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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

IMMIGRAZIONE ISLAMICA TRA MASS MEDIA E


OPINIONE PUBBLICA

Prof.: ILARDI EMILIANO Candidato/a: VERDERAME MARIA GRAZIA

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

1
Indice
Abstract .................................................................................................................................................4
Introduzione...........................................................................................................................................5
CAPITOLO I: Le religioni, terrorismo e secolarizzazione........................................................................7
1Introduzione.........................................................................................................................................7
2Religione e secolarizzazione...............................................................................................................11
1.1Critica alle teorie della secolarizzazione..........................................................................................13
1.2Islam e secolarizzazione...................................................................................................................14
1.1.1.Figli di immigrati musulmani in Occidente...................................................................................18
2"Pluralizzazione": il pluralismo religioso come soluzione al secolarismo............................................21
3Conclusioni.........................................................................................................................................23
CAPITOLO II: Da emigranti a terra “intollerante” di immigrazione.....................................................24
1Stime sull'immigrazione......................................................................................................................24
1.1Da dove vengono gli stranieri residenti in Italia ?............................................................................24
1.2Le stime in Europa ..........................................................................................................................24
1.3I viaggi della speranza africani ........................................................................................................25
1.3.1Da cosa scappano e perché..........................................................................................................26
2La paura degli immigrati (Italia e Occidente).....................................................................................27
2.1Identikit dell'Immigrato in Italia.......................................................................................................27
2.2Siamo stati migranti (e lo siamo ancora)..........................................................................................28
3Musulmani..........................................................................................................................................29
3.1L'islamofobia....................................................................................................................................29
3.2Quanti sono in realtà e dove vivono................................................................................................30
3.2.1Islam in Europa.............................................................................................................................31
3.2.2I musulmani immigrati in Italia.....................................................................................................32
4Conclusioni.........................................................................................................................................32
CAPITOLO III: Il fenomeno dell’immigrazione nell’agenda-setting......................................................33
1Introduzione.......................................................................................................................................33
2L’influenza dell’agenda-setting: pseudo-ambienti...............................................................................34
3L’agenda sull’immigrazione nei giornali..............................................................................................37
3.1Noi e loro: l’integrazione islamica come “issue”..............................................................................39
4Conclusioni.........................................................................................................................................44
CAPITOLO IV: Social media, migrazioni e spirale del silenzio..............................................................45
1Introduzione.......................................................................................................................................45
2Opinione pubblica sul web 2.0...........................................................................................................46

2
2.1Premessa sui social media...............................................................................................................46
2.2L’intolleranza corre sul web.............................................................................................................48
3La spirale del silenzio..........................................................................................................................51
3.1I social network possono alimentare la spirale del silenzio?............................................................52
4L’agenda-setting della rete..................................................................................................................54
5Conclusioni.........................................................................................................................................55
Riferimenti bibliografici.......................................................................................................................57
Sitografia..............................................................................................................................................58

3
4
Ringraziamenti

5
Abstract

Le differenze tra culture che professano la religione islamica e quella occidentale


hanno generato molte incomprensioni sull'identità dei primi, soprattutto negli ultimi anni,
con l'avvento dell'immigrazione e del terrorismo. Spesso i mezzi di comunicazione italiani
tendono ad agevolare fenomeni di xenofobia, attraverso la rappresentazione negativa del
migrante, in particolar modo di fede musulmana. Attraverso le pagine di questa tesi verrà
esposta un’analisi dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali, come la stampa, e i
new media (come i social media e il web 2.0). Queste ricerche verranno supportate
dall'esposizione di due teorie dei media: quella dell’agenda-setting, elaborata da McCombs
e Shaw, che mette in luce come i mezzi di comunicazione tradizionali abbiano stabilito una
centralità verso questi temi soprattutto dopo gli ultimi attentati terroristici (Capitolo 3); la
teoria della spirale del silenzio di Elisabeth Noelle-Neumann (Capitolo 4) che spiega come
le manifestazioni di intolleranza nel web siano così popolari rispetto a idee favorevoli a
comprendere e ad accogliere società così differenti come fonte di arricchimento culturale.

6
Introduzione

La questione dell'identità dello straniero - che racchiude tematiche come


l'immigrazione, la differente religione, appartenenza culturale, crescita del fondamentalismo
religioso e il riconoscimento dei diritti giuridici degli stranieri nati nel suolo italiano - è
diventata uno dei temi caldi di questo periodo storico. L'Italia, soprattutto in questi ultimi
anni, è divenuta meta di immigrazione. Questo fenomeno, piuttosto recente, è percepito da
molti italiani come un'invasione di massa indesiderata. Vengono spesso additati come
“clandestini”, “terroristi” e avvertiti come individui poco civilizzati. Frequentemente le
stime della loro presenza sul suolo italiano ( o europeo) viene sovrastimata, ma ad essere in
forte crescita è il fenomeno della xenofobia, ovvero l'odio nei confronti delle minoranze
etniche e razziali, e l'islamofobia, contro gli osservanti della religione musulmana.
Eurobarometro (2015) rivela che il 64% degli europei è convinto che la discriminazione
etnica di una persona è diffusa. Il 50% del campione pensa che quella basata sulla fede sia
altrettanto frequente. Il 33% degli europei ritiene che esprimere le proprie convinzioni
religiose può scoraggiare l'assunzione in un posto di lavoro. Dunque, il lavoro svolto si
propone come un'approfondita ricerca sull'immigrazione islamica in Italia e sulla difficile
comprensione della differente cultura di cui questi popoli sono portatori. L'obbiettivo della
seguente tesi è mettere in luce come il processo di integrazione da parte della comunità
musulmana migrante sia ostacolato dal pregiudizio fondato su stereotipi, agevolati dalla
rappresentazione distorta delle differenze culturali nei nostri mezzi di comunicazione. Si
parte dalla deduzione che i mass media (televisione, stampa, radio, web...), siano
responsabili della costruzione dell'opinione pubblica, ovvero l'insieme delle opinioni
collettive che si sviluppano da un dibattito. Già nel 1690 John Locke, nel Saggio
sull'intelletto umano1, ipotizzò che l'opinione pubblica avesse una funzione di controllo
sociale, attraverso la legge morale espressa. Con la nascita e lo sviluppo dei medium di
massa, si comincia a teorizzare sugli effetti di questi nell'opinione pubblica. Il seguente
lavoro, infatti, analizza in che modo i mass media contribuiscono a formare l'opinione
pubblica e il ruolo svolto dai mezzi di comunicazione, dei quali viene ipotizzato il potere
attraverso alcune elaborazioni teoriche condotte da teorici della comunicazione. La tesi si
articola in quattro capitoli: il primo capitolo introduce il concetto di religione come “fatto
sociale” e analizza il rapporto tra la fede musulmana e quella cristiana nel mondo
occidentale, con il fine di comprendere le differenze tra le due confessioni, il loro rapporto
con la società e gli aspetti legati ad essa (politica, cultura e influenza sociale). Uno dei

1
Cfr. Locke J, An Essay Concerning Human Understanding, London, 1690.

7
quesiti su cui il capitolo si basa è se è possibile far convivere fenomeni come quello della
secolarizzazione con società profondamente differenti dalla nostra, dove gli aspetti divini
sembrano profondamente intrecciati con la sfera pubblica. Dopo aver affrontato il rapporto
religione-società all'interno dei paesi a maggioranza islamica, un altro argomento esposto
all'interno di queste pagine è come gli immigrati musulmani di terza generazione vivono il
loro culto in un contesto secolare come l'Occidente. Nel terzo e quarto capitolo verrà
affrontato come l'odio nei confronti dei migranti e dei musulmani (islamofobia) venga
alimentato dai mass media, attraverso l'utilizzo di una comunicazione parziale e spesso
stigmatizzante nei confronti di tali gruppi sociali. Come già citato in precedenza, come
supporto a tale ipotesi verranno esposte due teorie dei media: la spirale del silenzio e
l'agenda setting. Entrambe si basano sull'idea che i media sono capaci di influenzare e
formare l'opinione pubblica.

8
CAPITOLO I

Le religioni, terrorismo e secolarizzazione

1 Introduzione

L'enciclopedia Wikipedia, conta la presenza nel mondo di 30.547 confessioni religiose


e 5 miliardi di credenti2. Quelle che possiedono il maggior numero di fedeli sono:

 Cristianesimo, con 2.200.000.000 fedeli3, è divisa in 5 differenti dottrine:


cattolicesimo (1.300.000.000), protestantesimo (550.000.000), chiesa ortodossa
(225.000.000), chiesa anglicana (73.000.000) e orientale (72.000.000);

 Islam, con 1.800.000.000 seguaci, divisa in 3 correnti: Sunniti, Sciiti, Kharigiti;

 Induismo, con 1.100.000.000 di aderenti, divisa in due principali correnti: Visnuismo


(580.000.000) e Sivaismo (220.000.000);

 Budhismo, con 488.000.000 seguaci;

 Taoismo, 400.000.000 fedeli e tre correnti;

 Confucianesimo, 237.000.000 seguaci e otto correnti;

 Scintoismo, 100.000.000 sostenitori;

 Ebraismo, 15.000.000 aderenti e tre dottrine.

Anche se con riti e dottrine profondamente differenti, tutte le società, sin dalle origini,
sono accomunate da credenze e pratiche religiose. La nozione di religione, partendo dalla
sua etimologia latina religio, si riferisce al culto verso ciò che è ultraterreno. Rientra in tale
definizione non necessariamente una credenza verso una divinità ma tutto ciò che si
2
Wikipedia(2017).
3
Cfr. Pew Forum on Religion & Public Life, Pew Research center The Global Religious Landscape (18
dicembre 2012).

9
rapporta al sacro. In ambito sociologico, una religione è: «un sistema specifico di idee,
norme e pratiche concernenti la sfera sacra, condivise da una comunità di credenti» 4.
Affinché la religione diventi efficace e socialmente rilevante, deve essere condivisa da un
gruppo sociale, e interiorizzata attraverso processi di socializzazione, ovvero mediante
pratiche sociali di apprendimento come avviene per qualsiasi forma di cultura. Il sentimento
religioso non è, infatti, ascritto ma appreso culturalmente e deriva da due caratteristiche
'innate' della mente umana: l'uomo nasce consapevole della sua mortalità. D'altro canto, la
religione è nata per cercare di dare delle spiegazioni agli eventi e all'esistenza dell'uomo (e
del mondo). Emile Durkheim, nel saggio Le forme elementari della vita religiosa, descrive
la religione nella sua funzione socialmente coesiva 5. Il sociologo francese sosteneva che la
religione attraverso i rituali svolge una funzione di rafforzamento e consolidazione della
società, rinforzando i legami sociali e il sentimento di appartenenza ad una comunità.
Questa appartenenza gioca una forte valenza identitaria per chi aderisce al sistema, ovvero,
permette ai fedeli di sentirsi come dei fratelli. La religione, come sistema, svolge la funzione
di regolare l'azione umana attraverso un insieme di norme, valori e consuetudini. Questi
processi sociali di adesione ai dogmi, riti e norme di carattere religioso, sono rafforzati
dall'istituzionalizzazione del sacro e dal carattere pubblico dei rituali. Secondo Durkheim, la
credenza da sola non può costituire religione. L'istituzionalizzazione del culto avviene
attraverso la creazione di luoghi di preghiera e la codificazione per iscritto delle dottrine che
fungono da liturgia per chi si fa mediatore tra fedeli e divinità, spesso un sacerdote, un
pastore o una guida spirituale. Un'istituzione religiosa, per rafforzare il suo ruolo, può
prevedere anche una gerarchia. La Chiesa cattolica, che in Italia conta 55.665.000 fedeli, è
costituita da un clero con a capo un pontefice, i vescovi, i sacerdoti e i diaconi. Il Papa,
vescovo della diocesi di Roma, è la massima autorità riconosciuta dalla religione cattolica e
sovrano della Città del Vaticano, una città-stato all'interno della capitale d’Italia con una
monarchia teocratica eletta dal conclave. Tuttavia, ci sono organizzazioni prive di gerarchie,
come la religione islamica, soprattutto quella maggioritaria sunnita 6. Ne Le regole del
metodo sociologico, Durkheim definisce fatto sociale: «qualsiasi modo di fare, stabilito o
no, suscettibile di esercitare sull'individuo una costrizione esterna o anche che è generale
all'interno di una data società, in quanto ha una sua propria esistenza, indipendentemente
4
Smelser, 2007- 278
5
Cfr. Durkheim E., Le forme elementaires de la vie religieuse, Paris, Librerie Félix Alcan,1912.
6
La religione islamica non ammette un clero, sia nella corrente sunnita che quella shiita. Tuttavia,
quest'ultima riconosce una gerarchia. Lo sciismo è professato da una minoranza, rispetto alla dottrina
maggioritaria sunnita, alla quale aderisce l'80% dei credenti. La differenza tra sunniti e sciiti risiede proprio
nella differenza di poteri conferiti al successore di Mohammad: secondo i primi è il califfo (capo della
comunità, ummah) ad essere il discendente del profeta, non eletto da lui ma dalla ummah. Nella fazione sciita,
invece, riconosce che il profeta avesse eletto come capo della comunità suo cugino e genero Ali dopo la sua
morte, dunque il ruolo di capo è presieduto dall'Imam. A causa di questa differente interpretazione, anche il
ruolo del successore di Mohammad cambia. Nella corrente sunnita, il califfo viene considerato come
guardiano della shariah ma non ha alcun potere di interpretare i testi sacri. Per gli sciiti, l'Imam è l'erede
diretto di Mohammad e in quanto tale può interpretare le sacre scritture e rappresenta la guida spirituale del
popolo.

10
dalle sue manifestazioni individuali»7. In questa accezione si inseriscono anche le
confessioni, istituzionalizzate attraverso i dogmi. La cultura rientra tra i fatti sociali perché
tutto ciò che concerne essa è, infatti, un insieme di valori, consuetudini, norme, conoscenze,
credenze, mode e costumi condivisi dai membri di una società e per conferire continuità e
coesione al contesto offre al gruppo sociale degli standard di comportamento che sono alla
base della cooperazione tra gli individui. Si può definire, dunque, la religione, come un
sistema culturale. Analizzandone gli aspetti, abbiamo due tipi di cultura: a) immateriale e b)
materiale.

 La religione rientra tra gli aspetti immateriali della cultura insieme a valori,
consuetudini e norme sociali. Molti di questi fattori sono influenzati dalla religione. Ad
esempio, la monogamia è un valore tipico di quelle società che raggruppano un numero
maggioritario di fedeli che professano il Cristianesimo, come in Occidente. Tale principio
trova consenso nell'adesione concreta all'istituzione della famiglia, attraverso l'unione in
matrimonio tra due persone come norma e consuetudine (in Italia la poligamia è punita con
pene che vanno da uno a cinque anni di reclusione). In altri culti, come l’Islam, la poligamia
trova riferimento nella Sunna 4,3. Le consuetudini variano soltanto in base al genere del
soggetto. Ne deriva, quindi, che la monogamia nell’Islam è una norma sociale riservata solo
alle donne ma non agli uomini. La poligamia non ha lo stesso valore che viene attribuito
dalle società occidentali, ovvero non rientra nella definizione di adulterio, in quanto si tratta
di una forma di contratto matrimoniale. La religione, così come i suoi valori, consuetudini e
le norme variano da una società all'altra e, in certi casi, presentano dei punti in comune. Si
veda il caso dell'Occidente e dell'Islam, e l'esistenza di norme sociali per regolare il
comportamento sessuale degli individui, in relazione alla fedeltà coniugale. I testi sacri
cristiani considerano l'adulterio la più grave violazione delle regole sociali. L'adulterio è
disapprovato anche dall'Islam, data la stessa radice abramitica. La fedeltà coniugale, inoltre,
come valore non può prescindere dal suo essere anche una norma e anche una consuetudine.
Le consuetudini (o costumi) sono quei comportamenti a cui l’individuo deve attenersi
tassativamente, pena sanzioni giuridiche. In molte società il matrimonio vincola i coniugi
all'obbligo di fedeltà, ovvero al divieto di avere altre relazioni sessuali o sentimentali. Anche
le leggi che tutelano il matrimonio si rifanno a norme di origine religiosa. Fino alla fine
degli anni ‘60 in Italia, l’infedeltà coniugale era considerata un illecito penale 8. Man mano
che il cattolicesimo ha perso la sua influenza nella sfera pubblica vi è stato un mutamento a
7
Durkheim E., Les règles de le mèthode Sociologique, Paris, Librerie Felix Alcan, 1895.
8
L'art. 559 del Codice Penale prima della fine degli anni '60 stabiliva che:
« La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo
dell'adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina». L'articolo 560 puniva
con la reclusione fino a due anni «il marito, che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente
altrove ». La concubina era punita con la stessa pena. Entrambi i reati su querela del coniuge. Con due
sentenze della Corte Costituzionale (n.126/1968 e n.147/1969) sono stati dichiarati illegittimi gli articoli 559 e
560 del Codice Penale.

11
livello legislativo con la depenalizzazione del reato. Tuttavia, il codice civile italiano
attualmente considera l’adulterio come un fatto giuridicamente rilevante in caso di
separazione9, poiché il matrimonio come valore prevede l’obbligo di fedeltà. Dunque, nella
mentalità occidentale, il tradimento è ancora considerato l’azione più grave contro un
coniuge, una violazione di una norma sociale relativa a valori come onore, dignità e
famiglia. Il controllo sociale che ne deriva è soprattutto di tipo informale, acquisito da
processi di socializzazione interna, ovvero agente principale di trasmissione culturale. Esso
si basa sull’uso delle “sanzioni morali” al fine di disincentivare un comportamento
considerato non conforme alle norme. Sanzioni astratte ma aventi un certo peso sociale,
anche maggiore rispetto ad una pena giuridica, in quanto la riprovazione sociale ha come
conseguenza l'allontanamento a tempo indeterminato del soggetto “deviante” dalla società.
E’ questo il motivo per cui nella maggior parte degli individui è presente un certo grado di
conformismo culturale.

 Tutto ciò che rientra nella cultura materiale sono ad esempio: l'arte (cinema,
musica, letteratura ecc...), la tecnologia, la moda, i mezzi di comunicazione. Gli aspetti
materiali della cultura convivono in un rapporto di interdipendenza da quelli immateriali. Ad
esempio, il cinema non è condizionato solo da logiche del mercato ma anche da norme e
valori sociali. Nella maggior parte delle narrazioni vengono esaltati valori come amicizia,
amore e lealtà. Spesso il successo di una pellicola è determinato dalla presenza di queste
virtù, poiché sono i principali caratteri dei protagonisti che il pubblico percepisce
positivamente e ai quali desidera identificarsi. Tuttavia, la scelta di conferire ai personaggi
buoni un bagaglio di princìpi non è solo frutto di influenze culturali ma spesso è anche
dettato da consuetudini normative, che spesso si pongono in contrasto con la piena
espressione artistica degli autori. Vien da sé che il cinema è stato, ed è ancora, una delle
forme dell'arte che ha subito più censure. Il codice Hays 10, in vigore negli Usa dagli anni '30
agli anni '70, prescriveva delle vere e proprie regole che scoraggiavano le produzioni
cinematografiche che non si attenevano alle norme sociali del tempo. Secondo la legge, era
espressamente vietato definire nei personaggi principali o protagonisti tratti criminali o
comunque moralmente e socialmente devianti. Il protagonista di un'opera, dunque, se
amorale doveva essere punito e/o ucciso da un eroe che spesso possedeva valori cristiani.
Ne venivano, dunque, scoraggiati aspetti che in qualche modo erano in contrasto con la
religione, compresa anche la svalutazione di essa. Anche la moda è influenzata da aspetti
9
Il comma 2 dell'articolo 151 del Codice Civile prevede che:
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a
quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri
che derivano dal matrimonio.
10
Cfr. Bynum M., The Motion Picture Production Code of 1930 (Hays Code), 12 aprile 2006.

12
culturali immateriali. Nelle società a maggioranza islamica l'uso del velo è strettamente
legato alla religione di appartenenza delle donne che lo indossano. Chi indossa l'hijab e altri
copricapi si identifica come credente praticante della religione mussulmana. Nei paesi dove
non esiste alcuna forma di separazione tra stato e religione, anche la moda è regolata da
leggi11.

Abbiamo visto che le religioni, malgrado le differenze, giocano lo stesso ruolo per gli
individui e per la società. Nei paragrafi seguenti verrà affrontato il modo in cui due culture
differenti vivono la religione su aspetti come secolarizzazione, fondamentalismo e
intolleranza religiosa.

2 Religione e secolarizzazione

In molte società odierne la religione ha perso rilevanza nella vita degli individui e
nelle istituzioni. Questo fenomeno, caratterizzato dalla separazione tra Stato e Chiesa, che
cominciò con lo sviluppo della scienza e della cultura, fu definito dai sociologi
dell'Ottocento, come processo di secolarizzazione. Il termine ha origine dalle trattative per
la pace di Vestfalia, avvenute nel 1648 per mettere fine alla guerra dei Trent’anni nata dopo
la riforma luterana, riferendosi al trasferimento dei beni materiali dalla Chiesa allo Stato.
Nelle società occidentali l'autodeterminazione da Dio cominciò a partire dal
Rinascimento, quando si affermò un pensiero che diede importanza all'uomo come
artefice del mondo (Umanesimo). Di conseguenza, si ebbe una riscoperta dell'arte e
della scienza. La Riforma protestante non sarebbe potuta avvenire senza questa fase
precedente. L'uomo umanista non rinnegava la religione ma rifiutava la sua
l'influenza sulle azioni dell'uomo. La riscoperta dell'autodeterminazione dell'uomo
spianò la strada ad una laicità e una secolarizzazione sempre più crescente nelle società
occidentali che ha visto il suo culmine nel processo di democratizzazione avvenuto nel
XX sec. dopo il secondo dopoguerra. Le teorie Illuministe, in seguito, miravano alla
separazione tra Stato e Chiesa per contrastare l'ingerenza di quest'ultima sul primo. Secondo
questo movimento, la religione si poneva in contrasto con la ragione, in particolar modo con
la conoscenza e il progresso scientifico. Sulla secolarizzazione sono state elaborate tre teorie
principali: 1) la secolarizzazione come sinonimo di abbandono della religione (paradigma
classico), 2) la secolarizzazione come "privatizzazione" della religione e 3) la

11
In Iran indossare il velo islamico è obbligatorio, anche per le turiste e le non musulmane. Tuttavia è
anche un accessorio di moda.

13
secolarizzazione come trasposizione della religione nella sfera profana. Si tratta di
teorie distinte ma interconnesse tra loro in quanto la perdita del controllo pubblico e
politico da parte della religione ha anche determinato una rinegoziazione di essa come
dimensione privata, determinando contemporaneamente anche la diminuzione del
numero dei credenti.

1) La secolarizzazione come abbandono delle credenze religiose

Il primo paradigma appartiene alle teorie sviluppatesi nell'Ottocento a partire da


Durkheim, Weber e Troeltsch, che descrivono la secolarizzazione come un processo di
marginalizzazione della religione nella società. Ne L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo (1904- 1905)12, Max Weber ritiene che la società (occidentale) abbia
compiuto un processo di disincantamento, indicando come artefici di questo fenomeno
la religione calvinista, il capitalismo e la scienza. Questo ha portato alla
razionalizzazione di ogni ambito sociale, compreso il rapporto tra il credente e il suo
dio. Il primo paradigma muovendosi, dunque, sul concetto di religione come sfera
sacra, considera la secolarizzazione come un processo di desacralizzazione della
società. Secondo Emile Durkheim, il culto comprendeva tutto ciò che rientra nella
sfera del divino. Il sociologo francese vedeva nella perdita dell'influenza ecclesiale uno
dei sintomi del progresso sociale, nonostante sosteneva che la religione svolgesse una
funzione di coesione sociale, influenzato dal suo maestro Auguste Comte anche per
quanto riguarda questa teoria. Nella sua prospettiva, come molti fautori della
sociologia classica, la modernizzazione della società, raggiunta attraverso la divisione
del lavoro, l'industrializzazione, l'urbanizzazione, ha condotto al declino delle forme di
solidarietà che egli definisce di tipo "meccanico", 13 ovvero basate su legami collettivi.
Tali sentimenti comunitari, nelle società tradizionali, venivano espressi attraverso la
religione. Di conseguenza, secondo Durkheim, venendo meno la solidarietà meccanica,
le credenze assumono un'importanza minore nella società, a favore di una solidarietà
di tipo organico, basata sulla coesione realizzata dalla divisione sociale del lavoro. I
suoi sostenitori vedono nel numero crescente di individui che abbandonano la propria
fede un fondamento per la teoria del declino della religione nella società.

12
Cfr. Weber M., Die Protestantische ethik und der geist des Kapitalismus, 1934.

13
Cfr. Durn du travail social, Paris, Librairie Félix Alcan, 1893 (tr. it.: La divisione del lavoro sociale,
Edizioni di Comunità, Milano, 1971).

14
Stimare la fede è difficile ma approssimativamente alcuni istituti di ricerca sono
riusciti a rilevare la mappa del sentimento religioso nel mondo. L'istituto WIN/Gallup
International14, nel 2015, ha realizzato un sondaggio su un campione di 63.898 persone
in 65 nazioni. Secondo la stessa ricerca, in Europa appena il 43% degli abitanti si
dichiara credente. La percentuale di atei dichiarati nel mondo sono 1.070.000.000.
Malgrado il nostro Paese presenti in Europa una delle più alte percentuali di credenti,
secondo una ricerca condotta da GFK-Eurisko e Eurispes, rispettivamente nel 2010 e nel
2013, la percentuale di atei e agnostici rilevata è intorno al 19% e 18,5%, corrispondente a
circa undici milioni. Le percentuali dell'emancipazione dalla religione sono piuttosto
cresciute negli ultimi anni. L'Unione degli Atei Agnostici Razionalisti (UAAR) 15 ha
dichiarato che nel 2015, nel territorio italiano, c’è stato un aumento delle domande di
sbattezzamento, un atto di rinuncia alla fede mediante l’annullamento degli effetti del
sacramento del battesimo. Il calo dei praticanti si è accompagnato proporzionalmente ad un
allontanamento sempre crescente della religione dalla sfera pubblica.

2) La secolarizzazione come privatizzazione della religione

La seconda teoria elaborata in un periodo più recente, rifiuta l'idea che la


secolarizzazione consista nella scomparsa della religione considerando che, invece, essa ha
subìto un ritiro nella sfera privata. Alla base di ciò c'è sempre l'idea che la fede abbia perso
influenza nella società e che, quindi, «si privatizza, cioè diviene un dato personale
dell'individuo senza avere rilevanza e legittimazione nella sfera pubblica integralmente
secolarizzata»16

3) La secolarizzazione come trasposizione della religione nella sfera temporale

Questo approccio si basa, come la teoria precedente, sul presupposto che nelle
società industrializzate il processo di separazione delle credenze dalla sfera pubblica
non ha comunque diminuito la sua rilevanza. Ciò che differenzia questa tesi, è che
14
Cfr. Win/Gallup International, Religion in the world- Doxa, 21 aprile 2015.
15
Cfr. Annalisa Dall'Oca, UAAR: record di sbattezzi in Italia. Papa Francesco è popolare ma la Chiesa
no, in «Il Fatto Quotidiano», 5 gennaio 2016.
16
Cfr. Bontempi M., Il mutamento religioso, a cura di G. Bettin Lattes, Mutamenti in Europa. Lezioni di
sociologia, Bologna, Monduzzi, 2002, p. 233.

15
l'esito finale di questo fenomeno è rappresentato dal fatto che i valori cristiani sono
stati istituzionalizzati e laicizzati. Talcott Parson, sosteneva che la religione è integrata
nei simboli e nelle strutture della società moderna secolare, ad esempio in gran parte
del diritto sono presenti valori cristiani. La secolarizzazione, dunque, non elimina i
valori sacri né la loro funzione integrativa all'interno della società, ma essi mutano e si
trasferiscono nella sfera secolare laica. Parsons si rifà all'idea, di ispirazione
durkheimiana, che conferisce alla religione una valenza funzionale nei confronti della
società, come fulcro di coesione sociale. Un esempio è l'istituzionalizzazione del Natale
e la laicizzazione delle festività17.

1.1 Critica alle teorie della secolarizzazione

Attraverso l'analisi della società islamica (ma anche di quella occidentale) in


questo paragrafo verrà esposta una critica alle teorie della secolarizzazione,
specialmente quella classica, con alcuni punti: 1) La secolarizzazione non ha portato al
declino delle credenze, ma alla diminuzione dell'ingerenza religiosa nella sfera
pubblica, rivisitando profondamente il rapporto degli individui con esse. 2) Le teorie
della secolarizzazione non sono compatibili con le società non occidentali. 3) Nelle
società odierne convivono una molteplicità di confessioni nuove e/o acquisite
dall'immigrazione che si stanno affermando sempre di più nella sfera pubblica,
soprattutto attraverso la richiesta di pari riconoscimento alla religione maggioritaria
e/o ufficiale. 4) La perdita dell'influenza, soprattutto politica, della religione nelle
società occidentali, non può essere presa in esame come parametro di
modernizzazione, in quanto la nascita di fenomeni nuovi, come il fondamentalismo
religioso, è ugualmente rientra come conseguenza della modernizzazione, in quanto
fenomeno recente.

1.2 Islam e secolarizzazione

L'Islam nel mondo è la seconda religione, dopo il cristianesimo, per numero di fedeli,
con 1,6 miliardi (23% della popolazione mondiale) 18. Le ragioni della diffusione sono da
attribuirsi alla crescita demografica delle società a maggioranza musulmana. A seguito
dell'alto tasso demografico, la comunità islamica è una società giovane. L'età media degli
immigrati musulmani in Europa è di 32 anni, otto anni in meno rispetto alla media europea.

17
Oggi il Natale, e altre feste religiose, hanno assunto un aspetto commerciale e profano.
18
Cfr. Pew Research Center, The Future of the Global Muslim Population, 27 gennaio 2011.

16
Nel 2010, secondo il rapporto del Pew Research Center, 19 il numero dei musulmani
aumenterà del 73% – da 1,6 miliardi nel 2010 a 2,8 miliardi 2050, superando il numero dei
fedeli cristiani. La ragione dell'incremento è dovuta al maggiore tasso di fertilità dei primi.
Ogni musulmano ha una media di 3,1 figli, rispetto alle famiglie cristiane (2,7). Nelle
società occidentali l'incremento dei credenti islamici e il rapporto tra Islam e
secolarizzazione sono percepiti con molta preoccupazione. La crescita del fondamentalismo
ha fatto emergere una visione focalizzata sull'ingerenza religiosa in molti paesi a
maggioranza musulmana. Di conseguenza il "mondo musulmano" appare all'Occidente
come estraneo e complesso soprattutto se si cerca di comprenderlo attuando una
comparazione con la società in cui viviamo. Il fatto di essere sconosciuto lo rende
facilmente oggetto di stereotipi e semplificazioni. Si rischia così di mettere nello stesso
calderone fondamentalisti islamici, praticanti, i non praticanti e perfino coloro che si
dichiarano laici, agnostici, atei o addirittura i non musulmani provenienti dalla stessa area
geografica. La vastità numerica e il mutamento sociale dei paesi che hanno una
maggioranza di osservanti musulmani rende incompatibile qualsiasi forma di
semplificazione, sebbene non sia possibile fare una comparazione con l'Occidente poiché
ogni società e/o singolo paese sono caratterizzati da differenti culture e avvenimenti storici.
Le domande da porsi sono: 1) se tutte le società moderne sono secolari e se la
secolarizzazione corrisponde a modernità, 2) se si possono applicare le teorie della
secolarizzazione facendo riferimento anche alle società non occidentali.

1) Il concetto di modernità introdotto da Weber, facendo riferimento alla riforma


protestante, allo sviluppo del capitalismo e della scienza, rende la teoria riduttiva sia se
applicata a società occidentali che a quelle non occidentali. Secondo una ricerca condotta
nel 2011 da Gallup20 sull’influenza della religione nella società americana, il 68% degli
intervistati si dichiara soddisfatto di questo aspetto, il 29% di questi desidera una maggiore
influenza, mentre il 39% invece desidera che la religione mantenesse la stessa influenza che
ha attualmente. Soltanto il 29% ritiene che la religione dovrebbe avere meno influenza
sociale. In ragione di ciò la teoria classica appare imparziale perché non coglie il fatto che il
processo di secolarizzazione non può coinvolgere allo stesso modo - e negli stessi tempi –
società culturalmente disomogenee. Applicando, inoltre, gli stessi parametri di riferimento
delle società occidentali alle altre, si rischia di esercitare ancora una volta una forma di
colonialismo che pretende di ergersi a modello culturale per tutti. Per revisionare la teoria
classica, il sociologo José Casanova21 considera, infatti, che la modernizzazione sociale non
19
Cfr. Debug News Lies, Europa: analisi sulla popolazione musulmana e future prospettive, 9
novembre 2015.
20
Cfr. Newport F., Americans Split on Desired influence of Organized Religion, in «Gallup» 2 febbraio
2011.
21
Cfr. Casanova J., Oltre la secolarizzazione. La religione alla conquista della sfera pubblica, Bologna,
il Mulino, 2000, p.388.

17
implica per forza in un processo di secolarizzazione. Egli critica l'idea secondo cui la
secolarizzazione venga indicata come declino delle credenze o come privatizzazione di
queste. Per confutare la prima teoria è sufficiente prendere in considerazione quelle società
in cui l'abbandono della religione è stato imposto da regimi dittatoriali. Il paradigma
secondo cui la modernità implica una privatizzazione dei culti è debole in quanto esistono
società moderne dove la presenza di confessioni pubbliche è compatibile con l'essere una
società moderna. Come è possibile allora che il processo di modernizzazione della società
non abbia prodotto una società uniformemente secolare, ma anzi, abbia fatto emergere
anche il fenomeno del fondamentalismo religioso? Alcune teorie mettono anche
l'integralismo religioso all'interno di una prospettiva post-secolare e ciò fa riflettere sulla
necessità di affrontare il superamento delle teorie classiche. Questo perché la
modernizzazione non produce necessariamente una società secolarizzata. Prendendo come
esempio una società occidentale come gli Stati Uniti d'America, dove il sentimento
religioso cristiano è molto forte e anche pubblicamente manifestato, pare non sia stata
coinvolta da un processo di secolarizzazione ma ciò non impedisce di considerare la
società americana come moderna.

2) Il termine post-secolarismo coniato dal sociologo Klaus Eder, si riferisce alla


riappropriazione dello spazio pubblico da parte della religione negli ultimi anni e questa
tendenza investe sia le società islamiche che quelle occidentali, sia attraverso
l'immigrazione di popoli non cristiani e la nascita di nuovi culti, sia nella dialettica con
l'Islam. L'islamofobia, negli ultimi anni, ha portato a rafforzare in Occidente sentimenti di
appartenenza religiosa a scopo di difesa delle proprie radici culturali, come la crescita nelle
Destre politiche delle società laiche, come in Europa, di sentimenti a difesa dei valori
cristiani prima considerati marginali. Un esempio è la Lega Nord che considera i valori
cattolici uno dei baluardi della civiltà occidentale e dell'appartenenza nazionale contro
l'emergere di nuove religiosità nello spazio pubblico. Dunque, la riaffermazione pubblica
della religione oggi è divenuta un meccanismo di difesa nei confronti delle minoranze. A
differenza della Francia, che in nome della laicité si dichiara contro l'emergere dei culti
nello spazio pubblico, la fede cattolica che nel nostro Paese non ha mai abbandonato la sua
influenza nella sfera pubblica (soprattutto attorno ai temi di bioetica, omosessualità e
nell'istruzione scolastica) in questo momento più che mai i valori cristiani sembrano
divenuti confini da tracciare contro la presunta invasione. Il dibattito sulla rimozione del
crocifisso nelle scuole pubbliche da parte di alcuni politici non è stato interpretato come una
spinta a laicizzare il Paese ma come una richiesta di rinuncia al Cristianesimo per dare
spazio alle "pretese" dell'immigrazione islamica. L'atteggiamento dell'Italia sulla difesa del
crocifisso nei luoghi pubblici a tutela dei valori cristiani è uno dei tanti aspetti utili per

18
comprendere se la teoria classica sia ormai un modello superato anche nell'Occidente, che
pare oggi stia attraversando una fase storica di de-privatizzazione della religione.

3) I paradigmi introdotti nel paragrafo precedente congetturano il concetto di


secolarizzazione facendo riferimento esclusivamente alle società occidentali. Dunque,
applicare tali ipotesi a fedi non cristiane, in particolare islamiche, oggetto di questa tesi, è
alquanto difficile. Il teologo egiziano Yūsuf Al-Qaraḍāwī ha teorizzato più volte in che
modo riformare l'Islam per adattarlo al mondo contemporaneo. Secondo lo studioso, è
possibile per l'Islam accettare un contesto democratico ma senza auspicare una separazione
tra politica e fede. Dunque, la secolarizzazione secondo Al-Qaraḍāwī rappresenta il rischio
concreto di un declino della religione poiché a differenza del Cristianesimo, l'Islam non ha
istituzioni gerarchiche che la supportano22. Da questa prospettiva si evince che per i
musulmani la modernizzazione della società può prescindere dalla sfera secolare proprio a
causa della differenza contestuale rispetto all'Occidente. La presenza di due poteri nel
"mondo cristiano", ovvero quello sacro rappresentato dal clero e quello temporale dei
governi "laici", non esiste nelle società musulmane e per questo motivo la secolarizzazione
viene intesa come la delegittimazione del potere della religione nella società. In una società
dove la fede svolge ancora un ruolo importante nell'integrazione sociale della ummah, se
venisse a mancare una comunità dei credenti la disgregazione di queste società sarebbe
inevitabile (e in parte sta già avvenendo). Secondo Al-Qaraḍāwī, le altre ragioni del
fallimento del secolarismo sono da ricercarsi ne:

a) La differente storia dell’Islam rispetto al cristianesimo, ovvero, l’ultimo è nato dalla


contrapposizione tra fede e scienza e tra popolo e sovranità, ragion per cui la
secolarizzazione è stata un’esigenza per raggiungere il progresso civile; b) Il fallimento del
secolarismo nell’Islam, come il caso dell’Iran23, a causa di una riforma del paese basata su
standard occidentali, è stato teatro della Rivoluzione del 1979, nata dal dissenso scaturito
dal malessere nei riguardi dell’occidentalizzazione del paese, che seppur abbia promosso la
laicità lo ha fatto a spese della democrazia, della libertà di stampa e della trasparenza
politica. Non è sbagliato considerare che l'influenza religiosa sulla politica di gran parte dei
paesi musulmani abbia messo in crisi le teorie classiche che danno per scontato che la
modernizzazione implichi sempre un processo di secolarizzazione della società. Tuttavia, è
possibile coniare temi liberali con valori divini e, quindi, non secolari. E' il caso del
femminismo islamico, movimento che promuove i diritti delle donne partendo però
dall'interpretazione dei testi sacri, considerando che l'Islam nella sua tendenza maschilista è
22
Cfr. Ambrosini M., Demichelis M., Salmieri G. (a cura di), Troppa religione o troppo poca?, Venezia,
Marsilio Editore, 2016, pp. 52-54.
23
L’Iran non è altro che uno dei tanti paesi islamici ad aver imposto governi filo-occidentali ma
dittatoriali.

19
l'effetto di un'errata applicazione delle dottrine del Corano, diversamente dalla corrente
occidentale che essendo di ispirazione laica o ateo/agnostica è basata sul rifiuto della
religione come dottrina patriarcale, riconoscendo in essa l'origine del ruolo subalterno delle
donne nella società. Come i movimenti femminili occidentali, l'obiettivo delle attiviste
islamiche è comunque il raggiungimento dell'uguaglianza tra uomini e donne, ma ciò può
avvenire soltanto attraverso una rivisitazione delle dottrine islamiche. E' importante
sottolineare che il femminismo in Occidente nasce in un contesto "laicizzato" e
secolarizzato, mentre quello islamico si sviluppa in una società completamente differente
dove i valori religiosi non conoscono una separazione dagli aspetti politici e dalle pratiche
quotidiane. Inoltre, tra i principi del femminismo islamico c'è il rifiuto del colonialismo
occidentale a causa di fattori radicati nella storia, anche recente, che ha visto gran parte dei
paesi musulmani coinvolti come vittime di numerosi insediamenti, perciò il proprio culto e
dei propri costumi assume un aspetto identitario da tutelare contro la secolarizzazione
imposta con violenza dall'Occidente. In questa ottica, anche le pretese dello Stato Islamico e
altri movimenti di ispirazione islamista si inseriscono perfettamente in questo contesto come
riaffermazione della propria individualità religiosa attuando un rapporto rivisitato con la
fede, al fine di contrastare una secolarizzazione spesso imposta attraverso dittature (da
notare come queste dittature non siano riuscite comunque a ridurre lo spazio pubblico della
religione nei paesi islamici). Questo processo definito come una forma di "islamizzazione
del secolare", neologismo che compare nel saggio di Ines Peta, L'Islamizzazione del
secolare nel linguaggio politico di Rachid Ghannouchi24, che ripercorre la biografia e il
pensiero di un politico e teologo contrario alla secolarizzazione tunisina imposta dal
governo filo-occidentale di Habib Bourghiba, riconosce due tipologie di secolarismo: il
secolarismo totale e il secolarismo parziale. Il primo di stampo ateo non rappresenta,
secondo Ghannouchi, l'originario obiettivo del secolarismo posto dalla seconda definizione,
ovvero quello di separare la politica dalla fede garantendo la libertà di pensiero. Su queste
premesse, il teologo tunisino considera che il colonialismo da parte della Francia abbia
influenzato il suo paese, imponendo la laicité attraverso una secolarizzazione rivisitata in
chiave teocratica con un controllo tale della religione da parte dello Stato da impedirne la
libertà interpretativa del Corano. Un modello che Ghannouchi paragona a quello dei regimi
comunisti che, attraverso l'ateismo di stato, sopprimono la libera espressione religiosa da
parte del fedele. Tuttavia, è utile domandarsi se invece la secolarizzazione sia accettata negli
immigrati nei paesi occidentali o nei figli degli immigrati e come vivono la loro identità e le
loro credenze lontano dai propri luoghi nativi.

1.1.1. Figli di immigrati musulmani in Occidente

24
Cfr. Peta I., Salmieri G. (a cura di), Troppa religione o troppo poca?, Venezia, Marsilio Editore, 2016,
pp. 77-79.

20
Quando si parla di nuove generazioni all'interno di famiglie di immigrati, si
intendono i figli cresciuti lontano dai luoghi di origine dei loro antenati. Malgrado in Italia
l'immigrazione sia ancora un fenomeno di prima generazione, secondo i dati dell'Istat 25 sono
nati 700.000 figli di migranti, numero in costante incremento negli ultimi anni: passando dal
4,8% del 2000 al 14,9% del 2012. Un censimento del 201626 rivela che in Italia su 5.026.153
cittadini stranieri residenti, sono nati 971.000 bambini tra il 1993 e il 2014. Il ministero
dell’Istruzione e dell’Ismu (Indagini e Studi sulla Multietnicità), durante l’anno scolastico
2014/201527, ha rilevato che gli iscritti di origine straniera alle scuole sono 814.187, il 9,2%
del totale.

Dunque, i mussulmani che vivono in Europa e condividono gli stessi spazi degli
occidentali, come mutano il loro rapporto con la loro religione di appartenenza? L'Institut de
Montaigne nel 2016 mostra due facce dell'"Islam occidentale", uno secolarizzato e l'altro
ortodosso. Secondo l'inchiesta, il 5,6% dei cittadini over 15 si dichiara musulmano, mentre
la percentuale sale al 10% per i giovani sotto i 25 anni. L'indagine mostra che, a differenza
dei cristiani, il sentimento religioso è maggiore nelle seconde generazioni. Il rapporto ha
rilevato tre categorie di musulmani francesi per quanto riguarda il modo di intendere la
propria fede: il primo gruppo è costituito da coloro che riconoscono i valori della
Repubblica Francese (46%) ma praticano privatamente il culto islamico; il secondo (25%)
rivendica la propria confessione anche nello spazio pubblico, dichiarandosi comunque laici;
la terza categoria, sono i musulmani ortodossi (28%), che non seguono i valori francesi e
che vedono nell'Islam una possibilità di «affermarsi ai margini della società». I giovani
musulmani occupano maggiormente il primo e il terzo gruppo. Mentre gli immigrati di
prima generazione vivono un Islam affine a quello dei loro paesi di origine nei codici e nei
valori, i ragazzi nati o cresciuti in un contesto europeo tendono a rinegoziare modalità
diverse e inedite di rapporti con la loro religione di appartenenza 28. Mettiamo in relazione le
tre tipologie di Islam nelle nuove generazioni di "musulmani occidentali": 1) i musulmani
secolarizzati 2) coloro che intendono la fede come valenza identitaria e 3) i giovani della
jihād.

25
Istat (2012)
26
Istat (2016)
27
Cfr. Il mondo tra i banchi, sempre più figli di immigrati nelle scuole italiane, in «Stranieri in Italia»,
11 maggio 2016.
28
Cfr. Babès L., L’altro Islam. Un’indagine sui giovani musulmani e la religione, Roma, Edizioni
Lavoro, 2000; Cesari J. – Pacini A. (a cura di), Giovani musulmani in Europa, Torino, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli, 2005.

21
1) Negli ultimi vent'anni, in Europa, è emerso un nuovo Islam: quello dei
giovani musulmani figli degli immigrati nati nel vecchio continente e socializzati in un
contesto differente da quello dei loro paesi d'origine. La scuola, dopo la famiglia, definita
come agente di socializzazione secondaria è il luogo in cui il bambino apprende valori,
norme, modelli culturali di un determinato contesto sociale. Spesso i giovani scolarizzati in
Occidente vivono un progressivo distacco dall’Islam dei loro paesi autoctoni elaborando un
rapporto individuale rispetto al culto tramandato dagli ambienti famigliari. Questo processo
inedito di rielaborazione delle proprie credenze secondo alcune teorie è favorito dal contesto
secolare occidentale, mentre altre ritengono che è il maggiore pluralismo offerto dai luoghi
allogeni a spingere i giovani a riaffermarsi a prescindere dalla propria confessione. Per
alcuni giovani la ricostruzione dell'identità religiosa avviene in regime di scarsa conoscenza
del peso dei simboli sacri e dell'interpretazione della dottrina nei loro paesi d'origine poiché
a differenza delle prime generazioni, essi hanno una maggiore conoscenza della cultura e i
valori europei rispetto a quelli della patria della famiglia. Questo porta ad un modo inedito
di vivere il “proprio Islam”, che per i giovani rimane circoscritta ai soli riti e funzioni. Varie
indagini hanno dimostrato, in termini numerici, l'importanza della fede per i musulmani
europei. Questo porta l'individuo anche a rivisitare il rapporto tra culto e nazionalità,
superando il rigido rapporto di dipendenza con l'appartenenza statale, e quindi anche da ciò
che lega il culto di Allah con il codice giuridico, tipica delle società che non sono state
coinvolte nella secolarizzazione. Analizzando questi gruppi sociali è possibile notare come
Islam e secolarizzazione possono essere compatibili, non nell'accezione classica ma
piuttosto come un modo di nuovo di scindere la religione dalla politica, portando il credente
a riscoprire un' inedita libertà di interpretare valori, culture e norme sociali, spesso
mescolate con ciò che viene appreso in Occidente. Un esempio rappresenta l'emergere in
Francia, e recentemente anche in Italia e in altri paesi europei, della musica hip-hop
islamica29 e del genere pop30. Questi artisti coniugano la loro appartenenza etnico-religiosa
ad una cultura nata nei ghetti americani o mescolano le melodie occidentali della musica
popolare con tematiche e testi di cultura araba e/o musulmana, affrontando talvolta anche
argomenti che riguardano l'immigrazione e la xenofobia. I giovani immigrati di seconda
generazione costituiscono identità ricostruite, interiorizzano una "doppia appartenza" 31.
Sono musulmani ma si percepiscono anche europei. Altri studi hanno messo in evidenza che
in alcuni ragazzi che appartengono alle nuove generazioni, vi può essere un rifiuto
dell'adesione ai valori appresi tramite socializzazione primaria per aderire a ciò che viene
acquisito in Occidente tramite la scolarizzazione e il gruppo dei pari, processo che alcune
volte non è esente dallo scontro culturale con le vecchie generazioni, spesso la famiglia
29
Cfr. Il rap islamico sbarca in Italia , in «La Stampa», 13 dicembre 2010.
30
Cfr. Bouchra, la 22enne italo-marocchina icona di integrazione , in «Il Sole 24ore», 9 marzo 2017.
31
Cfr. Acocella I., Pepicelli R. (a cura di), Giovani musulmane in Italia, percorsi biografici e pratiche
quotidiane , Il Mulino Editore, 2015.

22
stessa. Celebre è il caso dell'assassinio di Hina Saleem ventenne pachistana, uccisa a
Brescia nel 2006 dalla sua famiglia per questioni d'onore, perché rea di avere una relazione
con un uomo di un'altra religione.

2) La socializzazione secondaria degli europei musulmani non equivale sempre


ad un rifiuto dei valori sacri o ad una miscelazione con quelli occidentali, ma spesso il
legame con la loro religione, a causa di processi di dislocazione territoriale, può venirne
perfino rafforzato come rivendicazione della propria origine culturale. In Europa, tra i
giovani figli degli immigrati di religione islamica, si assiste ad una re-islamizzazione vissuta
come una forma di riappropriazione identitaria. Questo aspetto preoccupa spesso le società
occidentali che si interrogano sulla presunta incapacità dei musulmani di integrarsi nella
nostra società, integrazione intesa spesso in modo errato, ovvero come rinuncia alla propria
fede e ai propri valori. La rivendicazione del velo (hijab e altre varianti) nei paesi
occidentali è un esempio di come molte musulmane di nuova generazione vivano il rapporto
con la loro fede in un paese culturalmente diverso. Non accettano di scendere ai
compromessi richiesti dalle società occidentali e contemporaneamente interpretano i loro
dogmi in maniera del tutto inedita, come appartenenza e non più come sottomissione
religiosa. Dunque, il processo di ridefinizione della propria fede e la condivisione di uno
spazio pubblico di cultura occidentale, non passa per forza, e mai dovrebbe, attraverso la
negazione dei propri valori, della propria cultura e delle proprie origini32.

3) La crescita dell'integralismo da parte di alcuni giovani è un aspetto che


preoccupa il mondo occidentale malgrado i musulmani che aderiscono alla jihād siano una
minoranza. L'integralismo che ha reso l'Occidente – in particolare la Francia - teatro di
numerosi attentati e azioni da parte di cellule fondamentaliste formate da giovani
musulmani di seconda e terza generazione, è percepito soltanto come un rifiuto dei valori
laici occidentali. La radicalizzazione dell'Islam è un fenomeno recente che affonda le sue
cause in una rottura generazionale con i valori imposti dalle famiglie oltre che nel rifiuto di
quelli occidentali. Si tratta principalmente di giovani che aderiscono a ideologie ortodosse e
si arruolano a combattere quella che ritengono una guerra santa contro gli infedeli. La
domanda a cui rispondere è perché la jihād attira gli europei? Quanto meno si conoscono le
dottrine religiose più questo fenomeno diventa legittimo, poiché i movimenti
fondamentalisti puntano proprio agli individui che non conoscono a fondo la religione
musulmana essendo vissuti in un contesto europeo. Dunque, la causa va ricercata nell'essere
europei e nell'essere giovani e ciò sfocia in una ribellione che può essere paragonata al '68 e
agli anni di piombo, data la rottura generazionale con le loro famiglie e il rifiuto netto dei
valori tramandati. Olivier Roy sostiene che questi ragazzi agiscono contro la comunità
32
Ibidem.

23
musulmana, contro gli imam e contro i propri genitori, considerati dei traditori poiché si
ritengono gli unici dispensatori della verità33.

2 "Pluralizzazione": il pluralismo religioso come soluzione al secolarismo

La teoria "classica" della secolarizzazione si focalizza sulla perdita di rilevanza


della religione come indice di modernità. Su questa luce tutti i processi di secolarizzazione e
laicità sono stati artefici del progresso civile. Tuttavia, l'accezione originaria del secolarismo
pare superata in un contesto europeo dove i movimenti migratori hanno determinato il
ritorno della fede nella sfera pubblica. Le società contemporanee hanno perso
omogeneità culturale e religiosa, lasciando spazio a un mondo globalizzato che apre a
nuove sfide di convivenza non solo tra etnie diverse ma anche tra credenze differenti.
Questo è quello viene definito pluralismo religioso, che secondo il teologo Peter
Ludwig Berger sarebbe ciò che caratterizza la società contemporanea. Questo
fenomeno mette in crisi le teorie della secolarizzazione, poiché la multireligiosità in questa
“nuova Europa” ha aperto anche la strada all’affermazione pubblica delle minoranze
religiose. Questa tendenza si prospetta come una libertà di manifestare la propria diversità e
individualità. Qui è dove ha fallito il secolarismo malgrado nel vecchio continente si
continui a pensare la secolarizzazione “nel nome della libertà, dell’autonomia individuale, della
tolleranza, del pluralismo culturale ai credenti è richiesto di mantenere le loro convinzioni “private”
in modo da non disturbare il progetto di un’Europa moderna, secolare, illuminata” 34. Analizzando
il caso della Francia, ad esempio, la questione della scelta delle donne di indossare il "velo
islamico" è stata percepita come un attacco ai principi della laicità su cui si fonda la società
francese, indubbiamente l'unico paese europeo ad aver realizzato una piena separazione tra
Chiesa e Stato, l'unico che in nome della laicité vieta per legge l'esposizione pubblica dei
simboli religiosi. Il dibattito sull'abbigliamento delle donne islamiche torna alla ribalta nel
2016, attorno alla questione del burqini, un costume da bagno femminile simile ad una muta
da sub. Il capo di abbigliamento non è nemmeno un precetto dell'Islam ortodosso ma si
tratta di un brand di moda nato in Occidente, precisamente in Australia 35 e mira ad un target
femminile che non vuole rinunciare a recarsi nelle spiagge e piscine occidentali che per
ragioni culturali sono frequentate da entrambi i sessi. Tuttavia, il sindaco di Cannes, David
Lisnard, ha sanzionato l'uso del burqini perché: “tale abbigliamento rappresenta un simbolo
dell’estremismo islamico ed è contrario al secolarismo dello stato francese" 36.
33
Cfr. Swanson A., Why young people become jihadists to a top expert, in « The Washington Post», 18
dicembre 2015.
34
Casanova J, Religion, European Secular Identity and European Integration, Cambridge University
Press, 2006, pp. 66-67.
35
http://ahiida.com/
36
Anna Lombardi. Burkini, l'Onu critica la Francia: "Così stigmatizzate i musulmani". «La
Repubblica», 30 agosto 2016.

24
Ripercorriamo il termine “laicità”: uno stato laico è caratterizzato da una separazione tra
potere religioso e potere temporale, rivendicando la propria indipendenza da ogni ingerenza
teologica, senza sopprimere però la libertà di manifestare la propria fede. Prendendo il caso
della Francia, si può comunque affermare che il rispetto della laicità sia garantito o rischia
di sfociare nella limitazione della libertà religiosa tipica delle dittature atee (o di quelle
teocratiche)? Una laicità che non è più intesa come separazione tra Stato e Chiesa ma come
imposizione da parte dello Stato, secolare, di eliminare anche la manifestazione individuale
del proprio credo. Dunque, in questa prospettiva, il pluralismo religioso rappresenta la
soluzione adatta per valorizzare le differenze, contro l'assolutismo identitario prodotto non
solo dalle società teocratiche ma anche dalle civiltà secolari, rivisitando lo spazio pubblico
come una comunità dove poter agire insieme. Un nuovo baluardo di coesione sociale contro
il rifiuto delle differenze che nemmeno le più moderne società secolari sono riuscite a
realizzare e che viene a galla ai nostri giorni quando, a causa dell'immigrazione, siamo
"costretti" a confrontarci con l'emergere di culture diverse. In conclusione, la secolare
Francia, nel paragone con le culture islamiche tende a sbandierare secolarizzazione,
pluralismo religioso e relativismo culturale come valori peculiari dell'essere occidentali e in
opposizione alle società teocratiche che non garantiscono la piena libertà religiosa. Cos'altro
non è se non etnocentrismo? La lunga storia coloniale da parte dell'Occidente dimostra
come esso abbia imposto, soprattutto con la forza, i propri valori a paesi culturalmente
diversi sopprimendo la libertà, anche religiosa, dei popoli autoctoni. In realtà nell'Islam vive
al suo interno un pluralismo diverso, ovvero la disomogeneità della dottrina religiosa nelle
diverse società che il sapere di Maometto ha conquistato nel corso della storia 37. Dunque,
l'Islam non è un sistema omogeneo di credenze ma ha dovuto avviare processi di
adattamento alle differenti aree socio-culturali dove si è diffuso, portando anche a diverse
interpretazioni dei testi sacri. L'errore che gli occidentali compiono nel percepire la
religione musulmana sta nell'ignorare le frontiere dell'Islam che non si riducono alla
penisola araba, ma sono composte da un mosaico di etnie e fedi differenti di epoca assai più
remota rispetto al multiculturalismo occidentale. Tracciando i confini del culto islamico, la
percentuale più alta di aderenti risiede in Asia con: Indonesia (86,2%), Pakistan (96,4%),
India (14,23%) e Bangladesh (88,7%) che detengono le percentuali più alte di fedeli,
assieme ad alcune nazioni dell'Africa subsahariana nera come il Senegal (92%), Niger
(93%), Mauritania (99.84%), Gambia (90%), Somalia (99%) e Mali (80% sunniti). Vien da
sé che la maggior parte dei musulmani non sono arabi. Contesti sociali diversi culturalmente
ed etnicamente dove per etnia si intende il patrimonio culturale che un popolo condivide,
fatto di norme sociali, usi e costumi, religione, lingua, storia e territorio comuni che
convivono all'interno di un gruppo sociale. Quando in Occidente si parla di "persona
musulmana", si tende a creare un'etichetta, annullando le pluralità etniche e culturali tra
37
Cfr. Pace E., Sociologia dell'Islam, Roma, Carocci Editore, 2008, pp. 193-218.

25
individui che sono accomunati dalla medesima religione ma che in realtà condividono
contesti sociali differenti e perfino differenze linguistiche tra loro.

3 Conclusioni

Attraverso queste pagine emerge la conclusione che la secolarizzazione ha favorito


sì al progresso in molti campi ma non tutte le società moderne sono secolari, a prova di ciò
è utile prendere in considerazione l’incompatibilità della secolarizzazione con le società non
cristiane. Il rifiuto della secolarizzazione come idea di neo-colonializzazione si basa
sull’apertura a nuove forme di modernità.

CAPITOLO II

Da emigranti a terra "intollerante" di immigrazione

26
1 Stime sull'immigrazione

Negli ultimi anni il tema dell'immigrazione si è imposto nei media con sempre più
frequenza, alle emergenze umanitarie dei numerosi "viaggi della speranza", alla
preoccupazione riguardo alla convivenza con culture differenti in un continente che sta
divenendo sempre più multietnico. L’Italia, rispetto ad altre nazioni europee, per quanto
riguarda questo fenomeno, ha una storia piuttosto recente. Solo verso la fine degli anni
settanta, nel Paese, si assiste a quello che prima di allora era un fenomeno inedito. Nel 1981,
un censimento dell’Istat rilevò la presenza di circa 321.000 migranti nel territorio italiano.
Dieci anni dopo, il numero degli stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a
625.000 unità. Secondo un censimento condotto dall’Istat del 2015 38, in Italia sono presenti
5.073.000 migranti (l’8,3% della popolazione totale).

1 .1 Da dove vengono gli stranieri residenti in Italia?

Nel corso degli anni la provenienza dei migranti nella penisola ha subìto un
cambiamento. Negli anni ‘90 provenivano quasi esclusivamente dai paesi dell’ex Unione
Sovietica. Nel 1991 in particolare, con il crollo dell’Urss, sbarcarono circa 27.000mila
persone, approdate dall’Albania al porto di Brindisi 39, con la speranza di un futuro migliore.
Malgrado il primato numerico per nazionalità degli immigrati resti comunque alla Romania
con 1.151.395 residenti (22,9%) e Albania con (467.687, il 9,3%), negli ultimi anni, nella
penisola, risiedono nuove comunità numerose: quella cinese ( 271.330, il 5,4%) e quella
marocchina (437.485, l’8,7%). Queste nazionalità costituiscono numericamente la
maggioranza delle presenze straniere in Italia40.

1.2 Le stime in Europa

Secondo un censimento Eurostat condotto nel 2014 41, il 1° gennaio dello stesso
anno il numero degli stranieri residenti nell’Ue erano 34,1 milioni, pari al 7% della
popolazione totale. Di questi 14,3 milioni erano comunitari, mentre 19,8 milioni

38
Istat. Bilancio demografico nazionale, 10 giugno 2016.
39
Cfr. Valeria Pini. Vent'anni fa lo sbarco dei 27.000. Il primo grande esodo dall'Albania. in «La
Repubblica», 6 marzo 2011.
40
Istat. Bilancio demografico nazionale, 10 giugno 2016.
41
Eurostat, 18 dicembre 2015.

27
provenivano da paesi fuori dall'Europa e extracomunitari. Tra questi immigrati una parte di
coloro si recano in Europa per fare richiesta di asilo politico. Il rifugiato, secondo l'art.1
della convenzione di Ginevra del 1951 è un individuo che si trova fuori dal suo Stato di cui
ha la cittadinanza perché discriminato per via della sua religione, razza, appartenenza ad un
gruppo sociale o per le sue idee politiche. In Europa le richieste di asilo42 sono state
1.250.640. In una classifica composta da 14 nazioni, i paesi ospitanti che hanno ricevuto più
domande sono Ungheria (17,7), Svezia (16,0) e Austria (10,0). L’Italia si posiziona al
12esimo posto con 1,4 richieste d’asilo ogni 1000 abitanti. Ciò conferma che la nostra è una
nazione “di transito”, meta di sbarchi a causa della posizione geografica in cui ci troviamo.
Eurostat ha individuato la provenienza geografica dei profughi inserendoli in una classifica
composta da 10 paesi. La Siria è prima per numero di rifugiati politici con 362.775 richieste
nel 2015 (+146% rispetto al 2014). Segue l’Afghanistan con 178.230 (+204% rispetto
all’anno prima) e l’Iraq con 121.535 (+83%).

1.3 I viaggi della speranza africani

Il 18 aprile del 2015 un barcone eritreo con a bordo tra i 700 e i 900 migranti si
rovesciò al largo del Canale di Sicilia provocando una delle stragi più grandi della storia del
Mediterraneo43. In centinaia, provenienti da diverse nazioni, viaggiavano chiusi nella stiva
del peschereccio, lungo dai 20 ai 30 metri. Solo nel 2015, morirono 3200 migranti 44 in
quelli che vengono chiamati “viaggi della speranza”, compiuti da giovani, compresi
bambini, disposti a tutto a causa delle proprie condizioni economiche, politiche e sociali.
Queste stragi sono un vero e proprio business fruttuoso nelle mani di scafisti e trafficanti di
esseri umani, favorito da normative restrittive in materia di immigrazione ed emigrazione.
Il fenomeno dei viaggi della speranza, cresciuto negli ultimi 25 anni, viene erroneamente
definito come immigrazione clandestina da parte di politici e della direttiva 2001/51/CE che
ha stabilito che le compagnie aeree devono pagare una sanzione per i passeggeri che
arrivano nell’area Schengen senza i documenti, organizzare a proprie spese l'alloggio e il
rimpatrio della persona sprovvista di visto.

1.3.1 Da cosa scappano e perché

42
Eurostat. Asylum applicants in the EU.(2015)
43
Cfr. Romina Marceca, Francesco Viviano e Alessandra Ziniti. Strage al largo della Libia: morti in
mare tra 700 e 900 migranti, solo 28 superstiti. È la tragedia più grande di sempre. «La Repubblica», 19
aprile 2015.
44
Cfr. Migranti. La strage silenziosa del Mediterraneo: "Oltre 3200 morti nel 2015, più di 700
bambini", in «La Stampa», 19 dicembre 2015.

28
Secondo i dati diffusi dell'Unchr nel 2014, 43milioni di migranti hanno lasciato il loro
paese, di cui 11 milioni provenienti dall'Africa e 3.4 milioni dall'Africa sub-sahariana. I
paesi africani con maggior numero di richiedenti asilo in Europa sono Eritrea (14mila),
Somalia (5mila) e Sudan (>2mila).

ERITREA

Dall'epoca coloniale alla dittatura, l'Eritrea ha sempre vissuto una situazione molto
difficile. Il governo di Isaias Afewerki ha messo in atto una forma di repressione molto dura
verso chi si oppone al regime. Oltre alle detenzioni salatissime sono legali forme di tortura,
tra le più brutali dell'intero continente. Il servizio militare è obbligatorio anche per i
minorenni. Non è concesso il passaporto, per cui spostarsi dal paese non è autorizzato dal
regime.

SUDAN

Dopo l'indipendenza dal Regno Unito ottenuta nel 1956, in Sudan hanno governato
regimi militari in una situazione di guerre civili tra la parte nord e il sud del paese che si
sono concluse con la secessione e la nascita del Sudan del sud. I conflitti e le conquiste
occidentali, hanno inciso negativamente sulla condizione della popolazione locale che vive
sotto la soglia della povertà.

SOMALIA

La lunga contesa coloniale, le guerre con l'Etiopia e le dittature hanno destabilizzato la


nazione. Tra il 2011 e il 2014, una siccità ha peggiorato la carestia, aggravando la situazione
della popolazione. Negli ultimi cinque anni la Somalia è uno dei primi paesi per numero di
richieste di asilo, stando ai rapporti Unhcr (The UN Refugee Agency). Le maggiori richieste
sono concentrate in Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca e Germania. L'Italia risulta essere

29
il paese con il minor numero di profughi somali. L'Unhcr, invece, nel 2015 ha stimato il
numero dei profughi che hanno lasciato la Siria a causa della guerra in corso ormai da tre
anni. Quattro milioni di persone, ma meno del 3%, si recano in Europa. I rifugiati vivono in
nazioni limitrofe soprattutto Giordania, Turchia e Libano. La Turchia è il paese con il
maggior numero di rifugiati, circa il 47%, il Libano ne accoglie il 27% e la Giordania il
15%. In Unione Europea hanno chiesto asilo solo 348.540 siriani.

2 La paura degli immigrati (Italia e Occidente)

Da un'indagine condotta da Ipsos nel 201445 e commissionata dal Corriere della Sera,
emerge che il 56% degli italiani percepiscono un aumento dell'immigrazione e che sarebbe
utile contrastarla. Nel resto d'Europa, il 38% dei cittadini 46 si mostrano preoccupati
dall'immigrazione, percepita come un'invasione. L’opinione è più favorevole nei confronti
dell’immigrazione proveniente da altri paesi membri dell’Unione Europea; solo un terzo
degli intervistati ha espresso un’opinione positiva per quanto riguarda quella
"extracomunitaria" (56% contro 34%). Tra i paesi più aperti all’immigrazione non
comunitaria c’è la Svezia (66 per cento di cittadini favorevoli).

2.1 Identikit dell'Immigrato in Italia

L'OCSE, nel gennaio del 201447, ha tracciato un identikit dei migranti in Italia.
Secondo l'istituto di ricerca, quelli che possiedono un impiego con una bassa istruzione sono
il 58% e con questa percentuale la Penisola si classifica al settimo posto su 24 paesi. Coloro
che hanno una professione e un alto titolo di studio sono il 69%, collocando però il nostro
Paese al sestultimo posto della classifica come tasso di occupazione. Il Belpaese è, inoltre,
fanalino di coda per quanto riguarda il numero dei laureati stranieri. Soltanto il 10%
possiedono questo grado di istruzione. Certamente anche il numero di laureati tra i nostri
connazionali è piuttosto basso, 22,4%48- e con questo dato ci classifichiamo sempre
all'ultimo posto in Europa- ma se si mette in relazione la situazione della Gran Bretagna,
dove il 46,7% degli immigrati possiedono una laurea, sono stime che rivelano da sé

45
Cfr. Nando Pagnoncelli, Un italiano su due è contro gli sbarchi ma dice sì alla cittadinanza agli
immigrati, in «Il Corriere della Sera», 26 ottobre 2014.
46
Eurobarometer (2015)
47
OCSE (2014).
48
Eurostat (2014)

30
l'insufficiente investimento del nostro Paese in politiche di integrazione, la presenza di
pregiudizi, la chiusura e l'arretratezza del nostro mercato del lavoro. Una caratteristica della
condizione occupazionale dello Stivale è che la maggior parte degli stranieri hanno un
impiego poco qualificato. Gli immigrati che possiedono una bassa istruzione, rispetto agli
italiani con medesimo titolo di studio, sono maggiormente occupati (+10%). Questa
situazione è dovuta ad un welfare superato e a un mercato del lavoro che ha puntato
all'abbassamento della manodopera. Attraverso cronache italiane spesso si apprendono
episodi di sfruttamento, violenze, incidenti anche mortali, fenomeno che prende il nome di
caporalato, una piaga che pone l'Italia al primo posto in Europa e che vede come vittime
soprattutto stranieri.

2.2 Siamo stati migranti (e lo siamo ancora)

Non dobbiamo dimenticare che l'Italia è stata teatro di migrazioni, vere e proprie
"diaspore" da parte dei nostri connazionali, fino alla metà del secolo scorso e che questo
fenomeno sta tornando in auge a causa della "crisi economica" e dall'indice di sviluppo
economico del Belpaese, con 145 mila cittadini italiani49 che sono emigrati all'estero negli
ultimi anni. Per oltre un secolo, il nostro Paese ha conosciuto un vasto fenomeno migratorio.
La portata è stata notevole; la Penisola ha il primato europeo per numero di emigrati e per
longevità del fenomeno. Tutte le regioni italiane hanno contribuito attivamente al grande
esodo. L'emigrazione è avvenuta in quattro periodi distinti:

 Dall'Unità di Italia al 1900;

 Tra il 1900 alla prima guerra mondiale;

 Tra la prima alla seconda Grande Guerra;

 Dal dopoguerra agli anni '60.

In particolare, tra il 1876 ed il 1925, vi furono 9 milioni di italiani a lasciare il


continente per recarsi verso le Americhe, mentre un flusso migratorio minoritario restava in
Europa. L'arretratezza economica del nostro Paese dopo l'Unità d'Italia, le guerre e la scarsa
industrializzazione del Mezzogiorno furono i motivi principali che spinsero gli italiani
49
Istat (2015).

31
verso aree più ricche, come le Americhe. Il Governo italiano, che non fece nulla per
migliorare le condizioni del Paese, vedeva nell'emigrazione un'opportunità di crescita,
soprattutto per i contadini, utile a migliorare le loro condizioni sociali e aiutare l'Italia di
allora ad uscire dalla crisi economica. L'atteggiamento favorevole della nostra classe
politica era dovuto al fatto che le rimesse degli emigranti erano considerate necessarie a
risollevare le aree meridionali della Penisola.

Inoltre, trovandosi con meno manodopera, i proprietari terrieri, furono costretti ad


aumentare notevolmente le paghe dei loro operai, migliorando così le condizioni
economiche del popolo. L'emigrazione degli italiani di fine Ottocento non è stato un
fenomeno facile. Infatti, nei paesi ricettori, nei confronti dei nostri antenati, crebbe un
pregiudizio dovuto da un sentimento anti-italiano in crescita. Le opinioni xenofobe
venivano dichiarate espressamente perfino dalla stampa locale. Nel 1888, il quotidiano di
New Orleans The Mascot50, pubblicò una vignetta "satirica" in cui si spiegava come arginare
l'immigrazione, ovvero uccidendoli o arrestandoli. La rappresentazione della vignetta
sembrò concretizzarsi quando nella stessa città tre anni dopo avvenne uno dei più gravi
episodi xenofobi della storia. A seguito dell'assassinio del sovraintendente della polizia di
New Orleans David Hennessy, furono individuati come colpevoli 19 italiani, di cui nove
subirono l'accusa di aver avuto un ruolo diretto nell'omicidio, poi successivamente assolti.
L’assoluzione fu salutata con una manifestazione di solidarietà da parte della comunità
italiana che fu accolta come un incitamento alla violenza da parte dei cittadini. Malcontenti
alimentati anche dall'allora sindaco Joseph Shakespeare che definì gli italiani come
«individui più abietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistono al
mondo, peggiori dei negri e più indesiderabili dei polacchi» 51. Si stima che circa 3000 o
addirittura 20000 persone armate, secondo il settimanale "Harper´s Weekly", si riunirono
guidati dall' avvocato W. S. Parkerson per assalire la Parish Prison dove erano rinchiusi
undici detenuti italiani, trucidandone nove. L'intolleranza verso l'immigrazione, verso il
"diverso" sembra una storia che si ripete: gli italiani di oggi, da emigrati discriminati stanno
applicando gli stessi pregiudizi di un secolo fa verso chi nelle stesse condizioni si trova ad
abbandonare la propria terra.

3 Musulmani

50
Cfr. La vignetta razzista anti-italiana del 1888, in «Il Post»,15 giugno 2015.
51
Cfr. Alberto Bonanno. Il linciaggio di nove siciliani nella New Orleans del 1891, in «La Repubblica»,
28 novembre 2007.

32
3.1 L'islamofobia

Secondo un sondaggio del 201452, il 63% degli italiani mostra un’opinione negativa
verso gli immigrati musulmani, classificandosi come il primo paese per tasso di intolleranza
anche se nessun paese europeo, secondo la stessa ricerca, sembri avere un'opinione positiva,
soprattutto dopo gli ultimi attentati terroristici. L’islamofobia , ovvero il pregiudizio verso
l'Islam e chi professa questa religione diventata esplicita e manifesta dopo l’11 settembre,
vanta una lunga fase di incubazione che in Italia inizia a configurarsi già a partire dagli anni
Ottanta. Dopo i recenti attentati, un sondaggio condotto nel 201653 rivela che il 47% dei
francesi è convinto che «la presenza di una comunità musulmana sia una minaccia» e che gli
immigrati non si vogliono integrare ai costumi europei. Nella stessa indagine, solo il 19%
ritiene che questa presenza «sia un fattore di arricchimento culturale», mentre il 34%, è
neutrale. Dal campione tedesco sono emersi risultati simili: l’Islam è percepito come
minaccia dal 43% degli intervistati, e come risorsa per il 20% delle risposte. E in Italia?
Secondo un sondaggio Ipsos per Rai News-Ispi54 condotto nella Penisola tra il 23 e il 24
giugno 2015, le principali paure dei cittadini, oltre la crisi economica, sono l’immigrazione
e il terrorismo islamico. Il 38% degli intervistati sostengono che i migranti siano «una grave
minaccia alla sicurezza» e che la presenza islamica «possa essere connessa al terrorismo».
Quasi tre su dieci ritengono che pur non essendoci rischi di attentati terroristici da parte dei
rifugiati sia comunque un problema «da non sottovalutare». Per il 28% l’immigrazione
invece andrebbe gestita, mentre solo il 25% la ritiene una risorsa per il Paese. Infatti, solo il
16% degli intervistati sono a favore dell’accoglienza dei rifugiati. Secondo il sondaggio
condotto dal Pew Research Center citato all'inizio del paragrafo, con il 63% delle opinioni
negative verso l'Islam, gli italiani raccolgono percentuali maggiori rispetto a paesi come
Germania, Francia e Regno Unito, dove malgrado abbiano un tasso maggiore di immigrati
islamici, il sentimento di islamofobia nei tre paesi è rispettivamente del 33%, 27% e 26%.
Addirittura, un’altra indagine rivela che la maggior parte degli italiani non possiede alcuna
nozione per quanto riguarda le stime effettive del tasso di immigrazione.

52
Pew Research Center (2014)
53
Ifop (2016)
54
Ipsos (2015)

33
Secondo i dati pubblicati da Ipsos-Mori nel 2014, molti italiani sono convinti che nel
nostro Paese sia in atto un’invasione, in particolare da parte di musulmani. Secondo il
campione, gli immigrati “accolti” nello Stivale sarebbero il 30% e che il 20% dei residenti è
di fede islamica, mentre secondo le stime reali sono appena il 4%; dunque, rivelano come
l’Italia sia il paese con un numero di migranti inferiore alla Svezia, i cui abitanti risultano
avere una percezione di “invasione” minore, secondo lo studio definito come Indice di
Ignoranza (Index of Ignorance) il quale ha assegnato alla Penisola il primo posto e alla
Svezia il 14esimo55.

3.2 Quanti sono in realtà e dove vivono

Nel mondo ci sono circa 1,6 miliardi di fedeli musulmani; un miliardo vive in Asia,
240 milioni nell’Africa sub-Sahariana mentre nel Medio Oriente vivono circa 320 milioni di
fedeli.

55
Cfr. Ipsos-Mori Perceptions are not reality: Things the world gets wrong, 24 ottobre 2014

34
3

3.1

3.2

3.2.1 Islam in Europa

In Europa la religione musulmana è professata da una minoranza, con circa 44 milioni


di fedeli ovvero il 6% della popolazione, ma la presenza della comunità islamica non è solo
risultato dei recenti flussi migratori. Malgrado la comunità presente in gran parte
dell'Europa soprattutto sia frutto dell'immigrazione, ha in realtà nel continente radici
antiche. Basti pensare che l'Europa meridionale – Italia compresa - nel IX secolo ha
conosciuto un dominio musulmano. Tuttavia, la religione islamica in Italia rappresenta una
minoranza con il 2% di fedeli, quasi totalmente di origini straniere. Paesi come Albania,
Kosovo, Turchia, Bosnia e Repubblica Turca di Cipro hanno una maggioranza musulmana
acquisita durante il dominio turco, mentre nella Repubblica di Macedonia risiedono il 33%
di musulmani di origine albanese, turca e rom slavi e Cipro, con il 18% di fedeli musulmani.

ALBANIA

In Albania, secondo le stime56, la fede più diffusa è quella musulmana sunnita (70%),
seguita da quella ortodossa cristiana (20%). Tuttavia, questi dati sono controversi poiché
malgrado il paese abbia vissuto secoli di dominazione turco-ottomana (1478-1912), nel
periodo sovietico fu imposto l’ateismo che vietò ogni pratica religiosa57.

KOSOVO

E’ un paese autoproclamatosi indipendente dalla Serbia nel 2008. In Kosovo risiede


una maggioranza albanese di religione musulmana (90%) ma è un paese laico dove
convivono anche minoranze cristiane, soprattutto ortodosse.

BOSNIA-ERZEGOVINA

Fa parte dell'Ex-Jugoslavia e secondo i dati 58, è composta dal 48% di musulmani, 37%
cristiani di etnia serba e 14,3% croata, i primi ortodossi e i secondi cattolici.

TURCHIA
56
Osservatorio Balcani (2009)
57
Religious Freedom (2009)
58
CIA World Factbook (2006)

35
In Turchia professano la religione islamica il 99% degli abitanti 59. E' un paese laico
dagli anni '20 e membro della NATO. La Turchia ha realizzato un processo di
"occidentalizzazione" a partire dal XX secolo, con la salita al potere di Kemal Atatürk che
segnò la fine dell'Impero Ottomano. Il processo di emancipazione dall’influenza ottomana
cominciò con la riforma dell'istruzione, l'adozione dell'alfabeto latino attraverso la riforma
linguistica turca e battaglie a favore della laicità, come il divieto per le donne di indossare il
velo all’interno delle istituzioni pubbliche, quest’ultimo abolito dall’attuale governo
Erdogan.

CIPRO DEL NORD

Essendo un territorio conteso dalla Turchia, la religione maggioritaria della


Repubblica Turca di Cipro è musulmana sunnita.

3.2.2 I musulmani immigrati in Italia

Quale religione professano i migranti? Secondo le stime della Fondazione Ismu 60, la
maggior parte dei migranti è di religione cristiana (2,6 milioni), mentre a professare l’Islam
sono 1,4 milioni di persone. Per quanto riguarda le nazionalità si stima che la maggior parte
dei musulmani in Italia provenga dal Marocco (424.000), seguito dall’Albania (214.000),
dal Bangladesh (100.000), dal Pakistan (94.000), dalla Tunisia, (94.000) e dall’Egitto
(93.000).

4 Conclusioni

Se, date le percentuali, nel nostro Paese non è in atto alcuna “invasione islamica”,
cosa alimenta il sentimento anti-islamico? L’ignoranza, ovvero, la non-conoscenza dovuta ai
minori contatti con queste culture? Tuttavia, l’islamofobia è un fenomeno presente, seppur
con diverse percentuali, in tutto l’Occidente e sta crescendo con l’immigrazione e con il
terrorismo. Dunque, un ruolo principale si dovrebbe imputare alla disinformazione, e alla
percezione distorta dell'Islam sui media, che hanno influenzato nella società la percezione
negativa della religione islamica, come religione di odio, guerra, violenza e fanatismo?

59
CIA World Factbook (2010)
60
Ismu (2016)

36
CAPITOLO III

Il fenomeno dell’immigrazione nell’agenda-setting

1 Introduzione

Attorno all'importanza e il potere dei media si sono sviluppati numerosi studi, talvolta
anche contrastanti, in relazione ai suoi effetti sulla società. In particolare, le ricerche
sull’influenza dei mezzi di comunicazione di massa cominciano all’inizio del Novecento,
nel periodo in cui si stavano diffondendo nella società. Il politologo statunitense Harold D.
Lasswell (1902-1978) nel suo saggio Propaganda technicques in the world war 61, per
descrivere come le dittature dell’epoca persuadevano le masse, elabora la teoria dell’ago
ipodermico (Bullet Theory), basata sull’idea che il messaggio veicolato fosse come un ago
(o proiettile) che viene “iniettato” nel destinatario producendo come risposta la
modificazione del suo comportamento o opinione. La teoria, oggetto di critiche, poiché
sosteneva l’idea che i destinatari fossero passivi e omologati, venne superata dalle ricerche
effettuate dagli studiosi della Communication Research tra gli anni Quaranta e Cinquanta, i
quali teorizzarono sugli effetti a breve termine dei media proponendo la teoria degli effetti
limitati. Secondo questa ipotesi, l’influenza dei mezzi di comunicazione è accettabile ma
tiene conto anche del contesto e della differente cultura e psicologia dei singoli destinatari,
non più percepiti come massa. Negli anni ‘60 la crescente massificazione dei mezzi di
comunicazione, soprattutto della televisione, apre a scienze che si concentrano su i loro
effetti a lungo termine nella società ( teorie dell’agenda-setting, teoria della spirale del
silenzio e la teoria della coltivazione), ovvero relativa alle teorie sull’influenza.

61
Cfr. H.D.Lasswell, Propaganda Techniques in World War I, Peter Smith, New York, 1927.

37
Per analizzare come le rappresentazioni dei media si rapportino con il fenomeno
dell'immigrazione islamica in Italia, e più in generale nel contesto occidentale, è necessario
fare riferimento a queste tesi che la sociologia ha formulato per studiare l'influenza dei
media di massa nella società. Accantonata la teoria ipodermica, ovvero l'ipotesi formulata
negli anni '40 che vedeva nei mezzi di comunicazione di massa una potenza persuasiva che
agiva direttamente su una massa di individui passivi, si considera un'altra elaborata dagli
studi di Maxwell McCombs, Robert McLure, T. E. Patterson, Donald Shaw, definita teoria
dell’agenda-setting. La prima ricerca fu condotta alla fine degli anni sessanta da McCombs
e Shaw su una campagna per le elezioni presidenziali americane del 1968. Lo studio,
pubblicato nel 1972 nella rivista Public Opinion Quarterly, è basato su interviste condotte
su un campione di elettori indecisi di Chapel Hill, sul tema delle elezioni elettorali in corso
tra il repubblicano Nixon e il democratico Humphrey. Per un periodo di 24 giorni venivano
confrontati i temi presentati dai media e quelli che il pubblico selezionato indicava come
salienti. Si rilevò che i mezzi di comunicazione non attuano un’azione direttamente
persuasiva sul pubblico, ma agiscono attraverso la selezione delle informazioni e i valori
che devono essere considerati importanti o che devono avere una rilevanza tra gli altri
argomenti del giorno. Ciò significa che tutto ciò che è importante per i mass-media lo deve
essere considerato altrettanto da noi. In particolare, i mezzi di comunicazione di massa,
determinano non “in che modo pensare” (what to think) ma “a cosa pensare” (what to think
about), ovvero a cosa dobbiamo attribuire importanza. Dunque, il modo di pensare del
pubblico è strutturato dai media, in quanto la rilevanza di certi temi è influenzata dall’enfasi
dei mass media su determinati argomenti, secondo l’assunto che «la gente tende ad
includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal
proprio contenuto»62. Gli studi sull’agenda-setting hanno dato molto rilievo al ruolo della
stampa, che, secondo McLure e Patterson, essa ha un potere maggiore rispetto ai media
televisivi perché offre un approfondimento superiore sui temi, rispetto al ruolo della
televisione, dove le notizie si susseguono velocemente.

2 L’influenza dell’agenda-setting: pseudo-ambienti

Gli studi sull'agenda-setting si concentrano sugli effetti che i media producono a


lungo termine nei destinatari e sul ruolo che hanno nella trasformazione del contesto sociale.
La teoria dell’agenda-setting si basa sull’idea che le persone vivono e comprendono una
realtà sociale che è plasmata mediaticamente. In poche parole, questa ipotesi è basata
sull'assunto che i media costruiscano la realtà. Già negli anni ‘20 del Novecento, il
62
Shaw, “Agenda Setting and Mass Communication Theory”, in Gazette (International Journal for Mass
Communication Studies), n.2, 1979

38
giornalista e politologo Walter Lippmann nel suo libro L’opinione pubblica (Public
Opinion)63, considerava che la realtà venisse manipolata attraverso la creazione di pseudo-
ambienti e ciò verrebbe alimentato dalla stampa e dalla radio, modellando così la realtà
percepita dalle persone. Secondo gli studi di Lippmann, che hanno offerto anche un
contributo alla sociologia e allo studio dei pregiudizi sociali, gli pseudo-ambienti sono delle
costruzioni semplificate del contesto in cui viviamo, fatti di rappresentazioni distorte e
parziali. Grazie a questi, i media inducono a costruire un consenso sugli argomenti a cui
danno più rilevanza. Nel 2007 a seguito della notizia dell’omicidio a sfondo sessuale di
Giovanna Reggiani64 a Roma da parte di un giovane di etnia rom, gran parte
dell’informazione del nostro Paese diede rilevanza a fatti simili. Il problema della sicurezza
delle nostre città era diventato un tema urgente da affrontare e la rilevanza di questo
argomento era data dalla ridondanza di notizie dello stesso genere nelle sezione cronaca e
politica, dedicate spesso al tema della sicurezza. Ad un anno dal delitto, il tema della
sicurezza nei media si è affievolito e a rivelarlo è un rapporto condotto nel 2008 da Demos e
dall'Osservatorio di Pavia per Unipolis65, curato dal sociologo Ilvo Diamanti66. L’indagine
rivela che a solo un anno di distanza il numero di italiani che riteneva cresciuta la
criminalità è passato da l'88% del 2007 a l'81,6% . Sempre secondo lo stesso rapporto, meno
del 40% degli intervistati percepivano un aumento dei reati, rispetto al il 53% dell’anno
precedente. La paura verso i reati che hanno avuto più spazio nelle cronache dei media,
ovvero aggressioni e rapine, era diminuita al 13,4% nel novembre 2008, rispetto al 18,7%
dell’anno precedente e meno italiani consideravano l’immigrazione come causa della
criminalità (-14%). Infine, l’indagine rileva che la paura era maggiore nelle donne (43%),
soprattutto quelle con un livello d'istruzione medio-basso (38%), residenti nel Mezzogiorno
(41%) e persone che guardavano frequentemente la televisione. Questo rapporto è
interessante perché lega i sentimenti, le credenze e le preoccupazioni dei cittadini
all'importanza data dai media al tema della criminalità e dell’immigrazione. Dunque,
l’informazione e la televisione erano riuscite a modellare le opinioni degli italiani convinti
che nell’anno 2007 la criminalità, soprattutto quella degli immigrati, aveva subito un picco
di incremento da destare una forte e preoccupante insicurezza pubblica. Si può dedurre che i
mezzi di comunicazione offrono una realtà differente da quella vissuta e la stampa, oltre alla
televisione, attraverso la sua agenda setting ne è un esempio. A proposito di ciò, nel 1963
Bernard Cohen sosteneva che: «La stampa può nella maggior parte dei casi non essere
capace di suggerire alle persone cosa pensare, ma essa ha un potere sorprendente nel
suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare. [...] Il mondo apparirà diverso a persone

63
Cfr. Lippmann W., L'Opinione Pubblica - Donzelli Editore, 2004.
64
Cfr. Omicidio Reggiani, fu così violentata e massacrata nella stazione di Tor di Quinto, in Il
Messaggero, 13 novembre 2013.
65
Cfr. Ilvio Diamanti, Come si fabbrica l'insicurezza, in «La Repubblica», 23 novembre 2008.
66
Cfr. Osservatorio capitale sociale – Gli italiani e la sicurezza, 2008.

39
diverse in relazione alla mappa disegnata dai giornalisti, dai direttori e dagli editori dei
giornali che loro leggono67». La teoria dei media potenti, ha avuto un notevole sviluppo a
partire dagli anni ‘60, fino agli studi di Donald Shaw (1979) che nelle sue ricerche
sull’agenda-setting considerava che:

L‟ipotesi dell’agenda-setting non sostiene che i media cercano di


persuadere […]; i media descrivendo e precisando la realtà esterna
presentano al pubblico una lista di ciò intorno a cui avere un’opinione e
discutere. L’assunto fondamentale dell’agenda-setting è che la comprensione
che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media 68.

I media, attraverso l’agenda-setting, riescono a costruire un’immagine stereotipata


dell’immigrazione. Dando rilevanza al fenomeno in chiave negativa, spesso tendono ad
offrire una visione violenta e deviante dell’immigrato, attraverso la prevalenza di notizie di
cronaca nera che hanno come protagonisti persone straniere come autori di reati. E’ sempre
Lippmann in L’opinione pubblica a dare una definizione di “stereotipo”, sostenendo che essi
rappresentano rigide e distorte generalizzazioni costruite socialmente su diversi gruppi
sociali. Esso è una forma di classificazione di un gruppo sociale sulla base di caratteristiche
attribuite loro in modo semplificato oppure di pochi elementi specifici fissati in natura. Di
conseguenza, lo stereotipo che identifica un individuo appartenere ad un gruppo sociale, ben
presto si trasforma in un pregiudizio su tutti i membri di esso. Sono gli studi effettuati da
Katz e Braly (1933)69 a fornire un quadro più specifico al concetto di razza ed etnia e,
soprattutto, in riferimento al ruolo dei media nel processo sociale di costruzione degli
stereotipi. Ad un campione di studenti “bianchi” della Princeton University veniva
sottoposta una lista di aggettivi caratteriali (come: pigro, artistico, laborioso, passionale…) e
si chiedeva di associarli a gruppi di etnie differenti. I risultati rivelavano che gli studenti
avevano una generalizzazione condivisa verso un gruppo sociale, es: “gli afro-americani
sono pigri”.

Da ciò si arriva a concludere che i mezzi di comunicazione abbiano una responsabilità


nel favorire la formazione degli stereotipi, attraverso la rappresentazione schematica che
tendono ad avere nei confronti delle etnie e le razze. Dunque, secondo Katz e Braly, non
sono soltanto i processi di socializzazione a formare tali preconcetti ma anche le immagini
67
Cohen B. C., The Press and Foreign Policy, Princeton, Princeton University Press, 1963.
68
Shaw (1976)
69
Katz D. e Braly K.W. , Racial Stereotypes in one hundred College students, in “Journal Abnormal and
Social Psychology”,28,1933, pp. 280-90.

40
proposte dai mezzi di comunicazione di massa. Dunque, i media, sono responsabili nel
definire anche il senso di identità e appartenenza dell'individuo, poiché hanno un ruolo
fondamentale nella condivisione di norme e valori di una data maggioranza culturale, e, di
conseguenza, gli stereotipi hanno lo scopo di instaurare ordine e controllo sociale. In questa
ottica, lo straniero in contrasto con la cultura dominante, assume la stessa pericolosità
sociale del soggetto “deviante” perché mina la coesione sociale posta in essere da norme e
valori socialmente condivisi. Nel Capitolo 2 sono menzionate due indagini condotte da
Ipsos: la prima del 201470, dove emerge che il 56% degli italiani percepivano gli sbarchi dei
migranti come minaccia alla propria comunità e identità. Lo stesso istituto di ricerca 71 nel
2015 ha condotto per Rai News-Isp, una ricerca che rendeva noto che le principali paure
degli italiani, oltre alla crisi economica, erano l’immigrazione e il terrorismo islamico. Nello
stesso capitolo è menzionata la sovrastima degli italiani verso il fenomeno
dell’immigrazione facendo riferimento ad un’altra indagine condotta da Ipsos-Mori nel
2014 e l’Index of Ignorance il quale ha assegnato all’Italia il primo posto72. Secondo queste
due ricerche, molti italiani percepiscono l’immigrazione come un’”invasione” e sono
convinti che nel nostro Paese ci siano molti più migranti rispetto alle stime effettive.
Dunque, notiamo la rilevanza pubblica che il tema dell’immigrazione in termini di
importanza ha assunto negli ultimi decenni, relegandolo ad un’emergenza sociale. D’altro
canto, emerge la percezione negativa dell’immigrazione e della religione musulmana. Se da
ciò si deduce che l’agenda-setting abbia influenzato il pubblico ad assegnare un’ordine di
rilevanza al tema dell’immigrazione, che occupa i primi posti nell’opinione pubblica e nelle
preoccupazioni, si può anche sul linguaggio e sullo spazio che l’argomento assume
all’interno delle rubriche giornalistiche, attribuire che ciò abbia determinato un’influenza da
parte del lettore? E’ attraverso il potere che esercitano i media con l’agenda fissata da essi
(Wolf, 1997: 59) che il pubblico costruisce la propria.

3 L’agenda sull’immigrazione nei giornali

Dopo queste premesse è utile prima fare una ricerca sulla presenza dell'argomento
immigrazione sulla stampa e in secondo luogo dove si concentrano nella maggior parte dei
casi le notizie e su come vengono descritti i migranti musulmani nei media. Sulla
rappresentazione degli stranieri nei mezzi di comunicazione, in particolare
70
Nando Pagnoncelli, Un italiano su due è contro gli sbarchi ma dice sì alla cittadinanza agli
immigrati. «Il Corriere della Sera», 26 ottobre 2014.
71
Ipsos (2015)
72
Gli esiti della ricerca sono riportati nel Capitolo 2. Secondo lo studio, L'Italia è classificata al primo
posto nell' “indice di ignoranza”, nome del rapporto condotto da Ipsos-Mori: la maggioranza degli intervistati
crede che gli immigrati siano il 30%, sovrastimando le stime ufficiali che si attestano al 7%.

41
nell’informazione, sono stati svolti numerosi studi. Una ricerca realizzata da Carta di Roma
con il sostegno di UHNCR73 (The UN Refugee Agency), ha rilevato che nei nel primi
quattro mesi del 2016 il tema dell’immigrazione sui media è cresciuto in termini di
frequenza in confronto al passato. L'indagine evidenzia che da gennaio ad aprile sono stati
pubblicati 6655 articoli (+22,15% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e +62%
rispetto allo stesso quadrimestre del 2014) con una media di 55 pubblicazioni al giorno. Nei
quattro mesi ai quali l'inchiesta fa riferimento, sulla stampa cartacea, il maggior numero di
articoli sul tema dell’immigrazione sono concentrati maggiormente nella rubrica “Cronaca”
(2077, +22% rispetto al 2015) e “Politiche dell’immigrazione” (2276, +73% rispetto al
2015), relative agli leggi europee in materia di immigrazione. Nell’analisi rientrano anche
episodi di cronaca relativi al terrorismo “islamico”, come gli attentati di Bruxelles.

Il rapporto evidenzia che l’immigrazione nelle cronache viene trattata spesso in toni
allarmistici, spesso accompagnata da numeri percentuali nel titolo o in attacco (es:
“Immigrati, dal mare 80% in più”74 e “Si riapre la rotta adriatica. L’Italia rischia
l’invasione75”) e la terminologia tende ancora a tracciare un profilo negativo al fenomeno: la
parola “allarme” compare 612 volte e +24% rispetto al 2015 e relativo a notizie che
riguardano anche la criminalità da parte degli immigrati e la presenza dei musulmani,
“invasione” (289 volte) +49% rispetto al 2015, “clandestini” (479 volte) con un decremento
-5% rispetto al 2015 in favore di parole meno cariche di stigma come migrante, profugo,
rifugiato, immigrato, richiedente asilo. Riguardo all’Islam nel 2016 sono state rilevate 377
notizie di cui 36 volte nei titoli dei giornali. Il 25% dei casi degli articoli riportano notizie
negative, spesso legate al terrorismo jihadista. Prendiamo in relazione il progetto “Il valore
dell’immigrazione”, realizzato dalla Fondazione Leone Moressa con il contributo di Open
Society Foundations76, un’indagine realizzata nel 2014 che prende in esame un campione di
846 articoli delle testate nazionali La Repubblica, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera tra
gennaio e giugno del 2014. Questo studio è utile per mettere in luce come l’informazione

73
Unhcr, Carta di Roma, Migranti, rifugiati e migrazioni ancora protagonisti sui quotidiani, 2016.
74
La Stampa 21.03.2016
75
Il Giornale 19.03.2016
76
Cfr. Fondazione Leone Moressa, Il valore dell'immigrazione, 2014.

42
contribuisca in modo attivo a strutturare un “ordine del giorno” e, di conseguenza, il senso
comune nei confronti di fenomeni e gruppi sociali coinvolti nella rappresentazione. La
prima analisi realizzata è orientata a rilevare dove gli argomenti relativi all'immigrazione e
agli stranieri vengono collocati nelle rubriche giornalistiche.

Ambito generale Corriere della sera La Repubblica Il Sole 24 ore


Politica 22% 23% 71%
Economia e finanza 0% 1% 11%
Cultura e costume 2% 6% 2%
Cronaca 75% 70% 16%
Spettacolo e TV 1% 0% 0%
Totale 100% 100% 100%
Fonte: Fondazione analisi testuale Leone Moressa 2014

Nella tabella sopra, si nota come anche in questa ricerca i migranti siano concentrati
maggiormente nella sezione “Cronaca” e “Politica”. Quello che emerge dall'inchiesta è che
la carenza di una rappresentazione dell'immigrato nelle rubriche di “Cultura e Costume”,
“Spettacolo e TV” ed “Economica e Finanza”, dunque aree tematiche che prevedono
un'immagine attiva e positiva del soggetto nello sviluppo della società, evidenzia una
negazione del punto di vista a favore di una rappresentazione passiva o addirittura
criminalizzante. Al punto di vista del migrante viene anteposta l’opinione della classe
politica, sia in termine favorevole che sfavorevole, la rappresentazione dell’immigrazione
esclusivamente nelle notizie di cronaca nera, sia come vittime che come autori di reati. Un
altro rapporto condotto da ISMU (Fondazione per iniziative e studi sulla multietnicità) nel
2007, rivela un esito molto simile. L’analisi prende in considerazione quotidiani come il
Corriere della Sera, la Repubblica ma anche testate di destra e cattoliche come il Giornale e
Avvenire, attraverso un campione compreso nel periodo di gennaio-settembre 2006.

In questo campione emerge che il 50% degli articoli che riguardano il fenomeno dei
migranti compaiono nella sezione “Cronaca”, il 21% vengono collocati in “primo piano”,
mentre solo l’1% in “Cultura e spettacoli ed economia”. Interessante è come la maggior
concentrazione del tema in argomenti come criminalità e sicurezza (25%) e politica (50%)
contrastino con l’invisibilità del migrante in temi come cultura (0%), salute (1%),
convivenza civile (7%) e lavoro (2%). E' tendenza di molti quotidiani italiani quella di
cristallizzare il fenomeno dell'immigrazione su temi di ordine pubblico, offrendo un effetto
fotogramma falsato e statico nel tempo che contrasta con la mutabilità continua tipica del
fenomeno migratorio77, e in particolare delle società a maggioranza islamica. Da ciò emerge

77
Cfr. Binotto M., Bruno M., Lai V., Tracciare confini.: L'immigrazione nei media italiani", Milano,
Editore Franco Angeli (2016) pp. 33-44.

43
l’importanza fondamentale che l’agenda-setting conferisce al tema dell’immigrazione non
come un fattore di arricchimento sociale, non come necessità di discutere sui diritti di questi
individui, ma come un problema di ordine sociale. Questa organizzazione dell'agenda
induce innanzitutto a veicolare che i temi che riguardano il migrante come soggetto siano
poco importanti nei confronti di come esso influenzi fenomeni come criminalità, sicurezza e
di come si rapporta ai nostri costumi. Questa visione negativa influenza indirettamente
l'opinione pubblica a formare una visione stereotipata del migrante. Il Censis ha più volte
sottolineato che nell’informazione si ha la tendenza a utilizzare un linguaggio drammatico,
spettacolarizzato che privilegia la dimensione emotiva piuttosto che quella razionale,
accompagnato dalla carenza di linguaggio critico.

3.1 Noi e loro: l’integrazione islamica come “issue”

La ricerca personale che ho condotto a sostegno di questa indagine, si focalizza


sull’analisi degli articoli pubblicati tra il 2006 e 2016 presenti nell’archivio storico de La
Repubblica che coinvolgono le persone immigrate come protagonisti. In accordo alle
precedenti analisi, essa conferma che la maggior parte degli articoli che trattano il tema dei
migranti vengono pubblicati nella sezione “Cronaca”. L'argomento dell’immigrazione
islamica ottiene uno spazio molto alto all'interno dell'informazione e viene proposto come
un issue, ovvero come Rolando Marini definisce in Mass Media e discussione pubblica: “Il
fatto che i cittadini siano in grado di percepire che, in un dato momento, ad esempio i
problemi di criminalità, delle tasse e dell’inquinamento siano i più importanti, ovvero i più
preoccupanti e urgenti […] dipendono dalla quantità di informazione che i media hanno
prodotto in quel periodo su tali temi, o comunque dall’ ‘enfasi’ che vi hanno posto” 78. Nella
comunicazione delle notizie di cronaca nera sull’immigrazione si tende ad utilizzare un
linguaggio emergenziale che mette in contrasto il rapporto immigrato-italiano (noi e gli
altri) e il contrasto tra cultura occidentale e islamica. Le parole “immigrato”, “clandestino” o
“straniero” o le nazionalità dei protagonisti vengono poste in risalto nella notizia e
compaiono spesso in attacco o nel titolo, e i soggetti vengono rappresentati sia in qualità di
vittime che di autori di un reato:

 Caccia all’immigrato dopo uno scippo in centro79;

78
Cfr. Marini R., Mass media e discussione pubblica. Le teorie dell’agenda setting, Editori Laterza,
2006, p.10.
79
Cfr. Caccia all'immigrato dopo uno scippo in centro, in «La Repubblica», 5 marzo 2006.

44
 Marocchino picchia tre carabinieri e chiede di fotografare la scena80;

 Milano, studentessa Usa stuprata da clandestino81;

 Stuprata nel bagno di scuola arrestato un 16enne ivoriano82

 Trovato il corpo di una giovane pakistana. Uccisa a coltellate e sepolta in giardino83.

Alla provenienza geografica del soggetto, spesso quando è autore di una notizia
negativa, si accompagna una comunicazione che mette in risalto la condizione di immigrato,
straniero o musulmano. Questa è una caratteristica che spesso viene adottata quando si cerca
di spiegare il movente di alcuni delitti, soprattutto nei confronti delle donne. Molte volte
l’informazione tende a dare molta rilevanza alla condizione femminile nei contesti a
maggioranza musulmana, o all’interno dei gruppi di migranti. Di conseguenza, le notizie
che narrano storie di violenze domestiche vengono inserite all'interno di un background
culturale peculiare ed esclusivo dell’Islam costruito dai media occidentali. Un esempio è
l’articolo “Frustava la moglie ma evita il carcere”84 apparso ne La Repubblica in data 1
agosto 2007 che si apre così:

Il muratore marocchino accusato di picchiare e di frustare con cavi elettrici


la giovane moglie, «perché è una donna», ieri mattina è stato condannato a
un anno e quattro mesi di reclusione al processo per direttissima celebrato
con il rito abbreviato ad Acquaviva delle Fonti.

La nazionalità dell’autore di violenza domestica nei confronti della moglie viene


posta in attacco per poi creare un legame con il movente che ha scaturito la serie di
maltrattamenti domestici nei confronti della consorte. Nell’attacco non si fa riferimento a
ciò che viene menzionato nel titolo, ovvero che l’aggressore della moglie è stato scarcerato,
e ciò viene posto alla fine dell’articolo come meno rilevante rispetto ad altre informazioni
sull’uomo. L’articolo prosegue così:

80
Cfr. Marocchino picchia tre carabinieri e chiede di fotografare la scena, in «La Repubblica», 6
marzo 2006.
81
Cfr. Milano, studentessa Usa stuprata da clandestino, in «La Repubblica», 19 aprile 2008.
82
Cfr. Stuprata nel bagno di scuola, arrestato un 16enne ivoriano, in «La Repubblica», 9 gennaio 2010.
83
Cfr. Trovato il corpo di una giovane pakistana. Uccisa a coltellate e sepolta in giardino, in «La
Repubblica», 12 agosto 2006.
84
Cfr. Frustava la moglie ma evita il carcere, in «La Repubblica», 1 agosto 2007.

45
L' immigrato in aula non ha voluto aggiungere spiegazioni né tentare di
giustificarsi. I referti medici acquisiti dall'ospedale e gli oggetti sequestrati nella
casa coniugale a Gioia del Colle - il rudimentale frustino e un coltellaccio da
cucina - sono stati sufficienti a confermare la ricostruzione degli abusi fatta dai
carabinieri. Lo straniero, difeso dall'avvocato Maurizio Tolentino, ha ottenuto la
sospensione condizionale della pena ed è stato scarcerato. Ma ha ricevuto una
formale diffida: non dovrà avvicinarsi alla moglie e al figlio di due anni, anche lui
vittima di prepotenze e angherie. La donna e il bambino, medicati al pronto
soccorso, resteranno per ora in una struttura protetta.

La nazionalità dell’uomo continua ad essere sottolineata con rilevanza: “immigrato”,


“straniero” e “muratore marocchino”, divenendo l’unica informazione disponibile per
descrivere l’aggressore. Sulla base di queste informazioni si intuisce che la nazionalità
dell’uomo sia importante e sufficiente per spiegare il movente delle sue azioni. Soltanto
nelle ultime righe dell’articolo si approfondiscono le informazioni menzionate nel titolo,
ovvero che l’uomo è stato condannato ma non ad una pena detentiva nonostante la gravità
delle azioni compiute. Interessante è rilevare come nessun articolo analogo di ordinaria
violenza domestica compiuta però da italiani informi il lettore sull’ingiustizia di un
provvedimento non detentivo o cerchi di spiegare i moventi mettendo in risalto peculiarità
culturali, portando il lettore ad associarle al rapporto malsano con la figura femminile.
Restando ai casi di cronaca che descrivono azioni di “violenza contro le donne” compiuti da
autori italiani, i moventi descritti fanno spesso riferimento a caratteristiche psichiche,
emotive o comportamentali peculiari del soggetto (depressione, follia, gelosia, alcolismo,
temperamento aggressivo, non accettazione della fine di una relazione…), al contesto
individuale della famiglia (liti, problemi di coppia, relazioni extraconiugali...) o a fattori
esterni (come la crisi economica). La struttura è maggiormente narrativa. Anche se non
manca l’impatto emotivo nella notizia, si tende a rafforzare l’idea che si tratti di un caso
individuale e non manca il rispetto della presunzione di innocenza, rafforzata spesso dallo
spazio dato alle opinioni positive dei conoscenti o dei parenti nei confronti dell’autore del
reato. Recenti ricerche femministe nello studio dei media hanno sottolineato come la
cronaca che coinvolge gli italiani negli analoghi reati tenda a dare anche responsabilità alla
vittima (italiana e, più frequentemente, straniera) della violenza subita o minimizzare
l’accaduto, portando la stampa a discutere sull’importanza del modo in cui si comunicano
argomenti così rilevanti dal punto di vista sociale 85. Una comunicazione simile fa emergere
l’idea che i reati contro le donne compiuti da immigrati siano più numerosi, più gravi perché
legati alla cultura di chi li compie, rispetto ai reati compiuti dagli italiani, percepiti come
meno numerosi, slegati dal contesto culturale e spesso causati dalla “provocazione” da parte

85
Cfr. [L]Arcobaleno, Per la violenza sulle donne la cronaca non può essere un romanzo, in
«Huffpost», 12 giugno 2015 (Aggiornato 11 giugno 2016).

46
vittima o da un “raptus” dell’autore. Dopo questo esempio, vien da sé analizzare come la
rappresentazione dell’immigrazione islamica sia diversa nelle cronache quando il genere del
protagonista di queste narrazioni cambia. Allo stesso modo dell’immigrato musulmano di
sesso maschile, lo spazio riservato alle donne resta comunque relegato nella sezione
cronaca, ma più spesso come vittime di violenza. Nel Capitolo 1 si faceva un accenno ai
principali stereotipi nella percezione delle mussulmane in relazione all’uso del hijab, che
nell’immaginario occidentale rimanda esclusivamente all’idea di sottomissione femminile
nei confronti degli uomini. Nella narrazione giornalistica, quasi sempre, la donna
musulmana appare oppressa dall’uomo e la visione dell’hijab nei media occidentali è uno
dei principali stereotipi di genere della rappresentazione femminile nell’Islam. Le islamiche
nell’informazione, dunque, appaiono quasi sempre come vittime di reati, quasi
principalmente da parte della cerchia famigliare nella quale vivono.

L’oggetto della vittimizzazione è frequentemente il genere di appartenenza. Sovente le


protagoniste ritratte nella narrazione giornalistica compaiono come oggetto di
maltrattamenti perché “non vogliono indossare il velo”, “perché vogliono vivere come le
occidentali” o “perché vogliono sposare uomini di altre religioni” o autodeterminarsi nelle
possibilità che la propria religione di appartenenza preclude al sesso femminile. Le
protagoniste a cui la stampa dà maggior risalto nelle notizie di cronaca, sono più favorevoli,
rispetto al sesso opposto, ad integrarsi alla cultura occidentale spesso a causa delle maggiori
opportunità concesse alle “nostre” donne. Tuttavia, l'immagine femminile delle musulmane
è subalterna, passiva e spesso raccontata secondo una visione colonialista dove manca il
proprio punto di vista negli argomenti come il velo islamico o, il patriarcato e la condizione
femminile. Questa visione si pone in contrasto a come tante immigrate vivono il velo e il
rapporto con la religione in un contesto multietnico, e non tiene nemmeno conto di come
anche i contesti autoctoni siano differenti l'uno dall’altro anche nel rapporto con il corpo
della donna. L’uso di stereotipi nella descrizione delle musulmane, legati al velo, secondo la
Women’s Islamic Initiative in Spirituality and Equality – iniziativa statunitense che
promuove i diritti delle donne islamiche – è mirato a rafforzare il pregiudizio xenofobo
verso coloro che non sono occidentali, imprigionate nel ruolo di vittime passive piuttosto
che come cittadine attive. Gli stereotipi sulle musulmane, di conseguenza, si intrecciano a
quelli di genere offerti dai media sulle occidentali. In primo luogo, come per le prime,
l'immagine delle donne musulmane si riduce ad argomenti relativi all'aspetto corporeo e
all’apparire. Tuttavia, l’immagine delle occidentali sui media è positiva: le italiane sono
raffigurate come libere di esprimersi attraverso la propria sessualità. Le islamiche appaiono
nei media spesso con il velo, quasi mai come frutto di una scelta di fede, quasi spesso

47
oppresse a causa della scarsa opportunità di apparire come le non musulmane. Su questo ci
viene incontro uno studio condotto nel 2013 dall’Associazione Carta di Roma. Anche se il
rapporto “Notizie fuori dal ghetto” si rivolge ai media televisivi, è importante prenderlo in
esame per dimostrare come i media tendano a rappresentare l'immaginario femminile
islamico. Il rapporto evidenzia che non solo le donne islamiche vengono connotate con il
velo, ma, anche che i media tendono a non dare quasi mai spazio alle opinioni di quelle che
lo indossano. Nella stampa italiana, gli articoli che danno spazio ai dibattiti politici sul velo
e alle cronache dove le donne sono oppresse perché indossano l’hijab e altri copricapi
tradizionali, rimandano all’idea di come nella stampa italiana non solo persiste uno
stereotipo sulle islamiche ma esso è supportato da stereotipi di genere nell'immagine
femminile sui media. Censis nel 200686 ha rilevato che il ruolo di genere nell’informazione
compare soprattutto nei servizi di cronaca nera (67,8%), come vittime di violenze, spesso
“di genere”, come stupri, violenze domestiche e nella narrazione del femminicidio, un
neologismo adottato recentemente anche nel giornalismo che si riferisce all’omicidio di una
donna all’interno di una relazione eterosessuale, episodi che nella cronaca nera occupano
uno spazio molto ampio. Lo stesso istituto ha svolto una ricerca in numerosi media,
rilevando che le donne quando non appaiono come vittime, vengono rappresentate più
frequentemente secondo uno schema che mette in risalto qualità estetiche e corporee, spesso
caratterizzato dall’esaltazione della carica erotica e della seduttività. E’ proprio qui che nella
rappresentazione delle musulmane emerge il contrasto tra l’immagine di “oppressa dal velo”
e il modello occidentale, quello della “velina”, che appare molto frequentemente vestita in
abiti succinti e sessualmente attraente. La ridondanza dell’immagine corporea delle
occidentali nei media, apparsa dopo le rivendicazioni sessuali dei movimenti femministi in
Occidente, si scontra con l’immagine del corpo delle islamiche che è oppostamente legata
ad una rappresentazione meramente corporea, analoga in relazione alla passività a cui si
lega l’immagine femminile. La subalternità a cui viene relegata l'immagine della donna
islamica è rafforzata dalla negazione del punto di vista offerto dal femminismo islamico e
dalle immigrate nella rinegoziazione della propria identità, che passa anche attraverso la
riappropriazione dei simboli religiosi e la critica degli stereotipi di genere occidentali
percepiti dal movimento come oppressivi perché ridotti alla mera funzione estetica. Su
queste premesse, il velo rappresenta, soprattutto per le immigrate, un modo per affermarsi
contro questi modelli. Il ruolo di genere nei media è stato oggetto di critica anche da parte
dei movimenti femminili occidentali, che analogamente alle attiviste islamiche vedono nella
rappresentazione delle donne, una visione riduttiva poiché le relega ad oggetto passivo dalle
opportunità e talento negati al di fuori dell’esprimersi come sesso femminile.
L’informazione offre spesso la visione delle immigrate come incapaci di emanciparsi con le
proprie forze. Questa visione ne viene maggiormente rafforzata dall’assenza di spazio che i
86
Cfr. Censis, Donne e media in Europa, 13 febbraio 2016.

48
giornali offrono alle musulmane che ottengono posizioni di rilievo, anche nei loro paesi di
origine, oppure ai movimenti islamici per la parità di genere. La sociologa egiziana Leila
Ahmed, smentisce l’idea del velo come sinonimo di sottomissione, ma considera esso come
un modo per la donna islamica di legittimare la sua presenza nello spazio pubblico.

4 Conclusioni

Attraverso la teoria dell'agenda-setting, in questo capitolo si è messo in relazione il


ruolo fondamentale dei media nella costruzione dell'opinione pubblica. Sono gli studi di
Walter Lippmann a venirci incontro per analizzare come i mass media attraverso la
costruzione di un "ordine del giorno" basato sull'importanza di certi temi su altri, e, dunque
puntando sulle issues, abbia favorito la rappresentazione di una realtà distorta. Questi
pseudo-ambienti, supportati dalla difficoltà per l'individuo di avere un'esperienza diretta in
un mondo complesso, soprattutto se si tratta di società lontane dalla nostra, fa sì che
l'individuo sostituisca la realtà a queste rappresentazioni mediaticamente costruite. E'
proprio qui che fenomeni come il razzismo, la xenofobia e altri pregiudizi si innescano
velocemente nell'opinione pubblica. Essi attingono dagli stereotipi.

49
CAPITOLO IV

Social media, migrazioni e spirale del silenzio

1 Introduzione

Nel capitolo precedente si è vista l’importanza del ruolo dei media nei processi di
influenza sociale, esplicandola attraverso la teoria dell'agenda-setting e come ben si adatta
nel descrivere il potere dei media "tradizionali", come la stampa. Oggi è in atto un processo
di diversificazione mediatica in cui ai tradizionali mezzi di comunicazione di massa si
affiancano nuove tecnologie. Lo sviluppo tecnologico ha ampliato l'offerta dei medium di
massa, che oggi rivestono un ruolo fondamentale nella società. E' l'era della società 2.0
dove internet ha favorito un'alternativa per contrastare gli effetti dell'agenda setting dei
media tradizionali, poiché il web è uno strumento che rende gli utenti partecipi attivamente.
Uno studio di Sharon Meraz, condotto su 18 blog indipendenti e su due quotidiani, ha
dimostrato che in rete dove l’importanza di una notizia è determinata dai link, si ha la
possibilità di ridurre l'influsso dei media dando meno rilevanza alle notizie stabilite
dall'agenda-setting dei media tradizionali. I blog indipendenti, in questo caso, rappresentano
un’ottima strategia per offrire un ambiente più variegato nei confronti di quello creato dalla
stampa, dando meno salienza alle notizie maggiormente discusse, e, quindi, facendo in
modo che esse appaiano meno sulle prime pagine dei motori di ricerca. Su questa linea di
pensiero si attiene anche il sociologo Manuel Castells che individua nel web, come i
social media e i social network, la nascita di una controinformazione e, dunque,
l'emergere di movimenti sociali che si oppongono ai regimi e alla politica dominante.
Un esempio è la nascita di movimenti come la Primavera Araba in Tunisia e in Egitto
che non sarebbe stata possibile senza comunità come Twitter, Youtube, blog, Facebook
ecc. Nel 2010 cinque studiosi delle comunicazioni di massa conducono uno studio
denominato “Agenda Setting in a Digital Age: Tracking Attention to California Proposition
8 in Social Media, Online News, and Conventional News”87, che ha come oggetto di analisi
Youtube e la sua influenza sull’agenda-setting. Da questa ricerca, si rivela come i new
media attenuino il potere tipico di quelli tradizionali nell'organizzare l’agenda-setting.
Tuttavia, se internet da una parte ha favorito un'opposizione alla massificazione e al

87
Cfr. Sayre, Bode, Shah, Wilcox, Rutgers, Agenda Setting in a Digital Age: Tracking Attention to
California Proposition 8 in Social Media, Online News, and Conventional News, 2010.

50
"pensiero unico" imposto dai media tradizionali, dall'altra sostenere che sia esente da una
forma di influenza è piuttosto utopico. Nelle pagine di questo capitolo verranno affrontati,
infatti, gli studi di Elizabeth Noelle-Neumann alla quale si deve la "teoria della spirale del
silenzio"88, basata sull'idea che coloro che hanno un’opinione comunemente condivisa
riescono ad esprimerla liberamente, mentre chi è consapevole che le loro idee sono
minoritarie tende a subire pressioni esterne che lo porta a tacerle. Fatta questa premessa, è
utile stabilire se gli studi di Noelle-Neumann, risalenti agli anni '80, si possono applicare ai
social media.

2 Opinione pubblica sul web 2.0

2.1 Premessa sui social media

Occorre innanzitutto fare una piccola premessa sull'uso del web da parte degli italiani.
In primo luogo, si prenda in esame il report condotto da Censis nel 2016 sull'audience
digitale89. L'indagine evidenzia che gli italiani che navigano sul web sono il 73.7% con un
aumento di 2.8 punti percentuali rispetto al 2015. Nel 2016 42,6 milioni di italiani hanno
accesso ad Internet e l’88,7% della popolazione della fascia tra gli 11 e i 74 anni dichiara di
accedere a Internet da qualsiasi luogo (casa, lavoro, scuola) e tecnologia (Audiweb 2016)90.

Illustrazione 2: Dati Audiweb

88
Cfr. Noelle-Neumann E., La spirale del silenzio. Per una teoria dell'opinione pubblica. - Trad
italiana: 2002 – Roma, Meltemi.
89
Cfr. Censis: gli italiani sono sempre più su internet , in «Webnews», 28 settembre 2016.
90
Cfr. Audiweb, La total digital audience a dicembre 2016 e il nuovo report sulla diffusione di internet
in Italia, 13 febbraio 2017.

51
La diffusione del web è favorita anche dalle tecnologie, tra cui gli smartphone (36,4
milioni di individui tra gli 11 e i 74 anni, pari al 75,8% dei casi). Censis (2014) rivela che
gli italiani trascorrono 6,7 ore al giorno su internet e 2,5 ore sono dedicate all’utilizzo dei
social media, poco più della media mondiale (2,4). Visto il declino del potere della stampa,
oggi il principale spazio dove vengono diffuse tematiche di interesse collettivo è il web 2.0.
I social media sono parte integrante di queste tecnologie e ambienti sul web che le persone
usano per condividere contenuti testuali, immagini, grafica, audio e video, sfruttando il web
2.0, ovvero quelle applicazioni basate sulle interazioni tra utenti. I professori Kaplan e
Haenlein (2010) individuano sei tipologie di social media:
 social network (Facebook,Whatsapp, chat...);
 content communities (Youtube, Vimeo…);
 blog (wordpress, twitter…);
 progetti collaborativi ( Wikipedia…);
 mondi virtuali ludici (World of Warcraft…)
 realtà virtuali (Secondlife…).

Le ragioni del successo dei social media, rispetto a quelli tradizionali sono: l'accesso a
un’informazione più variegata, la sua immediatezza e maggiore economicità. Secondo le
teorie dei mezzi di comunicazione, i media sociali sono passati dal paradigma rigido e
mono-direzionale tipico della comunicazione dei media tradizionali, ad uno schema
collettivo “molti a molti”. Sono proprio questi vantaggi ad aver agevolato la diffusione di
questi strumenti negli ultimi anni. A proposito del bacino di utenza, sono stati svolti
numerosi studi che attestano quali sono i social media più utilizzati e le ragioni del loro
consenso. Tra le tante ricerche, ne sono state prese in esame due che riassumono in modo
esaustivo la presenza degli italiani sui social: quella condotta da Blogmeter nel 2017 e
quella di Censis nel 2015. Il primo report, intitolato “Italiani e Social Media” 91, è stato
condotto su un campione di 1500 italiani iscritti ad almeno un social media con l'obiettivo di
comprendere come e perché vengono utilizzati. L'indagine ha rilevato che Facebook è il
social network più utilizzato dagli italiani, con l’84% degli intervistati che dichiarano di
utilizzarlo più volte al giorno, assieme a YouTube, Instagram e Whatsapp. Anche Censis
(2015), rileva che un italiano su due (50,3%) utilizza Facebook, il 42,0% utilizza Youtube e
il 10,1% Twitter. Lo studio condotto da Blogmeter, è interessante perché individua anche la
fascia d'età dei maggiori utilizzatori dei social, rivelando che i più giovani sono iscritti a più
canali, soprattutto tra i 18 e i 34 anni. Sul perché gli italiani sono amanti dei social, spiccano
soprattutto: la curiosità e l’interesse (21% degli intervistati); per il 17% la creazione e
mantenimento di relazioni e, infine, il 14% degli utenti li usano per svago. Malgrado il

91
Cfr. Blogmeter, Blogmeter presenta la ricerca “Italiani e Social Media”, 29 marzo 2017.

52
campione preso in esame da Blogmeter, consideri i media tradizionali come fonti più
credibili, l'inchiesta mette in evidenza che gli stessi, quando frequentano i social netwok,
tendono a fare affidamento a celebrità, i personaggi pubblici e gli influencer. La fiducia
degli utenti viene riposta su giornalisti e scrittori, le persone dello spettacolo e gli sportivi
(secondo il 33% delle risposte). Dunque, lo studio rivela che c'è un legame tra autorevolezza
di chi veicola le informazioni sul web e la credibilità da parte del destinatario.

Fatta questa premessa, è utile chiedersi se la diffusione dei new media in


contemporanea al declino dei media tradizionali (stampa, televisione e radio) abbiano
prodotto una diminuzione dell'interesse collettivo verso tematiche socialmente o
comunemente rilevanti. E' invece proprio la struttura del web, che ben si adatta alla
diffusione di argomenti di richiamo pubblico, ad aver maggiormente incrementato il
concetto di opinione pubblica. La brevità dei contenuti imposta dal medium (es: i “tweet” di
Twitter con il limite dei caratteri) che impone messaggi concisi, poco argomentati e centrati,
strategie come l'uso della “call to action”, indotta da chi attua campagne di petizioni online
attorno a temi di pubblicamente importanti, e attraverso le hashtag, inizialmente esclusive di
Twitter e poi adottate anche da altri social media, che non sono altro che parole chiavi
associate al simbolo del “cancelletto” utilizzate per cercare una particolare tematica, con un
meccanismo molto simile alle tag dei blog. E’ proprio attraverso il web, che campagne
come quelle per l’acqua pubblica in Italia, così come la Primavera Araba, hanno avuto molta
presa come temi socialmente significativi.

2.2 L’intolleranza corre sul web

53
Illustrazione 3: Rapporto Vox sul razzismo nei social media

Nel 2014 l'Unar, esaminando Twitter, Facebook e Youtube, ha rilevato l'incremento di


commenti razzisti su questi canali. Nel 2014 l'associazione Vox-Osservatorio italiano sui
diritti dopo otto mesi di monitoraggio su Twitter, ha stilato una “Mappa dell'intolleranza
italiana”92, nome della ricerca effettuata sui fenomeni di intolleranza sui social network,
costruendo addirittura una vera e propria geolocalizzazione degli insulti, per monitorare e
dare una mappatura alla xenofobia, l'omofobia, il sessismo e l'odio dei diversamente abili.

Un’altra ricerca condotta da Cospe nel 2016 93, intitolata “L'odio non è un'opinione”,
evidenzia come in rete si siano moltiplicati episodi di hate speech contro minoranze, come
immigrati, rifugiati e musulmani e come ci sia una responsabilità da parte dei media e della
politica nel favorire questi atteggiamenti. Lo studio, realizzato in occasione del progetto
europeo contro il razzismo e la discriminazione sul web, “Bricks – Building Respect on the
Internet by Combating hate Speech”, rivela che i media italiani e figure politiche tendono a
stigmatizzare i migranti attraverso un linguaggio più o meno esplicito. La ricerca, inoltre,
mette in luce che la xenofobia non è un fenomeno nato sul web ma è la struttura di
quest'ultimo ad aver reso visibile i fenomeni di intolleranza. Inoltre, spesso, le redazioni dei
92Vox, Ecco le mappe di Vox contro l'intolleranza, 2014
93
Cospe (2016).

54
giornali tendono a trascurare le dinamiche dei loro lettori che partecipano sui social media,
anche a causa della carenza di figure professionali che si occupano di gestire le pagine
ufficiali delle testate giornalistiche italiane. Ovviamente, essendo i social network, come
Facebook, piattaforme vaste è difficile pensare che tutti i contenuti possano passare al
vaglio dei moderatori. La pubblicazione su Facebook di contenuti xenofobi e discriminatori
è regolata dalla netiquette del social, che la considerano una forma di “discriminazione di
persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione sesso, orientamento sessuale, disabilità
o malattia”, attraverso una finestra in cui sono contenuti i comportamenti contrari alle linee
guida, pertanto Facebook dà la possibilità all’utente di segnalare e richiederne la rimozione
dei contenuti non conformi. Tuttavia, la questione della moderazione dei contenuti
discriminatori non è un procedimento per niente facile. Il quotidiano britannico The
Guardian, ha nel 2017 svelato che Facebook possiede un centinaio di manuali che
contengono regole da rispettare su argomenti come violenza, xenofobia, incitamento
all'odio, terrorismo e contenuti sessualmente espliciti. 94 L'indagine del quotidiano, mette in
evidenza la difficoltà del social network, data la sua grandezza, nel gestire i contenuti
illegali pubblicati dagli iscritti, l'ambiguità delle linee guida e la mancata trasparenza delle
stesse.

2.2.1 Populismo 2.0

I social media, negli ultimi anni, sono entrati anche a far parte della comunicazione
politica e sono divenuti oggetto di studio sulla comunicazione. Perché i politici scelgono i
social media come mezzi di comunicazione? I social sono strumenti che ben si adattano al
dibattito politico reincarnando virtualmente l'agorà e sostituendo la comunicazione
monodirezionale dei media tradizionali, come la stampa, la tv e le radio. Secondo una
classifica aggiornata condotta da Baroncelli.eu95, i politici che interagiscono di più e i più
seguiti su Facebook sono; i primi quattro:

 Beppe Grillo 1.993.174;

 Matteo Salvini 1.808.186;

 Alessandro Di Battista 1.339.921;

94
Cfr. Nick Hopkins, Revealed: Facebook's internal rulebook on sex, terrorism and violence , in «The
Guardian», 21 maggio 2017.
95Cfr. Politici Italiani su Facebook (per numero di fans delle loro pagine), 10 giugno 2017.

55
 Matteo Renzi 1.085.714.

Dopo questa premessa è utile focalizzarsi su come molte personalità politiche trattano
il tema dell'immigrazione, in particolare quella islamica durante le campagne politiche e
non. E' stato rilevato come molti politici contribuiscano ad alimentare la diffusione di
fenomeni di odio e costruire su essi un consenso pubblico. Come evidenzia anche il record
condotto da ECRI (European Commission Against Racism and Intollerance) sul caso
italiano nel 201296, i contenuti xenofobi nel linguaggio politico italiano sono divenuti negli
ultimi anni molto ricorrenti, e trovano un humus fertile in un contesto segnato dalla crisi
economica e dai sempre più frequenti fenomeni migratori che, da una parte, hanno generato
diseguaglianze sociali, dall'altra, l'esigenza di cercare un capro espiatorio. Un caso evidente
è la comunicazione adottata dal leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Nel fare leva
sull'elettorato il segretario del “Carroccio”, basa quasi principalmente la sua politica su

posizioni anti-immigratorie, nazionaliste e razziste, puntando sui sentimenti della gente


comune, con una strategia considerata populista. La presenza dei politici sui social, attesta
che questi hanno appreso l'efficacia dei nuovi media e la diffusione su larga scala di essi
nella società italiana. Questo perché il web offre una comunicazione più diretta per i singoli
cittadini. Per quanto riguarda i fenomeni di xenofobia sui social media, il rapporto di ECRI
ha svolto una mappatura dei movimenti politici meno virtuosi, rilevando come partiti
politicamente rilevanti come Lega Nord, siano coinvolti nei discorsi di incitamento all’odio
nei confronti di stranieri, musulmani e altre minoranze.

Questo partito, nato per rivendicare il secessionismo del Nord Italia, attualmente con
il leader Matteo Salvini si configura più di prima come un partito xenofobo, nazionalista e
dai valori cristiani. Il suo consenso cresce proprio grazie alla comunicazione sui social
network, Twitter e Facebook. Nel mese di Aprile 2017 la pagina Facebook del segretario
della Lega Nord contava 1.803.650 like, mentre l'account di Twitter a Febbraio contava

96
Cfr. Rapporto dell'Ecri sull'Italia, 7 giugno 2016.

56
346.000 follower, 1.688 following , 1.912 mi piace, 20.500 tweet. I temi razzisti proposti
sono ridondanti, fanno leva su argomenti come: crisi economica e sicurezza (criminalità,
terremoti, povertà, terrorismo, legittima difesa...). Facebook è il canale più utilizzato dal
leader leghista, con una media di 11 contenuti al giorno postati sulla sua pagina ufficiale. Il
successo della sua comunicazione è dovuto alla concentrazione sui temi sociali e sul
cavalcare il pensiero più condiviso dall’opinione pubblica. La caratteristica della
comunicazione social adottata dal leader del Carroccio è caratterizzata dal coinvolgimento
dell'utente non solo attraverso la tipologia di temi trattati e il linguaggio utilizzato, ma anche
tramite delle call to action97, per invitare i seguaci ad essere parte attiva esprimendo la
propria opinione. Di conseguenza, il cittadino diviene parte integrante della comunicazione,
il processo di formazione dell'opinione pubblica è inevitabile.

Più confusa appare la posizione del M5S (Movimento Cinque Stelle), vedesi il
clamore scatenatosi dopo l’affermazione di Beppe Grillo, leader del movimento, sul suo
blog:«la cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza
senso»98, sul tema relativo alle politiche su una legge sul conferire il diritto di tale diritto ai
figli degli immigrati e quello relativo all’emendamento sull’abolizione del reato di
clandestinità da parte di alcuni senatori Cinque Stelle. La comunicazione più utilizzata dal
M5S avviene ttraverso blog (www.beppegrillo.it), che rispetto ai social network assicurano
una comunicazione più approfondita e di taglio giornalistico. Gli articoli vengono pubblicati
negli account ufficiali del movimento su Twitter e Facebook. Il M5S è nato nel 2009 come
partito politico ma è attivo come movimento già dal 2005 per opera di Beppe Grillo e si
presenta come una politica alternativa rispetto a quella “bipolare” composta da una parte dal
centrosinistra e dall’altra parte del centrodestra, rifiutando entrambe le fazioni politiche. La
caratteristica del M5S è l’essere nato sul web, inizialmente sul social network Meetup, e
aver fornito il primo esempio di controinformazione, rifiutando l’informazione dei media
tradizionali fornita da stampa e tv, “perché non libera”, utilizzando il web 2.0 come
strumento di “antipolitica”.

3 La spirale del silenzio

A partire dagli anni Cinquanta del Novecento vengono effettuati i primi studi sulla
“spirale del silenzio”. Il sociologo David Riesman nel libro La folla solitaria99 affrontò il
97
Cfr. Nicola Bonaccini, La comunicazione politica e il “brand” di Matteo Salvini, 11 marzo 2015.

Cfr. Redazione, Beppe Grillo: “Cittadinanza a figli di stranieri nati in Italia? E’ senza senso”,in «
98 Il
Fatto Quotidiano», 24 gennaio 2012.
99
Cfr. D. Riesman, The Lonely Crowd: A Study of the Changing American Character,1950.

57
tema della paura dell'isolamento nelle società moderne. Da questa premessa arrivò alla
conclusione che le forme di manipolazione derivano dal desiderio umano di omologarsi agli
altri. La fobia di subire l'isolamento è tornata al centro degli studi sull'opinione pubblica e
sui mass media negli anni Settanta con la sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann,
autrice della "teoria della spirale del silenzio" 100. Secondo la studiosa, le persone
percepiscono se le loro idee sono conformi o meno alla maggioranza e per evitare di essere
emarginati essi tendono ad adattarsi alle opinioni condivise dal gruppo di appartenenza o a
non esprimere le proprie, piuttosto che mostrare punti di vista contrari. E' proprio su questa
base che si innesca una spirale che alimenta il silenzio, la cui parola fa riferimento alle
pressioni percepite dagli individui quando sono consapevoli che le loro idee divergono dalla
maggioranza. Dunque, la paura dell’isolamento deriva dalla natura sociale umana e dal
controllo che le norme sociali generano sugli individui. L’opinione pubblica, che svolge una
funzione di integrazione sociale, viene sostituita dal silenzio che una persona o un gruppo
sociale attuano nei confronti delle proprie opinioni, a causa della paura di incorrere in
sanzioni morali101. Per tale motivo, la paura dell’isolamento, e, dunque, il silenzio,
favoriscono l’integrazione sociale e la formazione dell’opinione pubblica. Di conseguenza,
chi tende ad avere un'opinione unanime è maggiormente incoraggiato ad esprimerla.

Secondo la ricercatrice, i mezzi di comunicazione di massa sono responsabili


nell'alimentare questo fenomeno perché l'opinione pubblica viene formata soprattutto da
questi. I mass media privilegiando opinioni, piuttosto che altre, favoriscono la spirale del
silenzio, poiché esse finiscono per essere percepite come maggioritarie. Dunque, le idee che
vengono espresse dalle persone sono influenzate dal clima di opinione percepito,
principalmente costruito dai mass media. Di conseguenza, gli individui tacciono i pareri
impopolari o favoriscono quelli maggioritari per paura dell'isolamento, e, così i mass media,
a loro volta, riportano le idee più condivise, innescando una spirale del silenzio che si ripete
all'infinito.

3.1 I social network possono alimentare la spirale del silenzio?

Una ricerca condotta nel 2014 dal Pew Research Internet Project 102, riprendendo gli
studi di Noelle-Neumann sulla spirale del silenzio ha messo sotto accusa i social network

100
Cfr. Noelle-Neumann E. N., La spirale del silenzio. Per una teoria dell'opinione pubblica -
Trad italiana - Meltemi editore , 2002.
101
Ibidem.
102
Cfr. K.Hampton, L.Rainie, W. Lu, M. Dwyer, I. Shin, K. Purcell, Social Media and the ‘Spiral of
Silence’, Pew Research Center, 26 agosto 2014.

58
come Facebook e Twitter per aver diminuito la libertà di espressione da parte degli utenti
all'interno dei canali. Alcuni ricercatori della Rutgers University e del Pew hanno chiesto ad
un campione di 1.800 americani quanto fossero disposti ad esprimere il proprio pensiero,
virtualmente o meno, della notizia che l’ex consulente della NSA Edward Snowden aveva
divulgato sui media delle informazioni sul controllo dei dati personali. Secondo il
sondaggio, La maggior parte degli americani preferivano discuterne di persona (86%),
mentre una minoranza (42 %) erano disposti a dibatterne sui social media.

Secondo lo stesso studio, chi utilizza i social network tende ad avere più paura di
esprimere la propria opinione anche nella vita reale, se credono che i loro amici sui social
network abbiano opinioni maggiormente conformiste. L'indagine ha rilevato che se un
utente si rende conto di avere un'idea minoritaria rispetto alla sua rete di contatti, decide di
tacerla. Il risultato dimostra che la tendenza delle persone è quella di non condividere il
proprio punto di vista per paura di venire isolati e riprovati, sia a livello sociale che
lavorativo, a causa della divergenza con l'opinione dominante. A causa di ciò, molti utenti
tendono ad esprimere nei social pensieri opposti a quelli espressi fuori dal web di fronte a
una cerchia più ristretta. Il risultato di questa ricerca, rievoca il "test del treno" condotto da
E.N.Neumann su un gruppo di persone all'interno di un vagone su cui viaggiavano. Quando
a loro veniva chiesto di rispondere ad alcune domande riguardanti la politica, la violenza
domestica e altri temi delicati, gli intervistati erano disposti a rispondere solo se si
accorgevano che le loro opinioni erano condivise alla maggioranza.

59
I mezzi di comunicazione di massa spesso danno maggior risalto ai pareri prevalenti,
e, quindi, di conseguenza attuano un fenomeno di marginalizzazione nei confronti di quelli
minoritari, innescando così la spirale del silenzio. Ciò avviene anche per quanto riguarda i
temi attorno all’immigrazione e l’integrazione culturale dei gruppi allogeni. Di
conseguenza, chi è portatore di opinioni meno comuni, percependole contrarie dalla massa,
si astiene dall'esprimerle per paura di subire l’isolamento da parte della maggioranza. E’
dunque in virtù di questa “percezione” che viene rafforzato il silenzio. L’opinione che viene
maggiormente palesata, viene quindi percepita come condivisibile, a discapito della
minoranza che viene avvertita come “distorta”. Dunque, sia la prevalenza e la condivisione
di idee xenofobe che il silenzio sono entrambi conseguenze della tendenza umana ad aderire
al gruppo sociale attraverso comportamenti conformisti. I pericoli rappresentati dalla
“spirale del silenzio”, nei casi del razzismo e della xenofobia, sono il rischio di perpetuare
opinioni negative e discriminanti e l’impossibilità di adoperarsi per il superamento di questi
atteggiamenti, data dalla (auto)censura dei pensieri utili per attuare un cambiamento nella
società.

4 L’agenda-setting della rete

Con l’avvento dei media sociali, l’agenda-setting dei media tradizionali ha subìto
una perdita di egemonia. Come accennato nell’introduzione di questo capitolo, i social
media hanno favorito la nascita di una controinformazione ma, tuttavia, non siamo esenti da
una forma di organizzazione saliente dei contenuti ( o notizie) da parte di algoritmi. Un
esempio principale è quello dei “trending topic” tipico dei social network (principalmente
Twitter), ovvero i temi principali del giorno messi in risalto e scelti dagli utenti stessi
attraverso il numero di “cinguettii” postati durante la giornata. Solitamente i trending
topic sono accompagnati da un cancelletto che precede una parola (detta hashtag),
spesso utilizzati per dare rilievo a temi di attualità su Twitter. Attraverso essi, un
determinato argomento diviene popolare. I trending topic, organizzati come una top
ten, vengono posti in evidenza sulla home page e fanno riferimento ai temi discussi
nell’immediato momento e questo è dovuto al numero di volte in cui quel hashtag è
stato citato. Gli algoritmi, in base al numero di citazioni, posizionano gli argomenti in
una classifica. Più un tema è popolare più ha la possibilità di essere “re-twittato”,
questo perché gli utenti vengono incitati dal social a esprimere un parere sulle
tematiche messe in risalto, che stabilisce “intorno a cosa pensare” (Cohen 1963). Altra
caratteristiche di Twitter (e anche Facebook) sono l'uso gli hashtag per dare risalto alle

60
notizie veicolate sui media tradizionali, strumenti oggi utilizzati da molti politici per
dare maggiore visibilità alle proprie opinioni e l'influenza del social network da parte
della televisione. Quando si entra ad esempio su Twitter, è facile notare come i temi
proposti tra le tendenze sono spesso contenuti dei vecchi media. Si assiste spesso a
citazioni di programmi televisivi o personaggi dello spettacolo. Questo fa riflettere su
quanto l’agenda del pubblico ( il popolo di Twitter e altri social affini) sia ancora
modellata su quella dei media “tradizionali”. Ciò è dovuto all'influenza che ancora
oggi determina la televisione, la radio e la stampa sull'opinione pubblica italiana.
Secondo Censis(2016)103, la televisione e la radio in Italia continuano ad avere un pubblico
molto vasto. La prima ha un bacino di utenze del 97,5% . La seconda è seguita dall’83,9%
degli italiani. I quotidiani cartacei, invece, perdono lettori, ridotti al 40,5% degli italiani;
tuttavia continua ad aumentare l'utenza dei quotidiani online (+1,9% nell'ultimo anno) e dei
siti web di informazione (+1,3%). Secondo la "teoria della spirale del silenzio" l'agenda dei
media, tendendo a favorire alcune tematiche, e, quindi, a stimolare dibattito su esse e a dare
salienza a determinate opinioni, aiuta gli spettatori a percepire quali siano quelle più
condivise. L’agenda cutting, ovvero l’insieme degli argomenti che vengono esclusi
dall’agenda, di conseguenza, vengono oscurati anche dall'opinione pubblica. I social
network essendo strutturati per esprimere le proprie opinioni, modellate dall’agenda-setting
favoriscono la caduta dei punti di vista minoritari nella spirale del silenzio. Su Twitter,
attraverso i “cinguettii” è possibile rilevare il clima di opinioni, ovvero in che direzione si
muove il dibattito pubblico. Dunque, le persone tendono ad esprimere le loro idee quanto
esse siano più affini a quelle messe in risalto dai media, ovvero quelle più popolari, isolando
quelle marginali e/o che sono in contrasto con esse. In conclusione i media, sia tradizionali
che nuovi, costituiscono un mezzo efficace per alimentare la spirale del silenzio, in quanto
costituiscono una fonte autorevole; di conseguenza le opinioni veicolate in essi vengono
percepite come reali e condivisibili.

5 Conclusioni

Gli studi sulla spirale del silenzio sono stati utili in questo senso per analizzare come
avviene la legittimazione delle idee fuorvianti e razziste nell’opinione pubblica. Gli stessi
sono importanti per dimostrare come i pareri minoritari vengano espressi solo se
cominciano ad essere visibili sui media. In questo caso, abbiamo visto come nel web 2.0,
rispetto ai media tradizionali, possa essere più semplice dare spazio a opinioni divergenti e
questo lo si nota dalla nascita della controinformazione, ma è ancora evidente come il

103
Cfr. Censis, I media digitali tra élite e popolo, 28 settembre 2016.

61
discorso di odio sia ancora largamente prevalente. Per tale motivo, moltissime persone si
sono interrogate sulla tendenza del mondo virtuale ad essere un ambiente maggiormente
violento rispetto alla realtà fisica. In realtà i fenomeni di intolleranza “mediatici” riflettono
quelli della vita quotidiana. Inoltre, l’autorevolezza della fonte e il legame anche ancora
oggi c’è tra i media tradizionali (stampa, tv e radio) e il web 2.0 (o le utenze che lo
popolano) sono entrambi fattori che rafforzano la spirale del silenzio. Per tale motivo, le
convinzioni razziste continuano ad essere largamente legittimate nella società, impedendo la
diffusione di idee e informazioni che possano attuare superamento di esse. Infine sul web
sembra impossibile una regolamentazione dei fenomeni di intolleranza poiché interconnessi
con la manifestazione della libertà di pensiero, tipica delle società democratiche.

62
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