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Reihe I: Studien
Band 103
Andrea Sangiacomo
L’essenza del corpo
2013
GEORG OLMS VERLAG
HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK
ANDREA SANGIACOMO
L’essenza del corpo
Spinoza e la scienza delle composizioni
2013
GEORG OLMS VERLAG
HILDESHEIM · ZÜRICH · NEW YORK
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Herstellung: Docupoint, GmbH, 39179 Barleben
© Copyright by Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2013
www.olms.de
Alle Rechte vorbehalten
ISSN 1613-7388
ISBN 978-3-487-15081-9
La gente che per li sepolcri giace,
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face
A Marco Arnone,
per il coraggio, la forza
e la perseveranza
della sua meditatio vitae
INDICE
Abstract, p. 9
Ringraziamenti, p. 10
BIBLIOGRAFIA, p. 409
RINGRAZIAMENTI
Questa lavoro nasce dalla rielaborazione di una parte sostanziale della mia tesi di dottorato
intitolata “L’essenza del corpo. Scienza e filosofia all’epoca di Spinoza”, discussa all’Ecole
Normale Supérieure de Lyon il 21 Marzo 2013, e svolta in cotutela con l’Università di Mace-
rata. Il progetto è nato da un lungimirante suggerimento di Filippo Mignini, a lui, per la sua
guida e il suo supporto, va dunque il mio primo ringraziamento. Molti altri sono però i debiti
che ho contratto con maestri e amici che mi hanno permesso di portare avanti questa ricerca.
Anzitutto quello con Pierre-François Moreau, non solo per il suo costante sostegno e per
l’avermi accolto nel gruppo di ricerca del CERPHI, da lui diretto, e da cui ho tratto i più vivaci
stimoli, ma anche per aver generosamente supportato la mia attività. Un ringraziamento parti-
colare devo poi a Emanuela Scribano, per me da sempre un modello di rigore scientifico, la
quale mi ha offerto numerosi spunti che ho sviluppato in questo lavoro. Per il suo costante
incoraggiamento e l’amicizia filosofica sempre dimostratami, Lorenzo Vinciguerra mi ha del
resto fornito un aiuto particolarmente importante per portare a termine questo lavoro. Di alcuni
degli altri, verso cui sarebbe troppo lungo e in fondo sempre parziale fare l’elenco delle ragioni
che mi rendono profondamente riconoscente, non posso che limitarmi a citare i nomi: Vlad
Alexandrescu, Daniela Benvenuti, Daniela Bostrenghi, Francesco Camera, Antonella Del Prete,
Daniel Garber, Giuseppe Girgenti, Julie Henry, Delphine Kolesnik-Antoine, Mogens Laerke,
Martin Lenz, Sandra Manzi-Manzi, José Medina, Vittorio Morfino, Steven Nadler, Marco
Panza, Francesco Piro, Sophie Roux, Cristina Santinelli, Tad Schmaltz, Francesco Toto.
TAVOLA DELLE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI
Opere di Spinoza
DESCARTES
HOBBES
DCp: De Corpore, in OL1; trad. it. a cura di A. Negri, Utet, Torino, 1972.
DH: De Homine, in OL2; trad it. a cura di A. Neghi, Utet, Torino, 1972.
BOYLE
(A) Il soggetto
1 Come ben riconosceva Giancotti 1995, pp. 95-120, è anche questo un punto chiave per deci-
dere della vexata quaestio del materialismo spinoziano (p. 99): «l’elemento che caratterizza in
senso innovatore e in direzione materialistica e ateistica il concetto spinoziano di sostanza o dio
è l’attributo dell’estensione come costitutivo della sua essenza».
14 1. Introduzione
non lo era a Spinoza stesso fino almeno al 1664 circa – in che modo la subor-
dinazione di ogni realtà finita alla causalità immanente di Dio potesse accor-
darsi con una forma di attività delle cose stesse.
Questa riflessione sulla mereologia si connette e si intreccia con quella
relativa a un altro concetto parimenti decisivo e che è spesso risultato di im-
barazzo per i commentatori, ossia quello di determinatio. Senza confondersi
con il concetto di causa, la determinazione indica piuttosto la modalità del
rapporto causale, ovvero le sue condizioni di realizzazione e quindi, anche,
l’insieme di interazioni all’interno delle quali ogni effetto viene ad essere pro-
dotto. Questa impostazione risulta a Spinoza dalla seria presa in considera-
zione del più ampio problema della composizione dei moti fisici e degli stessi
corpi, ereditata dapprima dalla fisica cartesiana, ma elaborata tra le divergenti
soluzioni avanzate da pensatori quali Hobbes e Boyle. Ora, negli stessi anni
in cui opera Spinoza – l’interregno tra la divulgazione della fisica cartesiana
e l’imporsi del nuovo paradigma newtoniano –, il concetto di composizione è
uno dei punti caldi del dibattito scientifico. L’insieme di discussioni scientifi-
che e ontologiche su tale tema le riuniremo sotto l’espressione di scienza delle
composizioni.
È in questa cornice che l’uso di un concetto spinoziano pur fondamen-
tale come il conatus perde la sua opacità. In quanto tale, infatti, si tratta di un
termine di uso corrente e ben radicato in una tradizione di antichissime origini.
Ciò che fa l’originalità del pensiero spinoziano non è quindi il suo impiego
come tale o una serie di differenze pur interessanti che riguardano la sua for-
mulazione presa in senso stretto, quanto piuttosto lo sfondo generale su cui
tale dottrina si inserisce e che, offrendone la fondazione, ne determina anche
in ultimo il senso. Spinoza non inventa certo questo concetto né lo impiega
nello studio di specifici fenomeni fisici, eppure la sua dottrina del conatus –
con cui intende pur fondare una psicologia scientifica – può e in certa misura
deve essere letta come una traduzione sul piano ontologico della stessa idea
di composizione di forze, la quale consente all’Etica di articolare in modo
coerente una descrizione delle variazioni intensive della potenza dei corpi, che
per altro sono e restano dotati di un’essenza eterna, eterna espressione della
potenza divina. Da questo punto di vista, emerge un legame interno tra una
delle dottrine più importanti della filosofia spinoziana e uno dei temi più com-
plessi e dibattuti della scienza di quegli anni2.
2 Il che non deve necessariamente togliere la differenza tra l’approccio scientifico e quello filo-
sofico, come già asseriva a proposito del determinismo Santinelli 1996b, p. 255: «la teoria del
determinismo universale non nasce dall'ottica dello scienziato, che è interessato, piuttosto, a
individuare strumenti teorici in funzione di una prevedibilità dei fenomeni, come sarà circa un
secolo dopo il determinismo scientifico di Laplace. Il determinismo di Spinoza non è volto alla
previsione scientifica, ma alla chiarezza totale della conoscenza, che – quando è vera o adeguata
16 1. Introduzione
–, coglie senza veli, né residui di oscurità la struttura della realtà, soffrendo di limiti esclusiva-
mente quantitativi, quelli legati ai confini spazio-temporali del singolo uomo».
1. Introduzione 17
(B) Il controsoggetto
È solo da una cattiva coscienza storica che si può trarre l’idea che il
nostro sia il tempo della critica e del commento, della glossa o della decostru-
zione, mentre il passato sarebbe stato quello del pensiero, dell’originalità,
dell’indipendenza teorica. Se però è del tutto ovvio che in nessuna epoca si
fece mai filosofia che non fosse in dialogo e discussione con posizioni diver-
genti – e quindi che non implicasse una precisa pratica ermeneutica verso que-
sti pensieri altri –, non altrettanto ovvio è quale sia la verità che può essere
ascritta allo sforzo di pensare ripensando – quindi cercando di comprendere,
di interrogare, di seguire o tradire – l’altrui pensiero. Non si tratta di un pro-
blema spurio e che poco o nulla abbia a che vedere con il nostro tema, giacché
lo stesso Lodewijk Meyer, nella sua Prefazione ai Principi della filosofia di
Cartesio dimostrati secondo il metodo geometrico, non esitava a porlo ben in
chiaro – in un gioco di rifrazioni con cui dava l’interpretazione di quella che
era l’interpretazione offerta da Spinoza del testo cartesiano dei Principia. E
infatti leggiamo:
3 Questo controsoggetto viene sviluppato qui in termini formali, cioè come fondamento del
metodo della ricerca, più che del suo contenuto. Eppure, esso stesso può essere visto come un
contenuto di pensiero, a sua volta frutto di una lettura del pensiero spinoziano, come si è tentato
di fare in Sangiacomo 2013a.
18 1. Introduzione
È un vecchio luogo comune quello evocato qui, pur con qualche co-
loritura d’effetto, la cui finalità è giustificare la bontà dell’intento spinoziano
di tradurre secondo il metodo sintetico il discorso di Descartes, onde metter
fine o limitare il più possibile le dispute, per raggiungere finalmente una po-
sizione ferma – un’interpretazione indiscutibile. In ciò, Meyer assume eviden-
temente che la verità sia il porto sicuro dove finalmente la mente bramosa può
approdare e riposare, una volta per tutte.
Forse non serve nemmeno richiamare che se qualcosa possiamo dire
d’aver imparato, a quattro secoli di distanza, è che una simile concezione è
intenibile. E lo è perché de facto risulta storicamente falsa: l’accordo non pare
essersi mai veramente creato su nessuna tesi filosofica di una qualche rile-
vanza, giacché anche nelle convergenze pur macroscopiche che hanno potuto
crearsi su certi punti, queste convergenze non sono mai state tali da evitare i
dissensi, le contestazioni, i distinguo. In tal senso, i dibattiti sembra possano
essere soffocati o stemperati, ma non eliminati e se li si vede come una malat-
tia del pensiero, allora certo si tratta di una malattia endemica, vecchia come
la filosofia stessa. Eppure, pensare la verità come un porto sicuro è anche falso
de jure in quanto, semplicemente, nega la possibilità stessa del percorso che a
quel porto dovrebbe condurre – trasformando in fondo il porto, da ricovero, in
cimitero di illusioni. Infatti, se la verità è infissa in un punto, evidentemente
al di là dei suoi serrati bastioni vi sarà il gran mare dell’errore. Ma è impossi-
bile che l’errore conduca alla verità, giacché è la verità stessa ad essere norma
di sé e del falso, non viceversa. Del resto, il filosofo che forse per primo e nel
modo più insopportabilmente radicale pensò l’inconcusso cuore della verità,
Parmenide, pure cantò non già di un luogo, ma di una via su cui era condotto,
verso una soglia, al di là della quale si dipartivano due sentieri, l’uno della
notte e l’altro del giorno. La verità, dunque, anche per il pensatore più grani-
tico, non fu un dove nel quale restare e trovar rifugio, ma appunto un cammino,
qualcosa comunque da percorrere.
Tuttavia, rifiutare la concezione della verità come porto sicuro non
basta a risolvere i problemi. Si può infatti pensare che la verità stia banalmente
in ogni dove e che, in fondo, ogni porto abbia la sua verità. Ma è falso che la
negazione dell’errore porti di per sé a qualcosa di meno errato, giacché può
1. Introduzione 19
4 Questa indicazione mette in guardia da un altro pericoloso fraintendimento che tanto ha afflitto
la storiografia e la storia della filosofia in particolare, cioè quel pregiudizio teleologico per cui
il sentiero del pensiero sarebbe chiaramente tracciato dalle origini alla fine dei tempi. Ogni
pretesa onnicomprensiva, infatti, è per ciò stesso un tradimento della logica del peregrinare, in
quanto, indicando già punti di partenza, snodi e mete finali, rende di fatto del tutto superflua la
fatica del percorrere un simile sentiero. Chi pretende che la storia avanzi al passo di marcia di
sorti magnifiche e progressive – determinate poi di volta in volta secondo le preferenze e i
presupposti ideologici o filosofici del momento –, non può non ammettere che ogni deviazione,
22 1. Introduzione
(C) Il metodo
svolta, bivio, siano poco più che vicoli ciechi. Se e nella misura in cui si ammettesse infatti una
pluralità di sentieri possibili e non convergenti, verrebbe meno la giustificazione teleologica
che dà cogenza al percorso così ricostruito, e dunque se e nella misura in cui si vuole giustificare
tale percorso è necessario escludere quantomeno la rilevanza delle alternative, cioè appunto del
dissenso, delle diserzioni, dei sentieri meno appariscenti e più impervi che paiono perdersi in
altri orizzonti.
5
Gli studi condotti da Filippo Mignini (1979, 1980, 1985, 1986, 1987, 1988a e b, 1997, 2009),
i quali hanno portato alla rivoluzione cronologica e interpretativa dei primi scritti di Spinoza,
mostrano da un punto di vista generale l’importanza di una considerazione diacronica dell’evo-
luzione di un pensiero. La necessità di reperire in modo quanto più possibile dettagliato i singoli
punti di svolta, i nodi problematici, le domande non ancora risolte e le risposte solo alla fine
trovate, si mostra infatti la guida più adatta per distinguere tra loro i diversi testi di un filosofo
– e di Spinoza in particolare. Non necessariamente ciò che viene affermato in fine lo era sin
dall’inizio e, il più delle volte, quelli che si offrono come risultati di una speculazione affondano
in un lungo e difficoltoso travaglio speculativo durante il quale la loro conquista non risultava
per nulla scontata. Circa l’applicazione del metodo genetico ad altri autori legati a Spinoza e ai
proficui risultati che esso ha prodotto, si vedano, a titolo di esempio, Machamer e McGuire
2009 (su Descartes), Garber 2009 (su Leibniz), Hunter 2009a (su Boyle) e Pacchi 1965 (su
Hobbes).
6
Cioè lo sviluppo e il suo cambiamento, sia esso continuo o discontinuo, dovuto a cause esterne
o interne.
1. Introduzione 23
7
Per la formulazione di questo assunto, ci rifacciamo in particolare alle metodologie e ai criteri
di ricerca messi in campo da Pierre-François Moreau (1987, 1994a, 2001, 2003, 2005, 2006) in
merito al corretto modo di contestualizzare Spinoza – evitando contemporaneamente la disso-
luzione storicistica e l’isolamento monadologico. In tal senso, intendiamo prendere le distanze
anche dal modo in cui Wolfson 1934 impostò il suo pur importante lavoro sulle fonti dell’Etica,
precedendo piuttosto secondo il metodo dei calchi o delle citazioni, che non quello della rico-
struzione ragionata dei dibattiti.
8 Questa teorizzazione si trova chiaramente in Lovejoy 1966. Da notare che, mentre la storia
delle idee studia la presenza e le vicissitudini nel tempo di certe unità concettuali date, la geo-
grafia delle idee che qui si propone intende invece studiare lo sviluppo argomentativo che da
certi problemi conduce a certe soluzioni, senza presupporre alcuna necessaria continuità nelle
unità concettuali in gioco – le idee appunto –, ma esplorando piuttosto lo spazio che separa
diverse concezioni e il modo in cui tale spazio è stato o può essere attraversato.
24 1. Introduzione
(D) Il dibattito
9 Tenendo conto del fatto che l’attività filosofica di Spinoza si concentra nel ventennio 1656-
1676, la scelta degli autori considerati sarà necessariamente selettiva, anche se la selezione sarà
basata su criteri che si sperano sufficientemente ragionevoli. Del tutto inevasa sarà lasciata in-
vece la questione ben più difficile e scivolosa delle fonti indirette e quindi del ruolo di media-
zione di quelle intermedie, problema che ci porterebbe decisamente oltre i limiti già forse fin
troppo ampi della presente ricerca.
26 1. Introduzione
10 Israel 2001 è forse lo studio che ha spinto alle sue più estreme conseguenze la possibilità di
vedere nello spinozismo e nella sua diffusione europea il presupposto dell’emergere di un illu-
minismo radicale. Per un approccio più circoscritto ma parimenti interessante circa i dibattiti
in merito, cfr. anche Bordoli 2009.
11
Tale dibattito sembra anzi esser rimasto piuttosto marginale e per lo più integrato e riassorbito
in differenti discussioni, come testimonia in modo piuttosto eblematico il pur utile catalogo
compilato da Duffy 2009 circa gli studi recenti e gli orientamenti della critica spinoziana, dove
non figura nessuna voce direttamente connessa al problema del corpo o anche della fisica di
Spinoza, per non dire del suo rapporto con la “rivoluzione scientifica”.
12
Si vedano, tra gli altri, i lavori di Zac 1963; Matheron 1969 e 1991; Deleuze 1968, 1970 e
2007; Giancotti 1995, Sévérac 2005; Busse 2009; Laerke 2009. Su questa linea si sono inscritte
sia importanti rivalutazioni del pensiero politico spinoziano (cfr. ad es. Morfino 2010), sia studi
più storico-teoretici volti a indagarne le radici ontologiche e teologiche, come quelli offerti da
Mignini 2000; Di Poppa 2009a, 2009b, 2010.
13 Si vedano, ad es., Jonas 1965; Matheron 1969; Gueroult 1974, pp. 143-189; Lachterman
1978; Duchesneau 1978 e 1998, pp. 119-148, Garber 1994; Gillot 2003. Per quanto in contro-
tendenza e in modo non sempre sistematico, non è mancato chi come Juillet 2001, pp. 113-260
ha dedicato ampio spazio a mostrare le tensioni, se non le contraddizioni, del discorso spino-
ziano sull’individualità e la natura dei corpi.
1. Introduzione 27
14
Si tratta della tesi portante di Matheron 1969, discussa ancora di recente da Rice 1990 e
Balibar 2001. Un importante contributo al dibattito, piuttosto favorevole alla posizione di Ma-
theron, è offerto da Moreau 1994a, pp. 441-459. Per gli ultimi sviluppi della discussione, cfr.
Santos Campos 2010. Per le risposte di Matheron ai suoi critici, cfr. Matheron 2003.
15
Le due posizioni sono incarnate, per esempio, da Matheron 1969, p. 41 e, di contro, da Gab-
bey 1996 e Adler 1996.
16 Tesi già avanzata da Rivaud 1924.
17
A sostegno di una riduzione dei corpora simplicissima a meri enti di ragione, cfr. Lachterman
1978; Cristofolini 1992; Filippi 1981. Per una interpretazione in termini di enti reali, magari di
ascendenza cartesiana cfr. Gueroult 1974, pp. 160-165; Messeri 1990, pp. 88-104.
18 Una forte difesa dell’essenzialismo spinoziano è stata rivendicata molto di recente da Vil-
janen 2011, mentre per la lettura contraria cfr. Morfino 2002a e 2010. In questa opposizione,
per altro, viene a ridefinirsi in termini aggiornati la precedente discussione sulla natura generica
o singolare delle essenze in Spinoza, dietro la quale pare di poter scorgere, in ultimo, il fantasma
della critica hegeliana di acosmismo, ovvero il problema dello statuto che le singolarità finite
possono avere nell’ontologia spinoziana.
19 Cfr. ad es. i saggi raccolti da Osler 2000.
28 1. Introduzione
una fase dove questa si avviava a subire uno scacco decisivo. Se ne trarrebbe
così l’immagine di un autore in fondo periferico rispetto al movimento di idee
della scienza militante del suo tempo, rimasto compromesso con un’imposta-
zione cartesiana sempre più in crisi, e attaccato a un dinamismo che potrà es-
sere rivalutato dai romantici ma che, per i contemporanei, rilevava di quel
pensiero rinascimentale e vitalistico che la nuova filosofia della natura si pro-
poneva di estirpare20.
Si sono avuti differenti tentativi per cercare di risolvere questo pro-
blema, nessuno dei quali, però, sembra essere risultato del tutto conclusivo.
L’ipotesi di leggere infatti l’excursus di fisica inserito da Spinoza nell’Etica
alla luce della fisica pendolare di Huygens ha definitivamente mostrato la sua
intenibilità storiografica21. Del pari, i tentativi di fare di Spinoza uno scienziato
20
Cfr. Gaukroger 2006, pp. 490-492: «that it was the German Romantics who resurrected the
Spinozean project is enlightening, for their proto-vitalistic understanding of the cosmos was
very far from the mechanism that provided the basis for physical enquiry in Spinoza. But it was
Spinoza’s notion of conatus that attracted them, and it was this very notion, suggestive of Re-
naissance naturalism and explicitly tied to the pantheism of which naturalists were traditionally
accused, that seemed to undermine the mechanist credentials of Spinoza’s project. It is note-
worthy, for example, that the way in which he described conatus preclude its being mechanized
along Hobbesian lines. […] The removal of active powers from nature, which is the hall mark
of mechanism, is compromised by the idea that there is a mode of description of nature in which
such active powers are indispensable. […] The problem was not just that the mechanical prin-
ciples from which Spinoza wanted to extrapolate are flawed, but that these principles acted as
a model for the deductive structure of the Spinozean system. […] No one with an active com-
mitment to natural philosophy could have considered the Spinozean proposal seriously as an
adequate account of the role of natural philosophy in knowledge more broadly. It was simply
ignored by natural philosophers, and it lacked any natural-philosophical legitimacy». Questa
lettura era in parte già quella avviata da Maull 1986, per cui Spinoza restava appunto «a Carte-
sian normal-scientist», riconfermata da Gabbey 1996 e in ultimo da Manning 2006. Più sterile,
invece, il tentativo di Hassing 1980 di mostrare l’estraneità della dottrina spinoziana del conatus
al contesto fisico del tempo, dove Newton viene anacronisticamente preso come punto di rife-
rimento. Schliesser 2012 ha nuovamente insistito sulla non appartenenza di Spinoza alla nuova
filosofia della natura del Seicento, sostenendo che, secondo l’Etica, ogni conoscenza adeguata
del mondo naturale sarebbe impossibile. Sul versante opposto della critica, Siebrand 1986 ha
fornito alcuni utili elementi sull’ancoramento di Spinoza all’ambiente scientifico olandese e
Savan 1986 aveva tentato di mostrare come il coinvolgimento di Spinoza nella scienza del suo
tempo si giocasse piuttosto su un altro fronte, cioè quello della costituzione di un’ermeneutica
scientifica. Su questa linea, si collocano anche i lavori di Guillemeau 2008 e Walther 2008,
dedicati a mostrare l’uso spinoziano di concetti scientifici nell’ambito del discorso politico. Per
una ricostruzione più filologica del modo in cui Spinoza andrebbe inscritto nel meccanicismo
del suo tempo, cfr. invece Totaro 2008 e 2009, pp. 65-79. Sull’appartenenza di Spinoza alla
filosofia rinascimentale piuttosto che al meccanicismo moderno avevano insistito a varie riprese
già Rivaud 1924; Hampshire 1951; Zac 1963; Filippi 1981. Decisamente contrario a questa
lettura, invece, Messeri 1990.
21
Cfr. Geuroult 1974, p. 159; p. 171-175; Appendice n° 5, pp. 555-559. Durante gli anni ’80,
tuttavia, questa lettura è stata ripetutamente discussa da Daniel Parrochia (1984, 1984-85, 1989,
1993), il quale ne ha cercato di indagare le possibilità euristiche, pur segnalandone in modo
1. Introduzione 29
chiaro i limiti storiografici. Sebbene ecceda i limiti della presente ricerca, sarebbe auspicabile
che la chiave di lettura qui offerta circa la scienza delle composizioni possa condurre a reimpo-
stare su nuove basi lo studio del rapporto tra Spinoza e Huygens. Per un inquadramento storico
del rapporto tra i due, si veda Keesing 1984.
22
Cfr. Klever 1988, 1993 e 2000. Moreau 1994a, pp. 283-287 ha tuttavia insistito sui limiti di
questa lettura.
23
Per il primo approccio, ricorrente nella critica, cfr. di recente Barbaras 2007, per la versione
più storiografica – e in sé decisamente utile dal punto di vista documentario – cfr. invece Audié
2007.
24
È questo l’esito storiografico della tesi di Viljanen 2007a e 2011, secondo cui Spinoza ripren-
derebbe da Suarez e dai dibattiti tardo-scolastici il concetto di essenza formale, usata origina-
riamente per pensare il rapporto che gli enti geometrici intrattengono con le loro proprietà, e
che Spinoza estenderebbe al carattere delle essenze tout court. Su questa linea, insistendo piut-
tosto sul rapporto con il pensiero aristotelico – che si suggerirebbe mobilitato da Spinoza in
funzione anti-cartesiana –, si colloca anche Klein 2005. Per una critica della riduzione, in Spi-
noza, della causalità efficiente a causalità formale, cfr. Sangiacomo 2013c.
25
Tra i primi a sostenere questa lettura, si prendano ad es. Rivaud 1924; Gueroult 1968 e 1974;
Mathéron 1969; Lécrivain 1977-1978; Lachterman 1978; Filippi 1981. Per una più ampia di-
scussione del rapporto con Descartes e della letteratura relativa, cfr. infra §3.1.
30 1. Introduzione
26 Cfr. ad es. Lachterman 1978; Zourabichvili 2002. Anche Yakira 1994, pp. 80-89 considera
che l’importanza di Spinoza nello sviluppo moderno del concetto di causa sia stato quello di
aver messo in luce come «la notion de causalité mécanique est inadéquate […]. Elle implique
des rapports d’extériorité, alors que l’analyse de la causalité par l’idée d’action et de force de-
vait montrer que, dans son sens le plus profond, la causalité est, au contrarie, toute intériorité»
(p. 87). In generale questa impostazione è consistita nell’esaminare la dipendenza della dottrina
spinoziana del conatus articolata in E3 dal cosiddetto “principio di inerzia” formulato da De-
scartes, cioè la prima legge di natura (cfr. infra, §3.1.1.A. Per una ricostruzione di come Spi-
noza, fin da PPC2 si distanzi dalla concezione cartesiana per giungere alla matura formulazione
della sua dottrina del conatus nell’Etica, cfr. Vampoulis 2005). A parte la cautela terminologica
che dovrebbe tuttavia portare a evitare di sovrapporre il concetto di inerzia – inteso corrente-
mente in senso newtoniano – con gli enunciati cartesiani, gli studi finora dedicati al tema non
sembrano essere stati in grado di cogliere il vero punto di raccordo tra Spinoza e Descartes,
finendo o per opporre i due autori o per ridurre il primo al secondo. Per una più completa di-
scussione di questo aspetto molto delicato, cfr. infra §3 e §4.B.
27 Questa è l’impostazione generale di Messeri 1990, condivisa, ad es., da Gabbey 1996 e
Gaukroger 2006.
28
Studi piuttosto recenti hanno insistito sulla divergenza di due grandi filoni di sviluppo del
cartesianesimo, il primo, animato da una certa tensione “materialista”, si originerebbe a partire
da Regius, mentre il secondo, decisamente più interessato alla valorizzazione del dualismo e
alle sue implicazioni apologetiche, potrebbe essere incarnato da autori come Arnauld, Geulincx
e Malebranche. Per una ricostruzione storiografica di queste opposte letture e i suoi presupposti
metodologici, cfr. Kolesnik-Antoine 2006, 2009 e 2012; Boulad-Ayoub, Moreau e Torero-Ibad
2011.
29
Cfr. De Boer 1916; Rivaud 1924; Daudin 1948; Hall e Boas 1964 e 1978; Yakira 1988; De
La Camara 1999; Zaterka 2001.
1. Introduzione 31
30
Cfr. in particolare Moreau 1994a, pp. 269-282: «Spinoza présente une conception de l’expé-
rimentation qui diffère sur certains points de celle de Boyle, mais s’inscrit comme elle à l’inté-
rieur de l’éventail d’interprétations qui est celui de la science classique. [...] Sur quoi alors
portent les divergences ? Au fond, plus sur des questions ontologiques que sur des problèmes
épistémologiques. D’une part, Spinoza refuse le vide. D’autre part sa conception de la matière
homogène lui interdit d’admettre qu’entre les données sensibles et le fond mathématique des
choses (particules étendues et mouvement) il puisse exister un degré intermédiaire d’intelligi-
bilité rendant compte de certaines constantes qualitative». Questa impostazione è stata appro-
fondita d’altro canto da Macherey 1995 e 2005; Guillemeau e Ramond 2009; Buyse 2010; San-
giacomo 2012b e 2013b.
31 Sull’ultima fase della corrispondenza, si veda invece Proietti 2006.
32 Cfr. ad es. Giancotti 1995, pp. 181-210.
33 Per ulteriori ragguagli bibliografici cfr. infra §3.2.1, per ora valga ricordare, tra i contributi
migliori, quello di Santinelli 2008 per quanto riguarda il discorso più propriamente fisico di
Spinoza e l’influenza su esso esercitata da Hobbes, nonché il contributo di Scribano 2012a circa
l’evoluzione della dottrina spinoziana delle passioni.
32 1. Introduzione
34
Tale approccio parrebbe incentivato da quanto notava lo stesso Giorgio Colli nella sua pur
folgorante prefazione all’Etica, pubblicata da Bollati-Boringhieri nel 1959 (ora in Colli 1983):
«il punto dove convergono i pensieri di costui – l'unità della sua visione – è sepolto in un abisso
e occorrono giorni e mesi di meditazione, per scavare sino in fondo il pozzo di ogni singola
proposizione. Se tale è la natura di Spinoza, a ben poco serve il collocarlo nel suo tempo, e
studiarlo storicamente, indagando il nesso che lo lega ai filosofi precedenti, e ricercando le
tracce del suo pensiero nella speculazione posteriore. Certo, egli si serve di molti concetti offerti
dalla tradizione, ma li riempie dei suoi contenuti; e quando avremo stabilito i suoi presupposti
culturali e i suoi influssi, continueremo a scivolare lungo la superficie di una sfera, in cui invece,
come abbiamo detto, si tratta di penetrare sino al centro».
1. Introduzione 33
possibile cercare traccia di questo percorso nei dibattiti scientifici coevi o in-
terrogare gli autori dell’epoca per comprendere come avrebbe potuto collo-
carsi rispetto alle loro proposte.
Ci pare che il dibattito critico mostri quindi due difficoltà metodolo-
giche strettamente connesse, a cui questa ricerca vorrebbe tentare di rimediare
almeno in parte: la prima riguarda l’assunzione di un paradigma di lettura de-
cisamente centrato sull’Etica, mentre la seconda ha a che fare con il modo in
cui si è per lo più impostato il rapporto con le fonti. Per cominciare dal primo
punto, va rimarcato che gli studi spinoziani dedicati al problema del corpo e
della sua attività si sono finora concentrati su un gruppo assai ristretto di testi
– fondamentalmente l’excursus di E2P13S, supportato da PPC2 e magari da
una considerazione di alcune lettere, come quelle degli anni 1661-1663 sul
saggio di Boyle o l’Ep32 del 1665 –, solo se e quando questi potevano svol-
gere funzione propedeutica o confermativa rispetto a quanto ravvisato
nell’opus magnum. D’altro canto, testi per altro fondamentali come la KV e
lo stesso TTP sono stati quasi sempre del tutto accantonati. In particolare, ciò
che pare veramente mancare è un tentativo di ricostruire quando e secondo
quali passaggi Spinoza sia giunto alla formulazione delle sue tesi mature. Solo
sulla base di questo chiarimento, infatti, può essere possibile valutare anche il
suo rapporto con la posizione cartesiana e, in genere, la sua collocazione ri-
spetto ai dibattiti coevi. Il primo assunto interpretativo che s’è richiamato
esponendo il soggetto della presente ricerca dovrebbe allora consentire di ri-
mediare a questo stato di cose, permettendoci anzitutto di ricostruire (§2)
quando e come la dottrina del conatus – intesa in senso lato come organismo
concettuale articolato a diversi livelli e in diverse tesi correlate – abbia potuto
finire per costituire la chiave di volta della filosofia spinoziana, rispondendo
a quali problemi e determinando quali ripensamenti.
In particolare, ci soffermeremo dapprima (§2.1.1) sul testo del Breve
Trattato e sui problemi che pone a Spinoza la necessità di articolare in modo
coerente la dottrina dell’estensione divina, relativi in particolare al tema della
divisibilità, del rapporto tra corpi e leggi generali della natura, e quindi a
quello dell’attività che è effettivamente possibile ascrivere agli enti finiti. Po-
tremo quindi (§2.1.2) constatare l’attitudine che Spinoza mantiene negli anni
subito successivi circa l’esigenza di una riduzione dei poteri causali dei corpi
alla loro causa prima – le leggi generali del moto o l’azione stessa con cui Dio
decreta la natura delle essenze individuali. In questa prospettiva, metteremo
in risalto le difficoltà di una simile concezione, a cui risponderà l’evoluzione
successiva del pensiero spinoziano.
L’ontologia dell’attività che offrirà soluzioni a queste istanze si costi-
tuisce tuttavia per gradi. Così, ci soffermeremo (§2.2.1) su alcune tappe pre-
34 1. Introduzione
in ultimo condiviso dallo stesso Descartes, cioè quello di una nuova filosofia
della natura –, ma ne offrano anche declinazioni reciprocamente divergenti.
La posizione hobbesiana (§3.2.1), in particolare, sviluppa un’originale dot-
trina del conatus in un contesto che tende tuttavia a eliminarne ogni elemento
di attività nel senso spinoziano del termine. D’altro canto, le riflessioni di
Boyle (§3.2.2.) discutono approfonditamente la natura dei corpi composti –
cui appartengono gli stessi individui spinoziani – pur nel tentativo di identifi-
carne la specificità proprio nei loro poteri causali essenziali.
Riconnettendo allora le linee di continuità e discontinuità su cui si
tesse il dialogo e lo scontro tra Hobbes e Boyle, sarà possibile concludere (§4)
posizionando meglio lo stesso sviluppo spinoziano e la stratificazione di cui il
suo pensiero maturo conserva traccia, mostrando non solo come una più chiara
intelligenza di questo sfondo permetta una più chiara percezione del tipo di
discussione a cui tali elaborazioni intendevano rispondere, ma anche quali fos-
sero i punti salienti a cui Spinoza poteva risultare più interessato e rispetto a
quale modello di scienza potesse dirsi maggiormente coinvolto.