
spuntate fuori dal bene im m ateriale e privo di parti,
senza tuttavia cessare di rim anere nel bene, in se stesse
e l’una nell’altra nonostante questo coetem o processo
di germogliamento; come il Gesù sovraessenziale ha pre­
so l’essenza propria della vera n atu ra um ana; e tutte le
altre rivelazioni degli oracoli, celebrate negli «Schizzi
teologici». Nello scritto «Sui nomi divini» < abbiam o
spiegato > invece come mai Dio è chiam ato buono, co­
lui che è vita, sapienza e potenza, e tutti gli altri appella­
tivi caratteristici dei nomi divini intellegibili. Nella «Teo­
logia simbolica» < abbiam o spiegato > infine i nomi
trasferibili dagli oggetti sensibili alle cose divine, le for­
me e gli aspetti divini, le parti, gli strum enti, i luoghi
divini, gli ornam enti, le ire, i dolori, le collere, le ebbrez­
ze, le crapule, i giuram enti, le imprecazioni, i sonni, le
veglie, e tutte le altre sacre raffigurazioni proprie della
rappresentazione simbolica di Dio. Penso che tu ti ren­
da conto che questi ultimi argom enti richiedono molte
più parole dei primi: sia gli «Schizzi teologici» che le
110 Ps. Dionigi l'Areopagita

spiegazioni dei nomi divini devono essere più concisi


della «Teologia simbolica». Quanto più alziamo lo sguar­
do verso l'alto, tanto più i discorsi vengono contratti
dalla contemplazione delle realtà intellegibili; cosi pure
anche ora, nel m om ento in cui penetriam o nella tenebra
superiore aH’intelligenza, noi troviam o non più discorsi
brevi, m a la totale assenza di parole e di pensieri. In
quell’altro caso il discorso, scendendo dall’alto verso il
basso, si allargava in proporzione alla discesa; ora inve­
ce, elevandosi dal basso verso la sfera superiore, si con­
trae in proporzione all’ascesa, e dopo averla com piuta
diventa com pletam ente muto, per unirsi interam ente al­
l’ineffabile. Tu mi chiederai: m a come mai, dopo avere
fatto le divine affermazioni partendo dal prim o princi­
pio, iniziamo < il processo delle > negazioni divine par­
tendo dalle ultim e cose? Perché nel m om ento in cui
affermavamo ciò che si trova al disopra di ogni afferm a­
zione, dovevamo fare queste affermazioni ipotetiche par­
tendo da ciò che era più affine ad esso; m a nel m om en­
to in cui neghiamo ciò che si trova al disopra di ogni
negazione, dobbiam o negarlo partendo da ciò che è più
lontano. Non è forse esso più vita e bontà che aria o
pietra? Ed il fatto che non gozzoviglia e non va in colle­
ra non è forse più vero del fatto che non è oggetto di
discorsi e di pensieri?
CAPITOLO IV

La c a u sa per eccellenza di tutte le c o se se n sib ili non è


n e ssu n a c o sa se n sib ile

Diciamo dunque che la causa universale, superiore a


tu tte le cose, non è priva di essenza, di vita, di ragione,
d’intelligenza; non è neppure un corpo, e non possiede
né una figura, né una forma, né una qualità, né una
quantità, né un peso; non si trova in nessun luogo, non
è visibile, né può essere toccata m aterialm ente; non ha
sensazioni, né è oggetto di sensazioni, né disturbata da
passioni materiali, né fa albergare in sé il disordine e la
confusione; non è neppure priva di forza, come se fosse
soggetta alle vicissitudini del m ondo sensibile, né ha
bisogno della luce; non am m ette in sé né il cam biam en­
to, né la corruzione, né la divisione, né la privazione, né
lo scorrim ento, né alcun’altra cosa sensibile; e non è
neppure qualcuna di queste cose.
CAPITOLO V

La c a u sa per eccellenza di tutte le realtà intellegibili non


è n e ssu n a realtà inteilegibile

Procedendo quindi nella nostra ascesa diciamo che


< la causa universale > non è né anima, né intelligen­
za, e non possiede né immaginazione, né opinione, né
parola, né pensiero; che essa stessa non è né parola, né
pensiero; e che non è oggetto né di discorso, né di pen­
siero. Non è né numero, né ordine, né grandezza, né
piccolezza, né uguaglianza, né disuguaglianza, né somi­
glianza, né dissomiglianza; non sta ferma, né si muove,
né rim ane quieta, né possiede una forza, né è una forza;
non è luce; non vive e non è vita; non è né essenza, né
eternità, né tempo; non am m ette neanche un contatto
intellegibile; non è né scienza, né verità, né regno, né
sapienza; non è né uno, né unità, né divinità, né bontà;
non è neppure spirito, per quanto ne sappiam o; non è
né figliolanza, né paternità, né qualcuna delle cose che
possono essere conosciute da noi o da qualche altro
essere; non è nessuno dei non-esseri e nessuno degli
esseri, né gli esseri la conoscono in quanto esiste; e
neppure essa conosce gli esseri in quanto esseri. A pro­
posito di essa, non esistono né discorsi, né nomi, né
conoscenza; non è né tenebra, né luce; né errore, né
verità; non esistono affatto, a proposito di essa, né affer­
mazioni, né negazioni: quando facciamo delle afferm a­
zioni o delle negazioni < a proposito delle realtà che
vengono > dopo di essa, noi non l'affermiamo, né la
neghiamo. In effetti, la causa perfetta ed unitaria di
Teologia m istica - V 113

tu tte le cose è al di sopra di ogni affermazione; e l'eccel­


lenza di colui che è assolutam ente staccato da tu tto e al
disopra di tu tto è superiore ad ogni negazione.
ΓAreopagita

LETTERE
LETTERA I

A G a io m onaco

La tenebra scom pare per effetto della luce, ed ancor


più per effetto della luce sovrabbondante; l’ignoranza è
dissolta dalla conoscenza, ed ancor più dalla vasta cono­
scenza. Interpreta questo fenomeno secondo il criterio
dell’eccellenza e non secondo quello della privazione e
dichiara in m odo più che veritiero che a coloro che
possiedono la luce reale e la conoscenza degli esseri
rim ane nascosta l’ignoranza relativa a Dio; e che la sua
tenebra trascendente resta velata ad ogni luce e celata
ad ogni conoscenza2. Chi vede Dio, se com prende ciò
che vede, non vede lui, m a qualcuno degli esseri da lui
em anati e conoscibili3; Egli stesso, invece, è situato al

Mentre il «criterio dell'eccellenza» considera già presenti nel


primo principio, in m isura più accentuata ed in un piano superiore
di esistenza, tutte le realtà che esso è destinato a produrre m ediante
la sua emanazione o próodos (cf. anche S. Lilla, cap. «Dionigi» nel­
l’opera La mistica, Roma 1984, par. 10 sez. d), il «criterio della priva­
zione» altro non è che il «metodo negativo», consistente nel privare
il primo principio di tutte le proprietà degli esseri, anche di quelli
più alti.
2 La conoscenza intellettiva può giungere infatti solo alle più al­
te realtà che sono sem pre emanazioni di Dio, m a non a Dio stesso,
che rimane superiore ad esse (cf., oltre all’Introduzione, anche No­
m i div. I, 4, 593 A, II, 7, 645 A 10 - B 3, e Proclo, Teol. piai., I, 12 p. 56,
19-20 Saffrey-Westerink).
1 Si tratta dell'emanazione divina: cf. S. Lilla, «Augustinianum»,
22 (1982), pp. 543-550.
118 Ps. Dionigi l’Areopagita

disopra dell’intelligenza e dell’e ss e re A: proprio perché è


assolutam ente sconosciuto ed inesistente 5, esiste in mo­
do sovraessenziale ed è conosciuto in una m aniera che
trascende l’intelligenza6. La totale ignoranza spinta al
massim o grado è identica alla conoscenza di colui che
si trova al disopra di tu tti gli esseri conoscibili1.

4 La trascendenza di Dio rispetto all’intelligenza ed all’essere è


caratteristica della teologia sia dello ps. Dionigi che del Neoplatoni­
smo: cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 547 e la nota 69 alVEp. IX.
s Anche la dottrina deU'inconoscibilità del primo principio è basi­
lare nella teologia dello ps. Dionigi e del Neoplatonismo: cf. «Augu­
stinianum», 22 (1982), pp. 547-548.
6 Vale a dire nella suprem a unione tra la mente um ana e Dio, che
trascende l’intelligenza perché presuppone il superam ento e l'ac­
quietam ento di ogni attività noetica. Sulla dottrina dell’unione nello
ps. Dionigi e sulle sue caratteristiche neoplatoniche, cf. S. Lilla, «Au­
gustinianum», 22 (1982), pp. 564-565 e La mistica, cap. «Dionigi», par.
10.
7 La totale coincidenza tra la conoscenza e l’ignoranza di Dio sul
piano puram ente razionale è u n a diretta conseguenza dell’inconosci­
bilità di Dio da parte della mente um ana e dell’adozione del «meto­
do negativo».
LETTERA II

A llo s t e s s o G a io m onaco

In che m odo colui che è al disopra di tu tto è anche


al disopra della divinità originaria e del bene origina­
rio 1? < Lo puoi com prendere > , se per divinità e per
bontà intendi la stessa sostanza del dono produttore di
beni e deificante, e l’inim itabile im itazione del principio
oltrem odo divino ed oltrem odo buono, grazie al quale
veniamo deificati e resi buoni. In effetti, se per coloro
che vengono deificati e resi buoni questo dono è il prin­
cipio della deificazione e della bontà, colui che è supe­
riore ad ogni principio ed alla divinità e bontà cosi defi­
nite è al di là della divinità originaria e del bene origina­
rio; nella m isura in cui è inim itabile e assoluto, è supe­
riore alle im itazioni e agli stati, a chi im ita e a chi è
partecipe 2.

Anche il bene è per lo ps. Dionigi un'emanazione del prim o prin­


cipio, come risulta chiaram ente da Nom i div., V, 1 (816 B).
1 Secondo una legge form ulata da Proclo, ciò che è partecipe è
inferiore a ciò che è partecipato, il quale è a sua volta inferiore a ciò
che non può essere oggetto di partecipazione.
LETTERA III

A llo s t e s s o G aio

Il term ine «improvvisamente» significa «contro ogni


speranza» e < si riferisce > a ciò che, invisibile fino ad
un certo momento, viene portato alla luce. Per quanto
riguarda l’am ore per gli uomini, caratteristico di Cristo,
penso che la teologia voglia alludere al fatto che questa
persona sovraessenziale; assunta l’essenza um ana, è ve­
n u ta fuori dall’arcano per rivelarsi secondo le nostre
capacità '. Nascosto però Egli rim ane anche dopo la sua
apparizione o, per esprim erm i in term ini più divini, nel­
la sua stessa apparizione: questo m istero di Gesù rim a­
ne occulto e non può essere spiegato da nessuna parola
e da nessuna intelligenza; anche se è oggetto di discorsi,
rim ane ineffabile, ed anche se è oggetto di pensieri, ri­
m ane sconosciuto 2.

Idee simili sull’incam azione di Gesù sono espresse in Nomi


div., I, 4 (592 A 10 - B 2); II, 9 (648 A 4-5).
! Cf. Nomi div., II, 9 (648 A 1-4).
LETTERA IV

A llo s t e s s o G aio m onaco

Tu mi chiedi: «Come mai Gesù, colui che è al diso­


p ra di tutto, viene classificato tra gli uom ini in base alla
sua essenza? In effetti, a tal proposito non lo chiam ia­
mo più uom o in quanto è la causa del genere umano,
m a in quanto Egli stesso è veram ente uom o in tu tta la
sua essenza». Noi però non definiam o Gesù in term ini
um ani: non è soltanto uom o (se fosse solo uomo, non
sarebbe neanche sovraessenziale); al contrario, è vera­
m ente uom o colui che am a tanto gli uomini, la sovraes­
senziale persona che assum e l'essenza um ana per gli
uom ini ed in modo conforme agli uom ini ‘. Nondimeno,
colui che rim ane sempre sovraessenziale è sem pre stra­
colmo della propria sovraessenzialità, proprio grazie al­
la sua sovrabbondanza; p u r essendo veram ente giunto
fino all’essenza < um ana > , l’ha assunta in modo so­
vraessenziale, ed ha svolto u n ’attività um ana rim anen­
do al disopra dell'um anità. Lo dim ostrano la vergine
rim asta incinta in modo soprannaturale, e l’acqua insta­
bile, che sorreggeva il peso di piedi m ateriali e terreni e
che non cedeva, m a veniva ten u ta insieme senza disper­
dersi da una forza soprannaturale 2. Ma perché passare

Sullo stretto rapporto tra l’amore per gli uom ini e l’incarnazio
ne della seconda Persona della Trinità, cf. anche Nom i div., II, 6 (644
C 5-12).
2 Cf. Mt. 14, 25-26. Lo stesso episodio evangelico è ricordato an-
122 Ps. Dionigi l'Areopagita

in rassegna tu tti gli altri fenomeni < soprannaturali > ,


cosi num erosi? Grazie ad essi, colui che è capace di
vedere in modo divino raggiunge una conoscenza - su­
periore alle sue facoltà m entali - anche di ciò che viene
afferm ato a proposito dell’am ore di Gesù p er gli uom i­
ni, e che è pieno della forza delle negazioni che ne accen­
tuano l’eccellenza. In effetti, per dirla in breve, non era
neppure un uomo: non perché non fosse uomo, m a per­
ché nato da uomini, rim aneva al disopra degli uom ini e
perché, pur essendo divenuto un vero uomo, trascende­
va l’um anità. Del resto, non compiva le sue azioni divi­
ne come Dio, né quelle um ane come uomo, m a agiva
come Dio fatto uomo, svolgendo per noi un'attività nuo­
va, insieme divina ed um ana \

che in Nomi div., II, 9 (648 A 6-8) come prova della natura divina di
Gesù.
3 Sull’uso del term ine teandrico in questo passo e sul suo legame
con la scuola neoplatonica di Atene alla fine del V secolo, cf. H. D.
Saffrey, Un lien objectif entre le pseudo-Denys et Proclus, Texte und
Unters. 94, Berlin. 1966, pp. 98-105.
LETTERA V

A Doroteo m inistro

La tenebra divina ' è la luce inaccessibile in cui si


dice che risieda Dio 2. In questa luce, invisibile a causa
del suo eccelso splendore ed inaccessibile a causa della
sovrabbondanza dell’irradiazione sovraessenziale, ven­
gono a trovarsi tutti coloro che sono ritenuti degni di
conoscere e di vedere Dio 3: proprio perché non vedono
e non conoscono, si trovano veram ente al disopra della
visione e della conoscenza, sanno che Egli si trova al di
là di tutte le realtà sensibili ed intellegibili, e dicono con
il Profeta: «La tu a conoscenza è stata am m irata da me,
è stata rafforzata, ed io nulla posso nei suoi confronti» \
Si dice che anche il divino Paolo abbia conosciuto Dio
allo stesso modo, in quanto sapeva che Egli era al diso­
pra di ogni pensiero e di ogni conoscenza; per questo
dice che le sue vie non sono rin tracciab ili5, che i suoi
giudizi sono im perscrutab ili6, che i suoi doni sono ine-

Es. 20, 21.


2 1 Tim. 6, 16.
3 Si tratta di una conoscenza e di una visione che non rientrano
più nella sfera razionale ma che appartengono all’hénosis soprara­
zionale (Dio non è conoscibile in termini razionali): cf. «Augustinia­
num», 22 (1982), pp. 564-565.
‘ Sai. 138, 6.
s Rom. 11, 33.
‘ Rom. 11, 33.
124 Ps. Dionigi l’Areopagita

n a rra b ili7, e che la pace supera ogni intelligenza ".


< Paolo > ha trovato colui che è al di sopra di tutto e,
superato ogni pensiero, ha saputo che è al di là di tutto,
èssendo la causa di tutto.
LETTERA VI

A S o sip a tro sacerdote

Non ritenere una vittoria, o venerabile Sosipatro, l’in­


veire contro un culto o un'opinione che non sem brano
buoni: le parole di Sosipatro non sono belle solo perché
tu confuti assennatam ente, in quanto la verità, che è
unica ed occulta, potrebbe ancora rim anere nascosta a
te e ad altri, vittim e delle varie menzogne ed apparenze.
Una cosa non è bianca solo perché non è rossa, né qual­
cuno è necessariam ente un uomo, solo perché non è un
cavallo. Regolati cosi, obbedendo a me: sm etti di parla­
re contro gli altri, e parla in favore della verità in modo
tale, che le tue parole risultino assolutam ente irrepren­
sibili.
LETTERA VII

A Policarpo v e sco v o

I. Non ricordo di avere mai parlato contro i Greci o


altri, convinto come sono che gli uom ini buoni devono
contentarsi di poter conoscere ed enunciare la p u ra veri­
tà cosi com’è realm ente. Se tale verità - qualunque essa
sia - viene dim ostrata rettam ente secondo la sua legge e
risulta chiara, tutto ciò che si discosta da essa e che la
sim ula risulta diverso e dissimile dall'essere reale \ ed
u n ’apparenza più che una realtà. Per chi intende rivela­
re la verità è quindi superfluo com battere contro questo
o quello: ciascuno dice infatti di possedere la m oneta
re g a le 2, e forse possiede un sim ulacro fallace di una
particella di verità; se confuti uno, un altro e poi ancora
un altro si m etterà a disputare sullo stesso argomento.
Se il vero discorso viene rettam ente stabilito e resta
inconfutabile per tutti gli altri, tutto ciò che non concor­
da totalm ente con esso viene fatto crollare dalla stabili­
tà invincibile della verità reale. Sapendo bene questo -
cosi almeno credo - non mi sono im pegnato in discorsi
contro i Greci o contro altri: mi b asta - Dio mi conceda
questa grazia - in prim o luogo conoscere la verità, e
poi, u na volta conosciutala, parlare come si deve.
II. Tu dici che il sofista Apollofane mi biasim a e mi

La strettissim a connessione tra la verità e l’essere (o idea) era


stata già afferm ata da Platone, Rep., VI, 508 d-e, 509 a; Tim., 29 c.
2 Cf. Mt. 22, 19-20.
Lettere - VII 127

chiam a parricida perché faccio un em pio uso dei discor­


si dei Greci nei confronti dei Greci. Ci atterrem m o inve­
ce di più alla verità se gli dicessimo che i Greci fanno
un em pio uso delle cose divine nei confronti delle cose
divine, giacché servendosi della sapienza di D io 3 cerca­
no di distruggere il culto divino. E non mi riferisco al­
l'opinione dei più, che rim angono attaccati in m odo m a­
teriale e passionale alle parole dei poeti e che venerano
la creazione al posto del C reato re4; lo stesso Apollofane
fa un empio uso delle cose divine nei riguardi delle cose
divine: con l’aiuto della conoscenza delle realtà, che egli
giustam ente definisce filosofia5 e che il divino Paolo
chiam a sapienza di Dio *, i veri filosofi dovrebbero infat­
ti elevarsi verso la causa sia delle realtà stesse che della
loro conoscenza. Per evitare di criticare l’opinione degli
altri piuttosto che la propria contro ogni evidenza, Apol­
lofane, essendo sapiente, dovrebbe rendersi conto che
nessuna cosa potrebbe discostarsi dall’ordine e dal mo­
vim ento celeste, se a questo non la spingesse il princi­
pio che tiene insieme il suo essere e che è la sua causa,
colui che, secondo la sacra parola, fa tu tte le cose e le
tra sfo rm a 7. Come può non venerare il Dio universale,
che noi conosciamo anche in base a questo e che è
realm ente esistente, e non am m irarne la potenza oltre­
m odo ineffabile, causa di tutto? Una volta per opera
sua - grazie cioè ad una forza e ad uno stato di quiete
soprannaturali - il sole e la luna, assiem e all’universo,
vennero resi simili al principio che è del tu tto immobile,
e tu tto rim ase sotto gli stessi segni per la du rata di un

3 1 Cor. 1, 21.
' Sap. 13, 1-7; cf. Clemente di Alessandria, Protr., 63, 4-5 (I, 48,
19-25).
5 Secondo la definizione stoica, fatta propria dalla tradizione pla­
tonica, da Filone e da alcuni Padri, la sapienza (sophia) è la «scienza
delle cose divine e umane».
6 1 Cor. 1, 21.
7 Gen. 1, 1; Dan. 2, 21.
128 Ps. Dionigi l’Areopagita

giorno intero ' (oppure - cosa ancor più m irabile - < si


può dire che > i corpi celesti contenuti internam ente
non girarono assiem e ai cieli superiori che li conteneva­
no e che pure ruotavano) ’. Un altro giorno quasi tripli­
cò la sua durata in un processo continuo, e in venti ore
complessive tu tto l’universo ritornò sui suoi passi [per
altrettanto tem po] secondo un m ovimento contrario e si
rivolse indietro, essendo condotto in senso inverso in
modo più che soprannaturale 10 ( < si può anche dire
che > il sole, com piuti nel corso di dieci ore i suoi
cinque movimenti, ritornò indietro ripercorrendo in sen­
so inverso tutto un nuovo cam m ino in altre dieci ore)
Questo prodigio colpi giustam ente i Babilonesi, e li sot­
tom ise pacificam ente ad Ezechia, come se fosse uguale
a Dio e superiore agli altri uomini. Non sto parlando dei
grandi prodigi avvenuti in Egitto, o degli altri segni del­
la potenza divina m anifestatisi altrove, m a di fenomeni
più generali e celesti, celebrati da tu tti in tutto il m on­
do. Apollofane afferm a recisam ente che essi non sono
veri; eppure, l’ultim o fenomeno < descritto > è riporta­
to nelle sacre tradizioni dei Persiani, ed ancora oggi i
magi celebrano il ricordo del triplice sole 12. Ma lascia­
mo pure che non creda a questi fatti, p er ignoranza o
per inesperienza. Chiedigli allora: «Che cosa ne pensi
dell’eclissi verificatasi durante la crocifissione del Salva­
tore?» u. Allora ci trovavam o assiem e ad Eliopoli, e ve­
dem mo la luna congiungersi con il sole contro ogni
aspettativa, giacché quello non era il m om ento di una
congiunzione; successivamente, dall’ora nona fino alla

! Gios. 10, 12-14.


9 Gios. 10, 12-14.
10 2 Re, 20, 9-11.
" 2 Re, 20,9-11.
12 Nel testo greco si trova il term ine «Mitra», con cui i Persiani
designavano appunto il sole. L’espressione «triplice sole» allude al
giorno durato tre volte, e ricordato poche righe prima.
13 Mt. 27, 45; Me. 15, 33; Le. 23, 44-45.
Lettere - VII 129

sera, la luna ritornò sul diam etro opposto a quello del


sole. Ricordagli anche u n ’altra cosa: sa bene che noi
vedemmo che l'oscuram ento cominciò da oriente, giun­
se all'estrem o limite del sole e poi si ritirò; l’oscuram en­
to e il ritorno della luce non ebbero però inizio nello
stesso punto, m a in due punti diam etralm ente opposti.
Questi fatti avvennero in quella circostanza; essi furono
soprannaturali e furono resi possibili solo da Cristo, la
causa di tutto, l’autore di grandi e straordinari prodigi,
che non si possono contare M.
III. Spiegami queste cose, o Apollofane, se ti è co
sentito, e, se puoi, confutale anche davanti a me, che
allora mi trovavo con te, che assistetti con te a tu tto il
fenomeno, e che lo giudicai ed am m irai assieme a te. Fu
in quella circostanza che Apollofane, spinto da non so
che cosa, cominciò a vaticinare e mi disse, riflettendo
su quegli eventi: «Questi fenomeni, o buon Dionigi, so­
no successioni di opere divine». Di tali argom enti ho
parlato abbastanza nella presente lettera. Tu sei in gra­
do di supplire a ciò che manca, e di accostare in modo
perfetto a Dio quell'uomo, che è sapiente in molte cose
e che forse non disdegnerà di apprendere con mitezza la
verità oltrem odo sapiente della nostra religione.
LETTERA Vili

A D em ofilo m onaco, sul com portam ento che non e sce dal
proprio rango e su lla gentilezza

I. N arrano le storie degli Ebrei, o nobile Demofi


che il santo Mosè fu ritenuto degno di contem plare l’ap­
parizione di Dio per la sua mitezza E se è scritto che
qualche volta egli fu escluso dalla visione divina, esse
non lo tengono lontano da Dio più che dalla sua mitez­
za: ci dicono che quando si m ostrò troppo arrogante e
si oppose al volere divino il Signore si adirò con l u i2. E
quando lo presentano illustre in virtù della dignità de­
cretata da Dio 3, egli deve questa gloria alla sua superio­
re im itazione del bene, giacché era assai mite; per que­
sto è chiam ato servo di D io 4, ed è ritenuto degno di
contem plarlo più di tutti i profeti. Anche quando alcuni
im pudenti contesero a lui e ad Aronne la carica di gran
sacerdote e la guida del popolo 5, egli si m ostrò superio­
re ad ogni am bizione e bram a di comando, e si disse
disposto a lasciare la guida del popolo a colui che fosse
stato designato da Dio 6. Allorché gli si sollevarono con­
tro, l’oltraggiarono e lo m inacciarono per ottenere la
supremazia, e furono sul punto di lanciarsi contro di
lui, il mite invocò il buon Dio perché lo salvasse, ed

Num. 12, 3; 12, 7-8.


1 Cf. Es. 4, 14.
3 Num. 12, 7-8.
4 Es. 14, 31; Num. 12, 7-8.
s Num. 16, 1-3.
6 Num. 16, 4-7.
L ettere - Vili 131

afferm ò con coraggio ed insieme con grande m odestia


di non essere responsabile dei mali dei suoi s u d d iti7:
sapeva infatti che chi ha fam iliarità con Dio deve render­
si simile al bene il più possibile, secondo le sue capaci­
tà ', ed essere consapevole delle sue buone opere. E che
cosa rese caro a Dio David, il progenitore di Dio? Il
fatto che era buono, e buono anche con i nemici. «Ho
trovato», dice il Dio oltrem odo buono ed am ante della
bontà, «l’uom o che asseconda il mio cuore» Ed era
stata prescritta anche la benevola legge di provvedere
alle bestie del nemico l0. Giobbe fu giudicato in base
all’innocenza a cui si m anteneva fedele Giuseppe non
si vendicò dei fratelli che avevano tram ato insidie nei
suoi c o n fro n til2; e Abele si mise in cam m ino con il fra­
tricida in tu tta sem plicità e senza sospettare di nulla l3.
La teologia celebra tutti i buoni perché non hanno pen­
sato in anticipo al male, perché non hanno finto, e per­
ché di fronte all’altrui m alvagità non si sono allontanati
dal bene, m a al contrario, rim anendo simili a Dio, han­
no reso buoni e semplici i malvagi, hanno riversato su
di loro la propria grande bontà, e li hanno am abilm ente
invitati a rendersi simili a Dio. Ma volgiamo lo sguardo
verso l’alto, senza annunziare né l’am abilità degli uom i­
ni santi, né la bontà degli angeli am anti del genere um a­
no, che com m iserano i popoli, che pregano la bontà
divina per loro 14, che m aledicono le folle apportatrici di

7 Num. 16, 28.


' Cf. Platone, Teeteto 176 b. La formulazione dell’ideale etico co­
me «somiglianza a Dio per quanto è possibile» presente in questo
passo è costantem ente ripresa in tu tta la tradizione platonica e pa­
tristica.
9 Sulla bontà di David cf. 1 Re, 13, 12; Sai. 88, 21 (la citazione di
quest’ultim o passo non è però letterale).
10 Es. 23, 4-5.
Giob. 1, 1; 1, 8.
Gen. 50, 19-21.
11 Gen. 4, 8.
14 Zach. 1, 12-13.
132 Ps. Dionigi l'Areopagita

lutti e di m a lil5, e che si addolorano p er i mali altrui e si


rallegrano per la salvezza di coloro che sono chiam ati al
bene 16; tralasciam o anche tutto ciò che la teologia ci ha
insegnato sugli angeli benevoli, riceviamo invece in pa­
ce i raggi benefici di Cristo, veram ente ed oltremodo
buono, e lasciamoci illum inare e guidare da essi verso
le buone opere divine. Non è forse proprio della sua
bontà ineffabile e superiore al pensiero il fare esistere
gli esseri, il condurli tu tti all’esistenza 1T, il volere che
essi siano sem pre simili a lui, e partecipi di lui secondo
le capacità di ciascuno? E che cosa si deve pensare del
fatto che, con il suo amore, rim ane attaccato a coloro
che si allontanano da l u i l8, che si m ostra sollecito, che
prega di non essere ritenuto indegno degli am anti e dei
corrotti ”, e che sopporta e difende coloro che lo accusa­
no senza motivo 20? Anzi, prom ette di c u ra rli21, e se gli
si vogliono avvicinare, corre loro incontro quando sono
ancora lontani, li stringe tutti e li abbraccia senza rinfac­
ciare i loro trascorsi; per di più, gioendo della circostan­
za presente, organizza una festa e chiam a gli amici -
vale a dire i buoni - perché tutte le persone felici possa­
no riu n irsi22.
[Demofilo invece, al pari di chi si adira contro le
persone- buone, viene giustam ente ripreso, im para a
com portarsi bene e si corregge] ” .

15 Cf. Es. 23, 3.


,é Dan 10, 18-19; Le. 15, 7; 15, 10.
17 L’idea del «condurre gli esseri all’esistenza» è un motivo che
ricorre costantem ente nel Corpus Dionysiacum. Sulla sua origine
neoplatonica, cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 551.
" Mt. 18, 12; Le. 15, 4.
" Mt. 11, 19; Le. 15, 1.
20 Le. 23, 24; cf. Mt. 5, 44.
21 Le. 22, 50-51.
22 Le. 15-20-23; cf. 15, 6; 15, 9.
21 Considero interpolate le parole messe tra parentesi quadra, in
quanto interrom pono il contesto.
Lettere - Vili 133

«Come non dovrebbe», dice < il Signore > «il buon


< pastore > rallegrarsi della salvezza di chi si era per­
so, e della vita di chi era morto?» 24. E certo si m ette
sulle spalle chi si è appena allontanato dall’errore, invi­
ta alla gioia gli angeli buoni ” , si m ostra m ite nei con­
fronti degl’ingrati, «fa sorgere il sole sui malvagi e sui
buoni» ed offre la sua anim a per coloro che lo fuggo-
no 27. Tu al contrario, come risulta dalle tue lettere, non
so come intervieni contro te stesso nel m om ento in cui
attacchi un sacerdote e scacci una persona che a tuo
dire è em pia e peccatrice. Eppure, benché egli supplicas­
se ed accettasse di curare i suoi mali, tu non solo non
hai m ostrato alcun ritegno, m a hai anche m altrattato
con insolenza quel buon sacerdote, che era degno di
com m iserazione perché si era pentito e che aveva con­
dannato la propria empietà. Gli hai detto infine: «Esci
con i tuoi simili»; ed anche se non ti era consentito, hai
fatto irruzione nel santuario ed hai contam inato il San­
to dei Santi. E ci scrivi: «Ho provveduto a salvare gli
oggetti sacri che stavano per essere violati, e li conservo
ancora puri». Ora, ascolta le nostre parole: un sacerdote
non può essere corretto né dai m inistri superiori a te,
né dai monaci del tuo stesso rango, sia che sem bri com­
p ortarsi em piam ente nei confronti delle cose divine, sia
che risulti autore di qualche altra azione proibita. Infat­
ti, anche se la m ancanza di arm onia e di ordine sono
prodotte dalla violazione delle divinissime prescrizioni
e delle leggi, non c’è ragione di stravolgere in nom e di
Dio l’ordine tram andato da Dio stesso. Dio non ha divi­
so se stesso: come potrebbe sussistere il suo regno 28? E
se, come dicono gli oracoli, il giudizio appartiene a

2' Le. 15, 6; 15, 23-24;15, 32.


25 Le. 15, 5; 15, 10.
21 Mt. 5, 45.
27 Gv. 10, 11; 10, 15.
28 Cf.Mt. 12, 26; Me. 3,24-26; Le. 11, 18.
134 Ps. Dionigi l'Areopagita

Dio ” , ed i sacerdoti sono, dopo i vescovi, i m essaggeri30


e gl'interpreti dei giudizi divini, è da essi, tram ite i m ini­
stri, che tu devi im parare le cose divine nel modo che ti
si addice e nel m om ento più opportuno: grazie ad essi
sei stato ritenuto degno di diventare m onaco 31. Non pro­
clam ano questa verità anche i sacri sim b o li32? In effetti,
il Santo dei Santi non trascende tutti allo stesso modo:
ad esso sono m aggiorm ente vicini innanzi tu tto l’ordine
dei < vescovi > iniziatori, poi quello dei sacerdoti, e
dopo di questi quello dei m inistri 33; all’ordine dei m ona­
ci sono invece assegnate le porte del santuario, presso
le quali essi vengono iniziati e rimangono, non per cu­
stodirle, m a perché rispettino l’ordine < gerarchico > e
riconoscano di essere più vicini dei sacerdoti al popo­
lo 34. Per questo, il santo principio dell’ordine relativo
alle cose sacre prescrive che essi siano partecipi delle
cose divine assegnandone la som m inistrazione ad altri,
vale a dire a quelli che si trovano più all'interno: coloro
che si trovano sim bolicam ente attorno al divino altare
vedono ed ascoltano le cose divine rivelate in modo ri-
splendente, ed uscendo benevolm ente fuori del divino
tendam e m ostrano gli oggetti sacri ai monaci obbe­
dienti, al popolo santo ed agli ordini dei purificati secon-

” Is. 30, 18; Rom. 2, 2.


30 Cf. Ger. cel, V, 6 (505 D 7-8).
31 Ger. cel., VI, 3, 1 (533 A 9-11); VI, 3, 2 (533 A 13 - C 1).
32 Si tratta della Scrittura, che per lo ps. Dionigi è tu tta velata da
simboli (cf. soprattutto Ger. cel, cc. I-II e 1Έρ. IX).
33 Cf. soprattutto Ger. eccl, V, 6-7 (505 C - 509 A).
3< In Ger. eccl., VI, 3, 1 (532 C - 533 A) l’ordine dei monaci occupa
la posizione im m ediatam ente superiore a quella degl'«illuminati» o
«popolo santo». La «custodia» delle porte del santuario è affidata
non ai monaci, m a ai ministri, l’ordine più basso degl’«iniziatori»; cf.
Ger. eccl, V, 6 (508 B 7-12).
35 II secondo «tendame» vela il Santo dei Santi; cf. Es. 40, 3; 40, 5;
Lev. 16, 2; Ebr. 9, 3; Clemente Aless., Strom., V, 33, 2 (II, 347, 14-15),
Exc. ex Theod., 27, 1 (III, 115, 22).
Lettere - Vili 135

do i loro m e riti36. Tali oggetti rim asero ben custoditi ed


incontam inati finché tu, dopo una prepotente irruzione,
non hai im posto che ti venisse inviato il Santo dei Santi
contro il suo stesso volere; ed hai afferm ato di possede­
re gli oggetti sacri e di custodirli, tu che né conosci, né
hai mai ascoltato, né possiedi nessuna delle cose che
sono dei sacerdoti, cosi come non conosci neanche le
verità oracolari, giacché ogni giorno parli contro di esse
per sem inare la sovversione tra i tuoi ascoltatori. Chi
u su rpa una carica non assegnatagli dal re è giustam ente
punito; e che cosa avverrebbe se uno dei sudditi presen­
ti osasse giudicare - non dico oltraggiare - il m agistrato
che giudica e che condanna, e ritenesse oppportuno
estrom etterlo dal suo posto di com ando? Tanto tem era­
rio sei tu, o uomo, nei confronti di una persona m ite e
buona e della sua posizione gerarchica, assegnatagli dal­
la legge. Tali cose andrebbero dette anche a chi, oltre­
passando la propria dignità, sem bra agire in modo n atu­
rale, giacché neanche questo è consentito. Che cosa fece
di strano Ozia, quando offri l’incenso a Dio 37? Che cosa
fece di strano Saul, quando sacrificò 38? E che cosa fece­
ro di strano i prepotenti demoni, quando predicarono
Gesù in m odo v eritiero 39? Ma tutti coloro che indagano
sugli affari altrui sono banditi dalla teologia: ognuno
deve rim anere al posto del proprio m inistero; solo il
gran sacerdote può entrare nel Santo dei Santi, e una
volta l'anno, e con tu tta la purezza, conforme alla legge,
propria del suo grado gerarch ico 40. I sacerdoti rim ango­
no intorno al Santo dei Santi, ed i Leviti non possono

36 I monaci, il popolo santo e i purificati rappresentano, proce­


dendo dall'alto verso il basso, i tre ordini della categoria degl'«inizia-
ti», alla quale lo ps. Dionigi dedica l’intero c. VI della Gerarchia ec­
clesiastica.
37 2 Cron. 26, 16.
31 1 Re, 15, 12; 15, 19-23.
” Me. 3, 11.
" Lev. 16, 2; Ebr. 9, 7.
136 Ps. Dionigi l'Areopagita

neanche toccare gli oggetti sacri, per non m orire 41. Il


Signore si adira per la tem erarietà di Ozia 42; M aria di­
venta lebbrosa, avendo tentato di dare prescrizioni al
legislatore 43; e i demoni saltano addosso ai figli di Sce-
va 44. Dice < la S crittura > : «Non li ho inviati ed essi
sono corsi» 45; «non ho parlato loro, ed hanno fatto i
profeti» 46; «empio è chi mi sacrifica un vitello, cosi co­
me lo è chi mi uccide un cane» 47. Per essere bravi, la
perfetta giustizia di Dio non tollera i trasgressori della
legge, e se essi dicono: «In tuo nome abbiam o fatto
m olti prodigi» 48, < il Signore > risponde: «Non vi co­
nosco, andate via d a 'm e tutti voi, operatori d’iniqui­
tà» 49. Di conseguenza, come dicono i sacri oracoli, non
è neppure lecito com piere azioni giuste se non si è de­
gni 50. Ognuno deve badare a se stesso, senza occuparsi
delle cose più alte e più profonde di lui, e pensare solo a
ciò che gli è assegnato, secondo il suo m erito 5I.
II. Tu mi chiedi: «Perché mai dunque non si devo
correggere i sacerdoti empi, o colpevoli di qualche altra
mancanza, e solo a coloro che m enano vanto della legge
dev’essere consentito di offendere Dio con la trasgressio­
ne della legge 52? E come possono i sacerdoti essere i
rivelatori di Dio, ed annunziare al popolo le virtù divi-

Lev. 16, 2; Num. 4, 19.


42 2 Cron. 26, 19-20.
43 Num. 12, 1-10.
44 Atti, 19, 14-16.
45 Ger. 23, 21.
46 Ger. 23, 21.
47 Is. 66, 3.
48 Mt. 7, 22.
49 Mt. 7, 23; cf. Sai. 6, 9.
50 Cf. 1 Re, 15, 22-23.
Alla base di quest’affermazione c’è la dottrina platonica della
giustizia, la virtù grazie alla quale ciascuna delle tre parti dell’anima
svolge la propria funzione senza interferire nelle funzioni delle altre
parti.
5! Cf. Rom. 2, 23.
Lettere - Vili 137

ne, se non conoscono la loro potenza? O come possono


illuminare, se sono ottenebrati? E come possono tra ­
sm ettere lo spirito divino, se non sono neanche vera­
m ente capaci di credere nell'esistenza dello Spirito san­
to?» ” . Ed io cosi risponderò a queste tue obiezioni.
Demofilo non è un nemico, né perm etterò che venga
circuito da Satana. In effetti, ogni ordine che si trova
attorno a Dio è più simile a Dio di quello più lontano 54;
e gli esseri che sono più vicini alla vera luce sono più
risplendenti e più capaci d’illum inare 55. Devi intendere
questa vicinanza non in senso spaziale, m a in base all’at­
titudine a ricevere Dio 56. Se dunque l'ordine dei sacerdo­
ti è quello che illumina, colui che non illum ina si trova
del tutto escluso dalla schiera e dalla potenza sacerdota­
le; e a maggior ragione lo è colui che non è illuminato.
A me sem bra un tem erario colui che, trovandosi in que­
sta condizione, cerca di appropriarsi delle prerogative
sacerdotali: non teme, né si vergogna di rincorrere le
cose divine oltrepassando la dignità del suo grado; cre­
de che Dio ignori ciò di cui egli è ben consapevole,
pensa di poter ingannare colui che chiam a falsam ente
Padre, e, sotto le spoglie di Cristo, h a il coraggio di
pronunziare contro i m isteri divini le sue em pie bestem ­
mie, che non posso definire preghiere. Costui non è cer­
to un sacerdote, m a un violento, un fraudolento, un in­
gannatore di se stesso, un lupo che si ricopre di una
pelle di pecora per aggredire il popolo divino 57.
III. Ma a Demofilo non è consentito correggere.
la teologia prescrive di perseguire la giustizia in modo
giusto (e perseguire la giustizia significa essere disposti
ad attribuire a ciascuno ciò che gli spetta in base alla

SJ Atti, 19, 2.
54 Cf. Ger. cel., VI, 2 (201 A 7-9).
55 Cf. Ger. cel, VI, 1 (205 C 6 - 7, 10-11).
!‘ Cf. Ger. cel, VII, 1 (203 B 7-11, C 9-11), Nom i div., V, 3 (817 B
7-10); cf. anche «Augustinianum», 22 (1982), pp. 555 n. 3 e 557 n.
57 Cf. Mt. 7, 15.
138 Ps. Dionigi l'Areopagita

sua d ig n ità)58, tu tti la devono perseguire in modo giusto,


senza violare la propria dignità ed il proprio ordine 59. È
giusto che anche agli angeli vengano attribuite le loro
funzioni in base alla loro dignità, e che esse vengano defi­
nite < conformemente > ; solo che, o Demofilo, non
spetta a noi questo compito: è Dio che assegna a noi le
varie funzioni tram ite essi, e ad essi stessi tram ite gli an­
geli ancora più a l t i 60. Per parlare in term ini semplici,
< se si considerano > tutti gli esseri, < si vede che > la
provvidenza che dispone tu tto per bene e giustissim a as­
segna le varie funzioni agli esseri di secondo rango in
base alla loro dignità tram ite gli esseri di prim o rango; in
tal modo gli esseri che hanno ricevuto da Dio il compito
di sovraintendere sugli altri assegnano le funzioni agli
esseri successivi ed inferiori in base alla loro dignità 61.
Demofilo deve dunque assegnare alla ragione, all’ira e al
desiderio ciò che spetta loro “ , senza violare il proprio
ordine gerarchico: la ragione superiore deve com andare
sulle parti inferiori ". Se vedessimo nella pubblica piaz­
za i servi inveire contro i padroni, i giovani contro i vec­
chi, i figli contro i padri, ed i prim i aggredire e colpire i
secondi, sem brerem m o degli empi, qualora non accorres­
simo in aiuto delle persone di più alto rango, anche se

58 Sull’orìgine stoica di questa definizione della giustizia e sulla


sua presenza in Filone e in Clemente, cf. S. Lilla, Clement o f Alexan­
dria, pp. 79-80.
59 Cf. sopra, la nota 51.
“ Cf. Ger. cel., IV, 3 (180 B); IV, 3 (181 A); V (196 C 8-12).
11 Sulla funzione esercitata dai gradi superiori della gerarchia
nei confronti di quelli inferiori, cf. ad es. Ger. cel, IV, 3 (181 A 2-4);
VII, 3 (209 A 3-6); VII, 4 (212 B 12 - C 1); V ili, 2 (240 D 2-4); IX, 1 (257 B
10-11); IX, 2 (260 A 6 - B 1).
“ La ragione, l’ira e il desiderio rappresentano tuttavia anche le
tre parti dell’anim a um ana secondo la dottrina esposta da Platone
nel quarto libro della Repubblica.
“ Si tratta di u n ’idea platonica: cf. ad es. Rep., IV, 433c, 441e,
442c.
Lettere - Vili 139

forse sono state offese per prime; e come non dovremmo


vergognarci, se lasciassimo che la ragione venga insolen­
tita dall’ira e dalla concupiscenza 64 e scacciata dal posto
di com ando assegnatole da Dio 65, e se risvegliassimo in
noi stessi l'em pio ed ingiusto disordine, la rivolta e la
disarm onia 66? G iustam ente il nostro beato legislatore, ta­
le p er volere di Dio, vieta di com andare nella casa di Dio
a colui che in precedenza non ha com andato bene in casa
propria Chi infatti disciplina se stesso disciplina an­
che gli altri; chi disciplina gli altri disciplina anche la
casa; chi disciplina la casa disciplina anche la città; e chi
disciplina la città disciplina anche il popolo. Per parlare
in modo semplice, come dicono gli oracoli, «chi è fedele
nel poco è fedele anche nel molto, e chi è infedele nel
poco è infedele anche nel molto» 6S.
IV. Assegna dunque al desiderio, all’ira ed alla rag
ne ciò che spetta loro, cosi come i divini m inistri l’asse­
gnano a te, i sacerdoti l’assegnano ai ministri, i vescovi
l’assegnano ai sacerdoti e gli apostoli ed i loro successo­
ri l’assegnano ai vescovi65. E quelli di loro che si allonta­
nano dalla convenienza devono essere corretti dai santi
m em bri del loro stesso ordine gerarchico; un ordine
non deve rivoltarsi contro un altro ordine: ciascuno de­
ve rim anere nel proprio ordine e nel proprio ministero.
Questo dovevamo dirti riguardo al dovere di ciascuno

M Cf. Platone, Rep., IV, 440 e.


45 Cf. sopra, la nota 63.
44 Sull’arm onia e la confusione che regnano nell'anima quando
vi dominano rispettivam ente la giustizia e l’ingiustizia, cf. Rep., IV,
443 d, 444 b.
47 Tit. 1, 7-12.
6i Le. 16, 10.
49 La subordinazione delle parti irrazionali dell’anim a alla ragio­
ne è dunque per lo ps. Dionigi strettam ente parallela alla subordina­
zione dei gradi inferiori della gerarchia a quelli superiori; l'idea del­
la «subordinazione gerarchica» è basilare sia nella Gerarchia celeste
che nella Gerarchia ecclesiastica.
140 Ps. Dionigi l'Areopagita

di conoscere e di svolgere le proprie fu n zio n i70. Per


quanto riguarda invece la tua crudeltà nei confronti di
un uom o da te definito em pio e colpevole, non so come
piangere la contrizione del mio diletto. Di che cosa, se­
condo te, noi dovremmo farti cultore? In effetti, se non
possiam o farti cultore del bene, tu sei necessariam ente
estraneo sia a noi che a tu tto il nostro culto: è per te
giunto il m om ento di cercarti un altro dio e altri sacer­
doti, e, più che di farti iniziare da loro, di assimilare la
loro crudeltà, in modo da diventare un im placabile ser­
vo della spietatezza a te tanto cara. Siamo forse noi
assolutam ente perfetti in fatto di santità, e non abbia­
mo forse bisogno dell’am ore divino nei nostri riguardi?
O non è forse vero che, come dicono gli oracoli, com m et­
tiam o come gli empi un duplice peccato, quando non
sapendo in che cosa pecchiam o giustifichiamo noi stes­
si e c'illudiam o di vedere, anche se in realtà non vedia­
mo 71? Si stupisce il cielo a tal proposito, ed io inorridi­
sco e non credo a me stesso. Sappi bene questo: se non
avessi letto il tuo scritto - non l’avessi mai fatto! - nes­
sun altro che avesse tentato di convincermi < mi avreb­
be indotto a credere che > , secondo Demofilo, il Dio
che è buono con tu tti non am a gli uomini; che Demofilo
stesso ritiene di non aver bisogno della sua m isericor­
dia e della sua salvezza; e che riprende i sacerdoti che
sono stati ritenuti degni di sopportare benevolmente
l'ignoranza del popolo e che sanno bene di essere circon­
dati dalla debolezza. Ma il divino iniziatore ha percorso
u n'altra strada: come dicono i sacri oracoli, p u r essendo
bandito dai p e cc ato ri72, richiede come prova dell’amore
verso di Lui l’essere disposti a pascere nel m odo più
mite le sue pecore Ed Egli chiam a malvagio colui che

70 Cf. sopra, la nota 51.


Is. 6, 9; M t 13, 13-14.
72 Cf. Ebr. 7, 26.
7J Gv. 21, 15-17.
Lettere - Vili 141

non rim ette il debito al suo conservo e non trasm ette


agli altri nem m eno in parte la copiosa bontà che gli è
stata elargita 74; e ritiene giusto che si sia contenti di ciò
che si ha, cosa che sia io che Demofilo dobbiamo
< sem pre > tenere presente. Perfino durante la sua
passione im plora dal Padre il perdono per chi l’offen­
de e rim provera i suoi discepoli, per avere senza pie­
tà giudicato em pi i Sam aritani che l’avevano perseguita­
to 76. E di questo chiacchieri su e giù nella tu a lettera
im pudente, ripetendoti più volte: < secondo te > , hai
vendicato non te stesso, m a Dio. Dimmi: vendichi il
buon Dio con la malvagità?
V. Non sia mai: non abbiam o un gran sacerdote c
non è in grado di com patire le nostre debolezze 77; al
contrario, il nostro gran sacerdote è innocente e m iseri­
cordioso 79: non litiga e non grida 79, è m ite 80, ed è l’espia­
zione dei nostri peccati Di conseguenza, non possia­
mo approvare i tuoi com portam enti impulsivi che non
sono certo da imitare, anche se ripetutam ente prendi
come esempi Finees ed Elia 92: i discepoli che non erano
ancora partecipi dello spirito buono e m ite non piaceva­
no a Gesù, quando ascoltava < da loro > queste co­
se 8i. Anche il nostro divinissimo precettore istruisce nel­
la mitezza coloro che si oppongono all’insegnam ento di
Dio 84: gl’ignoranti vanno infatti istruiti e non puniti,

74 Mt. 18, 32-34.


75 Le. 23, 34.
76 Le. 9, 52-55.
77 Ebr. 4, 15.
71 Cf. Ebr. 7, 26; 2, 17.
75 Is. 42, 2; Mt. 12, 19.
80 Mt. 11, 29; 21, 5.
81 1 Gv. 2, 2.
87 Num. 25, 7-11; 3 Re, 18,40.
83 Cf. Gv. 6, 60-66. L’espressione «spirito buono e mite» deriva da
1 Pt. 3,4
f4 1 Tim. 1, 10.
142 Ps. Dionigi l'Areopagita

cosi come non puniam o m a guidiamo i ciechi. Tu inve­


ce, dopo avere schiaffeggiato sulla guancia un uomo
che incom incia ad aprire gli occhi alla luce lo respingi,
e - cosa che desta un grande orrore - nel mom ento in
cui si accosta a te con grande rispetto lo cacci via con
tracotanza; Cristo al contrario, nella sua bontà, lo cerca
m entre vaga per i monti, lo chiam a m entre fugge via, e
subito dopo averlo trovato se lo carica sulle spalle 8S. Ti
prego, non prendiam o decisioni cattive nei nostri con­
fronti, e non spingiamo la spada contro noi stessi: chi
cerca di far del male o al contrario di far del bene ad
altri non fa ad essi ciò che intende fare, m a accoglie in
sé la cattiveria o la bontà, riem piendosi o di divine vir­
tù, o di passioni implacabili. I seguaci e i compagni
degli angeli buoni sia in questo m ondo che nell'altro
godono di una pace totale e di una com pleta libertà dai
mali; nel secolo eterno si vedranno assegnate le sedi più
beate, e saranno sem pre con Dio 8Ó, cosa che rappresen­
ta il più grande di tutti i beni. Gli altri invece perderan­
no la pace divina e la loro stessa pace, e sia in questa
vita che dopo la m orte si troveranno in com pagnia dei
feroci demoni. Per questo, dobbiam o fare di tu tto per
stare insieme al Dio buono e per trovarci sem pre con il
S ig n ore87, in m odo da non essere banditi dal giudice
assiem e ai malvagi per scontare le pene che ci m eritia­
mo p er colpa nostra; questo è ciò che io temo più di
ogni altra cosa, e prego di rim anere sem pre libero da
ogni male. Se vuoi, ti ricorderò la divina visione di un
san t’uomo; non ridere, perché ti dirò cose vere.
VI. Giunto u na volta a Creta, fui ospitato dal san
Carpo, uomo adatto più di ogni altro a contem plare Dio
grazie alla grande purezza della sua mente. Non prende­
va parte alle sacre iniziazioni dei m isteri se prim a non

85 Le. 15, 5.
86 Cf. Nomi div., I, 4 (592 B 13 - C 1); 1 Tess. 4, 17.
87 1 Tess. 4, 17.
Lettere - Vili 143

gli era apparsa una sacra e propizia visione nel corso


delle preghiere preparatorie. Fece dunque questo rac­
conto. Un infedele una volta l’aveva rattristato; il suo
dolore era dovuto al fatto che costui, quando ancora
celebrava le feste < pagane > della Gran Madre 8S, ave­
va allontanato un altro dalla Chiesa convertendolo al­
l’empietà. < Carpo > avrebbe dovuto pregare benevol­
m ente per entram bi invocando la salvezza e il soccorso
di Dio perché convertisse l’uno, e vincesse l’altro con la
sua bontà; per tu tta la vita, fino ad oggi, non avrebbe
mai dovuto tralasciare di am m onirli in modo da condur­
li alla conoscenza divina e da costringerli secondo la
legge e la giustizia a ricredersi dai loro dubbi e dalla
loro sconsiderata tem erarietà. Ma non si trovò fin dal­
l’inizio in questa disposizione: non so come, covava in
sé una forte indignazione ed amarezza. Una sera si ad­
dorm entò in preda a questo cattivo stato d ’animo. Ver­
so mezzanotte - intorno a quell’ora era solito svegliarsi
per recitare gl’inni divini - si alzò, dopo avere fatto mol­
ti sogni conturbanti e continuam ente interrotti. Levato­
si tuttavia per pregare Dio, provò un malevolo torm ento
ed un senso di tristezza; diceva che non era giusto che
continuassero a vivere degli uom ini senza Dio che scon­
volgevano le rette strade del Signore M. M entre diceva
queste cose, pregava Dio di troncare senza pietà una
volta per tutte le vite di entram bi con un fulmine. Disse
che fatta questa preghiera gli sem brò di vedere la casa
in cui si trovava prim a scossa im provvisamente, e poi
spaccata in due nel soffitto; vide quindi - il posto < in
cui si trovava > era orm ai a cielo aperto - un rogo
lum inosissim o scendere dal cielo fin davanti a lui; il
cielo si apri, e sulla sua volta vide Gesù, attorniato da

8S Che si tratta proprio delle feste pagane della «Gran Madre» è


confermato da uno scolio attribuito a S. Massimo il Confessore (PG
4, 556 B 5-8) e da Pachimera, Par. (PG 4, 447 B 14-15).
89 Atti, 13, 10; cf. Os. 14, 10.
144 Ps. Dionigi l'Areopagita

un’infinità di angeli dalL’aspetto um ano. Vide queste co­


se guardando verso l’alto, e ne provò stupore. Volto lo
sguardo verso il basso, vide che anche il pavim ento era
rotto da una voragine profondissim a e tenebrosa. Gli
uom ini contro cui aveva im precato stavano davanti a
lui sulla bocca di quest’apertura; erano trem anti ed in
uno stato m iserando, e quasi sul punto di cadere per lo
scarso equilibrio dei piedi. Dal basso della voragine
s’inerpicavano dei serpenti, che si muovevano attorno ai
loro piedi; ora cercavano di trascinarli via avvolgendosi
attorno a loro, prem endoli e tirandoli, ora li bruciavano
o li solleticavano con i denti o con le code, tentando in
tu tti i modi di gettarli nel precipizio. In mezzo ai serpen­
ti c’erano anche degli uomini che aggredivano quei due
scuotendoli, spingendoli e battendoli; i due, costretti e
persuasi a poco a poco da quella sventura, davano l’im­
pressione di essere sul punto di cadere, in parte contro
la loro volontà, in parte spontaneam ente. Carpo - cosi
continua il suo racconto - provava piacere a guardare
verso il basso, m a non si curava più di guardare verso
l’alto; si corrucciava e si scoraggiava perché i due non
erano ancora caduti. Dopo avere più volte cercato senza
esito < di farli cadere > , si adirò e cominciò ad im pre­
care contro di loro. Guardò infine a stento verso l’alto, e
vide di nuovo il cielo nello stesso stato in cui l’aveva
visto anche prim a; Gesù però, provando compassione
per quanto accadeva, si alzò dal trono iperuranio, scese
giù fino a loro e porse loro la sua m ano benevola; gli
angeli, aiutandolo, sorreggevano chi da una parte chi
dall’altra i due uomini. Disse Gesù a Carpo: «Allunga la
tua mano, e percuoti me da ora in poi; sono pronto a
soffrire di nuovo per la salvezza di questi uomini; a me
basta che altri non pecchino. G uarda però se sei conten­
to di scam biare la dim ora presso Dio e i suoi angeli
buoni ed am anti degli uom ini con la dim ora dell’abisso
e la com pagnia dei serpenti». Questo è ciò che ho ascol­
tato, e credo che sia vero.
LETTERA IX

A Tito vescovo, che aveva ch ie sto in una lettera quale


f o sse la ca sa della sa p ie n z a 1, quale il c r a te r e 2, e quali
fo sse ro i cibi e le bevande della sapienza s t e s s a 3

I. Non so, o ottim o Tito, se il santo Timoteo * se


sia andato senza avere ascoltato qualcuna delle mie
spiegazioni dei simboli teologici; nella «Teologia sim bo­
lica» 5, tuttavia, gli abbiam o spiegato tu tte le cose che
gli oracoli dicono su Dio e che ai più sem brano prodigi.
In effetti, i Padri dell’ineffabile sapienza danno alle ani­
me im perfette u n ’im pressione di grande assurdità, allor­
ché rivelano la verità divina, m istica ed inaccessibile ai
profani m ediante enigmi arcani e audaci \ Per questo,
noi del volgo stentiam o a credere ai discorsi sui m isteri
divini: siamo abituati a considerarli solo attraverso i
simboli sensibili che vengono loro a ttrib u iti7. Bisogna
invece spogliarli < di questi simboli > e contem plarli
in se stessi, una volta che sono divenuti nudi e puri:
contem plandoli in tal modo, sarem o in grado di venera­
re la fonte della vita e di vedere come si riversi su se

Prov. 9,1.
2 Prov. 9, 2-3.
3 Prov. 9, 5.
“ Si tratta del Timoteo che è più volte ricordato dagli Atti e da
san Paolo e a cui lo ps. Dionigi indirizza i suoi scritti; cf. la nota 3 alla
Teologia mistica.
5 È questo uno degli scritti - o fittizi o andati perduti - ricordati
dallo ps. Dionigi nel Corpus a noi giunto: cf. «Augustinianum», 22
(1982), p. 541.
6 Cf. Ger. cel., II, 1-2 (136 D - 140 B).
7 Cf. Ger. cel., II, 1 (136 D 5 - 137 B 5).
146 Ps. Dionigi l'Areopagita

stessa ", come rim anga in se s te s s a 9, e come la forza


unica, semplice, che si muove ed agisce da sé 10, non
abbandoni mai se stessa ", rappresenti la conoscenza di
tu tte le conoscenze e contem pli sem pre se stessa tram i­
te se stessa 12. Abbiamo ritenuto doveroso spiegare a lui
e ad altri, per quanto era possibile, tu tte le specie di
forme delle sacre e simboliche raffigurazioni di Dio; di
quanti incredibili ed im m aginari prodigi non sono infat­
ti piene le sue apparenze esteriori? Cosi ad esempio, a
proposito della sovraessenziale generazione di Dio, < la
Scrittura > raffigura il ventre di Dio nell'atto di genera­
re Dio fisicamente 13, descrive la parola riversata nel­
l’aria da un cuore um ano che la vom ita 14 e lo spirito
em anante dalla bocca 15, canta per noi in term ini corpo­
rei o raffigura fisicamente il grembo generatore di Dio
nel mom ento in cui abbraccia il Figlio di Dio l6, e ci
m ette davanti a lb e ril7, g erm o g liie, fio r il9, ra d ic i20, fonti

* Sulla «fonte della vita», cf. ad es. Ger. 2,13, Gv. 4,14, Apoc. 7,17.
* In queste parole si riflette la dottrina neoplatonica e pseudo·
dionisiana della monè, in base alla quale il prim o principio, pur pro­
ducendo gli esseri, rim ane fermo in se stesso senza subire alterazio­
ni di sorta: cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 543.
10 Gli stessi attributi si ritrovano in N om i div., IV, 14 (712 C 12-13).
Quella della «semplicità» è una delle caratteristiche precipue del
sommo principio del Neoplatonismo: cf. ad es. Plotino, Enn., II, 9, 1
(111, 8), V, 11, 5 (21, 4), Proclo, El. teol., 47 (46, 29).
" Anche quest’idea è riconducibile alla dottrina neoplatonica
della monè: cf. sopra, la nota 9.
12 L'uno, il sommo principio e prim a ipostasi di Plotino, «si volge
verso se stesso», Enn., V, 1,6 (22,18); l’intelligenza, la seconda iposta­
si, pensa se stessa, V, 3,13 (67, 18-21), V, 9, 5 (165, 6-7,14-16). Il «primo
dio» di Numenio «sta con se stesso», fr. 11 Des Places (p. 53, 12-13).
13 Sai. 109, 3.
M Sai. 44, 2.
1S Sai. 32, 6.
“ Gv. 1, 18.
17 Es. 3, 24; Sir. 50, 10.
" Sir. 50, 8.
” Sir. 50, 8.
20 Sir. 1, 6.
L ettere - IX 147

d’acqua sg o rg an ti21, o luci produttrici di splendori ” , o


altre sacre raffigurazioni rivelatrici della teologia so­
vraessenziale. A proposito dell’intellegibile provvidenza
di Dio, o dei suoi doni, o delle sue rivelazioni, o delle
sue potenze, o delle sue proprietà, o delle sue sedi, o
della sua im m o b ilità23, o delle sue emanazioni, o delle
sue moltiplicazioni, o delle sue «unioni» 24, forgia una
form a um ana di Dio “ , e m olteplici forme di belve 2é, di
altri an im a li27, di piante 28 e di pietre 29; m ette addosso a
Dio ornam enti fem m inili30 o arm ature barbare 3I; gli at­
tribuisce l’arte della ceram ica e gli dà una fornace, co­
me se fosse u n artigiano 32; gli assegna cavalli, carri e
tr o n i33; appronta conviti con cibi ra ffin a ti34 e lo raffigu­
ra nell’atto di b e r e 35 e di u b ria c a rsi3é, di dorm ire 37 e di
gozzovigliare 3β. E che cosa si deve dire delle ire ” , dei

Gv. 4, 14; Apoc. 7, 17.


22 Ez. 1, 4; 1, 27-28; Gv. 1, 4; 1, 9; 3, 19; 8, 12; 9, 5; 1 Gv. 2, 8.
23 Cf. sopra, la nota 9.
24 II primo principio dello ps. Dionigi, al pari di quello di Proclo,
si moltiplica nel m omento in cui em ana da sé : cf. soprattutto Nomi
div., II, 11 (649 B) e «Augustinianum», 22 (1982), p. 543. Sulle «unio­
ni», cf. op. cit., pp. 543-544.
25 Cf. ad es. Gen. 1, 8; 18, 1-2; Ez. 1, 5; 1, 10; 1, 26.
26 Ez. 1, 10.
27 Ez. 1, 5; 1, 10; 1, 13.
28 Cf. sopra, la nota 17 e anche Gv. 15, 1; 15, 5.
25 2 Re, 22, 2; Ez. 1, 26; Atti, 4, 11; 1 Pt. 2, 4; 1Cor. 10, 4.
30 Sir. 6, 30.
Sai. 44, 6; Sap. 5, 18-20; Sir. 39, 30; Abac. 3, 11; Is. 59,17; Apoc. 1,
16.
32 Sap. 3, 6; Sir. 33, 13; 38, 29; Zac. 11, 13.
33 Sui «cavalli» e sui «carri», cf. Sir. 48, 9; Zac. 1, 8; 6, 2-3. Sui «tro­
ni», cf. ad es. Sai. 10, 4; 44, 7; 88, 37; Sap. 9, 4; Is. 6, 1.
34 Sai. 22, 5; Le. 14, 16; 22, 30.
35 Sai. 77, 65; Cant. 5, 1; Mt. 11, 9; Le. 17, 8.
36 Deut. 32, 42; Sai. 77, 65; Ger. 26, 10.
37 Sai. 77, 65; Cant. 5, 1.
38 Sai. 77, 65.
39 Cf. ad es. Es. 22, 23; Num. 12, 9; 22, 22; 25, 3; Rom. 1, 18.
148 Ps. Dionigi l'Areopagita

dolori 40, dei giuram enti di ogni genere 41, dei pentim en­
ti 42, delle im precazioni43, delle collere 44, dei vari ed obli­
qui sotterfugi usati per eludere le prom esse 45, della bat­
taglia contro i giganti presente nella Genesi, in cui si
dice che Dio insidiò per pau ra quei forti uomini, che
pure avevano eretto quella costruzione non per fare del
male ad altri, m a per salvare se s te s s i46? E del consiglio
convocato in cielo per ingannare A caab47? E delle varie,
m ateriali e cortigiane passioni presenti nei c a n ti4e? E di
tu tte le altre sacre com binazioni visib ili49 proprie delle
audaci raffigurazioni di Dio messe davanti all’arcano,
moltiplicate, e m iranti a dividere ciò che è unico e indi-
visibile 50 e ad attribuire caratteri e forme molteplici a
ciò che è privo di forme e d ’im pronte 51? Chi < però > è
in grado di scorgere la bellezza che si trova dietro di
esse le trova tutte mistiche, simili a Dio e piene di una
grande luce teologica. Non dobbiam o credere che le
combinazioni visibili siano state forgiate per loro stes­
se; al contrario, esse sono state poste davanti alla scien­

40 Tob. 14, 4; Ef. 4, 30.


Gen. 26, 3; Es. 22, 10; 1 Re, 14, 26; 2 Re, 21, 7.
4J Gen. 6, 6-7; 1 Re, 15, 35.
43 Num. 5, 21; Mal. 2, 2; Is. 24, 6.
44 Es. 20, 5; Sai. 102, 9.
45 3 Re, 22, 22-23.
46 Gen. 11,4-8.
47 3 Re, 22, 20-21.
4* Cant. 1, 2; 1, 4-5; 4, 1-5; 4, 10; 7, 3-8.
45 Lo stesso term ine (synthem a) si trova in Ger. cel., II, 3 (141 B
13); un termine molto simile (synthesis) ricorre in Ger. cel., I, 2 (121
C 6).
50 L’indivisibilità (o m ancanza di parti) è una delle caratteristi­
che precipue del prim o principio neoplatonico: cf. ad es. Plotino,
Enti., V, 1, 7 (24, 18), VI, 9, 2 (173, 21); Porfirio, Hist. philos., fr. 18,
Comm. in Parm., VI, 17-18.
51 Questi due term ini -p riv o di forme e d’im pronte - (amórphota,
at^pota) si trovano usati insieme anche in N om i div., I, 4 (592 B 9-10);
cf. anche Ger. cel., II, 2 (140 A 8, 13). I contesti di questi due passi
sono analoghi al contesto del presente passo dell’£p. IX.
Lettere - IX 149

za che resta ineffabile ed incontem plabile ai pili in m o­


do che le cose oltrem odo sacre non siano alla p ortata
dei non in iz ia ti52 e vengano svelate solo a quei genuini
am anti della santità che siano in grado di elim inare dai
sacri simboli tutte le immaginazioni puerili e di procede­
re verso la semplice, sovrannaturale e trascendente veri­
tà dei simboli grazie alla sem plicità della loro m ente e
alle capacità della loro facoltà contem platrice Biso­
gna anche tener presente che la tradizione dei teologi è
duplice: una tradizione è ineffabile e mistica, u n ’altra
più visibile e pili conoscibile; \a prim a è sim bolica ed
iniziatrice, la seconda filosofica e dim ostrativa 54; l’inef­
fabile appare quindi intrecciato con ciò che si può prof­
ferire. La seconda tradizione persuade e fissa la verità
di ciò che si dice, la prim a agisce e fissa in Dio con le
sue iniziazioni che non si possono insegnare. In verità,
neanche nelle iniziazioni dei m isteri pili santi, i sacri
iniziatori della nostra tradizione e di quella della legge
hanno rinunziato ai simboli che convengono a Dio: noi
vediamo che anche gli angeli pili santi rivelano le cose
divine in modo mistico m ediante enigmi, e che lo stesso
Gesù espone in parabole la sua teologia 55 e trasm ette i
sacram enti deificanti attraverso il simbolico apparec­
chiam ento della mensa. Era infatti giusto non solo con­
servare incontam inato il Santo dei Santi proteggendolo
dal volgo, m a anche irradiare le conoscenze divine sulla
vita um ana, che è insieme indivisibile e divisibile, nel
modo più confacente; ed è anche giusto riservare la
parte dell’anim a che è libera dalle p assio n i56 alle visioni
52 Cf. Ger. cel., II, 2 (140 B 2-5), II, 5 (145 A 4-8).
53 Cf. Ger. cel., I, 3 (124 A 12-14), II, 5 (145 B 4-8).
” Sulla stretta corrispondenza tra questo passo e Proclo, Teol.
plat., I, 2 (I 9, 21-27), cf. «Augustinianum», 22 (1982), p. 562.
55 Su questo punto si può osservare una perfetta concordanza
tra lo ps. Dionigi e Clemente di Alessandria, cf. «Augustinianum», 22
(1982), p. 562.
“ Si tratta evidentemente della parte razionale (l’intelligenza o
nous).
150 Ps. Dionigi l'Areopagita

più semplici e più intim e delle immagini divine, e cura­


re e indirizzare in modo naturale verso le cose più divi­
ne la sua parte passionale 57 forgiando già in precedenza
dei simboli allegorici. Quanto le siano connaturati que­
sti veli lo dim ostrano coloro che, p u r avendo ascoltato
un insegnam ento teologico chiaro e senza maschera-
menti, form ano in sé un'im m agine che li conduce al
< più alto > m odo d’intendere questa teologia.
II. La stessa fabbricazione dell’universo visibile
stata posta dinnanzi alle cose invisibili di Dio, cosi co­
me affermano Paolo e il discorso veritiero 5‘. Per questo
anche i teologi esam inano certe cose secondo un crite­
rio politico e legale, certe altre in modo più puro ed
im m acolato 5 certe cose con un criterio um ano ed inter­
m edio 60, certe altre con un criterio che trascende il m on­
do ed iniziatore; e alle volte prendono le m osse dalle
leggi visibili, altre volte da quelle invisibili, cosi come si
addice alle cose sacre soggiacenti “, alle intelligenze e
alle anime: tutto il discorso che si trova davanti a loro
contiene infatti non una semplice storia, m a una perfe­

57 Secondo la classica dottrina adottata dal Neoplatonismo e dal­


lo stoico Posidonio e risalente in ultim a analisi al quarto libro della
Repubblica di Platone la parte «passionale» dell’anim a è quella irra­
zionale, e comprende a sua volta la parte «irascibile» e quella «con­
cupiscibile».
” Cf. Rom. 1, 20.
” La distinzione qui tracciata tra il «critèrio politico» inferiore e
quello «puro» «superiore», si spiega tenendo presente la distinzione
stabilita da Plotino tra le virtù «politiche» inferiori e quelle «catarti­
che» o «purificatrici» superiori: cf. Enti., I, 2, 3.
“ Il «criterio um ano e intermedio» si identifica con quello «politi­
co»: sulla stretta connessione tra le virtù politiche e il «giusto mez­
zo» o «moderazione delle passioni» (metriópatheia), cf. soprattutto
Porfirio, Setti., 32 (23, 4 e 25, 6-9 Lamberz).
“ Nel testo italiano ho seguito la lezione pràgmasi (cf. PG 3. 1108
n. 41) in luogo di gràmmasi che compare nel testo del Migne. Le «co­
se soggiacenti» rappresentano il senso recondito della Scrittura; su
questo punto, cf. «Augusti nianum », 22 (1982), pp. 558-560.
Lettere - IX 151

zione produttrice di vita 62. Anche noi dunque, anziché


seguire le opinioni volgari sui sacri simboli, dobbiamo
penetrare santam ente dentro di e s s i63 senza disprezzar­
li, giacché sono i prodotti e le im pronte dei caratteri
divini, ed immagini visibili delle contem plazioni ineffa­
bili e soprannaturali. In effetti, ad essere variegate da
simboli allegorici non sono soltanto le luci sovraessen-
ziali ‘4, le realtà intellegibili ed in una parola le cose
divine - cosi il Dio sovraessenziale è chiam ato fu o c o 65,
e le realtà intellegibili di Dio < sono chiam ate > detti
in fu o ca ti66 - ; m a anche i divini ordini degli angeli intel­
legibili ed intelligenti61 vengono descritti con forme va­
riegate e molteplici e con figure infuocate 6β. La stessa
im m agine del fuoco va in terp retata in un senso se è
usata a proposito del Dio superiore al pensiero 6’; in un
altro modo se è usata a proposito della sua provvidenza
intellegibile o delle sue parole; e in un altro modo se è

12 Quest’espressione (zotikè teleiosis) è strettam ente parallela al­


la zotikè apoplérosis che compare in Ger. cel, II, 5 (144 D 3). Quello
della «vita» come segno di perfezione è un motivo che affonda le sue
radici soprattutto nel quarto Vangelo e in san Paolo.
63 Sul passaggio dai simboli - espressi dalla «lettera» della Scrit­
tu ra - alle realtà superiori, cf. i due passi della Gerarchia celeste cita­
ti sopra, nota 53.
M In Nom i div., II, 7 (645 B 7) l’espressione «luci sovraessenziali»
è riferita alla seconda e alla terza Persona della Trinità. Si tra tta di
u n ’espressione procliana: cf. S. Lilla, «Augustinianum», 13 (1973), p.
609 e 22 (1982), p. 553 n. 118.
65 Es. 19, 18; Deut. 4, 24; 5, 4.22.26; Ebr. 12, 29.
66 Sai. 17, 3; 118, 140.
67 II concetto di esseri intellegibili ed intelligenti - che qui lo ps.
Dionigi applica agli angeli - risale al Neoplatonismo più tardo, e in
particolare a Giamblico e a Proclo: cf. Giamblico, fr. 230 Dalsgaard-
Larsen; Proclo, Teol. plat., IV, 1; IV, 2; IV, 3.
“ Es. 3, 2. In Ger. cel., VII, 1 l’essere «infuocati» è la caratteristica
precipua del più alto ordine angelico, quello dei Serafini.
69 La superiorità di Dio rispetto all’intelligenza metafisica e al
pensiero è una delle caratteristiche fondam entali della teologia sia
dello ps. Dionigi che del Neoplatonismo.
152 Ps. Dionigi l'Areopagita

usata a proposito degli angeli. Nel prim o caso va riferi­


ta alla causa, nel secondo all’esistenza, nel terzo alla
partecipazione 70; e certi simboli vanno interpretati in
un modo, certi altri in un altro, a seconda di quello che
prescrivono la loro contem plazione e il criterio scientifi­
co. I sacri simboli non vanno neanche confusi tra di
loro a caso; al contrario, vanno spiegati in modo confor­
me alle cause 7I, o alle esistenze 72, o alle potenze, o agli
ordini, o alle dignità 73 di cui rappresentano le rivelazio­
ni composte. Per non prolungare questa lettera oltre il
dovuto, dobbiam o procedere verso l’indagine che ci sia­
mo proposta. Diciamo allora che ogni nutrim ento perfe­
ziona chi si nutre in quanto elim ina le sue imperfezioni
ed i suoi bisogni, cura le sue debolezze, custodisce la sua
vita, lo fa rifiorire, lo ringiovanisce, gli dona la felicità
vitale, e in una parola scaccia le pene e le imperfezioni, e
trasm ette la gioia e la perfezione.
III. Giustam ente quindi la sapienza oltrem odo
piente e buona è celebrata dagli oracoli nell’atto di posa­
re un cratere mistico 74, di versare la sua sacra bevan­
da 75, di predisporre già da prim a i cibi s o lid i76, e d’invi­
tare benevolm ente a gran voce coloro che ne hanno biso­
gno 11. La divina sapienza presenta dunque due tipi di
cibo: quello solido e stabile, e quello liquido e adatto ad
essere versato 7β; e servendosi del cratere trasm ette i

70 Sia nello ps. Dionigi che in Proclo la «partecipazione» esprime


il rapporto tra l’essere gerarchicamente inferiore e l’essere superio­
re; si tratta di una delle leggi della Gerarchia celeste dello ps. Dioni­
gi. La distinzione tra «causa», «esistenza» e «partecipazione» è pro-
cliana: cf. El. Teol., 65 (62, 13-14).
71 Cf. la nota 70.
71 Cf. la nota 70.
7) Il concetto di dignità è basilare per l’idea stessa di gerarchia.
74 Prov. 9, 2.
75 Prov. 9, 2.
74 Prov. 9, 2.
77 Prov. 9, 2; cf. Le. 14, 16-17.
78 Prov. 9, 2; cf. 1 Cor. 3, 2.
Lettere - IX 153

suoi benevoli atti provvidenziali. Il cratere, di forma


circolare ed aperto, va considerato come il simbolo del­
la provvidenza universale senza principio e senza fine 7,(
che si dispiega e giunge dappertutto 80; e come essa, pur
giungendo dappertutto, rim ane purtuttavia stabilm ente
in se stessa e fissa in u n ’identità immobile senza mai
abbandonare se stessa ", < cosi pure > il cratere rim a­
ne fisso e stabile. La sapienza è celebrata nell’atto di
costruirsi una c a s a 82 e di predisporre in essa i cibi soli­
di, le bevande e il cratere 83, affinché a coloro che sanno
intendere le cose divine in modo degno di Dio, risulti
chiaro che la causa dell’esistenza e del buono stato di
tu tte le cose 84 è una provvidenza perfetta. Questa causa
procede verso tutte le cose 8S, viene a trovarsi in ognuna
di esse 86 ed abbraccia tutto 87; nello stesso tem po però
essa, grazie alla sua eccellenza, non è nessuna di tu tte le
cose, non si trova in nulla e non è conforme a nulla ee;

” I due attributi «senza principio» e «senza fine» si presentano


insieme anche in Nomi div., IV, 8 (704 D 2), IV, 9 (705 A 11), IV 14 (705
C 15 - D 1). In quest’ultimo passo appaiono riferimenti all’amore divi­
no che e un tu tt’uno con la provvidenza nom inata nel presente pas­
so dell’Ep. IX.
i0 Sull’origine stoica e sulla presenza anche in Filone, nella patri­
stica greca e nel Neoplatonismo di questa dottrina, cf. «Augustinia-
num», 22 (1982), pp. 548-549.
81 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 543, 550-551.
82 Prov. 9, 1.
8J Prov. 9, 2.
8‘ Cf. Nomi div., IV, 1 (696 A 4).
85 Cf. sopra, la nota 80.
86 La emanazione divina giunge dappertutto: cf. sopra, la nota
80: Anche l’uno di Plotino giunge dappertutto: cf. Enn., V, 5, 9 (101,
11-15).
87 Sulla presenza di questa dottrina nella tradizione platonica ed
in alcuni autori patristici, cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 548-549.
88 Si tratta di dottrine tipicam ente neoplatoniche: sul prim o prin­
cipio diverso da tutti gli esseri e non conforme a nessuno di essi, cf.
ad es. Plotino, Enn., V, 1, 7 (24, 18-19), V, 3,11 (64,19, 23-24); sul primo
principio che non sta in nessun luogo,' cf. Enn., V, 5, 9 (101, 11-12,
12-15, 23; 102, 33), VI, 8, 16 (154, 1-2).
154 Ps. Dionigi l'Areopagita

tutto trascende ", sta ferm a e stabile in se stessa nello


stesso modo ed eternam ente 90, si trova sem pre nello
stesso stato 9I, non esce in alcun m odo fuori di sé e non
abbandona m ai la propria sede, la propria dim ora im­
mobile ed il proprio santuario 92; produce benevolmente
in sé la propria provvidenza integra e perfetta, procede
verso tutte le cose e < nello stesso tem po > rim ane in
se stessa 93; sta sem pre ferm a e si muove 94, non sta fer­
m a e non si muove 9S; per cosi dire, in modo conforme
alla sua natura ed insieme soprannaturale svolge la sua
attività provvidenziale p u r nell’immobilità, e gode del­
l’im m obilità p u r svolgendo la sua attività provvidenzia­
le 9‘.
IV. Ma qual e il cibo solido, e qual è il cibo liquid
La buona sapienza è infatti celebrata nell’atto di elargi­
re entram bi i cibi e di svolgere la sua attività provviden­
ziale 97. A mio parere, il cibo solido è il segno della perfe­
zione intellettuale e dell’identità stabile, grazie alle qua­
li le cose divine divengono oggetto di partecipazione, in

n Sull’assoluta trascendenza del prim o principio - dottrina basi­


lare non solo nello ps. Dionigi e nel Neoplatonismo, m a anche in
Filone e nei Padri Alessandrini e Cappadoci - cf. sopra, la nota 88.
Allusione al m om ento della trascendenza: cf. sopra, la nota 81.
91 Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 550-551.
92 Ibid.
,J Mentre la processione verso tutti gli esseri esprim e il momen­
to della próodos, il «rimanere in se stessa» si riferisce al momento
della monè·. cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 542-543, 550-551.
94 La contem poranea presenza di questi due concetti opposti -
riferiti rispettivam ente alla trascendenza e alla emanazione, cf. la
nota precedente - si spiega tenendo presente la seconda ipotesi del
Parmenide platonico, dove l’uno è presentato nell’atto di muoversi e
di stare fermo, cf. Parm., 146 a.
95 Questi due concetti si riferiscono entram bi alla monè, che pur
esprimendo da una parte la totale fissità ed im mobilità del primo
principio (cf. sopra, la nota 93), dall'altra tracende qualsiasi stato di
quiete e di movimento. Cf. Parm., 139 b.
96 Cf. sopra, la nota 81.
97 Prov. 9, 2-3; cf. 1 Cor. 3, 2; Ebr. 5, 12-14.
Lettere - IX 155

u n a conoscenza stabile, forte, unitaria e indivisibile, per


quelle facoltà sensitive dell’intelligenza alle quali il divi­
nissimo Paolo trasm ette il vero cibo solido ricevuto dal­
la sapienza Il cibo liquido è invece il segno dell’em a­
nazione che si riversa da ogni parte e cerca di arrivare
dappertutto ” , e che con la sua bontà guida coloro che
se ne nutrono, in modo conforme alle loro capacità,
attraverso le conoscenze varie, molteplici e particolari
verso la semplice ed immobile conoscenza di Dio. Per
questo gli oracoli divini ed intellegibili vengono parago­
nati alla rugiada 10°, all’acqua l01, al latte l02, al vino 103 e al
miele IM: la potenza produttrice di vita si esprim e nell’ac­
qua, quella che fa crescere nel latte, quella che vivifica
nel vino, quella che purifica e che nello stesso tempo
protegge nel miele. Tutto questo in effetti la divina sa­
pienza elargisce a coloro che le si accostano, facendo
traboccare da sé e riversando per fam e dono dei conviti
abbondantissim i ed inesauribili. Questo significa invita­
re veram ente al banchetto 105; e per questo essa è cele­
b rata come produttrice di vita 106, come nutrice dei pic­
coli 107, e come colei che rinnova e rende p e rfe tti108.
V. Proprio grazie a questa sacra spiegazione del co
vito, si può dire che Dio, causa di tutti i beni, si u bria­
ca l09: ciò è dovuto alla sovrabbondante, inconcepibile,
perfetta ed ineffabile sm isuratezza del banchetto, o, per
essere più precisi, del buono stato di Dio. Come nel

,s Ebr. 5, 14.
” Cf. «Augustinianum», 22 (1982), pp. 543, 548-549.
Is. 26, 19; Dan. 3, 50.
,01 Sai. 28, 3.
102 Cant. 4, 11.
Prov. 9, 2; 9, 5.
10‘ Cant. 4, 11.
105 Prov. 9, 3-5; Le. 14, 16.
106 Gv. 5, 21; 6, 63; 2 Cor. 3, 6.
1 Tess. 2, 7; cf. anche Deut. 32, 18.
,0“ Ef. 4, 23; 1 Cor. 2, 6; Ebr. 5, 14.
,<” Deut. 32, 42; Sai. 77, 65; Ger. 26, 10.
156 Ps. Dionigi l'Areopagita

nostro caso l’ubriachezza è un difetto in quanto consiste


nel riem pirsi sm odatam ente e nell’uscire fuori di senno,
cosi nel caso di Dio essa è un pregio, giacché va concepi­
ta solo come la sovrabbondante sm isuratezza di tutti i
beni, presente già a priori in Lui in quanto causa. Il suo
uscire fuori di senno in seguito all’ebbrezza va interpre­
tato come l’eccellenza - superiore al pensiero - di Dio:
grazie ad essa, essendo cioè superiore al pensiero, alla
possibilità di essere pensato e allo stesso essere, Egli
trascende il pensiero. Per dirla in breve, Dio è ubriaco
di tu tti i beni e nello steso tem po li trascende, in quanto
da una parte ne è stracolm o superando ogni sm isuratez­
za, dall’altra è situato al di fuori e al disopra di essi
tutti; partendo da questi beni, anche nel regno di Dio
prenderem o parte allo stesso modo ai banchetti dei san­
ti È detto infatti: «il re passando li farà sdraiare, ed
Egli stesso li s e rv irà 1"». Queste parole alludono alla
com unione unita e concorde dei santi 112 nel godimento
dei beni divini, alla Chiesa dei prim ogeniti iscritti nei
cieli “3, e agli spiriti dei g iu s till4, resi perfetti e riem piti
di tutti i beni. Lo stare sdraiati va inteso come la fine di
ogni fatica, come la vita senza dolori, come il divino
modo di com portarsi, pieno di ogni sacra gioia, di colo­
ro che vivono nella luce 115 ed in quella regione, e come
la ricca elargizione di tutti i beni beati, che riempie i
santi di ogni gioia. Gesù li rallegra e li fa sdraiare, li
serve, concede loro il riposo eterno e distribuisce e fa
scorrere la piena bellezza.
VI. Mi chiederai, lo so bene, di spiegarti anche il

110 Sul «banchetto dei santi», cf. ad es. Mt. 22, 10; 25, 10; Le. 14,
21-24.
1.1 Le. 12, 37.
Cf. Basilio*, De bapt., I, 17 (PG 31, 1556 C 1); 1 Cor. 1, 9; 1 Gv. 1,
3; 1, 7.
1.1 Cf. Ebr. 12, 23.
1.4 Cf. Ebr. 12, 23.
1.5 Cf. 1 Gv. 1, 7.
Lettere - IX 157

famoso sonno di Dio 116 ed il suo risveglio "7. E dopo che


ti avrò detto che il sonno divino indica la trascendenza
di Dio e il suo distacco dagli esseri che sono oggetto
della sua provvidenza, m entre il suo risveglio indica il
suo impegno nel provvedere a coloro che hanno biso­
gno di essere educati e salvati, tu passerai ad altri sim­
boli teologici. Poiché ritengo quindi superfluo ripetere
le stesse cose sugli stessi argom enti p u r dando l’im pres­
sione di dire cose nuove, e mi rendo conto che ti sei
orm ai convinto < a volgerti > verso le cose belle, term i­
no con queste parole la lettera: credo di aver fatto
u n ’esposizione più lunga di quella che avrei dovuto fare
nel mio scritto. T’invio tu tta la m ia «Teologia sim boli­
ca», nella quale troverai le spiegazioni, oltre che della
casa della sapienza ll8, anche delle sette colonne e del
suo cibo solido, diviso iji vittim e e pani 12°; e < vi trove­
rai spiegate > anche la m escita del vino 121, e la crapula
risultante dall’ubriachezza di Dio 122; anche i punti di
cui abbiam o ora parlato vi sono trattati più diffusam en­
te. Essa è, a mio parere, la buona scopritrice di tu tte le
teologie simboliche, pienam ente in arm onia con le sa­
cre tradizioni e verità degli oracoli.

Sai. 77, 65.


1,7 Sai. 77, 65.
"■ Prov. 9, 1.
Prov. 9, 1.
120 Prov. 9, 1; 9, 5.
Prov. 9, 2.
122 Sai. 77, 65.
LETTERA X
A Giovanni teologo, a p o sto lo ed e van ge lista e siliato
nell'isola di Patmo

Saluto la tua santa anima, o diletto: mi è più familia­


re farlo con te che con altri. Salute a te, o diletto, tanto
am ato da colui che è il vero oggetto di am ore e di desi­
derio '. Che cosa c'è di strano se Cristo dice la verità, se
gl'iniqui scacciano dalle città i suoi discepoli assegnan­
do a se stessi ciò che m eritano, e se gli empi si tengono
lontani dai santi? Le cose visibili sono veram ente le
immagini chiare di quelle invisibili. Neanche nei secoli
futuri Dio sarà la causa di giuste separazioni da sé; < i
soli responsabili > saranno coloro che si separeranno
totalm ente da Dio. Vediamo che altri, al contrario, si
trovano già in com pagnia di Dio: sono am anti della veri­
tà, si allontanano da ogni affezione per le cose m ateria­
li, am ano la pace e la santificazione liberi da ogni male
e spinti dall’am ore divino per tu tti i beni; e già in que­
sta vita colgono le primizie della vita futura, com portan­
dosi in mezzo agli uomini come angeli e godendo dell’as­
soluta tranquillità, dell’appellativo di «divini», della bon­
tà e di tutti gli altri beni. Non sono cosi insensato da
credere che voi soffriate: anche per quanto riguarda i
dolori corporei, sono sicuro che li percepite soltanto
con il vostro giudizio. Riprendendo giustam ente coloro
che vi offendono e che a torto credono di esiliare il sole
del Vangelo, prego perché queste persone si astengano

Gv. 13, 23; 16, 26; 21, 7; 21, 20.


Lettere - X 159

dal com piere azioni contro se stesse, si convertano al


bene, vi chiam ino a sé e siano partecipi della luce. Quan­
to a noi, nessuna avversità ci p otrà privare del fulgidissi­
mo raggio di Giovanni: se ora godiamo del ricordo e
della rievocazione della tua vera teologia, tra breve - te
lo dico, anche a costo di sem brare audace - ci unirem o
a voi. Sono del tutto degno di fede, se dico cose che ho
appreso da Dio e che tu già conosci: sarai liberato dalla
prigionia di Patm o,-tornerai in Asia, e li com pirai azioni
che im iteranno il buon Dio, tram andandone il ricordo
ai posteri.
INDICI
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI*
Gerarchia celeste

Alberto Magno (s.): 6 Cavalli bianchi, rossi e dalla tin­


Altissimo (appellativo di Dio): ta mista: 87
48, 61, 62, 63 Cherubini: 10, 12, 47, 48, 57, 68
Angeli (come intelligenze pure): Clemente di Alessandria (s.): 11,
11 13, 19, 20, 25, 29, 30, 33, 34, 39,
Angeli (come ultim o ordine del­ 51, 60, 62, 63, 65, 81, 84
la gerarchia): 10, 46, 59, 60, 66 Comunione con Dio: 29, 38, 40,
Angeli (del gran consiglio): 42 49
Antiochia: 8 Comunione tra gli esseri: 68
Arcangeli: 10, 12, 43, 59, 60, 66 Concilio di Calcedonia: 7
Arcano: 38, 60, 75, 76 Concupiscenza: 29
Archetipi immateriali: 30 Conoscenze misteriche: 34
Areta: 6 Contemplazione: 21, 25, 28, 29,
Armonia: 60, 64 40, 50, 87
Attività provvidenziale: 76 Conversione: 19, 60
Autosufficienza di Dio: 65 Corpus Areopagiticum (o Diony-
siacum): 5
Corsini E.: 8, 13
Banchetto divino: 52 Cuore: 82
Bellezza: 21, 32, 33, 34, 48, 49, 50
Bellini E.: 16
Bene (come sommo principio): Damascio: 8, 28
53 Daniele: 58, 62
Bontà: 37 Dante Alighieri: 6
Bulhak: 6 David: 41
De divinis nominibus (opera del­
Capacità contemplativa: 14, 35 lo pseudo Dionigi): 5, 21, 32,
Causa sovraessenziale: 41 38
Causa universale: 37 De Gandillac M!: 16, 19, 22, 39

* I numeri in corsivo indicano le pagine dell’Introduzione.


164 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Deificazione: 50 Gerarchia terrena (immagine di


De malorum subsistentia (opera quella celeste): 58
di Proclo): 7 Gerarchia um ana: 15, 60, 61
Dio come principio di ordine: Gerusalemme: 57, 58
40 Giovanni Damasceno (s.): 6
Divinità sovraessenziale: 37 Giovanni di Antiochia: 6
Dominazioni: 10, 12, 46, 54, 60, Giovanni di Scitopoli: 8
66 Giuseppe (sposo di Maria, s.):
Doni divini: 38, 48 41, 62
Giuseppe Hazzaia: 6
Effusione: 47, 52 Grado gerarchico: 14, 40
Efraem Siro (s.): 20 Gran sacerdote (il Logos): 13
Emanazione: 19, 21, 51, 60 Gran sacerdote (Cristo): 57
Enoch (16, 3): 60, 82 Gregorio di Nissa (s.): 11, 13, 20,
Eraisco (discepolo di Dama­ 28, 29, 30, 40, 53, 81, 84
selo): 8 Gregorio Nazianzeno (s.): 13
Esoterismo della gnosi: 25
Essenze (angeliche, celesti, ipe- Hatch E.: 48
ruranie): 10, 43, 44, 45, 47, 48, Hathaway R.F.: 8
49, 50, 51, 52, 53, 60, 69, 71, 72, H ausherr I.: 6
73, 76, 77, 85, 88 Heil G.: 16
Esseri (inferiori): 34 Henotikon (editto dell'im perato­
Esseri (intellegibili ed intelligen­ re Zenone): 8
ti): 28
Eusebio (s.): 40 Ieroteo: 41, 45, 56
Eutiche: 8 Ignoranza: 51
Ezechiele: 57 Illuminazione: 9, 19, 20, 33, 34,
35, 38, 43, 44, 45, 48, 50, 51, 52,
Facoltà concupiscibile: 87 53, 55, 56, 57, 60, 63, 65, 67, 69,
Facoltà irascibile: 87 72, 80, 86
Filone di Alessandria: 11 Imitazione di Dio: 33, 34, 36, 38,
Filosofie esoteriche: 32 48, 54, 55, 69, 72
Fozio: 6 Immagine divina: 33
Fuoco: 71, 79, 80 Immagini (sensibili o scrittura­
li): 9, 11, 49, 72, 88
Gabriele (arcangelo): 40, 58 Im pronta intellegibile: 38
Gerarchia: 9, 10, 13, 14, 15, 16, Infinità e inconoscibilità di
43, 45, 47, 48, 49, 51, 54, 58, 59, Dio: 27
60, 67, 71, 78 Iniziazione: 9, 34, 47, 50, 51, 52,
Gerarchia celeste (opera dello 56
ps. Dionigi): 5 Inni divini (opera presunta di
Gerarchia celeste (modello di Dionigi): 53
quella terrena): 14, 21 Intelligenze (angeliche, celesti,
Gerarchia ecclesiastica (opera divine, incorporee, iperura-
dello ps. Dionigi): 5 nie): 9, 11, 20, 22, 23, 24, 25, 30,
Indice dei nomi e delle cose notevoli 165

34, 35, 43, 45, 47, 49, 53, 56, 60, Padre (che tutto riunisce); 19
64, 65, 68, 70, 72, 73, 74, 79, 83 Padre (delle luci): 19
Interpretazione allegorica: 11, Paolo (s.): 5, 12, 41, 56, 57, 63
20 Partecipazione: 48, 51, 56, 61
Invisibile: 63 Perfezione: 33, 34, 51, 65
Ipazio: 5 Pico della Mirandola: 6
Ira: 29, 87 Pietro di Damasco: 6
Irraggiamento: 64, 75 Pietro il Fullone: 8
Isaia: 11, 70, 73, 83 Pietro l’Iberico: 8
Israele: 57, 63 Piogge celesti: 87
Podestà: 10,12, 43, 46, 54, 55, 60,
Koch H.: 7, 12, 13 66
Portatore della parola, di Dio:
83
Lettere (dello ps. Dionigi): 5 Potenza divina: 36, 71
Logoi: v. Principi razionali Potenza originaria: 55
Lorenzo Valla: 6 Potenze (angeliche, celesti): 10,
Luce (del Padre): 19 11, 44, 60
Luce (divina): 19, 22, 26, 33, 35, Principati: 10, 12, 43, 46, 59, 60,
48, 49, 50, 61, 65, 71, 72 66
Principi razionali: 50
M aria (Vergine): 41 Principio della dominazione
Marsilio Ficino: 6 (Dio): 54
Massimo il Confessore (s.): 6 Principio della luce: 20
Melchisedech: 62 Principio dell’ordine: 56, 58, 64
Michele: 61, 63 Principio iniziatore (o dell’ini-
Modello: 30 ziazione): 22, 37, 50, 51, 56
Monade: 53 Principio superiore al princi­
Monofisiti: 5, 8 pio: 53
Movimenti (delle intelligenze ce­ Proclo: 7, 13, 26, 53, 56
lesti): 47, 55, 84 Profeti dell’Antico Testamento:
56
Negazioni: 27 Profumo della sapienza: 21
Neoplatonismo: 9, 29 Provvidenza: 19, 20, 21, 37, 53,
57, 62, 72
Occhi degli angeli: 81 Puech H. Ch.: 13
Olocausto: 48 Punizione: 84
Purezza: 35, 49, 74
Oracoli: 24, 26, 43, 44, 49, 79
Ordinamento ternario: 10 Purificazione: 9, 14, 35, 48, 51,
Ordini inferiori della gerarchia: 56, 65, 74, 75, 76
43, 67, 78
Ordini superiori della gerar­ Raffigurazioni scritturali: 11,
chia: 43, 67, 79 26, 27, 31, 79
Origene: 20, 33, 84 Raggio divino: 9, 21, 34, 61, 72,
Oro e argento: 86 87
166 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Redpath H.: 48 Tabernacolo: 31


Riposo divino: 53 Teofania: 39
Rivelazioni divine: 10 Teologi: 43, 57, 65
Roberto Grossatesta: 6 Teologia mistica (opera dello
Roques R.: 9, 16 ps. Dionigi): 5
Rotazione delle intelligenze an­ Teologia negativa: 9
geliche: 88 Timoteo: 19
Tommaso d'Aquino (s.) 6
Tradizione sacerdotale: 56
Santissimo: 50 Tradizione segreta: 41
Santo dei santi: 31 Trascendenza ed ineffabilità di
Sapienza: 47, 48 Dio: 69
Sapienza infinita di Dio: 77 Trasmissione: 16, 35, 48
Scazzoso P.: 16 Trinità: 20
Schwartz E.: 5 Troni: 10,12, 43, 46, 47, 48, 66, 73
Scienza relativa alla divinità: 39 Turolla E.: 16
Scoto Eriugena: 6
Segni divini: 83 Umiltà (delle intelligenze angeli­
Semplicità (di Dio): 19, 64
Senso letterale della Scrittura: che): 87
Unione con Dio: 9, 33, 60, 69
28 Unità: 32
Serafini: 10,12, 43, 46, 47, 65, 70,
Unità di Dio: 19, 75
74, 75
Uno: 53
Sergio di Resaina: 8
Severo di Antiochia: 8
Simboli: 16, 29 Veli (della Sacra Scrittura): 21
Simbolismo scritturale: 42 Vestibolo della divinità: 49
Simeone Petritsi: 6 Virtù (ordine angelico): 10, 12,
Somiglianza a Dio: 9, 33, 44, 48, •43, 46, 54, 55, 60, 66, 67
52, 54, 55 Visioni iperuranie: 28
Somiglianze dissimili: 28, 29, 87 Vòlker W.: 13, 20, 21
Sovraessenziale: 26
Specchi immacolati: 33 Zaccaria: 40, 57
Splendore: 34, 35, 43, 52, 56 Zenone (im peratore d’Oriente):
Stiglmayr J.: 7 8
INDICE SCRITTURISTICO *
Gerarchia celeste

A n tico 32, 31: 69 Numeri


Testam ento 35, 9: 39
41, 1-7: 62 14, 10: 39
41, 14-36: 62 16, 19: 39
48, 3: 39 20, 16: 39
Genesi 48, 16: 39 22, 31: 39
23, 3-4: 39
1, 26: 81 Esodo
1, 31: 28 D eu tero n o m io
2, 19: 81 3, 2: 39, 80
3, 24: 46 3, 14: 26 4, 24: 31, 80
12, 7: 39 6, 3: 39, 69 32, 8: 61
14, 18: 62 14, 24: 80 32, 9: 63
17, 1: 39 16, 10: 39
18, 1: 39 19, 3: 40 Giosuè
18, 2: 39, 81 19, 9: 40
18, 5-8: 81 19, 18: 80 5, 14: 24, 84
19, 1: 39 19, 20: 40
19, 3: 81 20, 1-17: 40 Giudici
19, 5: 81 20, 22 - 21, 33: 40
19, 15: 39 23, 23: 39 6, 21: 81, 82, 84
22, 11-18: 39 24, 12 - 31, 18: 40
22, 12: 39 2 Maccabei
22, 14: 39 Levitico
26, 2: 39 3, 25: 27
26, 24: 39 1, 3: 48 3, 26: 28
31, 13: 39 1, 9: 48
32, 25: 81 1, 10: 48 Giobbe
32, 29: 69 5, 23: 39
32, 30: 69 16, 2-3: 31 22, 25: 86

* I numeri in corsivo indicano le pagine dell’Introduzione.


168 Indice scritturistico

S a lm i 6. 3: 65, 74 9, 4: 58
6, 6: 46, 47, 70, 79 9, 5-6: 58
21, 7: 31 6, 6-7: 70 9, 11: 58
23, 7-10: 50 6, 7: 75 10, 1: 46, 86
23, 10: 50 6, 8: 70 10, 2: 79
35, 10: 30 9, 5: 42, 82 10, 3-4: 85
81, 6: 69 10, 12: 46 10, 4-9: 46
88, 47: 80 10, 21-22: 46 10, 6: 79
90, 12: 82 16, 3: 53 10, 6-7: 58
96, 4: 39 20, 2-3: 83 10, 7: 58
102, 20: 81 20, 4: 83 10, 8: 82
103, 4: 84 28, 16: 31 10, 9: 79
108, 18: 31 29, 6: 80 10, 9-19: 88
109, 4: 62 30, 30: 80 10, 12: 81, 82
131, 14: 53 40, 13: 26 10, 13: 88
144, 3: 27 60, 2: 39 10, 14: 23, 86, 87
63, 1: 51 10, 15-16: 46
P roverbi 63, 2: 51 10, 18: 57
66, 1: 53 10, 18-20: 46
4, 25: 82 10, 21: 82
25, 22: 79 11, 22-25: 39
G erem ia
40, 3: 84, 86
C antico dei C antici 2, 13: 31 47, 3: 84
7, 24: 61 47, 9: 31
1, 3: 21, 31
E zechiele D aniele
Sapienza
1, 4: 84, 85, 86 2, 1-3 62
5, 6: 30 1, 6: 23, 46 2, 16-49: 62
7, 26: 33 1, 7: 83, 86 2, 27-45: 39
1, 8: 82 7, 4: 23, 31, 86
Siracide 1, 10: 23, 81, 86, 87 7, 5: 31
1, 11: 23 7, 6: 31
24, 15: 21 1, 13: 79 7, 9: 23, 79, 88
26, 18: 82 1, 15: 23, 79 7, 10: 39, 77, 79, 88
50, 6: 30 1, 15-23: 88 8, 16: 58
50, 9: 31 1, 18: 82 9, 23: 58
1, 24: 52 10, 5: 27, 28, 83
1, 26: 23, 86 10, 5-6: 27, 81, 83
Isaia 10, 6: 28, 79, 81, 86
1, 27: 86
4, 5: 80 3, 12: 52 10, 13 61, 63
6, 1: 83 6, 2: 83 10, 20 61
6, 1-2·. 73 8, 2: 86 10, 21 61, 63
6, 1-13: 71 9, 2: 58, 83, 84 11, 15 84
6, 2: 23, 46, 74, 82 9, 2-3: 58 12, 7: 82
Indice scritturistico 169

Osea M arco 7, 53: 39


17, 34: 5, 6
4, 6: 61 16, 5: 28, 81, 82, 83 22, 6-7: 39
5, 14: 31 16, 19: 50 22, 17: 39
12, 4: 69
26, 13-14: 39
13, 8: 31 Luca
1, 11-17: 41 Rom ani
A m os
1, 30-33: 41 3, 29-30: 62
7, 7: 84 2, 8-12: 41 10, 12: 62
9, 14: 57 2, 13-14: 41 11, 34: 26
8, 10: 25 11, 36: 19
Gioele 10, 22: 27 12, 20: 79
2, 4: 87 15, 7: 89
15, 10: 88, 89 1 C orinti
22, 42-44: 41
Zaccaria 22, 43: 42 2, 16: 26
1, 8: 24, 87 24, 4: 81, 83 3, 9: 34
1, 13: 57 8, 7: 25
2, 5: 84 G iovanni
2, 7: 57 2 Corinti
2, 7-8: 56 1, 1: 26
2, 8: 57 1, 4: 19, 26 2, 14: 21
6, 1-3: 88 1, 4-5: 30 12, 4: 39
6, 2-3: 24, 87 1, 9: 26, 30
1, 18: 27, 39 G alati
M alachia 3, 8: 85
3, 19: 19, 26 3, 19: 39
2, 7: 68 4, 14: 31
3, 20: 30 7, 38: 31 E fesini
8, 12: 19, 26
10, 9: 20 1, 20-21: 39
10, 34: 69 1, 21: 45, 46, 69
Nuovo 14, 6: 20, 26 2, 20: 31
15, 15: 42 3, 10: 83
Testam ento
16, 22-24: 89
17, 13: 89 F ilippesi
M atteo 20, 12: 81
2, 9: 69
1, 20-23: 41 A tti
2, 13: 41 Colossesi
2, 19-20: 41 1, 2: 50
7, 6: 32 1, 10: 28, 83 1, 15: 27, 63
11, 27: 27 1, 11: 50 1, 16: 39, 45, 46, 63
13, 11: 25 1, 22: 50 1, 16-17: 73
28, 3: 27, 28, 81, 83 7, 30: 39 2, 10: 45
170 Indice scritturistico

1 Tessalonicesi 7 G iovanni 4, 4: 23, 28


4, 5: 79
4, 16: 45, 46 2, 8: 30, 39 4, 6-8: 81
1 T im oteo 4, 7: 23, 81, 86, 87
3 G iovanni 5, 11: 77
2, 5: 20 6, 2-3: 87
3, 16: 50 8: 34
6, 2-8: 87
6, 16: 27 7, 17: 31
G iuda 10, 1: 85
Ebrei
9: 45, 46 10, 2: 82
2, 2: 39 10, 5: 82
7, 1: 62 13, 2: 31
7, 1-3: 62 A pocalisse
15, 6: 83
9, 3: 31 1, 4: 26 19, 6: 52
9, 7: 31 1, 8: 26 19, 11: 87
9, 11: 57 1, 12-17: 39 19, 14: 87
12, 29: 31 1, 13: 83 21, 15: 84
1, 16: 39 22, 1: 31
G iacom o 3, 18: 86 22, 5: 30
1, 17: 19 4, 3: 86 22, 16: 30
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI*
Teologia mistica - Lettere

A bbandono (m istico): 105 A ttiv ità n o e tic a (o in te lle ttu a ­


Abele: 131 le): 95, 98, 105
A caab: 148 A ttiv ità provvid en ziale: 154
A fferm azioni (com e m eto d o A ttrib u ti p o sitiv i (nella teo lo ­
teologico): 93, 106, 108, gia): 94
110, 112, 113
Affezione (p er le cose m a te ­
riali): 158 B abilonesi: 128
A ltare; 134 B a n c h e tto dei S an ti: 155, 156
A m ore divino: 153 B arto lo m eo : 106
A m ore p e r gli u o m in i (di Cri­ B asilio (s.): 156
sto): 120, 122, 132, 140 Bellezza: 148
Angeli: 131, 132, 133, 138, 142, B ene (o beni): 99, 109, 119,
144, 149, 151, 152, 158 131, 132, 140, 142, 155, 156,
A nim a u m a n a : 102, 112, 136, 158, 159
139, 145, 149, 150 B ev an d e (della Sapienza):
A pollofane; 100, 126, 127, 145, 152, 153
128, 129 B o n tà (ap p ellativ o di Dio):
A pparizione (di Dio): 130 110, 112, 119, 131, 132, 155,
A pparizione (di G esù su lla 158
terra): 120 B o n tà (degli angeli): 131
A rcano: 105, 148 B o n tà (di C risto): 142
A rm onia: 133, 139 B o n tà (in generale): 141, 142,
A ronne: 130 143
A scesa (della m e n te u m a n a a
Dio): 95, 106, 107, 110, 112
A ssenza (di p a ro le e di p e n ­ C ap acità: 132
sieri): 110 C a ra tte re sim b o lico (della
A ttitu d in e (a ricev ere Dio): S c rittu ra ): 100
137 C a ra tte re so p ra ra z io n a le

* I numeri in corsivo indicano le pagine dell’Introduzione.


172 Indice dei nomi e delle co se notevoli

(d ella co n o sen za d i Dio): C risto: 129, 132, 137, 142, 158


101 C riterio: 150, 152
C a ra tte ri divini: 151 C riterio d e lla p rivazione: 117
C arpo: 142, 143, 144 C riterio d e ll’eccellen za (nella
C asa (della S apienza): 145, teologia): 101, 117
153, 157
C ausa; 152, 153, 155
D am ascio: 97
C au sa tra sc e n d e n te e u n iv e r­
D avid: 131
sale (Dio): 106, 108, 111,
D eificazione: 119
112, 124, 127
D em ofilo: 100, 130, 132, 137,
C ecità: 108 138, 140, 141
C ibi (della S apienza): 145,
D em oni: 142
152, 153, 154
D esiderio: 138, 139
C ibo (solido e liq u id o d ella
D ignità: 137, 138
Sapienza): 154, 155, 157
D im o ra im m o b ile (di Dio):
Cieli superio ri: 128
154
C lasse (o classi, n ello S tato):
D isarm o n ia: 139
102
C lem ente di A lessan d ria (s.): D iscorso: 120, 126, 150
103 D isordine: 139
C om binazioni: 148 D ivinità (com e a ttrib u to di
C o m m en to al P arm enide Dio): 119
(o p e ra di Porfirio): 98, 148 D oroteo: 123
C om m iserazione: 133
C om unione dei S anti: 156 E brei: 130
C oncupiscenza: 139 E clissi d i sole (alla m o rte di
C onfusione: 139 Gesù): 100, 128
C ongiunzione (del sole con E gitto: 128
la luna): 128 E le m e n ti teologici (o p e ra di
C onoscenza (degli esseri): Poclo): 152
101, 105, 127 Elia: 141
C onoscenza (di Dio): 94, 95, E liopoli: 100, 128
98, 99, 101, 107, 108, 112, E m an azio n e (o em anazioni,
117, 118, 122, 123, 143, 149, d e lla divinità): 93, 96, 98,
155 117, 147, 153, 154
C onoscenza (p ro p ria di Dio): E m p ietà: 133
146 E nigm i: 145, 149
C onoscenza m istic a (di Dio): E rro re: 112, 133
99, 123 Esegesi (della S crittu ra):
C ontem plazione: 94, 95, 151, 100, 102
152 E sistenza: 132, 137, 152, 153
C orpi celesti: 128 E sp iazio n e (dei peccati): 141
C orruzione: 111 E ssen za (rife rita a Dio): 111,
C ra tere (della Sapienza): 112
103, 145, 152, 153 E ssen za u m a n a (di Cristo):
C reta: 142 120, 121
Indice dei nomi e delle cose notevoli 173

E ssere (com e re a ltà m etafisi­ G rem b o (g e n e ra to re di Dio):


ca): 118, 126, 156 146
E sseri: 137, 138, 146, 154, 157
E tern ità: 112
E zechia: 128 H énosis (con il so m m o p rin ­
cipio): 95, 96, 98, 123
F a co ltà co n te m p la tiv a : 149 H isto ria p h ilo so p h ia e (o p era
F am ilia rità (con Dio): 131 di P orfirio): 148
Figlio di Dio: 146
F igliolanza: 109, 112 Idee: 94, 95
F ilone di A lessan d ria: 95, Ig n o ra n z a (d ella v e ra n a tu ra
103, 153, 154 di Dio): 94, 95, 98, 99, 101,
Filosofia: 127 107, 108, 117, 118
F inees: 141 Illu m in azio n e: 95, 98
F o n te (della vita): 145, 146 Im itazio n e: 119, 130
F unzioni: 138, 140 Im m ag in azio n e: 112, 149
F uoco: 151 Im m ag in e, im m agini: 150,
151
Gaio: 117, 119, 120, 121 Im m o b ilità (di Dio): 97, 147,
G enerazione (di Dio): 146 154
G entilezza: 130 I n a lte ra b ilità (di Dio): 97
G erarchia: 102, 139, 152 In c a rn a zio n e (di G esù): 99,
G erarchia celeste (o p e ra d e l­ 120 , 121
lo ps. Dionigi): 101, 139, In c o n o sc ib ilità (di Dio): 97,
148, 149, 151, 152 99, 101
G erarchia ecclesiastica (ope­ In d iv isib ilità: 148
ra dello ps. Dionigi): 101, In effab ile (a ttrib u to di Dio):
135, 139 110
G erm o g liam en to (d ella T rin i­ In e ffa b ilità (di Dio): 97
tà): 109 In g iu stizia: 139
G esù: 109, 120, 121, 135, 141, In iz ia to re d ivino (C risto):
143, 144, 149, 156 140
G iam blico: 151 In iziato ri: 149
G iobbe: 131 Iniziazioni: 106, 142, 149
G iovanni ev a n g e lista (s.): In se g n a m e n to (di Dio): 141,
100, 158, 159 150
G iuseppe (p a tria rc a): 131 In te llig e n z a (a ttrib u to di
G iustizia: 102, 136, 137, 139, Dio): 111, 112
143 In te llig e n z a (com e ipostasi):
G overno (nello S ta to e n e l­ 146, 151
l'a n im a um an a): 102 In tellig en za u m a n a : 95, 98,
G rad o g erarch ico : 135, 139 99, 107, 110, 118, 120, 124
G ran sacerd o te: 135, 141 Intellig en ze: 105, 150
G regorio di N issa (s.): 99, In te rp re ta z io n e (del P arm eni­
103, de nel N eo p lato n ism o ): 98
174 Indice dei nomi e delle cose notevoli

In te rp re ta z io n e le tte ra le (del­ M oltiplicazioni (d ella divini­


la S crittu ra): 102 tà): 147
In to ccab ile (a ttrib u to di M onaci, m o n aco : 133, 134,
Dio): 107 135
Ira: 138, 139, 147 M one: 93, 94, 95, 96, 146, 154
Irrad iazio n e: 123 M osè: 95, 107, 130
M ovim ento: 127, 154

Legge (divina): 135, 136, 143, N a tu ra d iv in a (di Gesù): 99


149 N a tu ra d iv in a u n a e trina:
Leggi (divine): 133, 150 109
Leviti: 135 N a tu ra u m a n a (di Gesù): 99
Luce: 99, 101, 111, 112, 117, N egazioni (com e m e to d o te o ­
123, 129, 137, 142, 148, 156, logico): 93, 106, 108, 110,
159 112, 113
Luci: 106, 107, 108, 109, 147, N eo p lato n ism o : 97, 98, 99,
151 101, 103, 150, 151, 153, 154
L una: 127, 128, 129 N o m i d iv in i (o p e ra dello ps.
L uogo (in cui si tro v a Dio): D ionigi : 101, 109, 122, 137,
107 146, 147, 148, 151, 153
N om i divini intelleg ib ili: 109,
M ancanza di p a ro la (nella co­ 110 , 112
n oscen za di Dio): 98 N um enio: 146
M ancanza di p a rti: 148 N u trim e n to : 152
M ancanza di p e n sie ro (nella
cono scen za d i Dio): 98
M aria: 136 O ggetti sacri: 133, 134, 135,
136
M assim o il C o n fessore (s.):
O pinione: 112
143
M em bri in te rm e d i: 108 O racoli (com e sin o n im o di
M ensa: 149 S c rittu ra ): 133, 136, 139,
140, 145, 155, 157
M ente u m a n a : 94, 96, 97, 98,
102
O racoli m istici (com e a p p e l­
M etodo negativo (nella te o lo ­ lativ o d e lla S c rittu ra ): 105,
107
gia): 96, 97, 98, 117
M etodo p o sitiv o (nella teo lo ­ O rdine: 127, 133, 151
gia): 96, 98 O rdine g erarch ico : 134, 137,
M inistri; 133, 134, 139 138, 139
O rdini: 152
M isericordia: 140
O rigene: 103
M isteri: 105, 137, 142, 145,
O scu ram en to : 129
149
Ozia: 135, 136
M itezza (virtù cristian a): 100,
129, 130, 141
M oderazione (delle p a ssio ­ Pace: 124, 142
ni): 150 P ach im era: 143
Indice dei nomi e delle cose notevoli 175

P aolo (s.): 123, 124, 127, 150, P ro cessio n e: 154


151, 155 P ro cesso d i elim in azione:
P arab o le: 149 108
P arm enide (dialogo p la to n i­ Proclo: 97, 99, 119, 146, 147,
co): 97, 98, 154 151
P arola: 112, 120, 146, 151 Próodos·. 93, 94, 95, 96, 97,
P a rte p assio n a le (dell’ani- 107, 117, 154
m a): 150 P rovvidenza: 138, 147, 151,
P a rte razio n ale (deH’anim a): 153, 157
102 P u ech H. Ch.: 95
P artecip azio n e: 119, 152, 154 P urezza: 135, 142
P a rti irrazio n a li (deU’anim a): P u rificati (u ltim o o rd in e d el­
102, 139 la g e ra rc h ia ecclesiastica):
P assio n i m ateriali: 111, 142, 134, 135
148, 149
P a te rn ità : 109, 112 Q uiete: 127, 154
P atm o: 100, 158
P ensiero: 112, 120, 123, 124,
132, 151, 155 R affig u razio n i (d ella d iv in i­
P ercezione cono scitiv a: 107 tà): 106
P ersiani: 128 R affig u razio n i sim b o liche
P latone: 150 (d ella S c rittu ra ): 100, 102,
P lotino: 97, 99, 146, 148, 153 109, 146, 147, 148
P o licarp o (s.): 126 Raggi: 107, 132
Popolo divino: 137 R aggio divino: 106
P opolo san to : 134, 135 R agione (a ttrib u to d i Dio):
P orfirio: 97, 99, 148, 150 111
Posidonio: 150 R agione (faco ltà o p a rte d el­
P osizione gerarch ica: 135 l’a n im a u m an a): 138, 139
P o ten z a (ap p ellativ o d i Dio): R a p p re se n ta z io n e sim b o lica
109, 127, 128, 155 (di Dio): 109
Potenze: 147, 152 R e a ltà intellegibili: 110, 112,
P rescrizioni (divine): 133 123, 127, 151
P rim o p rin cip io : 94, 95, 96, R e a ltà sen sibili: 123
97, 110, 146, 147, 148, 153, R ep u b b lica (o p e ra di P lato­
154 ne): 102, 138, 139, 150
P rincipi orig in ari: 108 R isveglio (di Dio): 157
P rin cip io dell'o rd in e: 134 R ivolta (n ella g erarch ia, n e l­
P rin cip io divino: 119, 127 lo S ta to e n e ll’a n im a u m a ­
P rincipio sco n o sciu to : 107 na): 102, 139
P rin cip io som m o: 146
P rincipio sovraessen ziale: S acerd o te, sa c e rd o ti: 133,
108 134, 135, 136, 137, 139, 140
Privazione: 111, 117 S a c ra m e n ti: 149
P rivazioni (com e m e to d o teo ­ Saffrey H.D.: 122
logico): 106 S a m a rita n i: 141
176 indice dei nomi e delle cose notevoli

S antificazione: 158 S p irito san to : 109, 137


S a n to dei san ti: 133, 134, S p len d o ri: 105, 147
135,149 S tab ilità: 126
S a n tu a rio : 154 S tato : 102
S apienza: 103, 109, 112, 127, S u b o rd in azio n e: 139
145, 152, 153, 154 S u p e rio rità (di Dio risp etto
S a ta n a: 137 al bene): 101
S aul: 135
Sceva: 136
S c h izzi teologici (o p era dello T em po: 112
ps. Dionigi): 109 T endam e: 134
Scienza: 112, 148 T en eb ra: 95, 99,101, 105, 106,
S cu o la di Atene (n e o p la to n i­ 107, 108, 110, 112, 117, 123
ca): 98, 122 Teologia: 149, 150, 151
S e m p lic ità (com e p ro p rie tà T eologia (com e p a ro la di
di Dio): 146 Dio): 131, 132, 135, 137
S em p licità (della m e n te u m a ­ T eologia a fferm ativ a: 96, 109
na): 149 T eologia n egativa: 96, 109
S ensazioni: 105, 111 Teologia p la to n ica (o p era di
S en ten ze (o p era di Porfirio): Proclo): 151
150 Teologia sim b o lica (o pera
S ilenzio (nella c o n o scen za di dello ps. Dionigi): 109, 110,
Dio): 95, 98, 105 145, 157
S im bo li allegorici: 150, 151, T eologia so vraessenziale:
152 147
S im boli sacri: 134, 151 T héoria: 94, 95
S im boli teologici: 145, 149, T im oteo: 105, 145
157 T ito: 145
S im bolo sen sib ile (della T ra b o c c am e n to (della p o te n ­
S crittu ra): 102, 145, 153 za di Dio): 94,
S m isu ratezza dei b eni (in T rad izio n e (dei teologi): 149
Dio): 156 T ra sc e n d e n za (della m oné,
Sole: 127, 128, 129 di Dio): 93, 97, 99, 100, 154,
Sole del V angelo (s. G iovan­ 157
ni evangelista): 158 T ra sg re ssio n e (della legge):
Sole triplice: 128 136
S o m m in istrazio n e (delle co­ T rin ità: 105, 121, 151
se divine): 134 T ro n o ip e ru ra n io (di Gesù):
S o n n o (di Dio): 157 44
S o sip atro : 125
S o v rab b o n d an za: 121, 123 U briach ezza (di Dio) 156, 157
S o v raessenzialità: 121 U nione (con il so m m o p rin ci­
Sovversione: 135 pio): 95, 98,
S p irito : 112, 146 U nioni (o m o m e n to d ella di­
S p irito b u o n o e m ite: 141 vinità): 147
S p irito divino: 137 U nità: 112
Indice dei nomi e delle cose notevoli 177

U niverso: 127, 128, 150 V iolazione: 133


U no (com e so m m o p rin c i­ V irtù (in P lotino): 150
pio): 97, 99, 112, 146, 153 V isione (in tellettu ale): 99,
101, 108, 123, 149
V elo allegorico: 102, 150 V isione o visioni (m istiche):
V en tre (di Dio): 146 105, 123, 130, 142, 143
V erità: 99, 112, 125, 126, 127, V ita (ap p ellativ o di Dio):
129, 134, 135, 145, 149, 158 109, 110, 111, 112
Vescovi: 134, 139 Vita: 151, 155, 158
V ette intellegibili: 107 V ita u m a n a : 149, 152
INDICE SCRITTURISTICO*
Teologia mistica - Lettere

Antico 20, 21: 95, 105, Deuteronomio


Testamento ^ \ 243g 4, 24: 151
22, 23: 147 5, 4: 151
Genesi 23, 3: 132 5, 22: 151
5, 26: 151
i 1-127 23, 4'^ : 32, 18: 155
1 8· 47 33' 21: 107 32, 42: 147, 155
4 l 3
6, M : 148
4°' 3: 134
40’ 5: 134
11, 4-8: 148 Giosuè
18, 1-2: 147 Levitico
10, 12-14: 128
50, 19-Ìtf 131 16, 2: 134, 135,
136
Esodo 1 Re
Numeri 13, 12: 131
3, 2: 151 14, 26: 148
3, 2-4: 146 4, 19: 136
4, 14: 130 5, 21: 148 15, 12: 135
14, 31: 130 12, 1-10: 136 15, 19-23: 135
19, 10-13: 107 12, 3: 130 15, 22-23: 136
19, 14-15: 107 12, 7-8: 130 15, 35: 148
19, 16: 107 12, 9: 147
19, 18: 151 16, 1-3: 130
19, 19: 107 16, 4-7: 130 2 Re
19, 22: 107 16, 28: 131
19, 24: 107 22, 22: 147 20, 9-11: 128
20, 5: 148 25, 3: 147 21, 7: 148
20, 18: 107 25, 7-11: 141 22, 2: 147

* I numeri in corsivo indicano le pagine dell'Introduzione.


Indice scritturistico 179

3 Re Proverbi 26, 19: 155


30, 18: 134
18, 40: 141 9, 1: 145, 153, 157 42, 2: 141
22, 20-21: 148 9, 1-3: 103 59, 17, 147
22, 22-23: 148 9, 2: 152, 153, 155, 66, 3: 136
157
9, 2-3: 145, 154
9, 3-5: 155 Geremia
2 Cronache 9, 5: 145, 155, 157 2, 13: 146
26, 16, 135 23, 21: 136
26, 19-20: 136 26, 10: 147, 155
Cantico dei Canti­
ci
1, 2: 148
Ezechiele
Tobia 1, 4-5: 148 1, 4: 147
14, 4: 148 4, 1-5: 148 1, 5: 147
4, 10: 148 1, 10: 147
4, 11: 155 1, 13: 147
5, 1: 147 1, 26: 147
Giobbe 7, 3-8: 148 1, 27-28: 147
1, 1: 131
1, 8: 131 Daniele
Sapienza
3, 6: 147 2, 21: 127
5, 18-20: 147 3, 50: 155
S a lm i
9, 4: 147 10, 18-19: 132
6, 9: 136 13, 1-7: 127
10, 4: 147 Osea
17, 3: 151
17, 12: 106 Siracide 14, 10: 143
22, 5: 147 1, 6: 146
22, 30: 147 6, 30: 147 Abacuc
28, 3: 155 33, 13: 147
32, 6: 146 38, 29: 147 3, 11: 147
44, 2: 146 39, 30: 147
44, 6: 147 48, 9: 147 Zaccaria
44, 7: 147 50, 8: 146
77, 65: 147, 155, 1, 8: 147
50, 10: 146
157 I, 12-13: 131
88, 21: 131 6, 2-3: 147
88, 37: 147 Isaia II, 13: 147
102, 9: 148
109, 3: 146 6, 1: 147 Malachia
118, 140: 151 6, 9: 140
138, 6: 123 24, 6: 148 2, 2: 148
180 Indice scritturistico

Nuovo 15, 10: 132, 133 1, 20: 150


Testam ento 15, 20-23: 132 2, 23: 136
15, 23-24: 133 11, 33: 123
15, 32: 133 16, 21: 105
Matteo 16, 10: 139
17, 8: 147 1 Corinti
5, 44: 132 22, 30: 147
5, 45: 133 22, 50-51: 132 1, 9: 156
7, 15: 137 23, 24: 132 1, 21: 127
7, 22: 136 23, 34: 141 2, 6: 155
7, 23: 136 23, 44-45: 128 3, 2: 152, 154
11, 9: 147 4, 17: 105
11, 19: 132 10, 4: 147
11, 29: 141 G iovanni
12, 19: 141 1, 4: 147
12, 26: 133 1, 9: 147 2 Corinti
13, 13-14: 140 1, 18: 146 3, 6: 155
14, 25-26: 121 3, 19: 147 9, 15: 124
18, 12: 132 4, 14: 146, 147
18, 32-34: 141 5, 21: 155
21, 5: 141 6, 60-66: 141 Efesini
22, 10; 156 6, 63: 155 4, 23: 155
22, 19-20: 126 8, 12: 147 4, 30: 148
25, 10: 156 9, 5: 147
27, 45: 128 10, 11: 133
10, 15: 133 Filippesi
Marco 13, 23: 158
15, 1: 147 4, 7: 124
3, 11: 135 15, 5: 147
3, 24-26: 133 16, 26: 158 1 Tessalonicesi
15, 33: 128 21, 7: 158
21, 15-17: 140 2, 7: 155
Luca 21, 20: 158 4, 17: 142
21, 25: 129
9, 52-55: 141 1 Timoteo
11, 18: 133 Atti
12, 37: 156 1, 10: 141
14, 16: 147, 155 4, 11: 147 6, 16: 123
14 16-17: 152 13, 10: 143
14, 21-24: 156 17, 14-15: 105 Tito
15, 1: 132 19, 2: 137
15, 4: 132 19, 14-16: 136 1, 7-12: 139
15, 5: 133, 142
15, 6: 132, 133 Romani Ebrei
15, 7: 132
15, 9: 132 1, 18: 147 2, 17: 141
Indice scritturistico 181

4, 15: 141 1 Pietro 1, 7: 156


5, 12-14: 154 2, 2: 141
5, 14: 155 2, 4: 147 2, 8: 147
7, 26: 140, 141 3, 4: 141
9, 3: 134 Apocalisse
9, 7: 135 1 Giovanni
12, 23: 156 1, 16: 147
12, 29: 151 1, 3: 156 7, 17: 146, 147
INDICE GENERALE

In tro d u zio n e (S alv ato re Lilla) pag . 5


1. C enni su lla « q u estio n e areo p ag itica» . » 5
2. S o m m ario d e ll’o p e ra e su o in te n to 9
3. La q u e stio n e delle fonti 12
4. Le leggi b a sila ri che reg o lan o la co ncezio­
ne d io n isia n a della g e ra rc h ia celeste 14

Ps. D ionigi l’A reopagita


La g e ra rc h ia c e le s te

D ionigi p re te al co n fratello T im oteo, su lla g e ra r­


ch ia celeste 19

C ap. I
O gni d iv in a illu m in azio n e che, g razie alla su a
b o n tà, p ro c ed e in v ario m o d o verso gli e sseri che
so no o g g etto d e lla su a provvidenza, n o n so lo ri­
m a n e sem plice, m a u n ifica co lo ro che la ricev o n o 19
Cap. II
Le cose divine e celesti so n o a d e g u a ta m e n te rive­
la te an ch e p e r m ezzo di sim b o li d issim ili 23
Cap. I l i
D efinizione d ella g erarch ia; q u a l è il vantag g io
che d a e ssa si ricav a 33
Cap. IV
Il significato del n o m e «angelo» 37
184 Indice generale

Cap. V
P erch é tu tte le essen ze celesti h a n n o in co m u n e
l’app ellativ o «angeli» pag. 43
Cap. VI
Q ual è il p rim o o rd in e di essen ze celesti, q u a le
l’in term ed io , q u a le l'u ltim o 45
Cap. V II
Dei Serafini, C h eru b in i e tro n i, e d ella p rim a ge­
ra rc h ia fo rm a ta d a essi 47
Cap. V III
Delle dom inazioni, delle v irtù e delle p o d e stà , e
d e lla lo ro g era rc h ia in te rm e d ia 54
Cap. IX
Dei p rin c ip ati, degli arcan g eli, degli angeli e d e l­
l’u ltim a g era rc h ia fo rm a ta d a essi 59
Cap. X
R icapitolazione s o m m a ria deH’arm o n io so o rd in e
angelico 64
Cap. X I
P erch é tu tte le essen ze celesti v en gono c h ia m a te
in d istin ta m e n te «virtù celesti» 66

C ap. X II
C om e m ai i g ra n sa c e rd o ti - che p u re so n o u o m i­
ni — vengono c h ia m a ti angeli 68

Cap. X III
P erché si dice ch e il p ro fe ta Is a ia sia s ta to p u rifi­
c ato d a u n S erafin o 70

Cap. XIV
Il significato delle m o ltitu d in i angeliche, di cui
p a rla la trad iz io n e < sc rittu ra le > 77

C ap. XV
Delle im m agin i ch e d a n n o fo rm a alle v irtù an g eli­
che e degli a ltri arg o m e n ti successivi 78
Indice generale

Ps. D ionigi l’A reo p ag ita


T e o lo g ia m is tic a

In tro d u zio n e (S alv ato re Lilla)


Cap. I
C os’è la te n e b ra d ivina
Cap. II
C om e ci si deve u n ire alla c a u s a u n iv e rsa le e su ­
p e rio re a tu tto , e co m e si dev o n o lev are a d e ssa
g l’inni di lode
Cap. III
Q ual è la teolo g ia afferm ativa, e q u a le la n e g a ti­
va
Cap. IV
La c a u sa p e r eccellenza di tu tte le cose sensibili
n o n è n e ssu n a co sa sen sib ile
Cap. V
La c a u sa p e r eccellen za di tu tte le re a ltà intellegi-
bili n o n è n e ssu n a re a ltà intellegibile

Ps. D ionigi l’A reopagita


L e tte re

L ette ra I
A G aio m o n aco
L e tte ra II
Allo stesso G aio m o n aco
L e tte ra III
Allo stesso Gaio
L e tte ra IV
Allo stesso G aio m o n aco
L e ttera V
A D oroteo m in istro
186 Indice generale

Lettera VI
A Sosipatro sacerdote pag. 125
Lettera VII
A Policarpo vescovo 126
Lettera Vili
A Demofilo monaco, sul comportamento che non
esce dal proprio rango e sulla gentilezza 130
Lettera IX
A Tito vescovo, che aveva chiesto in una lettera
quale fosse la casa della sapienza, quale il crate­
re, e quali fossero i cibi e le bevande della sapien­
za stessa 145
Lettera X
A Giovanni teologo, apostolo ed evangelista esi­
liato neU’isoIa di Patmo 158

I n d ic i

Indice dei nomi e delle cose notevoli (Gerarchia


celeste) 163
Indice scritturistico (Gerarchia celeste) 167
Indice dei nomi e delle cose notevoli (Teologia
mistica Lettere) 171
Indice scritturistico (Teologia mistica Lettere) 178

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