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Giulio Busi

Mosheh ben Netan’el Norsa, banchiere bibliofilo

Libri scritti, libri letti, libri comprati e venduti. Libri desiderati, censurati,
perduti. La vecchia ricetta degli storici dell’ebraismo prevede un solo
ingrediente, ripetuto fin si abbiano occhi per guardare e fiato per studiare.
Cercate i libri e troverete il passato ebraico. Carte, pergamene, inchiostri, il
minio dei decoratori. Sillogismi talmudici e provocazioni cabbalistiche, viaggi
remoti, scampoli di vita quotidiana, liriche d’amore e compianti di lutto. Tutto
si travasa sulla pagina, si cristallizza nell’alfabeto, rimane per sempre appeso
tra i filari piantati dagli scribi. I copisti sono i vignaioli, il vino della memoria si
spreme a lungo, si passa di generazione in generazione, si gusta a piccoli sorsi. Il
racconto del manoscritto del Moreh nevukim, gelosamente conservato dalla
stessa famiglia per cinque secoli, è emblema perfetto di questa materialità
della scrittura. Si pensa, o si sogna, nel chiuso dell’anima. Per scrivere ci si deve
però servire di supporti, di strumenti. S’impiega il corpo, si usa e trasforma la
materia. I manoscritti si possono tenere in mano, costano, pesano, si sciupano,
bruciano. C’è un’epopea di questo rapporto fisico con il libro ancora in gran
parte da scoprire. E quale luogo è più indicato, per andare in cerca di amori e
gelosie librarie, degli scaffali di un appassionato bibliofilo? Mosheh Yehi’el ben
Natan’el Norsa non è un personaggio anonimo. Banchiere, mecenate,
fondatore di una celebre sinagoga, merita un posto di qualche rilievo nelle

1
cronache sociali e culturali del suo tempo 1. A noi interessa soprattutto per un
acquisto fortunato, realizzato il 6 Shevat 5276, ovvero il 10 gennaio 1516. È in
quella data che Mosheh si assicura il possesso del Moreh nevukim, che
trasmetterà poi ai suoi figli e ai figli dei suoi figli. A vendergli lo splendido
volume è Baruk ben Yosef Kohen 2. Mosè dev’esser contento. La Guida di
Maimonide ancora gli mancava. Un pezzo che deve per forza figurare nella
biblioteca d’un erudito, e per di più in una copia di lusso – è un colpo fortunato,
a cui lavora probabilmente da tempo. Prestigio, curiosità, vero desiderio di
studiare? Cosa spinge il Norsa ad accumulare libri? I mezzi non gli mancano.
Banchiere, figlio di banchieri, Mosheh dirige l’impresa di famiglia, a Mantova. È
un’azienda finanziaria prospera, che beneficia del vivace tessuto economico
della città e del ducato. I Norsa hanno tradizionalmente buoni rapporti con i
Gonzaga. Così come li sanno tenere, i rapporti di affari e di stima, anche con gli
Este a Ferrara.

Un ramo dei Norsa si è stabilito a Ferrara sin dal 1434, e a partire da quella data
ha operato in campo finanziario con il favore del governo. Dal 1434, e sino al
1463, alla guida dell’azienda Norsa rimane Salomone, personaggio di grande
capacità e di larga cultura: di lui possediamo un sonetto in lingua italiana, nel
quale dà prova di interessi umanistici e di vaste letture di autori latini, tanto

1
Le notizie su Mosheh ben Netan’el Norsa sono raccolte da P. Norsa, Una famiglia di banchieri, la
famiglia Norsa (1350-1950), in “Bollettino dell'Archivio Storico del Banco di Napoli” 6 (1953), pp. 1-79
e ibidem, 13 (1959), pp. 59-191; V. Colorni, Il testamento di ser Mele da Roma - 1485, in “Rivista di
storia del diritto italiano” 63 (1990), pp. 331-342 (poi in Idem, Judaica Minora. Saggi sulla storia
dell'ebraismo italiano dall'antichità all'età moderna, Milano 1983, pp. 85-98: 86); T. Metzger, Le
manuscrit Norsa. Une copie ashkenaze achevée en 1349 et enluminée du Guide des égarés de
Maïmonide, in „Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz“, 46 (2002), pp. 1-73: 30-31
2
Sulla nota di vendita vedi Metzger, Le manuscrit Norsa cit., pp. 30-31
2
pagani quanto cristiani 3. La poesia in questione è frutto di uno scambio poetico
intercorso tra il letterato ferrarese Giovanni di Pellegrino – amanuense di
Lionello d’Este – e «Salomone hebreo», con ogni probabilità il Norsa. In tali
componimenti poetici i due interlocutori si scambiano elogi letterari, nello stile
caratteristico dell’ambiente di corte italiano dell’epoca. Di particolare rilievo è
la risposta di Salomone a Giovanni, nella quale l’ebreo accenna ai propri gusti e
alle proprie letture: «Gli antiqui gesti ho lecto di Romani | Quel da le historie
antique, patavino | Salustio generoso e pelegrino | Valerio che adopro le sacre
mani | Codici ho lecto non sol di pagani | Ma de li sacri: el suo scriver divino |
Lantiguo firmiano et augustino | Egli devoti grandi de ambrosani | Versi anchor
prose di cieschun gientile | Ben che quel studio a me sia nemico | Za mai
legiendo lor non fui contento | Non che lingiegno lor fusse ville | Ma di ti
ferarino claro io dico: | Che ognaltro avanza il tuo bel sentimento» 4. Nel 1463 a
Salomone succede Noè Norsa, cui Borso concede, già nel 1461, ampi privilegi,
rinnovati e accresciuti da Ercole I nel 1471 5.

Nel 1482, Netan’el ben Shabbatay, il padre del nostro Mosheh, si trasferisce da
Ferrara a Mantova, dove ottiene la concessione del banco “dei Monticelli
Bianchi” 6. Quando Netan’el muore, nel 1501, il compito di portare avanti gli
affari di famiglia tocca a Mosheh. Un banco di prestito, in una città come
Mantova, è un impegno oneroso. Quanto tempo gli resta per i libri? Per leggere

3
Per un breve sunto delle attività culturali dei Norsa tra Ferrara e Mantova vedi G. Busi, L’enigma
dell’ebraico nel Rinascimento, Torino 2007, pp. 78-79.
4
Lo scambio poetico tra “Salomone hebreo” e Giovanni di Pellegrino è pubblicato da G. Fabris, Il
codice udinese Ottelio di antiche rime volgari, in “Memorie storiche forogiuliesi” 4 (1908), pp. 89-112;
5 (1909), pp. 33-74, 145-160, 210-235: 5: 226.
5
Norsa, Una famiglia di banchieri 6, p. 17.
6
Colorni, Judaica minora cit., p. 86; Metzger, Le manuscrit Norsa cit., p. 31.
3
e meditare i volumi che va accumulando, non basterebbe una vita. Ma almeno
sfogliarli, una volta ogni tanto, forse questo gli riesce.

Molti dei possessori di libri ebraici d’età rinascimentale sono banchieri. Ce lo


dicono gli inventari giunti fino a noi, oggetto, in anni recenti delle cure
amorevoli dei bibliografi. È una vicinanza naturale, quella che lega gli antichi
bibliofili ai moderni studiosi. Il filo comune è quello della passione, o malattia,
libresca. Accumulatori ossessivi di volumi fisici i primi, accaparratori di volumi
mentali i secondi, con un evidente vantaggio di censo e, crediamo, di
soddisfazione, da parte dei collezionisti sui semplici estensori di lista
bibliografiche. E con le conseguenti, inevitabili invidie. Che i banchieri non li
leggessero, o peggio, non li capissero, quei loro bellissimi, sontuosi, inarrivabili
tesori, è opinione che aleggia sulle nostre bibliografie scientifiche. Un fato che
non risparmia neppure Mosheh ben Netan’el Norsa. Quando l’ottimo collega
Jean-Pierre Rothschild pubblica per la prima volta la lista dei codici appartenuti
a Mosheh e conservata nel manoscritto hébreu 39 della Bibliothèque Nationale
de France, mette in guardia il lettore da eccessive aspettative culturali: “Il n'est
pas tout à fait sûr que nous ayons affaire ici à une bibliothèque à proprement
parler: ce sont là les livres d'un banquier, susceptibles d'avoir été pour une part
laissés en gage” 7. La cautela è più che giustificata. Fatto sta che l’onere della

7
J-P. Rothschild, Quelques listes de livres hébreux dans des manuscrits de la Bibliothèque nationale de
Paris, in “Revue d'histoire des textes” 17 (1987), pp. 291-346: 295. Rothschild continua con le
seguenti precisazioni: “La formule employée en tête, mot à mot ‘les livres qui se trouvent chez...’,
permettrait à la rigueur de penser qu'ils ne lui appartiennent pas tous. Que la liste soit évidemment
classée par matières n'implique pas forcémernt l'unité intellectuelle de la bibliothèque, car ce peut
être un principe commode même pour retrouver des gages. Sans doute lisons-nous, après la date,
l'eulogie habituelle pour un propriétaire de livres ou un commanditaire de copie, ‘que Dieu le juge
digne de le (sic) méditer, lui et sa descendance après lui », qui paraît supposer la lecture et la
propriété des livres ; mais la formule a été écrite machinalement, comme l'atteste l'emploi du
4
prova sull’effettivo status della collezione viene lasciato a Mosheh stesso. Che
ci dimostri, di grazia, di averli veramente compulsati, tutti quei tomi, altrimenti
saremo costretti a trasferirli d’ufficio al reparto pegni, assieme a stoffe, argenti,
gioielli, oggetti d’uso comune. Addio, allora, al prestigio intellettuale di vero
bibliofilo. Ecco che Mosheh ben Netan’el si trova nella scomoda posizione di chi
possiede molto, ma deve dimostrare di far buon uso dei propri bene. Il tema è
meno futile di quanto sembri, e tocca l’ampia questione dei consumi culturali
all’interno dell’ebraismo italiano nell’età del Rinascimento. Si tratta di tracciare
i confini tra diffusione materiale dei libri, il loro valore come merci più o meno
preziose e l’apprezzamento del loro contenuto. Ai banchieri si riconosce
volentieri il ruolo di mecenati. È più raro che li si prenda sul serio per il loro
profilo intellettuale, anche se non mancano casi celebri di prestatori attivi
anche come maestri di halakah, scienziati, o addirittura cabbalisti. Pur con tutte
le cautele del caso – pegni, acquisti, doni? - proviamo a sfogliarli, questi libri del
banchiere, in cerca di indizi di solvibilità intellettuale. Come Mosheh sarà stato
cauto nel concedere prestiti a chi si sarebbe potuto dimostrare poi insolvente,
così noi vogliamo esser sicuri del nostro interlocutore, prima di affidargli un
codice prestigioso come il Moreh illustrato. La più antica lista dei volumi in suo
possesso può essere divisa in due parti. Da un lato, abbiamo quattordici libri a
stampa, dall’altra quarantuno manoscritti, più quello in cui è contenuto
l’elenco, un Pentateuco con targum, le cinque megillot e le haftarot, venduto a
Mosheh ben Netan’el Norsa da Avraham ben Mosheh di Levi il 6 gennaio
(5)312, ovvero 1512. Che questi siano solo una parte dei volumi in mano al
banchiere lo deduciamo dalla formula introduttiva: “Mispar me-‘iqqar ha-

singulier pour désigner les livres. La présence de quelques ouvrages en double … ne prouve rien. Et il
est sûr en tout cas qu'une partie au moins des ouvrages, ne serait ce que le présent manuscrit, dont
nous venons de donner l'acte de vente, appartiennent personnellement à Mosheh Yehiel.”
5
sefarim…, Nota dei libri principali”. Ci piacerebbe sapere cosa sia stato lasciato
da parte. Forse gli opuscoli e i fascicoli slegati, come suggerisce Rothschild? Va
notato, e vogliamo registrarlo nel nostro atlante del libro ebraico
rinascimentale, che la lista include, quasi sempre, materiale e colore della
legatura: cuoio o, più raramente, seta; rosso, o più raramente bianco (ovvero
color pergamena), verde. Tra i titoli, la parte maggiore va alla Scrittura e ai suoi
commenti. Questa sezione, che apre l’elenco, raccoglie dieci volumi biblici,
dodici di esegesi e tre di natura composita. S’incontrano poi diciassette libri di
argomento halakico, tra cui cinque trattati talmudici. Di rilievo la menzione di
un esemplare del Sefer yetzirah, probabilmente provvisto di commento. Non
mancano opere maimonidee di contenuto giuridico né le prese di posizione a
favore e contro Maimoninde nella celebre polemica duecentesca sul grande
autore 8. Il catalogo è arricchito da scritti di astronomia, di logica, e da una copia
dello pseudo-aristotelico Secretum secretorum, in versione ebraica. Moshe ben
Netan’el non è ancora soddisfatto. Evidentemente i suoi affari vanno bene, e
ha buone disponibilità economiche, se solo due anni più tardi può concedersi
l’acquisto di altri, costosi volumi. Non si accontenta di libri a stampa. Ama i
manoscritti, che ai primi del Cinquecento sono ancore veicolo indispensabile di
cultura. Il 23 giugno 1514 David ben Shelomoh Pontremoli gli vende in blocco
altri sette codici 9, contenenti, tra le altre cose, il Mishneh Torah di Maimonide
(è il volume in cui compare il contratto di vendita), il Sefer ‘iqqarim di Yosef

8
Cfr. Rothschild, Quelques listes cit., pp. 301-302: “46 Un [livre contenant] la Lettre d'apologie, le
Mesharet Mosheh, un commentaire du [traité michnique] des Pères et les Huit chapitres [de
Maïmonide]. 47 Un commentaire du livre de l’Apologie et [de la Polémique] (deux ouvrages, l'un en
faveur de l'œuvre de Maïmonide et de l'étude de la philosophie, l'autre contre, à la suite de la
condamnation portée par R. Selomoh b. Adret en 1305), en papier, recouvert de parchemin”.
9
Paris, Bibliothèque Nationale de France, ms. hébreu 337, c. 571 v (Rothschild, Quelques listes cit.,
pp. 316-318 nr. VII).
6
Albo e il commento all’ordine Zera’im di Shelomoh ibn Adret. Basta aspettare
un paio d’anni, ed ecco che, il 10 gennaio 1516, la biblioteca del nostro Norsa si
arricchisce di un nuovo, prestigioso, elemento. Come si è già accennato, Baruk
ben Yosef ha-Kohen gli cede il manoscritto miniato del Moreh Nevukim. Sembra
che Mosheh ben Netan’el faccia di tutto per scrollarsi di dosso i sospetti di
scarsa competenza intellettuale. Può darsi che qualche manoscritto gli sia
arrivato attraverso il banco di pegni, come deposito lasciatogli da un debitore
insolvente. Tutte quelle compere, in denaro sonante e con scrupolo di
collezionista, sono però prova di un amore continuo e appassionato per i libri e
i loro contenuti. La società ebraica nell’Italia del Rinascimento vuol dire anche
questo, un banchiere letterato e bibliofilo, a proprio agio dietro il banco di
prestito e tra gli scaffali di una biblioteca.

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