You are on page 1of 21

Capitolo 5

L’approccio monetario alla


Bilancia dei Pagamenti

5.1 Introduzione
Nel corso degli anni ’60 si sviluppa il cosiddetto approccio
monetario alla bilancia dei pagamenti, che si contrappone a quello
dell’elasticità e dell’assorbimento. Le critiche all’impostazione
keynesiana descritta nei capitoli precedenti erano diverse, soprattutto
da parte di alcuni economisti di impostazione classica o della scuola di
Chicago (Hahn, 1959, Mundell, 1968, 1971, Johnson 1967, 1972,
Frenkel, 1971). In primo luogo non erano accettate alcune ipotesi di
base. Sin dal fondamentale contributo della Robinson (1937), che
aveva formato la generazione di economisti internazionali citati nei
capitoli precedenti, giocava un ruolo chiave la rigidità dei salari e dei
prezzi. Questo è perfettamente logico in un sistema economico con
forte sottoccupazione, in cui sono di secondaria importanza gli effetti
sulle variabili nominali. Le condizioni di Marshall-Lerner possono
essere inquadrate in questa prospettiva: è fondamentale conoscere
sotto quali condizioni una svalutazione porta ad un miglioramento dei
conti con l’estero ovvero della produzione e della occupazione.
Tuttavia, abbiamo visto come l’esperienza inglese del 1967 avesse
ravvivato il dibattito tra ottimisti e pessimisti sulle elasticità. I
sostenitori dell’assorbimento cercava di superare quest’impasse,
mettendo in evidenza come ci sono diversi meccanismi di retroazione
che possono modificare il reddito e l’output. In questa prospettiva una
svalutazione ha un effetto benefico sulla bilancia commerciale non
tanto per l’incremento delle esportazioni nette, ma per la caduta della
domanda interna rispetto al prodotto. Tuttavia, gli economisti della
scuola di Chicago non erano d’accordo perché “the truth lies,
however, in recognition that a fully employed economy cannot use
devalutation alone as a policy instrument for correcting a balance of
payments deficit” (Johnson, 1976, p. 150). Questa affermazione si
basa sul meccanismo di aggiustamento classico attribuito al filosofo
del settecento David Hume noto in letteratura come “price-specie-flow
mechanism”. Hume si scaglia contro la scuola mercantilista che
2 L’approccio monetario alla BP

pretende di accumulare oro nel paese attraverso una serie di politiche


volte a realizzare un forte surplus commerciale. Ma Hume osserva:
”Suppose that all the money in Great Britain were multiplied fivefold
in a night… must not all labour and commodities rise to such an
exorbitant height that no neighbouring country could afford to buy
from us, while their commodities, on the other hand, became
comparatively cheap, that, in spite of all the laws which could be
formed, they would be run in upon us, and our money flow out; till we
fall to a level with foreigners, and lose that great superiority of riches,
which had laid us under such disadvantages?” (Hume, 1753, p. 28).
In una prospettiva più moderna, in un sistema di cambi fissi,
un aumento dello stock di moneta nazionale produce un aumento dei
prezzi che riduce le esportazioni, aumenta l’import ed annulla, alla
fine, il surplus di bilancia dei pagamenti. Ovviamente il meccanismo
opposto opera nel caso di un deficit. Esiste allora una distribuzione
ottimale della moneta, la cosiddetta specie, che era proprio l’oro nel
settecento. Hume può concludere: ”it is evident, that the same causes,
which would correct these exorbitant inequalities, were they to
happen miraculously, must prevent they happening in the common
course of nature, and must for ever, in all neighbouring nations,
preserve money nearly proportionable to the art and industry of each
nation”(ibidem). L’approccio monetario riprende queste conclusioni
sostenendo che una svalutazione ha un effetto temporaneo sui conti
con l’estero e che, alla fine, la distribuzione a livello mondiale della
moneta dipende esclusivamente dalla dimensione delle diverse
economie. L’impostazione è però totalmente diversa. Hume utilizza
un meccanismo di aggiustamento tradizionale, che opera attraverso i
prezzi relativi: la variazione del tasso di cambio reale modifica il
commercio internazionale. Al contrario, l’approccio monetarista
enfatizza il fatto che la bilancia dei pagamenti descrive dei fenomeni
monetari e, quindi, devono essere utilizzati gli strumenti di analisi del
mercato monetario e non quelli relativi ai flussi dei beni. Se vogliamo
capire gli effetti di una svalutazione non dobbiamo partire, come nei
capitoli precedenti, dall’analisi delle esportazioni ed importazioni, ma
dalla domanda e dall’offerta di moneta nei diversi paesi. Un deficit di
bilancia commerciale non è dovuto alle minori vendite all’estero
rispetto a quanto importiamo, ma ad un eccesso di stock di moneta nel
paese rispetto al livello “ottimale”. Poiché la distribuzione nel mondo
L’approccio monetario alla BP 3

della moneta non è quella desiderata, si mette in moto un processo di


aggiustamento negli stock che genera uno squilibrio temporaneo nei
conti con l’estero e che termina nel momento in cui si realizza la
distribuzione corretta della “specie”.
Nella sezione successiva vedremo come, almeno ex post, sia
perfettamente equivalente studiare la bilancia dei pagamenti
focalizzando l’attenzione sui flussi o sulla variazione degli stock.
Questo risultato era già stato mostrato alla fine del primo capitolo.
Riprenderemo la tavola 1.12, semplificandola opportunamente, per
mettere in evidenza l’interrelazione tra bilancia commerciale e
variazione della moneta. Le vere differenze con l’approccio delle
elasticità e dell’assorbimento sono relative alle ipotesi sottostanti il
modello. In primo luogo i sostenitori della visione monetaria credono
nella piena occupazione e nell’efficienza dei mercati, per cui gli
aggiustamenti riguardano principalmente le variabili nominali come lo
stock della moneta, i prezzi ed eventualmente il tasso di cambio.
Infatti quest’approccio è stato inizialmente utilizzato per esaminare gli
effetti della svalutazione in un regime di cambi fissi. Questi possono
essere analizzati mediante un modello a due paesi che espreime
compiutamente le relazioni tra le monete nazionali e gli squilibri
commerciali. Inoltre il modello può essere utilizzato per determinare il
tasso di cambio quando può fluttuare liberamente e sono presenti asset
diversi dalla moneta come i titoli di stato. La soluzione del modello è
molto utile, perché ci permette di cogliere persino il ruolo delle
aspettative e la possibilità di generare bolle speculative nel tasso di
cambio.

5.2 Uno schema concettuale


Nel primo capitolo abbiamo introdotto uno schema, che
riportiamo nella tavola 5.1, che permette di cogliere le interrelazioni
tra flussi e variazioni degli stock in un sistema economico. In realtà,
sono state introdotte alcune semplificazioni, sulla falsariga dei capitoli
precedenti. In primo luogo la moneta in senso stretto è in mano solo ai
residenti e gli operatori esteri non possiedono né banconote nazionali
né possono accendere depositi presso le banche del paese. Queste
ultime hanno anche un ruolo ridotto perché non solo non prestano
all’estero, ma neppure possono detenere asset stranieri e titoli
4 L’approccio monetario alla BP

domestici. Sono delle pure banche commerciali, la cui funzione è


quella di prestare al settore privato i depositi che ricevono dalle stesse
famiglie ed imprese.

Mercati/Settori Privato P.A. Banche B.C. Estero totale


Reale I-SP G-T CA 0
Circolante ∆CUP ∆CUB -∆CU 0
Depositi ∆DP -∆D ∆DBC 0
Prestiti -∆LP ∆L -∆LBC
Titoli interni ∆BP -∆B ∆BBC 0
Valuta ∆VP ∆VBC -∆VE 0
Titoli esteri ∆FP ∆FBC -∆F 0
totale 0 0 0 0 0 0
Tavola 5.1 Matrice flussi reali e finanziari

In questo semplice schema lo stock di moneta nazionale è dato


dalla somma del contante e dei depositi in mano al settore privato e
coincide con l’aggregato M2. I debiti della Banca Centrale, detti anche
moneta ad alto potenziale o base monetaria (BM), sono pari al
circolante (CU) e dai debiti verso le banche (LBC) che includono la
riserva obbligatoria. Il vincolo di bilancio impone che questi siano
uguali alle attività costituite dal credito domestico e dalle riserve
internazionali1:
𝐵𝑀 = 𝐶𝑈 + 𝐿𝐵𝐶 = 𝐶𝐷 + 𝑅𝑈. (5.1)

Il credito domestico è la somma dei titoli di stato nazionali in


possesso della Banca Centrale e dei crediti concessi al sistema
bancario:
CD = BBC + DBC , (5.2)

mentre le riserve ufficiali sono costituite dalla valuta e dai titoli di


stato esteri:
RU = VBC + FBC (5.3)

1 Stiamo assumendo che la Banca Centrale non abbia un capitale netto.


L’approccio monetario alla BP 5

L’offerta complessiva di moneta è funzione della sola base


monetaria:
𝑀 = 𝑚𝐻 𝐵𝑀, (5.4)

con il moltiplicatore monetario 𝑚𝐻 determinato dai rapporti


circolante-depositi e riserve depositi, che assumiamo costanti2.
Proprio per la stabilità di questi ratio, che descrivono il
comportamento delle banche e del pubblico, possiamo ipotizzare
𝑚𝐻 = 1. Si tratta di un’ipotesi di comodo, che modificheremo quando
opportuno, ma che permette di compattare il sistema bancario con la
Banca Centrale. Se riprendiamo la (1.19) si ottiene:

∆𝑅𝑈 = (∆CUP + ∆DP) – (∆LP + ∆BBC) = ∆𝑀 − ∆𝐶𝐷, (5.5)

in cui il termine nella prima parentesi corrisponde alla nostra


definizione di moneta, mentre la seconda individua il credito del
settore bancario aggregato, che corrisponde ai prestiti al settore
privato e pubblico. I primi sono di competenza del settore bancario,
mentre i secondi della Banca Centrale. Se 𝑚𝐻 = 1 allora il credito
erogato dalle banche ai privati è sempre pari a quello concesso
dall’istituto di emissione allo stesso sistema bancario, perché non
entra in azione il processo di moltiplicazione dei depositi e dei prestiti.
Quindi ∆LP = ∆DBC, per cui il termine della seconda parentesi è
proprio il credito domestico e quindi la variazione delle riserve
ufficiali è pari alla differenza tra l’incremento della moneta e del
credito domestico.
Nei due capitoli precedenti non abbiamo considerato né i titoli
interni né quelli esteri. Questa semplificazione ha delle implicazioni di
non poco conto, poiché significa che il governo non può indebitarsi ed
è costretto ad avere sempre un bilancio in pareggio. Allora possiamo
eliminare la seconda colonna e la riga relativa ai titoli interni della
tavola 5.1. Analogamente possiamo cancellare la riga dei titoli esteri e
lo schema di questa tavola collassa nella:

∆VBC = ∆𝑀 − ∆𝐶𝐷 = 𝐍𝐗 − ∆𝑉𝑃 , (5.6)

2 Come noto mH = (1+cu)/(cu+ru) ove cu è il rapporto tra circolante e depositi


detenuti dal pubblico, mentre ru è la quota di depositi messa a riserva dalle banche,
che spesso coincide con il coefficiente di riserva obbligatoria.
6 L’approccio monetario alla BP

in virtù della (1.18) emendata per le ipotesi fatte in questo capitolo, tra
cui ∆CD = ∆DBC. Infatti, il conto corrente collassa nella bilancia
commerciale, poiché non ci sono redditi da capitale e lavoro con
l’estero3. Inoltre i movimenti privati di capitale con l’estero
riguardano solo le variazioni di valuta in mano al settore privato. Tutte
le operazioni di importazione ed esportazione avvengono in cambio di
valuta ed il saldo della bilancia commerciale è pure la variazione delle
riserve in valuta della Banca centrale e dei privati. Non a caso nel
terzo capitolo abbiamo detto che la domanda di valuta è dovuta agli
importatori, mentre l’offerta scaturisce dagli esportatori. Eventuali
eccessi di domanda/offerta o sono ripianati dalla Banca Centrale od
eliminati dall’aggiustamento del tasso di cambio. In un sistema di
cambi fissi garantiti dalla Banca Centrale detenere moneta nazionale o
estera è la stessa cosa, proprio perché l’istituto di emissione è
disponibile ad incrementare le proprie riserve emettendo nuovo
circolante. Al più lo stock esistente pone un vincolo alla domanda di
valuta da parte dei residenti. Ma, entro questo limite, non ci sono
problemi per gli importatori, anche se non dispongono direttamente di
contanti esteri. Per semplicità ipotizziamo che questa sia la nostra
situazione e poniamo VP = 0.
A questo punto possiamo mostrare l’equivalenza degli
approcci esaminati sinora. Infatti, dalla (5.6) si ricava:

∆𝑀 − ∆𝐶𝐷 = 𝐍𝐗 = 𝐘 − 𝐀, (5.7)

e l’analisi della bilancia commerciale può procedere prendendo in


considerazione le variazioni dell’output e dell’assorbimento o del
mercato monetario. È evidente che, ex post, non ci possono essere
differenze. Infatti, lo schema concettuale che stiamo prendendo in
esame è molto semplice poiché comprende due soli mercati in cui si
svolge l’interazione degli operatori internazionali. Da un parte c’è il
mercato dei beni e dei servizi, con i flussi dei beni importati ed
esportati. Dall’altra, c’è il mercato della valuta, che viene scambiata
contro moneta nazionale. Se il primo è in disequilibrio e le
esportazioni nette non sono pari a zero anche il secondo deve riflettere
3Il fattore lavoro è fisso nel paese d’origine e non ci sono né rimesse dagli emigranti
né redditi da lavoro percepiti all’estero.
L’approccio monetario alla BP 7

questo sbilanciamento. È quindi possibile analizzare la bilancia


commerciale, o la bilancia dei pagamenti se introduciamo anche il
mercato dei titoli, studiando i motivi degli squilibri o del commercio
internazionale o della moneta. Gli approcci delle elasticità e
dell’assorbimento adottano la prima via, mentre, evidentemente,
quello monetario la seconda. Tuttavia è opportuno sottolineare due
aspetti. Il primo riguarda il fatto che la variazione dello stock di
moneta è qui espressa in termini nominali e quindi anche la bilancia
commerciale, prodotto ed assorbimento sono espressi in termini
nominale, mentre nei capitoli precedenti le variabili rilevanti erano
quelle reali. Il tutto può essere riconciliato se ipotizziamo che i prezzi
siano fissi, ma questa è evidentemente un’ipotesi molto forte e
restrittiva. L’altro aspetto fondamentale è che nella (5.7) queste
variabili non sono necessariamente quelle desiderate, ma solo quelle
che realizzano ex post le identità contabili in economia aperta. In altre
parole non spiegano il motivo per cui si è realizzano un avanzo od un
deficit di bilancia commerciale, ma solo i valori compatibili di stock
di moneta, credito domestico, prodotto ed assorbimento osservati in
corrispondenza a quel saldo con l’estero. Un eccesso di importazione
è coerente con un eccesso di domanda interna o con un aumento del
credito domestico a parità di output o moneta, ma non possiamo dire
che questa sproporzione sia la causa del deficit commerciale. Per poter
fare questa affermazione dobbiamo costruire un modello che spieghi
le relazioni tra queste variabili, come abbiamo visto nei capitoli
precedenti. E si tratta di un passaggio necessario perché la presenza di
un disavanzo richiede pure l’individuazione di un meccanismo di
retroazione che riporti il sistema in equilibrio. Infatti, non è pensabile
che un deficit di bilancia commerciale possa durare per decenni. In
realtà, l’approccio delle elasticità non affronta questo punto, mentre
quello dell’assorbimento richiede l’introduzione di effetti ricchezza o
di Harberger-Laursen-Metzler, che tengono conto dello stock della
ricchezza o, nella versione più semplice, della moneta. Tanto vale
allora affrontare direttamente la questione e procedure ad esaminare il
solo mercato monetario. Secondo i suoi propugnatori, il vantaggio
dell’approccio monetario risiede nel fatto che modellizza
esplicitamente il disequilibrio nel mercato della moneta con il
processo di aggiustamento dello stesso stock: “the balance of payment
is a monetary phenomenon and requires analysis with the tools of
8 L’approccio monetario alla BP

monetary theory and not barter or “real” trade theory…an adequate


balance-of-payments theory must integrate stocks and flows, and…the
money stock can be changed in two alternative way, through domestic
credit creation or destruction and through international reserve flows,
the policy choice being important for balance of payments analysis”
(Johnston, 1977, p. 251).
In effetti, se è necessario porre al centro dell’analisi
l’interrelazione tra stock e flussi, appare preferibile seguire la via più
semplice, che è quella di descrivere adeguatamente la domanda e
l’offerta di moneta con le relative variazioni nel tempo. Ripetiamo
ancora che questo è un passaggio importante, perché bisogna superare
l’identità contabile (5.7) e passare alla descrizione delle azioni dei
diversi operatori economici. Nella prossima sezione presentiamo le
ipotesi fondamentali di quest’approccio, che è stato utilizzato per
analizzare in primo luogo il sistema a cambi fissi. Infatti, questa
letteratura nasce durante gli accordi di Bretton Woods, ma, come
vedremo, può essere facilmente utilizzata per descrivere l’andamento
del tasso di cambio.

5.3 Le ipotesi di base del modello monetarista


Abbiamo già detto in precedenza che i propugnatori di
quest’approccio credono l’efficienza dei mercati. Per quanto riguarda i
beni ciò implica che, in assenza di costi di transazione, i prezzi interni
sono determinati dalla teoria della parità dei poteri d’acquisto:

𝑃 = 𝑆 𝑃𝐵 . (5.8)

Se operiamo in un’economia piccola i prezzi esteri sono dati. È


allora evidente che con un regime di cambio fisso anche i prezzi sono
esogeni e quindi ritorniamo ad una delle ipotesi di base dell’approccio
keynesiano di breve periodo. È quindi evidente che è necessario
esplicitare l’interazione tra almeno due economie, se vogliamo
analizzare gli effetti di una svalutazione. La prossima sezione è
dedicata a questo problema, mentre qui vogliamo mostrare la struttura
di base del modello.
La domanda di liquidità è del tipo à la Cambridge:
L’approccio monetario alla BP 9

𝐿 = 𝑘 𝑃 𝑌, (5.9)

che dipende dal solo reddito nominale con k > 0. Inoltre, si assume
che il prodotto sia sempre pari a quello di pieno impiego. Si tratta di
un’ipotesi cruciale, per cui un aumento della moneta provoca un
aumento proporzionale dei prezzi e del tasso di cambio, a parità di
prezzi esteri. Si tratta dell’estensione all’economia aperta della
neutralità della moneta. È evidente che l’esogeneità del prodotto e
l’assenza di illusione monetaria sono condizioni essenziali per
mostrare come gli shock nominali si ripercuotano solo sui livelli dei
prezzi e del tasso di cambio. In realtà, i propugnatori dell’approccio
monetario credono nella neutralità della moneta e nelle variazioni
proporzionali dei prezzi e del cambio solo nel lungo periodo. Nel
breve, invece, si può verificare un disequilibrio se la domanda non è
compatibile con lo stock di moneta presente nel sistema economico. In
questo caso si mette in moto un processo di accumulo (hoarding)
quando la quantità disponibile è inferiore a quella desiderata:

𝐻 = ∆𝑀 = 𝛾(𝐿 − 𝑀) = 𝛾(𝑘 𝑃 𝑌̅ − 𝑀) (5.10)

ove 0 < 𝛾 <1 è un parametro che misura la velocità di aggiustamento


della moneta e 𝑌̅ è il prodotto di pieno impiego. Se la quantità di
moneta è troppo elevata rispetto al reddito nominale, gli individui
cercheranno di cedere la quota in eccesso nell’unico modo possibile
ovvero comprando beni e servizi. In altre parole il livello desiderato di
spesa è proprio pari al reddito nominale meno quanto viene messo da
parte attraverso l’accumulo di moneta:

𝑍 = 𝑃 𝑌̅ − 𝐻, (5.11)

che può essere letta anche come il risparmio (hoarding) è pari al


reddito meno la spesa. È ovvio che entrambe sono espresse in termini
nominali. Tuttavia, poiché la produzione nazionale in termini reali è
bloccata al livello di pieno impiego, l’unico modo in cui si può
spendere la quantità non desiderata di moneta è comprando beni e
servizi esteri, provocando così un deficit di bilancia commerciale.
Infatti, in assenza di altri asset, la variazione dello stock di moneta
coincide con quella delle riserve, se la Banca centrale non sterilizza e
10 L’approccio monetario alla BP

mantiene inalterato il credito domestico. Quindi l’hoarding è anche


pari al saldo della bilancia commerciale in termini nominali:

𝐻 = ∆𝑀 = 𝑇𝐵. (5.12)

In questo modo abbiamo superato alcune lacune dell’approccio


dell’assorbimento, che non solo trascura le interrelazioni tra offerta di
moneta ed esportazioni nette, ma anche il feedback sullo stesso stock
di moneta, sui prezzi ed eventualmente sul tasso di cambio. Infatti, il
modello può essere condensato nella:

𝑇𝐵𝑡 = ∆𝑀𝑡 = 𝛾(𝑘 𝑆𝑡 𝑃𝐵 𝑌̅ − 𝑀𝑡−1 ), (5.13)

dove abbiamo specificato i riferimenti temporali tra stock e flussi.


Possiamo vedere come la bilancia commerciale dipende dalla
differenza tra la stock desiderato di moneta, che è funzione del tasso
di cambio, e quello in essere all’inizio del periodo. È ovvio che il
sistema economico è in stato stazionario solo se la moneta non varia e
vale la:
𝑆̂𝑃𝐵 𝑌̅ = 𝑣𝑀
̂ (5.14)

con 𝑣 = 1/𝑘 velocità di circolazione della moneta e 𝑆̂, 𝑀


̂ sono i livelli
di stato stazionario del cambio e della moneta. La (5.14) può essere
letta come la soluzione della variabile endogena moneta in un regime
di cambio fisso o come le combinazioni d’equilibrio tra moneta e
tasso di cambio in un regime flessibile. Ad ogni modo, se la (5.14)
non è verificata, lo stock di moneta varia sulla base della seguente
equazione di moto:

𝑀𝑡 = (1 − 𝛾)𝑀𝑡−1 + 𝛾𝑘 𝑆𝑡 𝑃𝐵 𝑌̅ , (5.15)

che è un’equazione alle differenze del primo grado a coefficienti


costanti con termine additivo costante, se siamo a cambi fissi, o
variabile, se siamo a cambi flessibili. Consideriamo il primo caso in
economia piccola. Per semplicità, normalizziamo i prezzi interni,
quelli esteri ed il tasso di cambio 𝑆̅ = 𝑃̅ = 𝑃𝐵 = 1. Poniamo pure la
velocità di circolazione pari ad uno, mentre il prodotto di pieno
L’approccio monetario alla BP 11

impiego è di 200 e 𝛾 = 0,5. In questo caso, l’equazione alle differenze


diviene:

𝑀𝑡 = 0,5 𝑀𝑡−1 + 100.

È ovvio che se lo stock iniziale di moneta è pari al prodotto di


lungo periodo, ovvero 200, il sistema si trova in equilibrio e non c’è
nessuna variazione. Se, invece, è maggiore, diciamo 𝑀0 = 220, allora
nel periodo successivo si riduce a 𝑀1 = 210, proprio perché la
bilancia commerciale è in deficit di 10 a causa dell’elevata spesa in
beni e servizi. Dopo la moneta cade a 𝑀2 = 205, come in tutti i
periodi successivi sino a convergere al valore di equilibrio.
Se invece siamo a cambi e prezzi flessibili vale la:

𝑣
𝑃𝑡 = 𝑆𝑡 𝑃𝐵 = [𝐻𝑡 + 𝛾𝑀𝑡−1 ] (5.16)
𝛾𝑌̅

ove il saldo della bilancia commerciale è pari all’accumulazione


ovvero alla variazione dello stock di moneta. Nella figura 4.1 abbiamo
tracciato questa retta, denominata HH, la cui intercetta individua
l’equilibrio esterno ed interno. Il livello dei prezzi corrispondente
all’assenza di accumulazione è stato indicato con 𝑃0 . È interessante
notare che se la bilancia commerciale in termini nominali è in avanzo,
come nel punto A, ciò è dovuto proprio ad un livello dei prezzi e del
tasso di cambio troppo elevato. Ricordiamo che il trade balance è
espresso in termini nominali, per cui sono proprio i prezzi troppo alti
che, aumentando il reddito nominale, spingono i consumatori a volere
una maggiore quantità di moneta. Ma è possibile accumulare moneta
solo se si riduce il consumo, generando un surplus con l’estero pari a
TB1. La liquidità aumenta provocando lo spostamento verso l’alto
della curva HH ed avvicinandosi così all’equilibrio, che sarà raggiunto
quando è verificata la (5.14), come avviene in B. Ovviamente il
meccanismo di aggiustamento è opposto nel caso in cui 𝐻𝑡 = ∆𝑀𝑡 =
𝑇𝐵𝑡 < 0. La soluzione che abbiamo descritto è però puramente
qualitativa4, nel senso che l’equazione differenziale (5.16) può essere

4 In un capitolo successivo affronteremo in modo più dettagliato l’analisi degli stati


stazionari e della loro stabilità nei modelli dinamici.
12 L’approccio monetario alla BP

risolta solo se è noto il sentiero dei prezzi interni che, a sua volta, è
determinato dalla teoria dei poteri d’acquisto.

HH
B
P1 A
P0

0 TB1 H
Fig. 4.1 Accumulazione di moneta

Omissis

5.5 Cambi flessibili


L’approccio monetario alla bilancia dei pagamenti può essere
utilizzato anche per determinare i tassi di cambio quando sono
flessibili. In questo caso viene invertito il nesso causale tra lo stock di
moneta, che diviene esogeno, e lo stesso tasso di cambio che è ora la
variabile endogena. Assumiamo che il processo di aggiustamento sia
particolarmente rapido ovvero 𝛾 = 𝛾 𝐵 =1, in modo da poter considerare
direttamente le condizioni di equilibrio nel mercato della moneta dei
due paesi:

𝑀 = 𝑃𝑘𝑌̅, 𝑀
̅ 𝐵 = 𝑃𝐵 𝑘 𝐵 𝑌̅ 𝐵 . (5.26)

Vale ancora la teoria della parità dei poteri d’acquisto, per cui
la soluzione del modello è banale:
L’approccio monetario alla BP 13

𝑀 𝑘 𝐵 𝑌̅ 𝐵
𝑆= 𝐵 . (5.27)
𝑀 𝑘 𝑌̅

Il tasso di cambio dipende solo dalle offerte di monete dei due


paesi. Inoltre si tratta di una funzione omogena di primo grado, per
cui, se lo stock di moneta domestica aumenta del 10% allora il tasso di
cambio si svaluta della medesima percentuale. Ovviamente anche i
prezzi interni crescono del 10% rispetto a quelli esteri. In modo simile
un aumento dell’offerta di moneta estera provoca un apprezzamento
del tasso di cambio della medesima percentuale. Si tratta di un
risultato abbastanza intuitivo perché i paesi che stampano troppa
moneta rispetto all’estero, ne riducono il valore, provocando
inflazione e svalutazione, come propugnato dall’approccio classico.
È apparso naturale estendere il modello, considerando una
funzione di domanda di moneta in termini reali di tipo keynesiano, che
dipende anche dal reddito e dal tasso d’interesse. In questo caso la
soluzione diviene:

𝑀 𝐿𝐵 (𝑌 𝐵 , 𝑖 𝐵 )
𝑆= (5.28)
𝑀𝐵 𝐿(𝑌, 𝑖)

ove il prodotto non è più esogeno ed i tassi d’interesse possono essere


differire. La domanda di moneta può essere espressa anche in forma
opportuna:

log 𝐿(𝑌, 𝑖) = 𝛼𝑌 𝑦 − 𝛼𝑖 𝑖 (5.29)

in cui y = log(Y) e quindi il parametro 𝛼𝑌 misura l’elasticità della


domanda di moneta rispetto al reddito, mentre 𝛼𝑖 è la semi elasticità,
in quanto compare il tasso d’interesse. Se i parametri coincidono in
ambedue i sistemi economici, il modello può essere riscritto come:

𝑠 = (𝑚 − 𝑚𝐵 ) − 𝛼𝑌 (𝑦 − 𝑦 𝐵 ) + 𝛼𝑖 (𝑖 − 𝑖 𝐵 ) (5.30)

ove s = log(S), m = log(M) e 𝑚𝐵 = log(𝑀𝐵 ). Risulta evidente che se


l’offerta di moneta nazionale cresce del 10%, mentre quella estera
solo del 6%, il cambio, ceteris paribus, si deprezza del 4%. Ma la
14 L’approccio monetario alla BP

(5.30) ammette altre variabili fondamentali oltre le offerte di moneta.


Se il prodotto interno può modificarsi e quello interno cresce di più di
quello estero è evidente che, ceteris paribus, il tasso di cambio si deve
apprezzare. Ciò avviene se anche il tasso d’interesse domestico è
inferiore a quello straniero. Si tratta di situazioni interessanti, in netto
contrasto con l’approccio tradizionale. Infatti, se valgono le condizioni
di Marshall-Lerner, nell’usuale modello di domanda ed offerta di
valuta visto nel terzo capitolo l’aumento del prodotto spinge le
importazioni e la domanda di valuta svalutando il tasso di cambio.
Qui, invece, il cambio si muove nella direzione opposta. Il motivo è
semplice: l’aumento del reddito non provoca nessuna variazione nella
domanda di beni e servizi esteri, ma solo in quella della moneta.
Abbiamo detto in precedenza che l’unico modo in cui gli operatori
nazionali possono acquisirla è tramite un surplus di bilancia
commerciale5. Il mercato della moneta è sempre in equilibrio, con
offerta data, e la pressione si deve scaricare totalmente sui prezzi
interni che devono scendere. In questo modello i prezzi sono endogeni
e devono essere perfettamente flessibili come il tasso di cambio, in
modo da verificare sempre la teoria della parità dei poteri d’acquisto.
In conclusione i canali di trasmissione sono radicalmente
diversi nel modello tradizionale e nell’approccio monetario. Nel primo
cambiano le quantità e le variazioni delle esportazioni e delle
importazioni generano diversi afflussi di valuta dall’estero e quindi
pressioni sul tasso di cambio. Nel secondo non c’è nessuna variazione
del pattern di scambio con l’estero. Anzi, sono solo le modificazioni
dei prezzi, necessarie per ristabilire l’equilibrio nel mercato domestico
della moneta, che si riverberano sul tasso di cambio.
La presenza dei tassi d’interesse nella funzione della domanda
di moneta obbliga ad esplicitare il ruolo delle altre attività finanziarie,
come i titoli di stato. Quindi è opportuno riconsiderare lo schema
presentato nella tavola 5.1 con tutte le interrelazioni tra mercati ed
agenti economici. In realtà l’analisi può essere semplificata se
ricordiamo l’ipotesi di mercati efficienti. Infatti, se i titoli nazionali ed
esteri sono sostituti perfetti allora vale la teoria scoperta dei tassi
d’interesse ed il differenziale del tasso d’interesse della (5.30) può
essere sostituito dalla svalutazione attesa. In sostanza abbiamo
5 Anche questo risultato è diametralmente opposto a quello tradizionale, in cui la
bilancia commerciale è in deficit per l’incremento delle importazioni.
L’approccio monetario alla BP 15

accettato l’ipotesi di perfetta mobilità dei capitali, che analizzeremo


nel dettaglio nel capitolo successivo, per cui gli investitori aggiustano
immediatamente i loro portafogli dopo uno shock esogeno. Lo schema
della tavola 5.1 può essere alquanto semplificato, perché gli asset a
disposizione solo sostanzialmente tre: la moneta nazionale, quella
estera ed i titoli di stato, che sono perfettamente omogenei. Se poi il
settore privato può detenere solo moneta locale, perché quella estera è
raccolta dalla Banca Centrale, allora l’equilibrio del mercato della
moneta implica anche l’equilibrio nel mercato dei titoli, visto che la
ricchezza non può essere allocata altrimenti. In quest’ottica è quindi
corretto soffermarsi solo sul mercato monetario, perché i titoli non
giocano alcun ruolo autonomo. Solo se abbandoniamo l’ipotesi di
perfetti sostituti, come vedremo nel dettaglio nel modello di
portafoglio, dobbiamo esaminare le interrelazioni tra le variazioni
degli stock dei titoli, i tassi d’interesse e quello di cambio. Al
contrario, qui, possiamo limitarci a vedere l’effetto dei cambiamenti
delle offerte di moneta e del prodotto sul tasso di cambio come
esposto dalla (5.30). Questa può essere ulteriormente specificata se
utilizziamo ancora l’ipotesi di mercati efficienti. Infatti, possiamo
riprendere la teoria della parità dei poteri d’acquisto nella versione ex
ante ed efficiente. Infatti, se utilizziamo la relazione di Fisher, vedi la
(2.36), ed assumiamo che i tassi d’interesse reali siano gli stessi nel
paese ed all’estero allora la differenza dei tassi d’interesse nominali si
riduce a quella dell’inflazione attesa, per cui la (5.30) diviene:

𝐵 ])
𝑠𝑡 = (𝑚𝑡 − 𝑚𝑡𝐵 ) − 𝛼𝑌 (𝑦𝑡 − 𝑦𝑡𝐵 ) + 𝛼𝑖 (𝐸[∆𝑝𝑡+1 ] − 𝐸[∆𝑝𝑡+1 (5.31)

che spiega le fluttuazioni del cambio anche in assenza di variazioni


nei fondamentali. Pur non essendoci nessuno shock nominale, dal lato
della moneta, o reale, dal lato del prodotto, sono proprio le aspettative
di una maggiore inflazione attesa nel paese rispetto all’estero a
determinare oggi un deprezzamento. Infatti, se gli agenti privati si
aspettano una maggiore crescita dei prezzi nella nazione, non vogliono
detenere lo stesso stock di asset domestici, moneta in primis. Ma
l’offerta è data e quindi l’unico modo per ridurre il valore dello stock
reale di moneta è l’inflazione, che viene creata dal deprezzamento del
tasso di cambio.
16 L’approccio monetario alla BP

La relazione che abbiamo trovato è importante perché mette in


evidenza il legame tra il futuro ed il presente. Come vedremo nel
dettaglio nei capitoli successivi sono proprio le aspettative che spesso
guidano il comportamento di numerose variabili economiche. Questo
aspetto è particolarmente importante, per cui è opportuno considerarlo
nel dettaglio. A questo scopo riprendiamo la (5.30) con la teoria della
parità scoperta dei tassi d’interesse:
𝑒
𝑠𝑡 = 𝑧𝑡 + 𝛼𝑖 (𝑠𝑡+1 − 𝑠𝑡 ) (5.32)

con 𝑧𝑡 = (𝑚𝑡 − 𝑚𝑡𝐵 ) − 𝛼𝑌 (𝑦𝑡 − 𝑦𝑡𝐵 ) che raccoglie il valore delle


variabili fondamentali al tempo t. La (5.32) può essere riscritta per
mettere in evidenza la variabile endogena:

1 𝛼𝑖
𝑠𝑡 = 𝑧𝑡 + 𝑠𝑒 . (5.33)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖 𝑡+1

La (5.33) esprime nuovamente quanto abbiamo appena


affermato: il valore corrente del tasso di cambio dipende dal valore
corrente dei fondamentali e da quello atteso dello stesso tasso di
cambio. Se il modello è condiviso dagli agenti economici, costoro
razionalmente formeranno le loro aspettative sulla base della stesso:

1 𝛼𝑖 𝑒 )
𝐸(𝑠𝑡+1 ⁄Ω𝑡 ) = 𝐸(𝑧𝑡+1 ) + 𝐸(𝑠𝑡+2 , (5.34)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖

per la legge delle aspettative iterate, ove Ω𝑡 è il set informativo


disponibile al tempo t che comprende il modello stesso e tutte le
variabili note. In altre parole stiamo assumendo che le aspettative sono
formate razionalmente, perché gli agenti conoscono non solo il
modello che specifica il tasso di cambio, ovvero sanno quali variabili
sono fondamentali per la sua determinazione ed i loro valori correnti e
passati, come anche come entra in gioco il tasso di cambio atteso.
Proprio sulla base di queste informazioni ne possono calcolare il
valore che, a sua volta, dipende dai valori attesi delle variabili
fondamentali contemporanee e da quello futuro. A questo punto
possiamo operare delle ripetute applicazioni della (5.34) per tutti i
periodi successivi ed ottenere:
L’approccio monetario alla BP 17

𝑛
1 𝛼𝑖 𝑗 𝛼𝑖 𝑛 𝑒
𝑠𝑡 = ∑( ) 𝐸(𝑧𝑡+𝑗 ) + ( ) 𝑠𝑡+𝑛+1 . (5.35)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖
𝑗=0

Si tratta di un risultato fondamentale che mette in luce come


agenti razionali tengono conto di tutti i valori futuri delle variabili
fondamentali. Ma l’ultima parentesi è fondamentale per definire il
comportamento del tasso di cambio. Infatti, se:

𝛼𝑖
𝛽= <1 (5.36)
1 + 𝛼𝑖

si ottiene la soluzione non esplosiva del tasso di cambio:


𝑠𝑡 = (1 − 𝛽) ∑ 𝛽 𝑗 𝐸(𝑧𝑡+𝑗 ), (5.37)
𝑗=0

poiché l’ultimo termine della (5.35) tende a zero al divergere di j. La


condizione (5.36) è nota anche come condizione di trasversalità, in
quanto impone il non verificarsi di traiettorie esplosive del tasso di
cambio, che è governato solo dai valori correnti ed (attesi) futuri dello
stesso. In effetti, in questo modello, questa condizione è rispettata,
poiché richiede che la domanda di moneta non dipenda positivamente
dal tasso d’interesse e quello di cambio è determinato solo dalle
variazione attese delle variabili fondamentali dove il parametro β
assume il ruolo di fattore di sconto6.
È allora evidente il ruolo giocato dall’opinione degli agenti
economici. Pensiamo al caso in cui il prodotto sia effettivamente
sempre pari a quello di pieno impiego e la Banca Centrale annunci un
aumento del 10% dell’offerta di moneta. Se il resto del mondo non
varia la propria offerta, il modello monetario tradizionale prevede un
incremento di prezzi e tasso di cambio proprio del 10% per ristabilire
l’equilibrio. In effetti, questo è ciò che afferma la (5.30), se non ci
fossero in gioco non solo le variazioni dei tassi d’interesse, ma
soprattutto la loro spiegazione sulla base della teoria della parità
6 È evidente che il sentiero è esplosivo se 𝛼𝑖 < − 1.
18 L’approccio monetario alla BP

scoperta dei tassi d’interesse che ha portato alla (5.37). A questo punto
ciò che conta sono i valori dei parametri e quello che si aspettano in
futuro gli agenti economici. Esaminiamo il primo punto, assumendo
che l’incremento della moneta non ha nessuna ripercussione futura. In
questo contesto assume un ruolo chiave la semielasticità del tasso
d’interesse e poichè l’incremento dell’offerta di moneta ha un impatto
minore maggiore è il valore di 𝛼𝑖 . Le stime econometriche indicano
valori di solito molto bassi compresi tra 0,02 e 0,1 (Bilson, 1978,
Stock e Watson, 1993, Ball, 2001), anche se analisi recenti hanno
evidenziato come l’elasticità sia molto diversa in presenza di bassi
tassi d’interesse, come nel Giappone negli anni ’90 e nella decade
successiva. Ad esempio Nakashima e Saito (2009, 2012) osservano
che la semielasticità è compresa tra 0.037 e 0.039 sino al 1995, ma
dopo quella data trovano valori anche superiori ad uno. Risultati
ancora più sorprendenti sono riportati in Inagaki (2009) che la stima
0,087 nel 1994, 0,187 nel 1998 ed addirittura 8,75 nel 2005! Si tratta
di un incremento esponenziale, pari al 4571%, che pone qualche
problema alla nostra teoria.
Se fosse pari a 0,05, che il è valore comunemente accettato per
le economie avanzate, allora il tasso di cambio si svaluta del 9,5%
circa, mentre, se fosse corretta la stima massima ottenuta da Inagaki
(2009) per il Giappone, la svalutazione sarebbe di appena l’1%. Il
motivo è il seguente. L’aumento dell’offerta di moneta richiede un
aggiustamento nella domanda che non si ripercuote solo sui prezzi,
ovvero sul tasso di cambio, ma anche su quello d’interesse. Maggiore
è la sensibilità della domanda di moneta al tasso d’interesse minore è
𝑒
la svalutazione corrente perché, per la UIP con dato 𝑠𝑡+1 , si crea
l’aspettativa di una rivalutazione futura.
Tuttavia gli agenti economici possono attendersi un cambio
futuro diverso. Anzi, dalla discussione precedente abbiamo appreso
che ciò che conta sono proprio le varabili fondamentali previste. In
questa prospettiva assume un ruolo fondamentale il comportamento
atteso della Banca Centrale. Ad esempio, se si crede che la politica
monetaria espansiva sia solo temporanea, nel senso che periodo
successivo l’istituto di emissione provvederà a ritirare l’incremento di
moneta immesso oggi, allora l’effetto sul tasso di cambio corrente è:

𝑠𝑡 = (1 − 𝛽)∆𝑚 − (1 − 𝛽)𝛽∆𝑚 = (1 − 𝛽)2 ∆𝑚


L’approccio monetario alla BP 19

per cui nel caso di una semielasticità pari a 0,05 un aumento


temporaneo dello stock di moneta del 10% provoca subito una
svalutazione del 9% circa ed un apprezzamento del 9,5% in quello
𝑒
successivo (con 𝑧𝑡+2+𝑗 = 0 per j = 1,..) o praticamente nessun effetto
immediato se l’elasticità è quella massima giapponese.
In modo analogo un aumento futuro dell’offerta di moneta ha
già delle ripercussioni immediate sul tasso di cambio proprio perché
agenti economici razionali scontano il futuro sulle variabili monetarie
correnti così come valutano gli asset finanziari sulla base dei redditi
futuri attesi. Ad esempio, l’annuncio della Banca Centrale che
procederà nel periodo futuro ad aumentare lo stock della moneta
domestica del 10%, produrrà subito un deprezzamento al più del 2,5%
se la semielasticità è unitaria.

5.5 Conclusioni
In questo capitolo abbiamo preso in esame l’approccio
monetario alla bilancia dei pagamenti che è stato utilizzato per
analizzare gli effetti di una svalutazione, se siamo a cambi fissi, ed i
fattori che determinano il valore del tasso di cambio flessibile. Per
quanto riguarda il primo punto, i fautori di questa scuola di pensiero
hanno dichiarato di rifarsi al celebre maccanismo di aggiustamento
basato sui flussi di oro ispirandosi a David Hume. In realtà, il
ragionamento del celebre filosofo scozzese differisce da quanto
sostenuto due secoli dopo. Infatti, Hume assegna un ruolo preciso ai
prezzi nel modificare gli scambi commerciale e la distribuzione
dell’oro tra i diversi paesi. Al contrario, i sostenitori del monetarismo
concordano nel ritenere come causa ultima del disequilibrio di
bilancia commerciale la differenza tra le quantità disponibili di
moneta e quelle desiderate. Trascurano invece il ruolo dei prezzi e
sostengono l’importanza degli aggiustamenti solo dal lato della spesa.
In questa prospettiva abbiamo visto come gli effetti di una
svalutazione sono al più temporanei e si limitano a pochi periodi, se le
velocità di aggiustamento sono relativamente elevate. Le politiche
propugnate dai keynesiani sono sbagliate proprio perché destinate a
fallire in breve. È sufficiente lasciare il sistema economico a se stesso
per ottenere l’equilibrio nei conti con l’estero e la quantità ottimale di
20 L’approccio monetario alla BP

moneta in ogni sistema economico. Ogni politica attiva è


controproducente perché costringe gli operatori economici a rivedere
le decisioni di spesa, allontanandoli dal livello ottimale. Ciò significa
che non soltanto le svalutazioni sono inutili, ma anche i dazi, le tariffe,
le quote sui beni importati o qualsiasi azione che interferisca con il
regolare svolgersi del commercio internazionale. Inoltre, politiche
espansive trovano un limite invalicabile nel livello delle riserve
internazionali a disposizione della Banca Centrale. Al loro esaurirsi
viene meno la possibilità di mantenere l’ancoraggio ed il tasso di
cambio deve essere lasciato libero di aggiustarsi. In conclusione, se si
vuole mantenere il regime di cambio fisso non si può condurre una
politica monetaria indipendente.
L’approccio monetario può essere utilizzato anche per
determinare il valore di equilibrio del tasso di cambio. A questo
proposito abbiamo preso in esame un semplice modello di equilibrio
che mostra le interrelazioni tra tasso di cambio e variabili
fondamentali. Queste ultime sono individuate nell’offerta di moneta,
prodotto interno e tassi d’interesse. In particolare ciò che conta per
determinare la percentuale di deprezzamento di una moneta è proprio
la variazione relativa tra queste variabili tra due paesi. Abbiamo visto
che, prima facie, una crescita dell’offerta di moneta nazionale
superiore a quella estera dell’1% determina un pari deprezzamento del
tasso di cambio. Inoltre, se le sensibilità della domanda di moneta
sono simili nei due paesi, una crescita dell’output maggiore di quella
estera provoca un apprezzamento come un tasso d’interesse interno
inferiore a quello estero. Tra le ipotesi fondamentali del modello
monetarista ricordiamo il fatto che l’output è sempre quello di piena
occupazione e che i mercati sono efficienti. Se la prima può essere
emendata per permettere l’analisi di breve periodo, la seconda è un
elemento essenziale di quest’approccio. È parso allora naturale
estendere l’efficienza anche ai mercati finanziari ed in particolare ai
titoli di stato, che possono essere considerati dei sostituti perfetti. Vale
allora la teoria della parità scoperta dei tassi d’interesse che rende
esplicita la dipendenza tra valori correnti del tasso di cambio e quelli
futuri attesi. Inoltre, si può applicare la legge delle aspettative iterate
per mostrare come, in realtà, il tasso di cambio dipende solo dalle
variabili fondamentali correnti e future. Questo risultato è
fondamentale e verrà ripreso in seguito, perché sono proprio le
L’approccio monetario alla BP 21

aspettative sull’evoluzione futura che contribuiscono a determinare


oggi il valore delle endogene. E non sono neppure esclusi a priori
soluzioni particolari, in cui i lontani valori attesi hanno un impatto
significativo sulle variabili attuali.
Quest’ultimo è certamente uno dei risultati più importanti di
quest’approccio, insieme all’attenzione posta agli squilibri ed agli
aggiustamenti negli stock. A dire il vero, durante gli anni ’70, si
accese un ampio dibattito intorno a questa scuola ed al modello
Mundell-Fleming, di cui diremo nel prossimo capitolo, che
rivaleggiavano sia per la spiegazione degli aggiustamenti nella
bilancia dei pagamenti sia per l’attuazione delle politiche economiche.
Molte delle critiche rivolte ai monetaristi erano centrate, nel senso che
la specificazione adottata era un mix discutibile di ipotesi valide nel
lungo periodo (pieno impiego e teoria della parità dei poteri
d’acquisto) ed aggiustamenti di breve (sulla stock della moneta).
Inoltre, un punto essenziale è se effettivamente il comportamento
degli agenti privati è quello descritto prima, con una caduta della
spesa se lo stock di moneta è inferiore a quello desiderato (e
viceversa). Insomma un punto fondamentale è se la domanda di beni e
servizi dipende da un flusso, come il reddito disponibile, o da uno
stock, quale la moneta, o da un mix come abbiamo visto analizzando
l’effetto di Laursen-Metzler. A questo proposito nel prossimo capitolo
prendere in esame il modello più celebre di economia aperta ovvero
quello Mundell-Fleming. Si tratta del caso più celebre di
modellizzazione in termini di flusso, anche se gli aggiustamenti della
moneta hanno un certo ruolo.

You might also like