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2006 Istituto di Filosofia Arturo Massolo

Università di Urbino
Isonomia

Il modello marxiano di riproduzione sociale complessiva


Processo nella forma di movimento capitalistica

Simona Coviello
Università di Macerata
simonacoviello@yahoo.it

Abstract
In this paper some of Marx's core ideas are analyzed, in order to show how, by means of them,
he conceives the idea of free man in his reconciliation with Nature. The activity allowing man
to exploit material means to reach his own aim is human work. Work is analyzed by Marx first
in its abstract form and then, taking that as a starting point, in human production relationships
which can take different forms: cooperation, manufacture and large factories. By means of this
analysis, Marx uncovers the central role of the organic relationship of man and nature: man
works matter in order to reach his aims and the produced object is the result of such free
activity. Taking the centrality of the social nature of production relationships as a starting point,
Marx raises the issue of a work process also involving a social relationship between individuals.

1. Introduzione

La teoria marxiana del modo di produzione capitalistico è stata e continua a essere


oggetto di un vario e acceso dibattito che ha portato, com’è noto, a interpretazioni tra
esse spesso conflittuali. Per esempio tra le varie letture della teoria marxiana del
capitale c’è chi ha sostenuto che lo sviluppo delle formazioni sociali a cui Marx fa
riferimento vada interpretato come successione storica lineare. Dal lato del tutto
opposto invece si è proposta una lettura
2 Simona Coviello

positivistica-logica per cui i modelli di formazione sociale appaiono come provvisorie


costruzioni mentali, la cui validità si misura di volta in volta sulle capacità interpretative di
una determinata società e la cui successione sia meramente convenzionale-formale.1

È noto che già i primissimi interpreti di Marx considerassero l’autore del Capitale come
lo scopritore di leggi oggettive della società capitalistica, e si pensa qui per esempio a
Kautsky, Hilferding, Bucharin e in Italia a Della Volpe. Altri invece hanno accusato
Marx di “idealismo”, egli avrebbe «trasferito le contraddizioni logiche del pensare
all’essere»2, sicché «forze opposte nella natura o nella storia sono state interpretate
come contraddizioni logiche»3. Per quel che riguarda più specificatamente la teoria
marxiana del capitale, com’è noto la lettura che ha prevalso per buona parte del secolo
scorso è quella economicistica, con la quale però

da una parte scompare l’interscambio con la natura come fondamento della teoria dello
sviluppo[…] dall’altra scompare il ruolo autonomo della soggettività nelle sue forme di
organizzazione storica, di momenti dello spirito oggettivo che insieme permangono e
mutano nell’evolversi di una formazione sociale.4

In questo saggio si assume come valido il punto di vista di chi, tenendo conto della
nuova edizione critica delle opere di Marx (MEGA²), non solo ha proposto un
superamento della settorializzazione delle interpretazioni marxiane che, proprio perché
tali non riuscivano a rendere l’unità della teoria e dell’analisi di Marx, ma ha sostenuto,
attraverso un attento studio filologico che la teoria marxiana «costituisce un modello
logico, a un alto livello di astrazione, del funzionamento ‘storico-naturale’ del modo di
produzione capitalistico»5.
A partire da questi presupposti, che saranno meglio delineati nel corso dell’analisi, si
cercherà qui di motivare, attraverso una ripresa di alcune fondamentali categorie
marxiane, che centro dell’analisi e del pensiero di Marx è l’attività umana: l’uomo
opera sulla natura per appagare i propri bisogni naturali; l’attività produttiva fa sì che la
natura sia per l’uomo che, tramite il lavoro, la modifica trasformando così anche la sua
stessa natura (la terra per esempio diventa per l’uomo grazie all’agricoltura):

In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e la natura, nel quale
l’uomo, per mezzo della propria azione media, regola e controlla, il ricambio organico fra
se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale uno fra le potenze della natura, alla
materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità,

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braccia, gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la
propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli
cambia allo stesso tempo la natura sua propria.6

Per Marx dunque caratteristica dell’uomo è il lavoro inteso non come semplice sforzo
degli uomini che lavorano, ma come attività conforme a scopo. A partire dal rapporto
uomo/natura si cercherà in questo studio di spiegare cosa significhino per Marx processo
e riproduzione sociale complessiva.
Si partirà dal metodo marxiano per sottolineare che la sua è la teoria di un modello e
che quindi si muove su un certo grado di astrazione. Si cercherà poi di dimostrare il
carattere processuale del modello attraverso concetti chiave: teoria del valore e processo
di scambio, processo lavorativo umano astratto, cooperazione, sussunzione formale e
sussunzione reale, alienazione e concetto di capitale. Si considererà infine il concetto
marxiano di libertà, passando dall’idea hegeliana di possibilità reale. Alla fine si
ritroverà il concetto di uomo come punto centrale dell’analisi, nella possibilità reale del
ritorno dell’uomo a se medesimo e della sua riconciliazione con la natura.

2. Il metodo

Scopo di questo studio è analizzare la teoria marxiana del modo di produzione


capitalistico tenendo conto che essa rappresenta un modello teorico di un processo: la
riproduzione sociale complessiva nella forma di movimento capitalistica.
La funzione di un modello è quella di riprodurre l’andamento ideale del movimento;
in generale non è possibile costruire un modello completamente esaustivo, anzi, un
modello, proprio perché tale, viene sempre costruito in funzione di ciò che si desidera
conoscere. Si ricorre a un modello astratto per semplificare la situazione reale: nella sua
costruzione infatti, vengono consapevolmente trascurate alcune caratteristiche della
situazione modellizzata. Ciò permette di poter disporre di quadri concettuali che
consentono di individuare i punti critici della realtà concreta. Va detto, a scanso
d’equivoci, che qui astrarre non vuol dire prescindere dalla realtà storica, ma significa
isolarne degli aspetti con lo scopo di analizzarli. Va infatti sempre mantenuto come
presupposto il fatto che, per Marx, il movimento sociale è un processo di storia

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naturale7. Quello di Marx è in sostanza il metodo astratto che Hegel ben aveva illustrato
nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia: «La considerazione filosofica non ha altro
intento che quello di eliminare l’accidentale. Accidentalità è lo stesso che necessità
esteriore, cioè necessità che risale a cause le quali non sono esse stesse che circostanze
esteriori»8.
Marx costruisce la sua teoria prendendo come riferimento l’Inghilterra dell’800:

In quest’opera debbo indagare il modo di produzione capitalistico e i rapporti di


produzione e di scambio che gli corrispondono. Fino a questo momento, la loro sede
classica è l’Inghilterra. Per questa ragione è l’Inghilterra che serve ad illustrare lo
svolgimento della mia teoria. Ma nel caso che il lettore tedesco si stringesse farisaicamente
nelle spalle a proposito delle condizioni dei lavoratori9 inglesi dell’industria e
dell’agricoltura e si acquietasse ottimisticamente al pensiero che in Germania ci manca
ancor molto che le cose vadano così male, gli debbo gridare: De te fabula narratur! In sé e
per sé, non si tratta del grado maggiore o minore di sviluppo degli antagonismi sociali
derivanti dalle leggi naturali della produzione capitalistica, ma proprio di tali leggi, di tali
tendenze che operano e si fanno valere con bronzea necessità. Il paese industrialmente più
sviluppato non fa che mostrare a quello meno sviluppato l’immagine del suo avvenire.10

Con ciò però non s’intende dire, come pure è stato sostenuto, che il Capitale sia una
mera analisi del capitalismo del XIX secolo. Come ha già ben illustrato Fineschi

La teoria del capitale non è una descrizione del capitalismo dell’ottocento, non è una teoria
economica nel senso di un caso predeterminato degli eventi che sfociano nel paradiso
terrestre della società comunista. Marx costruisce bensì un modello unitario in cui cerca
d’individuare le leggi di movimento della formazione economico-sociale capitalistica come
intero, definendo al contempo che cosa significano società, uomo, storia, natura e via
dicendo (il significato di queste categorie non è stabilito prima della loro disposizione
funzionale, solo in essa le determinazioni di forma sono quelle che sono).11

Se invece la teoria marxiana del modo di produzione capitalistico viene intesa come
l’analisi dello sviluppo storico del capitalismo ottocentesco, è chiaro che il modello
marxiano viene considerato inadeguato per l’analisi degli sviluppi successivi del
capitalismo stesso. È per esempio quanto è stato sostenuto, tra gli altri, dall’economista
Sraffa per il quale la teoria marxiana del valore e del plusvalore va sostituita con una
teoria che si accentri sui prezzi delle merci12. In opposizione a questa tesi Sweezy ha
chiarito che, se si assumono i prezzi come punto di partenza e non i valori si perde di

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vista il fatto che le relazioni economiche sono relazioni tra persone mediate da cose e
non viceversa relazioni tra cose mediate da persone. Se si parte dal calcolo del prezzo
«le cose appaiono dotate di un indipendente potere proprio», mentre «dal punto di vista
del calcolo del valore, è facile rendersi conto che ciò non è altro che una manifestazione
del feticismo»13.
Per Marx il modo di produzione capitalistico non è un meccanismo che si riproduce
uguale a se stesso, è bensì un modello con una dinamica interna tale da modificare una o
più delle determinazioni centrali del processo stesso. A tale proposito Sweezy sostiene
che quello di Marx è anche il metodo delle approssimazioni successive: si parte dal più
astratto per poi arrivare gradualmente al più concreto in modo tale da considerare «una
cerchia sempre più ampia di fenomeni reali»14.
Tenendo conto di quanto detto sino a ora, si può affermare che vi è distinzione tra
«leggi generali della produzione e leggi specifiche delle forme sociali in cui la
produzione storicamente si realizza»15.

3. Teoria del valore e processo di scambio

La teoria del valore rappresenta il primo tassello per comprendere cosa intenda Marx
per rapporti sociali di produzione. Questi indicano principalmente relazioni tra uomini
che si rapportano ad altri uomini, non come a oggetti ma come a liberi soggetti che si
pongono dei fini. È proprio nella teoria del valore che entrano in gioco le categorie
centrali di tutta la struttura marxiana.
La merce è la forma elementare del modo di produzione capitalistico, una delle sue
caratteristiche essenziali è di essere valore d’uso per altri, valore d’uso sociale16. Un
bene preso di per sé non è valore, il valore infatti non è una proprietà fisica del bene. La
merce per essere tale deve essere scambiata, altrimenti non è merce ma semplice
prodotto; di conseguenza non esiste la singola merce, esistono solo le merci che si
scambiano tra loro. Il valore può esprimersi solo nel rapportarsi di merci. Lo scopo del
produrre sarà dunque produrre qualcosa che va scambiata.
Ma procediamo per ordine. La legge di valore è una struttura articolata in tre
categorie fondamentali: sostanza di valore, grandezza di valore e forma di valore. La

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categoria principale resta la merce, essa è caratterizzata dal valore come forma specifica
di un modo di produzione. La legge del valore governa il modello della circolazione
semplice. La sostanza di valore è oggettualizzazione di lavoro umano, ed è ciò che
determina la comune unità del mondo delle merci: di tutte le merci infatti si può dire
che sono oggettualità di lavoro astrattamente umano. L’astratta oggettualità è un
rapporto sociale perché esiste solo in quanto esiste lo scambio di merci. Il concetto di
merce esprime, nello scambio, la realizzazione del rapporto sociale attraverso un
rapporto tra cose. La socialità si ha dunque solo nello scambio. La sostanza di valore è
l’astratta unità di merci, è l’elemento comune del mondo delle merci. La forma di valore
è la modalità in cui il valore si manifesta (in essa si cela un rapporto sociale): «La forma
di valore non deve […] esprimere soltanto valore in generale, ma valore determinato
quantitativamente ossia grandezza di valore»17. La grandezza di valore è la
determinazione quantitativa della merce.
I possessori di merci dovranno avere delle peculiarità precise: essere vivi, devono
lavorare e devono avere tra le mani non prodotti, ma merci; proprio queste infatti ne
determinano il carattere specifico. Questi individui sono detti da Marx persone. I
possessori di merci nel momento in cui effettuano lo scambio si eguagliano. Gli
individui sono considerati da Marx personificazioni delle teorie economiche:

troveremo in generale, man a mano che la nostra esposizione procederà, che le maschere
economiche caratteristiche delle persone sono soltanto le personificazioni di quei rapporti
economici, come depositari dei quali essi si trovano l’una di fronte all’altra.18

Già a questo livello è possibile affermare che esiste un carattere collettivo della
produzione: per lo scambio c’è sempre bisogno di qualcun altro, ciascuno è allo stesso
tempo mezzo e fine. Fin da principio l’individuo è cosciente di questa interconnessione
complessiva, anche se essa non è guidata dagli individui che scambiano, anzi, tali
individui sono agiti dalle leggi proprie dello scambio. Per ogni singolo possessore di
merci la propria merce è esclusa, quindi, di fatto, nessuna merce viene esclusa dallo
scambio:

Soltanto l’azione sociale può fare di una merce determinata l’equivalente generale. Quindi
l’azione sociale di tutte le merci esclude una merce determinata nella quale le altre
rappresentino universalmente i loro valori. Così la forma naturale di questa merce diventa
forma di equivalente socialmente valida. Mediante il processo sociale, l’essere equivalente

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generale diventa funzione sociale specifica della merce esclusa. Così essa diventa -
denaro.19

Il valore d’uso della merce che funge da equivalente generale si raddoppia: mantiene il
valore d’uso suo particolare di merce, ma assume anche un valore d’uso puramente
sociale e come tale è merce universale.
L’analisi di Marx è tesa a dimostrare che, alla base dell’attività di scambio ci sono
relazioni sociali; per questo la merce intesa come semplice valore d’uso è solo un
oggetto della natura, essa diventa invece espressione di rapporti sociali solo se si
considera la sua proprietà di essere prodotto di lavoro umano. Le relazioni sociali che si
stabiliscono tra gli uomini attraverso il processo materiale di produzione si nascondono
dietro le relazioni tra cose20.
Dunque, la riproduzione avviene con lo scambio, questo infatti rappresenta il tramite
con cui il prodotto privato diventa sociale; è attraverso questo medio che si realizza
l’astratta universalità che è nel singolo prodotto.

4. Processo lavorativo umano in astratto

Quando parla del feticismo delle merci Marx si domanda quale sia la vera origine del
carattere di valore delle merci. Di certo non sarà il valore d’uso, e

nemmeno il contenuto delle determinazioni di valore. Poiché, in primo luogo, per quanto
differenti possano essere i lavori utili o le attività produttive, è verità fisiologica ch’essi
sono funzioni dell’organismo umano, e che tutte tali funzioni, quale si sia il loro contenuto
e la loro forma, sono essenzialmente dispendio di cervello, nervi, muscoli, organi
sensoriali, ecc… umani.21

Il carattere specifico del lavoro deriva dalla sua forma sociale: proprio perché assume
forme sociali determinate, il lavoro non è interpretato come attività del singolo
individuo, ma come attività dell’uomo membro della società.
Dire modo di produzione significa, per Marx, produzione e riproduzione di uomini
come corpo collettivo sociale. Modo di produzione indica il modo in cui si svolge il
processo di produzione delle condizioni materiali dell’esistenza umana. Produrre
condizioni materiali d’esistenza significa agire sulla natura per soddisfare i bisogni

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dell’uomo. Il lavoro umano è posizione di scopo e, in quanto attività, esso è anche


orientamento e conformità a scopo. La posizione di scopo è il carattere distintivo del
lavoro umano: mentre l’orientamento a scopo è anche degli animali, l’uomo si
differenzia perché possiede una natura inorganica di cui egli stesso è creatore;

egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben
conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare
la sua volontà. E questa subordinazione non è un atto isolato. Oltre allo sforzo degli organi
che lavorano, è necessaria, per tutta la durata del lavoro, la volontà conforme allo scopo,
che si estrinseca come attenzione.22

Il processo lavorativo astratto comprende tre momenti semplici: attività conforme a


scopo, oggetto di lavoro e mezzi di lavoro. Parlare di processo lavorativo astratto,
significa che i suoi tre momenti semplici e le sue forme di movimento sono eterne
(eterno è inteso hegelianamente come attributo di una forma di movimento che
necessariamente si riproduce) e si realizzano in tutte le forme di vita associata.
La terra è l’oggetto generale del lavoro umano: con terra si può intendere tutto ciò
che si trova a essere senza contributo dell’uomo. Il lavoratore umano ha in mente uno
scopo, per realizzarlo si serve delle sue facoltà fisiche e intellettuali, ma anche di cose,
mezzi di lavoro «che gli servono da conduttore della propria attività su quell’oggetto»23.
Il potere dell’uomo si esercita sull’oggetto che, nel processo lavorativo, viene
modificato; la specificità del processo lavorativo umano infatti, è data proprio dalla
combinazione di lavoro e oggetto di lavoro: «il lavoro si è oggettivato e l’oggetto è
lavorato»24.
L’idea base di Marx è senza dubbio quella di ricambio organico fra uomo e natura.
Nel lavoro, forze e mezzi impiegati dall’uomo vengono consumati almeno in parte, ma
si ritrovano impliciti nel risultato del lavoro stesso: per produrre ancora bisogna
riprodurli. In questo processo di assimilazione e dissimilazione ci sarà necessariamente
un centro attivo rispetto ad altri elementi del movimento che sono passivi.
Riproduzione sociale complessiva non vuol dire solo produzione e riproduzione di
valori d’uso di merci, ma è riproduzione biologica di se stessi mediante un’attività
finalistica incorporata nel lavoro. In ogni istante della storia umana c’è un corpus
collectivum25 che produce e riproduce se stesso. Al termine di ogni processo sociale si
trovano prodotte e riprodotte le condizioni materiali d’esistenza degli individui, ma si

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trovano anche riprodotti i rapporti tra questi individui. Ogni processo di produzione
riproduce non solo realtà materiali ma anche realtà sociali. I rapporti di produzione
dunque, non solo individuano diversi modi di produzione, ma anche le forme di società.
Il processo di produzione diventa processo di produzione e riproduzione di sé che è
l’attività fondamentale di un organismo vivente. Quest’idea base è comune a tutte le
forme di vita associata:

Il processo lavorativo come lo abbiamo esposto nei suoi momenti semplici e astratti, è
attività finalistica per la produzione di valori d’uso, appropriazione degli elementi naturali
per i bisogni umani, condizione generale del ricambio organico fra uomo e natura,
condizione naturale eterna della vita umana. Perciò non abbiamo avuto bisogno di
presentare il lavoratore in rapporto con gli altri lavoratori. Sono stati sufficienti da una parte
l’uomo e il suo lavoro, dall’altra la natura e i suoi materiali.26

5. Cooperazione

Forze produttive e mezzi di produzione mutano a seconda delle società e delle epoche
storiche. Il lavoro dunque presuppone necessariamente condizioni sociali determinate e
di conseguenza presuppone rapporti specifici tra uomo/uomini, i rapporti sociali di
produzione.
Fin qui abbiamo considerato «lavori privati autonomi e indipendenti l’uno
dall’altro»27, ma questo è un modello di produzione delle merci non esistente in realtà.
Nel lavoro in astratto non c’è forma di società, ma c’è la possibilità di successione di
lavori e compresenza di lavoratori, altrimenti non sarebbe spiegabile la distinzione tra
materia prima e oggetto di lavoro. È astrazione quindi, ma astrazione che permette
ulteriori determinazioni che sono in potenza; in questo senso il lavoro nei suoi tre
momenti astratti è unità negativa, non chiude cioè le porte a una possibilità reale di
pluralità, continuità e successione di lavoratori.
La cooperazione invece presuppone ci sia una società. Con la cooperazione la
pluralità è in atto per definizione. Contiguità e successione sono anch’esse in actu ma
sotto una forma logica particolare, sono considerate cioè sotto il profilo dell’incremento
quantitativo (esempio dei muratori28) e qualitativo (esempio della pesca delle aringhe29).

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«Nella cooperazione pianificata con altri il lavoratore si spoglia dei suoi limiti
individuali e sviluppa la facoltà della sua specie»30. Nella cooperazione compare la
possibilità di integrare le forze produttive della natura –anche qui nella forma della
possibilità reale. Nella cooperazione in sé lo scambio è la fase essenziale (si è detto
infatti che nello scambio di ogni singolo prodotto la propria merce è equivalente
universale). I cooperanti devono essere capaci di porre fini e realizzarli, devono essere
in grado di misurare e soprattutto devono assimilare esperienza umana, solo tenendo
presente questo dato è possibile comprendere lo sviluppo dell’attività e la
parcellizzazione che si ha nella manifattura31.
Nella sua figura più astratta Marx definisce la cooperazione come «La forma del
lavoro di molte persone che lavorano l’una accanto all’altra e l’una assieme all’altra
secondo un piano, in uno stesso processo di produzione, o in processi di produzione
differenti ma connessi…»32. Già qui è chiara l’idea di un piano comune, di una
connessione tra i vari processi produttivi: «la somma meccanica delle forze dei
lavoratori singoli è sostanzialmente differente dal potenziale sociale di forza che si
sviluppa quando molte braccia cooperano contemporaneamente a una stessa operazione
condivisa»33. Il lavoro acquista valenza di lavoro sociale, in cui i limiti individuali
vengono superati in quanto lo scopo posto diventa scopo collettivo34.
Cosa cambia nel modo di produzione capitalistico? Qui la forma specifica consiste
nel fatto che le condizioni oggettive della produzione si presentano come valore da
valorizzare, come capitale, e il lavoro come lavoro salariato: «il valore diventa dunque
valore in processo, denaro in processo e, come tale, capitale»35. È proprio questa
peculiarità del modo di produzione capitalistico, di essere cioè oltre che processo
lavorativo sociale anche processo di valorizzazione del capitale, che caratterizza la
cooperazione capitalistica:

Come persone indipendenti i lavoratori sono dei singoli i quali entrano in rapporto con lo
stesso capitale ma non in rapporto reciproco tra loro. La loro cooperazione comincia
soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato di
appartenere a se stessi. Entrandovi sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come
membro di un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare d’esistenza
del capitale. Dunque la forza produttiva sviluppata dal lavoratore come lavoratore sociale
è forza produttiva del capitale. La forza produttiva sociale del lavoro si sviluppa
gratuitamente appena i lavoratori vengono posti in certe condizioni; e il capitale li pone in

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quelle condizioni. Siccome la forza produttiva sociale del lavoro non costa nulla al
capitale, perché d’altra parte non viene sviluppata dal lavoratore prima che il suo stesso
lavoro appartenga al capitale, essa si presenta come forza produttiva posseduta dal capitale
per natura, come sua forza produttiva immanente36.

Questa cooperazione37 è il punto di partenza della produzione capitalistica. Le vecchie


forme di cooperazione tra singoli lavoratori indipendenti vengono sussunte, inglobate
dal capitale attraverso il mutamento del processo di lavoro: ora tanti lavoratori lavorano
per uno scopo che non è il loro ma è quello del capitalista (inteso come personificazione
del capitale). Se, dunque, nel processo di lavoro astratto orientamento e posizione di
scopo erano da considerarsi unitariamente, ora, con la cooperazione nel modo di
produzione capitalistico, lo scopo è l’autovalorizzazione del capitale ed è posto dal
capitale stesso, volontà estranea che assoggetta al proprio fine l’attività lavorativa.

6. Sussunzione formale e sussunzione reale. Manifattura macchine e grande


industria

A questo punto è essenziale aver chiara la distinzione marxiana tra sussunzione formale
di un processo lavorativo sotto una forma sociale di produzione, e sussunzione reale di
un processo lavorativo a nuovi rapporti capaci di modificarlo in maniera radicale.
Ogni processo di produzione ha delle particolari componenti tecniche e materiali
proprie di una determinata forma sociale: «Comunità differenti trovano differenti mezzi
di produzione e differenti mezzi di sussistenza nel loro ambiente naturale»38. Tali basi
tecniche però possono essere separate dalla loro forma sociale per essere sussunte in
un’altra. Il rapporto che si crea tra la forma sociale nuova e il vecchio modo di
produzione, è un rapporto di sussunzione formale (le vecchie componenti materiali sono
subordinate al nuovo modello sociale). Poiché si tratta di un processo, esso sarà
necessariamente dinamico, per cui necessariamente nuove basi tecniche si adegueranno
alla forma sociale. Tale corrispondenza fa sì che il rapporto tra base tecnica e forma
sociale da formale si fa reale39. Il movimento delle forme cambia il contenuto stesso. La
sussunzione reale dunque, è tale quando il contenuto è conforme alla forma. Nel modo
di produzione capitalistico è la finalità complessiva che sussume la cooperazione.

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Si è già visto come la cooperazione si fonda su forme collettive di lavoro, su forme di


cooperazione fra lavoratori nel processo produttivo; si fonda cioè su lavoro sociale.
Se la cooperazione in sé non è necessariamente fondata sulla divisione del lavoro, la
manifattura invece la presuppone. La manifattura sconvolge la divisione sociale del
lavoro, anche se «il mestiere rimane la base. Questa base tecnica ristretta esclude
un’analisi realmente scientifica nel processo di produzione, perché ogni processo
parziale percorso dal prodotto dev’essere eseguibile come lavoro parziale artigianale»40.
Nonostante l’ambito ristretto della sua base tecnica, nella manifattura hanno origine
le condizioni materiali del modo di produzione capitalistico: la sussunzione all’inizio è
solo formale (nella manifattura eterogenea infatti, i lavoratori lavorano in casa
nonostante l’attività artigiana sia già stata scomposta), ma quando il processo lavorativo
prende forma del capitale (nella manifattura organica tutti i lavoratori sono raccolti in
uno stesso edificio e lavorano uno stesso oggetto per fasi successive) la sussunzione
diventa reale41. Lo sviluppo del macchinario nelle fabbriche sostituisce il lavoro
artigianale che ha ancora fondamenta nella manifattura. Si trasforma in maniera radicale
il rapporto tra lavoratore e processo produttivo: mentre nella manifattura il lavoratore si
serviva dello strumento, nella fabbrica è il lavoratore che serve la macchina; se nella
manifattura c’era un organismo vivente, «nella fabbrica esiste un meccanismo morto
[…] i lavoratori sono incorporati come appendici umane»42. Nella manifattura il lavoro
diviene molto più efficiente di quanto non lo fosse nella produzione artigianale, per la
trasformazione del processo di produzione in semplici operazioni eseguite
meccanicamente43. Questo tipo di divisione tecnica del lavoro, rende possibile il
passaggio alla produzione di massa in cui vengono impiegati anche lavoratori non
specializzati (come bambini e donne, sino a ora rimasti fuori dal processo produttivo).
La divisione del lavoro oltrepassa la barriera rappresentata dal lavoro specializzato. La
manifattura distrugge l’indipendenza del produttore e lo trasforma in un “lavoratore
incompleto”, le operazioni che esegue diventano monotone. È proprio questo che
esprime la diversa natura degli aspetti della cooperazione semplice e della manifattura.
La grande industria ha fondamento nella manifattura, ma a un certo punto (logico!)
essa entra in conflitto col sostrato artigianale che l’ha caratterizzata. Ciò significa
rivoluzionamento del processo sociale di produzione: il lavoratore da individuo isolato
diventa sempre più socializzato, e, nella grande industria, diventa una necessità tecnica

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oggettivamente imposta dal macchinario. Il sistema di macchine porta a un aumento del


numero dei lavoratori salariati che stanno sotto il comando immediato del capitale, fino
a comprendere la famiglia lavoratrice senza distinzione di sesso né d’età, aumentando di
conseguenza lo sfruttamento della forza-lavoro44.
Per aumentare la produttività del lavoro (base fondamentale per l’aumento del
plusvalore relativo) il capitalista investe nel capitale costante (con conseguente
diminuzione del lavoro vivo). Ma il capitale costante non produce plusvalore, da qui la
spinta al prolungamento della giornata lavorativa per compensare la diminuzione del
numero dei lavoratori. Al passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale si
accompagna il passaggio da una forma di plusvalore a un’altra: dal plusvalore assoluto
al plusvalore relativo. Il plusvalore assoluto era ottenuto per mezzo del semplice
prolungamento della giornata lavorativa (finché modo materiale di produzione e valore
della forza-lavoro restavano invariati); ma con la produzione su grande scala dei mezzi
di sussistenza, il valore della forza-lavoro diminuisce e così, pur accorciando la giornata
lavorativa, si consegue la stessa quantità di plusvalore. Alla diminuzione della giornata
lavorativa si accompagna una maggiore intensità nello sfruttamento del lavoro con pari
estorsione di plusvalore.
Il sistema delle macchine è capace di inglobare nel proprio meccanismo di
funzionamento le forze naturali; il capitale usa e ingloba nel sistema la scienza. Si
introduce così un nuovo rapporto nel ricambio organico tra uomo e natura. Nel lavoro in
astratto la definizione di rapporto organico era data da: attività, mezzo di lavoro, oggetto
di lavoro; mentre il fine era rappresentato dal prodotto. In questo modello, a porre il fine
era colui che sorreggeva l’attività. Con il sistema di macchine il ricambio organico
uomo/natura si modifica, ora, base preponderante del processo non è il soggetto ma il
mezzo di lavoro. Il lavoro, l’attività, continua ad avere una conformità a scopo, ma la
posizione di scopo complessiva è indipendente dal soggetto inteso come singolo
lavoratore. La produzione si svincola dal soggetto e in questo senso diventa un processo
obiettivo. Il sistema di macchine rappresenta la sussunzione reale per la produzione del
capitale:

Così l’industria meccanica è sorta naturalmente e spontaneamente su una base materiale


inadeguata; ad un certo grado di sviluppo ha dovuto rovesciare questa base che da principio

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s’era trovata bell’e fatta e che poi aveva continuato ad elaborare nell’antica forma, e s’è
dovuta creare una nuova base corrispondente al proprio modo di produzione45.

Si crea dunque una corrispondenza tra base tecnica e forma sociale, ma poiché tale
compatibilità è un momento del processo, essa non potrà che essere provvisoria.

7. Il capitale come rapporto sociale

La prima definizione che Marx dà di capitale è la seguente:

Se facciamo astrazione dal contenuto materiale della circolazione delle merci, dallo
scambio dei vari valori d’uso, e consideriamo soltanto le forme economiche generate da
questo processo, troviamo che suo ultimo prodotto è il denaro. Questo ultimo prodotto
della circolazione delle merci è la prima forma fenomenica del capitale46.

Poiché il denaro è rappresentante universale della ricchezza, esso è, come tale, una
contraddizione in se stesso, perché, pur non avendo quantitativamente un limite -dal
momento che concettualmente può rappresentare tutta la ricchezza-, è di fatto una
quantità determinata. Come rappresentante universale della ricchezza, il denaro dovrà
alla fine non solo essere denaro ma denaro aumentato. Il denaro in se stesso non è
capitale, diviene capitale solo quando è usato per moltiplicare valore; esso non è
capitale se è solo intermediario dello scambio delle merci (M-D-M). La merce, invece,
deve essere il tramite per riottenere più denaro: D-M-D’, dove D’ è maggiore di D. In
tal caso il denaro è il valore in processo47. Il capitale è questo processo, per cui D
passando attraverso la circolazione delle merci alla fine risulta aumentato (D’). Si dovrà
allora distinguere tra denaro come capitale e denaro come denaro a seconda delle sue
funzionalità. Lo scopo del processo D-M-D è quello di avere un incremento
quantitativo, mentre nella circolazione semplice lo scopo era l’appropriazione di valori
d’uso per la soddisfazione dei bisogni. Ma per avere D’ il valore deve essere aumentato,
mentre nella circolazione semplice

in mano allo stesso possessore di merci rimane lo stesso valore, cioè la stessa quantità di
lavoro sociale oggettivato, nella forma, prima, della sua merce, poi del denaro nel quale si
trasforma, infine della merce nella quale questo denaro si muta. Questo cambiamento della
forma di merce non implica nessuna mutazione della grandezza di valore.48

Isonomia 2006
Il modello di riproduzione sociale complessiva 15

Di fatto, la circolazione delle merci non può portare al concetto di capitale; dal semplice
processo di circolazione non è possibile avere più denaro della quantità ammessa
inizialmente. Il cambiamento dunque deve essere cercato altrove, cioè nelle merci e
specificatamente in quella forma particolare di merce che è la forza-lavoro. La forza-
lavoro è la capacità di lavorare acquistabile come merce; non è l’attività lavorativa
come tale, ma essa è l’essere in grado di lavorare che viene venduto (lavorare in
potenza, non in atto). La categoria che entra in gioco a questo punto è quella della
vendibilità della capacità di lavorare. In realtà, il processo non è D-M-D’, ma D-M-M’-
D’, deve esserci cioè una merce che abbia un incremento di valore e che diventi D’; per
fare ciò deve solo essere vendibile e trovare acquirenti. Il presupposto implicito della
produzione semplice era che tutti producessero il loro prodotto, ora, la forza-lavoro
stessa è una merce: il lavoratore che va sul mercato non ha prodotto, dovrà produrre
successivamente, prima vende forza-lavoro. Il lavoratore che vende forza-lavoro è
libero in due sensi: vende liberamente la propria capacità di lavorare e lo fa da persona
libera (nel senso che non è giuridicamente costretto); è libero però anche perché è privo
di mezzi di produzione e di oggetti di lavoro. Questo è il punto d’inizio concettuale del
modo di produzione capitalistico. Il valore di questa merce/forza-lavoro è il tempo
socialmente necessario per riprodurla, come tutte le merci. Ma il valore è in potenza
nell’individuo, quindi il valore della merce/forza-lavoro coincide con i mezzi necessari
per tenere in vita gli individui singoli, ma anche intesi come categoria sociale.
Esisterà dunque un limite minimo del salario che è il salario di sussistenza, ma
questo sarà una grandezza di valore che tenderà a cambiare in funzione del progresso
umano. Il capitalista non paga il lavoro ma paga la forza-lavoro, cioè il lavoro in
potenza, perché il lavoro in atto (il prodotto) gli appartiene. Il capitalista però può
guadagnare solo non pagando un tot di ore al lavoratore, perché, se quest’ultimo
lavorasse soltanto per il tempo necessario alla propria produzione, reintegrerebbe solo il
denaro che il capitalista aveva anticipato comprando forza-lavoro. Caratteristica tipica
del modo di produzione capitalistico è la produzione di plusvalore (scopo diretto della
produzione).
Tutta quest’analisi costituisce la base di quanto sostenuto nella parte finale del III
libro del Capitale, dove il capitale è considerato non come somma dei mezzi materiali
di produzione ma nel suo carattere sociale49. Per Marx capitale è la totalità dei rapporti

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16 Simona Coviello

di produzione, rapporti che determinano la natura e la sostanza dell’intera formazione


socioeconomica. Il capitale non è una cosa ma un rapporto sociale,

Il capitale è la rappresentazione di un processo di fusione delle potenze semplici entro una


forma storica di relazioni sociali. Esso è però nel contempo la rappresentazione dei limiti e
delle barriere frapposti a quel processo di fusione, che sono dati dal fatto che nel sistema
capitalistico, le potenze sono, per quel che riguarda il lato soggettivo delle forze produttive,
costrette a rappresentare una parte che tende a ridurle a semplici ingredienti delle relazioni
cosali.50

A partire dall’indagine sul modo di produzione capitalistico Marx cerca un metodo per
ripensare la società nel suo complesso.

8. Alienazione

Al concetto di capitale è legato il concetto di alienazione, questo contiene l’idea del


prodotto delle mani e della mente dell’uomo, prodotto che diviene indipendente e che
sfugge al controllo dell’uomo stesso.
Si è visto che lo scambio delle merci è un risultato della divisione sociale del lavoro
da un lato e della separazione dei prodotti dall’altro. I produttori si scambiano tra loro
valori d’uso diversi. Nel processo di scambio si perde l’idea che si scambia il proprio
lavoro, che la base per lo scambio è il lavoro umano astratto e socialmente necessario
incorporato nei prodotti. Ne deriva l’illusione che lo scambio sia determinato dalle
qualità proprie di una cosa: le relazioni tra i produttori appaiono come relazioni tra cose.
Nel processo di scambio mediato dal denaro, le azioni degli individui acquistano
un’esistenza autonoma e assumono la forma di qualità che distinguono le cose.
Nascosto nel feticismo delle merci c’è dunque il consenso umano all’alienazione della
forza produttiva e l’incapacità dell’uomo di considerare i prodotti come propri51. Nel
capitalismo il feticismo dei rapporti sociali acquista nuovo valore, anche perché la
forza-lavoro stessa diviene una merce. L’abilità dell’uomo è acquistata e venduta come
ogni altra merce52. L’alienazione del processo lavorativo si manifesta, tra l’altro, anche
nel fatto che i progressi della produttività del lavoro si rivolgono contro il lavoratore e
ciò tende a eliminare il suo interesse per miglioramenti tecnici e organizzativi. Lo

Isonomia 2006
Il modello di riproduzione sociale complessiva 17

sviluppo della divisione del lavoro nuoce al singolo lavoratore costretto a una serie di
operazioni limitate e monotone. Le macchine privano il suo lavoro di contenuto.
L’espropriazione del singolo lavoratore è tale perché egli fa parte di un processo
lavorativo complessivo: la forza produttiva individuale, unita ad altre singole forze, crea
una produttività di massa che va oltre la somma aritmetica delle singole forze. Questa
forza di massa è gratis per il capitalista che paga i lavoratori presi singolarmente. Ciò di
cui si appropria il capitalista non è il singolo lavoro ma il lavoro comune e quindi la sua
socialità; è espropriazione dell’attività umana in quanto attività collettiva. Finché il
lavoro consisteva in un’abilità soggettiva, esso rappresentava anche la conoscenza di sé,
quando il lavoro assume la forma di semplice erogazione di forza-lavoro si separa dalla
conoscenza. Lo svincolamento dalle inclinazioni personali sancisce la frantumazione
del lavoro (cosa che assume maggiore rilevanza con il sistema delle macchine); il lavoro
viene diviso dalla sua propria conoscenza.

9. Natura, libertà e possibilità dell’azione

A questo punto il dato da tener presente è che, nel momento in cui si crea una nuova
base tecnica, si trasformano tanto i rapporti degli uomini tra loro quanto il rapporto
dell’uomo con la natura. Si è condotta infatti quest’analisi perché ci sembra che Marx
cercasse di comprendere la sostanza dei rapporti reali degli individui con la natura e
delle condizioni materiali della produzione. Per Marx l’uomo è essere naturale che si
realizza nel lavoro. I bisogni umani sono il motore dell’attività sociale, perciò lo
sviluppo economico e tecnico costituisce la base dello sviluppo dell’umanità. Avendo
come scopo il soddisfacimento dei bisogni umani la tecnica crea sempre nuovi bisogni:
«Come una società non può smettere di consumare, così non può smettere di produrre.
Quindi ogni processo sociale di produzione, considerato in un nesso continuo e nel
fluire costante del suo rinnovarsi, è insieme processo di produzione»53.
Le società dunque tendono a riprodursi per sopravvivere; ci sono quindi delle costanti
astratte, nel senso che una società futura deve creare le basi della propria esistenza. È il
lavoro stesso che dovrà riprodurre la parte necessaria alla propria riproduzione.

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18 Simona Coviello

Ogni configurazione capitalistica del produrre è tale per cui in ogni istante, le sue
configurazioni saranno poste e negate; tale movimento è il modo di produzione
capitalistico vero e proprio. I presupposti del modo di produzione capitalistico sono:
l’accumulazione di una certa quantità di denaro e la separazione tra mezzi di lavoro e
forza-lavoro. È il processo stesso che crea le proprie pre-condizioni, sono presupposti
posti dal capitale, quindi sono sia risultato che punto di partenza del processo
successivo. L’idea è che il processo non ha bisogno d’uscire da se stesso per funzionare
correttamente. Ciò che deve essere ricreato sono i mezzi di lavoro e l’accumulazione di
capitale/denaro, questo perché il lavoro è alienato, nel senso che viene venduto,
«appropriato dal capitalista e incorporato al capitale, durante il processo il suo lavoro si
oggettiva costantemente in prodotti altrui»54. Parte di quanto venduto deve essere
prodotto in vista della produzione, parte integrante del produrre è ricreare le basi
materiali della riproduzione.
Il modo di produzione capitalistico cambia radicalmente il rapporto uomo/uomini e
uomo/natura perché in esso la produzione è fine a se stessa, cioè pone i suoi oggetti
come mezzi del produrre. Inoltre, la finalità della produzione non è più la riproduzione
ma l’incremento del denaro investito, produzione di plusvalore. Lavoro vivo e volontà
conforme a scopo si scindono, il lavoratore non conosce e non realizza più il proprio
scopo, il prodotto è vissuto come altro da sé. L’uomo non è più soggetto della sua
attività ma diventa oggetto, esso è reificato; di conseguenza, anche le relazioni sociali si
modificano: i rapporti diventano sempre più rapporti tra cose e non tra uomini55.
Il lavoro in quanto caratteristica propria dell’uomo, il lavoro come posizione di scopo
del lavoratore, scopo da lui ben conosciuto, contiene in sé l’idea di libertà. La libertà a
cui fa riferimento Marx non è un problema individuale, ma riguarda gli individui riuniti
in società, non singoli, ma rapporti tra uomo e uomo. Fin quando il processo di
produzione sociale si basa su forme antagonistiche di rapporti di produzione, la libertà
viene negata. Nel sistema di fabbrica e nella grande industria c’è un’inversione tra
mezzo e oggetto di lavoro, il lavoro vivo non pone lo scopo ma dipende dallo scopo
posto dal capitale. I lavoratori non governano più la loro produzione in modo adeguato
alla loro dignità di uomini, proprio per la profonda modificazione del rapporto
uomo/natura: «‘l’industria è la figura estraniata della natura’ –estraniata perché nel

Isonomia 2006
Il modello di riproduzione sociale complessiva 19

processo della storia dell’umanità viene estraniato il lavoro, come rapporto ‘naturale’
dell’uomo alla natura»56.
In una forma sociale il cui fine della produzione è l’accumulazione e, la sua funzione
è l’investimento di capitale piuttosto che la soddisfazione dei bisogni umani, si crea una
contraddizione che assume la forma di un conflitto sociale. Ma lo sviluppo della
produttività del lavoro crea le condizioni materiali per la soluzione di quell’antagonismo
attraverso il superamento delle eccessive formazioni economico-sociali: «di fatto il
regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità
e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione
materiale vera e propria». L’espansione dei bisogni umani e la lotta per soddisfarli
determinano lo sviluppo di nuove forze produttive che portano a uno stadio superiore di
civiltà. Per dominare la cieca forza economica «l’uomo socializzato, cioè i produttori
associati regolano razionalmente il loro ricambio organico con la natura, lo portano
sotto il loro comune controllo»57. L’idea è che la classe degli individui che producono
valore e plusvalore si riappropri dei mezzi di produzione, l’idea di una riacquistata
libertà (libertà intesa hegelianamente come pensiero, capacità di porre scopi e
realizzarli) è una possibilità reale interna al processo della riproduzione sociale
complessiva.
Ricostruendo le forme di movimento in cui si attua il rapporto uomo-natura Marx
nota che nelle forme «in cui domina la proprietà fondiaria il rapporto con la natura è
ancora dominante»58. Nelle forme invece in cui domina il capitale «prevale l’elemento
sociale, prodotto storicamente» finché quando le condizioni della ricchezza reale non
dipendono più dalle condizioni naturali e dal tempo e dalla quantità di lavoro «ma dallo
stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di
questa scienza alla produzione»59 si creano le condizioni per «il libero sviluppo delle
individualità»60. In altre parole Marx ipotizza che il rapporto uomo/natura e
uomo/uomini possa risolversi in una completa affermazione della libera attività
individuale.
In quanto forma di movimento di un processo, la compatibilità tra una forma sociale
e una base materiale non è mai definitiva, essa è invece una realtà in costruzione mai
identica a se stessa seppur con i presupposti del passato. La forma capitalistica di
produzione sviluppa le basi materiali (il macchinismo), ma non corrisponde più alla

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20 Simona Coviello

forma sociale61. La base materiale di un nuovo modo di produzione è creata dal modo di
produzione capitalistico stesso; che la forma che assumerà il nuovo modo di produzione
sarà quella del comunismo e di una riconciliazione tra uomo e natura è una possibilità
reale, ma «è mera illogicità il non vedere che in quanto semplice eventualità, o
possibilità astratta, questa possibilità reale ha lo stesso valore di altre, compresa quella
dello sconvolgimento della biosfera»62. È come possibilità che la reprise, di cui parla
Eric Weil, diventi una sussunzione reale, infatti, l’uomo, pur subendo la legge delle
cose, è egli stesso artefice della legge: secondo Marx, nel modo di produzione
capitalistico, può realizzarsi il principio della ripartizione secondo il lavoro, sia sotto
l’aspetto quantitativo (optimum sociale del valore della forza-lavoro) sia sotto il profilo
qualitativo; l’alienazione del lavoro dal lavoratore può essere superata. L’azione diventa
possibilità reale a patto che il lavoro venga pensato come organizzazione sociale, e la
società venga intesa come rapporto tra uomini. L’estraneazione del lavoratore dal
processo di produzione e riproduzione è in contraddizione con la caratteristica specifica
dell’uomo: la posizione di scopo. Tale estraneazione può essere superata nella forma del
modo di produzione dei lavoratori associati in cui, la posizione di fini assume una
tendenza collettiva. Se estraneazione vuol dire essere alienati dal proprio modo di
vivere naturale, azione allora significa riappropriarsi delle proprie inclinazioni
fondamentali. Libertà è dunque la riconciliazione delle inclinazioni umane con la
struttura sociale, in quanto lo scopo da perseguire è d’interesse generale. Libertà non è
un fine privato, è invece diretta partecipazione dell’individuo all’attività della specie. Il
problema posto da Marx, è quello della disumanizzazione della vita sociale,
dell’impoverimento del suo contenuto; l’obiettivo è quello di creare le condizioni di uno
sviluppo completo dell’uomo. Per fare ciò è necessario estendere sullo sviluppo sociale
il controllo consapevole dell’uomo. “Trasformazione del regno della necessità” va
inteso come assoggettamento della produzione al controllo sociale e, come creazione di
condizioni di lavoro degne della natura umana. Il rapporto organico dell’uomo con la
natura costituisce la base del regno della libertà: l’uomo lavora la materia in vista dei
suoi fini, l’oggetto prodotto è il frutto di questa sua libera attività e, in quanto tale, esso
gli appartiene perché è oggettivazione del suo lavoro.
La produzione deve essere pensata in funzione della popolazione e delle relazioni
degli uomini tra loro. Alla base dell’idea marxiana dell’uomo c’è la caratteristica della

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Il modello di riproduzione sociale complessiva 21

socialità e una nuova idea dello scambio come rapporto sociale tra individui. Il capitale
non è una forma assoluta di produzione ma una forma di produzione storica, tale cioè
che gli elementi della sua genesi divengono le condizioni naturali da cui è frenato lo
sviluppo delle forze produttive. Quella di Marx è una teoria di un’appropriazione storica
della cultura e della scienza e di un conseguente sviluppo complessivo delle capacità
dell’individuo sociale.

Bibliografia.

La bibliografia su Marx è sterminata; ci si limita qui a riportare solo i testi a cui si è


fatto riferimento nel corso dell’analisi.

Badaloni, P., 1976, «Marx e la formazione dell’individuo sociale», in Problemi teorici


del marxismo, Editori Riuniti, Roma, pp. 80-90.

Cazzaniga, M., 1981, Funzione e conflitto. Forme e classi nella teoria marxiana dello
sviluppo, Napoli, Liguori Editore.

De Palma, A., 1971, Le macchine e l’industria da Smith a Marx, Torino, Einaudi.

Hegel, G. W. F., 1837, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte (Lezioni sulla
filosofia della storia, trad. it. G. Calogero e C. Fatta, Firenze, La Nuova Italia, 1967).

Hilferding, R., 1904, «Bohm-Bawerks Marx-Kritik» in Marx Studien, vol. I, Vienna,


(«La critica di Böhm-Bawerk a Marx», in Economia borghese, economia marxista,
Firenze, La Nuova Italia, 1971, pp. 111-175).

Holz, H. H., 1987, «Natura e storia in Marx», in Marx e i suoi critici, trad. it. A.
Mazzone, Urbino, Quattroventi, pp. 195-217.

Kelsen, H., 1955, The Communist Theory of law, New York, F. A. Praeger, Inc., (La
teoria comunista del diritto, trad. it, G. Treves, Milano, Sugar Co 1981).

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22 Simona Coviello

Korsch, K., 1967, Karl Marx, Frankfurt-Wien, Europäische Verlagsamstalt, (Karl Marx,
trad. it. A. Illuminati, Bari, Laterza, 1969).

Luporini, C., 1966, «Realtà e storicità: economia e dialettica nel materialismo», in


Dialettica e materialismo, Roma, Editori Riuniti, pp. 153-211.

Marx, K.,1947, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie, Berlino, Dietz (Il
Capitale. Critica all’economia politica, trad. it. D. Cantimori, Roma, Editori Riuniti,
1994).

Marx, K., 1976 Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (Rohentwurf) 1857-
1858, Teil I, Berlino, Dietz (Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica 1857-1858 trad. it. E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze, 1970).

Mazzone, A., 1976, «Feticismo delle merci», in Problemi teorici del marxismo, Roma,
Editori Riuniti, pp. 150-260.

Mazzone, A., 1987, «La temporalità specifica nel modo di produzione capitalistico», in
Marx e i suoi critici, Quattroventi, Urbino, pp. 225-260.

Mazzone, A., 1999, Autogoverno e tirannide. L’idea di Stato: preliminari per un’analisi
del potere presente, in «Contraddizione», n° 73 luglio-agosto, 1999, e ripubblicato in
«Topos», n° 14, 2000.

Petri, F., 1973, Il contenuto sociale della teoria del valore in Marx, Bari, Laterza.

Sichirollo, L., 1999, «Marx oggi. Filosofia della storia e problemi attuali», in Belfagor,
fascicolo I, 31 Gennaio, pp. 1-9.

Sraffa, P., 1960, Produzione di merci a mezzo di merci, Torino, Einaudi.

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Sweezy, P., 1970, «Il metodo di Marx», in La teoria dello sviluppo capitalistico e
discussione del pensiero economico marxiano, trad. it. C. Napoleoni, Torino,
Universale scientifica Bollati Boringhieri, pp. 13-26.

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24 Simona Coviello

Note

1
Cazzaniga, (1981, 13).
2
Kelsen (1955, trad. it. 29).
3
Ivi, 76.
4
Cazzaniga, (15-16).
5
Fineschi, (2001, 15).
6
Marx, (1947, trad. it. 211-212).
7
Si rimanda per l’argomento a Luporini (1974, 153-211).
8
Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia (1837, trad. it. 8). E continua: «Dobbiamo cercare nella storia
un fine universale, il fine ultimo del mondo, e non uno scopo particolare dello spirito soggettivo o del
sentimento; lo dobbiamo intendere attraverso la ragione, che non può porre il proprio interesse in un
particolare scopo finito, ma solo in quello assoluto».
9
Il Cantimori traduce normalmente Arbeiter con operaio; qui si preferisce tradurre con lavoratore
accettando come valida la posizione di Fineschi: «La distinzione fondamentale del modo di produzione
capitalistico […] è fra capitale e lavoro; le classi, si è visto, sono l’essere per sé di queste categorie,
l’esistenza oggettuale in portatori fisici del rapporto (senza di esse il rapporto non esisterebbe). Da una
parte abbiamo quindi il capitalista come personificazione del capitale, come suo agente cosciente;
dall’altra però, dato il livello d’astrazione, abbiamo necessariamente il lavoratore, perché stiamo parlando
di una dimensione storica specifica del lavoro come tale: la forma salariata. Forma salariata però non
significa affatto solo fabbrica, bensì realizzare il processo lavorativo come momento del capitale».
(Fineschi, 2001, 155-156). Il confondere la classe lavoratrice con la classe operaia è stato uno degli errori
che ha portato a parlare, intorno agli anni ’80 del secolo ormai trascorso di “crisi del marxismo”. Si è
confuso il termine classe che è «ente determinato di rapporti di produzione, e anzi modo di esistenza in
questi rapporti delle forze produttive sociali con un certo numero d’individui, p. es. quelli che entrano in
fabbrica ad ore fissate». (Mazzone, 2003, 5). Questa assimilazione della classe lavoratrice con la classe
operaia fece sì che, finito il cosiddetto operaismo si considerasse ormai inadeguata la teoria marxiana
delle classi.
10
Marx, (1947, trad. it. 32).
11
Fineschi, (2001, 15-16).
12
Sraffa, (1960).
13
Sweezy e altri, (1970, trad. it. 153).
14
Ivi, 14.
15
Cazzaniga, (1981, 22).
16
Buona parte della letteratura marxista ha considerato il valore d’uso come “qualità naturale” senza
tener conto del suo carattere sociale riducendo così la teoria del valore a valore di scambio. Si vedano a
tale proposito Hilferding (1904, 111-175) e Petri (1973).
17
Marx, (1947, 85).
18
Ivi, 118.
19
Ivi, 119.
20
«Gli oggetti d’uso diventano merci, in genere, soltanto perché sono prodotti di lavoro privati, eseguiti
indipendentemente l’uno dall’altro. Il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale
complessivo. Poiché produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio di prodotti del
loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati appaiono soltanto all’interno di
tale scambio. Ossia, i lavori privati si effettuano di fatto come articolazioni del lavoro complessivo sociale
mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro, e attraverso i prodotti stessi, i
produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono,
cioè, non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti
di cose fra persone e rapporti sociali fra cose.» Ivi, 105.
21
Ivi, 103.
22
Ivi, 212.
23
Ivi, 215.
24
Ibidem.
25
«Chiamo corpus collectivum hominum et rerum la nozione (astratta!) di una qualsiasi comunità umana
capace di riprodursi bioticamente (riproduzione sessuata) e mediante lavoro cioè dotata di un suo
apparato biotopico tipico con l’ambiente naturale». Mazzone (1999, 7).

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26
Marx, (1947, 218).
27
Ivi, 74.
28
«Quando dei muratori fanno catena per passare le pietre da costruzione di mano in mano dai piedi fino
alla cima d’una impalcatura, ciascuno di essi fa la stessa cosa, ma tutte le singole operazioni costituiscono
parti continue di un’operazione complessiva, fasi particolari che nel processo lavorativo debbono essere
percorsi da ogni pietra di costruzione e attraverso le quali p. es. le mani del lavoratore complessivo le
mandano avanti alla svelta nelle mani di ogni singolo lavoratore che salga e scenda dall’impalcatura.
L’oggetto del lavoro percorre lo stesso spazio in un tempo più breve». Ivi, 368.
29
Si veda Il Capitale p. 369 e nota 15 della stessa pagina.
30
Marx, (1947, 371).
31
Si rimanda a Mazzone, (1987, 240-242).
32
Marx, (1947, 367).
33
Ibidem.
34
«Appartengono alle forze produttive materiali, oltre la natura, la tecnica, la scienza, innanzitutto anche
l’organizzazione sociale stessa e le forze sociali sin dall’inizio così create, mediante la cooperazione e la
divisione industriale del lavoro». Korsch (1967, trad. it. 213)
35
Marx (1947, 188).
36
Ivi, 374-375.
37
È importante sottolineare che per Marx è sicuramente pensabile cooperazione senza capitalismo, è per
tale motivo che abbiamo detto questa cooperazione.
38
Marx, (1947,395).
39
«Dunque la produzione del plusvalore relativo presuppone un modo di produzione specificamente
capitalistico che a sua volta sorge e viene elaborato spontaneamente, coi suoi metodi, coi suoi mezzi e le
sue condizioni, solo sulla base della sussunzione formale del lavoro sotto il capitale. Al posto della
sussunzione formale del lavoro sotto il capitale subentra quella reale». Ivi, 557.
40
Ivi, 381.
41
Non si tratta qui di successione cronologica ma logica.
42
K. Marx, (1947, 467).
43
L’introduzione della macchina operatrice produce una rivoluzione del processo produttivo poiché essa
va a sostituire l’elemento fondamentale del lavoro, la libertà conforme a scopo. Si veda De Palma (1971,
258-302).
44
«Ma la desolazione intellettuale, prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in
semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, da tenersi ben distinta da quell’ignoranza naturale e
spontanea che tiene a maggese senza corromperne le capacità di sviluppo, cioè la stessa fecondità
naturale, ha finito per costringere perfino il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare
condizione obbligatoria per legge del consumo ‘produttivo’ di fanciulli al di sotto dei quattordici anni
d’età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche». Marx (1947, 443).
45
Ivi, 425.
46
Ivi, 179.
47
«Il valore diventa dunque valore in processo, denaro in processo e, come tale, capitale». Ivi, 188.
48
Ivi, 191.
49
«Il capitale è costituito dai mezzi di produzione monopolizzati da una parte determinata della società,
dai prodotti e dalle condizioni di attività della forza-lavoro, resi autonomi nei confronti della forza-lavoro
vivente, che vengono mediante questa contrapposizione personificati nel capitale». Ivi, 1096.
50
Badaloni, (1976, 88).
51
Questo modo di considerare le relazioni tra merci come un dominio delle cose sulle persone apre la
prospettiva per la liberazione dell’uomo.
52
«Il feticismo del capitale è la forma fenomenica necessaria, storica della produzione sociale che si
raddoppia come parvenza, riflesso necessario delle forme fenomeniche reali profitto etc., è il mondo delle
merci e dello scambio di equivalenti conservato come parte del movimento del capitale, e negato e ridotto
a ‘mistificazione del contenuto, reiner Schein’; perciò esso è anche il feticismo delle merci come posto e
negato, ossia, rapporti di produzione (di classi) che si riproducono come rapporti di scambio». Mazzone,
(1976, 152).
53
Marx, (1947, 621).
54
Ivi, 626.
55
«Mediante la sua trasformazione in macchina automatica, il mezzo di lavoro si contrappone al
lavoratore durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia

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fino all’ultima goccia la forza-lavoro vivente. La scissione fra le potenze mentali del processo di
produzione e il lavoro manuale, la trasformazione di quelle in poteri del capitale sul lavoro, si compie…
nella grande industria edificata sulla base delle macchine. L’abilità parziale del lavoratore meccanico
industriale svuotato, scompare come un infimo accessorio dinanzi alla scienza, alle immani forze naturali
e al lavoro sociale di massa, che sono incarnati nel sistema delle macchine che con esso costituiscono il
potere del ‘padrone’». Ivi, 467.
56
Holz, (1987, 217).
57
Marx, (1947, 1102-3).
58
Marx (1976, trad. it. 35).
59
Ivi, vol. II, 400.
60
Ivi, 402.
61
«Questo confine tra preistoria e storia, tra lavoro e necessità, ancora impiegato nelle maglie del
determinismo naturale e sociale, e lavoro-consapevolezza, come controllo sociale del macchinismo, è
segnato nella teoria marxiana dallo sviluppo dell’introiettamento della volontà conforme a uno scopo nel
mezzo di lavoro. La nuova forma di produzione, di cui Marx intravede la base tecnica nel sistema di
macchine, trova nel passaggio generalizzato dall’intervento al controllo, all’interno del processo
lavorativo, le sue fondamenta materiali, e sembra esprimere oggi, nelle nuove realizzazioni di impiego
tecnologico della scienza, dalla robotica all’informatizzazione amministrativa, nuovi e diversi bisogni di
produzione, in cui la riproduzione scientifica perviene alla realizzazione del proprio concetto, in quanto
programmazione sociale consapevole del ricambio fra comunità umana e ambiente naturale». Cazzaniga,
(1981, 265).
62
Mazzone, Feticismo delle merci, (1976, 260).

Isonomia 2006

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