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di SVEN HASSEL
Traduzione dall'edizione francese
Je les ai vus mourir di Giovanna Rosselli
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Liebe: amore.
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due sconosciuti: o due veri uomini della
Gestapo o dei mistificatori o anche dei burloni.
È necessario fare molta attenzione, dunque,
perché se fossero della Gestapo sicuramente le
cose si metterebbero molto male per lui, e su-
bito anche. Indica con la mano il muro dove
troneggia il grande ritratto di Hitler e grida con
fierezza:
« Heil Hitler! »
« Ma certo, amico, certo, ma qui non si respira
affatto l'aria dell'eroismo patriottico, mi sembra!
Ci si approfitta della vita tranquilla e beata fin
che si può, ben lontano dal cannone, vero?
Dubitate forse della vittoria finale? » dice Porta,
puntando contro il sergente il suo grosso dito
accusatore.
« Certamente no! » mente Brumme (che
domanda idiota, dice fra sé, soltanto un
coglione risponderebbe si).
« Avete ascoltato l'ultimo discorso del Führer?
»
« Naturalmente! Ha parlato in modo stupendo,
affascinante... (e si chiede quale idiozia Hitler
abbia potuto dire nel suo ultimo discorso).
« Avete degli ebrei nella cerchia della vostra
famiglia?» continua Porta con degli occhi feroci
e inquisitori, mentre Fratellino grugnisce come
era stato in precedenza stabilito.
« Il mio certificato di ' arianismo ' è regolare »,
risponde Brumme visibilmente inquieto, dato
che il suo certificato risale fino alla razza di sua
nonna. Proveniva infatti da una provincia
esterna dove bastava avere una sola nonna
ariana per essere in regola. Dannati ebrei!
« E questa nonna, non si chiamava per caso
Rachele? »
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« No, Ruth », mormora Brumme che credeva
che questo nome fosse assolutamente e
solidamente ariano.
« Molto interessante », sghignazza Porta
allegramente. « È dovere di ognuno di noi dare
delle informazioni alla Commissione della Razza,
se si sospettano degli antenati ebrei nella
nostra grande armata. Abbiamo scoperto
proprio l'altro giorno il generale Hosenfelder che
si era fatto rifare il naso, un perfetto naso
ariano per la verità, ma un caporale si era ac-
corto che non mangiava mai della carne di
maiale. Era suo dovere riferirlo e una bella
mattina sono arrivati degli ' esperti razziali ',
che sono poi ripartiti portando con sé il naso
ariano del generale. Una menzogna di questo
peso da parte di un personaggio di così alto
grado avrebbe potuto contaminare tutta l'ar-
mata, e noi non saremmo mai arrivati fin quasi
a Mosca. »
«Sieg Heil! » urla Brumme con voce alterata,
alzando il braccio teso in un perfetto saluto
nazi.
« I nostri coraggiosi soldati non devono
assolutamente mancare di quanto loro
abbisogna, nel corso della più grande crociata
della storia. Lo scopo del nazional-socialismo è
la distruzione di tutti i demòni bolscevichi,
"nell'intento di procurare al popolò tedesco
oppresso lo spazio vitale di cui ha diritto e bi-
sogno. »
« Deve essere uno di quei dementi iscritti al
Partito », si dice tristemente Brumme, « ma
questi tipi di fanatici, però, sono estremamente
pericolosi. »
« Un popolo, uno stato, un Führer! » grida
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Fratellino entusiasta ed eccitatissimo.
Silenzio di morte nel locale, mentre i tre
uomini si guardano l'un l'altro. In lontananza
risuonano i rumori della battaglia in corso, e
insieme anche un coro di soldati in marcia.
In alto la bandiera!
In ranghi serrati
SA in marcia...!
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Pugnale malese.
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gente è un fatto assolutamente
incomprensibile. La donna è un oggetto di loro
proprietà, come un mobile o, tut-t'al più, un
cane. »
« E siamo stati affidati a un personaggio di
questo tipo, roba da pazzi! » geme Stege. «
Quello ci venderà alla prima occasione, perdio!
»
« Il suo odio nei confronti dei sovietici lo rende
automaticamente fedele, in certo senso, ai
tedeschi », continua a spiegare il Legionario,
paziente e tranquillo. « La Grande Germania
riuscirebbe anche a fargli fare il giro del mondo
a piedi, se glielo chiedesse. E poi, ragazzi miei,
penso proprio che non abbiamo scelta »,
commenta con fatalismo arrotolandosi una
sigaretta con un gualcito pezzo di carta.
« Bene », taglia corto il Vecchio, rivolgendosi a
Vassili, « tutti siamo d'accordo, per cui decidi
cosa dobbiamo fare, amico. »
« Tu intelligente, non stupido come altre teste
quadrate tedesche. Noi fare grande deviazione,
arrivare a bellissimo vecchio ponte che tutti
turisti ammirare. Da altra parte del ponte,
prigione Tanganskaye. Là, noi non incontrare
tante NKVD. Sapere che tutti molta paura
prigione politica. Solo cretini passare di qui loro
volontà. »
« In quanto ai cretini e alle prigioni, mi sembra
che ragioni molto bene », dichiara Porta.
« Gente di NKVD stesso parere », continua
Vassili. « Quando noi, falsi russi, andare là, loro
credere che noi prendere turno di guardia a
fabbrica siluri Kozhukhovo, e non tendere mano
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per chiedere : ' Propuskì '1 Io camminare di
fianco a voi come essere grande capo, e
salutare come buono ufficiale sovietico che
lecca culo di NKVD. »
« Bene, e dopo, quando avremo passato la
prigione? » chiede il Vecchio ansioso, sollevando
il cappuccio di pelo che nasconde l'elmetto
russo con la stella rosso fiamma.
« Allora marciare verso fabbrica », spiega
Vassili, come fosse la guida di un pacifico
gruppo di turisti festanti. « Prendere passaggio
Dubrovsky e superare blocco di guardia NKVD,
poi abbreviare strada attraverso vecchi percorsi
di tram fino a Ugrezhskaya. Gente di NKVD non
vedere noi, sempre dormire sodo. Io con amico,
un giorno, rubato camion proprio là, pieno cose
meravigliose. NKVD solo scoperto tre giorni
dopo. Loro sempre dormire. Strada però molto
pericolosa. Loro credere che niente succedere
mai, e certamente niente quasi succedere mai.
Solo quando Vas-sili venire con amici, loro ridere
molto e essere felici contenti. »
« E allora perché non prendere la strada
diretta attraverso il viale Simonovoslobodsk? »
taglia corto il Vecchio, irritato dalle chiacchiere
del piccolo mongolo. « La stazione Ugrezhskaya
è un enorme incrocio. »
« Io credevo tu intelligente, tovarisch
sergente. Enorme fabbrica NKVD vicino a fiume,
dove fabbricare cose molto segrete. Dunque
andare tutto dritto in zona interdetta. Noi non
dritto, vedere cose fabbricate da fabbrica. »
« Cos'è questa storia? » chiede il sergente del
reggimento Brandeburgo, molto interessato.
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Lasciapassare.
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« Amico di Chita essere NKVD, e tenente
raccontare a me. »
« Allora dillo anche a noi! »
« Mica bene per imbecilli sapere troppo »,
ritorce pronto Vassili. « Io solo dire a saggi nazi.
Loro pagare bene. Quando guerra finita, io
dividere con amico NKVD mia casa a Chita. »
« Questa gente qua, io veramente non la
posso soffrire », grugnisce Barcelona. « Sono
come le perle false di Maiorca. »
«Voi non prendere ripa del fiume. Molti cattivi
NKVD laggiù e loro spaiare o prendere e
torturare. Fare grosso incrocio e strada con
Vassili e salvare pelle. »
Eccoci dunque ancora vicino al cimitero,
quando vediamo arrivare una pattuglia di NKVD
composta di tre uomini. Il loro capo, un caporale
dall'aria molto energica con tanto di gradi sulla
manica, tende la mano nel gesto internazionale
per esigere la presentazione dei documenti. Il
sergente del reggimento Brandeburgo,
naturalmente, non capisce una sola parola.
Vassili lo spinge indietro, dà una manata ami-
chevole sul braccio del caporale e gli tende un
libretto militare russo.
Una sezione di mezzi corazzati passa e
sparisce avvolta dentro a una nuvola di neve. Il
caporale guarda Vassili e sgualcisce con rabbia
il libretto, cui evidentemente manca qualche
timbro. A dispetto della pignoleria tedesca,
evidentemente qualcosa è stato dimenticato, un
ennesimo timbro fra i mille che sempre ci sono.
I Russi e i Tedeschi hanno in comune una
passione, autentica e ardente: i timbri sui docu-
menti.
» Job Tvojemadjl » impreca Vassili, indicando
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con un gesto perentorio il proprio distintivo con
la stella rossa di commissario.
« Propusk commandantura! » insiste il
caporale, furioso.
« Non essere ostinato, fratello », gli dice ora
Vassili in tono calmo e amichevole, parlandogli
in lingua russa, « altrimenti il mio comandante ti
spedisce a Kolyma con dieci pedate nel culo! Tu
fai ritardare una missione molto importante con
tutte queste storie. »
« Propusk », insiste il caporale ostinato,
tendendo una mano guantata di spesso cuoio
nero e lucido.
Vassili fa un gesto di rassegnazione e apre il
suo grosso giaccone di pelo, come volesse
esibire altri documenti che tiene più riposti.
« L'hai voluto tu, fratello mio. Tua madre
piangerà. »
Il sibilo di un Kandra, e la testa del caporale
rotola per terra: il corpo oscilla qualche istante,
mentre un fiotto di sangue sgorga dal collo
tranciato di netto. Rapidi come è rapido il
lampo, il Legionario e Fratellino hanno già
sgozzato gli altri due. Ma una lunga colonna di T
34 passa rumorosamente proprio non lontano
da noi, e non appena vediamo le sagome dei
comandanti, ognuno sulla torretta del suo
mezzo, buttiamo i tre cadaveri nell'entrata di
una cantina e la neve rapidamente li ricopre.
Con un calcio, Vassili spedisce la testa
mozzata verso la fessura di un muro, dove la
sua comparsa spaventa una coppia di gatti che
stanno dormendo beatamente. Filano via
miagolando i due animali, mentre il piccolo
mongolo ride, trovando il tutto estremamente
divertente.
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« Filiamo, presto! » dice il Vecchio, molto teso.
Gambe in spalla ci buttiamo a correre per
stradine sconosciute, ed eccoci incastrati in
mezzo a una folla di gente che deve passare un
controllo da parte di una sezione di NKVD,
schierata con le armi in posizione di tiro. La
strada è bloccata da due T 34.
« Diavolo », impreca a bassa voce Vassili. «
Rapinatori. Fucilare gente uno su tre, per
insegnare a gente non rapinare. Molto
pericoloso tutto questo. »
Un tenente ci richiama con molta autorità, e
Vassili si presenta come ufficiale della guardia in
servizio attivo.
« Propusk! » ordina brusco e freddo l'ufficiale,
guardando ora il documento con aria
indifferente.
« Vai al diavolo te e i tuoi! Presto! »
Non ce lo facciamo dire due volte. Ma proprio
quando stiamo per voltare l'angolo della via,
sentiamo due colpi d'arma da fuoco. Ci voltiamo
un istante, e constatiamo con i nostri occhi che
stanno fucilando una fila di civili. Questa gente
non ne sa nulla dei rapinatori, ma vanno
sempre a finire così, le cose. E certamente
domani si leggeranno sugli angoli di tutte le
strade i nomi delle vittime, come serio ammoni-
mento a tutti.
« Avete visto come quella piccola scimmia ha
tranciato di netto la testa di quel russo? » dice a
un tratto Fratellino, facendo schioccare la lingua
come encomio di ammirazione sincera. «
Nemmeno Alois L'Ascia, il famoso bandito di
Amburgo, avrebbe fatto di meglio, bisogna
proprio riconoscerlo. E devo dire che era sempre
sotto allenamento, in quanto a questo, sempre.
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Aveva già fatto saltar via ben sette teste, prima
che la Kripo (Polizia Criminale) gli mettesse le
mani addosso. Nass e quei coglioni della
gendarmeria stavano semplicemente
inseguendo dei ladri di grifas (sigarette
all'oppio) e stavano giusto entrando dentro
l'elevatore del III° reparto del Ponte del Tra-
ghetto. All'improvviso si sente un ' flop ', e una
bella testa mozzata di netto rotola davanti ai
loro piedi! L'ho visto coi miei occhi, sapete,
stavo proprio passando di là, per caso
naturalmente, con un paniere pieno di pesce. »
« E cosa ci facevi con quel pesce? » chiede
Porta incredulo.
« Lavoravo per la società di trasporti Grònne
Gunthers. Tutte le aringhe erano farcite di grifas
nel ventre e bisognava in qualche modo
allontanare i sospetti dei cani da pastore
tedeschi del commissario Nass, che venivano ad
annusarmi sempre intorno come gatti in amore.
Nass e i suoi biechi della Kripo naturalmente
credevano che i loro cani annusassero le mie
aringhe, perché ci sono dei doberman che, per
esempio, vanno matti per le aringhe farcite,
piatto tipicamente ebreo. Dunque, per farla
breve, una sera tarda in cui già mi trovavo in un
bistrot, compaiono ben cinque dobermann ebrei
che sbavano come pazzi, avendo capito
dall'odore che il cuoco, per metà ebreo anche
lui, stava facendo cuocere un grosso quarto di
petto di bue farcito. Entrano in tromba nel
bistrot e piombano sul cuoco, che era stato da
poco messo alla porta della grande armata
tedesca per vìa del ' cattivo ' sangue che
scorreva nelle sue vene. Notate bene che a lui
di essere stato fottuto dall'esercito non gli
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dispiaceva affatto, per la verità, e per noi il solo
punto negativo era che dovevamo per forza
abboffarci solo di piatti ebrei. I Kripo ritrovarono
tutti i loro cani accucciati intorno al cuoco e ai
suoi fornelli semiebrei, e rispedirono fuori della
porta a calci nel culo questi spregevoli animali
senza pensione dello stato, che dovevano
considerarsi già fin troppo fortunati per non
essere stati cacciati dentro una camera a gas!
« ' Nel nome del führer, siete tutti in stato di
arresto! ' gridò il commissario Nass a tuti i clien-
ti dell'ebreo, che furono però rilasciati quasi im-
mediatamente dopo che un'ascia afnlatissima
gli volò sopra la testa, proprio nel momento in
cui. per sua fortuna, aveva chinato il capo. Alois
era là, nascosto dietro una porta. Almeno venti
paia di manette gli furono infilate ai polsi,
munite di catene pesantissime, e nessuno
pensò più a noi, naturalmente. Era ricercato da
più di quattro anni, e ora il destino lo
presentava servito sopra un piatto d'argento,
una vera fortuna per quei Kripo della malora!
Dopo questa faccenda, il commissario Nass fu
preso da manie di grandezza; tutti i giornali
parlavano di lui, naturalmente, ed egli fu tanto
meschino da non svelare mai come solo il caso
lo avesse messo in grado di ricevere questo
inaspettato regalo prezioso! Decorazioni di ogni
tipo, quindi, e un ottimo posto come
commissario generale di divisione con servizio
esclusivamente diurno; ma anche questo
incarico non durò a lungo, perché non
aspettarono molto, le autorità, a fotterlo di
nuovo fuori! »
Una lunga colonna di soldati, vestita in modo
curioso, ci sfila davanti, interrompendo il
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racconto di Fratellino.
« Compagnia suicida », spiega Vassili con un
gesto di chiara indifferenza per la cosa. « Teste
d'uovo venire da Tanganskaya. Graziati da
Kolyma per incarichi molto pericolosi contro
tedeschi. Stalin non stupido affatto. Non fare
condannare sudicioni politici. Stalin dire che
essere grandi eroi per loro patria. Tedeschi
stupidi uccidere, e Stalin tutto contento perché
sbarazzato senza grane di loro. »
Nei pressi della stazione Pavlet un altro blocco,
dove le NKVD formicolano ovunque. Vengono
controllate tutte le unità militari di passaggio,
senza alcuna esclusione, e un colonnello
dall'aria minacciosa passeggia su e giù, con il
suo Kalashnikov sotto il braccio.
« Santa Maria, proteggici! » mormora il
Vecchio, tesissimo.
Non lontano di qui, in effetti, liquidano sul
posto quattro ufficiali con una palla nella nuca,
e ne buttano i cadaveri sopra un furgone
aperto, fermo in attesa lungo il marciapiede. Il
sangue cola dappertutto.
Noi ci rifugiamo nell'adiacente via dei Tartari,
con Vassili in testa sempre sorridente, che
senza alcuna paura o disagio apparente ci guida
verso un ponte irto di strutture di legno molto
simili a dei patiboli.
« È il colmo, andare di nostra iniziativa proprio
lì! » geme Heide, spaventatissimo. « Non hanno
che da pizzicare uno di noi e fargli una
domanda, e siamo fritti tutti. Di soldati
completamente muti non ne esistono affatto
nell'armata russa, maledizione. »
« Io reciterò la parte dell'idiota », dichiara
deciso Fratellino.
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« Non farai molta fatica, caro, dato che lo sei
già di natura! »
Il Vecchio e il Legionario imbracciano i loro
MPI, ed evidentemente pensano che ci si dovrà
battere in qualche modo, nella speranza di
uscirne vivi.
« Se veniamo scoperti, difendetevi fino alla
morte », mormora infatti il Vecchio. « È la nostra
sola possibilità, perché se ci beccano con
queste dannate uniformi russe addosso, ci
tortureranno bestialmente prima di concederci il
diritto sacrosanto di morire. »
Anche lo stesso Vassili sembra molto inquieto,
ora. Ha appena finito di chiacchierare con un
sergente NKVD, che dormicchia annoiato dentro
il furgone.
« Porci NKVD preso altro commando
Brandeburgo », bisbiglia. « E essere pronti fare
molti altri cadaveri. Adesso grande pericolo.
Loro sapere che turisti nazi essere in Mosca.
Molto pericoloso per noi essere qui con
documenti falsi e uniformi rubate. »
« Bella prospettiva », mormora Porta, molto
poco rassicurato, ovviamente. « Non sarebbe
mica meglio per noi rientrare, e mollarla a
qualcun altro questa dannata fabbrica da far
saltare? »
Il Vecchio sta riflettendo e guarda Vassili con
aria meditativa. Il mongolo gli risponde con un
ampio sorriso cinese, che significa non si sa
bene cosa, ma certo è molto ambiguo.
« Impossibile », dice il nostro capo, « questo
scimpanzé giallo non è solo la nostra guida ma
anche il nostro attento guardiano. Se tentiamo
di tagliare la corda, quello ci fa liquidare senza
pensarci un momento, capite? »
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Vassili, tutto un sorriso, si avvicina al Vecchio e
gli dice amichevole.
« Tu molto intelligente, Feldwebel. Tu venire
con Vassili e niente paura plotone tedesco;
plotone tedesco non beccare mai te. »
« Se sei proprio così sicuro di scampare... »
replica il Vecchio, cupo.
« Me nessuna importanza. Io non avere vita
più lunga se grande Konfu non volere. Konfu
solo, decide. Quando Konfu decide, tu niente più
potere fare. » Prende Fratellino per una manica.
« Tu forte come orso di Siberia. Spaccare cranio
comunista con un solo colpo. Tu tenerti dietro
Vassili e ritornare vivo tua casa, giocare con tuoi
bambini. Se tu non fare come io dico, io giuro tu
morto. »
Fratellino che per la verità non ha capito
neanche la metà delle cose che il piccolo
mongolo ha asserito con tanta sicurezza,
consente comunque con un gesto della mano.
Come ci sia stato possibile attraversare il
blocco delle NKVD, io non lo ricordo, se devo
essere sincero. Ricordo solo di essere stato
schiaffeggiato da un sergente, cosa che riempì
di gioia tutta la troupe dei berretti verdi.
Quando finalmente approdiamo indenni a
Kozhukhovo, ci accoglie subito un nugolo di
Stukas, appena comparsi nel cielo grigio e
coperto di nuvole molto basse.
E ora sono le nuove bombe al fosforo che
cadono come pioggia, e polverizzano case,
stabilimenti e tutti i binari del nodo ferroviario :
il suolo poi è ' spazzato ' fino all'ultimo
centimetro dalle mitragliatrici degli aviatori
tedeschi che passano rasoterra con spericolati
voli radenti.
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« Stukas molto bene aiutare! » giubila Vassili.
« NKVD tutte dentro rifugi per salvare loro triste
pelle comunista. Ora noi mettere plastico e far
saltare tutta grossa fabbrica Stalin, sotto culo di
NKVD. Poi rientrare da Hitler e riposare bene,
prima di prossimo altro viaggio. »
All'improvviso uno dei soldati del Brandeburgo
incespica e cade in avanti, fra due grossi blocchi
di cemento di una casa appena abbattuta dal
mitragliamento a tappeto degli aerei. Ci
precipitiamo tutti per salvarlo ed estrarlo dalle
macerie, ma uno dei due blocchi oscilla, poi
cede del tutto e gli squarcia il ventre. Grida il
poveretto nella notte buia, e il sergente è
costretto ad incollargli alla nuca il suo revolver
munito di- silenziatore. È un'arma speciale, que-
sta, e tutti i soldati dei commando sono
purtroppo obbligatoriamente condannati a
morire, se non sono più in grado di seguire i
compagni nella missione. 'Nessuno, infatti, deve
cadere nelle mani del nemico, mai, nel modo
più assoluto.
La sua tomba occasionale e così sinistra viene
dissimulata con altre pietre e blocchi di
cemento perché non venga scoperta da
eventuali pattuglie di guardia che passassero di
lì, e noi proseguiamo in silenzio.
Le bombe degli Stukas hanno già distrutto in
parte vari settori del grosso stabilimento,
constatiamo arrivando nella zona, e questo
faciliterà la nostra missione. Proseguiamo
ancora per via Lizina, anche se sarebbe stato
più opportuno prendere invece la via Tyufelev,
secondo il Vecchio, ma Vassili che si è inoltrato
poco più oltre in ricognizione dichiara con
fermezza che è impossibile. È completamente
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ostruita da una lunga colonna di carri armati
leggeri.
È una grossa fornitura pronta per l'Armata
Rossa, o invece un blocco massiccio di difesa
contro i sabotatori, piazzato dalle NKVD? Non lo
sappiamo, almeno per il momento, ma in ogni
caso vediamo che tutti gli equipaggi sono
all'interno dei carri, ed è assolutamente
impensabile aprire un conflitto contro di loro,
con le nostre inadeguate e insufficienti armi an-
ticarro. È giocoforza perciò passare da un'altra
parte per evitarli.
Vassili, d'accordo con il Vecchio e il sergente
del Brandeburgo, ordina di marciare in colonna
per tre, come fossimo una regolare pattuglia.
Il nostro piccolo mongolo sostiene che riuscirà
a farla franca con la sua uniforme di capitano, e
se anche gli verrà chiesto il propusk, una
pattuglia in regola ha pieno diritto di ingresso
dentro l'area di un impianto militarizzato. C'è
evidentemente il rischio di una parola d'ordine
ancora ignota, che può ugualmente essere una
frase perfettamente logica o anche la più
inverosimile delle imbecillità. Potrebbe essere
ad esempio che vi gridino: «Ivan il Terribile» e si
debba rispondere: «Topo morto»...
Mentre Vassili si dà da fare per trovare
l'ingresso all'interno del grosso fabbricato, noi ci
appiattiamo sotto alcuni vagoni merce della
vicina stazione di Kozhukhovo, dove stanno
predisponendo il trasporto dei feriti all'ospedale
di Kashirskaya, di cui vediamo già diversi edifici
in fiamme però, dopo il bombardamento degli
Stukas di poco fa.
« Dovremmo almeno riuscire a trovare il
tempo di farci una bella scopata di passaggio
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con quelle ragazze! » dice Fratellino guardando
concupiscente le infermiere che salgono e
scendono dai diversi vagoni. « È un bel po' che
non metto le mani su nessun culo, e ne sento la
mancanza, perdio! »
« Maledette NKVD, assolutamente folli », dice
Vassili, ritornando di corsa fino a noi con il
respiro corto. « Aver perduto molti idioti
comunisti per bombardamento, e noi niente
poter fare subito. Loro occuparsi di feriti, e
NKVD essere là con carri armati. Meglio noi
aspettare un'ora. Grande Konfu dire mai fare
cose di fretta. Prendere tempo e conservare
molto di più nostra testa su collo, dice. Io
conoscere ora parola d'ordine. Loro gridare:
'Guerra' e noi rispondere: ' Mela verde '.
Imbecille di colonnello dire forte parola d'ordine
mentre io disteso sotto sua vettura per
ascoltare. Loro sapere che partigiani di
Brandeburgo essere qui, dunque noi non farsi
prendere e correre gambe levate quando grossa
bomba scoppiata! Loro andare poi a caccia di
sporchi tedeschi dentro tutta Mosca, casa per
casa! »
« Certo che taglieremo la corda, non temere in
quanto a quello, ma prima bisogna che la
baracca salti in aria, se non erro. »
« Cosa guardare, tu? » chiede Vassili
spingendo Fratellino indietro con la canna del
suo revolver.
« Ragazze sovietiche », risponde il gigante,
con gli occhi golosi e inteneriti. « Quando
montano sui gradini dei vagoni si vede
benissimo sotto le loro gonne. Avrei proprio
dovuto farmi ingaggiare nella Sanità, perdio.
Deve essere molto più divertente che non
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sguazzare qui dentro e far saltare delle
sudicerie. »
Anche Vassili ora vuole dare un'occhiata.
« Molto tempo io non avere donna, molto
tempo! Quando venire pace, .tutti voi partire
con Vassili lungo viaggio fino mio cugino di
Hong Kong. A ristorante ' Piccola pollastra '
molti cinesi vendere a voi merce proibitissima.
Cugino fare anche buona cucina; prima servire
Tang-ts'u-yu, pesce agro con zucchero; poi noi
mangiare delizioso Fuh-rung-chi-p-ien, crema
pollo con gamberi molto, molto piccoli, poi Pao-
yang-reo, giovane montone, e poi finire con
Cheng-chiao-tze, bignè dolci di primavera. Poi
belle ragazze arrivare da bordello vicino per
giocare e bere sakè. »
« E si impara anche a mangiare con i
bastoncini, alla cinese? » chiede Fratellino. « Se
non riesco nemmeno a infilzare una barra di
ghiaccio con la baionetta, come farò a mettermi
in bocca una porzione di riso? »
« Basta, andiamo su! » tronca il Vecchio
allacciandosi il budriere.
Ci vengono distribuite delle grosse matite
esplosive e delle barre di P 62, di cui sentiamo il
forte odore dolciastro di mandorla che emanano
a distanza di chilometri, mentre strappiamo la
carta oleata che le avvolge.
« Sembra incredibile, però, che anche un solo
pezzo di questa roba possa' far saltare una
baracca grossa come questa che abbiamo
davanti! » commenta Porta, cacciando le sue
cariche dentro la sacca piena di segatura.
« E adesso vedete di evitare di cascar per
terra, con tutto quello che avete addosso,
ragazzi », dice il Vecchio, autoritario. « Ordino
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perentoriamente a chi venisse ferito e non
potesse seguire il gruppo, di uccidersi sul posto,
chiaro? Un biglietto diretto per il cielo è molto
meglio che non cadere nelle zampe delle NKVD.
»
« Sembri un prete che fa il suo sermone »,
sghignazza Heide.
« Non me ne importa niente, amico, di cosa ti
sembro, ma immagina un po' di essere ferito e
che noi si debba abbandonarti qui. Sarà
interessante vedere se avrai il coraggio di farti
saltare il cervello. Il tuo Führer si aspetta proprio
questo da te, sai? »
« Fracasseranno a tutti i coglioni », sostiene
Porta, cupo. « Ci daranno dentro una bella
morsicata, te lo dico io. »
« Allora si spaccheranno i denti con quelli di
Fratellino », ride Stege. « Ha dei coglioni di
granito, quello, dovrebbero adoperare degli
attrezzi speciali. »
« Stare tranquilli, NKVD avere attrezzi adatti »,
ride Vassili. « Mancare di niente a Lioubjanka,
proprio di niente! Gente molto intelligente per
far parlare traditori tedeschi. »
Il corpo posteriore della fabbrica è già in
fiamme, e già tre scale dei pompieri sono sul
posto e in funzione mentre gli uomini srotolano
di furia le loro lunghe pompe. Dappertutto
regna una frenetica agitazione.
« Cosa non si riesce a vedere, in guerra! »
bisbiglia Fratellino. « Io proprio li adoro, i
pompieri. Sai, Porta, che avevo una voglia
matta di fare quel mestiere, ma non m'hanno
preso perché ero un po' piromane, secondo
loro? A parte il fatto che in fondo il fuoco non
aveva nemmeno preso, se vogliamo essere
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esatti. »
« Toh! E cosa volevi incendiare? »
ce Della gente della Davidstrasse, solo quella;
ma mi hanno beccato, proprio mentre
preparavo il colpo. Per grazia di Dio uno
psicologo mi ha salvato, raccontando qualcosa
a proposito di un mio complesso infantile nei
confronti delle uniformi della polizia. Se avesse
detto più chiaramente che il mio vero
complesso era il Commissario della Criminale
Otto Nass, avrebbe avuto ragione, se devo
essere sincero. Gli schupos, siano quel che
siano, non mi hanno mai rotto le balle e io a loro
non gliene voglio, perché mi hanno spesso
anche messo in guardia contro Nass. Mi hanno
poi raccontato che lui è scappato in Danimarca,
a Copenaghen, e spero proprio che i partigiani
danesi l'abbiano fatto fuori quello, altrimenti il
mio giudizio nei confronti di quei Vichinghi sarà
per forza molto severo. »
« Piantala! » dice il Vecchio, « Parli talmente
forte che ti sentiranno fino al Cremlino, perdio;
non vedi quanta gente c'è vicino a quella porta?
»
« È sempre il solito rischio, quando si
conoscono le lingue straniere e le si parla in
pubblico », borbotta Fratellino. « Se tutti al
mondo parlassero tedesco, non ci sarebbe
nessun problema, anche in Russia. Prova un po'
a recitare il Padre Nostro in russo, però, e ti
sono subito tutti sul culo. »
Recitare il Padre Nostro a dei comunisti?»
interviene Stege, sorpreso. « Ma è proibito! »
« Proprio perché è proibito, bello mio, non c'è
in Russia una sola persona che non la sappia a
memoria questa preghiera. L'hanno tutti
227
imparata dalle loro nonne quando ancora non
sapevano camminare. »
Ritmando i nostri passi pesantemente,
entriamo dentro la fabbrica, e nonostante la
nostra perplessità dobbiamo riconoscere che iL
passo cadenzato russo è praticamente identico
al passo dell'oca tedesco. Un sergente
dell'IviKVD si mette sull'attenti davanti a Vassili
che marcia a serrafila, il Kalashnikov sul petto
perfettamente regolamentare, e per un istante,
il proiettore del turno di guardia ci coglie nel suo
fascio di luce. Una pattuglia ci viene incontro e il
tenente che la guida dà una pacca amichevole
e cordiale a Vassili sulla spalla.
« Tenente molto contento », bisbiglia poi il
mongolo. « Avere catturato diversi partigiani del
Brandeburgo proprio oggi e prepararsi adesso a
far saltare loro coglioni con attrezzi speciali, per
far sputare prigionieri tante cose segrete di
Hitler. Tenente invitato me a vedere, ma io dire
di non avere tempo. Lavoro importante da fare,
detto io. E non essere nemmeno grossa bugia! »
In un'immensa galleria coperta, ecco una fila
di almeno cinquecento T 34 nuovi di zecca,
pronti a partire per il fronte.
« E se arraffassimo una di queste carriole per
ritornarcene a casa un po' più in fretta, e più
comodi? »
« Mica una brutta idea », commenta il Vecchio
a bassa voce. « Guardate se hanno dentro le
munizioni. »
Porta, come un furetto secondo il suo solito, è
già dentro al carro un istante dopo e Fratellino
accarezza con amore i larghi cingoli che lo
affascinano.
« Che macchina spettacolosa! Ne dovremmo
228
avere anche noi qualche migliaio. E queste
rotondità proprio uguali identiche a quelle di
una bella pollastra francese, di quelle care,
però! »
« Con un materiale a disposizione di questo
tipo, Ivan non può che vincerla la guerra, è
inutile », commenta cupo Stege.
« Dubiti della vittoria, disgraziato? Alto
tradimento! » interviene come suo solito Heide.
«Lui, Julius, completamente idiota», afferma
Vassili, « non capire proprio niente del tutto,
quello. Tutti idioti politici essere come lui. »
« Mica tanto facile sgraffignarlo, questo coso
», annuncia Porta emergendo dal carro. « Non
c'è neanche un goccio di benzina, per di più.
Certo che potremo chiedere a Heide di
spingerci, cosa ne dite? »
Tutta la sezione scoppia in un'enorme risata.
« Basta ragazzi, al lavoro adesso », ordina il
Vecchio. « E nel giro di mezz'ora tutti devono
essere già fuori e pronti a filare. Avete preso
nota dei tempi esatti? Le prime esplosioni
devono avvenire entro mezz'ora, e a questo
punto tagliate la corda, perché se il colpo riesce
il rumore si sentirà fino a Berlino! »
« Mettiamo un po' di plastico anche sotto
queste carriole? Altrimenti ce le ritroviamo tutte
belle schierate in fila al fronte. »
« No », dice il Vecchio, « non c'è abbastanza
esplosivo per far saltare anche quelle, e
dobbiamo invece piazzarlo nel montaggio a
catena. Far saltare queste scatole di acciaio non
presenta alcun speciale interesse, a paragone
della produzione a venire. »
La fabbrica ronza come un alveare, e noi
passeggiamo impassibili in mezzo agli uomini
229
dell'NKVD e agli operai, uno dei quali ci rivolge
la parola.
« Job Tvojemadj'. » grugnisce autoritario Porta
all'uomo che sparisce all'istante.
Io colo sudore in tutto il corpo dal terrore,
mentre Porta si dirige tranquillamente verso il
reparto imbutitura dell'officina, seguito dallo
sguardo incuriosito di un caporale russo, e
cincischio febbrilmente il mio revolver in mezzo
a questo fragore infernale di macchine in moto
che ci spacca le orecchie. Sembra incredibile
che si possa lavorare qui giorno e notte senza
diventare pazzi, o sordi. Porta esce dal reparto
e, con aria molto professionale, si asciuga le
dita sporche di olio con uno straccio di canapa
che poi lancia ridendo sulla testa del caporale, e
questi glielo ributta allegramente. Io avrei una
voglia pazza di mettermi a urlare invece, dal
nervosismo che mi prende tutto. Devo salutarlo
anch'io questo dannato caporale? Avrebbero
dovuto darci maggiori informazioni sulla
disciplina che vige nell'Armata Rossa, perdio...
alla fine mi decido a salutarlo, con noncurante
camerateria, pensando che è sempre meglio un
saluto di più che uno di meno o niente del tutto.
I caporali di tutte le armate del mondo sono
molto sensibili e suscettibili in fatto di saluti, so
per esperienza diretta. Lui mi fissa per qualche
secondo con uno sguardo di ghiaccio, poi mi fa
segno di filare. Un caporale dell'NKVD non
risponde mai al saluto di un suo inferiore di
grado, infatti; lo esige e lo accetta, ma tutto
finisce qui, è la regola.
Proseguiamo sempre all'interno della fabbrica,
quando a un tratto Porta si ferma di botto e
indica con una mano il soffitto. Un'enorme gru
230
sta facendo calare un carro proprio sulla mia
testa! Deve allinearsi a una lunga fila di carri
già montati sopra dei vagoni, anch'essi già
allineati all'esterno dell'immenso locale. Su
ciascun vagone vengono sistemati due T 34, il
cui smalto fresco verde acceso brilla come una
fonte di luce sotto le enormi lampade ad arco. I
consiglieri imbecilli del nostro Führer
dovrebbero vedere con i loro occhi uno
spettacolo come questo, e chissà poi se
riuscirebbero a cambiare un po' idea riguardo
all'efficienza di mezzi dell'Armata Rossa! In
questa sola fabbrica c'è, è già pronto, di che at-
trezzare di carri almeno cinque divisioni, e
quando tutti questi mostri saranno messi in
moto, che Dio abbia pietà, dall'alto, della
povera armata tedesca!
Saltiamo così velocemente sul marciapiede del
carromatto per portarci al reparto n. 9 che mi
sfugge di mano uno dei sacchetti con le barre di
esplosivo, e un operaio servizievole e ignaro mi
aiuta a raccattarlo. Al di fuori dell'immenso
reparto l'improvviso silenzio totale ci colpisce
come un pugno nello stomaco, ma nel reparto
verifica e aggiustaggio dei cannoni, dove sono
radunate in fila tutte le torrette dei carri, il
fragore ridiventa allucinante. Perfino l'esplosio-
ne di uno di questi cannoni quasi non si
sentirebbe, ho ragione di credere.
Una locomotiva elettrica guida i diversi vagoni
per portarli fin davanti al grande reparto e qui si
danno da fare molti pompieri dall'elmetto di
ottone lucido. Uno di questi, cui evidentemente
do fastidio, mi spinge indietro con una spallata
dicendomi qualcosa, che ovviamente non
capisco. Gli grido: «Job Tvojemadj! » e lui mi
231
minaccia con un pugno, ma vedendo che
cincischio il mio Kalashnikov l'uomo si
addolcisce subito. Una NKVD ha sempre
ragione, soprattutto se ha le mani sopra un
Kalashnikov, è chiaro!
Non appena i vagoni rallentano, mi affretto a
raggiungere Porta che sta collegando dei fili a
un grosso armadio blindato. E come sempre,
sono io che devo coprirlo in caso di pericolo
mentre lui lavora, e ho già decapsulato tutte le
mie granate a mano infatti. Lo vedo
impadronirsi con impertinenza di una sigaretta
che un operaio si è appena arrotolato, e vedo
quest'ultimo avvicinargli servizievole e sollecito
l'accendino. Porta in cambio gli regala un grosso
sigaro.
« Sigaro tedesco! » grida.
« Grazie! » risponde grato e felice l'operaio.
Poveretto! Avrei la tentazione di offrirgli la pos-
sibilità di salvarsi, perché è al Cremlino che
avrebbero dovuto mandarci, non qui! Una
lampada rossa prende ora a lampeggiare, a
intervalli regolari e ravvicinati, dal grande
soffitto del reparto. Che cosa sarà? Sanno che
siamo qui e danno l'allarme forse? Proprio nello
stesso istante una pattuglia di soldati attraversa
a passo rapido tutto il reparto e scompare dietro
a una piccola porta dalla struttura metallica,
mentre degli NKVD, molto eccitati, corrono nella
direzione opposta. Che abbiano catturato uno
dei nostri? Ecco che un sergente capo ci ferma,
e Porta agita una mano con aria indifferente
come sempre fanno i russi intendendo dire: «
Job Tvojemadj». In Russia, infatti, se un soldato
risponde così a un ordine, vuol dire che ha
capito, tutto qui. Ma insistere bisogna, tutti i
232
russi in uniforme lo sanno.
Parecchi T 34 escono dal reparto direttamente
coi propri mezzi, e noi ci aggrappiamo ai ganci
di rimorchio di uno di questi: un colonnello ne
controlla il numero all'uscita e noi ci infiliamo
rapidi dentro a uno stretto passaggio, che sfocia
in un grande spiazzo. Qui Porta si siede su un
muretto di pietra e accende una sigaretta,
imperturbabile.
« Credo che diventi molto rischioso vivere qui
», dice con un sorriso sardonico. « Fra tre minuti
partono le prime cariche di esplosivo, e poi salta
tutto, in aria questo bel bordello. »
« Avete piazzato la vostra merda? » chiede il
Vecchio che esce in quel momento dal reparto
cannoni.
« Non tarderai molto a saperlo; dai, agganciati
il budriere, altrimenti finirai per perderlo per
strada. »
« Filiamo », brontola il Vecchio, « incomincia a
scottare l'aria qui. »
Saltiamo dentro a un vagone in moto e
abbandoniamo la zona, approdando poco dopo
presso la FLACK demolita, dove già sono
radunati quasi tutti i nostri.
« Voi sprofondare dentro a grosso buco di
neve, ora », dice Vassili con il suo luminoso
sorriso asiatico. « Io messo bomba vicino a
granate chimiche. Tenersi bene attaccati
altrimenti volare via fino a Cina. »
All'improvviso, l'urlo di una sirena. Un brulicare
frenetico di NKVD, risuonano grida rauche. «
Stoi Koi! » si sente gridare dall'interno
dell'officina.
« Cosa succede? » chiede Porta inquieto.
« Sono tornati tutti, i tuoi? » chiede il Vecchio
233
al sergente del Brandeburgo.
« Tutti, sì. »
« Deve essere successo qualcosa se danno
l'allarme. Delle corte salve infatti vengono
sparate dall'alto del muro dell'officina, e anche
in città stanno esplodendo delle "granate; il tiro
aumenta, la notte è lacerata da un fuoco
violento.
« Al fiume! » grida Barcelona, ansante.
« Njet, njet! » dichiara Vassili. « Ritornare a
linea ferroviaria. NKVD correre verso fiume.
Molto pericoloso laggiù. Molto arrabbiati,
adesso. »
Un razzo illuminante sale proprio sopra le
nostre teste, e rischiara tutto di un livido
bagliore.
« Non muoverti! » grida di furia Porta. « Resta
lì, anche in piedi ma fermo! » Il razzo rimane
sospeso nel cielo per un intervallo di tempo che
sembra un'eternità; e nonostante il terrore non
oso muovermi, ma finalmente si spegne e a
tutta velocità mi sprofondo nella neve. Un
soldato del Brandeburgo rotola fino a noi,
ansirnante, con il viso livido e macchiato di
sangue.
« Come ci sei venuto, in questa armata di
pazzi? » chiede Porta, tendendogli una boccata
della sua sigaretta.
« Ci hanno detto che bisognava. Si era in
Polonia, in tutto c'era rimasto un battaglione
solo. »
« Ma certo, lo dicono sempre loro quello che
bisogna fare », sospira Porta con stanchezza.
D'improvviso, a ovest, il cielo si illumina di una
lingua di fiamma d'un rosso giallastro e vivo, e
un'esplosione enorme e prolungata, seguita da
234
un'altrettanto enorme ondata di aria calda, si
srotola come un tappeto sopra le nostre teste.
Tre altre esplosioni seguono la prima, poi di
nuovo ci sommerge un'ondata di calore rovente
come il soffio dell'inferno. Poi il silenzio,
assoluto. Una fila di proiettori si accende alla
sommità del muro dell'officina, cento fasci di
luce si mettono in funzione per scoprirci, e
raffiche di proiettili schizzano e solcano il
grande avvallamento della cloaca, dove
vorremmo andare a rifugiarci, a dispetto del
consiglio del Vecchio. È evidente che non sanno
assolutamente dove siamo, per nostra fortuna.
« Ancora due minuti », ordina il Vecchio, « poi
buttatevi a terra; ci sarà un bel vulcano in
eruzione fra qualche minuto, qui. »
Insieme al frastuono delle fucilate si sentono
degli ordini, che Vassili ascolta, rizzando un
poco la testa.
« Adesso NKVD non sparare più. Credere di
avere beccato porci sabotatori. Indispensabile
sparire tutta velocità. Loro essere matti furiosi,
ora. »
«A terra!» tuona il Vecchio. «Non muovetevi! »
Un nuovo, ordine in lingua russa arriva fino
alle nostre orecchie e una sezione di NKVD esce
correndo dalla porta principale, ma soltanto un
piccolo numero di essi riesce a raggiungere la
strada, perché di colpo, dall'interno della
fabbrica, un boato esplode gigantesco e la notte
si illumina come fosse pieno giorno.
Un'immensa lingua di fiamma si alza, capace di
renderci ciechi con il suo fulgore, e in una frazio-
ne di secondo vediamo delle sagome di soldati
delinearsi contro questa luce fantastica, che
diminuisce ora, e una fiamma ancora più
235
bianca, più atroce, li fa di nuovo riapparire ai
nostri occhi. Poi tutto sparisce in una catena di
esplosioni, e improvvisamente la terra sembra
sollevarsi come sopra il dorso di un Titano,
mentre un fungo di fumo rosato prende forma e
si diffonde su tutto il paesaggio. Dove siamo?
Come fossimo delle foglie morte, lo
spostamento d'aria ci ha proiettati fuori dalle
nostre conche di neve, verso il fiume Moskova.
Piangenti, sordi, ciechi, con jl sangue che ci
imbratta tutto il viso, ci alziamo penosamente in
piedi, e la prima cosa che vedo è Fratellino che
tenta di dissotterrare il Vecchio da un
gigantesco cumulo di neve. Al primo momento
lo crediamo morto... ma grazie al cielo è solo
svenuto!
« Che scorreggia tremenda! » geme Porta,
emergendo da una fossa profonda. La scheggia
di una granata gli ha solcato profondamente la
cute sotto la zazzera rossa e, quanto a
Fratellino, non riesce a darsi pace constatando
che una pallottola gli ha forato la borraccia.
Niente più vodka ora, maledizione; e ne avrebbe
così bisogno!
Sulla sponda del fiume ritroviamo gli altri, ma
ne mancano ancora otto del Brandeburgo.
Eccone uno ridotto a pezzi, non lontano di qui
nella neve, un contadino della Frisia al quale era
stato promesso un congedo definitivo, al suo
ritorno da questa missione; un altro è sparito
senza lasciare traccia e senza dubbio è stato
polverizzato dalla pressione dell'aria. Ma tutto
quello che resta della immensa fabbrica è una
gigantesca nube di fumo color fuliggine che
ribolle in grosse volute, mucchi di ferraglia e
blocchi di cemento. E dal lato opposto della
236
strada, l'officina che produceva siluri non è ora
che un oceano di fuoco così rovente che fonde
la neve e fa colare l'acqua a torrenti.
Il calore è insopportabile, l'ultimo piano
dell'ospedale sembra sia stato tranciato di netto
dalla scure di un gigante, la stazione è sparita,
come soffiata via, e la casa del traghettatore,
proprio sulla sponda del fiume, è trapassata da
parte a parte da un enorme palo di
segnalazione stradale che assomiglia alla
gigantesca lama di una lancia. Non si vede
anima viva, tutto ciò che viveva deve essere
stato polverizzato infatti. Come atto di
sabotaggio, è un gran successo, molto ben
riuscito, bisogna riconoscere.
« Cosa diavolo è stato? » mormora il Vecchio,
ancora stordito.
« Oh merda! Dobbiamo aver fatto saltare un
enorme deposito di munizioni, ma ci dovevano
essere anche dei liquidi incendiari, all'interno.
Questa luce di un bianco folgorante, fa subito
pensare a del dannato fosforo allo stato liquido.
»
« Povera gente », commenta Barcelona. « Mi
fa pena, sai, non amavano la guerra più di
quanto non ramiamo noi, quei poveri operai. »
« Lavorato bene », dice Vassili, sempre
sorridente. « Io guardato dentro, e tutto Kaput!
T 34, vagoni, più niente. Più grosso bum io mai
visto! Grande decorazione al merito. »
« Prima di pensare alla decorazione è meglio
pensare a salvare la carcassa! » risponde Porta,
già in testa al gruppo. « Sarebbe ora di filarsela
a gambe, no? »
Le sirene, ancora le sirene! Ecco ora la FLACK
che prende a sparare.
237
« Prendere noi per bombardieri! » ride Vassili.
« Meglio per NKVD pensare che essere stati
aerei e non Brandeburgo. Capi di Cremlino
terribilmente arrabbiati contro imbecilli che non
aver sorvegliato bene grande fabbrica. Molto
difficile poveri imbecilli trovare scusa per
salvate loro pelle. »
ce Ascoltate! » dice Porta tendendo l'orecchio.
« JU 87, Stukas », segnala Fratellino.
« No, Heinckel », ribatte Stege. <c Quelli non
fotto-no come gli Stukas. »
« Signore! » esclama Barcelona. « Sono una
caterva, però. Niente affatto divertente trovarsi
sotto il loro tiro. »
Al di sopra del Cremlino vediamo sprizzare
come un geyser di proiettili, ed evidentemente
è là che hanno piazzato la batteria più
massiccia della FLACK, mentre le sirene
continuano a lacerare la notte buia.
« Sono proprio Stukas, invece », afferma Porta.
« Esplosioni a nord e a sud della città! Occorre
muoversi, ragazzi! »
« Attraverso cimitero Danilov », consiglia
Vassili. « Noi arrivare viale Serpukhovsky,
continuare fiume Krocjanka, e così rientrare
tutto dritto. Dentro parco Gorki molti soldati
comunisti, meglio loro non vedere noi. Io
pensare essere di ritorno domani sera, altri-
menti noi morti, tutti uccisi da NKVD. Grande
Konfu decidere lui. »
« Evidentemente », sospira il Vecchio. « E noi
speriamo con un po' di abilità e l'aiuto di Dio, di
cavarcela. »
Un piccolo errore di itinerario ed eccoci proprio
nel mezzo della Smolenskaya, da dove la vista
si estende fino al Cremlino. Per un istante
238
restiamo là, inebetiti, ad ammirare le cupole a
bulbo di cipolla, che luccicano come diamanti in
questa limpida alba invernale. Porta stesso
sembra affascinato, ma Vassili invece, di colpo
sembra molto inquieto. Possiede quel sicuro
istinto del pericolo che tutti i mongoli hanno.
« Mica stare tanto a guardare diavolo di
Cremlino, molto pericoloso anche per comunisti.
Noi spicciarci, più lontano possibile, subito. Dire
a Chita, che chi vedere Cremlino più niente
avere ancora in questa vita da cani. »
Filiamo verso la Moskova, diretti al ponte
Borodinsky, ma proprio là vediamo ferma una
lunga fila di camion carichi di prigionieri. Deve
essere una grossa retata, e molte uniformi,
vediamo, fra i prigionieri.
« Cacciatori di teste della NKVD. Non andare
là, noi. Loro arrestare anche generali se volere,
e io soltanto capitano miserabile, buono per
calci nel culo come cane senza padrone. Io far
loro solo segno frettoloso di lontano mentre voi
filare subito dentro via Smolensky. Loro credere
noi essere dietro il culo di gente cattiva da
uccidere. »
A tutta la velocità consentita alle nostre
gambe, prendiamo delle stradette laterali, con
Vassili sempre dietro di noi, come avesse le ali
ai piedi.
«Presto! Dentro cortile! NKVD arrivare con
fucili mitragliatori. Loro non credere a me. »
A testa bassa attraversiamo un cortile e
scavalchiamo una fila di recinti in legno. Un
guardiano ci intima l'alt, poi estrae la rivoltella,
ma nell'intervallo di un solo secondo la corda di
acciaio del Legionario l'ha già strangolato.
Buttiamo in un bidone di immondizie il corpo
239
dell'uomo e riprendiamo a correre fino a via
Souvorovskyn dove ci infiliamo in una porta
semiaperta. È un'agenzia dell'Intourist.
« L'agenzia è chiusa! » dice una voce
femminile.
« Non rompermi i coglioni! » le replica il
Legionario, balzando allo scoperto, e colpendola
al viso con il dorso della mano.
«Tedeschi!» mormora la donna, sconvolta, «
Tedeschi! » ripete fissandoci con occhi da folle.
Nello stesso istante passano nella strada i carri
BT 5 dall'alta caratteristica torretta. Il
comandante sorride e sorveglia a vista la
strada, attraverso il vetro appannato dal gelo.
« Attenzione! Se si insospettisce, ci incolla una
granata esplosiva al culo, quello! »
Il vento soffia contro i vetri e li ricopre di una
patina di neve, e il carro accelera sfiorando il
muro nel passare. Improvvisamente, un grido
acuto ci fa sussultare e, a una velocità
sbalorditiva, la donna ci sfugge attraversando il
locale. Il grido di terrore risuona una
seconda'volta. Con un salto il Legionario si
precipita su di lei, ma ella lo evita, si infila sotto
la tavola e afferra una lampada di pesante
metallo, che con tutta la sua forza lancia contro
i vetri della finestra.
« Uccidere! Lei molto pericolosa! » grida
Vassili.
La donna fa un balzo, si butta contro il
Legionario, investe in pieno il Vecchio, cui il
revolver sfugge di mano scivolando via sul
pavimento, e io cerco di dominarla e prevalere
su di lei ma ricevo un grosso calcio in faccia che
mi lascia stordito. La donna urla per la terza
volta, e se il carro armato non avesse per nostra
240
fortuna accelerato proprio nello stesso istante,
sarebbe sicuramente stata udita. Proprio
quando ha già quasi raggiunto la porta
Fratellino l'agguanta e le affonda il coltello fra il
collo e la spalla. Costei si dimena come una
belva, stretta dal pugno di ferro del gigante, e
lentamente Fratellino estrae ora il coltello dalla
spalla e lo riaffonda con tutta la sua forza fra i
due seni. La donna emette un grido soffocato,
rauco, e ricade afflosciata fra le braccia di
Fratellino, che contempla un istante il cadavere,
poi asciuga il pugnale sul vestito di lei.
« Santa Madre di Kazan! Non ci si abitua
proprio mai! » e corre a vomitare dentro un
secchio appoggiato contro la parete.
« Fatela sparire », dice il Vecchio, il viso chiuso
e serio. Porta e io la trasciniamo verso un
armadio dentro il quale la chiudiamo. Su un
ripiano è posato un cappello molto fuori moda,
guarnito di una piuma verde.
« Bestia di donna! Se non gridare vivere
ancora », dice Vassili, distribuendo dei viveri
trovati in un cassetto. « Io adorare formaggio di
capra. »
Nell'uscire, affiggiamo un grande cartello sulla
porta dell'ufficio: « Chiuso per lutto ». Ci
garantirà qualche momento di sollievo, di pace
forse. E si riparte. Vicino alla via Smolenskaya,
in un angolo protetto ci separiamo dal gruppo
dei Brandeburgo, fissando loro un secondo
appuntamento dietro le linee russe. Lunga
marcia, ora, sul lungofiume della Lenskaya. Ci
infiliamo dentro a un giardino zoologico per pas-
sare la notte. Porta, Fratellino e Vassili vengono
inviati in ricognizione attraverso il parco
Krasnopresnensky, devono aspettarci presso il
241
primo laghetto, ed è là che ci riuniremo per
attraversare il fiume. Passare la ferrovia in quel
punto è un'impresa impossibile; bisogna andare
verso sud, invece, costeggiare la stazione di
Koutosov per arrampicarci poi sulle alture di
Pakionnaya, e di là ritrovare la strada di Mozhai-
skoe.
Per parecchie ore, nessuna notizia ci arriva
delle nostre staffette, e il Vecchio allora ordina a
ogni sezione di dirigersi verso il parco,
distanziandosi il più possibile. Il silenzio dei
nostri compagni è inquietante. Sono stati,
catturati, o uccisi?
« Che nessuno spari senza un mio ordine
preciso intesi? Se occorre battetevi all'arma
bianca, ma uno sparo con questo freddo si
propaga per molti chilometri, ed è troppo
rischioso », dice il Vecchio, concitato.
Lunga ricerca e improvvisamente eccoli seduti
vicino al grande lago. Sono nascosti alla meglio
dietro una immensa statua, da dove si gode una
splendida vista sui dintorni.
« Ma cosa state facendo là, voi tre? » ruggisce
il Vecchio, furioso. « E il rapporto? »
« Siediti, calma », gli dice Porta, armato del
suo splendido binocolo. « Il ponte è sempre
occupato, neanche una pulce ariana lo
attraverserebbe. Ma qui si sta da Dio, in
compenso! »
Fratellino geme a lungo e sorride, ma ha
anche lui gli occhi incollati al binocolo.
« È quasi meglio di un film porno! »
« Belle puledre! » nitrisce Vassili con una
risata carica di concupiscenza.
« Cosa diavolo state guardando? » grida il
Vecchio, strappando il binocolo dalle mani di
242
Fratellino. « Ah, ma questo state guardando,
allora! » È paonazzo. « E avete passato tutto
questo tempo ad adocchiare le ragazze, mentre
noi eravamo ansiosi per voi. »
« Hai qualcosa di meglio, forse? A me questo
basta, e ne avanza, anche », dice Porta.
« Dire una cosa, sergente. Buona idea andare
e prendere quelle signore soldatesse. Noi
ritrovare molte forze su materassi, prima di
riprendere strada molto pericolosa. »
« Andate tutti al diavolo, mi fate vergogna,
perdio! » sbotta il Vecchio esasperato.
« E stanno facendosi una splendida doccia,
anche », dice Porta, indicando una casa rossa
non lontana da noi, dove tutte le luci sono
accese nonostante sia ancora giorno.
« Si vede proprio tutto », ridacchia Fratellino
sempre attaccato al suo binocolo come una
sentinella al posto di guardia.
« Belle cerbiatte », dice Vassili a sua volta, «
rasate pei non prendere cimici. A Chita tutte
ragazze rasate. Cinesi non amare altrimenti.
Vieni sergente, e vedere anche te. Tua moglie
essere a Berlino, e tu fottertene. »
« Brutti porci! » brontola il Vecchio. « Finirò col
dover chiedere a quelle donne di abbassare le
tendine. »
Le ragazze cantano e chiacchierano.
« Che cosa dicono? »
« Io non bene capire. Dialetto caucasico. Non
proprio lingua umana. »
« Perché poi tant'acqua? Hanno l'aria di viverci
perennemente, sotto quelle docce. »
« Sicuramente molto pidocchiose. Donne
caucasi-che molto sporche, puzzare come
caproni. Obbligate lavarsi molto. Gente di Mosca
243
non amare ragazze che puzzano. »
« Bella faccenda se quelle si accorgono di noi
», dice il Vecchio, sempre irritato. « Le donne
detestano, questo tipo di cose. »
« Tu non essere arrabbiato, sergente. Piuttosto
guardare anche tu. Non vedere tutti giorni cose
così belle, durante guerra. »
« Se andassimo a dar loro una controllatina? »
propone Fratellino. « Non oserebbero rifiutarsi
se vedono le nostre mostrine. »
« Molto buona idea », rincalza Vassili.
« Santa Madre di Kazan! » geme Barcelona
spaventato. « Eccone una che arriva proprio qui.
»
« Forza ragazzi. Sta arrivando davvero.
Sbottonatevi le braghe e preparatevi tutti. Non
capita mica tutti i giorni di essere serviti a
questo modo. »
« Filiamo, presto! » insiste il Vecchio con voce
dura. (( Se quella ci vede darà subito l'allarme!
»
« Dimentichi che siamo dei biechi e rigidi
NKVD », dice Porta tranquillamente. « Tutti si
paralizzano come statue, alla nostra vista. »
« Dio mio, che paura! » mormora il «
professore », che si è buttato nella neve e come
uno struzzo si illude di non essere visto.
« Se una di quelle passa di qui, le facciamo
una scopata collettiva! » dichiara Porta, pieno di
speranza. « Si finisce per amarla questa
maledetta Mosca, a questo punto! »
« In piedi! » ordina il Vecchio. « Andremo
subito dall'altra parte del lago. »
Lentamente, a malincuore, seguiamo il nostro
capo. È un vero peccato, però, si stava così
bene! Dalla nostra nuova posizione vediamo
244
certamente molto più lontano, fino alla
stazione, ma certo che la sala doccia delle
soldatesse non è più visibile, e tristemente ci
mettiamo a nostro agio, ci sganciamo i budrieri,
ci avvolgiamo freddolosamente nei lunghi
cappotti russi, rialziamo i baveri di pelo, e ci
barrichiamo dietno un piccolo muretto di neve
per ripararci dal vento.
« Lo sapete che è quasi Natale? » dice Porta. «
Anche solo con qualche nastro legato attorno ai
pini, avremmo l'illusione di una festa, non vi
pare? »
E all'improvviso, come per incanto, ecco
sbucare quattro ragazze che passeggiano
cantando e chiacchierando, e ridendo si
avventurano sopra la lastra ghiacciata della
superficie del lago. Cosa diavolo stanno
facendo? Le vediamo chinarsi intorno a un foro
nel ghiaccio ed estiarre una lunga fune sottile
alla quale sono legati molti ami. Una dozzina di
pesci hanno abboccato, e ad un'altra fune che
estraggono poco dopo sono appesi altri pesci,
ma questi sono così piccoli che le ragazze li
staccano dagli ami e li lasciano cadere liberi
dentro l'acqua. Forano altri buchi nel ghiaccio,
vi infilano altre funi con altri ami e poi ricoprono
il tutto con della paglia per poterli ritrovare
qualche ora dopo.
E ora ecco che si stanno avvicinando proprio
alla conca dove siamo tutti nascosti, e quasi
non osiamo respirare dall'emozione!
A una decina di metri di distanza si fermano e
estraggono da un bunker molto basso delle
cassette. Sono molto belle queste ragazze e
sembrano dolci e gentili. Una di loro ha un viso
bellissimo e una massa di capelli biondi che
245
sfuggono alla calotta militare che li preme.
A questo punto Fratellino, inebetito come un
imbecille, lascia cadere il binocolo che rotola
rumorosamente lungo il lieve pendio. Il rumore
fa voltare di scatto la testa a tutte e quattro le
ragazze, che non sanno, poverette, come la loro
vita da questo momento sia solo legata a un
tenue filo! Ancora qualche passo e ci butteremo
su di loro per violentarle, prima di ucciderle:
nessuno, nemmeno il Vecchio riuscirebbe a
imporci di non farlo, è chiaro.
« E se le catturassimo?» bisbiglia Porta.
«Saremmo soltanto in due per ciascuna di loro,
e non sarebbe poi tanto male in fondo. Io
prendo quella con le mostrine rosse, in ogni
caso, ragazzi. Sarebbe la prima volta che mi
scoperei un sergente, senza essere poi. tacciato
di pederasta! » dice scoppiando in una tale
risata che le quattro ragazze si alzano in piedi
per guardarlo meglio.
« Cretino! » mormora il Vecchio. « Di bene in
meglio, ora. Bloccatele però se vi sembra che
abbiano intenzione di correre verso il loro
alloggiamento. Guai se dessero l'allarme;
saremmo fottuti, lo capite o no, teste di cavolo?
»
Ma non avviene nulla, almeno per il momento.
Rimangono ferme e perfettamente calme, così
calme e tranquille che Fratellino impasta con le
sue grosse mani una palla di neve, e poi la
lancia colpendo alla nuca una di loro.
« Huh, huh », grida poi, lanciandone un'altra.
« Io rivestirmi e alzarmi per mostrare loro
uniforme capitano », dice Vassili,
improvvisamente molto teso. « Molto
pericoloso, ora. »
246
Si alza eretto, e agita il suo berretto di pelo,
ma le ragazze allegre e ignare sorridono e
lanciano verso di noi altre palle di neve.
« Siete veramente la banda più schifosa di
tutto il fronte dell'Est », commenta il Vecchio,
esasperato. « Una battaglia a palle di neve,
quando si è ancora dietro le linee nemiche e
facciamo parte di un commando! Roba da pazzi;
non posso nemmeno fare un rapporto su di'voi,
perché nessuno ci crederebbe! »
Battaglia generale, tutte e quattro le ragazze
si mettono di lena, lanciano palle grosse e
candide, ridono, e le loro risate sicuramente si
sentono da molto lontano. La lesta termina
soltanto quando viene il tramonto e le ragazze
ci fanno un ultimo gentile e festoso gesto di
commiato con la mano, e si allontanano.
« È la più bella partita a palle di neve che ho
mai fatto all'estero », dice Porta, radioso.
Ancora un'ora di attesa, e poi ci azzardiamo ad
attraversare il parco. Passaggio difficile sul lago
gelato verso il cimitero Dorogonùlovskoy, dove
scopriamo per caso un cumulo di cadaveri
congelati, le vittime del bombardamento a
tappeto degli Stukas.
Un grido, in lingua russa! È la sentinella di
guardia a un blocco, sul limitare del cimitero.
« Meglio io solo parlare », dice Vassili. «
Altrimenti lui molta paura e gridare. Tu
Legionario fare necessario, poi. »
Un secondo ancora e la sentinella, strangolata
con il sottile filo di acciaio, si aggiunge al
cumulo di cadaveri.
« E se dessimo una guardatina ai denti, prima
di andartene? » propone Fratellino.
« Guardaci pure, perdio! » replica il Vecchio. «
247
E andrai a far parte anche tu del mucchio di
cadaveri; ti ritroverai proprio comodo sulla
cima, cretino! »
« Merda! Come sei sempre complicato e
pessimista, tu! Sempre la stessa cantilena,
perdio. Comincio ad averne abbastanza di te,
sai? »
Ci troviamo ora davanti all'edificio destinato
alla programmazione dei documentari di
propaganda, dove un vecchio maggiore che
finge di essere un generale ci dice perentorio : «
Propusk! » Per nostra fortuna questa mezza
luce della sera incipiente fa sì che l'uomo non ci
possa vedere che a malapena, e Vassili gli si
avvicina e gli mette una paura tremenda con la
sua divisa vistosa e le sue minacce di confino a
Lioubjanka. Quello si mette istantaneamente
sull'attenti infatti e noi proseguiamo abbastanza
sollevati.
Arriviamo ai binari della stazione ferroviaria, e
a passo molto sostenuto prendiamo la via per
Mozhai-skoe, insieme a una grossa unità di
fanteria alla quale ci siamo accodati, e, non
molto dopo, ci ritroviamo in piena campagna.
Il vento cresce di intensità di minuto in minuto
e ogni passo diventa uno sforzo sovrumano.
Montagne di neve ingombrano la strada, e
dobbiamo stare ben serrati uno all'altro, per non
perderci in questo allucinante inferno bianco.
Dopo qualche ora di riposo in una stalla
abbandonata, all'alba arriviamo finalmente nella
zona del fronte, dove ritroviamo i ragazzi del
Brandeburgo, molto ansiosi sulla nostra sorte.
Grossa sfuriata perché li abbiamo fatti aspettare
troppo a lungo e sono tutti congelati dal freddo,
e ora iniziamo l'ultima parte della...
248
passeggiata, che avviene in modo abbastanza
tranquillo, almeno per il momento, con rari in-
contri con reparti russi, molto indaffarati nei
preparativi per la loro grande offensiva; ed è
chiaro a tutti che è imminente, ormai. Tutta la
zona formicola di truppe di tutte le armi, infatti,
tutti si danno un gran daffare, e non è certo un
buon segno per noi, questo attivismo febbrile.
« Molto bene, loro molto occupati grande
offensiva », dichiara Vassili. « Niente tempo per
occuparsi di pulci tedesche. »
Solo quando il buio della notte è calato del
tutto ci azzardiamo a raggiungere la « Terra di
nessuno » e poco dopo il levar del sole
approdiamo finalmente nelle prime trincee
tedesche. Il sergente del Bran-deburgo è il
primo a saltarvi dentro, ma le troviamo
completamente deserte! I due nidi di
mitragliatrici... nessuna mitragliatrice, e il
terreno tutto mosso è la sola cosa che rimane di
una batteria di mortai pesanti sul fianco del
nido.
« Fritz, Fritz, idisodar! »
Questo richiamo risuona alle mie spalle e un
MG prende ad abbaiare sul nostro fianco destro.
In un batterdocchio siamo tutti appiattiti a terra,
gli MPI sparano a raffica, un gruppo di russi
cade, mentre le granate sibilano tutt'intorno.
« Filate, via! » grida il Vecchio. « Presto!
Rimango io a coprirvi. »
Ci arrampichiamo sul bordo della trincea vuota
e ci buttiamo di corsa verso sud, sentendo alle
nostre spalle crepitare il fucile automatico.
Inciampo in un cadavere, un ragazzo del
reggimento del Brandeburgo, e arrivo per primo
dentro la buca di una granata già incombra di
249
molti cadaveri riversi in pose atroci e
grottesche.
Gambe e braccia, irrigidite dal gelo, si
protendono con gesti allucinanti verso il cielo, e
delle dita accusatrici si tendono verso di me,
come volessero dire: « Osi ancora vivere, tu?»
Porta scavalca con un salto la buca e io lo se-
guo, ma scivolo e ricado lungo il pendio
ghiacciato. Il ghiaccio qui è rosso: di sangue
congelato, e in guerra non si vedono che queste
cose purtroppo!
I russi, alle nostre calcagna, continuano a
gridarci frasi di invito: « Fritz, Fritz, idisodar! »
ma noi galoppiamo verso sud correndo quanto
ci è più possibile. Dove sono i nostri,
maledizione? Vedo Fratellino che salta, poi si
appiattisce, salta di nuovo, corre, mentre la sua
mitraglietta spara senza sosta, e dei russi
cadono non lontano da lui.
Mi fermo qualche istante per lanciare delle
granate a mano alle mie spalle, sistema con cui
si « ripulisce )> una trincea. « Come assistessi a
un film proiettato molto più veloce del dovuto,
intravedo dei russi falciati dalle granate cadere
a terra, e un braccio strappato dal corpo mi
passa proprio davanti al viso. Una nuova corsa
disperata, verso ovest, ora. Ma dove possono
essersi ritirati i nostri? Devono essere stati
costretti a ripiegare, evidentemente.
Qualche metro davanti a me galoppa il
sergente del Brandeburgo, e all'improvviso,
qualcosa di simile a un gigantesco pugno ini
atterra. Il suolo si apre sotto i miei piedi, mentre
il corpo del sergente viene proiettato in aria e
sembra volteggiare ruotando su se stesso
all'estremità di una colonna di fiamme. Ricade
250
inerte davanti a me: la mina sulla quale
incautamente ha messo il piede gli ha dilaniato
tutte e due le gambe. Non c'è più nulla da fare
per lui, il sangue sgorga a fiume dai suoi
monconi troncati di netto! È una vista
raccapricciante!
Corro, corro senza più voltarmi indietro,
mentre le sue grida mi inseguono tormentose.
Mio Dio, abbi pietà di lui, fallo morire subito,
poveretto!
E finalmente ecco le nostre linee. Tiro di sbarra
mento istantaneo però, contro di noi.
« Non sparate! Non sparate, camerati! » urla il
Vecchio "disperatamente. « Siamo del
Brandeburgo! »
Un tenente, con lo sguardo caratteristico della
Gioventù Hitleriana, sporge con cautela la testa
al di sopra del bordo della trincea e chiede la
parola d'ordine.
« Vai a farti fottere! » grida di rimando Porta,
atterrando in salvo dentro, e mettendosi al
sicuro. <( Bisogna essere proprio pazzi per
sparare. Non c'è niente di più pericoloso che dei
cretini morti di paura agli ordini di un ufficiale
che non capisce un Cristo! »
« Siete tedeschi? » grida una voce, dal punto
dove pensiamo sia rintanato il tenente.
« Vieni a vedere se non ci credi, razza di
coglione! Potrai constatarlo coi tuoi occhi prima
che ti strangoli con le mie mani! »
Un'esplosione improvvisa ci fa sussultare tutti.
È una granata a mano. Vedo Vassili sollevato
molto al di sopra del suolo e ora ricade come
una massa inerte. Sotto il suo corpo la neve
diventa subito scarlatta.
« Tedeschi, idioti! » geme. « Ammazzarli tutti,
251
cattivi tedeschi. Ora Vassili andare presso
grande Konfu. Molto triste mai sapere come
guerra finire, e noi più mangiare pollo vellutato
da cugino di Pechino. » Tenta di mettersi seduto
e stringe la mano al Vecchio: « Dasvidanja,
sergente. »
È morto.
Presi tutti da un furore violento, con la
mitraglietta che ci crepita tra le mani corriamo
dentro il cunicolo destro della trincea, verso il
tenente e i suoi uomini che in un secondo sono
tutti disarmati. Il piccolo ufficiale, terreo per lo
sgomento, è come incollato alla parete della
trincea, e il Legionario, fuori di sé, gli lacera
d'un colpo tutta l'uniforme con il suo coltello da
combattimento dalla lama affilatissima.
«Non ucciderlo», gli dice il Vecchio. « Non è
che un ragazzino. »
« Questo immondo sudicione ha assassinato
Vassili! »
E prima che il Vecchio abbia il tempo di
intervenire con un gesto, il piccolo hitleriano
sprovveduto è preso a calci violentissimi e
buttato sul fondo della trincea. Un sergente
salta su Porta, ma crolla a terra con uno
squarcio alla gola. Ed eccoci tutti trasformati in
bestie feroci e selvagge, pazzi di, furore, fucili e
revolver puntati e pronti a sparare.
« Distesi per terra a pancia in giù, mani sotto
la nuca, o sparo a tutti! » ordina il Vecchio.
Immediatamente tutta la compagnia è a terra,
all'ordine perentorio del Vecchio, che tuttavia
esclama, scoraggiato: « È a questo modo che si
deve vincere la guerra, perdio? Dove è finito il
tempo in cui il soldato tedesco rappresentava il
modello, l'ammirazione di tutti? »
252
Quasi subito compare il colonnello Hinka,
seguito da altri ufficiali. Ci stringe la mano, dà
una manata sulla spalla di Porta, e ascolta in
silenzio il nostro rapporto sulla missione
compiuta. Poi distribuisce a tutti da bere e da
fumare.
« Avete spaventato da pazzi la compagnia di
guardia! » dice.
E con aria molto dura, per la verità, si rivolge
ora al giovane tenente, che sta appartato e
chiaramente è molto a disagio.
« E voi? Perché non avete obbedito agli ordini?
Sapevate bene che aspettavo l'arrivo di un
collimando che veniva da Mosca. »
« Indossavano le uniformi russe e non hanno
risposto alla parola d'ordine », risponde il
giovane, terreo.
« Pensavate che arrivassero in uniforme di
gala, e con il permesso di libera uscita timbrato,
forse? » gli risponde Hinka, furioso.
« Ma io credevo... »
« Lo saprete molto presto quello che credevate
», tronca Hinka voltandogli le spalle.
Il giovane ufficiale vorrebbe ancora dire
qualcosa.
« Dì una sola parola », ruggisce Porta,
sputando proprio davanti ai piedi dell'ufficiale, «
e te la trancio, quella tua sporca piccola gola! »
Vassili viene sotterrato su un piccolo poggio
dal quale si possono vedere i tetti della città di
Mosca che non è lontana, e un soldato canta
una marcia funebre. Gli lasciamo il fucile
mitragliatore e il kriss al fianco, perché solo le
donne arrivano davanti a Confucio senza armi,
avevamo saputo da lui stesso.
La sera rientriamo tutti al 2° Mezzi Corazzati, e
253
quel porco di Wolf non crede ai suoi occhi
rivedendo Porta ancora in vita.
Il suo stupore è tale che ci invita seduta stante
a un festino a base di sanguinaccio alla brace,
preparato da lui stesso. Ci rimpinziamo come
pazzi, naturalmente, ma l'indomani tutta la
sezione soffre orribilmente di male al ventre. Il
sanguinaccio di Wolf, era avariato
evidentemente, e forse era solo per quello che
ci aveva generosamente invitati a dividerlo con
lui.
254
I traditori devono tutti essere liquidati,
cosi come i loro figli. Niente,
assolutamente niente deve restare di
questa immonda plebaglia.
1
« Heil Hitler, gran buco di culo! »
328
consumati dal congelamento. L'infermiere Tafel
ci fa un cenno di disperata impotenza.
« Bisogna amputarlo d'urgenza. Portatemi
dell'acqua bollente », dice.
« Qui? » dice Moser sbalordito.
« Impossibile fare in altro modo. Non può
seguirci in questo stato, e noi non possiamo
ucciderlo. »
« Che nessuno si tolga gli stivali! » grida
Moser. « È un ordine. »
Leghiamo l'artigliere a un tavolo usando le cin-
ghie dei fucili. Una donna porta dell'acqua calda
e aiuta Tafel meglio che può, una povera donna
che ha il marito e due figli nell'Armata Rossa.
Un'ora dopo quest'operazione di fortuna è
terminata, ma all'alba, il soldato muore senza
nemmeno aver ripreso conoscenza. Lo
seppelliamo in una buca di neve; sopra a un
piolo il suo elmetto e nella tasca del Vecchio
scivola una nuova piastrina di riconoscimento.
Si dimentica presto il dolore e la morte davanti
a delle meravigliose patate caldissime. Un vero
banchetto! Tutti si sentono rivivere, al punto che
nessuno protesta per il suo turno di guardia,
doppia pei ogni postazione; trenta soli minuti a
testa, d'altronde, perché nessuno
sopporterebbe questo freddo spaventoso più a
lungo.
Moser ha dato ordine di partire alle sette,
perciò avremo ancora tre ore di luce piena per
coprire un buon tratto di strada, preziose nel
caso gli abitanti del villaggio avessero avvisato i
partigiani della nostra presenza. Per loro è un
dovere vitale se non vogliono essere fucilati
come collaborazionisti, e ne sono talmente
terrorizzati che il sergente maggiore Klockdorf
329
cinicamente propone di ammazzare tutti i civili
prima di andarcene.
« I cadaveri non parlano », afferma.
« Sei matto », dice Porta. « Perdiana, non
vorremo mica ammazzare anche le vecchie
matjes! (madri)»
« E perché no? O loro o noi, e d'altra parte non
servono a niente, ormai. Quando una persona
ha superato cinquantanni, bisogna eliminarla,
anche Heydrich lo ha detto. »
« Bene a sapersi. Verrò a cercarti quando avrai
cin-quant'anni, e sarò curioso di sapere cosa ne
penserai. »
Poco dopo mezzanotte, siamo noi al turno di
guardia. Fa un freddo bestiale, ha ripreso a
nevicare e non ci si vede a due metri. Porta e io
restiamo di sentinella nella zona nord del
villaggio, e Fratellino è dispensato per i suoi
piedi dolenti, ordine dell'infermiere. È già
trascorsa circa la metà del nostro turno, quando
dall'ombra spunta il sergente maggiore Klock-
dorf, accompagnato da due uomini che
sostengono a braccia una giovane donna.
« Hai trovato un bordello? » chiede Porta,
guardando la donna con vivo interesse.
« Una partigiana, sì! » sghignazza Klockdorf
con espressione sadica, mentre con il mitra le
punzecchia il ventre.
« E la porti dal capo? » indaga Porta, sornione.
« Certamente no e poi non ti riguarda.
L'ammazziamo all'istante questa strega. »
« È troppo carina per morire, regalamela
piuttosto. »
« Prova un po' a toccarla e vedrai! Questa
sgualdrina è vetriolo puro. » Si china ora sulla
ragazza che non ha più di vent'anni. «
330
Baldracca! Creperai stai sicura, ma lentamente,
però. Cominceremo con l'affibbiarti una
pallottola nel ventre. »
« Cane di un nazista », urla la donna
sputandogli in faccia. « Non riuscirai mai a
uscire vivo dalla Russia! »
Klockdorf la colpisce con un durissimo pugno
sotto la vita e lei, gemendo si piega in due.
« Sporcacciona! » grida il sergente verde di
rabbia. « Vedrai, ora! Schiaccerò sotto i miei
piedi ogni osso della tua carcassa comunista
prima di farti crepare! »
« Dalle dei calci nel ventre, di modo che il culo
le esca dalla bocca », ridacchia un lubrico
guastatore. « Conosco questo genere di
puttane, a Minsk mettevamo loro una corda al
collo, poi le trascinavamo dietro le nostre auto
all'impazzata. »
Il suo vicino, un Oberschutze, scoppia in una
risata.
« A Riga, le appendevamo per i piedi, e
quando gridavano troppo forte, ordinavamo al
fabbro di toglier loro la lingua con le sue pinze.
»
« Qualcuno ha una corda sottile? » chiede
Klockdorf con una espressione perversa negli
occhi.
«Io», dice il guastatore mostrando un pezzo di
cavo del telefono.
« Perfetto! » sghignazza il sergente passando
quasi teneramente il filo di rame attorno al collo
della giovane donna.
« Laggiù c'è una trave », dice il suo camerata
tutto contento, mostrando una capanna vicina.
« Si arriva appena a toccare per terra con le dita
dei piedi, così ne avrà da sgambettare quella! Io
331
adoro questo tipo di spettacolo, proprio non c'è
cosa che mi diverta di più! »
« Andiamo, vieni figliola », dice Klockdorf sorri-
dente, spingendo la prigioniera col calcio del
fucile.
Hanno appena finito di far passare il cavo del
telefono attorno alla trave, quando entra nella
capanna il colonnello Moser, seguito dal
Vecchio.
« Vorrei proprio sapere, sergente, cosa state
facendo qui? » dice il colonnello con gli occhi
che sprizzano scintille.
«Abbiamo catturato una partigiana», risponde
Klockdorf ridendo in maniera forzata. « Una
vera donna selvaggia, che morde. »
Questo bruto non era mai riuscito a capire il
temperamento del colonnello, e lo detestava.
Nella sua vita militare non aveva mai incontrato
un tipo simile di ufficiale.
« Veramente? » dice il colonnello. « E cosa
intendete voi col termine di donna selvaggia?
Non ho mai letto questo termine in un testo
militare, e non sarebbe invece il momento di
fare il vostro rapporto al comandante di
compagnia? »
A malincuore, con l'odio che gli sprizza da tutti
i pori, il sergente batte i tacchi e sputa, quasi, le
sue parole.
« Signor colonnello, il sergente capo Klockdorf
riferisce che ha catturato una partigiana. »
« Bene », risponde Moser con esasperazione a
stento repressa. « E contro tutti i regolamenti
voi vi istituite giudice e carnefice? Andate, filate
via, mascalzone, fintanto che ancora riesco a
trattenermi! Levatevi di torno, o vi farò
giudicare dal Consiglio di Guerra, e il sergente
332
maggiore Beier testimonierà a vostro carico.
Via! »
« Permettete che io la liquidi, colonnello »,
insinua Porta felice, impugnando già il suo fucile
mitragliatore. » Sarebbe l'azione di guerra che
mi ha dato più soddisfazione! »
« Mi avete sentito, sergente! » grida Moser
schiumando di rabbia. « Altrimenti do ordine al
caporale Porta di abbattervi sull'istante, da quel
bruto che siete. »
Mentre l'uomo si eclissa seguito dai suoi due
scherani, il Vecchio libera la ragazza che guarda
il colonnello a bocca aperta e non capisce più
nulla. Lei avrebbe agito come Klockdorf, in
effetti, se le parti fossero state invertite.
« Beier », riprende Moser, « guardate a vista
quel mascalzone, e al minimo accenno di
indisciplina, liquidatelo. »
« Sarà una ghiottoneria », dice il Vecchio. «
Hai sentito Porta, è una faccenda che riguarda
te e Fratellino. »
« Prima che passino ventiquattr'ore, avrai in
dono i suoi coglioni dentro a una bella custodia
», sghignazza Porta. « Fra dieci minuti Fratellino
sarà sulle sue piste e sai già bene come andrà a
finire. »
« Ho detto: al minimo cenno di indisciplina»,
taglia corto il colonnello in tono asciutto.
« E di quella, cosa ne facciamo? » domanda il
Vecchio indicando la ragazza che ha ancora
attorno al collo il filo di rame.
« Fucilatela! » grida Heide. « In base alle leggi
internazionali di guerra, è permesso uccidere i
civili trovati in possesso di armi. Si devono
combattere i bolscevichi con tutti i mezzi, l'ha
proclamato il Führer in persona. »
333
« Un calcio in culo, perdio », dice Porta senza
precisare se intende Heide oppure il Führer.
« Sono dolente di quanto è successo », dice il
colonnello alla ragazza, che abbiamo nel
frattempo fatta entrare nella capanna dove
Moser è acquartierato. « Ovviamente sarete
giudicata da un Consiglio di Guerra regolare, ma
non vi accadrà nulla, linché rimarrete nella mia
compagnia. »
Porta traduce nel suo caotico russo, ma è
chiaro che la ragazza conosce molto bene il
tedesco e non ha bisogno di nessuna
traduzione.
« Rapporto al signor colonnello », dice Porta
battendo i tacchi. « La partigiana chiede che il
colonnello venga preso a calci nel culo e
aggiunge che sicuramente non uscirà vivo dalla
Russia. »
Moser alza le spalle e si allontana col Vecchio.
Il nostro colonnello è un uomo che dissente dai
fanatismi della politica, è un idealista ed è
ancora convinto che la guerra si combatte tra
gentiluomini!
Nella stufa bruciano grossi ceppi di legna e il
calore si espande benefico nella capanna dal
soffitto molto basso; Porta e disteso, tome si
deve, dietro la stufa, e tutto addossato alla
ragazza; se lei volesse fuggire dovrebbe prima
passare sul corpo del suo guardiano! Ma ecco
che all'improvviso la porta viene socchiusa, e
appare il Legionario al colmo dell'agitazione.
« Porta! » chiama a mezza voce.
« Sono sulla stufa. »
« Vieni di corsa pezzo d'idiota! Ho trovato un
deposito di viveri. »
« Kraft durch Freude! Die Strasse frei! (Il
334
vigore attraverso il piacere! La via è libera!) »
mormora Porta ruzzolando velocemente dalla
stufa, « Andiamo subito a vedere questa
meraviglia! »
« Vengo anch'io! » grida felice Fratellino che
non è stato invitato, ma si affretta ugualmente
a districarsi dal telo-tenda in cui è avvolto.
Silenziosamente usciamo dalla capanna per
penetrare poi in una specie di vasto capannone,
aperto sui due lati.
« Cosa ne dite? » fa il Legionario spostando
delle assi.
Gli occhi sbarrati, contempliamo delle casse
che hanno sul coperchio delle scritte in lingua
inglese: « Il popolo americano saluta il popolo
russo. » Sono piene di scatole che tocchiamo
con religioso rispetto.
« Conserve », dice Fratellino. » Corned beef,
ananas, pere sciroppate! Troppo bello per
essere vero. »
Ma di colpo mentre noi lo guardiamo
stupefatti, getta la scatola che stringeva con
amore, corre lontano con due balzi e si
appiattisce nella neve profonda.
« Filate! » urla. « Filate, vi dico, sento il
ticchettio! »
« Dove? » domanda Porta sempre fermo in
contemplazione delle casse. « Non sarà nella
tua testa? »
« Bombe a scoppio ritardato! » urla ancora il
gigante.
In un baleno, Porta salta fuori dal capannone,
e si butta a terra vicino a un deposito di
barbabietole.
« Continua a ticchettare? » grida a Fratellino. «
Non ti sei confuso con un passero che vuole
335
aprire la gabbia? »
« Pezzo di cretino! Salterà tutto tra poco, ti
dico! »
« È pericoloso solo quando non fa più rumore
», esclama Porta, « Avrò sempre le pere,
almeno. »
In un secondo si impadronisce di una cassa.
Ma è appena arrivato oltre un cumulo di neve,
che la terra sembra spaccarsi. Una colonna di
fuoco di inaudita potenza sprizza verso il cielo e
proietta le casse sventrate in tutte le direzioni.
Piovono frutta sciroppata, pezzi di corned beef e
scatole di alluminio dai bordi taglienti come
rasoi sprizzano ovunque come schegge di
granate.
« Che fottuta commedia! » dice Porta
indignato. « Non la perdonerò tanto presto a
Ivan. »
Fratellino raccoglie un pezzo di corned beef
che ha un disgustoso odore di salnitro, ma
aprendo la cassa di Porta quasi sveniamo dalla
gioia, trovandovi dentro una trentina di scatole
di frutta sciroppata. Ma improvvisamente... «
Attenzione! » urla il gigante. « Ricomincia il
ticchettio! »
Imbecilli! Appena il tempo di svignarcela e si
scatena un inferno, un boato molto più forte del
primo, e tutto il deposito salta in aria. Delle
bottiglie Molotov si sparpagliano nell'aria, e
scoppiano molte granate al fosforo. Quando è
quasi terminato tutto ci affrettiamo a
raggiungere la compagnia che è morta di paura.
Ma ancora prima di aver potuto spiegare loro
cos'è accaduto, si sente l'urlo della sentinella:
« Attenti! Partigiani! »
Le armi crepitano nella notte, le grida dei feriti
336
lacerano le nostre orecchie, delle sagome scure
saltano di capanna in capanna, delle esplosioni
gigantesche, delle fiamme. L'incendio avvolge
ormai tutto il villaggio.
« Vieni, dolce morte, vieni! » canticchia il
Legionario facendo scattare la sicura della sua
LMG.
Ombre nere corrono attraverso il villaggio in
fiamme, e subito il pesante fucile mitragliatore
di Fratellino ne falcia ranghi interi. Ma ve ne
sono una quantità; formicolano, queste ombre,
nelle piccole stradine che ci circondano. Un
commissario grida e brandisce un mitra sopra la
sua testa. Miro, con tutte le mie forze lancio una
granata a mano che' esplode proprio ai suoi
piedi, e il russo dilaniato viene proiettato fino
all'altro capo del villaggio.
« Bel colpo! » ammira Porta.
Corro in avanti col « professore » che porta in
spalla le sacche colme di granate, lui me le
porge dopo aver tolto la sicura, ma ho dato
tanta forza al mio primo lancio che le braccia
ora mi dolgono, e non arrivo più a lanciare oltre
i 70 metri. Per un granatiere dilettante, non
sarebbe male, in effetti. 1 partigiani sono
fuggiti. In Russia, è sempre così; appena i com-
missari spariscono, tutto crolla, sia che si tratti
di commando, sia di partigiani o di soldati. Per
maggior sicurezza il Legionario butta una mina
T in una capanna ancora intatta, che si spacca
in due come una mela matura. E torna il
silenzio, ma si sentono correre dei passi nella
foresta. Vediamo Klockdorf abbattere due
prigionieri con un colpo alla nuca, e spaccar loro
la testa a colpi di calcio di fucile.
« Cosa vi piglia? » urla Moser, con rabbia.
337
« Riferisco al signor colonnello che eseguo gli
ordini del Consiglio di Guerra. Ho appena colto
questi due nell'istante in cui stavano tagliando
la gola dello staraste, (sindaco), che protestava
perché i partigiani gli incendiavano il villaggio. »
« Vi segnalerò per sabotaggio agli ordini »,
rimbrotta il colonnello, reso più furioso dall'aria
ironica con la quale il bruto accoglie la sua
minaccia.
Abbiamo perduto dodici uomini, due sentinelle
hanno il cranio spaccato, cinque uomini sono
feriti in modo grave, uno di essi con una raffica
di mitra nel ventre.
« Pronti a partire», comanda Moser.
«Ritorneranno, dopo essersi raggruppati; in
marcia, dunque! »
Siamo in cammino da ormai mezz'ora, quando
il colonnello si ricorda improvvisamente della
partigiana.
« Dov'è? » chiede a Porta.
« È tornata a casa, pregandomi di salutare
tutti », risponde Porta, tranquillamente.
« Non mi starete dicendo che ve la siete
lasciata scappare! » esclama il colonnello,
stupito di tanta disinvoltura.
« Affatto! La trovavo anche di mio gusto se è
per quello e le ho proposto la direzione del mio
futuro bordello sulla Friedrichstrasse. Allora lei è
diventata sprezzante e volgare e ha cercato di
rubarmi il fucile; le ho mollato uno schiaffo e
sono uscito per cercare una corda con la quale
legarla. Ma nel frattempo lei se l'era svignata, e
quando l'ho raggiunta, mi ha affibbiato una
randellata con una pala ed è filata via nella
foresta. Le ho gridato di ritornare per non farvi
arrabbiare, ma quella puttana mi ha mandato al
338
diavolo. »
« Siete un fenomeno, veramente! » dice Moser
sbigottito. « Mi auguro che le nostre strade
divergano, un giorno o l'altro perché ne ho fin
sopra i capelli di tutti voi, maledizione! »
« Stia tranquillo colonnello, non durerà ancora
a lungo, gli ufficiali da noi non invecchiano, è
una strana tradizione », replica Porta
sorridendo, fissandolo con aria candida.
Tre giorni dopo eccoci in un villaggio distrutto,
dove solo dei comignoli dall'aspetto sinistro si
stagliano contro il cielo.
« Là », dice il Vecchio indicando l'orizzonte. «
Proiettili traccianti russi. »
La notte è scura, senza stelle, e delle pesanti
nuvole si rincorrono sopra di noi. Di tanto in
tanto nevica, e per qualche minuto rimaniamo
in contemplazione davanti a quei fuochi lontani.
Come sono belli, visti da qui! I proiettili
tracciano nel crepuscolo archi luminosi, lasciano
delle scie che esplodono in getti multicolori.
« Sono i nostri », osserva Moser. « Si tratta
solo di far presto, ormai. Domattina forse
potrebbe essere troppo tardi, visto che i russi ci
tallonano senza requie. »
È vero. L'orizzonte prende fuoco e
immediatamente dopo un boato tremendo
arriva fino a noi. Senza dubbio stiamo capitando
in mezzo ad un poderoso duello di artiglieria.
« Mi chiedo cosa sta succedendo al fronte »,
dice Moser dubbioso dopo aver contemplato
l'incendio del cielo con il suo binocolo.
« Sparano forse le loro ultime cartucce »,
mormora Porta con una smorfia che sembra un
sorriso.
« I capi sezione a rapporto da ine. Fra dieci
339
minuti partenza, e tutti pronti per uno scontro »,
ordina Moser aggiustandosi la cinghia
dell'elmetto sotto il mento.
« Adesso? Con questo buio? » chiede sbigottito
il sergente Kramm, che con undici uomini si è
unito a noi qualche giorno fa. « Ci sono russi
ovunque. »
« Vorreste dirmi dove non ci sono russi? »
risponde Moser sarcastico. « Partenza tra dieci
minuti, ho detto. E bisogna passare,
assolutamente, dovessimo batterci con la pala e
la baionetta. »
La breve sosta è servita a rifornire di caricatori
e di nastri le mitragliatrici, tutti brontolano, e
ormai vicini alla meta sembra che il morale
vacilli, in tutti noi.
« Ascoltatemi », dice il colonnello quando tutti
sono allineati e pronti a partire. « Siamo
diventati una compagnia abbastanza completa
e presentabile; unità decimate si sono unite a
noi, dal personale d'ufficio alle cucine volanti,
fino agli esperti in fatto di razzi e di esplosivi. Le
linee tedesche sono a cinque o sei chilometri da
qui, dunque con un ultimo sforzo saremo presto
tra i nostri. Dobbiamo partire subito. Domattina
il nemico può aver sfondato ancora il fronte e i
nostri possono essersi ritirati ancora.
Preparatevi a un combattimento furioso, ma è la
nostra sola possibilità di salvezza. Per quanto è
possibile si porteranno con noi i feriti, ma
disgraziatamente per essi ciò non ci deve far
ritardare. E prima di tutto mantenete sempre il
collegamento! La compagnia avanza in fila
indiana, con la 2ª sezione in testa. Conto su di
voi, sergente Beier. »
« E se il nostro sfondamento fallisce? »
340
domanda Klockdorf.
« Moriremo, ecco tutto. »
Fratellino ha scovato un fucile mitragliatore
russo nuovo fiammante, e lo accarezza
amorevolmente, e Porta mi getta una scatola di
composta di pere, che inghiotto avidamente e
che mi rimette in forze. Ci incamminiamo
attraversando una regione meno boscosa e non
siamo che a metà percorso quando udiamo
degli spari provenienti da un folto di alberi.
Porta avanza isolato, spara, e poi copre la
sezione che avanza in direzione del boschetto.
Moser ci supera col gruppo del collimando, tiro
intenso di granate, Fratellino balza come un
felino oltre a noi e la sua arma crepita. Dal
boschetto arrivano alle nostre orecchie grida e
imprecazioni.
« Job Tvojemadj, Germanski, Germanski! »
La neve stride sotto dei passi rapidi, e una
salva abbatte due guastatori sui quali si china
l'infermiere.
« Avanzate! » grida il colonnello spingendo
davanti a sé Tafel.
La 2ª sezione travolge e sgomina un gruppo di
russi che viene liquidato all'arma bianca, e con
un sol colpo del suo terribile pugno Fratellino
spezza la nuca a una donna-capitano la cui
testa ora è piegata all'indietro come in un
tentativo di guardarsi alle spalle. Senza più fiato
in corpo, corriamo nella neve polverosa, e
spesso sprofondiamo fino alle spalle e i came-
rati sono costretti a risollevarci per le braccia.
Questa neve assomiglia a una palude fangosa
senza fondo che vi aspira verso i suoi abissi,
come in una voragine.
Tre fantaccini russi ne vengono inghiottiti, e il
341
sergente Klockdorf li liquida con un colpo alla
nuca.
Bieve sosta. Mancano all'appello ventitré
uomini, e un gruppo di mitraglieri sono
scomparsi senza lasciare traccia. Il colonnello
Moser è furibondo.
« Non sarebbe mai successo se aveste
mantenuto il collegamento come avevo
ordinato. Chi è che manca? »
Nessuno lo sa. Sono unità di altri battaglioni
che si sono aggregate a noi da qualche giorno.
« Niente da fare », decide Moser, asciutto. «
Impossibile andare a ricercarli, ma per l'amor di
Dio, badate costantemente a mantenere il
collegamento! È la nostra sola possibilità di
riuscire ad attraversare le linee nemiche. La
morte è ovunque, lo capite o no? »
Quattro volle consecutive Fratellino cade nella
neve molle e profonda, e per estrarle una
massa pesante come la sua lo sforzo è uguale a
quello che si farebbe per estrarle un cavallo. La
quarta volta diventa quasi folle di rabbia e
stanchezza, spara nella neve, e fa saltare a
pedate due cadaveri.
« Uscite di là, morti cretini! Non ostruite il
passaggio, proprio dove io faccio la guerra! »
Estenuato, il « professore » si trascina, ultimo
della fila, penosamente, finisce per stramazzare
a terra singhiozzando, e il Legionario è costretto
a prenderlo sotto braccia per sostenerlo. Ma di
colpo si accorge di aver perduto le sacche delle
munizioni, ed è il portatore di Fratellino per
giunta!
« Devo ritornare indietro! » piange. « Fratellino
mi ammazza se si accorge che ho perso le sue
dannate munizioni! »
342
« Chiudi il becco! » grida il Legionario
trattenendolo stretto. « Ne troverai un mucchio
di sacche piene di munizioni quando ci
imbatteremo nei vicini, e non tarderà poi molto.
»
La rabbia di Fratellino nei confronti della neve
si è appena placata, quando si accorge della
sparizione delle sue preziosissime munizioni.
« Non avrai buttato via le mie polveri spero! »
mugola puntando il suo sudicio dito sul «
professore ».
« Le ho perdute! » geme il poveretto.
« Perdute! » urla il gigante con un tono di voce
tale che ne risuona tutta la foresta. « Perdute! E
nel bel mezzo di una guerra! Bisogna essere
pazzi! Niente polveri, niente guerra! Torna
indietro! » urla alzando ancora il tono della
voce, « e ritrova le munizioni! Come posso
ammazzare i ' vicini ' senza i miei arnesi del
mestiere? Ecco cosa capita a mescolare degli
stranieri prussiani! Riportami quello che ti ho
detto, e presto! »
» No », dice il Legionario, « lui rimane qui. »
« Cosa? » borbotta Fratellino sbalordito. « Cosa
dici tu, soldato delle sabbie? Osi sabotare la
Seconda guerra mondiale? Dovevi restare nel
tuo Sahara... »
« Non dimenticare che sono un sottufficiale,
Creutzfeld. Ordino che lui rimanga qui, chiaro? »
« Ma come! » urla il gigante furente. « Ecco
che ora non ho più portatore. Tientelo pure il
tuo straniero, del resto! »
» Puoi anche incollartelo al tuo culo da
deserto, se vuoi! Ne ho abbastanza dei
norvegesi, preferirei dei veri guastatori e delle
vere strade per camminarci sopra fino in Russia!
343
»
Sparisce nella foresta, col fucile sotto il braccio
come fosse una pala, e per un bel po' lo si sente
tuonare contro la Norvegia, il Marocco e la
Legione, che rende in blocco responsabili della
perdita delle sue munizioni.
« Ma chi sbraita in questo modo? » chiede
Moser.
«Fratellino», risponde Porta, « Forse ha
morsicato un commissario. »
« Ancora la vostra sezione, Beier?
Decisamente mi farà impazzire! O sparite tutti
dalla 5ª compagnia, o esplodo, non ne posso
più! »
« Quei crumiri di comunisti sono ad un
chilometro da qui, dall'altra parte della miniera
di carbone! » È la voce tonante di Fratellino che
risuona di nuovo, mentre lo vediamo spuntare
tra gli abeti. » Hanno cagato tutto un carico di
esplosivi quando ho sparato sotto ai loro culi! »
E brandisce sopra la testa due sacchi rigonfi. «
Propongo di andare ad ammazzarli subito! Sono
solo dei miliziani e hanno solo una mitra-
gliatrice; un bel po' di pedate nel culo, e via! »
« Andate al diavolo! » urla Moser. « E’
veramente il colmo! »
« Colmo cosa, un barile? » domanda il gigante
veramente stupito, « Se troviamo dell'acquavite
prima di rientrare a casa, ho ben diritto a
doppia razione, spero!»
« Sentite », dice Moser esasperato, muovendo
un passo verso di lui, « se aprite la bocca
ancora una sola volta, sarà l'ultima parola che
pronuncerete nella vostra vita, chiaro? »
Fratellino si rifugia vicino a Porta.
« Questa guerra diventa ogni giorno più
344
impossibile », dice offeso. « Non si può più
nemmeno chiacchierare, e tra un po' non si
potrà nemmeno andare al cesso. »
Il tiro dell'artiglieria è ora simile al rombo del
tuono. Le posizioni russe non sono lontane, e
fiammate si alzano di continuo e altissime sopra
le cime degli alberi. Improvvisamente Porta alza
una mano in silenzio, segno d'allarme, e la
compagnia si appiattisce a terra. Uno scoppio
tremendo: è un cannone russo a qualche metro
da noi. Le riamine provocate dalla partenza del
colpo illuminano la scena come fossimo in pieno
giorno, e vediamo gli artiglieri affaccendarsi per
il tiro successivo.
« Diavolo », dice il Legionario, » calibro 38. Ba-
sta un quarto d'ora per ricaricare, possiamo
ammazzarli tutti prima che parta il secondo
colpo. Non si accorgeranno neanche di esser
morti. 'Vive la mort! »
L'acciaio tintinna contro l'acciaio, si odono
ordini brevi e secchi e dei cigolìi quando issano
il grosso proiettile in posizione di tiro.
« Pronti? » sussurra il Vecchio, togliendosi
dallo stivale il coltello da trincea.
« Come tanti uccellini affamati », dice Porta
che intanto punta la sua LMG.
Nell'istante preciso in cui parte il tiro del
cannone, una granata lanciata da Moser cade
proprio in mezzo ai serventi al pezzo e nello
stesso istante tutte le nostre armi crepitano. Ci
precipitiamo. Inciampo in un cadavere, mi
rimetto in piedi e rotolo in fondo a un leggero
pendio, delle spine mi lacerano la pelle delle
mani e del viso. Porta mi è alle calcagna. Come
un serpente rotola e spara simultaneamente su
delle sagome che vengono verso di noi
345
risalendo il pendio e che vediamo accasciarsi a
terra. Fratellino ruzzola giù a valanga
agguantando un ufficiale russo al quale fracassa
la testa contro una pietra. Avanti! Avanti! Da
una trincea una mitragliatrice spara su di noi.
Pioggia di granate di rimando, che distruggono
il nido di mitragliatrici. Più presto, più presto! La
nostra salvezza dipende solo da questa corsa
contro la morte.
Il sergente telegrafista è colpito al collo e un
fiotto del suo sangue mi spruzza sul viso. Il
poveretto grida, e cerca di tamponarsi la ferita
con della neve, ma non c'è più nulla da fare per
lui, l'arteria è troncata. Due SS precipitano in un
fosso e restano infilzati a delle baionette
allineate in senso verticale, con urla laceranti.
Anche per loro non c'è più nulla da fare. Col
fiato mozzo ci avviciniamo a delle baracche,
delle stalle per il bestiame e i pastori.
Fratellino è in testa. Lancia una granata a
mano in una porta socchiusa e balza di lato per
ripararsi.
Una granata esplode con un tonfo sordo. Poi,
silenzio.
« Senti qualcosa? » gli chiede Porta.
« Non vola una mosca. »
« Strano», replica Porta insospettito.
« Non c'è nessuno, ti dico. Sai bene che
sentirei volare una mosca. »
Lancio un razzo che ridiscente lentamente
illuminando' una zona dove effettivamente non
vedo nulla di anormale, mentre il colonnello e il
Vecchio arrivano di corsa.
« Che diavolo aspettate? » esclama Moser. «
Distruggete tutto! Non c'è un minuto da
perdere. »
346
Fratellino si butta in avanti e lo trattiene per il
braccio.
« Aspettate, signor colonnello, altrimenti temo
che non ci rivedremo proprio più. Un gatto nero
è uscito da. una baracca. »
« E con ciò? »
« Niente, era solo un gatto nero. »
Arrivano, anch'essi di corsa, altri soldati dei
quali non sappiamo nemmeno i nomi, che
abbiamo raccattato mezzi morti di paura in un
bunker tre giorni fa.
« Fermatevi! » urla il colonnello.
Ma gli uomini, estenuati, hanno
evidentemente perso la testa, completamente
disorientati, cominciano a gridare: « Tovarisch,
nicht schiessen! (Compagni, non sparate!) » Ci
hanno forse scambiato per dei russi? Con le
mani alzate, si precipitano urlando verso le
baracche.
« Fermatevi, fermatevi! ho detto! » grida
ancora Moser agitando le braccia.
Ma per tutta risposta non sente che: « Nicht
schiessen, nicht schiessen, Tovarisch! » Ed
eccoli davanti a una baracca pronti a sfondarne
la porta a pedate.
« Tutti a terra! » grida Porta con voce
angosciata.
In quello stesso istante si sente un boato, e
tutto salta in aria. Le esplosioni si succedono
una all'altra e dei poveri soldati sconosciuti non
resta neppure l'ombra.
« Mio Dio! » mormora Moser esterrefatto. «
Cosa è stato? »
« Un regalo di Stalin », ride Porta. « Nelle
ritirate è sempre meglio stare molto attenti
prima di aprire una porta. »
347
« Hai visto », dice Fratellino trionfante, «
avevo ragione io col mio gatto nero! I novellini
si fanno sempre fregare al primo colpo. Bella
coglionata ficcarsi così alla cieca in un posto
simile, si capiva subito che era uno scherzetto
di Ivan! »
« Filiamo ora », ordina Moser.
« Un attimo ancora, signor colonnello »,
risponde Porta. « Gli ' amici ' stanno venendo a
vedere chi ha ricevuto il regalo del loro Stalin. »
« Eccoli! » grida Fratellino facendo
immediatamente fuoco, e un gruppetto di russi
cade, falciato dai suoi colpi.
« Questa volta sì che ce la filiamo », urla Porta.
Con le ultime forze rimasteci, ci buttiamo a
correre nella neve. I russi giacciono a terra in
una pozza di sangue e uno di loro geme
guardandosi attonito il corpo orrendamente
mutilato. Il colonnello Moser fa l'appello,
mancano quattordici uomini. Siamo rimasti in
settantatré, e questo significa che abbiamo
perduto più di trecento uomini. Visibilmente
teso e scoraggiato il nostro capo, giocherella
cupo con la sua rivoltella. Fratellino si concentra
e arrotola fra le dita qualcosa che assomiglia a
una sigaretta, ne aspira una profonda boccata,
trattiene a lungo il fumo in bocca, poi la passa a
Porta. Una tirata per ognuno della 2ª sezione,
come sempre.
Tuona di nuovo l'artiglieria, fischiano le
granate, a ovest è tutto un bagliore di fuoco.
« Chi e quel coglione che ha detto che
l'esercito di Ivan era fottuto? » domanda Porta.
« Sta' zitto! » risponde il Vecchio. « Mi viene
da vomitare, se ci penso. »
« Se continua così, prima di aver attraversato
348
le linee nemiche potrai anche cancellare il nome
di Joseph Porta, dalla grande armata tedesca. »
Il « professore » è al limite, e scoppia a
piangere ad ogni passo.
« Via! » gli dice Porta. « Certo non hai molte
possibilità essendo straniero, te ne do atto, ma
stai incollato a me per tutto il resto della guerra,
che non è poi molto ancora, e vedrai che te la
caverai. E poi alla fine riuscirai a ritornare dai
tuoi, e più presto di quanto non credi, anche. »
Gli caccia d'autorità una mezza pera allo
sciroppo di grappa in bocca, e gli dice, paterno:
« Mastica lentamente e inghiotti prima il sugo. È
come il pepe nel culo di un cavallo, vedrai. »
Io resto più volte sommerso dentro a dei
cumuli di neve, dai quali i miei compagni
devono estranili con molta fatica e molte
imprecazioni. Questa neve molle è un inferno,
purtroppo. Sono talmente stanco che supplico
che mi abbandonino, e piango anche, proprio
come il « professore ». Ma tutti, per la verità,
sono al limite delle forze.
Dopo il forzato passaggio attraverso un
cespuglio di rovi che ci strappa le uniformi già di
per sé lacere da tempo, la pelle a nudo è tutta
intrisa di sangue e di sudore, ma finalmente la
nevicata piano piano diminuisce, e poi cessa del
tutto. La luna appare in mezzo alle nuvole, è
quasi chiaro, e questa luce sulla neve è
talmente bella, che dimentichiamo per qualche
istante le nostre sofferenze. Ma questa
atmosfera fantasmagorica può far si che i russi
ci individuino con più facilità, e i nostri passi
sono rumorosi, purtroppo! Ci fermiamo di tanto
in tanto per ascoltare questi scricchiolii sinistri,
e abbiamo la sensazione di camminare sopra un
349
abisso.
« Presto! » dice il Vecchio. « Non pisciatevi
addosso dalla paura; siamo sopra una palude
senza fondo, ma ringraziate il cielo che è così
ben ghiacciata! »
Delle canne dell'altezza di un uomo ci danno
una certa sensazione di sicurezza, ma la palude
termina improvvisamente, ed eccoci invece
davanti a un piccolo agglomerato di case.
« Sloi kto! » si sente dire nella notte; un'arma
crepita, appare una lunga lingua di fiamma, e
una salva squarcia il viso del soldato Bohle.
«Avanti!» grida Moser. « Fuoco a volontà.»
Tutto sembra scoppiare. Spazziamo d'un sol
colpo le sentinelle, la compagnia parte
all'attacco, lancia delle granate attraverso le
piccole finestre, apre la porta con un calcio, e
svuota i caricatori sui soldati addormentati. Un
deposito di munizioni... Porta senza riflettere,
lancia una granata che atterra proprio nel
mezzo del mucchio delle casse! Esplosione
fantastica che, letteralmente, ci proietta fuori
dal villaggio, e tutto brucia in un apocalisse di
fuoco e di calore.
« Siete il più gran cretino che abbia mai visto,
maledizione! » grida Moser, rialzandosi in piedi
inondato di sangue e di neve.
« È stato proprio un bel fracasso », replica
Porta, con indifferenza. « I vicini, qui, devono
aver pisciato sulla testa dei loro commissari,
dalla paura. »
Per un certo numero di ore, marciamo su una
strada solcata da tracce di cingoli, niente di
rassicurante, perciò.
« Carri! » bisbiglia infatti Fratellino,
appiattendosi d'acchito a terra.
350
Una lunga fila di T 34 si intravede sotto
l'ombra degli abeti.
« Questo è il gran momento per il cappellano
militare », dite Porta ansioso. « Siamo stati tutti
dei buoni figli di Maria Vergine, credo. »
« Sì, ma lei non ha mai avuto la disgrazia di
capitare in una guerra mondiale, però! »
Lunga deviazione per evitare i T 34,
attraversiamo un vivaio di abeti, ed eccoci ora
in una radura. Davanti a noi vediamo un piccolo
crinale, un po' più elevato rispetto al piano dove
ci troviamo, ed evidentemente dobbiamo
superarlo. Su una strada laterale, vediamo una
fila di camion russi i cui fari sono smaltati di blu
e che si dirigono lentamente verso ovest; delle
pallottole traccianti sibilano in tutte le direzioni,
Klockdorf e il Vecchio si arrampicano sulla cima
della cresta, mentre la compagnia rimane in
attesa, mimetizzata alla meglio nella neve.
« Bisogna passare attraverso una posizione
russa che è piazzata proprio davanti al crinale »,
dice il Vecchio ritornando sui suoi passi.
« In marcia! » ordina Moser, sostituendo il
caricatore del suo MPI.
La compagnia si sparpaglia e coniatilo, tutti
piegati in due. verso la cresta. Del fosforo
fluttua raso terra, illuminando tutto di uno
strano chiarore di morte, e ora possiamo
individuare con precisione le trincee e i bunker
del nemico, mentre i razzi traccianti formano
come delle collane al di sopra del suolo, scavato
e solcato. Breve sosta per raggrupparci di nuo-
vo, e il tenente Moser posa ora una mano sulla
spalla del Vecchio.
« Questo è l'ultimo ostacolo, e questa volta, ce
la faremo: ma, ancora una volta vi ripeto,
351
sergente Beier, fate la massima attenzione e
mantenete costantemente i collegamenti. »
« E i feriti? »
« Fate quello che potete », risponde Moser
evasivo.
A balzi successivi, avanziamo verso la
posizione. Se veniamo scoperti prima di riuscire
a raggiungere le nostre linee, siamo finiti, morti,
non c'è altro da dire.
« Dove diavolo è Ivan? » bisbiglia Porta,
stupito e perplesso, nell'appiattirsi proprio a
pochi metri dalle linee russe; non vediamo in
effetti nessuno, non una sola ombra di soldato.
« La posizione deve sicuramente essere difesa
», mormora Klockdorf, tesissimo.
« Laggiù, sul lato del bosco ci sono gli
avamposti tedeschi », dice Moser, a bassissima
voce.
« Allora gli ' altri ' devono proprio essere vicini
anche loro », bisbiglia Fratellino. « Si
aggrappano sempre al culo dei tedeschi, quelli!
»
« Tutti presenti? »
« Sì. Gli eventuali ritardatari avranno una
multa e una nota di biasimo », dichiara
Fratellino.
Nel silenzio più assoluto, arranchiamo
strisciando verso le trincee.
«Ah, eccolo lì, un Ivan! Caro vecchio mio!
Avevo proprio paura che preso dallo
scoraggiamento fosse rientrato a casa sua! »
dice Porta.
Ora li vediamo distintamente. Sono allineati
contro il parapetto della trincea, ma tutti
mimetizzati sotto teloni bianchi. Strano e poco
credibile, che non ci abbiano ancora
352
individuati...
« Granate a mano », mormora Moser. « Tutti
insieme, via. »
L'effetto è molto simile a un attacco di
artiglieria, nella stretta trincea in cui tutti sono
stati presi alla sprovvista; e come conseguenza
semina il panico generale. « Ripuliamo » tutto
all'arma bianca, e corriamo con tutta la velocità
che ci è consentita dalle nostre gambe tanto
provate dalle lunghissime marce, nella « Terra di
nessuno ». Molte mine esplodono, e corpi umani
vengono proiettati in aria. Chi? Non lo sappiamo
ancora, ma non abbiamo il tempo né la
possibilità di saperlo, perché il fuoco ci brucia
gli occhi e molte teste dei nostri compagni
scoppiano come conchiglie che si schiudono.
Porta e Barcelona tranciano i reticolati, ma ecco
che ci imbattiamo in un ricognitore russo che
prende a sparare. D'un balzo Porta lo afferra e
lo strangola, ma ci è già costato cinque uomini,
e anche Stege è ferito. Trasciniamo il nostro
compagno dentro al telone di una tenda,
insensibili ai suoi gemiti, ma può dirsi fortunato
perché è uno dei pochi feriti che siamo riusciti a
salvare; gli altri sono rimasti indietro, al di là dei
reticolati, soli a morire.
Ma i russi hanno superato il momento di
panico, e sentiamo ora degli ordini che vengono
impartiti con voci secche e autoritarie; subito
prendono a sibilare delle granate, le
mitragliatrici crepitano, dei razzi illuminanti, a
centinaia, si alzano verso il cielo, e noi ci
appiattiamo a terra più che possiamo.
Continuare a correre con questa luce accecante
sarebbe una follia, infatti.
Per quanto tempo siamo rimasti immobili in
353
quella posizione? Un mese, un giorno, un'ora?
Saremmo stupefatti se ci dicessero che fu solo
questione di secondi. Furiosamente cerchiamo
di appiattirci e di sommergerci del tutto dentro
la neve, io mi volto verso il mio vicino per
aiutarlo ma la sola cosa che vedo ormai di lui è
una macchia di sangue. Era lì un secondo prima
ed era allegro anche, illuso di essere ormai al
sicuro, ed è toccata a lui purtroppo. L'avevo
sentita venire quella granata di 80 millimetri,
una granata di mortaio, terribile, ed ecco che
ora prendono a tirare con i loro Katiusha, e il
terreno si alza come una parete davanti e dietro
di noi.
Moser si precipita in avanti; il Legionario lo se-
gue, ma è ricacciato indietro da una lingua di
fuoco. Urla, si porta le mani agli occhi, e vedo
del sangue che cola attraverso le sue dita. Mi
butto su di lui, lo prendo per i piedi e lo tiro
dentro la mia buca. Ma metà del suo viso non la
vedo più!
« Non vedo, non vedo », geme, « sono cieco.
Dammi il revolver. »
« Balle », gli dico. « I tuoi occhi non hanno
niente, è la medicazione che ti sto facendo che
li copre. La tua guancia destra è partita del
tutto, invece, e questo ti varrà almeno due mesi
di ospedale. Una vera fortuna! »
Ma non mi crede. Devo sollevare una parte
della benda con cui gli ho avvolto tutto il viso,
perché si convinca di non essere diventato cieco
ma, per prudenza, gli tolgo dal fodero la pistola.
I feriti alla testa a volte hanno idee molto
lugubri.
« Avanti! » grida Moser.
Tengo stretta la mano del Legionario per
354
correre con lui; e vicino a me corre anche il «
professore », che ha perduto il suo fucile
mitragliatore e teme il Consiglio di Guerra. E lo
sento arrivare, il sibilo mortale... arrivo giusto in
tempo per buttare il Legionario insieme a me
dentro a una buca profonda, ma il « professore
» è così concentrato nel pensiero della perdita
della sua arma, che non ha sentito in tempo il
sibilo della granata. Il suo braccio viene
strappato dal corpo, proiettato in aria, e poi
ricade di nuovo, quasi addosso a lui.
Stupefatto lo raccoglie, e non capisce al
momento che questo moncone era parte del
suo stesso corpo, e che il sangue che sprizza è il
suo; tendo fino allo spasimo un laccio
emostatico di fortuna fatto con la cinghia della
sua maschera a gas, e spolvero dei sulfamidici
sulla ferita aperta. Non sente alcun dolore, dice
stupito lui stesso, mentre io chiamo gli altri a
raccolta: ma nessuno mi può sentire. Così ne ho
ben due da trascinarmi appresso e mi auguro di
non imbattermi in un russo, perché prima
ancora che mi sia possibile estrarre la mia
arma, sarei già morto cento volte.
Improvvisamente « il professore » si mette a
urlare, in modo atroce; l'anestesia del primo
choc è svanita e il poveretto soffre come un
dannato. Come solo compenso può sentirsi
liberato dei suoi complessi di mancata
disciplina, perché se gli chiedessero dove è il
suo fucile, può sempre rispondere che se n'è
partito insieme al suo braccio! E anche il più
severo e rigido dei Consigli di Guerra non
sarebbe in grado di provare il contrario. O forse
esigeranno che lui riconsegni regolarmente
fucile e braccio? Porta sostiene che la perdita di
355
un braccio può essere giudicata un atto di
sabotaggio, ma la sua tesi non mi sembra plau-
sibile, per la verità. Se perdete un braccio non
servite più a niente, in ogni caso, mentre se
avete tutte e due le gambe amputate potete in
qualche modo ancora servire alla patria, fornito
di protesi, nel reparto convogli e
approvvigionamenti, i prussiani vantano dei
sergenti istruttori che riescono a ottenere cose
inaudite da questi infelici grandi invalidi!
L'urlo orrendo dei 10,5 è proprio sopra le
nostre teste, ed è molto simile al fragore che
migliaia di tamburi di ferro farebbero
precipitando uno sull'altro dentro a una buca
profonda. Un gruppo di artiglieri che correva
proprio davanti a me, sparisce come d'incanto
avvolto in una fiamma folgorante. Geyser di
neve e di terra si alzano verso il cielo, nerastri,
Porta si aggrappa al reticolato sempre
trascinando con sé Stege ferito, ma a un tratto
lancia un grido! Abbandona il suo fucile
automatico, si comprime tutte e due le mani sul
ventre e cade in avanti, inerte. Mi butto vicino a
lui, e singhiozzo convulso; Porta, il mio caro
compagno, forse è morto, l'ho visto cadere in
modo strano, innaturale, arrotolandosi su se
stesso e con una gamba come disarticolata dal
corpo. Anche il Vecchio si affretta ad avvicinarsi
a noi, seguito da Fratellino. Ma, grazie al cielo,
vediamo che Porta apre gli occhi.
« Devo aver messo un piede su un elmetto,
deve essere stato proprio così », dice. « Ma
dove mi ha colpito quella dannata granata? »
« A una gamba », gli dice il Vecchio,
dolcemente.
« Una gamba? » fa Porta stupito. « Ma io ho un
356
gran male al petto e al ventre! »
Il Vecchio, ansioso, lo tasta tutto, ma non trova
niente, nessuna scalfittura né al petto né al
ventre.
« Non mettermi troppo le mani addosso, sai
che non lo sopporto! » gli dice Porta, sorridendo
con malizia.
Ma le dita agili del Vecchio continuano a
percorrere veloci il corpo del compagno. Mi
guarda e poi guarda l'anca di Porta. Una brutta
ferita, e ci diamo tutti da fare usando le bende
che abbiamo in dotazione per medicarlo alla
meglio.
« Come va? »
È il colonnello, che è balzato dentro la nostra
buca e si china su Porta. Tace, le sue labbra
tremano, e intuiamo tutti che è al limite di una
crisi di nervi. Butta per terra il fucile e accarezza
paternamente la testa dai capelli rossicci del
suo soldato ferito. « Non è così grave,
compagno. Ti varrà il ricovero all'ospedale e la
vita tranquilla di guarnigione per tutto il resto
della guerra. Quando saremo tutti rientrati ti
menzionerò per la EKI (croce di guerra), e se
vorrai essere promosso ufficiale, lo sarai,
intesi?»
» Grazie, signor colonnello », risponde Porta
sorridendo. « Vada per la EKI, ma in quanto alla
guarnigione, quel tipo di vita non mi calza
affatto; e poi cosa ne sarebbe della 2ª sezione
senza di me? »
Mi allontano strisciando, alla ricerca del
Legionario e del « professore ».
« Anche loro, Dio buono! » geme Moser. « Ma
ci sarà qualcuno di noi che ritornerà a casa
indenne? »
357
Ripartiamo. Fratellino si è caricato sulle spalle
Porta, il Vecchio trascina Stege. Moser prende
con sé il « professore » e io il Legionario, e
abbiamo già percorso un lungo tratto, quando
con sgomento mi accorgo che ho dimenticato
dentro la buca il mio fucile mitragliatore. È
impossibile rientrare nelle linee senza armi,
troppo rischioso! Se perdete un braccio o
qualsiasi altro membro, forse ve lo si perdona,
ma il fucile automatico... si rischia la testa, non
c'è dubbio. Consegno il legionario a Barcelona,
e ritorno indietro strisciando attraverso le
brecce aperte nei reticolati; ma
improvvisamente mi chiedo dove sono. Non è la
direzione giusta quella che ho preso... devo aver
sbagliato strada, Dio buono! Sento che mi
coglie una crisi di nervi, e tremo tutto dal
terrore, proprio come una giovanissima recluta.
Sono su un campo minato, maledizione! Proprio
davanti a me, infatti scorgo dei sottilissimi fili
che corrono sul terreno, e se uno di questi salta,
ne saltano altre centinaia, tutt'intorno... L'orrore
mi trattiene immobile, come mutato in una
statua di sale. Se solo sfioro uno di questi fili
non rimarrà più nulla di me, e mio malgrado mi
scaturisce dall'intimo una flebile preghiera a
Dio. Lentamente, lentissimamente, indietreggio,
un lembo del mio cappotto rimane impigliato
nel reticolato, tiro, riesco a liberarmi, e sto per
rintanarmi dentro una buca per prendere un po'
fiato, quando mi accorgo con rinnovato terrore
che c'è qualcosa... un « dono di Stalin », tutto
dedicato a me! Un luccichio metallico... e sul
fondo della buca ora vedo delle baionette pun-
tute... se mi fossi precipitato dentro di furia in
cerca di riparo, mi avrebbero infilzato, quelle!
358
Indietreggio ancora, e poco dopo mi perdo in
un labirinto di reticolati. Altro gioco di astuzia
anche questo: se uno sventurato vi entra non è
più in grado di uscirne, infatti. Ma grazie a Dio e
a Porta, ho con me un trincetto a pinza, con cui
mi appresto a praticarne una breccia... e se
fosse collegato a un'alta tensione? Se fosse
così, mi dissolverei in un lampo accecante... ma
non ho alternative; chiudo gli occhi, trancio il
filo metallico che saltando di netto mi sfregia il
viso, ma ancora una volta non so dove sono.
Dov'è la breccia fatta da Porta? Dove ritrovare
un indizio che me la indichi? Cammino avanti e
indietro, mi fermo un istante per calmare i nervi
tesi allo spasimo, e per cercare di intuire cosa
intende fare l'artiglieria e dove è piazzata, ma è
molto arduo riuscire a farsene un'idea razionale,
in questo caos.
Improvvisamente un Maxim prende a crepitare
a pochi metri da me, e solo ora mi accorgo che
se avessi fatto ancora qualche passo in avanti,
sarei caduto proprio dentro a un nido di
mitragliatrici russe... avventura molto più facile
che non si creda ai soldati che si sono perduti
nella « Terra di nessuno ». Sono al limite dei
nervi... sul punto di rinunciare a salvarmi,
quando ecco proprio davanti ai miei occhi un fu-
cile automatico. Anche se non è il mio, è
comunque un'arma simile alla mia, ma per
maggior sicurezza lo tasto bene, per vedere se
entra nel fodero del mio 08. Quasi non credo
alla mia fortuna, ormai posso considerarmi
salvo.
Un'ora dopo, al mio rientro, violenta
strapazzata di Moser nei miei confronti, che
subisco senza fiatare.
359
« Buon Dio, dove eravate finito? Ancora
qualche minuto e vi avrei segnalato mancante!
»
Non replico e rimango irrigidito sull'attenti,
pensando fra me che solo fra qualche minuto
saremo finalmente tutti al sicuro, nelle nostre
linee; e già si intravedono le trincee tedesche al
limitare del bosco! Non è lontano, ma Porta ha
perduto conoscenza purtroppo. Come « stecca »
di fortuna leghiamo strettamente un fucile
contro la sua gamba e la sua anca molto mal
ridotta per la verità; il Legionario è preso da una
terribile sete e gli facciamo succhiare una
manciata di neve.
« Andiamo! » ordina Moser. « Siamo alla fine
del viaggio, ormai! »
Kiockdorf si alza per primo, e corre
contemporaneamente al suo compagno, quello
che ama veder la gente impiccata. Volano...
eccoli quasi giunti in salvo, ma Kiockdorf non
raggiungerà mai la trincea tedesca tanto
agognata, perché è caduto diritto dentro una
zona minata. Una eruzione vulcanica, il suo cor-
po salta in aria, ricade, fa esplodere altre mine,
e il suo compagno che ha tutte e due le gambe
amputate in un sol colpo, muore dissanguato,
ancor prima che noi si possa raggiungerlo e far
qualcosa per lui.
E ora anche ì tedeschi prendono a sparare, e
le loro mitragliatrici e le loro granate ci costano
un'altra decina dì morti, purtroppo! È
allucinante quest'ultima tappa.
Io mi appresto a saltare sopra una larga buca
di granata quando mi sento colpito come da un
violentissimo pugno nel ventre. Cos'è accaduto?
Non mi sono reso conto di nulla, per la verità. La
360
sola sensazione che mi invade tutto è una furia
violenta contro l'idiota che mi ha colpito così
bruscamente, ma immediatamente sento un
dolore acutissimo, una coltellata nel petto...
« Cos'hai? » mi chiede il Vecchio, chinandosi
su di me. « Perché sei finito proprio dov'ero io?
»
« Credo di essere ferito », rispondo sgomento.
« Puoi ben sentirti fiero di essere stato colpito
da un proiettile tedesco! Sfattene lì tranquillo e
non aver paura, ragazzo, ti torneremo a
raccattare, appena avremo ristabilito i contatti
con i nostri. »
«Dove mi hanno ferito, quelle vacche? Dio,
dime mi sento stanco! »
« Una fortuna, che sei stato colpito da un
proiettile tedesco. Sei sfuggito a una mina
russa, capisci? È solo una palla di fucile, non
vale neanche la pena di parlarne. »
« Si fa presto a dire, ma mi fa un male
pazzesco, Dio santissimo! Sei sicuro che non è
qualcosa di peggio? Mi sento bruciare tutta la
schiena. »
« Si sarà conficcata dentro a un osso, ecco
tutto, ma mi raccomando di non metterti a
mangiare della neve, mentre ci aspetti qui. Se
hai una palla nel ventre, sai bene che non devi
né mangiare né bere. »
E lo vedo impadronirsi furtivamente della mia
pistola.
« No, ridammela, ti prego! » lo supplico. « Se
arrivano i russi non voglio essere preso
prigioniero! »
Il Vecchio riflette per qualche istante, poi me
la restituisce e mi aiuta a trovare una posizione
più comoda, appoggiandomi contro la parete
361
della buca e nella sua cavità. È una posizione un
po' pericolosa, oserei dire, se a qualcuno
venisse in mente di saltarci dentro di schianto!
Le fucilate sibilano sopra la mia testa e tutto il
fronte ora è in piena attività. Da tutte e due le
parti si preparano a un attacco imminente e
definitivo, e io sono solo, tutto solo nella « Terra
di -nessuno », proprio nel mezzo delle
postazioni russe e di quelle tedesche. Dove si
troveranno ora Porta, Fratellino, Stege, il
Legionario e gli altri feriti? Il Vecchio ha detto
che ci lascia qui, in attesa, che ritornerà a
riprenderci fra poco, e la cosa è molto ra-
gionevole, in effetti. Le LMG tedesche potranno
coprire con la massima sicurezza chi verrà a
portarci in salvo, e soprattutto non rischieremo
di essere massacrati proprio dai nostri stessi
compagni!
Un dolore bruciante mi passa da parte a parte,
lo sgomento mi fa quasi delirare e mi rendo
conto di impugnare la mia pistola manovrandola
in modo febbrile.
« Job Tvojemadj! » sento dire a pochi metri da
dove sono accucciato.
Qualcuno ride! Cerco di coprirmi alla meglio
con la neve che mi avvolge, ma ogni mio gesto
è così difficile! Il minimo movimento mi provoca
dei dolori lancinanti, e quando mi tasto il ventre
e ritiro la mano la vedo intrisa di sangue... Mi
fingo morto, anche se forse già lo sono
veramente, e attraverso le ciglia semichiuse
vedo un berretto di pelo e degli occhi sottili che
mi guardano. Della neve viene gettata sopra il
mio corpo mentre io mi sforzo di rimanere per-
fettamente immobile, e se la buca non fosse
stata casualmente così profonda, a quest'ora il
362
mongolo mi avrebbe infilzato con la sua
baionetta, anche solo per divertirsi. Sento i suoi
passi vicino alla mia testa e la sua frase:
« Njet Germanski. »
« Job Tvojenadj », risponde un altro.
« Pìestre, piestre! (presto, presto!) » urla una
voce autoritaria.
Poco dopo, sento qualcuno che grida a lungo e
pietosamente, e dai suoi lamenti immagino sia
stato colpito al ventre. Chi sarà? Un russo? Una
MG tedesca crepita e abbaia a corte raffiche, ed
ecco improvvisamente apparire il Vecchio, che
scivola rapido dentro il cratere, mi prende di
peso e mi lancia in avanti come fossi un sacco
di farina.
Vedo degli stivali di cuoio scuro che corrono,
poi degli stivali neri tedeschi, proprio mentre un
violentissimo tiro di sbarramento si scatena
sull'intera linea del fronte. Una granata fa
schizzare in aria neve e terra proprio a pochi
centimetri da me, mentre un proiettile perfora il
mio elmetto. Dove sono? Nella trincea tedesca,
e come in un sogno vedo un fantaccino che mi
avvicina alle labbra una borraccia e bevo
avidamente, finché la mano del Vecchio
allontana bruscamente la gavetta dalla mia
bocca arsa.
« Una palla nel ventre », dice asciutto al
sergente di stato maggiore.
« Ah, ho capito! » replica il veterano che ha
già conosciuto e vissuto ben due guerre, e
altrettante inesorabili disfatte.
Le nostre barelle vengono portate dentro il
bunker dove il comandante del reggimento
viene a stringere la mano ad ognuno di noi e
distribuisce a tutti delle sigarette Juno.
363
« Vi avevamo scambiati per Ivan », dice a
Moser un tenente anziano, mortificato.
« Poco importa! » replica Moser con
stanchezza. « Quasi non riesco a capire 'come'
siamo arrivati fin qui, e ' se ' siamo veramente
qui, in salvo. Siamo usciti dall'inferno, in effetti.
»
Al posto di soccorso, il Vecchio e Barcelona
vengono a salutarci e a porgerci un caloroso
arrivederci, prima di vederci evacuare. In quello
stesso istante, il colonnello Moser lancia
un'occhiata al di sopra del parapetto della
trincea, seguendo con uno sguardo
infinitamente stanco un razzo illuminante che
saetta nel cielo. Il sole sta levandosi dietro le
linee russe, e il gelo rende tutto brillante il
paesaggio in questo impreveduto, splendido
mattino dell'inverno russo. Si accende una
sigaretta, e non sente lo scoppio, non sente
l'esplosione della granata che gli dilania
completamente il viso. Le sue mani si lasciano
sfuggire l'MPI, il suo corpo si china in avanti
lentamente, e una nuova granata lo ricopre
completamente di neve. Un mucchio informe,
bianco.
« Pioprio prima di partire ho visto con i miei
occhi morire il nostro capo », racconta Fratellino
nel treno-ospedale che lo porta lontano. «
Aveva detto che non voleva più vedere le nostre
facce, e per la verità, è stato esaudito. »
» La guerra è fatta così, amico », dice il
Legionario, in tono filosofico.
« Mi aveva promesso la croce di ferro », dice
Porta, la cui "amba stesa e rigida, segue il
movimento del treno e tutti i suoi scossoni. «
Pazienza! »
364
« Il medico non vuole assolutamente segarmi
via i piedi », dice Fratellino, mostrando un
colossale bendaggio che li avvolge tutti. « Così
sarò costretto a tornare a marciare per tutta la
vita. Ho proprio e sempre ben poca fortuna, io!
»
« E io, ho un serpente dentro la pancia », dico,
mettendo in mostra un tubo di drenaggio che
mi esce dalla piaga.
E quanto al « professore », quello piange.
Rientrare in Norvegia come un uomo monco di
un braccio, è un pensiero che lo fa impazzire, e
per rabbonirlo il medico capo gli ha promesso il
trasferimento in una caserma di reclute, ma
quasi non osa crederci, il poveretto. Dopo molte
ore di viaggio, ci scaricano alla stazione di
Lemberg, per essere rimessi in salute in Polonia
prima del definitivo rientro in Germania.
« Da dove venite? » ci chiede un'infermiera,
dalla mascella molto dura e maschile.
« Da Mosca », sghignazza Porta con insolenza,
« ma guarda un po' se si deve faticare tanto ad
arrivare fin qui per essere accolti dalla più
brutta e dalla più scostante delle lavoratrici in
grembiule bianco che abbia mai visto! »
« Farò rapporto sulla vostra sfacciataggine! »
protesta la donna molto offesa.
« E io ti presterò il mio pene, per scriverlo
meglio il tuo rapporto! » risponde Porta,
scoppiando in una grossa risata.
E prorompe in una rumorosa scorreggia, che
conclude la nostra campagna di Russia.
FINE
365
INDICE
Il sergente: una donna.............................. 5
La via crucis di Herr Niebelspang............. 24
I cacciatori corazzati................................. 51
Porta « cantore alle armi »........... 71
I Tepluschka.............................................. 88
Il deposito di carne................................... 110
Davanti a Mosca....................................... Ì36
Il capitano mongolo.................................. 170
La fuga dei generali.................................. 229
La partigiana............................................ 278