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5.1 Introduzione
Nel corso degli anni ’60 si sviluppa il cosiddetto approccio
monetario alla bilancia dei pagamenti, che si contrappone a quello
dell’elasticità e dell’assorbimento. Le critiche all’impostazione
keynesiana descritta nei capitoli precedenti erano diverse, soprattutto
da parte di alcuni economisti di impostazione classica o della scuola di
Chicago (Hahn, 1959, Mundell, 1968, 1971, Johnson 1967, 1972,
Frenkel, 1971). In primo luogo non erano accettate alcune ipotesi di
base. Sin dal fondamentale contributo della Robinson (1937), che
aveva formato la generazione di economisti internazionali citati nei
capitoli precedenti, giocava un ruolo chiave la rigidità dei salari e dei
prezzi. Questo è perfettamente logico in un sistema economico con
forte sottoccupazione, in cui sono di secondaria importanza gli effetti
sulle variabili nominali. Le condizioni di Marshall-Lerner possono
essere inquadrate in questa prospettiva: è fondamentale conoscere
sotto quali condizioni una svalutazione porta ad un miglioramento dei
conti con l’estero ovvero della produzione e della occupazione.
Tuttavia, abbiamo visto come l’esperienza inglese del 1967 avesse
ravvivato il dibattito tra ottimisti e pessimisti sulle elasticità. I
sostenitori dell’assorbimento cercava di superare quest’impasse,
mettendo in evidenza come ci sono diversi meccanismi di retroazione
che possono modificare il reddito e l’output. In questa prospettiva una
svalutazione ha un effetto benefico sulla bilancia commerciale non
tanto per l’incremento delle esportazioni nette, ma per la caduta della
domanda interna rispetto al prodotto. Tuttavia, gli economisti della
scuola di Chicago non erano d’accordo perché “the truth lies,
however, in recognition that a fully employed economy cannot use
devalutation alone as a policy instrument for correcting a balance of
payments deficit” (Johnson, 1976, p. 150). Questa affermazione si
basa sul meccanismo di aggiustamento classico attribuito al filosofo
del settecento David Hume noto in letteratura come “price-specie-flow
mechanism”. Hume si scaglia contro la scuola mercantilista che
2 L’approccio monetario alla BP
in virtù della (1.18) emendata per le ipotesi fatte in questo capitolo, tra
cui ∆CD = ∆DBC. Infatti, il conto corrente collassa nella bilancia
commerciale, poiché non ci sono redditi da capitale e lavoro con
l’estero3. Inoltre i movimenti privati di capitale con l’estero
riguardano solo le variazioni di valuta in mano al settore privato. Tutte
le operazioni di importazione ed esportazione avvengono in cambio di
valuta ed il saldo della bilancia commerciale è pure la variazione delle
riserve in valuta della Banca centrale e dei privati. Non a caso nel
terzo capitolo abbiamo detto che la domanda di valuta è dovuta agli
importatori, mentre l’offerta scaturisce dagli esportatori. Eventuali
eccessi di domanda/offerta o sono ripianati dalla Banca Centrale od
eliminati dall’aggiustamento del tasso di cambio. In un sistema di
cambi fissi garantiti dalla Banca Centrale detenere moneta nazionale o
estera è la stessa cosa, proprio perché l’istituto di emissione è
disponibile ad incrementare le proprie riserve emettendo nuovo
circolante. Al più lo stock esistente pone un vincolo alla domanda di
valuta da parte dei residenti. Ma, entro questo limite, non ci sono
problemi per gli importatori, anche se non dispongono direttamente di
contanti esteri. Per semplicità ipotizziamo che questa sia la nostra
situazione e poniamo VP = 0.
A questo punto possiamo mostrare l’equivalenza degli
approcci esaminati sinora. Infatti, dalla (5.6) si ricava:
∆𝑀 − ∆𝐶𝐷 = 𝐍𝐗 = 𝐘 − 𝐀, (5.7)
𝑃 = 𝑆 𝑃𝐵 . (5.8)
𝐿 = 𝑘 𝑃 𝑌, (5.9)
che dipende dal solo reddito nominale con k > 0. Inoltre, si assume
che il prodotto sia sempre pari a quello di pieno impiego. Si tratta di
un’ipotesi cruciale, per cui un aumento della moneta provoca un
aumento proporzionale dei prezzi e del tasso di cambio, a parità di
prezzi esteri. Si tratta dell’estensione all’economia aperta della
neutralità della moneta. È evidente che l’esogeneità del prodotto e
l’assenza di illusione monetaria sono condizioni essenziali per
mostrare come gli shock nominali si ripercuotano solo sui livelli dei
prezzi e del tasso di cambio. In realtà, i propugnatori dell’approccio
monetario credono nella neutralità della moneta e nelle variazioni
proporzionali dei prezzi e del cambio solo nel lungo periodo. Nel
breve, invece, si può verificare un disequilibrio se la domanda non è
compatibile con lo stock di moneta presente nel sistema economico. In
questo caso si mette in moto un processo di accumulo (hoarding)
quando la quantità disponibile è inferiore a quella desiderata:
𝑍 = 𝑃 𝑌̅ − 𝐻, (5.11)
𝐻 = ∆𝑀 = 𝑇𝐵. (5.12)
𝑀𝑡 = (1 − 𝛾)𝑀𝑡−1 + 𝛾𝑘 𝑆𝑡 𝑃𝐵 𝑌̅ , (5.15)
𝑣
𝑃𝑡 = 𝑆𝑡 𝑃𝐵 = [𝐻𝑡 + 𝛾𝑀𝑡−1 ] (5.16)
𝛾𝑌̅
risolta solo se è noto il sentiero dei prezzi interni che, a sua volta, è
determinato dalla teoria dei poteri d’acquisto.
HH
B
P1 A
P0
0 TB1 H
Fig. 4.1 Accumulazione di moneta
Omissis
𝑀 = 𝑃𝑘𝑌̅, 𝑀
̅ 𝐵 = 𝑃𝐵 𝑘 𝐵 𝑌̅ 𝐵 . (5.26)
Vale ancora la teoria della parità dei poteri d’acquisto, per cui
la soluzione del modello è banale:
L’approccio monetario alla BP 13
𝑀 𝑘 𝐵 𝑌̅ 𝐵
𝑆= 𝐵 . (5.27)
𝑀 𝑘 𝑌̅
𝑀 𝐿𝐵 (𝑌 𝐵 , 𝑖 𝐵 )
𝑆= (5.28)
𝑀𝐵 𝐿(𝑌, 𝑖)
𝑠 = (𝑚 − 𝑚𝐵 ) − 𝛼𝑌 (𝑦 − 𝑦 𝐵 ) + 𝛼𝑖 (𝑖 − 𝑖 𝐵 ) (5.30)
𝐵 ])
𝑠𝑡 = (𝑚𝑡 − 𝑚𝑡𝐵 ) − 𝛼𝑌 (𝑦𝑡 − 𝑦𝑡𝐵 ) + 𝛼𝑖 (𝐸[∆𝑝𝑡+1 ] − 𝐸[∆𝑝𝑡+1 (5.31)
1 𝛼𝑖
𝑠𝑡 = 𝑧𝑡 + 𝑠𝑒 . (5.33)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖 𝑡+1
1 𝛼𝑖 𝑒 )
𝐸(𝑠𝑡+1 ⁄Ω𝑡 ) = 𝐸(𝑧𝑡+1 ) + 𝐸(𝑠𝑡+2 , (5.34)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖
𝑛
1 𝛼𝑖 𝑗 𝛼𝑖 𝑛 𝑒
𝑠𝑡 = ∑( ) 𝐸(𝑧𝑡+𝑗 ) + ( ) 𝑠𝑡+𝑛+1 . (5.35)
1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖 1 + 𝛼𝑖
𝑗=0
𝛼𝑖
𝛽= <1 (5.36)
1 + 𝛼𝑖
𝑠𝑡 = (1 − 𝛽) ∑ 𝛽 𝑗 𝐸(𝑧𝑡+𝑗 ), (5.37)
𝑗=0
scoperta dei tassi d’interesse che ha portato alla (5.37). A questo punto
ciò che conta sono i valori dei parametri e quello che si aspettano in
futuro gli agenti economici. Esaminiamo il primo punto, assumendo
che l’incremento della moneta non ha nessuna ripercussione futura. In
questo contesto assume un ruolo chiave la semielasticità del tasso
d’interesse e poichè l’incremento dell’offerta di moneta ha un impatto
minore maggiore è il valore di 𝛼𝑖 . Le stime econometriche indicano
valori di solito molto bassi compresi tra 0,02 e 0,1 (Bilson, 1978,
Stock e Watson, 1993, Ball, 2001), anche se analisi recenti hanno
evidenziato come l’elasticità sia molto diversa in presenza di bassi
tassi d’interesse, come nel Giappone negli anni ’90 e nella decade
successiva. Ad esempio Nakashima e Saito (2009, 2012) osservano
che la semielasticità è compresa tra 0.037 e 0.039 sino al 1995, ma
dopo quella data trovano valori anche superiori ad uno. Risultati
ancora più sorprendenti sono riportati in Inagaki (2009) che la stima
0,087 nel 1994, 0,187 nel 1998 ed addirittura 8,75 nel 2005! Si tratta
di un incremento esponenziale, pari al 4571%, che pone qualche
problema alla nostra teoria.
Se fosse pari a 0,05, che il è valore comunemente accettato per
le economie avanzate, allora il tasso di cambio si svaluta del 9,5%
circa, mentre, se fosse corretta la stima massima ottenuta da Inagaki
(2009) per il Giappone, la svalutazione sarebbe di appena l’1%. Il
motivo è il seguente. L’aumento dell’offerta di moneta richiede un
aggiustamento nella domanda che non si ripercuote solo sui prezzi,
ovvero sul tasso di cambio, ma anche su quello d’interesse. Maggiore
è la sensibilità della domanda di moneta al tasso d’interesse minore è
𝑒
la svalutazione corrente perché, per la UIP con dato 𝑠𝑡+1 , si crea
l’aspettativa di una rivalutazione futura.
Tuttavia gli agenti economici possono attendersi un cambio
futuro diverso. Anzi, dalla discussione precedente abbiamo appreso
che ciò che conta sono proprio le varabili fondamentali previste. In
questa prospettiva assume un ruolo fondamentale il comportamento
atteso della Banca Centrale. Ad esempio, se si crede che la politica
monetaria espansiva sia solo temporanea, nel senso che periodo
successivo l’istituto di emissione provvederà a ritirare l’incremento di
moneta immesso oggi, allora l’effetto sul tasso di cambio corrente è:
5.5 Conclusioni
In questo capitolo abbiamo preso in esame l’approccio
monetario alla bilancia dei pagamenti che è stato utilizzato per
analizzare gli effetti di una svalutazione, se siamo a cambi fissi, ed i
fattori che determinano il valore del tasso di cambio flessibile. Per
quanto riguarda il primo punto, i fautori di questa scuola di pensiero
hanno dichiarato di rifarsi al celebre maccanismo di aggiustamento
basato sui flussi di oro ispirandosi a David Hume. In realtà, il
ragionamento del celebre filosofo scozzese differisce da quanto
sostenuto due secoli dopo. Infatti, Hume assegna un ruolo preciso ai
prezzi nel modificare gli scambi commerciale e la distribuzione
dell’oro tra i diversi paesi. Al contrario, i sostenitori del monetarismo
concordano nel ritenere come causa ultima del disequilibrio di
bilancia commerciale la differenza tra le quantità disponibili di
moneta e quelle desiderate. Trascurano invece il ruolo dei prezzi e
sostengono l’importanza degli aggiustamenti solo dal lato della spesa.
In questa prospettiva abbiamo visto come gli effetti di una
svalutazione sono al più temporanei e si limitano a pochi periodi, se le
velocità di aggiustamento sono relativamente elevate. Le politiche
propugnate dai keynesiani sono sbagliate proprio perché destinate a
fallire in breve. È sufficiente lasciare il sistema economico a se stesso
per ottenere l’equilibrio nei conti con l’estero e la quantità ottimale di
20 L’approccio monetario alla BP