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/in base al manuale di Armando Petrucci (Breve storia della scrittura latina) e al corso
tenuto da Paola Supino all’Università la Sapienza di Roma/
Il termine paleografia deriva dal greco ’palaiós’ (antico) + ’graphìa’ (scrittura) e indica la
scienza che studia la storia della scrittura a mano, l'evoluzione che la scrittura ha avuto nel
corso della storia. La paleografia studia anche le tecniche adoperate per scrivere: i prodotti
della scrittura (graffiti, iscrizioni, documenti, libri di ogni genere, lettere), i supporti materiali
(lapidi, marmo, pareti, monete, papiri, codici pergamenacei e cartacei) e gli strumenti per
scrivere (stilo, penna d'oca, matita, carboncino, ecc.). Esistono ovviamente tante paleografie
quante scritture (una cinese, una ebraica, ecc.). La paleografia latina, di cui ci occuperemo
qui, studia la storia della scrittura latina (cioè la scrittura basata sull’alfabeto latino, ancora
oggi in uso, indipendentemente dalla lingua per cui è stata usata → testimonianze nelle lingue
volgari) dalle sue origini, cioè dal 7. sec a. Cr. (prime testimonianze della scrittura latina) fino
all’inizio del sec. 16, l’epoca della diffusione generalizzata della stampa a caratteri mobili
nell’Europa occidentale. La paleorafia infine non è soltanto una disciplina storica, ma anche
pratica: bisogna infatti saper leggere e pure decifrare le fonti antiche o medievali che si
presentano come oggetti di studio.
Di fronte alla massa enorme di materiale di vario genere (librario, documentario, pubblico,
letterario, privato, ecc.) che la scrittura latina ha prodotto, il paleografo si pone in generale 6
domande:
1. Che cosa? La risposta (che presuppone una serie di conoscenze tecniche: sistemi
abbreviativi, usi cancellereschi e liturgici, linguaggio letterario, ecc.) consiste nella lettura e
trascizione del testo che la testimonianza presenta.
2. Quando? Quando l’oggetto di studio è stato scritto? → problema della datazione (i codici
solo raramente contengono una datazione esplicita). Ovviamente in questo campo delle
ricerche non si studia quando il testo in questione è stato prodotto, ma il papiro / codice
che lo contiene.
4. Come? Una domanda che i paleografi si pongono con sempre maggiore interesse, relativo
alla tecnica di esecuzione della scrittura. (i mezzi, i supporti di scrittura, le tecniche cambiano
col tempo)
- due tipologie principali: testimonianze su materie dure (1) / ~ su materie morbide (2)
1) - terracotta, marmo, pietra
- nei secoli più alti
- si scrive incidendo con scalpello / sgraffiando
- andamento rigido, posato, aspetto epigrafico della scrittura
- strumento incontra ostacolo → scrittura disarticolata che privilegia i tratti diritti
5. Chi? Domanda assai nuova. A quale ambiente culturale / sociale lo scrittore apparteneva?
6. Perché? Perché quel testo è stato scritto? La domanda riguarda la finalità specifica della
singola testimonianza.
La paleografia insegna infine a distinguere le varie grafie che nel corso dei secoli si sono
avvicendate (maiuscola, minuscola, capitale, onciale, visigotica, carolina, beneventana,
gotica, semigotica, cancelleresca, ecc.)
Mentre nelle edizioni si studia il contenuto dei manoscritti, con la codicologia si analizzano
materialmente i codici, dei quali si esamina il materiale (pergamena, carta), la rilegatura (assi,
cuoio, cartone, tela), il formato dei fascicoli (duerni, trierni, quaterni, quinterni), le misure dei
fogli, le rifilature, l'impaginazione, la forma della grafia, le varie mani di copisti;,ed ancora, se
si tratta di un codice composito, misto, palinsesto, ecc.
L’alfabeto latino, quello più diffuso nel mondo, ha approssimativamente 2500 anni, risale
infatti al sec. 6 av. Cr.
Sulle origini dell’alfabeto latino si svolge un dibattito di lungo tempo tra scienziati, una
polemica che tuttora non si è conclusa. Roma, un ambiente culturale vivace e produttivo
nell’epoca delle prime testimonianze scritte, era sicuramente aperto al contatto con le due
grandi civiltà circostanti: quella greca della Magna Grecia e quella etrusca, ambedue in
possesso di sviluppate scritture alfabetiche.
Infatti la tesi generalmente accettata dice che l’alfabeto latino deriva da una variante
occidentale di quello greco (che deriva da quello dei fenici), portato nell’Italia del Sud (nella
Magna Grecia) dalle colonie greche nel 8. sec., ed assunto poi - con la probabile mediazione
degli etruschi - dai romani per segnare i suoni della lingua latina.
Un’altra tesi che oggi forse trova più consenso presuppone una derivazione diretta
dall’alfabeo dagli etruschi.
L' alfabeto modello (1) che si vede sul reperto archeologico (dal 650 a. Cr.) è scritto da
destra a sinistra. Il reperto è una tavoletta d'avorio (cm 8.8 x cm 5) proveniente da
Marsiliana d'Albegna (Grosseto, Italia) ed attualmente è esposto nel Museo Archeologico di
Firenze.
Quello che è sicuro, è che il latini nel sec. 7 a.Cr. svilupparono il loro alfabeto.
Caratteristiche delle lettere dell’alfabeto latino nella sua fase più antica (fino alla metà del 3.
sec. a. Cr.) (2):
- aspetto epigrafico dei caratteri (monumentali) ↔ (l’uso privato della scrittura non
aveva consistente diffusione, ed era strettamente dipendente dai modelli grafici di tipo
monumentale) → si sente anche qui l’influenza della scrittura etrusca legata
essenzialmente ad un uso religioso con forme rigide epigrafiche
- andamento / ductus posato (testi vergati per lo più su materie dure (pietra, metallo,
avorio)) → scrittura disegnata più che scritta (pochi legamenti tra le lettere, non
presenta inclinazione, esecuzione lenta ↔ andamento corsivo)
- lineamento incerto
- lettere staccate, inuguali (forme poco geometriche)
- A con traversa obliqua
- E, F con le aste minori che formano angolo acuto, obliquo
- H chiusa in alto e in basso
- L con base obliqua
- M, N con forme diverse
- P con occhiello aperto
- R nella forma ro greco (influenza greca)
- S con forma angolare
- U con la forma dell’ipsilon
- introduzione di G nel 3. sec. a. Cr.
Prime testimonianze in alfabeto latino (si tratta esclusivamente di scritture maiuscole (cioè
lettere comprese in un sistema bilineare ↔ caretteri minuscoli al contrario si inseriscono in un
sistema quadrilineare con aste ascendenti e discendenti):
1. La più antica testimonianza in alfabeto latino (3): una spilla d’oro di circa 10 cm, la
cosiddetta Fibula prenestina: porta la sottoscrizione dell’artigiano Manius (più il nome del
committente). È del 670-650 a. Cr.
Cui corrisponde, in latino classico: MANIUS ME FECIT NUMASIO, quindi “Manio mi fece
per Numerio”.
2. La più nota tra le testimonianze antiche è sicuramente il Cippo del Foro Romano (4)
(impropriamente chiamato anche Lapis Niger, dalla pietra nera che sovrasta il cippo). È la più
antica iscrizione monumentale latina. Fu scoperta nel 1899 vicino all’arco di Settimo Severo
in un complesso monumentale arcaico (fa pensare ad un piccolo santuario) al di sotto del
pavimento in marmo nero.
L’andamento bustrofedico (in senso verticale (ökörszántás módra váltakozóan), cioè va letta
una colonna dal basso in alto e la successiva dall'alto in basso) e l’antichità dei caratteri
aguzzi – vicini a quelli calcidesi (da cui derivano appunto) - incisi (direttamente sulla pietra)
sulle quattro facce del cippo, fanno presumere una datazione del sec. 6 a. Cr. (fine).
L’iscrizione lacunosa, che è quindi di difficile traduzione, si riferisce alla sacralità del luogo
(testo mutilo di una legge sepolcrale?) → l’inizio sembra essere una formula di maledizione
scagliata contro chi avesse violato il luogo sacro. Si ricorda inoltre un „rex” identificato come
re-monarca di Roma a cui sembra essere dedicato il santuario.
3. L’iscrizione di Satricum / Lapis satricanus (5) (antica cittadina tra Latina e Nettuno) fu
scoperta nel 1977 e risale con ogni probabilità agli ultimi anni del 6. sec. a. Cr. L’iscrizione
lunga circa 80 cm (due righe incise sulla superficie di una base di sostegno per un dono
votivo) è leggibile parzialmente. Si tratta di una dedica al dio Marte:
- la persona menzionata è stata identificata con Publio Valerio Publicola, console romano nel
509 a. Cr., fondatore della libera Res Publica.
Nel 3. sec. a. Cr. la scrittura epigrafica latina – sotto l’influenza diretta di quella greca
contemporanea – entrò in un vero e proprio processo di normalizzazione grafica, che porterà
regolarità di allineamento, uniformità di modulo (grandezza della lettera: ~ medio, ~ piccolo,
~ grande) e di disegno, geometrizzazione delle forme (aspetto figurale delle singole lettere:
angolo retto, sezione di cerchio).
Il momento della svolta grafica non risulta del tutto accidentale: l’espansione imperiale di
Roma, la sempre più complessa amministrazione pubblica che la nuova realtà portava con sé,
la formazione di una nuova classe consistente di commercianti e di imprenditori, la necessità
crescente di communicazione fra i vari centri politici e militari favorizzarono la diffusione
della scrittura a livello privato. Questo fenomeno a sua volta provocò, per naturale contrasto,
la canonizzazione della scrittura ufficiale che seguirà precise regole modellate sugli esempi
greci. Uno degli primi esempi di una capitale romana in via di canonizzazione sono le
iscrizioni funeralie di una delle maggiori famiglie nell’epoca repubblicana, le cosiddette
„Elogi degli Scipioni”, trovate nel 18. sec. in un sepolcro situato fuori Porta Capena a Roma
ed ora conservate nel Museo Vaticano.
( Lucio Cornelio Scipione Barbato, figlio di Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in
tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia e Cisauna nel
Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi) o (Cornelio Lucio Scipione
Barbato, generato da Gnaeus suo padre, uomo forte e saggio, la cui apparenza era in armonia
con la sua virtù, che fu console, censore , e edile fra voi - Catturò Taurasia, Cisauna, il Sannio
- soggiogò tutta la Lucania e liberò ostaggi.)
Tra l’altro testimonia la capitale epigrafica romana (la denominazione capitale risale al fatto
che nell’Alto Medioevo venivano disegnate con essa i titoli, le iniziali nei codici) ormai
canonizzata (1. sec. a. Cr.), che fornirà i suoi migliori esempi nell’epoca augustea:
- la Colonna di Traiano (7) (→ basamento: ricordo della ragione per cui fu innalzato)
3. modulo conforme degli elementi (perfetto inserimento dei caratteri nel sistema bilineare)
4. chiaroscuro dei singoli tratti, ottenuto mediante l’incisione con solchi (barázdák) a sezione
triangolare (incidendo da due lati) → produce visibilità
→ in genere questa scrittura viene usata su un materiale più resistente di supporto, il marmo,
con strumenti simili al compasso
Abbiamo già detto che la scrittura capitale (con la tecnica a sgraffio) era usata a livello
privato in modo diffuso già intorno al 3. sec. a. Cr. In questa scrittura di uso corrente alcune
lettere hanno subito una netta evoluzione in senso corsivo, che ne ha trasformato l’aspetto in
confronto al modello ideale della capitale contemporanea:
- R aperta
Si tratta in tutti e cinque i casi di forme dettate dalla tecnica della scrittura a sgraffio che
rendeva difficile di eseguire sia tratti orizzontali, sia tratti curvi.
La progressiva diffusione dell’uso della scrittura nei secoli più recenti (2-1 sec. a.C.) portò
come conseguenza un’ulteriore modificazione del tratteggio dettata dalla rapidità
dell’andamento corsivo (necessità di scrivere rapidamente e di diminuire al massimo il
numero dei tratti).
- B a pancia sinistra:
- D „preminuscola”:
→ tratteggio dettato dalla rapidità del ductus (diminuzione del num. dei tratti)
La corsiva eseguita a calamo su papiro si diffuse sempre più nell’uso fino a diventare fra il 2-
3 sec. d. C. la scrittura esclusiva dell’amministrazione civile e militare dell’Impero in ogni sua
regione, diventando così addirittura uno dei simboli del potere: col tempo le sue
caratteristiche di corsività e di scorrevolezza si accentuarono.
- le tavolette cerate pompeiane (8): si vede una scrittura disarticolata, ma non così come nel
caso delle scritture eseguite su materia dura (marmo), si vedono poi gli esempi della
tipizzazione appena descritta
- la capitale corsiva su papiro (9): sul papiro documentario (si tratta della vendità di uno
schiavo) si verifica una scrittura rotondeggiante nelle forme, con sempre più frequenti
legature fra le lettere diverse
Almeno dal 2. sec. d. C. il papiro fu adoperato per produrrre libri non più in forma del rotolo,
ma anche in forma di codice, cioè di un insieme di fascicoli di misura più o meno quadrata,
cuciti e rilegati insieme. La fortuna di questa nuova forma di libro, molto più maneggevole e
pratica – sia per la lettura che per la scrittura – fu sempre crescente nei secoli seguenti. Ma già
secoli prima, nella Roma antica (cioè nell’epoca di Cesare e Cicerone), all’epoca della nascita
di una vera e propria letteratura latina, esistevano libri scritti su diverse materie. La
produzione del libro (su pelli, tessuti) era organizzata in botteghe artigiane con dipendenti che
immettevano sul mercato le edizioni „manoscritte” dei testi letterari più diversi.
1
Supporto di scrittura più usuale nell’Antichità. Le tavole che prima si forano e si riuniscono in polittici,
vengono adoperate soprattutto per scrivervi appunti scolastici, conti, lettere. Siccome la cera inserita nella parte
scavata delle tavolette poteva essere raschiata, l’uso dei singoli pezzi non era praticamente limitato.
2
Materia scrittoria di origine vegetale: pianta di notevole altezza (3-4 m) originaria in Egitto, lungo il Nilo.
Tagliata la pianta, il tronco viene levato per ottenere le fibbre interne, poi le striscioline vengono accostate e
incollate l’una all’altra → formano una scheda quadrangolare, dopo gli strati di striscie si sovrappongono, il
foglio così ottenuto viene poi battuto e seccato al sole. Una ventina di fogli incollati formano infine un rotolo.
Il modello della capitale libraria romana (detta anche rustica) usata almeno dal 1. sec. d. C
fino al 6. sec. (dal 4. sec. si assiste alla progressiva diffusione di altre scritture librarie, come
l’onciale, la minuscola) è vicino a quello della capitale epigrafica, ma con alcune
caratteristiche dovute alla flessibilità dello strumento scrittorio (calamo) e alla morbidezza del
supporto di scrittura (papiro, più tardi pergamena), cioè alla relativa tecnica di esecuzione.
→ si tratta di una scittura posata, che mantiene la rigida separazione delle lettere fra loro,
l’assoluta uniformità del modulo, la sicura bilinearità e l’assenza di elementi corsivi
Soprattutto dagli ultimi secoli del suo uso ci sono rimaste numerose testimonianze, fra cui
alcuni codici integri o frammentari di lusso che contengono testi dell’antico patrimonio
letterario latino (in opposizione alla nuova letteratura cristiana), e prima di tutti Virgilio.
- graffiti romani (200 esempi) nella chiesa di San Sebastiano, dovuti a pellegrini
provenienti da ogni parte dell’Impero: tutti in scrittura usuale ricca di forme minuscole
(fenomeno presumibilmente molto presente nell’ambito dell’insegnamento elementare
fra il 2. e 3. sec.)
Nei primi decenni del 3. sec., conseguentemente alla grande crisi che sconvolse l’Impero e
portò al potere nuove classi dirigenti militari e provinciali, le tendenze minuscoleggianti si
tipizzarono in esempi epigrafici e librari → minuscola primitiva.
Nei secoli 3-5, la produzione di libri in minuscola primitiva (in forma di rotolo, poi anche di
codice), contenenti testi giuridici, autori di scuola come Virgilio, glossari e testi cristiani,
sarebbe diventata sempre più diffusa (molti esempi). Questa minuscola rimase invece priva di
una propria tipizzazione.
Secondo Mallon il terreno del cambio è la scrittura libraria, e la causa sarebbe stato il
mutamento dell’angolo di scrittura, da acuto ad aperto (è dato dalla posizione in cui si trova lo
strumento scrittorio rispetto alla riga). Conterebbe infatti la forma del supporto scrittorio, cioè
la differenza fondamentale che si verifica tra rotolo e codice (lo scriba nel caso del codice
riesce più ad orientare il supporto secondo la comodità).
Alla tesi della „scuola francese” si oppongono alcuni paleografi italiani - tra cui G. Cencetti3
e A. Petrucci) -, affermando che l’ambiente del mutamento sarebbe stato la scrittura usuale,
il campo della scrittura più sottoposto alle diverse esperienze della realtà quotidiana (si tratta
infatti di una scrittura in continua evoluzione), e di cui si vedono numerosi esempi dal 3. sec.
(↔ scrittura libraria è molto più fissa, canonizzata) Sembrano confermare questa tesi:
- i graffiti incisi su pezzi di terra sigillata (su terracotta non ancora cotta, ma nemmeno
umidissima) dagli artigiani (persone di livello culturale limitato → diffusione sociale
ampia della scrittura) della località di Condatomagos (1) (Francia) dalla metà del 1.
sec.4
→ sono pezzi molto importanti (stoviglie di uso quotidiano): la scrittura risulta ancora
capitale, in cui si ritrovano forme in minuscolo (B→b: per ragioni di economia si esecuzione
si elimina un occhiello)
E. Casamassima infine ha proposto recentemente una terza tesi, che mette in rilievo
l’importanza nell’evoluzione della scrittura latina da sistema maiuscolo a quello minuscolo
delle corsive burocratiche adoperate negli uffici amministrativi e militari dell’Impero
3
G. Cencetti, Note paleografiche sulla scrittura del papiri
4
A. Petrucci, Per la storia della scrittura romana: i graffiti di Condatomagos
(tendenze semplificatrici dovute alla rapidità di esecuzione). Quindi Casamassima propone
come sede del cambiamento in accordo con Petrucci la scrittura usuale, ma quella eseguita da
persone che utilizzavano la scrittura per professione.
Alla metà del 3. sec. si assiste poi alla conquista della minuscola anche nel campo della
scrittura corsiva: la maiuscola corsiva infatti cede il passo quasi d’un tratto alla corsiva
„nuova” (ossia minuscola corsiva) in tutti gli uffici dell’Impero (→ scritture documentarie),
tranne la Cancelleria Imperiale, dove la maiuscola corsiva (definito anche „litterae
caelestes”) prosegue una vita separata, come elemento identificativo, fino al 5. sec.
La struttura fondamentale delle singole lettere della minuscola corsiva (nuova) corrisponde a
quella della minuscola primitiva nell’uso librario, acquistando però anche delle caratteristiche
proprie:
- tratteggio privo di contrasti (dovuto all’uso di un calamo a punta acuta e dura, che non
produce chiaroscuro)
- presenza di numerosissime legature fra lettera e lettera (dovute alle esigenze di
velocità, economia grafica nell’esecuzione)
- modifiche strutturali nella forma delle lettere (non cambia solo l’aspetto)
- variabilità del modulo a seconda della loro posizione rispetto al rigo (anche all’interno
della stessa testimonianza): N leggermente spostata in alto (rimane la forma maiuscola
fino a tardi); a, o, u si alzano sul rigo e assumono un modulo più piccolo; c, l, si
prolungano al di sotto del rigo e assumono quindi un modulo più grande
- apertura di certi occhielli: a aperta in alto (simile ad una u)
- lettere caratteristiche
Con il 4-5 sec. la diffusione della corsiva nuova si generalizza e con il 5. sec. essa diventa –
anche a livello usuale e scolastico – l’unica scrittura corsiva di tutto il mondo romano (→
papiri degli uffici dell’amministrazione imperiale, ma anche graffiti e documenti privati).
Nel corso del 5. secolo la corsiva nuova è ormai diffusa in tutto il mondo romano e a tutti i
livelli della cultura scrittoria (dalle lettere private fino ai documenti ufficiali), acquistando
però caratteristiche leggermente differenti rispetto a quelle del periodo precedente: essa si fa
più alta e stretta e si inclina decisamente a destra (si accentua il ductus corsivo).
5) L’onciale, la semi-onciale
L’onciale, la scrittura di cui la denominazione „falsa” risale ai paleografi del Settecento (si
tratta di un errore di interpretazione del „litterae unciales” presente in un passo di San
Girolamo: fa riferimento ad una misura (misura romana corrispondente alla dodicesima parte
del piede (29,6 cm) → codici di bell’aspetto con il modulo grande nella scrittura – certamente
si tratta di codici scritti in capitale), sarà la seconda scrittura canonizzata del mondo romano.
Esistono varie opinioni sull’origine di questa scrittura adoperata dal 4. sec. nei codici
contenenti soprattutto testi di autori cristiani: secondo la tradizione paleografica l’onciale
sarebbe la stilizzazione arrotondata della capitale libraria (con alcune lettere minuscole (h, l,
p, q, v) → scrittura mista).
La nuova scrittura può essere considerata essenzialmente maiuscola, cioè inserita in uno
schema bilineare, pur accettando alcuni segni minuscoli. L’onciale si caratterizza inoltre dalla
scrittura continua e dalla fluidità del tratteggio, che non creano interruzioni di ritmo nella riga
e dal susseguirsi continuo di elementi circolari ( → stile proprio di questa scrittura).
- A
- E
- D
- M
→ definiranno l’onciale anche quando non ci sarà più questa scrittura: p.es. „d onciale” in una
scrittura umanistica
L’onciale fu adoperata in tutto l’Occidente latino come la scrittura libraria di maggiore dignità
dal 4. fino al 8-9 sec., cioè fino alla cosiddetta „rinascita carolingia”. Conosce due periodi: il
primo – definito onciale „old-style”- va dal 4. al 5. sec. e presenta il maggior numero di
codici provenienti da centri di produzione in Africa e in Italia. Tra la fine del 5. sec. e l’inizio
del secolo seguente si verifica in questa scrittura un mutamento di stile: si contrappone quindi
al tipo „old style”, l’onciale new-style” (usando le espressioni di Lowe). La scrittura si
irrigidò: il tratteggio perse infatti ogni fluidità, si rinforzò e si spezzò, il disegno delle lettere
assunse forme sempre più rigidamente geometrizzate; le aste cominciarono ad uscire
dall’originario modulo bilineare; la l diventò maiuscola e si innalzò sul rigo; infine si
presentarono sempre più elementi ornamentali, accentuati e visibili.
- il Livio Vaticano (1) (testimonianza non cristiana, Livio: simbolo della Roma antica) → due
carte recuperate di un codice sfascicolato: uno degli esempi più antichi dell’onciale
- la Bibbia Amiatina (2) (primo esemplare di Bibbia integrale nella versione latina di San
Girolamo giunto fino a noi)
Da Roma poi di diffondono molti evangelizzatori e con loro molti codici in onciale romana
che arrivano tra l’altro in Inghilterra, dove si stilizza ulteriormente l’onciale inglese di cui il
massimo prodotto fu la già presentata monumentale Bibbia Amiatina. L’Amiatina5 è un
codice di grande formato e con un numero delle carte altissimo (secondo la leggenda ci
volevano più di 1500 pecore per confezionarlo).
Nel 8. sec. l’onciale scompare dall’uso anche in Inghilterra, ma la sua storia non finisce
ancora: riappare in Francia, più precisamente nella corte carolingia di Carlo Magno
(considerato sostenitore della Chiesa → arrivano molti codici prodotti a Roma in omaggio a
lui). Lì fino ai primi decenni del 9. sec. vengono prodotti codici estremamente lussuosi ed
eleganti soprattutto per diretta committenza imperiale, che vanno considerati gli ultimi
esemplari vergati in questa scrittura che durò molti secoli e a cui è legata grande parte della
cultura altomedievale.
5
Il codice doveva essere consegnata al papa Gregorio II dall’abate Ceolfrid; ma l’abate morì durante il viaggio e
il codice non arrivò mai a Roma. La Bibbia scomparve, per riapparire circa un secolo dopo nell'Abbazia di San
Salvatore, dove rimase custodita per quasi mille anni ed acquisì il nome di Codex Amiatinus. Soppressa l'abbazia
di San Salvatore per volontà del Granduca Leopoldo, nel 1786 il Codex Amiatinus fu trasferito presso la
biblioteca Laurenziana in Firenze. E' conservato tutt'oggi presso la Biblioteca Laurenziana, cui costituisce uno
dei più importanti tesori.
Alla fine del 5. sec. si elabora presumibilmente negli scrittori ecclesiastici delle provincie
romane in Africa („litterae africanae” → Medioevo: si riferisce alla località dove si sarebbe
elaborata) una nuova scrittura libraria che rappresenta l’ultima fase della già menzionata
minuscola antica-primitiva.
In Afirca infatti, grazie al Regno Vandalo (attuale Marocco, Algeria, Tunisia), si può
osservare un cosiddetto „rinascimento vandalo” per cui molte scuole si riaprono e si avviano
delle attività culturali molto vivaci. (Cassiodoro che fonda la scuola in Calabria richiede libri,
codici all’Africa!).
Avevano quindi bisogno di una nuova scrittura libraria per i tanti codici d’uso, che
tramandavano testi liturgici e patristici. Rispetto alla minuscola libraria dell’epoca precedente
le caratteristiche di questa nuova tipizzazione erano:
Per distinguere questa minuscola del 6. sec. da quella dell’epoca precedente (3-4. sec.), i
paleografi adoperano per essa il termine di „semionciale”, tenendo conto che si tratta soltanto
di un termine convenzionale e potenzialmente equivoco, in quanto questa tipizzazione libraria
della minuscola non ha diretto rapporto con l’onciale.
- a aperta
- g (si trasforma dal modello capitale): molto particolare, riapparirà in età umanistica
- r tipicamente minuscola
- scritto di S. Ilario (nella rinnovata minuscola libraria) (4), copiato da emigrati africani
(probabilmente da Fulgentio da Ruspe, vescovo) in Sardegna poco prima del 510 (di
grande valore paleografico, perché la sua datazione è certa: „anno quarto decimo
Transamund regis” → attraverso lui ed altri vescovi esiliati, la semionciale arriva nei
centri ecclesiatici della Penisola.
- Sulpicio Severo prodotto nel centro scrittorio della cattedrale di Verona, di mano del
locale „lettore” Ursicino nel 517 (oggi nella Biblioteca Capitolare di Verona) → in
base alla qualità di quasi tutti i codici provenienti da Verona, risulta che il suo
scriptorium doveva essere di modeste possibilità: la pergamena usata di solito non era
di ottima qualità, tanto che sulla superficie si vedeva l’ombra dei peli.
Altri importanti codici in semionciale furono prodotti a Napoli, a Roma e nel monastero di
Vivarium (Calabria, fondato da Cassiodoro) nella seconda metà del 6. sec.
La semionciale – che non raggiunse mai una vera e propria canonizzazione - si adoperava in
questi secoli paralellamente con l’onciale canonizzata (riservata per i testi biblici e liturgici)
soprattutto per copiare testi di studio e di lettura in uso nelle scuole religiose e nelle
communità (testi patristici, autori cristiani,...). Venne largamente usata fino alla fine del 7. sec.
in tutta l’Europa e infine rinacque nello scrittorio carolingio di San Martino di Tours in
pochi, ma elegantissimi esemplari fra il 8-9 sec.
A questo punto finisce il primo periodo della scrittura romana (1-6 sec.), che fu caratterizzata
da una certa unità della scrittura in un territorio molto vasto (si scriveva allo stesso modo
dappertutto).
L’inizio dell’Alto Medioevo segna senz’altro una svolta nella storia della scrittura romana:
mentre la tradizione grafica del mondo romano (tanto in Britannia quanto in Mesopotamia)
era, come abbiamo già detto, in gran parte unitaria (piuttosto diversificata in un sistema
ordinato di scritture diverse fra loro: dalla capitale all’onciale, dalla epigrafica alla corsiva
prima maiuscola poi minuscola), nei secoli 5-6. questo quadro unitario venne distrutto per
vari motivi:
Qualche filo di continuità con la cultura romana comunque rimase: sopravivenza di alcune
tradizioni romane, gran parte dei funzionari nell’amministrazione rimane, mantenimento di
rapporti con nobili intellettuali romani (Simmaco, Boezio). Ma questo metodo di Teodorico
(454 – Ravenna, 526, secondo dei re barbari di Roma), secondo cui il sovrano aveva rispetto
per la romanità (fece anche restaurare molti edifici romani destrutti durante le guerre), era
destinato a fallire: Giustiniano, l’imperatore bizantino, volle riconquistare le provincie
italiane → conseguenze disastrose: guerra lunga e sanguinosa tra 535-553 → l’Italia si trovò
in assoluta povertà, gli gruppi intellettuali si trovarono allontanati, i centri culturali si
spostarono in Oriente, p.es. a Costantinopoli).
- la progressiva diminuzione del numero degli alfabeti e dell’uso sociale della scrittura
(attività soltanto per usi specifici: p.es. lavoro dei notai) per la dissoluzione
dell’insegnamento laico dell’Impero ( ← spopolamento delle città)
6
De bello gothico (Guerra gotica): l’opera di Procopio racconta il periodo dell'imperatore Giustiniano, la sua
guerra contro gli Ostrogoti.
- il mutamento nella produzione e nel commercio del libro nel 6. sec. (cambia la
concezione stessa del libro: da oggetto di ozio letterario, strumento di cultura diventa
cassaforte dei misteri della fede, la scrittura diventa lavoro manuale anche di
penitenza, strumento di edificazione, di devozione), quando i centri scrittori
ecclesiastici isolati pressi cattedrali o monasteri privi di diretto rapporto con il
pubblico dei potenziali acquirenti ed utenti, si sostituiscono alle officine laiche
dell’Impero
Il centro ideale della produzione del libro manoscritto nelle communità religiose in questo
periodo è lo scriptorium (~ di Montecassino, ~ di Bobbio, ~ di Corbie: segna allo stesso
tempo il luogo fisico dell’attività di copiare e l’istituzione stessa, in quanto produttrice di
libri), che erano a volte anche scuole calligrafiche, dove sotto la direzione di un maestro si
seguiva un determinato tipo di scrittura, o si trattava di semplici luoghi di copia, dove ognuno
copiava come poteva o come sapeva.
Nel nuovo ambiente, tanto per fare un esempio concreto, il laico alfabeta della Penisola
Appeninica o della Gallia non sapeva di regola scrivere, copiare o leggere libri (non
conosceva infatti le scritture di uso librario), ma solo documenti (conosceva la corsiva nuova
insegnatagli dal maestro) e viceversa l’ecclesiatico – copista dei libri – conosceva non di rado
solo l’attuale libraria e non la corsiva documentaria. Questo processo di diversificazione e
frammentazione alto-medievale nel campo delle storia della scrittura fu chiamato dal
paleografo romano, G. Cencetti, il particolarismo grafico altomedievale, che caratterizzò la
cultura grafica europea (occidentale) fino all’apparizione della carolingia, nuova scrittura
unitaria.
- la merovingica in Francia
- l’insulare in Britannia
- la visigotica in Spagna
- la beneventana nell’Italia meridionale
La Penisola Italica presenta comunque una situazione difficile di per sé, in quanto due aree
geografiche – l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale – mostravano tendenze fortemente
diversificate.
L’arrivo dei longobardi nel 568 segnò l’inizio del „vero” Medioevo in Italia. Questo popolo
infatti non aveva praticamente tradizione scritta, solo orale e quindi fino al 7. sec. il loro
rapporto con la scrittura, a parte di qualche modesta manifestazione epigrafica, va giudicato
abbastanza basso. Dopo, in seguito a notevoli cambiamenti nell’attitudine del „gruppo”
longobardo (conversione al cattolicesimo ← Teodolinda, che era in rapporti epistolari con lo
stesso papa Gregorio Magno e stimola la loro conversione), il primo vero contatto dei
longobardi con la scrittura latina fu la compilazione di una raccolta di leggi nel 643. Tutto
sommato l’Italia del Nord fu nei sec. 7-9. una delle regioni dove il cosiddetto particolarismo
grafico ebbe massima influenza: ai tradizionali centri di produzione libraria, come Verona e
Lucca (città legate a vescovadi di grande prestigio), si affiancarono monasteri di recente
fondazione: Bobbio (primo manoscritto longobardo nacque lì, in ambiente religioso) e
Nonantola. In tutti questi centri si adoperavano infatti diversi tipi di scrittura: alcuni di tipo
onciale, semionciale (di tradizione) con elementi corsivi e altri derivati dalle corsive locali,
diventati più accurati e posati. Questi ultimi, in cui si possono trovare alcuni elementi comuni,
vengono designati col termine pre-caroline italiane. Le caratteristiche comuni risultano:
- a aperta
- c crestata
- e alta e strozzata (in forma di 8)
- t occhiellata a sinistra
L’unico centro scrittorio che nei 8-9. sec. ha potuto dare vita ad una tipizzazione precisamente
individuata della minuscola libraria a base corsiva è stata Nonantola, monastero benedettino
fondato alla metà dell’8. sec. da Anselmo (ex-duca longobardo → monaco), vicino a Modena.
Da lì provengono una ventina di manoscritti caratterizzati da una minuscola larga,
tondeggiante, col tratteggio contrastato, ma privo di spezzature. Le lettere caratteristiche sono:
- c spesso accostata
- r acuta (scende al di sotto del rigo)
- a aperta
- q maisucola (dalla capitale)
Rispetto alle altre regioni d’Europa, e alla stessa Penisola, l’Italia meridionale presenta un
notevole vuoto di testimonianze fino all’8 sec.: (Esperienza di Cassiodoro, membro
dell’aristocrazia romana colta. Come molti altri, di fronte all'avanzata bizantina, Cassiodoro
nel 538 lasciò Italia per Costantinopoli. Dopo la guerra tornò in Italia, si ritirò dalla scena
politica e sognò di aprire una biblioteca-scuola. Fondò il monastero di Vivario in Calabria,
dove trascorse il resto dei suoi anni dedicandosi allo studio e alla scrittura. Qui istituì uno
scriptorium per la raccolta e la riproduzione di manoscritti, che fu il modello a cui
successivamente si ispirarono i monasteri medievali. La sua idea, secondo cui il libro è un
7
pergamena riutilizzata: vedi A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, op.cit., p.31.: „Si immergevano per
una notte nel latte i fogli che si volevano riutilizzare, strofinandoli con una spugna, per toglierne via l’inchiostro,
quindi li si ricopriva di farina per non farli seccare e li si spianava sotto un peso, infine li si raschiava e li si
lisciava con pietra pomice, e li si riduceva, tagliandoli al nuovo formato (naturalmente più piccolo) che si voleva
realizzare.”
semplice strumento di lettura (testi sacri, ma anche profani), si rivelò però non adeguata al suo
tempo. Di conseguenza la sua esperienza fallì, la sua biblioteca nel futuro si disperse, tanto
che oggi non si ha nessun codice proveniente di là.) i più antichi documenti risalgono infatti ai
primi decenni del 9. sec., provenienti in maggioranza da Montecassino (A Cassino, su un
vecchio tempio romano, san Benedetto nel 529 fondò la sua struttura, il monastero di
Montecassino, con cui propose un nuovo tipo di vita cristiana e di monachesimo: l’attività di
copia era considerato un lavoro manuale, in cui si osservava un inesistente spazio per la
lettura stessa). Questi codici possono essere attribuiti ad una determinata tipizzazione della
minuscola libraria, ricca di elementi corsivi, con parole senza divisione, con aste alte e con un
irregolare tratteggio ed allineamento, segni comunemente appartenenti alla fase iniziale di una
scrittura giudicata quasi „nazionale” (dell’Italia del Sud), la cosiddetta beneventana. Il centro
scrittorio situato nel monastero benedettino di Montecassino sarebbe stata la culla della nuova
scrittura e in questo centro avrebbe poi trovato successivamente il suo sviluppo ulteriore e la
sua canonizzazione nel corso dei sec. 9-11. Da qui la beneventana si diffuse in altri centri
benedettini (in monasteri benedettini campani, pugliesi, sulla costa dalmata) per decadere
infine nel 12-13. sec.
Per quanto riguarda la storia di questa regione vediamo che le vicende coincidono esattamente
con la biografia della scrittura presentata: quando nel 8 sec. si compie il destino del Regno
Longobardo del Nord ed il potere si restringe al Meridione (Ducato di Benevento), nasce una
nuova sctrittura, la beneventana. In seguito alla prima distruzione del monastero di
Montecassino da parte dei longobardi, e dopo un lungo periodo di silenzio, inizia (rinasce)
con Paolo Diacono (figlio di una famiglia longobarda del Nord!) la storia della cultura scritta
della regione: sotto la sua guida il monastero diventa „scuola” (raccolte grammaticali,
Enciclopedia di Isidoro), allo stesso tempo avviene la formazione della beneventana. Col
tempo si modifica il concetto stesso della cultura, la nuova classe dirigente si rivela
consapevole della necessità di collegare politica e cultura (la cultura beneventana diventa
quasi cultura nazionale longobarda ( ↔ cultura bizantina e cultura carolingia al Nord) per cui
sarà anche necessaria la perfezione della beneventana, in quanto scrittura nazionale. Dopo la
seconda distruzione del monastero questa volta da parte dei saraceni, nella seconda metà del
10. sec. vediamo la ripresa culturale e allo stesso tempo le prime testimonianze in volgare
(Placiti Capuani: formule in volgare all’interno di un testo giuridico in latino, 960-’63) in
una minuscola ormai definita perfettamente. La scrittura a questo punto ha tutte le sue
caratteristiche formali:
- tratteggio fluido
- forme tondeggianti con lettere accostate
- tipica abbreviazione per –eius, e per l’assenza di m in fine di parola
- a
- t + i (legamento)
- (altioris)
- e
- l+i
La scrittura ha il suo culmine nel corso del 11. sec., quando il monastero è guidato da grandi
abati, come Teobaldo (1022-1035) (si riprende in modo ricco l’attività di copia, comincia il
cumulo della biblioteca) e Desiderio (1058-1087, diventa papa (Vittore III)), che ha arricchito
la biblioteca di codici famosissimi. Questa stilizzazione della beneventana caratterizzata dal
manierismo calligrafico e dalle lettere di modulo grande si definirà beneventana cassinese.
- tratteggio fortemente contrastato (← uso di una penna con punta mozza a sinistra)
- spesso tratti vicini si sovrapongono
- aste verticali brevi spezzate (due piccoli rombi)
Infine nel momento in cui in Italia meridionale arrivarono i Normanni, e allo stesso tempo
arrivarono la scrittura carolingia e quella gotica che portavano con loro, cominciò il perido di
decadenza della beneventana (vi si incontrano elementi desunti dalla tarda minuscola
carolina). Nel corso del 13. sec., proprio quando i Cistercensi si sostituirono ai Benedettini in
molti monasteri meridionali, la beneventana venne rimpiazzata definitivamente dalla
minuscola gotica, adoperata sempre più largamente nella regione (e in Sicilia) dai Normanni,
poi dalla corte sveva. Scoparì infine totalmente dall’uso anche nell’ultima isola di resistenza,
cioè da Montecassino nel corso del 14. sec. Per quanto riguarda l’ultimo periodo di vita della
beneventana, resta da dire che esso coincide con le prime testimonianze volgari nell’Italia
meridionale, i cui codici provengono proprio da Montecassino. Fra il 12-13. sec. si può già
osservare che nella maggioranza dei casi (famosa eccezione è testimoniata dal Ritmo
Cassinese), quando nel medesimo codice si trovano sia testi latini che quelli volgari, essi sono
rispettivamente scritti in beneventana e in minuscola tardo carolina o in gotica. Quando si
scriveva in volgare, si passava infatti alla nuova grafia: il carattere sempre più artificioso ed il
rispettivo isolamento della beneventana, in un periodo quando il cerchio degli scriventi a tutti
i livelli e in volgare diventò sempre maggiore, l’uso di questa scrittura era definitivamente
ostacolata.
7) La minuscola carolina
Nel grembo della cosiddetta riforma carolingia si assistò alla nascita di una nuova
scrittura destinata a fare una carriera (usata anche oggi in libri a stampa nei caratteri
tipografici „romani”) da molto tempo impensabile.
Nella seconda metà dell’8. sec. il processo di frantumazione delle forme grafiche era
ormai giunto al suo punto culminante, rispecchiando fedelmente il quadro europeo
altomedievale, in cui si dividevano fra loro regioni, culture ed aree politiche. A questo
momento alla scrittura latina sarebbe potuto avvenire, quello che avvenne alla lingua: le
varietà del latino volgare continuavano la loro via verso la formazione di lingue distinte per la
Francia, per la Spagna, per l’Italia e così via. Se la stessa cosa fosse succcesso alla grafia,
questo fatto avrebbe avuto conseguenze imprevedibili sulla diffusione e la circolazione dei
libri e cioè delle idee, del sapere e insomma della civiltà stessa. Ma era diversamente: la
nascita e la progressiva diffusione di una nuova scrittura (una minuscola con forme rotonde e
con un disegno semplice, equilibrato ed arioso, netta separazione delle lettere e anche delle
parole → facilmente leggibile) molto simile alla minuscola primitiva romana dei 4-5. sec. ed
alla semionciale del 6. sec., fermò la diversificazione, creando un’espressione grafica unitaria
del mondo romano-cristiano dell’Impero carolingio. Il cardine della svolta, direttamente
almeno di quella politica e culturale, fu senz’altro Carlo Magno, l’imperatore molto sensibile
anche al mondo della cultura scritta (Alcuino, che incontra a Parma, diventa il suo consiliere
spirituale personale) e che personalmente cercava a tutti gli sforzi ad imparare a scrivere
(secondo la leggenda si è fatto portare delle tavolette per abituare la sua mano all’attività di
scrivere) senza però notevoli successi. Comunque dopo lunghi secoli di disinteresse quasi
totale, questo sovrano avviò molte iniziative culturali (apertura di molte scuole → Admonitio
Generalis indirizzato ai vescovi perché venissero organizzate delle scuole di lettura in ogni
monastero per i monaci, canonici; ma anche fondazione di piccole scuole rurali).
Parallelamente alla crescita dell’Impero poi (con la sua classe dirigente avente anche una
cultura laica) aumentava anche il bisogno dell’attività di scrittura.
I primi esempi che annunciano già la nuova scrittura - la cosiddetta carolina - caratterizzata
da un tracciato armonioso e regolare risalgono ai 8-9. sec. Dopo nel corso del 9. sec., la
carolina - sempre più ricca di elementi corsivi - comincia a canonizzarsi:
- a carolina + a onciale
- m, n (N dalla semionciale)
La storia comunque non è così semplice: da una parte si svolge un lungo dibattito sul luogo e
l’ambiente della nascita della nuova scrittura, dall’altra – come vedremo - non risulta tanto
facile la definizione delle caratteristiche della carolina.
- Léopold Delisle (massimo paleografo fr. del 19. sec.) dice che il centro creatore della
carolina è lo scrittorio del monastero di San Martino di Tours, diretto da Alcuino
abate, sulla base di modelli semionciali
- i paleografi italiani sostengono che la nuova scrittura era stata elaborata a Roma da
dove sarebbe arrivata al tempo di Pipino e di Carlo in Francia con i codici importati
(ipotesi basata sull’attribuzione di un codice – Liber diurnus (formulario di
cancelleria) – a Roma
- secondo altri (A. Hessel, H. Steinacker) l’origine della carolina va cercata in Francia e
più esattamente nella scuola palatina di corte raccolta intorno all’imperatore stesso
Carlo Magno
- la tesi più equilibrata risale a Luigi Schiaparelli – lo studioso della carolina - che
sostiene l’origine poligenetica di questa scrittura: all’espansione del nuovo genere
avessero concorso più tipi di minuscola, una di corte (carolina), una di Corbie, ecc. (la
carolina qiundi non è riconducibile ad una persona, ad una scuola → scritture pre-
caroline)
- secondo una più recente ipotesi di G. Cencetti la nascita di questa scrittura è frutto di
imitazione operata dagli scribi di allora della minuscola primitiva romana (continua
così un processo di sviluppo interrotto al momento della caduta dell’Impero romano),
cioè più che nuova creazione si tratta di un ritorno all’antico, analogamente al rapporto
in cui l’Impero cristiano carolingio sta con l’impero di Costantino e di Teodosio
- A. Petrucci ci aggiunge che la minuscola scolastica insegnata a livello elementare
nelle scuole europee altomedievali (oltre a divergenze locali, poteva avere alcuni
elementi di fondo comuni) poteva essere uno degli elementi di base alla formazione
della scrittura in questione (collega quindi la storia della scrittura a fatti sociali)
Tutto sommato si delinea a questo punto della „storia della cultura” un complesso movimento
di allargamento dell’istruzione a tutti i livelli, accompagnato da una crescente produzione
libraria e uso sociale della scrittura, verificatosi nell’Europa carolingia fra 8-9 sec. Questo
fenomeno è senz’altro collegato ad una determinata iniziativa ed esigenza di natura politica,
amministrativa ed ideologica riconducibile al rinnovato ed unitario Impero carolingio e in
parte allo stesso Carlo Magno e alla sua corte. Un effetto notevole dal punto di vista della
storia della scrittura era che diventò d’un tratto importante una migliore organizzazione dei
centri scrittori (carolingi) spesso diretti da maestri abili e colti e una più accurata preparazione
grafica degli scribi a cui lo stesso Alcuino dedicò molta attenzione.
In ogni caso la carolina, che piano piano diventò scrittura comune, anzi universale
(soppiantando le scritture locali: p.es la beneventana → si scrive nei centri scrittori della
Francia (Lione, Reims, Corbie,...), della Germania (Salisburgo, Colonia,...), dell’Italia
(Verona, Bobbio, Nonantola,...)), ebbe una vita lunga: dal 8. fino al 11. sec. in senso stretto. In
ciascun centro scrittorio la carolina veniva usata secondo modelli formali vicini a quelli
costituenti la norma ideale proveniente dai massimi centri scrittori carolingi.
Particolare interesse presenta la varietà della carolina usata a Roma (poi da qui si diffonde
verso il centro della Penisola): i primi manoscritti, vergati nella cosiddetta minuscola
romanesca, risalgono alla fine del 9. sec (3). Le caretteristiche principali di questa
tipizzazione della carolina sono (4):
Con il 10. e 11. sec. la carolina, oltre all’uso librario si diffuse nella documentazione prima
pubblica poi privata in tutte le regioni d’Europa. Le prime modifiche notevoli, proprio nel
momento in cui la carolina divenne linguaggio scrittorio comune in tutt’Europa, ricreando
un’unità espressiva sul piano grafico, avvennero in area francese (comincia a comparire la
nota tironiana per la congiunzione et, la e cedigliata, aumenta il chiaro-scuro, il numero delle
abbreviazioni) trasformando questa scrittura attraverso una profonda modificazione stilistica
in quell’altro tipo di minuscola libraria che si chiama gotica.
L’11. sec. appare essere da vari punti di vista un secolo decisivo per la storia italiana: in quel
periodo apparvero le prime consistenti testimonianze in lingua volgare (testi autonomi,
testualmente complessi e consapevolmente volgari), nacquero nuove figure di intellettuali e
nuovi centri culturali laici (insegnamento di diritto a Bologna, di medicina a Salerno,...), il
notariato si organizzò in forme più moderne e funzionali di documentazione, e si assistò infine
ad una notevole crescita della produzione libraria e dell’alfabetismo fra i laici. Dal punto di
vista grafico si configurarono ancora nettamente le tradizionali divisioni grafiche dell’Italia
altomedievale (Sud ↔ Nord).
Con la seconda metà del secolo cominciò ad affermarsi una stilizzazione della minuscola
carolina soprattutto nell’Europa Occidentale, riconducibile all’adozione di un nuovo
strumento scrittorio, la penna d’animale con taglio obliquo (non più simmetrico). Questo
strumento mutò infatti radicalmente il tratteggio, per cui ciascuna lettera risultava costituita da
una serie di brevi tratti giustapposti (le forme quindi prima di tutto perdevano il
rotondeggiamento → lettere più angolose, le curve si spezzano), molto contrastati (grossi ↔
sottili) → tendenza delle curve a diminuirsi radicalmente di spessore (diventano quasi angoli
acuti). Secondo L. Schiaparelli il nuovo stile grafico nacque in Gran Bretagna, dove il
particolare strumento scrittorio era stato adoperato per prima negli scriptori insulari. Ma alla
nascita di una nuova scrittura non bastò evidentemente l’apparizione di un fatto puramente
tecnico: in questo periodo si assistò ugualmente ad un nuovo modo di leggere e di studiare, ad
un nuovo tipo di produzione libraria insomma (dal 13. sec. in poi le biblioteche diventano
molto più ricche rispetto a quelle di un secolo prima: non si trovano più solamente la Bibbia e
le opere dei Padri della Chiesa, ma anche il Corpus iuris civilis, i primi documenti della
scolastica, opere di storia, di poesia, di filosofia e di altre scienze, anzi opere della produzione
epica francese, della lirica provenzale, ecc.). Diventò infatti di primaria importanza la facilità
di lettura per cui era necessaria una più precisa separazione delle singole parole e il
conseguente accostamento delle lettere tra loro. Un elemento notevole fu l’affermarsi del libro
di tipo scolastico usato nelle grandi Università appena nate (libro si riapre: ritorna ad essere
un mezzo di cultura, del sapere → grande bisogno di libri, anzi di copie di libri di testi da
leggere e da commentare: metà 13. sec – metà 14. sec → età massima della gotica), le cui
caratteristiche, oltre a quelle menzionate, erano la distribuzione del testo su due colonne e una
più precisa individuazione delle singole parti di esso, un maggior numero di abbreviazioni,
infine la scrittura messa sotto il primo rigo della rigatura, che offriva uno spazio marginale
ben distinto destinato al commento. Tutti questi fattori rendevano chiaramente più rapida tanto
la lettura, quanto la scrittura.
- l’uso del segno tironiano per et, cum / con, q2 per quia
Alla fine del 19.sec. W. Meyer – filologo - ha identificato inoltre tre regole che vengono
massimamente rispettate negli esempi più rigorosi della gotica:
- l’uso della doppia forma della r: alle lettere che hanno una curva sulla destra segue la
r a forma di 2 (↔ r diritta)
- la curva sulla destra di una lettera si fonde con quella sulla sinistra della lettera
seguente (fusione delle curve contrapposte)
- doppia forma della d: d con asta incurvata a sinistra viene adoperata dinanzi a lettere
con corpo tondo (di tipo onciale) (a, o, e), la d minuscola diritta dinanzi a lettere diritte
o piuttosto
In Italia, dobbiamo dire, che nel corso del 12. sec. si era appena formata una carolina tarda,
larga e rotonda, priva di spezzature, che influì molto anche sulle prime forme di gotica
italiana, causando il mantenimento di un gusto caratterizzato dalle forme larghe e piuttosto
tonde anche in questa tipizzaione della scrittura, che è in chiaro contrasto con le stilizzazioni
d’Oltralpe (soltanto regioni come Piemonte, Lombardia e Veneto risentivano più
profondamente delle influenze franco-tedesche anche in campo grafico).
Nella prima metà del 13. sec. nell’Italia centrale fu elaborata un tipo di gotica molto
addolcito, che ebbe poi grande fortuna: la cosiddetta rotunda. Questa stilizzazione della
gotica, nonostante che mantenesse le caratteristiche generali del suo „antenato”, è pittosto
larga con lettere schiacciate e rotonde, è spaziosa, ma accostata, con poche spezzature ( ↔
gotica fr., ign. → spazio interlineare limitatissimo, estrema riduzione delle aste discendenti).
Il sistema abbreviativo del mondo romano classico e del Medioevo ha tratto la sua origine da
quello delle sigle, cioè lettere isolate che rappresentano un’intera parola, molto di moda fin
dai tempi romani, e dalle cosiddette note tironiane, una specie di stenografia (tecnica di
scrittura manuale veloce che usa segni e abbreviazioni convenzionali della parola), che
serviva nei tempi antichi principalmente per raccogliere i discorsi pronunciati in pubblico. In
tutti e due i sistemi possiamo ricavare le tracce di quello nuovo, che nel Medioevo, dal X al
XV sec., si diffuse tanto e si perfezionò specialmente in Italia. Tutte le abbreviature sia di
vocaboli latini che di quelli italiani possono essere ragruppate in cinque categorie, cioè:
1. Abbreviature per troncamento: Chiamiamo abbreviata per troncamento, una parola di cui
non è espressa che la parte iniziale e le cui lettere finali vengono sostituite con un segno di
abbreviazione. Tale segno può essere o un segno generale (per.es. quelli più spesso usati sono:
la linea retta „ – ” posta al di sopra della lettera precedente, o di tutta la parola; la lineetta
leggermente curvata o ondulata „ ~ ” sempre al di sopra della parola, e la linea obliqua
tagliante l’ultima lettera di un’abbreviatura), un segno cioè che indica semplicemente che la
parola è abbreviata, o può essere un segno di troncamento vero e proprio (il più diffuso segno
di troncamento è il punto, posto per lo più dopo le sigle, in uso anche oggi con lo stesso
valore), indicante allora che alla parola mancano alcune lettere finali. Fra le abbreviature di
troncamento sono in primo posto le sigle, che del resto sono anche quelle più difficilmente
interpretabili, non mostrando dell’intera parola che la parte iniziale. Forse proprio per questo
nella maggioranza dei casi si abbreviano con sigle parole che sono di uso frequente. Nelle
scritture medievali man mano si abbandonò il sistema delle sigle, prima molto in voga,
cominciando a far ricorso a dei troncamenti meno radicali (usando il più spesso il semplice
segno generale, il trattino) e quindi più facilmente individuabili.
= no(n)
= huo(mo)
= m(isericord)ia
= p(e)cc(at)ori
= p(ro)ph(et)i
Possiamo notare che più spesso è la parte indeclinabile della parola - quindi l’inizio - che
viene contratta, mentre la desinenza - cioè la parte declinabile - viene conservata, al massimo
viene limitata all’ultima lettera (ma questa tendenza aveva maggior rilievo nel caso
dell’abbreviazione di parole in cui la sola ultima lettera poteva rendere evidente la
declinazione, per.es. sbe = substantiae, quindi nel caso delle parole latine).
3. Segni abbreviativi con significato proprio: Si chiamano così quei segni d’abbreviazione che
indicano quali elementi mancano nella parola abbreviata e ciò qualunque sia la lettera a cui
sono sovrapposti. I segni più usati sono la linea retta e la linea leggermente curvata, già
menzionati fra i segni generali d’abbreviazione, che indicano per lo più la mancanza delle
lettere m o n, e dei gruppi grafici contenenti una m o una n, per.es. no, em, en. Così:
= dice(n)do
= torm(en)ti
= t(em)po
Un altro segno diffuso è la lineetta ondulata, che si poneva al di sopra delle lettere per indicare
la mancanza della lettera r o di una sillaba contenente una r, per.es.: re, ra, ri, ar.
= ph(ar)yseo
= p(ri)ma
4. Segni abbreviativi con significato relativo: Integrano i segni precedenti quelli il cui valore
non è più proprio e costante, ma varia a seconda della lettera alla quale è sovrapposto o legato.
Abbiamo anche in questo gruppo la linea retta, che diversamente dai casi precedenti, quando
indicava m o n, assume un significato diverso quando taglia l’asta lunga per esempio della
lettera b o taglia in gamba le lettere p e q: molto spesso segna la mancanza delle sillabe er /
ue. Il segno simile ad un 3 arabico, posta in fine di parola indica altrettanto la desinenza ue. E
infine vediamo anche la linea obliqua, spesso uncinata, che può tagliare traversalmente una
lettera qualsiasi dell’alfabeto.
= p(er)
= p(re)dichi
= q(ue)sto;
= obs(er)uino
= lib(er)ato
5. Abbreviature per lettere sovrapposte: Si tratta di lettere - sia di vocali che di consonanti -
che sono sovrapposte alle parole, il più spesso in fine delle parole, di cui indicano
semplicemente la desinenza. A volte vocali sovrapposte a consonanti possono indicare, oltre
la vocale stessa, la mancanza della lettera r. Ma ci sono molte eccezioni, come nel caso della
a posta sulla r, che significa una parola intera, regula. Inoltre se troviamo una o posta sulla q,
con la desinenza ne, ci possiamo trovare di fronte alla parola questione. La n che si trova sulla
q può indicare quando, e così via.
Dopo un lungo periodo nella storia della grafia latina privo di scritture corsive (10-12. sec.
soprattutto, nell’11-12. sec. anche a livello documentario: la penna mozza si diffonde anche
fra i notai ed i cancellieri → rende difficile l’esecuzione di legamenti fra le lettere, cioè
l’andamento corsivo della grafia), quando i notai avevano scritto gli atti nella medesima
scrittura che gli scribi adoperavano per i codici (gotica testuale), fra il 12-14. sec. si
affermarono le condizioni e le esigenze (sviluppo mercantile ed artigianale, rinascenza
intellettuale promossa dalle Università, l’affermarsi della produzione poetica e narrativa nei
diversi volgari) per la formazione di una nuova scrittura corsiva, che si sviluppò dalla
minuscola carolina, scrittura alla sua epoca internazionalmente europea. Prima a livello
cancelleresco, poi a quello notarile (cioè di uso privato: conti, epistole, ecc.) si formò quindi
un nuovo tipo di corsiva, la cosiddetta gotica corsiva, caratterizzata da un grande numero di
legamenti tra le lettere, eseguiti per il basso, da prolungamenti, code, svolazzi aggiunti alle
aste alte, dal chiaro-scuro poco accentuato ( ← diverso strumento scrittorio: penna tagliata
centralmente, che produceva un tratteggio fluido e non contrastato).
In Italia nel corso del 13-14. sec. l’alfabetizzazione e l’uso sociale della scrittura era ormai
assai diffusa nelle regioni centro-settentrionali (erano le regioni più colte ed anche quelle
economicamente più fiorenti all’epoca: società comunali dirette dalla borghesia). A Firenze
per esempio (la maggior documentazione storica si riferisce a questa città: p.es. il cronista
Giovanni Villani) l’apprendimento della scrittura divenne comune, anche ai livelli più bassi
della società grazie ad un sistema di istruzione elementare esteso, che coinvolgeva artigiani,
bottegai ed anche donne.
Accanto alla scrittura libraria (gotica testuale) e allo stesso tempo scolastica che serviva
rispettivamente alla trascrizione dei testi della letteratura nobile (Bibbie, testi liturgici, ecc.) e
di quelli di lettura e di commento, l’età gotica in Italia conosceva anche altre tipologie
(corsive) che si adoperavano in ambienti particolari: nelle cancellerie comunali, signorili
(allora si trattava di scrittura professionale) e nel cerchio della borghesia laica alfabetizzata
(codici contenenti testi piuttosto di consumo → testi destinati non ad un pubblico interessato
alla forma, ma al contenuto, anche di uso privato → lettere, ecc.).
Le caratteristiche della tipizzazione italiana della nuova corsiva – cioè della cancelleresca -
(relativamente uniformi su tutto il territorio italiano), contrariamente alla textualis (gotica
libraria) sono (anche dovute alla penna a taglio centrale):
-
- B, R maiuscole
La minuscola cancelleresca conobbe la sua massima espansione nel corso del 14. sec: non
solo fu scrittura della documentazione privata e pubblica (1), scrittura usuale di notai, giuristi,
politici, ecclesiastici e letterati (di Coluccio Salutati, di Francesco Petrarca (lettere, sonetti a
prima battuta), di Giovanni Boccaccio, ecc.), ma piano piano divenne anche scrittura libraria,
per eccellenza dei testi in volgare (le città toscane diventarono in quest’epoca fortemente
alfabetizzate, dove la classe borghese desiderava leggere testi anche per loro leggibili e
comprensibili), cioè volgarizzamenti, raccolte di prediche, ricettari, cronache cittadine,
componimenti poetici, e non ultimamente i più antichi testi letterari dell’Italia. Nell’uso
librario la minuscola cancelleresca diventò più elegante, armoniosa ed accurata (tratteggio
sottile, con moderata presenza di svolazzi).
→ splendidi esempi sono i due codici danteschi firmati da una notaio fiorentino della prima
metà del 14. sec.: Francesco di ser Nardo da Barberino (minuscola cancelleresca
bellissima: stile armonioso, curato) (2) → trasferisce la sua scrittura personale (usuale, come
notaio) a copiare testi letterari (leggenda dei 100 Dante: Francesco avrebbe organizzato una
bottega, dove insegnava la sua scrittura → gruppo di ms. danteschi con caratteristiche simili
nella grafia, nell’iconografia, nella sistemazione del testo in due colonne)
L’alta tipizzazione della nuova corsiva nacque proprio in ambiente professionale, più
esattamente in quello mercantile (l’ambiente di punta di quell’epoca, che sta acquistando
sempre più potere nei maggiori centri urbani dell’Italia centro-settentrionale), è porta il nome
appunto mercantesca. Come nel caso della minuscola cancelleresca, si tratta di una scrittura a
primo tempo legata alla professione dei mercanti avente una crescente necessità di una
documentazione scritta (usata quindi prima nelle botteghe mercantili per l’amministrazione e
la documentazione: tenuta di conti, libri di entrate e di uscite, inventari), ma dopo utilizzata
anche per la trascrizione di libri contenenti opere letterari (i mercanti infatti volevano leggere
le opere in volgare nella loro scrittura: pe.es la Commedia e il Decamerone, „l’epopea
mercantile”).
→ questa professione esigeva una serie di cononscenze tecniche precise (convertire valori di
monete diversi, calcolare i danni, interessi,...), oltre alla capacità di scrivere → si fondavano
per questo scuole particolari (di carattere tecnico-professionale), che costituivano un livello di
studio separato da quello elementare e anche da quello universitario: fornivano loro una
cultura tecnica e specializzata in volgare: veniva insegnata anche una scrittura particolare e
separata: la mercantesca
Dal 15. sec. la mercantesca acquistò un tratteggio più decisamente corsivo, con sempre più
legamenti, coinvolgenti a volte più lettere fra loro, tendò inoltre a divenire ancora più piccolo
di modulo e disordinato soprattutto nell’uso privato e commerciale.
Nel corso del 14. sec. il numero degli alfabetizzati e il ruolo sociale della scrittura aumentò
notevolmente. Allo stesso tempo si rivelò che una scrittura raffinata e difficile da leggere,
come la gotica, non poteva accontentare le nuove esigenze provenienti dai diversi strati della
società. Perciò, come abbiamo già visto in precedenza, nello schema grafico italiano del
Trecento - mentre in altri paesi come la Francia, la Germania, la Spagna e l'Inghilterra si
utilizzava una libraria gotica molto acuta - apparivano tendenze anche anti-gothicheggianti, in
massima di linea legate ai modelli e forme della tradizione carolina (minuscola cancelleresca
libraria, mercantesca libraria).
Man mano la gotica libraria diventò quindi più manierista, e perciò non fu apprezzata da
parte di un gruppo consistente di dotti ed intellettuali (grammatici, notai, ecclesiastici minori,
amministratori comunali), in cui si risvegliò un particolare interesse verso il mondo classico
(↔ cultura universalistica del canone universitario) con le sue testimonianze dirette ed
indirette (dalle iscrizioni ai manoscritti → se ne imitavano la lingua, lo stile, i generi letterali).
Questi intellettuali appassionati dell’antichità, anche nel campo della grafia, si
entusiasmavano quindi per i modelli ideali antichi. Ma siccome non conoscevano direttamente
i tipi grafici latini dell’età classica (gli antichi manoscritti del mondo classico erano stati
ricopiati all'epoca di Carlo Magno in carolina), consideravano come modello, quello più
antico da loro conosciuto, la „bella” minuscola rotondeggiante dell’epoca carolina. Dobbiamo
dire, che allora non si usava più la scrittura della Roma classica, sebbene sia senza dubbio che
le lettere della carolina si ispirassero dalle forme antiche.
I rappresentanti (tra cui alcuni sono ben noti: Lovato Lovati, Landolfo Colonna, Francesco
Petrarca) di questo movimento definito „preumanesimo”, erano concentrati per lo più in
Toscana, in Veneto e presso la corte avignonese. I primi tentativi consapevoli di imitazione
della carolina del 10-11. sec. risalgono appunto ai personaggi menzionati: al Lovati a Padova
ed a Colonna ad Avignone. Questo ritorno allo studio dei classici greci e latini fu quindi una
delle cause dell'apparizione di un nuovo tipo di scrittura, che nacque entro la cerchia degli
intellettuali anticheggianti fiorentini (insieme a quelli di Ferrara), i quali denominavano
„lettera antica” quella appartenente al rinascimento carolino, mentre chiamavano „lettera
moderna” quella che noi diciamo gotica.
F. Petrarca aveva un vivissimo interesse al libro ed alla scrittura: ebbe contatto frequente con
manoscritti in carolina – la scrittura che si rivelò poi la più congeniale espressione grafica a
lui e al nuovo ambiente letterario volto all’ammirazione e all’imitazione dei modelli artistici
del passato - e vergò personalmente numerosi codici (1), tra cui alcuni sono superstiti anche
oggi. Egli per primo elaborò per le sue glosse una scrittura elegante di imitazione della
minuscola carolina detta semigotica e dopo per il testo una semigotica molto simile alla
gotica rotunda. Dalle sue lettere (Fam., XXIII,1; 3) destinate al suo amico, G. Boccaccio,
traspare da un lato il suo giudizio positivo sulla minuscola carolina (elegante, semplice e
chiara), dall’altro il suo dispregio nei confronti della gotica libraria (esageratamente
artificiosa e difficilmente leggibile → piuttosto quella d’oltralpe), usata spesso da scribi
ignoranti a prezzo, che corrompevano i testi copiando con spirito più artigianale che
intellettuale (proposta del libro d’autore, cioè codice scritto dalla mano del creatore stesso del
testo, con riproduzione garantita da altri colleghi-autori e dai discepoli).
In Italia, quindi, non soltanto si ebbe una gotica rotunda nient’affatto spezzata e angolosa, ma
anche un precoce fenomeno di reazione alla gotica, costituito dalla semigotica (il termine si
deve a Giorgio Cencetti → „si forma e si diffonde così in Italia settentrionale una scrittura
gotica semplificata”). La nuova scrittura libraria creata dallo stesso Petrarca si basa quindi
sull’imitazione della minuscola carolina, favorita dall’ammirazione per la carolina di antichi
codici, raggiungendo alti livelli di eleganza (filetti ornamentali, forcellature) e di armonia
(assenza di ogni rigidezza, chiara spaziatura dei segni), soprattutto dopo il contatto del
Petrarca con l’ambiente avignonese (L. Colonna). Il nuovo modello appare nel suo complesso
ancora assai vicina alla gotica italiana, la rotunda, a cui il Petrarca, pur testimoniando un
ostinato sforzo di rinnovamento, rimase sempre legato.
La novità di Petrarca non rimase un fatto personale ed isolato nel panorama grafico italiano
del 14. sec. La nuova scrittura libraria veniva trasmessa in Italia attraverso l’imitazione fatta
dai discepoli più entusiasti, fra cui G. Boccaccio (2) (mentre la sua scrittura usuale furono la
minuscola cancelleresca e la mercantesca, la sua libraria era una semigotica di tipo
petrarchesco, cioè una cosciente imitazione provocata dall’ammirazione per la scrittura del
Petrarca, comunque molto meno elegante di quello del maestro) e Coluccio Salutati (grande
personaggio del primo Umanesimo, cancelliere della repubblica fiorentina dal 1375 fino alla
morte). Nella sua attività di notaio e poi di cancelliere Salutati usava la tradizionale minuscola
cancelleresca, ma allo stesso tempo elaborò, sviluppando la semigotica in un suo tipo
personale, la cosiddetta pre-antiqua (3), in quanto evidente anticipatore dell’imminente
rinascita della carolina sotto la mano degli umanisti („antiqua” nella definizione degli
umanisti). Salutati copiò alcuni codici con questa scrittura (che è presente anche in registri
della cancelleria fiorentina grazie a Salutati) caratterizzata dall’ariosità, dal tratteggio sottile
ed uniforme, dal tracciato di tipo carolino (cioè di un gusto antiquario) di molte lettere (a, b, l,
m, n, r, s). Questa nuova minuscola nata grazie al raffinato gusto estetico di Salutati non riuscì
comunque ad imporsi e venne presto sorpassata dalla meccanica imitazione della carolina
adoperata da Poggio Bracciolini e dai suoi seguaci.
L’influenza della minuscola carolina divenne man mano maggiore nelle scritture librarie nel
corso del 14. sec., tenendo conto del fatto che ancora nel caso di Salutati, che inseriva degli
elementi grafici propri della carolina nella sua libraria, non si arrivò alla pura e meccanica
imitazione della carolina, scrittura praticamente in disuso da secoli. Questo avvenne soltanto
dopo Petrarca e Salutati intorno all’anno 1400, prima di tutti con il mercante ed umanista
Niccolò Niccoli e con il giovane Poggio Bracciolini, che sarebbe diventato uno dei maggiori
scopritori di classici nel grembo del cosiddetto Umanesimo. La nuova scrittura libraria
eseguita da loro, chiamata non per caso minuscola umanistica, non è quindi altro che una
puntuale imitazione (anche per quanto riguarda l’uso di determinate abbreviazioni) della
carolina dell’11-12. sec., accompagnata di natura da una generale artificiosità di realizzazione
(gli scribi umanisti riuscivano a seguire così fedelmente i loro modelli, che ogni tanto è
difficile distinguere il codice umanista di scrittura curata dal manoscritto proveniente
realmente dell’epoca carolina. I criteri di datazione sono delle novità umanistiche, come la i
con puntino, la t allungata, e la u angolosa (v) soprattutto all’inizio di parola.
Nel periodo succesivo il Bracciolini (si vede la sua scrittura di sotto) arrivò alla
canonizzazione di una minuscola, che pur seguendo fedelmente l’imitazione dei modelli
carolini, riuscì ad acquistare uno stile grafico proprio (tratteggio caratterizzato dall’armonia,
fluidità e dalla proporzione nel disegno, con aste leggermente marcate e sinuose e con forme
tondeggianti).
L’influenza dei modelli antichi si risente ancor più nelle sue maiuscole: egli creò infatti un
nuovo alfabeto maiuscolo, completamente diverso da quello gotico, con forme esemplate sul
modello della capitale epigrafica e manoscritta, naturalmente con libero adattamento.
La minuscola umanistica era una tipica scrittura d’élite: non soltanto perché era l’espressione
dei personaggi dotati di una cultura dotta, basata sull’istruzione di tipo superiore e sulla
perfetta conoscenza del latino classico (riscoperta dei classici latini), ma anche perché il
codice in cui si usava era quasi sempre di lusso, elegante e costoso, curato nei minimi dettagli.
La minuscola umanistica inoltre non si insegnava nelle scuole, ma si riproduceva per
imitazione diretta dei modelli antichi in carolina e al massimo per l’imitazione dei modelli
contemporanei dei maestri noti ed autorevoli. Allo stesso tempo però la sua diffusione
geografica nella penisola Italica (ma solo in Italia: fu un tipo italiano di scrittura ) risultò
notevole (tuttavia i libri liturgici continuarono ad essere scritti in gotica, e rimaneva in uso la
cancelleresca italiana). La scrittura della „scuola fiorentina” infatti si diffuse parallelamente
alla diffusione della nuova cultura dotta con i suoi testi di classici latini riscoperti, tra
grammatici e letterati che operavano con funzione di segretario, cancelliere o bibliotecario in
quasi tutte le corti dei signori e dei principi italiani.
A questa scrittura dotta poi doveva lentamente affiancarsi una corsiva che poteva essere
adoperata nell’uso privato, e in quello documentario e pubblico della scrittura, usi ormai
largamente presenti presso gli strati sociali che componevano i comuni italiani dell’epoca,
cioè all’inizio del 15. sec. Attraverso una corsiva derivata direttamente dalla minuscola
cancelleresca del secolo precedente (anche se più chiara, semplice, ariosa), si arrivò nella
prima metà del 15. sec. alla formazione di una corsiva ricca di forme desunte dalla minuscola
umanistica posata, che si può legittimamente definire umanistica corsiva ( → con un ductus
corsivo, con inclinazione a destra e con aste lunghe).
Sul periodo umanistico della storia della grafia latina si può affermare infine, che esso riuscì
a continuare notevolmente le iniziative modernistiche della gotica, diventando in questo modo
punto di partenza di tutto lo sviluppo moderno della scrittura occidentale che dura addirittura
fino ad oggi. Tra le iniziative e i risultati riconducibili all’epoca possiamo sottolineare la
creazione e la diffusione di forme semplici facilmente eseguibili e chiaramente leggibili e la
diminuzione dell’uso delle abbreviazioni, al punto che non mettano più in pericolo la lettura e
la comprensione rapida e univoca del testo. Una novità dipendente dai fattori precedenti è la
laicizzazione notevole dell’uso stesso della scrittura e l’ulteriore estensione del cerchio degli
utenti della scrittura. Il fatto che l’aumento veloce della quantità non menò con sé il
peggioramento di qualità della scrittura è forse spiegabile con le esigenze estetiche e
scientifiche intensificate nell’ambiente dell’Umanesimo e del Rinascimento.