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LA FILOSOFIA DI LOUIS LAVELLE

Author(s): MICHELE JURINO


Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 41, No. 4 (OTTOBRE - DICEMBRE 1949), pp.
444-472
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43066946
Accessed: 22-12-2018 11:31 UTC

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Dott. MICHELE JURINO

LA FILOSOFIA DI LOUIS LAVELLE

L. Lavelle è un pensatore che'ha sentito e vissuto le esigenze


(e morali) del suo tempo, al bivio tra una redenzione spiritua
degenerazione materialistica. Sin dal 1930, da quando pubblicò
alcuni articoli sul movimento filosofico francese (1), si mostrò
della restaurazione della metafisica discreditata dal positivismo
Scrittore fecondo (3) e di grande cultura, esordisce la sua attivi
con una prima opera, La Dialectique du monde sensible , uno studio
sulle qualità sensibili. Ma il suo studio vuole essere anche « una

(1) Gli articoli sono stati raccolti dall'autore nel volume La philosophie français
guerres.
(2) Op. cit. y Préface , pag. i.
(3) Crediamo utile elencare le opere e gli articoli di Lavelle:
CPERE FILOSOFICHE :

- La Dialectique du monde sensible , Faculté des Lettres, Strasbourg, 1921.


■- La Dialectique de l'Eternel présent :
1) De l'Etre y Alean, Paris, 1928; 2a ediz. 1932; 3a ediz., Aubier, 1947.
2) De l'Acte , Aubier, Paris, 1937.
3) Du Temps et de l'Eternité , Aubier, Paris, 1945.
- La Présence totale , Aubier, Paris, 1934.
- Introduction à l'Ontologie , Presses universitaires de France, Paris, 1947.
- Les Puissances du Moi , Flammarion, Paris, 1948.
CPERE MORALI:

- La Conscience de soi , Grasset, Paris, 1933.


- L'Erreur de Narcisse, Grasset, Paris, 1939.
- Le Mal et la Souffrance , Pion, Paris, 1940.
- La Parole e l'Ecriture , L'Artisan du Livre, Paris, 1942.
CRONACHE FILOSOFICHE:

- Le Moi et son destin , Aubier, Paris, 1936.


- La Philosophie française entre les deux guerres, Aubier, Paris, 1942.
ARTICOLI:

- Etre et Acte , in « Revue de métaphysique et de morale », avril 1936.


- Acte réflexif et Acte créateur , in « Bulletin de la Société française de philosophie », ju
tembre 1936.
- Principes généraux de toute philosophie de la participation, in « Travaux du IXe Congrè
de philosophie, Congrès Descartes, IX, lime Partie, Paris, 1937.
- La Contemplation selon Saint Jean de la Croix , in « Bulletin de l'Association Fénelon »,
- Remarques sur le thème : Légitimité et signification de la Métaphysique , in « Etudes
phiques », avril 1938.
- La Métaphysique ou la science de l'intimité spirituelle, in « Rev. Intern, de philosophie »
T939-
- La Découverte du moi, in « Annales de l'Ecole des hautes études de Gand », t. III, 1939.
- La Pensée religieuse d'Henri Bergson , in « Rev. philosophique », 1941.
- Le Passée ou l'avenir spirituel, in « L'Existence », Gallimard, Paris, 1945.
- Analyse de l'Etre et Dissociation de l'essence et de l'existence , in « Rcv. de mét. et de mor. »,
juillet-octobre 1947.
- Epitome Metaphysicae Spiritualis , in « Giornale di metafísica », luglio-settembre 1947.

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dottrina (monistica) dell'essere e della partecipazione, che già si trova formu-


cazione di un metodo più generale », i cui fondamenti sono dati dalla sua
lata in embrione in questa prima opera (i). Ha cominciato a sviluppare siste-
maticamente i principi fondamentali della sua filosofìa in un volume, De
l'Etre, primo di una serie di cinque volumi che va sotto il nome de La Dia-
lectique de l'Eternel Présent (2), nel quale ha voluto dimostrare il primato
della nozione di essere in relazione a tutte le altre, e quindi ha potuto rea-
lizzare (parteggiando per l'univocità dell'essere) « la liaison avec l'Absolu de
l'expérience que nous avons de nous-même et de l'expérience que nous avons
du monde » (3).
Nell'introduzione alla recente edizione del De l'Etre Lavelle, manife-
stando i precedenti psicologici del suo pensiero, afferma che due emozioni lo
hanno scosso fin dalla giovinezza e l'hanno accompagnato per tutta la vita
negli sviluppi che avrebbe avuto il suo pensiero filosofico : la prima è la sco-
perta del miracolo permanente àûY iniziativa, con la quale posso introdurre
nel mondo qualche mutamento, iniziativa che attinge la sua forza in un fiat
interiore che mi permette di produrla. La seconda è la scoperta di una presenza
sempre attuale dalla quale non posso mai evadere, la presenza dell'essere nella
quale posso costruire il mio essere. Nel De l'Acte , l'opera più sistematica (4)
e più impegnativa, Lavelle ha voluto appunto dimostrare che « l'interiorità
dell'essere è un atto sempre in esercizio e al quale noi non cessiamo di parte-
cipare », sviluppando in pieno la sua dottrina della partecipazione. Infine nel
terzo volume della triade, Du Temps et de l'Eternité , si propone di dimostrare
come la nostra partecipazione all'Atto puro ci permette di risolvere e di deter-
minare i rapporti tra Dio e noi (5).
Per la mole delle sue opere e per la profondità del suo pensiero Lavelle
occupa un posto preminente nel vasto movimento che va sotto il nome di
Philosophie de l'Esprit , che, al di là del fenomenismo e del relativismo scien-
tifico, vuole tentare - come si esprime lo stesso Lavelle (6) - un nuovo riav-
vicinamento tra la metafisica e . la morale, sostituendosi in tale compito dia
Revue de métaphysique et de morale, che « non era sempre stata fedele al
suo titolo ».
Il movimento, nell'intenzione dei fondatori, L. Lavelle e R. Le Senne,
vuole raccogliere « tutti quelli che in questo momento partecipano nel mondo
al rinnovamento della metafisica » (7). Affermazione dell'importanza capitale
(1) La Dialectique du monde sensible , Préface , pag. IX.
(2) Gli altri duc volumi pubblicati sono De l'Acte e Du Temps et de l'Eternité.
(3) De l'Acte y pag. 536 (nota).
(4) Giustamente è stata detta una Summa moderna. Cfr. O. M. Nobile, La filosofia di L. Lavelle ,
Sansoni, Firenze, 1943. Tutti i problemi classici della metafisica (potenza e atto, essenza ed esistenza,
Atto puro e atto creato, la partecipazione, la libertà divina e la libertà umana) sono ripresi e riesaminati
nel tentativo di dare loro una soluzione nuova che si concili con le esigenze filosofiche moderne, sempre
però in coerenza alla sua tesi principale. Anche la struttura armonica del volume (è diviso in tre libri,
ogni libro in tre parti, ogni parte io tre capitoli, ogni capitolo in tre articoli) ci dà l'idea di una vera e
propria Summa.
(5) De l'Acte , pag. 536 (nota).
(6) La Philosophie française etc., pag. 267.
(7) Le linee programmatiche del movimento sono state esposte dai due fondatori nel fascicolo della
« Revue intern, de philosophie » (15 ottobre 1939) dedicato a questa corrente di pensiero.

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ed unica della metafìsica - intesa come problema dell'assoluto


al positivismo scientista nella gamma dei suoi variopinti aspett
programmatico di tale indirizzo. Il prestigio dello scientismo n
teplici forme (la Gestalttheorie , il Behaviourism, la sociologia
la scuola di Vienna), mentre faceva dimenticare che ci sono ope
rito - quali l'arte, la morale e la religione - delle quali non
scienza « senza il pericolo di misconoscere e di annientare la l
originale e irreduttibile » (i), tendeva a sostituire alla conoscenz
attraverso se stesso una metodologia ispirata ai risultati delle s
mentali (2).
Per salvare l'uomo dal materialismo questa corrente crede necessario ed
urgente sganciare la filosofìa dalla scienza e restituirle la sua dignità di attività
dello spirito. L'assoluto deve essere al centro di ogni ricerca filosofica perchè
è il fondamento della dignità della persona umana. La filosofia - secondo
Lavelle - si pone come problema dell'esistenza umana, ma esso non è solubile
se non è ancorato nell'assoluto. Ad essa perciò abbiamo il diritto di chiedere
di scoprirci le point d'attache del nostro io e dell'Essere totale (3). La domanda
è perentoria ed è posta dalla nostra vita stessa. Dinanzi ad essa non è giusti-
ficabile nessun agnosticismo. « Non serve a niente dire che noi non conosciamo
che il relativo se la sorte del nostro essere si decide nell'assoluto. Le preoccu-
pazioni della filosofia di oggi ci fanno ritornare verso questo oggetto unico al
quale si applica la meditazione di ogni uomo, per quanto estraneo egli sia alla
filosofia, quando giunge a spogliarsi di tutte le cure dell'opinione e si interroga
con sincerità sul suo destino. La filosofia comincia al momento in cui cessa
questa dissipazione. Noi non possiamo più accettare questo agnosticismo il
quale, interdicendoci di scrutare il solo problema che ha per noi un vero
interesse, ci obbliga a vivere dimenticando che noi viviamo » (4).
La filosofia ci deve far cogliere nell'assoluto il fondamento e la sorgente
della nostra esistenza individuale perchè « il mistero dell'Essere non fa che
unâ cosa sola con il mistero del nostro proprio essere », e questo ci viene
rivelato quando là filosofia ci scopre il nostro point d'attache con l'assoluto (5).
L'esigenza dell'assoluto è fondamentale nella filosofia lavelliana. La Filo-
sofia dello Spirito può liberare gli uomini dalla solitudine e dall'abbandono in
cui sono caduti, dando loro la certezza dei valori positivi radicati in un'on-
tologia o in un'esperienza dell'Essere, cioè mostrando che un solo identico
Essere è sempre e ovunque presente « sotto una forma ora partecipata e ora
partecipante », e che un solo identico Atto sostiene la nostra esistenza e l'esi-
stenza del Tutto, cioè che Dio - questo « Soi universel » - è « la vita indi-

(1 ) La Philosophie française etc., pag. 264.


(2) L. Lavelle e Ř. Le Senne, art. cit., pag. 4.
(3) Le moi et son destin , pag. 116.
(4) Li Philosophie française etc., pag. 243.
(5) Etre et Acte , in « Rev. de met. et de mor. », avril 1936, pag. 190. L'assoluto, che da Lavelle
è concepito come Atto puro , da G. Marcel è concepito come un Mistero , e da R. Le Senne come una
Sorgente di valore.

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visibilmente trascendente e immanente » alla coscienza, perchè da lui noi


attingiamo l'atto con il quale « doniamo a noi stessi il nostro proprio essere
e lo spettacolo del mondo ». Allora l'esistenza non perde il carattere di an-
goscia, ma questa non esprime che « la tensione suprema della sua spe-
ranza » (i).
Le premesse metafisiche della filosofia lavelliana spiegano la sua costante
opposizione all'esistenzialismo ametafisico (o antimetafisico) e ateo, che pre-
ferisce essere un umanesimo che isola l'uomo e spezza i legami con l'essere,
naufragando nel relativismo protagoreo (2).
Queste considerazioni generali c'invitano ad un approfondimento e ad
un esame oggettivo del pensiero lavelliano per coglierne - pur nei ristretti
limiti di un articolo - le linee metafisiche fondamentali e la ricca varietà di
motivi spirituali e umani, che non possono non essere di onore all'illustre pen-
satore e che giustificano l'attenzione che il mondo della cultura ha rivolto
alle esigenze e alle aspirazioni del suo sistema filosofico.
• # *

Se è vero quanto Bergson afferma per ogni pensatore in gene


« è molto rischioso voler ricostruire, fondandosi su rassomiglianze e
una dottrina con le altre, le influenze che l'autore ha subito »
in modo particolare di Lavelle per quella che è stata detta (4) la s
di conciliatore e per il suo metodo di adibire, con la più dolce ma
che mai si sia vista tra le polemiche filosofiche (5), la dottrina d
completamento di tutte « le prospettive particolari » dei diversi
sofici, metodo che ha provocato anche l'accusa di eclettismo al s
filosofico.

L'unificazione del reale è l'assillo di Lavelle, e, per ottenerla


diversi sistemi filosofici devono completarsi a vicenda. Suo cano

(1) La Présence totale , pa gg. 9-1 1. Appunto in funzione delle premesse della sua
velle - che pur si astiene generalmente da ogni polemica - non sa fare a meno di por
tra la sua concezione dell'essere con la concezione di J. P. Sartre, che - come const
velle - in questi ultimi tempi ha avuto una ripercussione anche al di là degli ambient
generalmente si ferma il pensiero filosofico, e di invitare ad una scelta tra le due con
presenti le conseguenze di ordine speculativo e di ordine morale che ciascuna di esse
Orbene Lavelle caratterizza la sua filosofia come Y inverso della filosofia de L'Etre et le néant.
La coscienza di sè, da Sartre caratterizzata dalla « mauvaise foi » - una « mauvaise foi » costitutiva
della coscienza stessa, inseparabile da ogni essere che « non è ciò che egli è, che è ciò che egli non è » -
secondo Lavelle non sta ad indicare altro che ogni essere non è mai « una cosa creata » (tutta fatta)
ma « un essere che si crea » (un farsi), realizzando una possibilità che è la sua nel seno stesso del-
l'Essere. Secondo Lavelle non c'è opposizione - come vuole Sartre - tra l'essere « en soi » (l'Essere
totale) e l'essere « pour soi » (l'essere individuale), anzi proprio nell'essere « pour soi » si scopre a
noi « l'absolu de l'être ou du soi », ma si scopre sotto una forma partecipata. Allora - conclude La-
velle - « la disperazione che nasce dal desiderio idolatra di possedere un oggetto infinito che indie*
treggia sempre si cambia nella gioia di un'attività che non potrebbe venir meno e ci porta una rivela-
zione che non s'interrompe più » (De l'Etre, Introduction , 3a ediz., pagg. 28-35).
(2) De l'Etre, Introduction, 3» ediz., pag. 35.
(3) Estratto da una lettera citata da J. Benrubi, Les sources et les courants de la philosophie con-
temporaine en France , Paris, Alean, 1933, t. II, pag. 741.
(4) O. M. Nobile, op. cit., pag. 110.
(5) Un esempio di tale suo metodo concordistico lo si ha nei suoi articoli raccolti nei due volumi:
Le moi et son destin e La Philosophie française entre Its deux guerres.

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logico è che « le interpretazioni che paiono contraddirsi si co


rispondono in uno stesso orizzonte impregnato della medes
spettive più o meno penetranti » (i). In forza di questo prin
dubita ad assimilare nel suo sistema filosofico le dottrine p
contrastanti, e - per dirla con De Waelhens (2) - « scopr
senso accettabile in affermazioni quasi contraddittorie ». Idealis
positivismo ed esistenzialismo sono conciliati e assorbiti in u
li accoglie tutti senza identificarsi con nessuno di essi.
La filosofia antica, la filosofia moderna e contemporane
Aristotele, Platone e Descartes, Spinoza, Fichte, Leibniz, Ma
anche Maine de Biran, Bergson, Lachelier, Blondel, Laberth
Lavelle seguiti, studiati, analizzati, smussati nei caratteri che
procamente inconciliabili e infine sono assimilati nel suo sist
mini, il sistema di Lavelle si presenta come un massiccio edif
abile architetto, ha saputo costruire utilizzando i massi di pi
filosofia (antica, moderna e contemporanea), nei suoi espone
sentativi, gli metteva a disposizione, squadrandoli, livelland
di ogni angolosità, e infine disponendoli secondo una linea
unitaria, che è tutta propria di Lavelle.
Lavelle è sulla linea di quel « realismo o positivismo spiri
cese preconizzato da Ravaisson (3), che ha la sua fonte rem
Pascal, Malebranche e Leibniz, e la sua fonte prossima in M
rappresentanti (4) lottano per salvare l'autonomia della vita d
cano di superare i molteplici aspetti del positivismo empirist
delle sintesi sperimentalmente e integralmente spiritualiste
vita, assumono - ritenendo indissolubili l'aspetto metafisico
logico - come punto di partenza della speculazione filosofic
riore - concepita come attività di coscienza - e preconiz
dell'osservazione interna (5).
Quindi da una parte, accostandosi specialmente alla filos
dell'ultimo periodo (6) e restando fedele alla dottrina spinozi
dell'essere, Lavelle cerca di inverarne le esigenze e di evita
panteistico mediante una dottrina della partecipazione dinam

(1) La Conscience de soi (cap. IV), pag. 80.


(2) Une philosophie de la participation , in « Rev. néoscolastique de philo
pag. 228.
(3) Secondo Ravaisson il carattere generale della filosofia futura sarà « la prédominance de ce qu'on
pourrait appeller un réalisme ou positivisme spiritualiste , ayant pour principe générateur la conscience
que l'esprit prend en lui-même d'une existence dont il reconnaît que toute autre existence dérive et
dépent, et qui n'est autre que son action ». Rapport sur la philosophie en France au XIXe siecle , Paris,
1867 (Citazione dalla 4* edizione, Paris, Hachette, 1895, Pa5- 275)-
(4) F. Ravaisson, J. Lachelier, E. Boutroux, H. Bergson.
(5) Cfr. J. Benrubi, op. cit., t. II, pagg. 545-548.
(6) Fichte nell'ultimo periodo concepisce l'Io spinozianamente come l'Essere, il quale non è dedotto
dalla coscienza, ma la fonda. Questo Essere è Dio, il quale si manifesta nell'esistenza senza cessare di
essere l'Essere; così si spiega la diversità degli esseri e delle cose. Cfr. Delbos, Le problème moral dans
la philosophie de Spinoza et dans l'histoire du spino z isme, Paris, Alean, 1893, pag. 258.

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la quale salvaguardi l'individualità degli esseri e la trascendenza dell'Essere


puro. Dall'altra parte, promotore di una metafisica spiritualistica, accetta da
M. de Biran - che da Cousin fu detto il Fichte francese - la coscienza, l'espe-
rienza interiore come il fatto piimitivo e il suo volontarismo attivistico (i);
da Ravaisson la riflessione come il vero metodo filosofico, al quale collaborano
tutte le nostre forze, il cuore e la ragione, il sentimento e l'intelligenza; da
Lachelier lo spiritualismo volontaristico - che non vuole essere irraziona-
lismo (2); da Bergson l'intuizione come conoscenza dell'essere e dell'assoluto,
come « un atto di attenzione e di amore che ci permette di penetrare al cuore
degli esseri e delle cose » (3).
###

Prima d'inoltrarci nell'esposizione delle linee architettoniche del sistema


lavelliano crediamo indispensabile riassumere brevemente la concezione lavel-
liana della metafisica.
La metafisica - secondo Lavelle - si pone come ricerca dell'assoluto
nella propria intimità spirituale, anzi, come esperienza dell'assoluto, e quindi
come psicologia. « Cercare l'assoluto in sè e non fuori di sè - egli scrive -
nell'esperienza più intima, più profonda e più personale, ma un assoluto al
quale noi non facciamo che partecipare...; rilevare la dignità di una psicologia
che una certa scienza e una certa metafisica ci hanno insegnato a disprez-
zare... : tali sono le esigenze del pensiero francese alle quali vogliamo restare
fedeli » (4).
Poste queste premesse programmatiche - che poi sono sempre nell'ambito
del neospiritualismo francese - ci sarà facile individuare la concezione lavel-
liana della metafisica.
La parola metafisica - afferma Lavelle - eccita nella maggior parte dei
filosofi una singolare diffidenza perchè si crede che quella parola designi una
ricerca il cui oggetto è posto al di là del mondo fisico, ed è quindi fuori di
ogni specie di conoscenza. Tale è l'argomento decisivo addotto in ogni tempo
contro la possibilità della metafisica: il positivismo, il relativismo e lo scet-
ticismo ce l'attestano. Si suole dire : là dove i sensi non controllano, la ragione
opera a vuoto, e, rifugiandosi nell'astrazione, costruisce castelli di carta che
il minimo soffio di vita butterà giù (5).
Dinanzi a questi pregiudizi antimetafisici, Lavelle, anziché esaminare in
radice il problema ed osservare se di fatto - storicamente - esso sia stato
impostato nei termini voluti dagli antimetafisici, si limita a rivendicare il
fatto (presupposto, ma non dedotto) che la realtà fisica non esaurisce tutto
il reale, che non ogni esperienza è esperienza sensibile, e che, se i sensi si

(1) La Philosophie française etc., pa gg. 68-72.


(2) Op. cit., pagg. 79-84.
(3) Op. cit., pag g. 96-97.
(4) Dalla lezione inaugurale tenuta al Collège de France il 2 dicembre 1941 ; cfr. G. Truc, De
/. P. Sartre à L. Lavelle ou Désagrégation et Réintégration , Tissot, Paris, 1946, pag. 199.
(5) La métaphisique ou la science de l'intimité spirituelle , in «Revue intern, de philosophie»,
octobre 1939, pag. 43.

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limitano alla conoscenza fenomenica delle cose, c'è in noi un


interiore, spirituale - e veramente metafisica - la quale è ca
a contatto diretto con l'essere stesso. Cioè Lavelle avalla la tesi c
metafisico è stato posto storicamente (ma non documenta quest
il problema della conoscenza di un ipotetico mondo reale al
delle apparenze - che poi è il vero mondo nel quale viviamo
La metafisica, in altri termini, nel senso usuale della pa
essere una ricerca che ha la pretesa di oltrepassare la realt
presenta per raggiungere la realtà quale è in sè; l'essere diet
l'assoluto dietro il relativo. Questa - sostiene Lavelle (i) - è
métaphysique », sempre denunziata e sempre risorgente. La
ralmente (dopo Kant) sarebbe venuta da coloro che intraved
contraddizione nell'ammettere che la conoscenza deve adegua
è in sè, mentre, di fatto, la realtà non può essere conosciuta se
relazione con un soggetto, cioè se non è un'apparenza o un
costitutivamente (per essenza) relazione « con un essere per
mente essa è una cosa » : questo essere per un altro fa dell
Per Lavelle è un punto fermo ed indiscusso che, se l'essere è
si può avere nessun contatto con lui, e quindi nemmeno nes
anzi nemmeno si potrebbe avere relazioni con gli altri esser
Il problema metafisico quindi non deve essere posto fuori de
una realtà che prescinda o trascenda totalmente l'esperienza, m
nare « verso un'interiorità, cioè verso un atto di coscienza
sorgente senza la quale non ci sarebbe nessun oggetto sensib
bile » (3). L'essere è sempre soggettivo , e la metafisica ha pe
rito, è « la scienza dello spirito » (4), perchè essa coglie l'es
l'apparenza e del concetto, non però l'essere al di fuori della
in quanto è un atto « en train de se faire », costitutivo della no
fuori del quale questa non sarebbe che « un sogno frivolo
te » (5). Volerlo o no noi viviamo sempre in un mondo puram
perchè « il vero essere è sempre soggettivo in se come in
compito della metafisica non può essere che « l'approfondissem
tivité » (6).
Ma - possiamo chiederci - su che cosa si fonda questa concezione lavel-
liana della realtà come soggettiva? Su un fatto d'introspezione o, almeno,

(1) Art. cit., pag. 43.


(2) Tutti gli esseri - afferma Lavelle - sarebbero come isole che s'ignorano perchè non sarebbero
a contatto con l'Essere. Invece, se sono immersi nello stesso essere (univocità), si spiegano le relazioni
vicendevoli. Cfr. Analyse de l'Etre et Dissociation de l'essence et' de l'existence , in « Rev. de mét.
et de mor. », juillet-octobre 1947, pag. 205.
(3) Remarques sur le thème: Légitimité et signification de la métaphysique , in « Les Etudes phi-
losophiques », avril 1938» pag. 46. Nell'ultima opera ( Les Puissances du Mot) Lavelle si è andato sem-
pre più consolidando nei suoi pregiudizi contro l'oggettività dell'essere, minacciando di dissolvere ogni
consistenza ontologica nell'atto di coscienza.
(4) Art. cit., pagg. 60 e 61.
(5) Art. cit., pag. 64.
(6) De l'Acte , pagg. 129-130.

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creduto tale. Noi viviamo in un mondo soggettivo - dice Lavelle - e il


mondo così detto esteriore non è che uno spettacolo, un apparenza. Difatti
- ed è l'unica prova posta per exclusionem - « quale altro essere di fatto
noi potremmo conoscere se non questo essere che è noi stessi? » E ancora:
« nel corso della mia vita io non saprei dunque avere altra esperienza del-
l'essere che nell'essere che io sono » (i).
Questa coscienza di sè è una prima esperienza metafisica che, facendoci
penetrare au dedans di noi stessi, ci fa penetrare anche au dedans dell'uni-
verso. Cioè l'approfondimento e l'estensione dell'esperienza che noi abbiamo
di noi stessi - ed esperienza personale non significa esperienza separata -
ci permette di acquistare « un'esperienza interna e progressiva di tutto il
reale », come è evidente nell'arte che ci permette la presenza delle cose, nel-
l'amore che ci rende presente l'intimità di un'altra persona, nella mistica che
permette la presenza intima della stessa potenza creatrice (2).
L'esperienza metafisica è quindi un'esperienza dell'essere, ma un'espe-
rienza alla quale tutto l'uomo (con la sua intelligenza, con la sua volontà,
con i suoi sentimenti) contribuisce, un'esperienza tuffata nella vita perchè la
vita è arricchimento ontologico (3). È un'esperienza univoca sottesa dall'uni-
vocità stessa dell'essere : « c'est la continuité et l'unité de cette expérience qui
ne doit ni se morceler, ni s'interrompre, que nous exprimons en disant que
l'Etre est univoque » (4).
Questa esperienza dell'essere quindi è l'esperienza di « una presenza »,
la presenza dell'Essere (assoluto) in tutte « le forme particolari » del reale, ed
è un'esperienza interiore, analoga - come abbiamo visto - all'arte, all'amore,
alla mistica, anzi è essa stessa « una mistica sperimentale » (5).

# # #

L'istanza metodologica, quando raccoglie le aspirazioni di un'epoca, do-


mina incontestabilmente tutto il movimento intellettuale che quell'istanza
vuole inverare e concretizzare. La filosofia in modo particolare si radica nella
metodologia, dalla cui linearità - cartesianamente, chiarezza e distinzione -
o sinuosità dipende la soluzione dei diversi problemi, primo fra tutti - il
problema centrale della filosofia - il problema metafisico. Presso ogni filosofo
la solidarietà della dottrina e del metodo è intima, e ciò - si badi - anche
in quei sistemi filosofici che vogliono essere asistematici (venia alla contradicùo

(1) Epitome Metaphisicae spirituali*, in « Giornale di metafisica », luglio-settembre 1947, pag. 401.
(2) Le moi et son destin , pagg. 26-27.
(3) Lavelle ammira in Bergson il tentativo di fissare nei tratti essenziali questa esperienza meta-
fisica con la sua « filosofia del tempo », la quale sostituisce alla concezione solita di un tempo negativo
- come segno dell'insufficienza essenziale delle cose - la concezione di « una durata positiva » che
porta ad un arricchimento ontologico. Quindi Bergson ha avuto il merito di avere opposto una nuova
concezione metafisica a quella tradizionale perchè afferma che possiamo cogliere la vera realtà, non al
di là del divenire, ma « nel flusso della nostra vita interiore ». La metafisica allora è « l'esperienza della
durata creatrice » e, mediante l'intuizione, coglie nelle cose anche materiali la loro partecipazione alla
spiritualità, cioè alla divinità. Op. cit., pagg. 27-36.
(4) Etre et Acte , in riv. cit., pag. 197.
(5) De l'Etre , 3a ediz., pag. 45; Le moi et son destin , pagg. 55 e 58.

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in terminisi) e ametodologici per partito preso - come nell


L'asistematicità - l'esistematicità dell'esistenza - è già un
implica una metodologia - la metodologia ametodologica de
creta, dell 'Erlebnis esistenziale, della vita libera dalle pasto
aprioristici.
Ogni metodologia ha i suoi precedenti storici che l'hanno determinata
- diremmo quasi partorita - ed è opera dello storico della filosofia indivi-
duarne i rapporti e gli influssi. Spinoza - per usare di una esemplificazione
ormai nota - richiama Descartes, ma Descartes a sua volta non è un'isola
che emerge insospettata dal gran mare della storia. Vogliamo dire - e così
chiudiamo la digressione - che alcune premesse dottrinarie spesso sono accet-
tate perchè ereditate, ma spesso sono poste come reazione a una tradizione di
pensiero. Nell'uno e nell'altro caso quasi sempre non sono mediate.
È quanto è avvenuto per la nuova metodologia, l'esperienza metafisica,
che - magari a forza di gomitate - vuole farsi strada nel mondo della filo-
sofia, anzi pretende di porsi come l'ultima istanza metodologica capace di
enucleare tutte le esigenze del pensiero filosofico - ab ortu usque ad occasum
- e di soddisfarle. Forse per questo Bergson si è chiesto se la via che M. de
Biran ha aperto « non è quella per la quale la metafisica dovrà procedere
definitivamente » (i).
Anche Lavelle non dubita che questa sia la via definitiva, e non solo ha
aderito alla « scienza dello spirito » - che Lachelier concepiva come stretta
riversibilità di metafisica e di psicologia - ma l'ha voluto innervare di una
robusta ontologia che potesse impedire alla metafisica di diluirsi in senti-
mento - evanescente quindi e precario. L'istanza metodologica quindi è
ereditata da Lavelle, ma a lui spetta il merito di avere capito la necessità di
fondarla su solida base - la base dell'essere - per evitare pericolosi sbanda-
menti, e di averne fatto gli assaggi.
Non ci stupiremo allora se egli afferma di aver posto a fondamento di
tutta la sua speculazione la nozione di essere « non solo perchè tutte le altre
la presuppongono, ma perchè è un principio di indefinita fecondità... » (2) e
se ha cercato di trovare proprio sulla base dell'essere un appianamento e una
conciliazione di sistemi filosofici ritenuti antitetici. L'idealismo, che riduce
tutto il mondo esterno ad un insieme di rappresentazioni, e il realismo, che
invece l'oggetti vizza, avrebbero potuto trovare - secondo Lavelle - un prin-
cipio comune già implicito in essi nella nozione di essere, che li avrebbe fon-
dati e giustificati entrambi se essi avessero capito che il pensiero è sotteso
dall'essere (contro l'idealismo) e che l'essere non è oggettivo se non è in rela-
zione con un soggetto (contro il realismo).
Un'istanza metodologica nuova quindi quella àûY esperienza metafisica,
che sorge come reazione a una metodologia (idealistica e realistica) errata -
o, comunque, ritenuta tale. Ma ogni reazione - dicevamo prima - introduce

(1) La Philosophie , in « La science française », Paris, Larousse, 1915, pag. 15.


(2) La Dialectique du monde sensible , pag. XLIV.

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delle premesse accettate quasi sempre senza mediazione, forse sotto la penosa
impressione della bancarotta di una metodologia precedente. È il caso di La-
velle, e, in genere, del positivismo spiritualistico, che viene dopo Kant e l'idea-
lismo. L'essere palpita nella vita stessa, vive nel cuore stesso dell'io, il quale
non sarebbe se non fosse sotteso dall'essere. Ecco dunque l'esperienza meta-
fisica, fondamento unico dell'ontologia. E - l'abbiamo visto - l'esperienza
(pur nella varietà delle sue forme) è sempre esperienza dell'essere, è univoca.
L'istanza metodologica ha dunque segnata la via da seguire all'ontologia.
Lavelle infatti concepisce l'essere eleaticamente uno, ma - come Spinoza,
e ancor più di Spinoza - non tale che escluda ogni movimento reale e ogni
causalità.
11 primato e l'universalità dell'essere sono indiscussi e d'immediata evi-
denza. L'essere è « le terme premier » perchè ogni altro termine lo suppone
e lo limita - esprimendolo. Nulla è fuori dell'essere e le relazioni non lo
pongono ma lo suppongono: ogni relazione è interna all'essere (i). L'essere
contiene tutto il reale - il reale e l'apparente, l'intelligibile e il sensibile, l'atto
e il dato, il vero e l'illusorio (2), il possibile e il necessario (3) - . Anche il
possibile, che spesso sarebbe stato interpretato come « un'essenza intermedia »
tra il niente e l'essere - quasi a mezzo cammino tra i due estremi - dimen-
ticando che tra il niente e l'essere vi è un abisso incolmabile, che nessun ter-
mine medio vale a varcare.
L'essere si pone in modo assoluto - l'essere e - e non è concepibile una
genesi dell'essere, perchè, in tal caso, da che cosa potrebbe scaturire l'essere
se non da un quid che non fosse essere, cioè dal niente? Ma un quid-niente
si enunzia già nei termini come contraddittorio. Difatti, perchè dal niente
- evidentemente, dal niente causa materiale, diremmo noi scolasticamente -
potesse balzare l'essere, bisognerebbe che il niente fosse , bisognerebbe cioè
dotarlo almeno di una specie di « essere privativo » che si opporrebbe, dia- -
Idricamente, al secondo termine - l'essere positivo - nel seno stesso dell'es-
sere totale.
Ma una genesi dell'essere dal niente è impossibile, primo perchè per porre
il niente bisogna presupporre un soggetto - l'essere, quindi, inevitabilmente -
che lo pone; in secondo luogo perchè una durata, sia pure ideale, deve essere
supposta nel passaggio dal niente all'essere, durata che è pure una forma
dell'essere (4).
Però il fondamento dell'estensione universale dell'essere - secondo La-
velle - sta nella sua comprensione univoca. « L'être est univoque comme il
est universel », e quindi « si tout est présent en lui (universalità), il faut aussi
qu'il soit partout présent tout entier (comprensione) » (5).
L'essere è univoco perchè la differenza tra i suoi modi (come tra il pos-

(1) De l'Etre , 3a ediz., pa gg. 39-40.


(2) Op. cit., pagg. 55-57.
(3) Op. cit., pagg. 57-59.
(4) Op. cit., pagg. 40-41.
(5) Op. cit., pag. 75.

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sibile c il realizzato) non tocca l'essere di questi modi. Cioè l


i modi dell'essere riguardano solo « l'analisi del suo contenut
sere di questo contenuto » (i).
L'istanza spinoziana, evidentemente, è ereditata da Lavelle
all'unità assoluta dell'essere di tutte le distinzioni e le opposiz
senza distruggerle. L'implicanza, deduttivamente, di ogni al
l'unità essenziale della nozione di essere come sue proprietà
sistema lavelliano - come di quello spinoziano. La nozione de
diviene il centro di un sistema che in tutte le sue parti dipende
da essa.
In relazione all'essere, dunque, la differenza tra i caratte
caratteri accidentali non è discriminatrice dell'essere stesso
sere) perchè essi ugualmente si radicano nell'essere, che
l'essere non può avere nemmeno un ruolo attributivo, che im
cessariamente una differenziazione ontologica (contro l'uni
bisogna ritenere che le diverse relazioni e qualità diversifi
« forme particolari » dell'essere, e non l'essere stesso (3).
L'universalità e l'univocità dell'essere non devono far credere che esso
sia astratto, che per Lavelle è sinonimo di vuoto , sterile. Egli mette immedia-
tamente in guardia a non confondere la sua ontologia con una certa ontologia
(quella classica, evidentemente) che concepisce l'essere come « una pura ma-
teria logica alla quale le qualità verrebbero misteriosamente a congiungersi
per permettergli di esistere realmente » (4). L'essere - ribadisce Lavelle (non
sapremmo contro di chi; non certamente contro la metafisica classica che non
ha mai blaterato simili sacrileghe affermazioni) - non è un genere, non è
una classe, non è nemmeno una qualità, ma è una sintesi di qualità, anzi è
« la synthèse totale récélant en elle l'infini » (5), che fa apparire le qualità
come « il fascio {la gerbé) degli aspetti particolari e complementari con i quali
esso rivela la sua infinita ricchezza agli occhi di una coscienza finita » (6).
L'univocità dell'essere, così intesa, non è la più astratta delle nozioni,
ma è la sorgente di ogni determinazione e della concretezza delle cose me-
diante l' analisi, che è l'unico modo di conoscenza dell'essere, ma - si noti -
non è logica, ma costitutiva della nostra stessa individualità. Inizialmente la
presenza dell'essere negli esseri è colta da xm" esperienza confusa, la quale
perciò deve essere analizzata. È realizzandoci (nella partecipazione all'Essere
puro) - vuole dire Lavelle - che l'esperienza confusa iniziale dell'Essere
« troverà la sua spiegazione e il suo compimento » (7). La vita dell'uomo è
« une esxploration de l'Etre », nel quale « il nostro io inscrive la sua esistenza »

(1) Introduction à l'Ontologie , pagg. 10 e 13 (nota); De l'Etre , 3a ed., pag. 75 (nota).


(2) De l'Etre , 3a ediz., pagg. 157-158.
(3) Op. cit., pagg. 153-156.
(4) Op. cit., pag. 263.
(5) Op. cit., pag. 103.
(6) Op. cit., pag. 263.
(7) La Présence totale, pag. 33.

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senza poterlo esaurire, ma limitandosi a « una prospettiva » originale su di


esso, costitutiva della sua stessa individualità (i), in una dialettica (partecipa-
zionistica) che non può avere mai termine.

##*

Dopo un'analisi accurata di tutte le opere di Lavelle fino al De


s'impone legittimamente un'indagine sui motivi che hanno determ
velle a sviluppare la nozione di essere fino ad un attualismo puro.
niamo che un tale sviluppo non si presenta con il carattere di rad
vazione, ma affonda le sue radici nella stessa ontologia lavelliana. L
lismo lavelliano doveva necessariaménte chiarirsi ed esplicitarsi in
per evitare l'acosmismo del sostanzialismo spinoziano e quindi per
la molteplicità e l'individualità degli esseri con le esigenze della sua
monistica. Lo spiritualismo si propone come attualismo per dare
una teoria della partecipazione degli esseri finiti ad uno Spirito (A
universale, sovrano, assoluto, senza che ciò implichi una rinunzia
messe (spinoziane) dell'univocità dell'essere.
In altri termini, è l'istanza dell'attivismo fichtiano e del volo
biraniano che Lavelle cerca d'inverare in un attualismo che, senza
il monismo spinoziano, sappia articolarlo e dargli vita, depurand
scorie del sostanzialismo : l'Essere come Atto puro, più che - fichti
come Azione infinita (concezione questa non scevra dall'accusa di
e quindi di sostanzialismo), che fondi l'esistenza degli esseri finiti
anch'essi come atti, dinamicamente partecipanti all'Atto puro. Con
zione di un principio attivo, eterno e diffuso nel tempo, nello spa
materia, « armatura di tutte le cose e nello stesso tempo ad esse trasce
che foggia queste cose dal di dentro e senza sottometterle ad un
esterno » (2), Lavelle risale all'Atto puro quale origine comune di
reale, e così può giungere « non ad una metafisica fondata sull'id
stanza, intesa come sostegno delle forme fluenti dell'essere, term
che la mente non riesce a cogliere, oggetto di un'ipotesi non ver
il cui rapporto coi fenomeni non può essere mai conosciuto; ben
metafisica che sostituisce all'idolo di un assoluto-oggetto o di un as
la purezza immateriale di un assoluto-atto » (3).

(1) De l'Acte , pag. 42. Lavalle, evidentemente, è sulla linea di Renouvier, e spec
Hamelin, che egli vuole radicare in una salda ontologia per evitare di ricadere nel deprecato
mentre vuole realizzare un'identificazione di analisi psicologica e di sintesi metafisica, ch
è rimasta allo stato di mero integramento reciproco con il predominio del metodo sinte
Lavelle invece l'analisi è « l'instrument fondamental de toute méthode ontologique » perc
appartiene solo al tutto, il soggetto finito non lo può conoscere che analizzandone le
- come espressioni dell'Essere totale - si distinguono e si oppongono tra loro. Cfr. De l'E
pag. 169. Perciò Lavelle non dubita di affermare che « il movimento creatore dello spirit
e non una sintesi, perchè si deve necessariamente andare da un'intelligibilità pura e inc
un'intelligibilità finita e divisa ». La Dialectique du monde sensible , pag. 50.
(2) G. Truc, op. cit., pag. 138.
(3) E. Morselli, Verso una nuova metafisica ?, in « Rivista di filosofia », ottobre-dice
34°-

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Con il suo attualismo Lavelle intende opporsi ad ogni m


rialista o idealista, pur conciliandone le esigenze fondament
nelle loro posizioni esclusiviste che determinano nelle due
siero un'antitesi irriducibile: riduzione della realtà alla mat
spirito, se non si giunge - cartesianamente - a un sosta
stico (i).
Ora, secondo Lavelle, il problema, così posto, è ma! posto. Difatti il mate-
rialismo parte dal presupposto che tutta la realtà sia data, e quindi nega
l'esistenza dello spirito il quale non è mai dato . Lo spiritualismo invece, ne-
gando che ogni realtà sia una realtà data, cioè materiale, sostanzializza lo
spirito a somiglianza della sostanza materiale, dalla quale lo distingue. Ne
fa quindi una cosa, di cui non sa dire altro che è immateriale, dando luogo
ad un insostenibile dualismo.
Lavelle nega al materialismo la riducibilità di tutto il reale alla materia,
e al dualismo che lo spirito possa essere inteso come sostanza. In altri termini
egli, pur nell'antitesi decisamente inconciliabile delle due filosofie, vede un
atteggiamento speculativo univoco : lo spiritualismo non fa che adeguarsi alla
concezione materialistica sostanzializzando lo spirito. Secondo Lavelle invece
non si può sostanzializzare la materia, la quale non è che un fenomeno, tanto
meno si può sostanzializzare lo spirito il quale è un atto, e mai una cosa (2).
L'errore fondamentale del sostanzialismo materialistico e del sostanzialismo
dualistico è un errore di metodo, per aver esorbitato dai limiti dell'esperienza
(interna) (3).
Secondo Lavelle l'esperienza che noi abbiamo della coscienza legittima
la seguente conclusione : « che ogni realtà data è materiale, e che lo spirito
è l'atto della coscienza con il quale ogni realtà è data, ma che non può esso
stesso essere dato ». In altri termini « non c'è mai una realtà data (o materia),
ma è l'atto che ce la dà, sia che questa realtà preesista a questo atto stesso
(realismo), sia che ne proceda come l'espressione o della sua potenza (idea-
lismo) o della sua limitazióne (teoria di Lavelle) ». In tutti i modi Lavelie
crede che sia il realismo come l'idealismo dovrebbero accettare la definizione
dello spirito come atto. All'obiezione - legittima contro ogni fenomenismo
attivistico - che per agire bisogna essere, che è l'essere che agisce, e quindi
lo spirito non può essere concepito come atto ma l'atto è solo l'operazione
propria dello spirito, Lavelle risponde che concepire l'atto come semplice
prodotto dell'essere « è concepire ogni realtà sul modello di una cosa, è riget-
tare la testimonianza dell'esperienza che ci mostra in ogni cosa l'effetto di
un atto che la rappresenta, che la crea o che la modifica » (4).

(1) Epitome Metaphysicae spirituali* , in riv. cit., pag. 397.


(2) Art. cit. , pag. 408.
(3) Lavelle muove la stessa critica che M. de Biran muoveva a tutta la filosofii moderna - e in
particolare a Descartes - incriminandola di trascurare l'esperienza interna, per rappresentare l'oggetto
sul modello dell'esperienza delle cose esteriori, senza capire che questa seconda esperienza non è pos-
sibile senza la prima. Ed è noto che M. d Biran vede nel sostanzialismo cartesiano il principio del mate-
rialismo del sec. XVIII perchè la sostanza spirituale, quale è concepita da Descartes, è troppo poco
differente dalla sostanza materiale per non essere a questa assimilata.
(4) Art. cit., pagg. 397-398.

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L'atto non è una proprietà dell'essere, anzi ne è la radice, è il « fonda-


mento » di tutto il reale, « la raison d'être », ragione sufficiente ed esclu-
siva illuminante l'essere, « la luce che illumina tutto ciò che esiste nel mon-
do » (i). L'operazione non è « une suite de l'être », secondo l'aforisma antico
« operario sequitur esse », e tanto meno l'essere è il sostegno dell'atto, perchè
rapportare l'atto a un sostegno dal quale differisce significa « fondare l'inte-
riorità sull'esteriorità » - pretesa, questa, del materialismo.
L'atto al contrario è « la démarche intérieure par laquelle il (l'essere)
est en même temps qu'il se fait », cioè « l'être-lui-même n'est rien de plus
cooperation, c'est-à-dire efficacité » (2). L'essere, in definitiva, è concepito
da Lavelle - bergonianamente, subendo anch'egli quell'influsso sottile che
egli denunziava, con simpatia, come dovuto al fascino che Bergson ha eser-
citato sugli uomini della sua generazione (3) - come un agire, un agire senza
patire, un farsi , un'unità realizzantesi (e quindi dinamica), non un'unità posta
(statica) (4).
###

L'attualismo lavelliano - l'abbiamo notato - è un'esigenza dell'onto-


logia stessa, per dare la possibilità a questa di articolarsi nella molteplicità
degli esseri particolari (senza rompere l'unità ontologica), e quindi evitare
il pericolo dell'acosmismo spinoziano. Appunto in funzione di questa esi-
genza l'Essere totale - identificato sotto il duplice aspetto di pensiero univer-
sale (con Descartes) e di volontà infinita (con M. de Biran) - viene posto
da Lavelle come il fondamento della possibilità della partecipazione, la quale
noi realizziamo nella misura in cui noi stessi siamo « un essere che pensa e
che vuole », cioè nella misura in cui noi siamo causa di noi (5). Difatti secondo
Lavelle l'atto di coscienza è una riflessione verso « le dedans », con la quale
noi ci diamo l'essere. Ma questo atto, che fonda la nostra esistenza e ci costi-
tuisce come persona, è partecipato da « una fonte di efficacità sempre presente
e che non viene mai meno », cioè dall'assoluto.
La partecipazione ha, il compito di « mettere in rapporto l'essere con
l'Essere, o l'atto che ci è proprio con l'Atto Infinito », ossia essa è « un accesso
nell'essere la cui rivelazione è sempre data e sempre nuova », essa « ci unisce
a un Essere vivente e concreto di cui noi riconosciamo dovunque la presenza,
con il quale noi formiamo società e stabiliamo dei legami di amicizia » (6).
Questa realtà comune a tutti gli esseri individuali è « l'unità della sorgente
nella quale essi attingono ciò che li fa essere, e che loro permette di compren-
dersi e di arricchirsi indefinitivamene gli uni con gli altri » (7). L'Essere

(1) De l'Acte , pagg. 61 e 63.


(2) Op. cit., pagg. 67.68. Il sottolineato è nostro.
(3) La Philosophie française etc., pag. 90.
(4) De l'Acte , pagg. 217 c 377.
(5) Op. at.f pag. 50.
(6) Op. cit., pag. 338.
(7) Op. cit., pag. 339.

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totale è « la nostra aria e il nostro mare », « noi agiamo in lu


con lui » (i), e, nella realizzazione di questa « unità vivente
tizziamo e facciamo nostro di lui - che pur ci è presente
un aspetto o una prospettiva limitata, e ciò, naturalmente,
un possesso statico.
S'impone a questo punto il problema della genesi degl
sere, problema arduo specialmente in un'ontologia che è per
l'essere.
Lavelle vede nell'opposizione - nel sene dell'Atto puro - dell'atto crea-
tore (spontaneo) e dell'atto riflessivo (di partecipazione) la condizione della
possibilità delle coscienze individuali. L'atto riflessivo è costitutivo della co-
scienza (individuale), e quindi ha un carattere ontologico - come esplici-
tamente Lavelle afferma in risposta ad un'obiezione di J. Nabert in una rela-
zione tenuta alla Società francese di filosofia (Séance du 23 mai 1936) (2).
L'atto riflessivo realizza la partecipazione degli esseri all'Atto puro, non è
che l'atto di partecipazione, « la messa in opera della partecipazione », e
quindi perchè costitutivo della mia individualità, è « un primo comincia-
mento, una creazione assoluta riguardo a me, ma che non è che una appro-
priazione di una potenza già inclusa nel reale, e che io cerco soltanto di
ritrovare per renderla mia » (3). E, ancor più chiaramente: « la riflessione
ci permette di prendere possesso di un principio che è sempre presente (l'Atto
puro), che ci è, per così dire, immanente; è il ritorno dell'attività su se stessa
con cui questa attività prende coscienza della sua vera natura », che è una
natura eminentemente feconda e creatrice (sempre però partecipata) per cui
coopera con Dio alla creazione senza posa del mondo (4).
Quindi l'atto riflessivo non ha una priorità assoluta (come per l'idealismo),
ma una priorità relativa (in relazione alla mia individualità da quell'atto costi-
tuita) perchè è un atto di partecipazione. Naturalmente il monismo lavelliano
non può ammettere nessuna differenza - e distinzione - tra l'atto riflessivo
di partecipazione e l'atto creatore partecipato. Il primo è l'atto creatore stesso,
e « cambiando il nome, non cambia la natura ». Se l'atto creatore è un aller
(spontaneità), l'atto riflessivo è un retour che mi permette « d'inscrivere nel-
l'essere totale il mio essere partecipato » (5).
La dialettica della partecipazione si realizza mediante tutte le facoltà.
Lavelle - inverando nella metafìsica la psicologia biraniana - interpreta le
diverse funzioni (sensibilità, intelletto, volontà, amore) come mezzi che ren-
dono possibile la partecipazione perchè determinano un rapporto fra l'io e
l'Essere totale senza che la loro diversità rompa l'unità che la sottende. La
partecipazione si realizza pienamente con le facoltà superiori, specialmente

(!) Op. cit., pag. 345.


(2) Acte réflexif et Acte créateur, in « Bulletin de la Société française de philosophie », juillet-
septembre 1936, pag. 163.
(3) De l'Acte, pagg. 32-33.
(4) °P- nt > PaS- 36-
(5) Acte réflexif et Acte créateur , in riv. cit., pag. 152.

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con la volontà, ehe è creatrice e continua l'opera di Dio (i). L'Atto puro -
che è l'atto che, volendosi, si autocrea eternamente - ci permette, mediante
la volontà, di « creare noi stessi mediante l'atto costitutivo della coscienza » (2).
La dissociazione di intelletto e di volontà - condizione della partecipazione,
pur restando unico l'atto delle due funzioni - è abolita dall'amore, il quale
è capace di stabilire nell'essere una sintesi di volontà e di intelligenza. Difatti
non si può volere ciò che si pensa senza amarlo nello stesso tempo. In questo
senso l'amore « mette in moto » la volontà (3), mentre, per sè, anche l'amore
- come l'intelligenza - procede dalla volontà (4). Questa sintesi di intelli-
genza e di volontà, operata dall'amore, fa della coscienza (individuale) « una
espressione e un'immagine dell'unità dell'Atto puro » (5).
La filosofia lavelliana della partecipazione non può trascurare l'annosa
questione dell'atto e della potenza, dell'esistenza e dell'essenza. Ma l'impo-
stazione metafisica di essa deve portare logicamente a un'incomprensione e a
una svalutazione della dottrina aristotelico-tomistica (6). Bisogna - secondo
Lavelle - capovolgere il rapporto classico di essenza e di esistenza, il quale
dava il primato all'essenza fondandosi sul pregiudizio che bisogna sapere che
cosa io sono prima di sapere se io sono. Ora, ciò è impossibile perchè non
posso conoscere che cosa io sono se non nell'esperienza che mi rivela previa-
mente che io esisto. Perciò - e siamo in piena dottrina lavelliana - « l'esi-
stenza è, se si vuole, questa attitudine reale e anche attuale che io possiedo
di dare a me stesso la mia essenza con un atto che dipende da me compiere.
Tale è il solo mezzo che io ho di concepire l'inserzione del mio essere parti-
colare nell'essere totale : questa inserzione è mia opera, che mi obbliga, invece
di considerare la mia essenza come una realtà già formata, che bisognerebbe
poi, non si sa perchè, far discendere nell'esistenza, a considerarla al contrario
come il fine che io devo produrre e per il quale l'esistenza mi è data » (7).
Nella concezione lavelliana l'essenza si identifica con l'Atto puro stesso,
non è altro che la possibilità indeterittinata di questi, che gli esseri particolari
devono determinare attualizzandola nella partecipazione - e quindi nella
propria esistenza. Lavelle - scrive Gonzales Alvarez (8) - va alla conquista
esistenziale dell'essenza, e in questa conquista è impegnata la libertà, cioè
la scelta, che è uno dei problemi centrali dell'esistenzialismo. La scelta secondo
Lavelle è determinata dal valore, il quale « è mediatore tra la possibilità e

(1) De l'Acte, pag. 437.


(2) Op. cit., pag. 473.
(3) Op. cit., pag. 445.
(4) Op. cit., pagg. 473-479.
(5) Op. cit., pag. 445.
(6) Secondo Lavelle la teoria classica della potenza sembra « una spiegazione astratta e puramente
nominale », la parola potenza è diventata « une idole verbale » e a poco a poco è caduta in discredito
perchè insignificante. Difatti nella concezione classica - secondo Lavelle - quando una cosa è in
potenza , è « insaisissable et indéterminable », quando invece si cerca di concretizzarla e di determinarla
non è che « un double virtuel et incerte de la chose elle-même, et qui a encore besoin de secours
extérieurs pour être réalisé ». Op. cit., pag. 271.
(7) Op. cit., pag. 95.
(8) El tema de Dios en la filosofia existencial , Madrid 1945, pag. 139.

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l'attualità », c senza di esso « il passaggio dall'una all'altra non si


mai » (i).
Evidentemente per la metafisica monistica lavelliana il problema fonda-
mentale dell'esistenza non è il problema della relazione tra l'essere ed il niente
(definito come uno pseudoproblema) perchè non è ammesso il passaggio dal
niente assoluto all'essere, ma da un niente relativo, cioè « da un modo di
essere all'altro » (2). Non si può quindi parlare della nascita e della morte
come di un divenire sostanziale, ma come di un divenire accidentale (« de
tali ad tale »), come una modificazione nella totalità dell'Essere, un realizzare
la nostra possibilità, « la verità di noi stessi » nella totalità dell'Essere puro.
Perciò la soluzione del problema della derivazione della molteplicità degli
esseri dall'unico Essere - negata la creazione ex nihilo sui et subiecti - non
può essere che emanatistica, ma un emanatismo dinamico. Il nostro essere
non è che una possibilità - una delle tante possibilità in cui l'Essere puro si
offre in partecipazione - isolata nell'essenza divina mediante un'analisi (crea-
trice della propria individualità, cioè modificatrice delPEssere puro) (3).
Lavelle - l'abbiamo visto - concepisce l'Essere puro come un farsi
eternamente. Questo atto, costitutivo dell'essenza dell'Essere puro, fonda anche
- univocamente - l'unità del mondo. Perciò egli si oppone alla concezione
dell'atto creatore come di un atto che produce fuori di sè un'opera che può
sussistere senza di lui, come l'opera di un artigiano. Questa - dice Lavelle
all'unisono con Bergson (4) - sarebbe una creazione di cose statiche, testi-
moni inerti della sua potenza, e non di esseri, mentre l'Atto puro non può
creare che degli esseri che partecipino della sua stessa essenza creatrice (5).
Egli vuole comunicare agli altri esseri la sua stessa causalità divina, ad opera
della quale i singoli esseri possano essere a loro volta « causa di se stessi »
e del mondo che ci circonda (6). C'è quindi un rapporto dialettico, e non
statico, tra il Tutto e le parti, tra l'Essere e gli esseri.
Tralasciando - per ragione di brevità imposta dai ristretti limiti di un
articolo - alcune questioni importanti (quali la teoria dei contrari, i rapporti
tra la libertà divina e la libertà umana) strettamente legate alla dottrina lavel-
liana della partecipazione, ci limitiamo a dire una parola sulla concezione
lavelliana del mondo (e del corpo).
Lo spirito - si è visto - secondo Lavelle è l'unica realtà (spiritualizza-
zione del reale). S'impone allora il problema: se l'unica vera realtà è spiri-
tuale, la realtà esteriore - il mondo e il corpo - che cosa è?

(1) Analyse de l'être et dissociation eie,, in riv. cit., pag. 222.


(2) Du Temps et de l'Eternité , pagg. 24-25.
(3) °P- cit-> PaS- 2g-
(4) Lavelle non aderisce al divenire puro bergsoniano, ma cerca (ci riesce?) di dargli un sostrato
ontologico. « Nous ne flottons pas - egli scrive - à sa surface (del divenire) comme une épave, nous
ne sommes pas non plus submergés par lui. Car ce changement se confont avec la genèse même des
choses: nous découvrons en lui les racines les plus profondes de" l'être et de la vie ». E ancora: « Dans
la conscience que nous prenons de la durée, nous retrouvons en nous la présence de l'activité créatrice
elle-même ». Cfr. La Dialectique du monde sensible , pag. XXXIX.
(5) De l'Acte , pagg. 166 e 375.
(6) Op. cit., pag. 166.

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Lavelle risponde che lo spirito deve « giustificare l'esistenza del mon-


do » (i). Naturalmente la giustificazione non deve compromettere le pre-
messe della sua ontologia. Il mondo che noi chiamiamo esteriore e che ci
circonda non ha realtà, è « niente » in rapporto allo spirito, ma ne è solo uno
spettacolo, un'apparenza, cioè « lo spirito fa apparire il mondo a misura che
esso agisce, come la condizione del suo esercizio e l'espressione della sua limi-
tazione piuttosto che della sua potenza » (2). Il significato del mondo è tutto
in queste due funzioni: esso rende possibile la partecipazione e, nello stesso
tempo, è l'espressione concreta (sensibile) di questa attività partecipativa, ma-
nifestandone i limiti. Ogni individuo è necessariamente « attaccato a un
corpo » perchè è limitato. Ma non è il corpo che costituisce l'individualità
dell'io - pur esprimendo la sua limitazione - perchè il corpo non è inte-
riorità (« essere in sè e per sè »), ma « esprime soltanto la nostra esistenza
come dato o come oggetto », cioè come un spettacolo per gli altri e per l'io
stesso (3). Questo spettacolo - il mondo - crolla, questa apparenza si dissipa
e del mondo non resta più niente alla morte, cioè « al momento in cui noi
lo lasciamo e in cui tutto il nostro essere, raccolto in se stesso, non è più lo
spettacolo di niente e non è più lo spettacolo per nessuno » (4). anzi si può
dire che il mondo dispare e ricomincia ad ogni istante, perchè ad ogni istante
si rinnova la nostra attività partecipativa all'Essere - limitandolo. Questa
limitazione spiega la passività e la resistenza che offre il mondo.
• * *

Anche la concezione lavelliana del tempo è in funzio


logia monistica. L'unicità dell'Essere - e dell'Atto - imp
dovunque e in qualunque momento (un eterno prese
non cambia. Ciò che cambia sono soltanto i suoi modi,
toires » sull'Essere, finite ed imperfette (5). Lo spirito, se
pienezza del suo atto essenziale », prima che esso si sia
pendentemente da ogni rapporto con la vita e con il c
del tempo. Entra nel tempo quando comincia a « ind
separarsi dall'Atto puro » (6). Perciò l'Atto puro non è
tempo se si considerano « le sue condizioni limitative »,
cipazione, cioè i fenomeni. In questo senso si può anche
è « generatore del tempo » (7), in quanto è generatore d
cipazione.
Cerchiamo di approfondire il pensiero lavelliano, che si snoda con una
coerenza mirabile anche nei minimi particolari in relazione alla sua dottrina

(1) Epitome Metaphysical spiritualise in riv. cit., pag. 407.


(2) Art. cit., pag. 407.
(3) La Présence totale , pagg. 154 e 155.
(4) Art. cit., pag. 401.
(5) De l'Acte, pag. 117.
(6) Du Temps et de l'Eternité, pagg. 112-113.
(7) De l'Acte , pag. 116.

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della partecipazione. Le due categorie kantiane dello spazio


da Lavelle rielaborate nel suo partecipazionismo : lo spazio r
menizzazione ed esteriorizzazione dell'essere, mentre il tem
riorizzazione dell'essere nella partecipazione. In questo mo
potere giustificare la distinzione kantiana delle forme pr
esterno (lo spazio) e del senso interno (il tempo), inveran
trina della partecipazione (i).
Difatti - lavellianamente - il senso interno (il tempo) c
penetrare nell'Essere assoluto scoprendoci l'essere che ci è
esterno (lo spazio) invece ci permette di apprendere, med
sentazione esterna, l'essere totale che ci sorpassa, ma che ci è
il senso interno ci scopre l'essere che ci è proprio, il senso
l'essere che ancora è fuori di noi (perchè non partecipato),
porto con noi, come fenomeno (2).
Nel tempo gli esseri finiti costruiscono l'universo (par
sere), nello spazio contemplano lo spettacolo di questo
interno interiorizza e realizza; il senso esterno esteriorizza
L'attività interiore non può mettersi « in comunicazione »
mondo (cioè con l'essere totale esteriorizzato, rappresentat
se non ponendosi a sua volta nello spazio, fenomenizzand
e ciò mediante il corpo (4). In breve : il tempo è « il mezzo
a noi stessi un essere di partecipazione » ; lo spazio invec
il quale mettiamo in relazione con noi tutto l'essere che ci
non può scoprirsi a noi che sotto la forma di una rapprese
apparenza » (5).
Il tempo è « un ordine tra i fenomeni », cioè tra gli a
prodotti dall'atto di partecipazione, è « un ordine che noi
le modalità dell'Essere » (6), e quindi è soggettivo. Esso non
« una successione orientata delle nostre percezioni », ma è
della nostra esistenza attraverso le tre fasi dell'avvenire, d
passato, che rispondono ai tre gradi ontologici del possibil
del ricordo (7). Non è cioè la semplice percezione della succ
stati interiori - quasi spettatori di questo spettacolo inter
successione stessa, è noi stessi in quanto ci identifichiamo
rtire interiore (8). Non possiamo conoscere questo « développe
che producendolo (9). Difatti è il nostro stesso atto ch

(1) La Dialectique du monde sensible , pag. XX.


(2) Du Temps et de l'Eternité , pag. 51.
(3) Op. cit., pagg. 54-55.
(4) Op. cit., pagg. 55-56.
(5) Op. cit., pag.. 200.
(6) Op. cit., pagg. 330 e 235.
(7) Op. cit., pagg. 162-163.
(8) Op. cit., pag. 160.
(9) Op. cit., pag. 157.

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diviene presente a se stesso, e mediante il suo esercizio « crea il prima e il


poi », cioè crea il tempo, attualizzando il suo avvenire e oltrepassando il suo
passato (i). Bisogna allora affermare che il tempo (prodotto dalla riflessione
partecipativa) è contenuto nel presente - e non il presente nel tempo. Il
tempo può essere definito come « un ciclo che ricomincia senza sosta ». Di
questo ciclo il presente è il centro (2). Il passato e l'avvenire nascono dal
presente per analisi. Dalla loro opposizione nasce la coscienza che è « un
rapporto tra la nostra natura, cioè il nostro passato accumulato, e la nostra
volontà, cioè il nostro avvenire ancora indeterminato » (3).
Concludendo, possiamo così inquadrare la concezione lavelliana del tempo
nel suo partecipazionismo. L'assoluto è intemporale. Il tempo è « le sillage »
della partecipazione. L'avvenire è il luogo in cui la partecipazione « si rinnova
e si arricchisce », e quindi non si pone « au bord du néant », ma « au bord
de l'être non partecipé et non encore devenue nôtre ». Il passato è « le lieu
de toutes acquisitions » nella partecipazione (4).
Quali rapporti tra il tempo e l'eternità ? Lavelle muove la sua critica alla
filosofia intellettualista tradizionale che da Platone in poi ha deprezzato -
dal punto di vista ontologico - il tempo, vedendo in esso l'intervallo che
separa il desiderio dal possesso, costruttore e insieme distruttore dei beni della
vita, e quindi « il principio della nostra miseria » (5). Di conseguenza l'eter-
nità è stata opposta al tempo ed è stata concepita come la negazione del tempo,
« un tempo abolito », nella quale possiamo avere « una visione sinottica e una
gioia indivisa di tutta la realtà » (6).
Lavelle accusa una tale concezione di porre l'eternità fuori di ogni espe-
rienza, di ridurla a una chimera e di considerarla come « un altro nome del
niente » (7).
Secondo Lavelle al contrario il tempo non nega l'eternità, anzi la rivela,
perchè ogni esistenza temporale implica una specie di circolazione nell'eter-
nità (8). Evidentemente il monismo lavelliano non può accettare un dualismo
di tempo e di eternità che lo comprometterebbe. Crediamo che si possono
stabilire i rapporti fra il tempo e l'eternità in funzione della sua filosofia della
partecipazione nel modo seguente: a) il tempo ha la sua ragione di essere
nell'eternità e non si spiegherebbe senza di questa - come le diverse esistenze
individuali (temporali) non si spiegherebbero senza Y Atto puro (eterno) al
quale partecipano, b ) L'esperienza della partecipazione, che è l'esperienza del
tempo, ci dà l'esperienza dell'eternità che è supposta e divisa dal tempo -
come l'Atto puro è supposto e diviso dalle esistenze individuali, c) Il tempo
« si dispiega all'interiore dell'eternità » perchè questa agisce e si realizza

(1) Op. cit., pa gg. 161-162.


(2) Le passe ou l'avenir spirituel , in « L'Existence», Gallimard, Paris 1945, pag. 119.
(3) La Philosophie française etc., pag. 225.
(4) Du Temps et de l'Eternité , pag. 275.
(5) Le moi et son destin , pag. 179.
(6) Op. cit., pag. 221.
(7) Du Temps et de l'Eternité , pagg. 403-404.
(8) Op. cit., pagg. 405 e 407.

403

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mediante quello. Il tempo perciò è indissolubilmente aggan


e da questa attinge ciò che ha di essere, di attualità (i) - com
viduali sono indissolubilmente agganciati all'Atto puro e da
la loro concretezza ontologica, d) Non possiamo « prendere
l'eternità se non nel tempo e per mezzo del tempo (2) - com
avere coscienza dell'Atto puro se non nella e per la partecipazion
« assicura la continuità dei momenti del tempo » (3) - co
assicura la continuità di arricchimento ontologico ai singoli esse
mediante il presente ci introduce nell'eternità (4) - come o
di partecipazione ci costituisce ontologicamente inscrivend
l'Atto puro, g) L'eternità - come l'Atto puro - non deve es
« all'identità e all'immobilità di una cosa », nè a « un ciclo c
mincia », ma a « une source toujours jaillissante et dont les
dent jamais » (5). h) Il tempo non è la negazione dell'eterni
scaturisce, di questa è l'immagine e la forma manifesta
l'atto di partecipazione esige l'Atto puro e lo manifesta.
***

Ci resta un ultimo problema da esaminar


di Dio, che ci potrà dare gli elementi sicur
valore.

I problemi sono due: abbiamo una conoscenza dell'esistenza di Dio e di


che natura è? Quali i rapporti tra Dio e il mondo, tra Dio e gli uomini?
Riguardo al primo problema Lavelle non ammette la possibilità di una
conoscenza intellettuale di Dio (antintellettualista quindi l'atteggiamento di
Lavelle, malgrado le apparenze in contrario, un esempio ancora del sottile
influsso bergsoniano) per valorizzare un 'esperienza che ci garentirebbe del
nostro agganciamento, meglio, della nostra identità con l'Essere assoluto.
Lavelle, a proposito dell'antintellettualismo di Kierkegaard, il quale
esclude la mediazione dell'idea e della legge tra l'individuo e l'assoluto, ne
fa un'elaborazione personale, cercando d'inverare questa posizione kierke-
gaardiana nella sua filosofia. L'esclusione dell'intermediario dell'idea è intesa
nel senso che io non posso conoscere il mio essere che conoscendo la mia
vocazione. « Ma questa vocazione, che è il mio essere stesso, è un appello che
Dio non cessa di farmi, è una parola personale che egli mi rivolge chiaman-
domi per il mio nome. In modo che Dio non è un'idea, egli non è un oggetto
che si contempla e si prova; egli si scopre a me nell'atto stesso mediante il
quale io mi scopro come individuo ». Quindi l'antintellettualismo kierkegaar-

(1) Op. cit., pag. 410.


(2) Op. cit., pag. 408.
(3) Op. cit., pag. 409.
(4) Op. cit., pag. 409.
(5) Op. cit., pag. 208.
(6) Op. cit., pag. 208.

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diano è modificato nel senso della filosofia della partecipazione, e l'esperienza


dell'essere, cioè di Dio stesso. In questo senso Dio non può essere un oggetto
di conoscenza posto fuori di me (ciò implicherebbe la fenomenizzazione di
Dio stesso), anzi « è nel cuore stesso della mia 'soggettività che io scopro la
realtà vera ». E si ricordi che secondo Lavelle la soggettività non è « una specie
di illusione e di miraggio », anzi miraggio ed illusione è cercare l'oggetto
fuori della soggettività : « l'unica oggettività vera è quella della mia sogget-
tività » (i). Perciò ammettere l'esperienza di Dio nell'intimità dell'io non
deve significare l'annientamento dell'oggettività di Dio nella fenomenalità
della coscienza. Difatti secondo Lavelle l'Atto puro fonda la coscienza, la
rischiara, l'anima : « egli è il principio della coscienza di sè e il principio
della comunicazione di tutte le coscienze tra di loro » (2).
Ma possiamo avere coscienza dell'Atto puro senza oggettivarlo? Mosso
da questa preoccupazione - ■ sostiene Lavelle (ed è un tentativo bonario di
scagionare l'oggettivismo kantiano) - Kant preferì porre l'atto al di là della
coscienza, piuttosto che farne un oggetto di conoscenza. L'equivoco è stato
determinato dalla confusione di coscienza e di conoscenza : « la coscienza non
è la conoscenza, benché non ne possa essere separata. Essa è l'esperienza interna
dell'atto nella sua iniziativa e nel suo compimento » (3).
Ma, ammesso pure che la coscienza è l'esperienza di un atto, quali ragioni
abbiamo per affermare che è anche un'esperienza dell'Atto puro, di Dio?
Lavelle (che nega che dagli effetti si possa scoprire induttivamente l'Atto pro-
duttore di essi, perchè ciò significherebbe porre l'Atto puro al di là della co-
scienza, e, in definitiva, nascondere nelle tenebre l'Atto puro che è per essenza
« le foyer de toute lumière » (4) si appella principalmente all'esperienza che
abbiamo della volontà come di un potere operativo e causativo indefinito per
inferirne la sua partecipazione dall'Atto puro, con il quale s'identifica. La
coscienza accompagna, traduce i modi di procedere ( démarches ) della volontà
« che nasce, piega, cambia di senso, soccombe in me e con me secondo le
alternative del consenso interiore ». Nella volontà è l'essenza dell'atto di parte-
cipazione che fonda la nostra interiorità e individualità (5). Nella volontà
quindi io mi riconosco come causa parziale di me, e in questo atto di parte-
cipazione all'Atto puro io colgo l'Atto puro come « la causa totale » e come
« il principio interiore e onnipresente che anima tutte le volontà partico-
lari » (6).
Concludendo. L'Atto puro è conosciuto con un'intuizione, cioè « in una
vera esperienza, che è questa perpetua rinascita in noi in ogni atto interiore
di un Essere che noi riconosciamo sempre e la cui stessa essenza è essere

(1) Le moi et son destin , pa gg. 85-86.


(2) La métaphysique ou la science de etc.y in riv. cit., pag. 50.
(3) De l'Acte y pag. 21.
(4) Art. cit., pag. 54.
(5) °P • cit-> Pag- 22-
(6) Op. cit. y pag. 124.

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eternamente nascente ». Questa esperienza è un'esperienza iniz


esperimento nella mia partecipazione iniziale all'Essere (i).
Lavelle quindi ammette un'esperienza diretta ma non integr
puro nel nostro atto di partecipazione. Per avere una tale e
vremmo oltrepassare tutti i limiti possibili, dovremmo elimin
atto di partecipazione ogni sviluppo per adeguarlo all'Atto pur
altri termini la nostra esperienza è, sì, un'esperienza dell'Atto
tanto dell'Atto puro partecipato e nei limiti della partecipazion
Si pone allora il problema : quale è la nostra conoscenza del
non partecipato ma partecipabile ? Quale forma di conoscenza so
passaggio ( dépassement ) all'Atto puro non partecipato e lo re
alla mia coscienza? In altri termini Lavelle avverte che l'esp
partecipazione è sempre un'esperienza di un atto limitato e quin
all'Atto puro (come in ogni ontologismo) non è mediato. Sono
motivi - a nostro parere - che hanno determinato una forma d
di Dio sempre più alogica quale il suo fideismo , che invero no
forma di esperienza più vasta e integrale. Questo dépassement d
dell'atto di partecipazione all'Atto puro non ancora partecipat
dall 'atto di jede, e ciò, non perchè venga a mancare la realtà, l'esse
caso l'atto di fede sarebbe un salto attraverso il vuoto), ma pe
partecipazione resta sempre ineguale alla pienezza dell'Atto pu
partecipa (2). La fede afferma « l'indivisibilità dell'Essere totale
del partecipato (essere individuale) e del non partecipato (Esse
quando la partecipazione incomincia ». La fede cioè ha per ogg
sere che ci sorpassa, ma con il quale aspiriamo ad unirci, il quale
per noi un supremo valore in modo che ogni oggetto di fede è nec
per noi un oggetto di amore » (3).
Il secondo problema (i rapporti tra Dio e gli esseri) è quello
maggiori difficoltà e mette in pericolo la coerenza e la saldez
sistema metafisico di Lavelle. Questi impegna tutte le sue energ
di evitare le conseguenze panteistiche del suo monismo attivist
tima prova della sua buona volontà di conciliare gli inconciliab
tativo di armonizzare immanenza e trascendenza, monismo e p
Il trascendente - secondo Lavelle - può essere definito in s
ferenti : « come l'origine di ogni modo di procedere {démarche
perchè è in lui che questo ha la sua sorgente; - come il s.uo fine, p
di lui esso tende; - come il partecipabile senza il quale esso
niente di quello che potette partecipare; - come l'alimento di
progressi, perchè senza di lui non si potrebbe comprendere c
potuto trovare di che arricchirsi; - come il principio di tutti i
che non possono consistere che nel cercare in un'efficacia ass

(1) Op. cit., pa gg. 1 1 i-i 12.


(2) Art. cit., pag. 57.
(3) Dc l'Acte , pag. 157.

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di oltrepassare ciò che siamo; - come un puro oggetto di fede, perchè il tra-
scendente non è mai attinto da noi se non perchè l'operazione che ci dà
l'essere resti sempre un'operazione che ci è propria e non possa mai essere
sospesa » (i).
Per questi motivi trascendenza ed immanenza, assoluto e relativo non si
escludono, anzi s'integrano ed assumono il loro vero significato nella dottrina
della partecipazione. Difatti la partecipazione rende possibile ad ogni esistenza
individuale l'immanentizzazione progressiva del trascendente, senza però
esaurirlo (2). Con il trascendente noi abbiamo « une réelle communauté d'es-
sence », perchè noi non siamo fuori dell'Essere ma nell'Essere (3). Tutte le
cose sono contenute all'interiore dell'Essere totale quali sue parti costitutive.
Ma egli le trascende perchè esse non lo esauriscono : se lo esaurissero, coinci-
derebbero con lui, e di conseguenza « si annienterebbero come parti e annien-
terebbero insieme il Tutto » (4).
# # •

Dobbiamo chiudere la nostra sintetica esposizione del pensiero lavelli


(omettendo, con rincrescimento, di parlare della dottrina morale del no
autore, che pur meriterebbe un'ampia esposizione) e non esitiamo ad es
mere la nostra sincera ammirazione per questo pensatore dall'animo nob
dalle intenzioni rette, che meritatamente occupa un posto di primo or
nel pensiero filosofico contemporaneo. Noi gli riconosciamo il merito di esse
stato tra i primi dei pochi coraggiosi che hanno osato reintrodurre il proble
dell'essere nella filosofia monopolizzata dal positivismo e dall'idealismo,
avere rivendicato la centralità della metafisica, trascurando gli sberleff
quanti (ed era la quasi totalità) vedevano in questo tentativo un ritorno
velleità ormai superate. Come anche ammiriamo la suo buona volon
riassumere nel suo sistema le esigenze fondamentali del pensiero filoso
moderno e contemporaneo e di soddisfarle (ed è questo il significato v
del suo metodo conciliatore). Il materialismo abbrutisce, l'idealismo nient
l'essere e gli esseri, l'esistenzialismo si pone come una psicologia dell'uo
decaduto e infelice, che non vuole riscattarsi e rimediare alle sue mise
La panacea di tutti questi mali egli la vede soltanto nell'affermazione dell
vocità dell'essere e della partecipazione degli esseri all'assoluto.
Ma, se da una parte plaudiamo incondizionatamente alle nobili inte
zioni di Lavelle, dall'altra parte, appunto perchè a lui accomunati dagli s
ideali spirituali (e cristiani) - e non per uno sterile motivo polemico -
possiamo rinunziare a vagliare la capacità del suo sistema filosofico a m
nere quegli impegni che si era proposti. Ci limiteremo a riesaminare br
mente (sperando di riaffrontare l'esposizione e l'esame integrale del pen
lavelliano in uno studio più ampio) i principi basilari del suo sistema p

(1) Op. cit., pag. 154.


(2) Op. cit , pag. 147.
(3) Op. cit., pagg. 150-151.
(4) Op. cit., pag. 151.

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saggiarne la solidità costruttiva o la congenita astenia. In qu


seriamente da dubitare che i frutti e le felici conseguenze che s
siano garantiti da un solido basamento speculativo e metafis
dai dissolventi della critica (imparziale, quantunque rispecc
un'educazione culturale personale).
Lavelle accusa uno sviamento nella metafisica perchè batt
in un ipotetico iperuranio che sfugge al controllo della nos
pone un divario abissale tra un mondo intelligibile dell'assol
dell'esperienza fenomenico e relativo.
Ora, - osserviamo noi - una tale concezione della realtà n
dalla metafisica tradizionale aristotelico-tomistica, la quale n
la velleità di evadere da questo povero mondo per concentr
mente in un mondo ideale - troppo ideale per essere reale
suggestionarsi in una - come la chiama Lavelle - « illusio
che non ha niente di concreto da dire agli uomini. Il realis
è utopistico. Sa bene che l'unica realtà dalla quale abbiamo il
anche in ogni più ardito slancio speculativo - pena il fa
mondo nel quale viviamo e soffriamo.
Certamente la metafisica classica non si ferma e non pu
mondo dell'esperienza - che è mondo del divenire - « per l
che noi consente ». Ma trascendere il mondo dell'esperienz
per essa volatilizzarlo ontologicamente, ma inverarlo, spieg
metafisica classica - e in questo non rigetta le accuse di
l'essere dietro il fenomeno, l'assoluto dietro il relativo, ma è pr
dell'esperienza (fenomenico e relativo) che la costringe ad
l'Essere assoluto. Per essa infatti il problema metafisico si pone
dell'ente in quanto ente, e ragiona così : o l'ente - qualsiasi
la ragione del suo essere (Ente per sè sussistente) o è prodott
(ente partecipato). Così si giunge a una completa e perfetta
come tale, secondo tutte le sue cause (efficiente e finale) pe
la determinazione dell'ente è retta dalle leggi di atto e di p
e di effetto, di sostanza e di accidente, di necessità e di co
ciò che volesse sottrarsi a queste leggi dovrebbe essere privato d
di ente e di realtà (i).
Ancor meno valida è l'accusa mossa da Lavelle alla metafis
di voler cogliere l'essere « du dehors » e di volerlo contem
oggetto. Per la metafisica aristotelico-tomistica l'ente è quo
cuore del reale e quindi esso tiene chiuse ermeticamente le p
gnoseologia estrinsecista e sensualista empirista. Per S. Tom
può essere colto che dall'intelligenza - di cui è l'oggetto fo
legendo la realtà stessa. La conoscenza per S. Tommaso è as
V altro e quindi c vita : « intelligere est quodam vivere » (

(1) Cfr. P. A. Horvath, O. P., La sintesi scientifica di 5. Tomaso d'Aquino


1936» Pagg. 168-170.
(2) S. Theol , I, q. 14 (proemio).

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per l'immaterialità della sua facoltà intellettiva, « si spinge oltre se stesso e


assimila e vive ogni altra forma. Ogni conoscenza è per assimilazione » (i).
L'errore, già denunziato da P. Garrigou-Lagrange contro Bergson e Le
Roy (2) e nel quale cade anche Lavelle, è che « la nuova filosofia, che rim-
provera costantemente alla metafisica tradizionale di non oltrepassare l'imma-
ginazione spaziale, cade precisamente qui in questo difetto, per il modo con
cui parla di un dehors in relazione al pensiero. È una concezione tutta quan-
titativa e materiale della rappresentazione ». Invece per S. Tommaso l'intel-
ligenza, e la rappresentazione con la quale essa conosce, è essenzialmente inten-
zionale, cioè il conoscente, in quanto conoscente, « fit aliud in quantum
aliud », e ciò - aggiunge S. Tommaso - suppone l'immaterialità (3).
Lavelle mostra di non avere un'idea esatta della natura dell'attività con-
cettualizzatrice. Certamente la conoscenza, per essere conoscenza di qualche
cosa, deve essere essenzialmente relazione, - e come nota Garrigou-Lagran-
ge (4) - sarebbe distruggere il concetto stesso di intelligenza se si nega la sua
-relazione trascendentale all'essere. Però, essenzialmente, costitutivamente rela-
tivo non è l'oggetto, l'essere - come vorrebbe Lavelle - ma la rappresen-
tazione, la quale, se è rappresentazione di qualche cosa, non può essere defi-
nita che come una relazione alla cosa rappresentata.
Invero il sistema di Lavelle è inficiato dai presupposti dell'agnosticismo
kantiano, che pur egli vuole superare, ma - svalutata (per incomprensione)
l'intuizione intellettuale (astrattiva) perchè ritenuta incapace a superare il
mondo fenomenico per cogliervi l'essere - si è messo sulla scia del bergso-
nismo, aderendo a un'intuizione sperimentale che presume di cogliere l'essere
« nel flusso della nostra vita interiore », e, restando incapsulato nel mondo
dell'empiria (anche se interiore), della concretezza, della soggettività, pretende
di scoprirvi la presenza dell'Essere assoluto mediante un'esperienza simile a
quella dell'arte, dell'amore, della mistica. La tabe atavica del kantismo ha
quindi portato alla valorizzazione della così detta metafisica dell' esperienza,
che, gnoseologicamente, significa valorizzazione dell'infrarazionale, del senti-
mento - il sentimento di una presenza, che per presupposto è una presenza
dell'Essere assoluto.
Per questi motivi alcuni critici si sono domandati come Lavelle riesca a
dimostrare, a mediare l'esistenza dell'Atto puro. Se l'intelligenza è impotente
a conoscere Dio, lo può questa esperienza metafisica, che è esperienza della
partecipazione? Lavelle sostiene che, piegandoci su di noi, possiamo scoprire
l'Atto puro nell'atto stesso con il quale il nostro essere non cessa di farsi, e
lo scopriamo come un'attività che è la sorgente del nostro stesso atto, che ci
è sempre presente e del quale il mondo ci dà una rappresentazione imperfetta,
proporzionata alla nostra coscienza : « l'essere è presente - l'essere tutto
intero, assoluto - a partire dal momento in cui la riflessione s'impegna e

(1) De Vertíate , q. 8, a. 8, c.
(2) Le sens commun , Paris, Descléc, 1922, pag. 197 e segg.
(3) S. Theol.y I, q. 14, a. 1.
(4) Op- Clt ì Pag» 201 •

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çcoprc la sua propria natura che è di essere un atto interiore


Quindi nei minimo atto di riflessione il soggetto scopre sempre
Certamente - Lavelle lo concede, come ogni altro ontologista -
una conoscenza diretta dell'assoluto, ma lo cogliamo nell'att
partecipazione. Così è chiarita l'affermazione di Lavelle che
l'assoluto formano una coppia di nozioni inseparabili. Ma sono
soltanto nel pensiero - obietta L. Brunschvicg (2) - o anch
Nell'uno e nell'altro, deve rispondere Lavelle, perchè la coscien
nell'essere, e, partecipandolo, lo apprende (3).
Però possiamo insistere con L. Brunschvicg nel chiedere a La
l'assoluto? Non può esistere soltanto il relativo?
Invero non è mediata (e quindi non ha valore probativo) la
Lavelle, secondo il quale, se l'assoluto non c'è, bisognerebbe elev
relazione all'assoluto (4). Per mediarla Lavelle dovrebbe articolar
di causalità (e di non-contraddizione), che egli invece ignora p
all'esperienza della partecipazione (ontologicamente univoca
esperienza presupposta ma non dimostrata.
Certamente esistere è partecipare all'essere, ma quale esperi
che è anche partecipare all'Essere assoluto? La relatività del n
Ma questa relatività (che l'esperienza ci documenta) soltanto s
dalla ragione, in forza del principio di causalità (e di non-contr
porta all'assoluto, come causa dalla quale partecipiamo il nostr
analogo (e non univoco), appunto per la relatività constatata del
Invero l'equivoco nel quale cade Lavelle è nell'interpretazione
di partecipazione. Forse anch'egli sottoscriverebbe la spiegazion
mine dà S. Tommaso (5), perchè anche per Lavelle partecipare è
accipere ». Ma Lavelle - a differenza di S. Tommaso - non
essere un atto partecipato, cioè particolare limitato imperfetto sig
ziare all'identità ontologica - o consustanzialità - con l'Èsse
Siamo quindi al punto fondamentale della filosofia lavellian
monistica.
Certamente - e in ciò concordiamo con Lavelle - l'idea dell'essere è
la più universale delle nostre idee perchè ad essa niente si oppone (nemmeno
l'idea del niente). L'idea dell'essere abbraccia tutto nella sua unità suprema,
non solo tutti gli esseri, ma anche tutti gli ordini di esseri « depuis la réalité
du concevable jusqu'à la sur-actualité de l'ordre divin », e li abbraccia « non
come un genere che attende la sua specificazione da qualche determinazione
estrinseca, ma come un'unità suprema alla quale niente è estrinseco, perchè
niente si oppone all'essere; perchè all'essere non si oppone, in virtù di un

(1) Acte réflexif et Acte créateur , in riv. cit., pagg. 149 e 163.
(2) Art. cit., pag. 177.
(3) Art. cit., pag. 177.
(4) Art. cit., pagg. 177-178.
(5) Secondo S. Tommaso « participare nihil aliud est quam ab alio partialiter accipere ». Comm.
in LL. de Coelo et Mundo , 1, II: lect. 18, p. XIX, i2' b.

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procedimento puramente logico, che il niente » (x). L'idea dell'essere ab-


braccia anche la realtà dei possibili, i quali, pur non avendo alcuna esistenza,
tuttavia sono « aliquid capax axistendi » e quindi hanno una realtà (non sono
l'impossibile, che è il niente). Anche le apparenze, anche i sogni, anche gli
accidenti, tutto ciò che in qualche modo è, è compreso nell'idea di essere.
Ma - si noti - noi parliamo di idea dell'essere: supponiamo quindi
l'attività concettualizzatrice che è capace di cogliere in tutte le cose l'idea
universale di essere senza coartare la realtà negli angusti limiti di un monismo,
livellatore - per coerenza di sistema - di tutte le ricche manifestazioni del
reale. Il fondamento della dottrina tomista dell'analogia è dunque il concet-
tualismo realista, secondo il quale l'essere in tutta la sua universalità è l'oggetto
formale dell'intuizione astrattiva dell'intelletto. Ma l'essere è concepito come
un trascendentale, e non come un genere - e ciò valga contro alcune allusioni
da noi avvertite in Lavelle - e quindi sufficientemente elastico e polivalente
da non obliterare la testimonianza immediata ed evidente che ci viene dalla
esperienza. Questa infatti è per la differenziazione ontologica degli esseri
(dall'essere inanimato, al vivente, al cosciente).
La metafisica classica, pur partendo dall'esperienza, per la concettualiz-
zazione dell'essere lo disesistenzializza - come nota P. Gilson (2) - renden-
dolo indifferente, neutro ad esistere o meno. Lavelle invece - e in ciò è con
tutto l'esistenzialismo - non sa distinguere Y essere àûY esistenza - che è
l'atto per cui un essere è - e, dalla constatazione che ogni essere esiste (anche
i fenomeni), conclude all'univocità dell'essere. Non coglie quindi il valore
essenzialmente analogico del concetto di essere perchè si ferma all'empiria
dell'esistere senza intravedere che ogni essere mediante l'atto di esistere rea-
lizza a suo modo la partecipazione all'essere. Certamente sia la sostanza che
il suo accidente, sia il minerale che il vivente e l'essere cosciente sono , ma
l'essere è in essi secondo modalità intrinsecamente diverse, e quindi ha in essi,
non un'unità assoluta (monismo), ma un'unità relativa e di proporzionalità
(ad esempio, la sostanza sta al suo essere come l'accidente sta al suo essere).
Lavelle ammette - spinozianamente - che il molteplice non può appar-
tenere all'essenza delle cose, ma crede di potere ovviare all'accusa di panteismo
con la sua dottrina della partecipazione che concepisce gli esseri particolari,
non come una pura limitazione (passiva e statica) dell'Essere assoluto, ma
come un potere autocreativo per una specie di comunicazione dell'atto creatore
agli esseri stessi, che li rende capaci di autocrearsi, come « un'iniziativa eser-
citata e personale », che però niente aggiunge all'Atto puro, di cui soltanto
manifesta « il mistero e l'infinità » (3).
Ma se l'Essere assoluto è « le dedans même de tout ce qui est », e se -
per la sua univocità - non può rompere la sua unità, pur partecipandosi agli

(1) P. De Munnynck, O. P., L'idée de l'Etre , in « Rev. neoscolàstique de Philosophie », 1929,


pag. 189.
(2) Circa i concetti di essere e di esistenza nell'esistenzialismo e nella metafisica classica cfr.
E. Gilson, Limites existentielles de la philosophie , in « L'Existence », Paris, Gallimard 1945, pagg. 69-83.
(3) De l'Acte , pagg. 400-401; cfr. anche pag. 229.

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esseri particolari, è evidente - e Lavelle l'avverte (i) - ch


panteismo non è ovviato. È necessario ammettere un'eteroge
tra gli esseri e l'Essere, mentre l'eterogenità che Lavelle ammet
en valeur et en dignité », secondo la capacità partecipativa (
blema è tutto qui : è possibile elevare gli esseri « au niveau d
cepirli a questo consustanziali, senza cadere nel panteismo?
Un'ultima osservazione, a cui accenniamo brevemente m
rebbe di essere maggiormente dilucidata e comprovata. No
Lavelle ricade nel fenomenismo attivistico bergsoniano. Ab
Lavelle fenomenizza la realtà esterna (il mondo e il corpo).
puro e l'atto partecipato sono da Lavelle bergsonianamente
Lo stesso terrore che egli ha dell'Essere puro concepito come « s
et tout fait » ce lo sta a dimostrare. Del resto, una delle due
l'Atto puro come completezza di perfezione, realtà tutta fa
implica affatto lo staticismo), oppure lo si concepisce come
una realtà incessantemente realizzantesi in una molteplicità inde
meni - i vari esseri - i quali, a loro volta, sono anch'es
partecipato.
Lavelle non è per la prima soluzione. Dunque?
Un panteismo dinamico (fenomenistico) il monismo di Lav
ogni panteismo, necessariamente deve tendere all'identità
all'identità dei contrari, e, al limite del suo sviluppo consequ
tità dei contradittori.

(1) « Vers lequel (il panteismo) - egli scrive - on pourrait penser que no
d'abord ». Etre et Act , in riv. cit., pag. 203.
(2) Art. cit. y pag. 203.

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