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L’arte dell’illustrazione,

quando le immagini
comunicano
DI EMANUELA PULVIRENTI · 25 FEBBRAIO 2015

Avete presente le istruzioni per il montaggio di un


mobile Ikea? Quelle che vi permettono di montare
anche una casa intera o la Torre Eiffel con una sola
brugola?

Scherzi a parte, la cosa interessante è che sono


istruzioni puramente grafiche. Non c’è una sola riga di
testo.
E non è semplice riuscire a spiegare le varie fasi di
assemblaggio solo con le figure! Non prendetemi per
matta ma certe volte resto davvero incantata davanti
alle istruzioni per l’uso. Piccoli capolavori di
comunicazione visiva.
Provate ad immaginare di dover spiegare per iscritto il
montaggio del classico scaffale Billy senza usare una
sola figura! È dura, eh?
Ovviamente non vale per qualsiasi forma di
comunicazione. Se il messaggio si fa più complesso
l’equilibrio si ribalta. Un romanzo, ad esempio, potrebbe
perdere tante sfumature verbali in una trasposizione
figurativa. Oppure no?
In effetti ci sono molti “libri senza parole” che
dimostrano il contrario. E non parlo dei libri per bambini
come i fantastici Prelibri di Bruno Munari…
… parlo di veri e propri testi “per adulti”. Testi
visivi come “The arrival” di Shaun Tan: un silenzioso
viaggio verso l’ignoto raccontato per vignette.
Non servono parole; come un abile regista l’illustratore
ci guida in un film muto, dove i primi piani si alternano
agli scorci di città e gli sguardi dicono già tutto.
Un racconto che sembra
uno storyboard cinematografico.
Qualcosa del genere, come meno pretese artistiche, l’ho
fatto fare anni fa ai miei studenti attraverso la
trasposizione visiva di un romanzo di Leonardo
Sciascia.
Per un anno abbiamo letto ogni settimana un capitolo de
Il giorno della civetta cercando di raffigurarne le
persone, gli atteggiamenti, i luoghi. Alla fine abbiamo
selezionato i disegni più adatti a raccontare, in forma di
sequenza grafica, l’intero romanzo.
Sembra quasi il pannello di un moderno cantastorie,
come quell’altro esperimento fatto con i bambini della
primaria sulla favola di Colapesce.
Gli stessi disegni montati in successione e sottotitolati
(perché per usare solo le immagini bisogna essere
molto bravi!) sono diventati un breve video con relativa
colonna sonora.

Il giorno della civetta

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class="submessage"><a href="http://www.youtube.com/watch?v=677uZw81xxE"
target="_blank">Prova a guardare il video su www.youtube.com</a> oppure attiva
JavaScript se è disabilitato nel browser.</div></div>
 
Esistono anche strumenti digitali per creare più
rapidamente gli storyboard ma quelli disegnati a mano
sono sempre un’altra cosa!

Qualcosa di più vicino alla letteratura è la graphic


novel, praticamente un “fumetto per grandi” molto
curato dal punto di vista artistico.
In questi romanzi l’aspetto visivo è fondamentale. E il
fatto di vedere luoghi e personaggi e non doverli
immaginare non toglie nulla al piacere della lettura, anzi
forse la rende ancora più coinvolgente.
D’altra parte non è necessario rappresentare tutto,
basta evocare le scene come fa Baudoin per I quattro
fiumi, uno dei gialli di Fred Vargas della serie del
commissario Adamsberg.
Una via di mezzo tra la graphic novel e il romanzo
tradizionale è il mondo dell’illustrazione, un pianeta
vastissimo spesso trattato come roba per l’infanzia.
Eppure l’illustrazione è una tradizione nobilissima e di
grande livello artistico non necessariamente legata al
mondo delle fiabe.
Basti pensare alle stupefacenti incisioni di Gustave
Doré (1832-1883) per la Divina Commedia… dopo che
hai visto quelle non risucirai più ad immaginare
diversamente un girone infernale o l’Empireo!
Solo uno spirito visionario come quello di William Blake
(1757-1827) poteva concepire immagini altrettanto
forti. Nel suo famoso girone dei Lussuriosi un turbine di
corpi traduce in forme e colori i versi danteschi:
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di su li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

La versione illustrata da Salvador Dalì (1904-1989), più


onirica e raffinata, pur non avendo la stessa potenza
visiva dei suoi predecessori non manca di suggestione.
Purtroppo nelle versioni per la scuola le immagini non
ci sono mai, così come nei I promessi sposi l’altro
classicone studiato a scuola in versione rigidamente
testuale.
E dire che la prima cosa che fa uno studente (io almeno
lo facevo) è sfogliare un libro per guardare le
figure! Un gesto solo apparentemente infantile. Perché
le immagini ci introducono nell’atmosfera di un testo in
modo molto più immediato rispetto al linguaggio verbale.
Sarà per questo che Manzoni stesso aveva dato precise
indicazioni a Francesco Gonin per le illustrare le
avventure di Renzo e Lucia?
Poi ci sono i casi degli scrittori-illustratori, artisti a
tutto tondo che intrecciano in modo indissolubile parole
ed immagini. Uno dei casi meno conosciuti è Dino
Buzzati (quello del Deserto dei Tartari) che del suo
lavoro diceva:
“dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa
cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo
scopo, che è quello di raccontare delle storie”.
E spesso le sue storie cominciavano prima dalle
immagini e solo dopo si trasformavano in racconti.
Perché le immagini producono parole (e,
specularmente, le parole producono immagini).
Ricorda l’esercizio di narrazione a partire da un
dipinto di cui ho già parlato tempo fa.

Faceva qualcosa del genere anche Federico Fellini. Le


prime idee per un nuovo film cominciavano a
condensarsi sempre attorno ai suoi rapidissimi schizzi.
Così spiegava questo approccio:
“Perché disegno i personaggi dei miei film? Perché
prendo appunti grafici delle loro facce, dei nasi, dei baffi,
delle cravatte, delle borsette, del modo di accavallare le
gambe, delle persone che vengono a trovarmi in
ufficio? Forse l’ho già detto che è un modo per
cominciare a guardare il film in faccia, per vedere che
tipo è, il tentativo di fissare qualcosa, sia pure
minuscolo, al limite dell’insignificanza, ma che mi
sembra abbia comunque a che fare col film, e
velatamente mi parla di lui”.

Peccato che sulle immagini ci siano tanti equivoci! A


volte sento dire con tono preoccupato che “la nostra
è la civiltà dell’immagine“… e nella mia testa dico
“magari!”.
Credo che non ci sia mai stata nella storia una civiltà,
come la nostra, del tutto incapace di leggere o produrre
immagini significative. E non sono io a dirlo ma un
grande esperto in materia come il regista Peter
Greenaway. Il suo allarme contro l’analfabetismo
visuale è netto:
“Non è colpa vostra, ma dell’educazione che vi hanno
impartito. Nel periodo più fertile dell’apprendimento, 9,
10, 11 anni, vi hanno dato in mano solo testi, testi e
ancora testi. Il cinema potrebbe migliorare questa
lacuna, ma la maggior parte dei film è basata su testi,
fatta di dialoghi e le immagini non riescono a sprigionare
la loro forza creativa“.
Quello che so è che la prima cosa che ha fatto l’uomo
primitivo è stata illustrare, raccontare per immagini
eventi accaduti o auspicati. L’oralità è arrivata dopo e la
scrittura ancora più tardi.
Narrare attraverso la raffigurazione del reale fa parte,
dunque, del nostro stesso DNA.
Eppure forse abbiamo perso questo istinto o lo
perdiamo rapidamente, nei primi anni di vita, perché è
un’abilità che va affinata, coltivata. Proprio come la
scrittura.
E se è vero che tutti possiamo imparare a scrivere
senza dover essere per forza Pirandello, è vero anche
che tutti possiamo imparare a disegnare senza avere
la pretesa di farlo come Michelangelo!
Ma questa è un’altra storia…

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