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Corso di Laurea: LETTERATURA, MUSICA E SPETTACOLO (D.M.

270/04)
Insegnamento: STORIA DELLA MUSICA
Lezione n°: 18
Titolo: Il Concilio di Trento
Attività n°: 1

Facoltà di Lettere

Il concilio di Trento

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
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Insegnamento: STORIA DELLA MUSICA
Lezione n°: 18
Titolo: Il Concilio di Trento
Attività n°: 1

Facoltà di Lettere

Il concilio di Trento

Delle tipologie tecniche e stilistiche utilizzate dalla liturgia musicale, il cantus planus era
infatti un repertorio le cui radici affondavano nel Medioevo, e ormai stabilizzato: gli altri
tipi di musica, invece (polifonia vocale, composizioni organistiche, polifonia
strumentale), avevano origini più recenti — localizzabili nel Tre e Quattrocento —, ed
erano oggetto di un’incessante produzione creativa che li andava arricchendo ed
aggiornando in continuazione.
Anzi, il cantus planus subì un’ulteriore cristallizzazione nel Cinquecento che lo
consegnerà ad una dimensione quasi mitico-leggendaria e sovra-temporale. Esso
venne infatti drasticamente verificato e selezionato nell’ambito dell’azione uniformatrice
e ‘normalizzatrice’ dei libri liturgici avviata a seguito del Concilio di Trento, aperto il 13
dicembre 1545 (chiuderà il 4 dicembre 1563).
Durante i suoi lavori, la questione della musica liturgica non fu mai all’ordine del
giorno. Piuttosto, venne incidentalmente toccata nel corso di alcune sedute tenutesi tra
il 1562 e il 1563, nella fase finale dei suoi lavori.

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Attività n°: 1

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Il concilio di Trento

Nell’estate 1562 fu affrontato il tema degli abusi introdotti nella celebrazione della messa.
L’otto agosto 1562 l’apposita commissione ristretta consegnò alla presidenza un
documento in cui proponeva di bandire quel genere di musica polifonica che «magis aures
quam mentem recreat et ad lasciviam potius quam ad religionem excitandam comparata
videtur [ricrea più le orecchie che l’intelletto e par predisposta per eccitare più alla lascivia
che al senso religioso]»: in particolare, si deploravano le messe-parodia «in quibus
etiam profana saepe cantantur, ut illa “della caccia” et “la battaglia” [nelle quali spesso si
cantano anche cose profane, come quelle “della caccia” e “della battaglia”]». Nel
compendio del documento si auspicava che le composizioni fossero tali «ut verba magis
quam modulationes intelligantur [che si percepiscano più le parole che le melodie]».
Durante la seduta del 10 settembre 1562 vi si aggiunse la proposta di bando per qualsiasi
musica che non fosse sacra.
Il testo del decreto alla fine votato (XXII sessione, 17 settembre 1562: canoni sulla
messa) previde però solo un comma che dichiarava bandite «musicas eas, ubi sive organo
sive cantu lascivum aut impurum aliquid miscetur [quelle musiche in cui, tramite l’organo
o il canto, si mescolino elementi lascivi o impuri]», senza far cenno alla questione
dell’intelligibilità delle parole.

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Il concilio di Trento

Nell’estate 1563 si discusse invece della formazione e preparazione del clero.


Il decreto sul sacramento dell’ordinazione sacerdotale (XXIII sessione, 15 luglio 1563:
canone XVIII) prescrisse la fondazione di appositi istituti educativi per i futuri chierici — i
seminari —, la ratio studiorum dei quali avrebbe compreso anche l’insegnamento del
canto (gregoriano).
Infatti, tra i compiti e doveri del clero capitolare (XXIV sessione, 11 novembre 1563:
canone XII del decreto di riforma del matrimonio, e doveri del clero) figurava l’obbligo di
presenza al servizio divino, «atque in choro ad psallendum instituto hymnis et canticis Dei
nomen reverenter, distincte, devoteque laudare [e con inni e cantici lodare il nome di Dio
con reverenza, chiarezza e devozione nel coro istituito per cantare i salmi]».
Glossario
Messa-parodia. Messa che deriva il proprio materiale melodico e contrappuntistico da
un brano preesistente, spesso polifonico, il quale manteneva la propria riconoscibilità
(venivano infatti scelti brani molto noti, spesso profani come chansons e madrigali). Tale
materiale veniva distribuito lungo tutto l’arco della messa, rendendola così ciclica.

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Lezione n°: 18/S1
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Attività n°: 1

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Il concilio di Trento

Come si vede, si trattava d’indicazioni di massima. La loro traduzione in norme vere e


proprie, e conseguente applicazione, venne affidata a successivi interventi, centrali e
periferici.
Il 2 agosto 1564 papa Pio IV istituì una commissione cardinalizia per l’attuazione delle
delibere conciliari. Tra quegli otto porporati figuravano Carlo Borromeo, arcivescovo di
Milano, e Vitellozzo Vitelli, i quali il 28 aprile 1565 convocarono i cantori pontifici «ad
decantandum aliquot missas et probandum si verba intelligerentur [per cantare qualche
messa e far la prova se le parole si capissero]».
La «cosa della musica intelligibile» — di una polifonia, cioè, che non compromettesse la
comprensibilità del messaggio liturgico cantato — stava a cuore soprattutto a Borromeo.
Questi, già aveva sollecitato Vincenzo Ruffo, suo maestro di cappella nel duomo milanese,
«acciò riformasse il canto in modo che le parolle fossero più intelligibili che si potesse,
come sapete che il Concilio ordina» (20 gennaio 1565) e componesse musica liturgica «che
fosse più chiara che si potesse» (10 marzo 1565).

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Il concilio di Trento
La comprensibilità dei testi cantati era un aspetto cui anche altri esponenti ecclesiastici
erano sensibili da tempo, se già nel 1546 il vescovo Bernardo Cirillo Franco aveva scritto:
«Hanno a questi tempi [i musicisti] riposta ogni industria, e diligenza loro a far, che un
canto sia ben legato in fughe: et sul medesimo tempo un di loro dice, Sanctus, l’altro
Sabaoth, quell’altro Gloria tua, con certi ululati, mugiti, e belati, che alle volte
rappresentano un gennaio di gatti, et un maggio di fiori per non dire altrimenti».
Per ovviare a questi inconvenienti, Ruffo si orientò verso una polifonia in cui avevano
largo spazio la verticalità omoritmica e il rapporto sillaba-nota, moderando l’impiego
dell’imitazione contrappuntistica.
Nella produzione sacra di Ruffo le direttive conciliari ebbero un ruolo considerevole. Il
compositore vi si conformò particolarmente in raccolte che fin dal frontespizio esibiscono
la loro osservanza a quegli ideali: Missae quatuor concinate ad ritum Concilii Mediolani.
Quatuor vocum (Milano, 1570), Messe a cinque voci ... Nuovamente composte, secondo
la forma del Concilio Tridentino (Brescia, 1572?, 15802), Il quarto libro di messe a sei
voci ... piene d’inusitata dolcezza, composte ultimamente con arte meravigliosa,
conforme al Decreto del Sacrosanto Concilio di Trento (Venezia, 1574).

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Il concilio di Trento

Ma Ruffo non fu il solo. Oltre a lui, gli stessi orientamenti assunsero Paolo Animuccia,
maestro di cappella del duca di Urbino, e suo fratello Giovanni Animuccia che nella
dedicatoria del Missarum liber primus (Roma, 1567) dichiarava che «has preces et Dei
laudes eo cantu ornare studui, qui verborum auditionem minus perturbaret; sed ita, ut
neque ab artificio plane vacuus esset, et aurium voluptati paululum serviret [ho cercato
di ornare queste preghiere a lode di Dio con un tipo di canto che disturbasse il meno
possibile la percezione delle parole, ma che non fosse del tutto privo d’artificio, e
soddisfacesse un pochino al piacere dell’ascolto]».
Licenziando il suo Missarum liber primus (Venezia, 1578), Costanzo Porta ricorda di aver
avuto l’indicazione di scrivere messe semplici e brevi, fatte «ut et verba non modo
eorum, qui divinis officiis interessent auditum non effugerent, verum etiam facillime
perciperentur [in modo che non solo le parole non sfuggissero a chi presenziava alle
cerimonie religiose, ma fossero intese nel più facile dei modi]».

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Lezione n°: 18/S3
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Il concilio di Trento

I decreti tridentini si trasformarono in norme vere e proprie anzitutto a livello locale, ad


opera delle rispettive sinodi diocesane convocate dai vescovi. Per limitarsi al ‘500, decreti
sulla musica furono promulgati in più di una trentina di esse. In testa a tutte, la sinodo
milanese del 1565, altro frutto dell’occhiuto zelo del cardinale Borromeo.
Oltre ad essere stato il primo di tali concilî diocesani, esso fornì modelli normativi anche
per gli altri, contribuendo a diffondere un’interpretazione restrittiva e integralista dei
generalissimi dettami tridentini. In aggiunta a quanto prescritto, prevedeva infatti
(Constitutiones et decreta condita in provinciali synodo Mediolanensi, Milano, 1566) che
nella liturgia musicale non fosse ammesso altro strumento al di fuori dell’organo.
Nel frattempo, altre commissioni papali si erano poste al lavoro per la revisione dei libri
liturgici. Videro la luce dapprima volumi pratico-normativi quali il Breviarium Romanum
(1568) per la liturgia delle Ore (Ufficio), e il Messale Romanum (1570) per quella
eucaristica, che raccoglievano e ordinavano i testi da leggere, pronunciare ad alta voce o
cantare.
Il 25 ottobre 1577 papa Gregorio XIII incaricava Palestrina e Annibale Zoilo di
completare quel lavoro per la parte musicale.
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Il concilio di Trento

Il compito consisteva in primo luogo — se necessario — nell’adeguare i testi verbali e


la loro collocazione liturgica. Soprattutto, però, i due compositori avevano la
consegna d’intervenire sulle lezioni musicali. Osservando i risultati conclusivi del
lavoro, possiamo dire che essi mirarono a semplificare secondo il loro gusto i profili
melodici dei canti autorizzati (generi quali tropi e sequenze, ad esempio, erano caduti
in massa sotto la mannaia della precedente revisione testuale). Ne fecero le spese le
fioriture melismatiche, drasticamente scorciate o addirittura eliminate, in favore di un
rapporto parola-musica più sillabico. E furono insinuati qua e là elementi di blanda
ritmicizzazione della notazione neumatica, o comunque di attenzione prosodica (alla
natura tonica o atona delle sillabe). Infine, s’intervenne tendendo a ‘normalizzare’ il
profilo modale dei canti, per quanto possibile.
Il lavoro iniziato da Palestrina (morto nel 1594) e Zoilo venne però proseguito e
portato effettivamente a compimento da Felice Anerio e Francesco Soriano, e vide la
luce nel 1614 presso la Tipografia Medicea, suddiviso in Graduale de Tempore e
Graduale de Sanctis iuxta ritum sacrosanctae Romanae Ecclesiae cum cantu Pauli v
pontificis maximi iussu reformatum.

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