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GIULIANO VOLPE - CATERINA ANNESE - DANILO LEONE - ANITA ROCCO

I MOSAICI PAVIMENTALI
DEL COMPLESSO PALEOCRISTIANO
DI SAN PIETRO A CANOSA (BA)

Lo scavo archeologico nell’area della collina di san Pietro, posta nella pe-
riferia sudorientale della città moderna, in una zona assediata dall’espansione
edilizia, è stato avviato nel 2001 e si è finora sviluppato nel corso di tre cam-
pagne. Si tratta del primo intervento di scavo urbano programmato e sistema-
tico condotto a Canosa1, ispirato sia da ragioni di tipo scientifico e didattico
(la conoscenza integrale del più antico complesso paleocristiano della città, se-
de di una delle più importanti diocesi dell’Italia meridionale2 e l’organizzazio-

1
Lo scavo è condotto, sotto la direzione di chi scrive, dalle Università di Foggia (Di-
partimento di Scienze Umane, Facoltà di Lettere e Filosofia) e di Bari (Dipartimento
di Studi classici e cristiani), in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Puglia, grazie alla disponibilità e all’impegno di Marisa Corrente, re-
sponsabile della tutela del patrimonio archeologico del territorio ofantino. L’équipe
delle campagne 2001-2003 è stata composta da: responsabili dei saggi (I: D. Nuzzo, P.
De Santis, G. Disantarosa, A. Rocco; II: P. Favia, C. Annese, D. Leone; III: R. Giuliani,
A. De Stefano; IV: M. Turchiano, G. Sibilano), della documentazione grafica (G. De Fe-
lice), del laboratorio (A. De Stefano, G. Sibilano, A. Buglione, G. Devenuto), della lo-
gistica (L. Buonamico, M. Ciccarelli, A. Introna). Allo scavo ha preso parte nel corso
del triennio un numeroso gruppo di studenti (complessivamente oltre 200) delle due
università pugliesi. Il supporto tecnico-scientifico è stato garantito dalla cooperativa
Adrìas di Bari.
Per i risultati delle prime campagne si rinvia a G. VOLPE, C. ANNESE, M. CIMINALE,
M. CORRENTE, G. DE FELICE, P. DE SANTIS, P. FAVIA, D. GALLO, R. GIULIANI, D. LEONE, D.
NUZZO, A. ROCCO, M. TURCHIANO, ‘Il complesso paleocristiano di san Pietro a Canosa.
Prima relazione preliminare (campagna di scavi 2001)’, in VetChr, 39, 2002, pp. 133-
190, e a G. VOLPE, C. ANNESE, M. CORRENTE, G. DE FELICE, P. DE SANTIS, P. FAVIA, R. GIU-
LIANI, D. LEONE, D. NUZZO, A. ROCCO, M. TURCHIANO, ‘Il complesso paleocristiano di san
Pietro a Canosa. Seconda relazione preliminare (campagna di scavi 2002)’, in Archeo-
Med, 30, 2003, pp. 107-164.
2
La bibliografia è ormai consistente; è sufficiente pertanto ricordare a tale propo-
sito solo alcuni studi recenti, dai quali è possibile risalire ai numerosi lavori preceden-
ti: G. OTRANTO, Italia meridionale e Puglia paleocristiane. Saggi storici, Bari 1991, pp. 235-
261; Principi, imperatori, vescovi. Duemila anni di storia a Canosa, catalogo della mostra,
Venezia 1992, a cura di R. Cassano, in part. pp. 599-906 per la città in età romana e tar-

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ne di un grande cantiere didattico universitario), sia dalla necessità di opera-
re una tutela preventiva in una porzione urbana a rischio di degrado e distru-
zione per effetto di un’incontrollata espansione edilizia. Lo scavo è peraltro
parte integrante di un più articolato progetto su Canosa tardoantica e altome-
dievale3, a sua volta inserito in una più ampia ricerca sui paesaggi urbani e ru-
rali dell’Apulia tra età romana e medioevo.
La presenza di un complesso paleocristiano nella zona di san Pietro, ipo-
tizzata in base al toponimo e ad alcuni ruderi crollati in seguito alle frane pro-
vocate in età moderna dalla trasformazione dell’area in cava per l’estrazione
del tufo, è stata confermata dagli scavi, che hanno finora riguardato un’area
complessiva di circa m2 1.500, pari a circa un terzo dell’intera superficie del
pianoro occupato verosimilmente dal quartiere episcopale. In particolare si è
potuto accertare come l’iniziativa della costruzione del complesso sia da attri-
buire al potente vescovo Sabino, che resse la diocesi canosina nel pieno VI se-
colo. Incaricato di delicate missioni in Oriente, Sabino fu anche molto attivo
nella costruzione di edifici di culto, come la basilica dei santi Cosma e Damia-
no, poi dedicata a san Leucio, il battistero di san Giovanni e la chiesa del Sal-
vatore presso la chiesa della Vergine Maria. Non a caso il vescovo è definito re-
staurator ecclesiarum dall’autore anonimo dell’operetta agiografica degli inizi
del IX secolo Historia vitae inventionis translationis s. Sabini episcopi4. La prova ar-
cheologica più evidente dell’ampiezza del programma monumentale promos-
so da Sabino, vescovo con particolari capacità imprenditoriali, è costituita dai
numerosi mattoni contrassegnati dal suo monogramma (Savinus) rinvenuti in
vari edifici di culto della città e del territorio (a Canne e Barletta). È la stessa
Historia a indicare la cattedrale di san Pietro e la domus episcopi, nella quale in
un’occasione Sabino avrebbe ricevuto il re goto Totila; nella chiesa di San Pie-
tro, inoltre, Sabino sarebbe stato sepolto dopo la sua morte e la tomba, rima-
sta a lungo sconosciuta (sepolchrum incognitum), sarebbe stata oggetto di una
inventio nel VII secolo grazie alla miracolosa apparizione del santo a Gregorio,
un pellegrino Hispanus; sulla tomba del santo la duchessa Teoderada avrebbe
fatto edificare un’ecclesia, rapidamente divenuta luogo di pellegrinaggio. Suc-
cessivamente, agli inizi del IX secolo si sarebbe verificata una prima translatio
delle reliquie del santo nella nuova cattedrale canosina, per iniziativa del ve-
scovo longobardo Pietro, mentre più tardi, secondo la tradizione barese alla
metà circa del IX secolo, una nuova traslazione avrebbe comportato il trasfe-

doantica; F. GRELLE, Canosa romana, Roma 1993; G. VOLPE, Contadini, pastori e mercanti
nell’Apulia tardoantica, Bari 1996, in part. pp. 95-107; A. CAMPIONE, D. NUZZO, La Dau-
nia alle origini cristiane, Bari 1999, pp. 27-62.
3
Cfr. in questo stesso volume il contributo di M. Corrente, R. Giuliani, D. Leone,
con alcuni dati relativi allo scavo nell’area del Battistero di san Giovanni.
4
Cfr. A. CAMPIONE, ‘Note sulla vita di Sabino di Canosa: inventio e traslatio’, in VetChr,
25, 1988, pp. 617-639; EADEM, ‘La vita e il culto di Sabino’, in Principi, imperatori e vesco-
vi 1992, cit. a nota 2, pp. 832-834; EADEM, ‘Sabino di Canosa tra storia e leggenda’, in
La tradizione barese di S. Sabino di Canosa, a cura di S. Palese, Bari 2001, pp. 23-46; CAM-
PIONE, NUZZO 1999, cit. a nota 2, pp. 32-39.

100
rimento delle reliquie da Canosa alla cattedrale di Bari, intitolata proprio a
san Sabino. Fin qui le notizie delle fonti agiografiche. I dati archeologici, pur
suscettibili di continui aggiornamenti, essendo le ricerche ancora in corso, con-
sentono di riconoscere l’ampia articolazione planimetrica e funzionale del
complesso paleocristiano, con ambienti destinati ad attività liturgiche, pasto-
rali, funerarie, residenziali, amministrative, di rappresentanza, oltre che pro-
duttive. Il nucleo principale era costituito dall’edificio di culto, orientato ad
ovest, largo m 30 e dalla lunghezza non definibile a causa delle frane che han-
no riguardato la parte occidentale, con tre navate (caratterizzate da un quasi
perfetto rapporto di 1:2 tra le navate laterali di m 6,90 e la navata centrale di
m 14); la chiesa, con pregevoli mosaici geometrici nelle navate laterali e un
pavimento di mattoni in quella centrale (forse in sostituzione di un originario
mosaico), era preceduta da un ampio nartece, anch’esso originariamente mo-
saicato e progressivamente fittamente occupato da sepolture. Il nartece costi-
tuiva il lato occidentale di un atrio dotato di due ali porticate a sud e a nord,
molto simile a quello recentemente indagato nell’area antistante il Battistero
di San Giovanni, con la corte centrale scoperta pavimentata con un tessellato
(amb. 18). A sud della chiesa si sviluppava il palazzo episcopale, a pianta ret-
tangolare, con uno spazio centrale scoperto e due gruppi di ambienti disposti
sui lati orientale e occidentale, verosimilmente dotato di un piano superiore.
Nella parte orientale del palazzo, ad un originario unico vano (amb. 13), pa-
vimentato con un mosaico a decorazione geometrica, si sostituirono successi-
vamente tre spazi (amb. 8-9-11), uno dei quali (amb. 11) rivestito da un pavi-
mento costituito prevalentemente da mattoni recanti il monogramma del ve-
scovo Sabino e dotato, come il vano attiguo (amb. 9) di un camino-focolare
(figg. 12-13). Ad est del palazzo episcopale era collocato un ambiente absida-
to, orientato ad est, interpretabile come un mausoleo (amb. 1), il cui accesso
dall’atrio era garantito mediante un vestibolo (amb. 7). I due corpi di fabbri-
ca erano separati da uno stretto corridoio, interamente occupato da tombe si-
stemate in maniera regolare, le cui pareti erano probabilmente decorate da
formelle di terracotta con vari simboli cristiani, rinvenute in gran numero ne-
gli strati di crollo. Tutto il lato meridionale del complesso era occupato da un
ambiente absidato (amb. 2), orientato ad ovest, che accolse al suo interno tre
sepolture; un’intensa destinazione cimiteriale riguardò nel tempo sia lo spa-
zio antistante sia quello a sud di questo edificio. Oltre questo vano si sviluppa-
va un’ampia zona artigianale-industriale con fornaci per la produzione di mat-
toni e di ceramiche, verosimilmente controllate dallo stesso vescovo5.
Gli scavi hanno dimostrato che il gruppo episcopale conservò sostanzial-
mente la fisionomia definita in età sabiniana almeno per tutto il VII secolo,
mentre un processo di progressivo abbandono, con la chiusura di tutti gli in-
gressi, e la riutilizzazione dell’area con altre funzioni, prevalentemente resi-
denziali, si andò verificando tra VIII-IX e X secolo: alcune semplici strutture

5
Al momento però non è ancora certa la produzione dei mattoni sabiniani nell’uni-
ca fornace finora indagata.

101
abitative e sepolture furono ricavate infatti in varie zone del complesso paleo-
cristiano, prima del totale abbandono dell’area in piena età medievale e del
progressivo spoglio degli edifici, protrattosi fino a tempi alquanto recenti.
Per quel che riguarda i pavimenti musivi, è opportuno sottolineare che,
contestualmente alle operazioni di scavo, è stato avviato un progetto di con-
servazione, consistente in semplici attività di pronto intervento, secondo il cri-
terio metodologico del ‘minimo intervento utile’, finalizzate a garantirne la so-
pravvivenza e ad arrestare l’inevitabile processo di degrado determinato dal re-
cupero, nella prospettiva di favorire la conservazione in situ6. Sono stati effet-
tuati interventi di pulitura e di consolidamento dei bordi, avendo sempre cu-
ra di garantire una conservazione preventiva anche mediante il mantenimen-
to di costanti condizioni termo-igrometriche. È inoltre stata effettuata un’ac-
curata documentazione grafica e fotografica, finalizzata anche ad una restitu-
zione grafica, in una sorta di ‘restauro virtuale’, dei vari motivi geometrici con-
servati in maniera molto frammentaria.
(G.V.)

I mosaici della chiesa e dell’episcopio (metà V - inizi VI d.C.)

Il pavimento della chiesa era costituito da un mosaico policromo a deco-


ro geometrico, i cui brani superstiti sono stati rinvenuti solo nella navata me-
ridionale (fig. 2)7. Allo stato attuale l’analisi della campitura consente di rico-
noscere, lungo il muro di delimitazione sud, due cornici geometriche policro-
me che delimitano due tappeti a sviluppo centrale; una composizione, quin-
di, a campi giustapposti in senso longitudinale (E-O), dove sono semplificate
le fasce di inquadramento dei singoli tappeti, sostituite da bande bianche di
separazione (figg. 3-4).
La prima cornice (A) è caratterizzata da rombi e triangoli contrapposti su
un fondo di tessere bianche in materiale lapideo e marmo. I rombi concentri-
ci sono disegnati da tessere nere e campiti da tessere bianche, arancioni e ro-
sa; i triangoli sono riempiti da tessere arancioni e rosa8.
Un’ampia fascia in tessere bianche alternata a due linee doppie in tesse-
re nere segna il passaggio alla seconda bordura (B) costituita da una treccia a

6
Gli interventi sono stati condotti da Velia Polito, che a queste attività conservati-
ve ha dedicato la sua tesi di laurea, presso l’Università di Foggia; la documentazione
grafica computerizzata è opera di Giuliano De Felice: cfr. G. DE FELICE, in VOLPE et alii
2003, cit. a nota 1, pp. 148-150.
7
Anche il nartece doveva presentare un rivestimento pavimentale a mosaico, aspor-
tato nella fase di occupazione cimiteriale dell’ambiente. Oltre alle numerose tessere
rinvenute negli strati di crollo, si riconoscono lacerti musivi riutilizzati nelle strutture
di testata delle tombe.
8
Per la definizione dei motivi si è utilizzato, dove possibile, il repertorio di Décor
1985, pl. 15d. Il motivo delle losanghe concentriche e dei triangoli è attestato fra la fi-
ne del V e gli inizi del VI secolo in area adriatica ed orientale.

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calice policroma, allentata, con orlo diritto e occhielli9. La cornice, delimitata
da un filare di tessere nere e da un doppio filare in tessere nere e rosse, si di-
stingue per la vivace policromia: si registra infatti l’uso di tessere rosa, nere,
rosso scuro, giallino su uno sfondo di tessere bianche. Per il bianco è usato il
marmo e per lo più materiale lapideo, per il rosso scuro e il nero i ciottoli, per
il rosa il marmo (fig. 4).
Il motivo della treccia a calice trova confronti, anche se non sempre strin-
genti per una differente formulazione nella resa del disegno e nella disposi-
zione dei colori, in area apula. Così per lo stesso ambito cronologico e geogra-
fico esso è documentato a Siponto, nel mosaico di II fase della navata centra-
le della basilica paleocristiana (seconda metà del V secolo), nel mosaico della
navata centrale a Sud del presbiterio della basilica A di San Giusto (metà del
V secolo) e a Barletta, nel pavimento della navata centrale della basilica paleo-
cristiana (metà del VI secolo), edificata dal vescovo Sabino10. La treccia a cali-
ce appare in ogni caso molto ricorrente in area greca e orientale, con attesta-
zioni anche in ambito africano e altoadriatico11.
I tappeti musivi che dovevano decorare la fascia centrale della navata non
sono di facile lettura a causa dell’evidente lacunosità che non consente, al mo-
mento, di ricostruire lo sviluppo complessivo dei motivi decorativi (fig. 3). Da-
gli esigui brani rimasti si individua ad Est un motivo (C) che sembra sviluppa-

9
Décor, cit. a nota 8, pl. 74h.
10
Per Siponto: R. GIULIANI, ‘I mosaici del complesso archeologico di Santa Maria
di Siponto’, in Siponto antica, a cura di M. Mazzei, Foggia 1999, pp. 214-218, n. 16, fig.
21; San Giusto: P. DE SANTIS, ‘I mosaici’, in San Giusto. La villa, le ecclesiae. Primi risul-
tati dagli scavi nel sito rurale di San Giusto (Lucera): 1995-1997, a cura di G. Volpe, Bari
1998, p. 161, figg. 205, 206, 208; Barletta: R. GIULIANI, ‘I mosaici del complesso paleo-
cristiano di Barletta’, in VetChr, 37, 1, 2000, p. 162, fig. 2b.
11
Si citano a titolo esemplificativo solo alcuni casi: in Albania a Bylis, nel mosaico
del nartece della basilica A (S. MUÇAJ, ‘Les mosäiques de Bylis et leur place en Épir’,
in Corsi, XL, 1993, p. 586, fig. 1); ad Antiochia: pavimento della House A e mosaico di
Ananeosis (metà del V secolo; S. CAMPBELL, The mosaics of Antioch, Toronto 1988, p. 88,
fig. 74h; C. BARSANTI, ‘I mosaici di Antiochia: riflessioni sulla documentazione archeo-
logica superstite’, in AISCOM I, p. 599, fig. 7); ad Afrodisia in Caria: nel tempio di Afro-
dite, fase bizantina (S. CAMPBELL, The mosaics of Aphrodisias in Caria, Toronto 1991, p.
38, fig. 75a); ad Amphipolis: basilica A, navata S e basilica C (inizi del VI secolo), mo-
saico della navata centrale (D. PALLAS, Les monuments paléochrétiens de Grèce découverts de
1959 à 1973, Città del Vaticano 1977, p. 95, figg. 60, 66). Trecce a calice policrome so-
no rappresentate anche in alcuni tappeti rinvenuti in contesti africani: in una domus
(metà del III secolo) di El Djem (J. LANCHA, Mosaïque et culture dans l’Occident romaine:
(Ier-IVe s.), Roma 1992, tav. XVI, n. 19) e in alcuni mosaici sporadici di VI secolo conser-
vati al Museo del Bardo a Tunisi (sala VII, inv. 2745) e al Louvre (MA 1807 e MA 1808)
(M. A. ALEXANDER, S. BESROUR, M. ENNAIFER, Corpus des Mosaiques de Tunisie. 1.3. Utique.
Les mosaïques sans localisation precise et El Alia, Tunisi 1976, p. 27, pl. XVII, 275). Per quan-
to riguarda l’area nordadriatica, il motivo è attestato, ad esempio, nella basilica di
Sant’Eufemia a Grado (S. TAVANO, ‘Mosaici di Grado’, in ACIAC III, pp. 167-196, in part.
p. 191, fig. 11).

103
re un reticolato di fasce in tessere nere, marginato da due sottili bande di tes-
sere bianche, con quadrati nei punti di incrocio in colori contrastanti rosso e
arancione, su un fondo bianco (fig. 4).
Una fascia costituita da dieci file di tessere bianche, delimitata da due fi-
le di tessere nere separa il tappeto C dal tappeto D, che sviluppa una compo-
sizione ortogonale di cerchi secanti e quadrati concavi, con effetto di quadri-
fogli, disegnati da singoli filari di tessere nere su un campo bianco12; i quadra-
ti a loro volta inscrivono un piccolo quadrato costituito da due file di tessere
nere e quattro centrali rosa. Le tessere bianche, nere e rosa sono in pietra cal-
carea, per il nero e per l’arancione, i ciottoli e talvolta il marmo in sostituzio-
ne della pietra calcarea bianca.
Lo schema dei cerchi intersecatisi e formanti un motivo quadripetalo è
ben documentato nel repertorio decorativo dei mosaici romani e tardoantichi
sia come decoro di interi pavimenti sia, più frequentemente, come modulo ri-
petuto in pannelli di varie dimensioni. Innumerevoli sono le attestazioni di
questo motivo, rielaborato in molteplici varianti che riguardano principalmen-
te il diverso grado di policromia delle campiture, nonché l’utilizzo di riempi-
menti più o meno complessi, nel comprensorio regionale: a S. Leucio a Cano-
sa, nella chiese paleocristiane di Barletta e Bitonto, nelle terme di Herdonia,
nella chiesa A di San Giusto, nella basilica paleocristiana di Venosa, nella cat-
tedrale di Otranto13. Numerosi sono gli esempi anche in ambito adriatico e
mediterraneo, sebbene pertinenti ad un ampio arco temporale14.

12
Décor, pl. 237b.
13
Si vedano rispettivamente: per il mosaico canosino (pannelli nn. 2, 8, 11, 17) R.
MORENO CASSANO, ‘Mosaici paleocristiani di Puglia’, in MEFRA, 88, 1976, pp. 297-300,
figg. 13, 16, 19, 44, 54, 56, 62, 65; per Bitonto R. CASSANO, ‘I mosaici pavimentali della
basilica paleocristiana di Bitonto’, in Bitonto e la Puglia tra tardoantico e regno normanno,
Atti del Convegno (Bitonto 15-17 ottobre 1998), Bari 1999, fig. 5, tav. VIb, p. 155; chie-
sa paleocristiana di Barletta GIULIANI 2000, cit. a nota 10, fig. 3, p. 163; nelle terme del-
la città di Herdonia, corridoio porticato (IV-V sec.), A. ROCCO, M. TURCHIANO, ‘I mosai-
ci delle terme’, in Ordona X. Ricerche a Herdonia (1993-1998), a cura di G. Volpe, Bari
2000, pp. 210-211, n. 60, figg. 236-237; per quello di Lucera (secondo e sesto interco-
lumnio settentrionale, accesso meridionale al presbiterio) DE SANTIS 1998, cit. a nota
10, p. 152, figg. 199, 205, 215; per Venosa (navata centrale della basilica) M. SALVATO-
RE, Venosa: un parco archeologico ed un museo. Come e perché, Taranto 1984, p. 73, fig. 49 e
EADEM, ‘Il complesso episcopale della SS. Trinità: un esempio di stratificazione urbana
tra Tardoantico e Altomedioevo’, appendice a M. L. MARCHI, M. SALVATORE, Venosa. For-
ma e urbanistica, Roma 1997, fig. 173; per l’esempio salentino si veda C. S. FIORIELLO, ‘I
mosaici paleocristiani nel Salento. Connotazione e articolazione negli edifici di culto’,
in Studi Bitontini, 59-60, 1995, p. 33, fig. 13.
14
Si segnalano solo i casi più vicini allo schema adoperato a San Pietro: a Ravenna
(Basilica Apostolorum, stanza C del Palatium) di V secolo, si veda R. FARIOLI, Pavimenti
musivi di Ravenna paleocristiana, Ravenna 1975, pp. 88-89, figg. 32-33; per la basilica
preeufrasiana di Parenzo (inizi V secolo), B. MOLAJOLI, La basilica eufrasiana di Parenzo,
Parenzo 1940, p. 54, tav. VII. In Grecia un motivo molto simile è documentato nelle

104
La sequenza decorativa della navata doveva concludersi a Nord, asimme-
tricamente rispetto al fronte meridionale, con una sola cornice rappresentata
da una treccia a calice, di cui sono stati individuati esigui frammenti.
Un altro brano musivo è conservato in maniera lacunosa a sud della chie-
sa, nell’ampia sala rettangolare, di rappresentanza e di ricevimento, dell’epi-
scopio15. La ricostruzione del motivo geometrico consente di riconoscere due
linee doppie di tessere nere che delimitano una fascia di triangoli e rombi con-
trapposti, in tessere nere e rosse, su un campo di tessere bianche. Nella suc-
cessione dei triangoli è evidente un cambio di registro con triangoli inscritti
in altri triangoli campiti in rosso, e piccoli triangoli in tessere bianche rispar-
miati al centro16. Un tessellato in tessere bianche, inquadrato da doppie linee
di tessere nere, segna il passaggio a una seconda bordura geometrica, visibile
in traccia, costituita da coppie di sinusoidi allacciate formanti una fila di cer-
chi, in tessere bianche, nere, rosse e giallo-ocra. I materiali utilizzati per le tes-
sere sono la pietra per quelle bianche e nere, il marmo per le gialle e le ros-
se ed i ciottoli per alcune tessere nere.
In conclusione, i motivi rinvenuti nella basilica e nell’episcopio, diffusi in
un’ampia area geografica, confermano la propensione, documentata negli edi-
fici di culto di V-VI secolo, all’impiego di schemi geometrici nelle decorazioni
pavimentali.
Il disegno essenziale e l’ordito pavimentale a tratti ingenuo contrasta con
la scelta non casuale dei cinque colori (bianco, nero, giallo, rosso, rosa), il cui
cromatismo acceso trova la sua espressione più evidente nell’adozione del ro-
sa brillante combinato con il rosso. Va sottolineata, inoltre, la scelta di relega-
re la policromia unicamente alle cornici che definiscono, invece tappeti sem-
plificati nelle geometrie e nelle tonalità (sia nel motivo a cerchi secanti sia in
quello a reticolato e quadrati è preponderante l’uso del bianco-nero)17.

stesure musive delle isole di Coo (chiesa di Kamari a Cefalo, della seconda metà del V
secolo) e di Creta (basilica A Suiàs, della metà del VI secolo): S. PELEKANIDIS, Corpus
Mosaicorum Christianorum Vetustiorum Pavimentorum Graecorum. I. Graecia Insularis, Tessa-
lonica 1974, p. 64, tav. 24c e pp. 121-123, tav. 96c. Infine in Albania a Bylis, Basilica A;
nella navata centrale della basilica di Saranda (IV d.C.); Mesaplik, basilica paleocristia-
na (metà IV sec.); Oktisi, nartece (metà V d.C.) si veda S. ANAMALI, S. ADHAMI, Mosaïques
de l’Albanie, Tirana 1984; Stobi, basilica episcopale, navata centrale (seconda metà IV -
metà V) e Heraklea, complesso Ovest della Grande Basilica, sala absidata (seconda me-
tà VI), P. E. KOLARIK, ‘The Floor Mosaics of the Eastern Illyricum’, in ACIAC X, pp. 470,
474, figg. 34, 38.
15
Il lembo pavimentale è localizzato nella parte sud-occidentale del vano, in ade-
renza con il muro di delimitazione ovest dell’ambiente. Una prima analisi degli am-
bienti dell’episcopio in D. LEONE, in VOLPE et alii 2003, cit. a nota 1, pp. 157-160.
16
Anche se di modulo dimensionale differente, ritorna, quindi, lo stesso motivo de-
corativo del pavimento della navata meridionale della chiesa; Décor, pl. 15d
17
L’apparato ornamentale dell’edificio doveva essere completato da un elaborato
opus sectile parietale, di cui si conservano esigui lembi.

105
Rispetto agli altri tessellati canosini (ad esempio San Leucio ed il battiste-
ro di San Giovanni), appare poi significativa la diversità del tratto, il taglio del-
le tessere e l’apparecchiatura dei pavimenti, che mostrano una maggiore re-
golarità dell’ordito ed una messa in opera più accurata18.
La pavimentazione musiva della chiesa di San Pietro, rappresenta, quin-
di, la traduzione in ambito locale di schemi di matrice africana e orientali mol-
to comuni, contaminati e, in alcuni casi, reinterpretati in maniera del tutto au-
tonoma dalle botteghe dei musivarii operanti nel territorio daunio19.
(D.L.)

Il pavimento musivo del mausoleo (amb. 1)

L’ambiente 1, a destinazione funeraria, era originariamente pavimentato,


nella zona compresa tra i muri rettilinei, con un mosaico policromo a disegno
geometrico20 (fig. 5). Il pavimento della zona absidata, che doveva accogliere
una o più deposizioni “privilegiate” in una cassa, probabilmente marmorea o
lapidea ora perduta, era invece in terra battuta21.
Del pavimento musivo si conservano frammenti non contigui che permet-
tono di ricostruire il motivo decorativo solo in relazione alla fascia parallela ai
muri di delimitazione occidentale e settentrionale del vano. Si riconosce una
cornice composta di cerchi formati da coppie di sinusoidi allacciate22, realiz-
zati con tessere di cm 0,5 per lato disposte in modo concentrico, in marmo e
pasta vitrea di colore rosso, amaranto, verde, azzurro e blu su di un fondo co-
stituito da tessere bianche in materiale lapideo e marmo di circa cm 1 per la-
to, disposte su file regolari parallele all’andamento del muro di fondo. In cor-
rispondenza dei punti d’intersezione tra le sinusoidi, sia all’interno che al-
l’esterno della cornice, fiori quadripetali sono disegnati da tessere lapidee ne-
re, di circa cm 1 per lato.

18
Per San Leucio e San Giovanni si veda: R. CASSANO, ‘La Basilica di San Leucio; Il
battistero di San Giovanni’, in Principi, imperatori, vescovi 1992, cit. a nota 2, pp. 841-866
e da ultimo per l’atrio di San Giovanni in questi Atti, M. CORRENTE, R. GIULIANI, D. LEO-
NE, ‘I pavimenti musivi nell’area del battistero paleocristiano di San Giovanni a Cano-
sa (BA): nuovi rinvenimenti’.
19
È attualmente in corso nell’area antistante il Battistero di San Giovanni e nella
chiesa di San Pietro una campagna di campionamenti delle tessere e dei piani di pre-
parazione dei pavimenti. Le indagini archeometriche sono promosse nell’ambito del
Master in Caratterizzazione e conservazione dei materiali lapidei (Dipartimento di Geomine-
ralogia dell’Università di Bari-CIASU) e coordinate dal dott. Fabrizio Vona e dal prof.
Rocco Laviano.
20
A. ROCCO, ‘Il pavimento musivo dell’amb. 1’, in VOLPE et alii 2003, cit. a nota 1,
pp. 149-152.
21
D. NUZZO, ‘La fase di utilizzazione funeraria (periodo IB - C - D, ambienti 1 e 7)’,
in VOLPE et alii 2003, cit. a nota 1, pp. 143-149.
22
Décor, pl. 68 b, d.

106
Nonostante l’esiguità dei frammenti conservati si può distinguere un se-
condo motivo decorativo a losanghe inscritte in rettangolo23: una doppia cor-
nice in tessere verdi e bianche su uno sfondo in tessere rosse racchiude un
rombo allungato il cui perimetro è disegnato da tessere bianche. Quasi tutte
le tessere utilizzate in questo riquadro sono in pasta vitrea di varie sfumature
di colore e misurano cm 0,5 per lato. La cornice a losanghe, posta a decora-
zione dello spazio perpendicolare al muro settentrionale dell’ambiente, defi-
nisce il settore rettangolare che precede l’area absidata e sottolinea il passag-
gio fra i due diversi tipi di pavimentazione dell’ambiente, mosaico e terra bat-
tuta, che rispecchia l’originaria divisione funzionale degli spazi del vano.
I motivi decorativi del pavimento musivo sono tra i più diffusi nel reper-
torio geometrico sia dal punto di vista cronologico che geografico. Nello stes-
so ambito regionale, in contesti coevi, si ritrovano in formulazioni simili nel
battistero di san Giovanni nella stessa Canosa24, nella basilica paleocristiana di
Barletta25 e nella basilica individuata sotto la Chiesa della Trinità a Venosa26.
Nonostante si debba riconoscere una redazione non particolarmente accura-
ta del disegno, il confronto con i pavimenti musivi coevi, ed in particolare con
quelli rinvenuti nell’ambito dello stesso complesso episcopale nella navata me-
ridionale della chiesa e in uno degli ambienti dell’episcopio27, mette in risal-
to l’originalità del mosaico del mausoleo. Le ridotte dimensioni delle tessere,
l’uso della pasta vitrea ed i conseguenti effetti cromatici ottenuti dall’accosta-
mento delle varie sfumature di colore, possono far intravedere una commit-
tenza facoltosa e “privilegiata” in grado di richiedere un prodotto di elevato li-
vello qualitativo, realizzato con materiali rari e ricercati28.

23
Potrebbe trattarsi di un motivo a losanghe inscritte in rettangoli simile a Décor, pl.
18a.
24
MORENO CASSANO 1976, cit. a nota 13, pp. 312-314, figg. 29-30 e 71-72 (motivo a
sinusoidi allacciate: ambiente sudorientale e vano adiacente all’abside settentrionale
del nartece), p. 312, figg. 29 e 71 (motivo a losanghe: ambiente sudorientale), prima
metà VI secolo.
25
GIULIANI 2000, cit. a nota 10, pp. 166-176, figg. 7-9, 13, 15 (motivo a sinusoidi al-
lacciate: navata meridionale e ambiente esterno a S); pp. 161-163, fig. 3 (motivo a lo-
sanghe: zona antistante al presbiterio), metà VI secolo.
26
MARCHI, SALVATORE 1997, cit. a nota 13, pp. 149-151, figg. 168-169, 172 (motivo a
sinusoidi allacciate: navata centrale), fine VI secolo.
27
V. supra il contributo a cura di D. LEONE.
28
L’uso delle tessere in pasta vitrea ricorre per lo più nei mosaici parietali. Nei pa-
vimenti tessere in questo materiale sono utilizzate in quantità limitate per mettere in
risalto dettagli e particolari, soprattutto in mosaici figurativi (M. G. MAIOLI, ‘Mosaici pa-
vimentali con paste vitree: due schede dalla Romagna’, in AISCOM V, pp. 67-74, in par-
ticolare p. 67). Tessere vitree sono state ritrovate a Canosa anche nell’area del Battiste-
ro di san Giovanni, dove si presume fossero utilizzate per la decorazione delle pareti
(M. FALLA CASTELFRANCHI, ‘Canosa nel VI sec. fra Roma e Costantinopoli’, in San Sabi-
no. Uomo di dialogo e di pace tra Oriente ed Occidente. Anno domini 2002. Atti del Convegno
di Studi in occasione del XII Centenario della translazione del corpo di San Sabino e

107
La vita del mosaico non fu molto lunga: in un periodo di poco successi-
vo alla sua messa in opera esso fu parzialmente asportato per la realizzazione
di due tombe terragne che, disposte parallele tra loro con andamento E-O, oc-
cuparono quasi tutto lo spazio rettangolare del vano29. Il pavimento fu risarci-
to in gran parte con lastre di marmo ed elementi fittili e lapidei di reimpiego.
In una piccola porzione, limitata probabilmente alla fascia lungo il muro orien-
tale, si registra invece un tentativo di restauro del mosaico, del quale è ripro-
posto, in forma più grossolana e meno accurata, il motivo decorativo median-
te l’uso esclusivo di tessere che misurano da uno fino a tre centimetri per la-
to, in materiale lapideo bianco e nero (fig. 5).
La creazione di una terza sepoltura a fossa, parallela al muro occidentale
del vano, comportò l’asportazione parziale del mosaico restaurato per far po-
sto ad un’iscrizione musiva messa in opera sulla superficie delle lastre calca-
ree che chiudevano la tomba.
L’iscrizione, rinvenuta in uno stato fortemente lacunoso, è composta di
lettere di modulo abbastanza regolare, disegnate da un’unica fila di tessere ne-
re in materiale lapideo, di forma irregolare, di circa cm 1,5 per lato e recita
30
H. i. c. re[quie]/sc[i]t] S[- - -]/[˙ 2 ˙]MONIS. [- - -] (fig. 5). Si tratta dell’unica iscri-
zione sepolcrale musiva ad oggi nota in ambito regionale.

Il tessellato dell’atrio (amb. 18)

Il cortile centrale dell’atrio porticato (amb. 18)31 è rivestito da un pavi-


mento a mosaico a grandi tessere che si conserva per gran parte della porzio-
ne finora messa in luce del vano, malgrado alcune lacune32 (fig. 6). Si tratta
di un tappeto rettangolare in tessere bianche, riquadrato da una triplice cor-

per i 900 anni di dedicazione della Chiesa Cattedrale di Canosa (Canosa, 26-28 otto-
bre 2001), a cura di L. Bertoldi Lenoci, Trieste 2002, pp. 77-85, in particolare p. 80).
L’esistenza di un’officina tardoantica per la produzione del vetro nella Puglia setten-
trionale è stata ipotizzata in seguito al ritrovamento nel complesso paleocristiano di San
Giusto (Lucera) di alcune tessere vitree erratiche, anch’esse attribuite a mosaici parie-
tali, che, all’analisi archeometrica, si sono rivelate simili a campioni provenienti da Fa-
ragola (Ascoli Satriano) (DE SANTIS 1998, cit. a nota 10, p. 151 e C. FIORI, M. VANDINI,
M. MACCHIAROLA, ‘Le analisi archeometriche di un campione di tessere musive vitree’,
ibidem, pp. 177-183, in part. p. 183) e sembra confermata dai recenti ritrovamenti ca-
nosini e nella villa tardoantica di Faragola (G. VOLPE, G. DE FELICE, M. TURCHIANO, ‘I
rivestimenti marmorei, i mosaici e i pannelli in opus sectile della villa tardoantica di
Faragola (Ascoli Satriano, Foggia)’, in questi stessi Atti).
29
NUZZO 2002, cit. a nota 21, pp. 145-146.
30
NUZZO 2002, cit. a nota 21, pp. 146-147.
31
D. NUZZO, ‘Costruzione dell’atrio porticato (periodo I B-D, amb. 18)’, in VOLPE et
alii 2003, cit. nota 1, pp. 130-135.
32
A. ROCCO, ‘Rivestimenti pavimentali e parietali’, in VOLPE et alii 2003, cit. a nota
1, pp. 135-139.

108
nice in tessere nere e rosse alternate e da una bordura in lastre calcaree di for-
ma quadrata e rettangolare giustapposte. Le tessere, in pietra calcarea, ciotto-
li e terracotta, hanno forma e superficie irregolare e misurano mediamente
cm 4 per lato.
Indizi di un’esecuzione poco accurata del mosaico provengono dalla let-
tura della trama del tappeto piuttosto irregolare e caratterizzata da un ordito
estremamente disordinato ma compatto, in cui le tessere riempiono senza al-
cun ordine compositivo la superficie delimitata dalle cornici e dall’osservazio-
ne dell’aggiunta di due file di tessere bianche a spezzare l’alternanza rosso/
nero nella cornice del tappeto presso l’angolo S-E dell’ambiente. Quest’ulti-
mo dato, che potrebbe spiegarsi in realtà anche come effetto di un restauro,
sembra piuttosto frutto della diversificazione della manodopera o della scan-
sione temporale della posa in opera del pavimento nell’ambito dello stesso
cantiere.
Piccoli interventi di restauro sono stati individuati nel settore orientale,
dove la bordura esterna in lastre calcaree è stata risarcita con la giustapposi-
zione di tessere di diverso colore, probabilmente in concomitanza con il con-
solidamento del muro di catena meridionale33 e presso il muro S del cortile,
dove la cornice musiva è stata sostituita per un breve tratto da tessere bian-
che.
Pavimenti a mosaico a grandi tessere marmoree sono attestati frequente-
mente a Roma dalla fine del III fino al V-VI secolo34 e ad Ostia tra III e IV se-
colo35, con punte di massima diffusione in età tardoantica quando si impon-
gono per la semplicità e la velocità della loro messa in opera. Fuori di Roma

33
NUZZO 2003, cit. a nota 31, p. 132.
34
Le più antiche attestazioni a Roma sono relative ad alcuni pavimenti della Villa
sotto San Sebastiano, del Ninfeo della Villa dei Quintili (III secolo), delle terme di Ca-
racalla, delle terme alessandrine-neroniane, della villa di Massenzio, dell’impianto ter-
male massenziano del Palatino (IV secolo). La più tarda è costituita dal pavimento del-
lo scomparto interno del settore diagonale orientale della chiesa di S. Stefano Roton-
do (età simmachiana). Per la bibliografia specifica si rimanda a GUIDOBALDI, GUIGLIA
GUIDOBALDI 1983, pp. 198-261. Tra IV e V secolo si ascrivono i pavimenti di S. Puden-
ziana, dei vani I e II sotto Santa Cecilia in Trastevere, degli ambienti al di sotto della
chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, dell’edificio sotto San Teodoro, della domus sotto
San Pietro in Vincoli, dell’atrio quadriportico di San Sisto Vecchio, dell’edificio presso
l’arco di Tito (GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 202-217, 255-258), delle ta-
bernae prospicienti la salita del Grillo nei Mercati di Traiano (L. UNGARO, M. VITTI, ‘Sul-
le pavimentazioni dei mercati di Traiano’, in AISCOM VIII, pp. 393-414, figg. 8-10).
35
Pavimenti delle Terme del Filosofo, della domus di Amore e Psiche, delle terme
IV, IV 8, della domus del Protiro (BECATTI 1961, rispettivamente n. 407, tav. CCIII, n. 28,
n. 347, n. 396, tav. XLVI), della domus IV, IV 7 (F. GUIDOBALDI, ‘Una domus tardoantica
inedita di Ostia ed i suoi pavimenti’, in AISCOM II, pp. 527-534, figg. 7-11) e delle ter-
me della Marciana (F. OLEVANO, M. ROSSO, ‘Il mosaico a grandi tessere marmoree delle Ter-
me “della Marciana” a Ostia’, in AISCOM VIII, pp. 561-566, figg. 4-11), inquadrabili tra
III e IV secolo.

109
gli esempi sono abbastanza rari ad eccezione di una serie di manufatti rinve-
nuti nella Grecia settentrionale36.
Nel pavimento dell’atrio canosino al marmo, di difficile reperimento, si
sostituiscono la pietra calcarea, i ciottoli e la terracotta. Il ritrovamento del tes-
sellato di san Pietro e la ripresa degli scavi stratigrafici nell’area di Piano san
Giovanni, hanno permesso di datare al VI secolo il pavimento a grandi tesse-
re che riveste l’atrio del Battistero37, anch’esso di committenza sabiniana, mo-
strando una predilezione per questo tipo di pavimentazione in relazione ad
aree scoperte.
In ambito regionale mosaici a grandi tessere lapidee e in terracotta sono
stati rinvenuti a Canne38, Venosa39, Trani, Ruvo, Bitonto, Modugno e Bari40. In
tutti i casi si tratta di rivestimenti attribuiti a fasi tarde, altomedievali e medie-
vali, che dimostrano la diffusione di una tecnica che evidentemente ben si ade-
guava alla disponibilità di materie prime della regione ed all’abilità tecnica de-
gli esecutori.

Frammenti musivi dal portico meridionale dell’atrio (amb. 18)

Tre piccoli frammenti musivi sono stati rinvenuti nell’ala meridionale del
portico (amb. 18) a N del muro di chiusura meridionale dell’atrio. Composti
di poche tessere residue bianche, nere e rosa rispettivamente in pietra calca-
rea, ciottoli e marmo, che misurano cm 1 x 1 x 0,5 e sono allettate in uno stra-
to di preparazione piuttosto esiguo, è probabile che costituiscano le labili trac-
ce di una originaria pavimentazione musiva dell’ala porticata meridionale, pre-
cedente alla fase di utilizzazione funeraria.
(A.R.)

36
Si tratti di pavimenti rinvenuti a Salonicco, Nikopolis, Nea Anchialos e Amphipo-
lis databili tra IV e VI secolo. V. GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 252-253.
37
M. CORRENTE, R. GIULIANI, D. LEONE, ‘I pavimenti musivi nell’area del battistero
paleocristiano di san Giovanni a Canosa (BA): nuovi rinvenimenti’, in questi stessi
Atti.
38
I frammenti musivi sono stati individuati nell’area della cittadella, dove sorgono
due edifici di culto di incerta datazione, e presso il castello (G. BERTELLI, ‘Rivestimen-
ti pavimentali in Puglia nell’alto Medioevo’, in Studi in onore di Michele d’Elia: archeolo-
gia, arte, restauro e tutela, archivistica, a cura di C. Gelao, Matera 1996, pp. 75-84, in part.
p. 77).
39
Il pavimento riveste il prolungamento della navata centrale della cosiddetta “chie-
sa vecchia” sotto la chiesa della Santa Trinità ed è datato al XII secolo (M. SALVATORE,
‘I mosaici nell’area del complesso episcopale della SS. Trinità a Venosa’, in AISCOM IV,
pp. 473-490, in part. pp. 481-482, figg. 16-18).
40
I rivestimenti sono stati individuati a Trani e Ruvo nella Cattedrale, a Bitonto nel-
la Cattedrale e nella chiesa di Santa Caterina, a Modugno nella chiesa di Santa Maria
della Grotta, a Bari nella Cattedrale e nella chiesa di San Michele. Per la bibliografia
specifica si rimanda a BERTELLI 1996, cit. a nota 38, pp. 75-84.

110
I pavimenti in cotto del complesso episcopale (metà VI - inizi VII secolo)

Fra la seconda metà del VI e gli inizi del VII secolo nella navata meridio-
nale il mosaico fu restaurato con la messa in opera di alcune lastre calcaree,
lisciate e sommariamente squadrate, corredate da frammenti laterizi e marmo-
rei (pavonazzetto e brecce probabilmente di reimpiego), posti di piatto e al-
lettati su malta biancastra. Nel nartece la realizzazione di numerose sepolture
determinò la progressiva asportazione del pavimento musivo originario, per il
quale sono stati ipotizzati piccoli risarcimenti almeno nella prima fase d’im-
pianto delle strutture tombali41.
La navata centrale, invece, presentava una pavimentazione in cotto, i cui
resti sono estremamente articolati e vari e non escludono rimaneggiamenti e
restauri42 (figg. 7-8).
Il pavimento si compone di una serie di schemi decorativi che si sviluppa-
no su fasce parallele, definite da lastre lapidee e marmoree, e riquadri in cui
si alternano mattoni quadrati e rettangolari di differenti dimensioni; le tona-
lità del cotto, varianti dal rosso mattone al marrone chiaro ed al giallognolo,
determinano, in alcuni casi, un piacevole effetto cromatico. I pur lacunosi re-
sti pavimentali permettono, quindi, di escludere una stesura omogenea di mat-
toni senza specifici scopi decorativi, confinata di solito ad alcuni ambienti di
servizio o di media importanza43.
La ricostruzione dello schema decorativo consente di riconoscere, parten-
do da Nord, una doppia fascia (larga m 0,80) di lastre calcaree, allineate più
o meno regolarmente in senso Est-Ovest, ben squadrate o frammentarie e squa-
drate più sommariamente, una breccia e frammenti di marmi bianchi. Questa
banda lapidea delimita una fascia di mattoni quadrati, di colore rosso ruggi-
ne, tagliati a quattro spicchi triangolari, con effetto a croce44 (fig. 8). Segue in

41
V. P. FAVIA, ‘Utilizzo cimiteriale del nartece. Limitati restauri del piano pavimen-
tale della chiesa (Periodo IC-D)’, in VOLPE et alii 2003, cit. a nota 1, p. 126, fig. 22; pp.
122-123.
42
La superficie del pavimento risulta caratterizzata da numerosi affossamenti e/o
cedimenti accidentali (per i quali le indagini hanno permesso di escludere una funzio-
ne sepolcrale), probabilmente determinati dai poderosi crolli del tetto e dei muri del-
la chiesa.
43
Cfr. F. GUIDOBALDI, L. GREGORI, ‘Pavimenti a commesso di mattonelle in laterizio
di età romana. Indagine preliminare’, in AISCOM III, pp. 247-260, in part. p. 249.
44
La fascia sembra restringersi verso Sud, concludendosi all’altezza dello stipite
Nord dell’ingresso. Tale motivo richiama il contrassegno a croce ben documentato fra
i laterizi rinvenuti nel sito; altri esemplari solcati a croce provengono dall’area subdia-
le dell’ipogeo tardoromano di Lamapopoli a Canosa (v. A. CAMPESE SIMONE, ‘Note sui
laterizi con contrassegno nelle aree funerarie della Puglia settentrionale’ in I laterizi in
età medievale. Dalla produzione al cantiere, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Roma
4-5 giugno 1998), a cura di E. De Minicis, Roma 2001, pp. 190-198, in part. p. 192, fig.
2; p. 194); si segnalano mattoni simili nei contesti di VI-VII secolo della Basilica Nova
di Cimitile (L. PANI ERMINI et alii, ‘Indagini nel comprensorio martiriale di S. Felice a
Cimitile’, in RACrist, XLIX, 1993, pp. 229-313, in part. pp. 241-242) e nella necropoli

111
corrispondenza dell’entrata della chiesa una fascia di pedali più o meno rego-
larmente affiancati e allineati, ed un’altra con prevalente uso di frammenti di
lastre marmoree45. Quasi in asse con l’ingresso, inoltre, si legge una sorta di
emblema: un riquadro di cm 80 x 80, campito da grandi lastre lapidee e circo-
scritto da un filare di mattoni rettangolari (cm 39 x 29), a loro volta margina-
ti da tre file di pedali46. Più a Sud si ritrovano nuovamente bande di mattoni
quadrangolari e rettangolari (cm 43 x 19) ed alcuni bessali.
Dall’analisi della disposizione dei mattoni e dalla conseguente irregolari-
tà dei filari, che mostrano un progressivo restringimento da Nord-Ovest verso
Sud-Est, è possibile ipotizzare una posa in opera del materiale partendo da
Nord verso Sud. Nella metà ovest della navata il pavimento è arrangiato più
sommariamente e può essere il risultato di rifacimenti successivi47.
Numerosi bolli e marchi di fabbrica sono distribuiti casualmente e senza
un apparente criterio per tutta la navata: si riconoscono numerosi mattoni con
bollo di Sabino, P graffita, fiore esapetalo, croce e ghirlanda più o meno arti-
colata, croce a bracci espansi e piccola ancora e due lacerti musivi di reimpie-
go, in tessere bianche e nere con motivo a rettangoli e quadrati48

di Altavilla Silentina (G. BISOGNO, ‘Tegole e mattoni’, in Villaggi fluviali nella pianura pe-
stana del secolo VII. La chiesa e le necropoli di S. Lorenzo di Altavilla Silentina, a cura di P.
Peduto, Salerno 1984, pp. 149-156, tavv. LV-LVI, in part. p. 149, tav. LV, nn. 1-3).
45
Si scorge un pavonazzetto, una breccia, un giallo antico. La fascia, posta in cor-
rispondenza dello stipite Sud della chiesa, si interrompe irregolarmente a m 5 dal mu-
ro di facciata.
46
Non è da escludere che motivi simili siano stati sviluppati in altri settori della na-
vata.
47
Si rileva, infatti, non solo l’uso di materiale frammentario, indicatore primario di
un rimaneggiamento, ma anche un’esecuzione dei disegni pavimentali e una posa in
opera dei mattoni marcatamente inferiore.
48
L’ampia gamma di mattoni rinvenuti va riferita ad una produzione fittile di com-
mittenza vescovile, le cui figline sono state probabilmente individuate nel settore me-
ridionale del complesso; al momento è stata in parte indagata una fornace per la pro-
duzione di laterizi, compresi forse i mattoni sabiniani; al riguardo cfr. M. TURCHIANO,
‘Saggio IV’, in VOLPE et alii 2003, cit. a nota 1, pp. 146-148. Mattoni con decorazioni a
rilievo di vario tipo (ruote raggiate, croci con piccole lettere in greco, croci con lette-
re apocalittiche, fiori esapetali ecc.), o decorati anche solo con monogrammi, sono sta-
ti rinvenuti a Canosa anche nella Basilica di San Leucio, nell’area esterna al Battistero
di San Giovanni (informazione di D. Leone e R. Giuliani), nell’area del Tempio di Gio-
ve Toro, ma anche in centri vicini come Canne e Barletta. Per i mattoni canosini deco-
rati si veda ora la sintesi di G. BERTELLI, Corpus della Scultura Altomedievale, XV. Le dioce-
si della Puglia centro-settentrionale. Spoleto 2002, pp. 236-237, tav. LXXVI; 250-254, tavv.
LXXXVII-LXXXVIII; p. 258, tav. XCII; per Canne v. M. CORRENTE, ‘Canne della Batta-
glia’, in BERTELLI 2002, cit. in questa nota, pp. 203-234; in part. p. 207; per i laterizi im-
pressi rinvenuti nella cattedrale di Barletta v. P. FAVIA, R. GIULIANI, ‘Preesistenze sacre
nel sottosuolo della cattedrale di Barletta. Prime indagini archeologiche’, in VetChr, 34,
1997, pp. 329-365, in part. pp. 355-356; mattoni decorati con rosoni e girali sono stati
rinvenuti in un impianto rurale in località Madama a Barletta (cfr. M. CORRENTE, ‘Lo-
calità Madama’, in Taras XXI, 1, 2001, p. 48). In generale su questa produzione si ri-

112
Presumibilmente nel corso della stessa età sabiniana, o negli anni imme-
diatamente successivi, una pavimentazione in cotto venne realizzata in uno de-
gli ambienti (amb. 11) in cui era stato suddiviso l’episcopio. Anche qui file pa-
rallele di lastre calcaree definiscono una serie di riquadri, campiti da laterizi
rettangolari e quadrangolari. I mattoni quadrati riportano, quasi nella metà
dei casi, un bollo con il monogramma del vescovo Sabino; anche in quest’am-
biente si segnalano mattoni con P incisa49 (figg. 9-10).
L’uso del cotto doveva essere abbastanza frequente nei pavimenti di chie-
se paleocristiane ed altomedievali in Italia meridionale, sebbene spesso siano
documentati rivestimenti modesti, non decorati o ornati da motivi poco com-
plessi50.
In Apulia pavimenti in laterizio sono attestati, tra V e VI secolo, nel com-
plesso episcopale di San Giusto (episcopio e complesso termale; ingresso del
gazophilacium), nella basilica paleocristiana di Egnathia (ultima fase d’utilizzo
del vano C - battistero) ed a Venosa, nella cd. Chiesa vecchia del complesso
della SS. Trinità (mattoncini in cotto disposti a spina di pesce nelle navatelle
laterali)51. Anche in Calabria sono abbastanza frequenti nel VI secolo gli esem-
pi di pavimenti in cotto in complessi di culto: a Botricello, in località Piscino
di Piscopio a Vibo Valentia, in uno degli ambienti della sinagoga di Bova Ma-
rina e, in fasi più tarde, nella chiesa di San Martino a Copanello di Stalettì52.

manda a P. ARTHUR, D. WHITEHOUSE, ‘Appunti sulla produzione laterizia nell’Italia cen-


tro-meridionale (VI-XII)’, in ArcheoMed, X, 1983, pp. 525-537, in part. pp. 533-534.
49
L’uso pavimentale di mattoni recanti il bollo sabiniano era documentato sinora
solo nel battistero di San Giovanni a Canosa; per un elenco aggiornato delle attestazio-
ni dei mattoni di Sabino v. P. FAVIA, ‘Ristrutturazione del complesso edilizio: costruzio-
ne degli ambienti 8, 9 e 11 (periodo ID)’, e G. VOLPE, ‘Considerazioni generali’, in VOL-
PE et alii 2003, cit. a nota 1, p. 162, nota 113; p. 181, nota 193 e bibliografia relativa.
50
Nella stessa area di San Pietro, il recupero, nell’ambiente absidato posto nel set-
tore meridionale, di numerosi tasselli pavimentali in terracotta di varia forma (quadra-
ta, rettangolare, romboidale, esagonale), ha permesso di ipotizzare un rivestimento pa-
vimentale con piccoli elementi fittili (cfr. R. GIULIANI, ‘Costruzione e vita dell’ambien-
te 2 (Periodo IA)’, in G. VOLPE et alii 2002, cit. a nota 1, p. 172).
51
Cfr L. PIETROPAOLO, ‘La chiesa A’, in San Giusto 1998, cit. a nota 10, pp. 85-94, in
part. pp. 90-91; C. ANNESE, P. FAVIA, ‘Saggio X’, in G. VOLPE et alii, ‘San Giusto (Luce-
ra, FG)’, in Taras, XX, 2001, pp. 99-106, in part. pp. 102-103; R. MORENO CASSANO, ‘Ar-
chitetture paleocristiane di Egnathia’, in VetChr, 12, 1975, pp. 155-191, in part. pp. 160-
162; SALVATORE 1997, cit. a nota 39, p. 475. Pavimenti in mattoni associati a stesure mu-
sive si ritrovano, inoltre, nella basilica urbana di Porto a Roma, nella quale viene riuti-
lizzata la pavimentazione di una più antica aula rettangolare d’incerta funzione, costi-
tuita da un mosaico in bianco e nero, nella navata centrale ed in quella sinistra, e da
un pavimento in mattoni bipedali, variamente restaurato nel corso del VI secolo, nel-
la navata destra; al riguardo v. L. BORRELLO, M. MAIORANO, L. PAROLI, M. SERLORENZI,
‘La basilica urbana di Porto’, in Ecclesiae Urbis. Atti del congresso internazionale di
studi sulle chiese di Roma (IV-X secolo), Roma 4-10 settembre 2000, a cura di F. Gui-
dobaldi e A. Guiglia Guidobaldi, Roma 2002, pp. 1263-1285, in part. pp. 1270-1271.
52
V. in generale E. DONATO, C. RAIMONDO, ‘Nota preliminare sull’utilizzo e la pro-
duzione di mattoni nella Calabria postclassica. I mattoni dello scavo del Castrum di S.

113
Più rari sono i pavimenti in cotto decorato con motivi a stampo od incisi;
si tratta di una soluzione decorativa presente, in contesti cronologici diversi, a
Barletta ed a San Vincenzo al Volturno53.
In area balcanica pavimenti in mattoni, organizzati in motivi geometrici,
con bolli o marchi di fabbrica, sono documentati nel V-VI secolo in Serbia e
Bulgaria54. Si segnalano nello stesso arco cronologico, inoltre, pavimenti in la-
terizio in Albania ed in Grecia55.
(C.A.)

Maria del Mare a Stalettì (CZ)’, in MEFRM, 113, 2001, pp. 173-201 e bibliografia rela-
tiva, in part. pp. 189-190, note 68 e 71; per l’edificio, con atrio pavimentato in matto-
ni, individuato in località Piscino di Piscopio a Vibo Valentia e per la pavimentazione
di un ambiente laterale, datato all’VIII secolo, della trichora di S. Martino, v. A. COSCA-
RELLA, ‘Scavi e scoperte di archeologia cristiana in Basilicata e Calabria dal 1983 al 1993’,
in CNAC VII, 1993, pp. 781-792; cfr. inoltre L. COSTAMAGNA, ‘La sinagoga di Bova Ma-
rina (RC): una proposta di interpretazione delle strutture’, in CNAC VII, 1993, pp. 795-
808, tavv. CCCXXVI-CCCXXIX, in part. p. 804, tav. CCCXXVIII, fig. 6. A Naxos, in Si-
cilia, sono state individuate fornaci che nel V-VI secolo producevano tegole e mattoni
contrassegnati con piccoli bolli circolari di due tipi, a margherita ed a stella a cinque
punte (A. M. FALLICO, ‘Naxos: fornaci tardo-romane’, in Kokalos, 22-23, 1976-1977, pp.
632-633).
53
V. FAVIA, GIULIANI 1997, cit. a nota 48, pp. 355-356; J. MITCHELL, ‘The early me-
dieval tiles and modillions’, in San Vincenzo al Volturno 3: The Finds. From the 1980-1986
Excavations, a cura di J. Mitchell, I. L. Hansen, Spoleto 2001, pp. 83-121; I. RIDDLER,
‘The Garden Court’, in San Vincenzo al Volturno 1. The 1980-1986 Excavations. Part I, a
cura di R. Hodges, London 1993, pp. 191-209, in part. pp. 194-195, fig. 10:3.
54
In Serbia cfr. i pavimenti in cotto della Grande e Piccola basilica di Nicopolis-Tsa-
richin Grad, o quelli di Kroumovo Kale e Svinjarica, mentre in Bulgaria quelli di Dino-
getia, Doli Voden e Tsaravets (Veliko Turnovo). Al riguardo v. A. POULTER, ‘Churches
in Space. The early Byzantine city of Nicopolis’, in Churches built in Ancient Times. Recent
studies in Early Christian Archaeology, a cura di A. Poulter, Londra 1994, pp. 249-268, in
part. pp. 257-258, e bibliografia relativa; IDEM, ‘Area F: The Large Basilica’, ‘Area K The
Small Basilica’ in Nicopolis ad Istrum: a roman, late roman, and early bizantine city, a cura
di A. Poulter, London 1995, pp. 145-195; in part. pp. 168-163, 179-182.
55
Cfr. i pavimenti in cotto delle basiliche di Zaradishte, Tirana, Gjuricaj, Paleoka-
stra in Albania e quelli delle basiliche B, C e D di Amphipolis in Grecia. In proposito v.
S. ANAMALI, ‘Architettura e decorazione tardoantica in Albania’, in Corsi, XL, 1993, pp.
447-474, in part. pp. 466-467, fig. 8; pp. 471-472, fig. 10; A. BAÇE, ‘Kestellia e Paleoka-
stres (la forteresses de Paleokastra)’, in Iliria, XI, 2, 1981, pp. 165-212, tavv. I-XVII, in
part. pp. 187-210, 214-215, fig. 22, tavv. VII-VIII; E. STIKAS, ‘Les basiliques paléochrétien-
nes d’Amphipolis de Macédoine récemment découvertes’ in Corsi, XIX, 1972, pp.
297-310.

114
Fig. 1 - Canosa, veduta aerea del complesso episcopale di San Pietro (foto G. Volpe).

Fig. 2 - Canosa, pianta generale dell’area di scavo (disegno G. De Felice).

115
Fig. 3 - Canosa, navata meridionale: particolare del mosaico, cornici A-B, tappeto C (fo-
to G. Volpe).

Fig. 4 - Canosa, ricostruzione della decorazione geometrica del mosaico della navata
sud (disegno G. De Felice).

116
Fig. 5 - Canosa, complesso episcopale di San Pietro, mausoleo absidato, frammenti mu-
sivi (foto G. Volpe).

Fig. 6 - Canosa, complesso episcopale di San Pietro, cortile dell’atrio porticato, pavi-
mento a grandi tessere (foto G. Volpe).

117
Fig. 7 - Canosa, rilievo del pavimento in laterizi della navata centrale (disegno C. An-
nese, D. Leone, F. Taccogna).

118
Fig. 8 - Canosa, dettaglio del pavimento in laterizi della navata centrale (foto G.
Volpe).

Fig. 9 - Canosa, episcopio: pavimen-


to in mattoni con il monogramma
del vescovo Sabino (foto G. Volpe).

119
Fig. 10 - Canosa, episcopio: rilievo del
pavimento in mattoni (disegno G. De
Felice).

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