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Nel 1885 Charcot aveva incominciato a trascurare l’approccio anatomico alle malattie nervose in favore dello studio fenomenologico-
clinico, si era concentrato in particolare sullo studio dell’isteria, patologia che era stata descritta in modo superficiale e contradditoria,
come frutto di eccitamento genitale eccessivo o addirittura di simulazione. Charcot studiava le manifestazioni più appariscenti e
tipiche, caratterizzate e stigmate particolari: accessi convulsivi, disturbi della sensibilità, disturbi dell’attività sensoriale, forme di
paralisi inspiegabili sulla base dell’anatomia nervosa e a suo avviso ipnotizzabili. Gli attacchi isterici sarebbero stati infatti indotti da
un’attività cerebrale inconscia tale da indurre uno stato ipnoide. Ipotizzando intenzionalmente un soggetto isterico, era possibile
riprodurre i sintomi degli attacchi. Nel corso delle sue lezioni Charcot mostrava, spesso, pazienti che ipnotizzava e riconduceva alla
condizione dei sintomi più floridi di cui soffrivano, senza che essi ricordassero apparentemente nulla dopo l’ipnosi. La spiegazione
etiologica fornita da Charcot per l’isteria era in parte piscologica e in parte fisica: → molte forme di psicopatologia erano legate a una
degenerazione: una particolare alterazione fisica insorgeva in alcune persone e veniva trasmessa per via ereditaria alla generazione
successiva peggiorando sempre di più di più le sue conseguenze in termini di malattie mentali. Nel caso dell’isteria, il soggetto è
inconscio in un’esperienza traumatica che non avrebbe dunque di per sé né scatenato la patologia isterica, ma avrebbe avuto il solo
ruolo di agent provocateur. Il trauma aveva un carattere fisico ma induceva anche la nascita di processi psicologici→ l’isteria era
considerato come uno status, che produce degli eccessi, la sua causa è nell’ eredità. Freud introduce, però, una novità in quanto
affronta l’argomento della terapia. Descrive il metodo specifico Charcotiano della “eliminazione delle sorgenti psichiche” della
“ideazione inconscia”, che induce gli attacchi isterici attraverso la suggestione sotto ipnosi, diretta a prescrivere lo “sbarazzarsi del
sintomo”; esso consiste nel ricondurre il paziente sotto ipnosi alla preistoria psichica del suo disturbo, costringendolo a riconoscere
l’occasione psichica che ha scatenato il disturbo in questione. Freud accennerà anche alla vicenda di colei che è passata alla storia
come Anna O.: una paziente che, posta sotto ipnosi da Breuer, riviveva episodi traumatici della sua vita col risultato di vedere alleviati,
almeno provvisoriamente i sintomi isterici (il resoconto clinico del rapporto tra Breuer e Anna O. verrà offerto solo negli “Studi
dell’isteria” firmato da Freud e Breuer.
Il risultato dello studio delle afasie è una coraggiosa presa di posizione da parte di Freud contro il localizzazionismo. I risultati proposti
sarebbero tanto più importanti perché ottenuti propri in un territorio dove i teorici della localizzazione cerebrale sarebbero
sembravano aver proposto on gli studi di Broca e Wernicke, le prime evidenze inconfutabili. F. ha osservato che le facoltà psicologiche
non sono mai soppresse da lesioni cerebrali localizzate, sono distorte e modificate secondo modalità dinamiche che riflettono
un’interdipendenza specifica con altre capacità.
Il caso di Anna O. viene narrato con una certa compiutezza per la prima volta, e si apprende, che la paziente in cura da qualche tempo
con Breur, avesse iniziato a manifestare una serie di sintomi isterici varia e complicata mentre assisteva il padre a sua volta malato. I
sintomi erano risultati infine così invalicabili da rendere controproducente la sua presenza al capezzale del genitore, a una paresi del
braccio si aggiungevano allucinazioni spaventose e singolari fobie, fino alla perdita competa di parlare in tedesco che la costringeva
a esprimersi unicamente in inglese. La sua giornata era divisa tra una fase di coscienza segnata dalle allucinazioni la mattina, una fase
di ottundimento nel pomeriggio, uno stato ipnotico a partire del tramonto. Anna O. viveva le allucinazioni accompagnandole con
espressione di spavento per sé incompresibili. Breur si accorse che, ricordando alla paziente le parole pronunciate in occasione delle
allucinazioni durante la fase ipnotica, Anna O. era in grado di rievocarle. Quando ciò avveniva, ella poteva passare ore tranquille. Per
la procedura di liberazione dello stato ipnotico, la stessa Anna O. aveva creato gli appellativi di “talking cure” (cura attraverso il
parlare) e “chimney sweeping (pulizia del camino), il primo dei quali sarebbe poi passato alla storia come sintomo della psicoanalisi.
Accade che, in seguito a uno dei discorsi tenuti dall’ipnosi, Anna O. non trasse sollievo solo la notte ma si liberò da uno dei sintomi
isterici: l’incapacità di bere acqua. Altri sintomi scomparvero raccontando episodi che avevano valore di trauma psichico, ai quali
sintomi stessi potevano essere fatti risalire.
Ogni singolo sintomo di questa intrinseca sindrome vennero raccontate in ordine di successione inversa, cominciando coi giorni
precedenti la degenza del paziente, andando a ritroso nelle circostanze del primo manifestarsi. Se questo veniva narrato, il sintomo
veniva eliminato per sempre.
F. mette in evidenza la difficoltà di evitare che il rapporto personale verso il medico, si ponga in primo piano e che l’influenza del
medico costituisca la condizione che consente la soluzione del problema. F. accenna all’esistenza e all’importanza del fenomeno del
transfert, che poi verrà descritto compiutamente nel “Caso clinico di Dora”. La terapia senza ipnosi viene applicata a partire dal caso
di Elisabeth von R., unica paziente curata con tale metodo. La nuova tecnica si sviluppa dalla constatazione che, la prima occasione
dell’insorgere dei sintomi, i pazienti sempre più sembravano poter rievocare ricordi, ma con grande fatica. Il carattere generale di tali
rappresentazioni era la natura penosa, idonea a suscitare gli affetti della vergogna, del rimprovero, del dolore psichico, della
menomazione, affetti tali da suggerire l’idea di difesa. F. procede seguendo un’ulteriore tecnica: chiede al paziente di comunicare
l’immagine, o l’idea, o il ricordo, che vedeva durante la pressione esercitata, da Freud, sulla sua fronte, e gli assicurava che durante
tutto il tempo della pressione era possibile vedere la rappresentazione patogena. Difficilmente la rappresentazione patogena era la
prima, e difficilmente emergeva. Molto frequentemente emergeva una rappresentazione che, nella catena delle associazioni, fungeva
da anello intermedio fra la rappresentazione di partenza e quella patogena cercata, o il punto di partenza di una nuova serie di
pensieri e ricordi, al termine del quale sta la rappresentazione patogena.
CAPITOLO 2
LA TEORIA DELLA SEDUZIONE INFANTILE
Nel 1895 Freud matura l’idea che l’etiologia dell’isteria, come in generale delle nevrosi da difesa, possa essere ricondotta a un trauma
sessuale infantile reale. F. propone l’idea che sia la sessualità e non la degenerazione all’origine della nevrosi, distinguendo tra due
possibili ordini di etiologia:
1. Per la nevrastenia e nevrosi d’angoscia viene ribadito che siano pratiche sessuali nocive a causare il quadro clinico.
2. Per isteria e nevrosi ossessiva, invece, vi sarebbe l’azione di un agente che deve essere considerato la causa specifica, che
consiste in un ricordo relativo alla vita sessuale avente due caratteristiche: è un’esperienza precoce di rapporti sessuali
con affettiva irritazione degli organi genitali come conseguenza di un’aggressione sessuale effettuata da un’altra persona;
il periodo nel quale tale avvenimento si è svolto è quello dell’infanzia, cioè quello che va fino agli 8-10 anni, prima che il
bambino sia arrivato alla maturità sessuale.
Sorge, però, un elemento di difficoltà teorica: se il trauma è da ricondursi in età precoce, nella quale la sessualità non ha ancora un
significato per l’individuo, come fa ad avere conseguenze tanto importanti per la psicopatologia? F. risponde dicendo che, nel
soggetto in età infantile, l’irritazione sessuale precoce non produce alcun effetto, o quasi, all’epoca in cui si verifica, ma viene
considerata la traccia psichica. Più tardi, quando la reattività degli organi sessuali del soggetto in età puberale si sarà sviluppata fino
a raggiungere un livello che quasi non è paragonabile a quello dell’età infantile, accade che questa traccia psichica inconscia si riattivi
in un modo o nell’altro. Grazie al cambiamento operato nella pubertà, il ricordo svilupperà una potenza che era del tutto assente
nell’episodio originario: il ricordo agirà come se fosse un episodio attuale. Si ha, quindi, l’azione postuma di un trauma sessuale. Non
sono le esperienze ad avere effetto traumatico, ma il loro rivivere come ricordo, dopo che il soggetto ha varcato la soglia della
maturità sessuale. Il ricordo del trauma rimane, tuttavia, inconscio, anche quando la pubertà riattiva la traccia mnestica del trauma
infantile, essa conduce alla rimozione e alla liberazione dell’affetto. In sintesi i traumi infantili agiscono a posteriori come esperienze
precedenti, ma solo inconsciamente. Freud chiarisce in un altro saggio i tre nodi fondamentali della teoria:
1. La ragione per collocare l’origine della nevrosi nell’infanzia,
2. La sua etiologia nella sessualità,
3. L’impossibilità di un ricordo immediato di un trauma.
La teoria del trauma sessuale verrà presto abbandonata, ma parte della teoria sulla formazione delle nevrosi è destinata a
sopravvivere. La nevrosi diventa sintomatica, secondo uno schema che, prevede:
Una fase iniziale di immortalità infantile, per ora corrispondente alla seduzione da parte degli adulti, in seguito segnata
dalla sessualità perverso-polimorfa dell’infante. Questa fase si chiude con la rimozione.
La rimozione inizialmente sembra riuscire nel proprio scopo.
Scrupolosità, vergogna e sfiducia in se stessi, sono sintomi con i quali comincia il terzo periodo, quello dell’apparente sanità
o della difesa riuscita.
Segue la malattia causata dal ritorno del rimosso, che sconfigge parzialmente la difesa dando luogo a formazioni di
compromesso tra le rappresentazioni rimosse e quelle rimuoventi.
IL MOTTO DI SPIRITO
L’origine del motto di spirito non ha un carattere sintomatico. Secondo Freud il motto di spirito, al pari delle altre forme di uso delle
parole per indurre riso ha in comune con gli altri due fenomeni: un’origine inconscia e i meccanismi di formazione. Ciò che renderebbe
divertente una battuta è legato a operazioni di condensazione e spostamento. La condensazione dona ai motti di spirito quel carattere
di concisione che ne distingue la brillantezza; lo spostamento crea gli effetti di assurdo che pure possono essere legati al successo di
una battuta.
Nel sogno, condensazione e spostamento operano diversamente. Il motto ha una caratteristica sociale. Necessita di due o tre
persone: chi lo enuncia, chi ne è oggetto, chi ride per l’effetto ottenuto. Il motto è vincolato alla condizione di intelligibilità e non è
lecito valersi della deformazione. Alcuni motti possono avere un carattere socialmente innocente, mentre altri possono essere
tendenziosi: lo spirito consente di proporre affermazioni che, se enunciate in maniera piana e diretta, sarebbero inaccettabili in un
altro contesto. I motti tendenziosi sono più divertenti degli altri, perché il loro fine è quello di procurare piacere disponendo di fonti
di piacere alle quali il motto innocente non ha accesso. Essi sono riconducibili alla sessualità e all’aggressione, e entrambi risultano
una liberazione dell’energia psichica che, altrimenti rimarrebbe bloccata dalla censura. In tutti i casi, in cui il motto di spirito risulta
ben riuscito, e quindi suscita riso negli ascoltatori, il meccanismo è il medesimo: un pensiero preconscio viene abbandonato per un
momento dall’elaborazione inconscia e ciò che ne risulta viene colto immediatamente dalla percezione cosciente.
LA SESSUALITÀ INFANTILE
La teoria della sessualità infantile si fonda sul fatto che con frequenza si scoprono nei bambini impulsi sessuali presunti contrari alla
regola e che divengono palesi ricordi d’infanzia fino a quel momento inconsci. Freud si dice certo che, nel periodo neonatale siano
presenti germi di impulsi sessuali, successivamente repressi in maniera crescente, la repressione può essere interrotta da vere e
proprie irruzioni dello sviluppo della sessualità. La vita sessuale infantile comincia a esprimersi in modo osservabile a partire del 3-4
anno di vita. F. definisce il periodo di latenza, quella fase dello sviluppo infantile, in cui i contenuti sessali vengono contenuti da argini
psichici: essi vengono deviate dalle mete sessuali e si riversano su mete diverse mediante il processo della sublimazione. È grazie alla
sublimazione, che vengono gettate le basi per la partecipazione dell’essere umano ai processi di vita sociale che, sono alla base della
civiltà.
Le pulsioni sessuali trovano tuttavia una loro via di soddisfazione diretta non sublimata proprio attraverso zone erogene (intese come
parti del corpo, in particolare mucose) inizialmente diverse dagli organi genitali). La prima manifestazione della sessualità infantile si
attua attraverso il succhiare con delizia; la seconda è quella anale che peraltro mantiene un ruolo notevole nella sessualità, per tutta
l’esistenza. Va osservato che sono gli stessi disturbi intestinali nel periodo infantile ad attirare l’attenzione del bambino su questi
organi, causando eccitamenti intensi nell’area. Freud afferma che, la ritenzione delle masse fecali eccita violente contrazioni
muscolari e il loro passaggio stimola la mucosa, si ha quindi accanto ad una soluzione di dolore una sensazione di voluttà. La zona
genitale costituisce una zona erogena che si risveglia assai precocemente, fin dall’età dell’allattamento a causa di stimolazioni interne
(l’afflusso delle secrezioni) ed esterne (le pratiche igieniche).
F. specifica che l’attività sessuale connessa alle zone erogene è definita autoerotica. L’erotismo è la soddisfazione più tipica delle
pulsioni sessuali infantili e quindi non si riscontra una necessità dell’oggetto sessuale esterno. La presenza di persone è, invece,
richiesta quando essi vengono utilizzati per il piacere di guardare e di esibire e della crudeltà. Tali pulsioni definite pulsioni parziali,
sono un’espressione tipica della sessualità perversa polimorfa alla quale l’infante è predisposto. Il bambino di ambedue i sessi
attraversa delle fasi di organizzazione della vita sessuale:
1. FASE ORALE: (0-18 mesi) l’attività sessuale non è ancora separata dall’assunzione di cibo e in cui la meta sessuale
consiste nell’incorporazione dell’oggetto.
2. FASE SADICO-ANALE: (18-36 mesi) l’attività è prodotta dalla pulsione di appropriazione servendosi della mucosa
erogena intestinale.
3. LA FASE FALLICA: (3-6 anni) che conosce soltanto un tipo genitale, quello maschile. Ciò si lega all’idea che la presenza
e l’assenza del fallo nel bambino e nella bambina, e minaccia di possibile castrazione nel bambino del sesso maschile,
costituendo la preoccupazione del periodo edipico.
4. FASE DI LATENZA: (6 anni) superamento del complesso edipico.
5. FASE GENITALE: (pubertà) l’individuo raggiunge la maturità sessuale.
SOGNI E SIMBOLI
Lo statuto onirico, per Freud è quello della rappresentazione visiva vista come oggetto che ne sostituisce un altro la cui esplicita
presenza nel sogno sarebbe inaccettabile alla censura. Se quindi alcuni simboli sono riconducibili genericamente a contenuti edipici
(re e regina rappresentano la coppia genitoriale) la maggior parte degli elementi simbolici ha il carattere di una rappresentazione
onirica di materiale sessuale.
Tutti gli oggetti allungati (bastono, tronchi, ombrelli, armi a punta) sostituiscono il membro virile, tutti gli oggetti cavi (astucci, scatole,
casse) rappresentano l’organo sessuale femminile, salire scendere le scale sostituisce il coito, ecc. Per Freud tale simbolismo non
appartiene in modo esclusivo al sogno, ma alla rappresentazione inconscia, soprattutto del popolo, e lo si ritrova, nel folklore, nei
miti, nelle leggende, nelle locuzioni, nei proverbi nelle battute popolari.
CAPITOLO 7
TRA RIFLESSIONE CLINICA E RIFLESSIONE SPECULATIVA
L’ANGOSCIA non viene prodotta ex novo dal processo di rimozione, bensì viene riprodotta quale stato affettivo in base a un’immagine
mnestica già esistente. Nelle situazioni traumatiche si verifica una sensazione di impotenza. Nella vita successiva l'angoscia ha origine
in due modi, uno involontario, legato al verificarsi di situazioni di pericolo reali; l'altro causato dalla previsione, da parte dell’io, di
una possibile minaccia incombente. L’io produrrebbe allora l'angoscia proprio per evitare il verificarsi della situazione prevista. F.
sottolinea, da un lato, che esiste un legame tra nevrosi e angoscia, dall'altro, che le reazioni di angoscia non siano sempre da
considerare nevrotiche. Nasce così la distinzione tra ANGOSCIA REALE e ANGOSCIA NEVROTICA. il pericolo reale è un pericolo del
conosciamo. L’angoscia reale è angoscia di fronte a questo pericolo. L'angoscia nevrotica e angoscia di fronte a un pericolo che non
conosciamo; esso è un pericolo pulsionale. Portando alla coscienza questo pericolo sconosciuto all’io, noi annulliamo la differenza
tra angoscia reale e angoscia nevrotica. Davanti al pericolo reale si reagisce sia sul piano affettivo (l’angoscia) che su quello motorio
(l’azione protettiva). F. ipotizza che di fronte al pericolo pulsionale avvenga la stessa cosa, per cui una reazione dà il segnale per
avviare l'altra. Allora ci può essere commistione tra angoscia reale angoscia nevrotica, quando il pericolo è reale ma produce una
reazione spropositata e quindi nevrotica: al pericolo reale conosciuto è quindi legato un pericolo pulsionale è sconosciuto. Ciò che
caratterizza l'angoscia nevrotica, però, è l'aspettativa della possibile ripetizione di una situazione traumatica e della relativa
sensazione di impotenza: questo determina una anticipazione del possibile trauma e una condotta di evitamento. L'angoscia è la
reazione originaria all'impotenza vissuta nel trauma. L’io elabora una fantasia della situazione traumatica e a tale fantasia reagisce
con il segnale di angoscia. La nuova concezione dell'angoscia implica che l’io possa difendersi dal pericolo pulsionale o reale senza
allontanarlo dalla coscienza. Infatti, il RENDERE NON AVVENUTO (annullamento retroattivo) e l’ISOLARE non presuppongono la
rimozione. Chi usa la prima tecnica intende irrazionalmente soffiar via un evento sgradito che però si sia già verificato. I rituali
ossessivi hanno un carattere sia di prevenzione (se faccio x non accadrà y), sia di revoca (se faccio x, non è mai accaduto y). il
meccanismo delle degli solare, noto come isolamento dell'affetto, si attua in modo che dopo una particolare attività viene introdotta
una pausa durante la quale nulla può verificarsi, nessuna percezione viene accolta e nessuna azione viene eseguita. Ciò avviene
quando la rimozione non è efficace ai fini dell’oblio di un evento.
La RESISTENZA è il rifiuto, per motivi inconsci, di ciò che appare oggettivamente vero. Si manifesta sia nella singola a psicoterapia,
come rifiuto di un'interpretazione corretta, sia nella situazione e storico-culturale in cui la psicoanalisi tenta di espandere la propria
influenza, come rifiuto delle scoperte e psicoanalitiche. Il rifiuto può costituire la manifestazione di una resistenza; l’ASSENSO può
essere ipocrita o condiscendente. Il valore della risposta all'interpretazione da parte del paziente si basa su tre criteri fondamentali:
la tonalità affettiva che caratterizza la risposta, la presenza immediata di dati confirmatori concomitanti, la confluenza del dato
costituito da contenuto affermativo o negativo della risposta con ulteriori dati confirmatori che emergano successivamente nel corso
dell'analisi. Il terzo criterio è quello più importante. F. sostiene che le sono il prosieguo dell'analisi può consentire di giudicare la
validità di un'interpretazione, anche perché un'interpretazione può avere un effetto momentaneamente terapeutico anche il se è
errata. Un'altra modalità di conferma si ha quando l'assenso all'interpretazione avvalendosi di un atto mancato, si infila nelle esplicita
formulazione di un dissenso. F. parte dalla constatazione che un percorso terapeutico apparentemente terminato non preservi
l’analizzato da problemi psichici successivi. La terapia termina se da una continuazione dell'analisi non ci si possa ripromettere alcun
ulteriore cambiamento, nel senso che si è raggiunta una assoluta normalità psichica. Si può considerare terminata un'analisi quando
l'accordo tra paziente e terapeuta di smettere di incontrarsi sia fondato su due condizioni: la prima che il paziente non soffra più dei
suoi sintomi e abbia superato sia le sue inibizioni, sia le sue angosce; la seconda che l'analista giuridiche sia stato reso cosciente al
malato tanto materiale rimosso, e siano state chiarite tante cose inesplicabili, e le debellate tante resistenze interne, qui e non c'è da
temere il rinnovarsi dei processi patologici in questione.