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I Leoni

Foto in copertina: © «L’Osservatore Romano»

© 2010 Lindau s.r.l.


Corso Re Umberto 37 - 10128 Torino

Prima edizione: novembre 2010


ISBN 978-88-7180-894-9
Roberto de Mattei

IL CONCILIO VATICANO II
Una storia mai scritta
INTRODUZIONE

1. Il Vaticano II: un Concilio diverso dagli altri

La storia della Chiesa cattolica è al centro della storia universa-


le, per il ruolo primario che la Chiesa svolge nella guida delle ani-
me e nell’edificazione della civiltà. Non stupisce, in questa pro-
spettiva, l’importanza nella storia universale dei Concili ecumeni-
ci, che costituiscono una delle più alte espressioni della vita socia-
le della Chiesa. Se la Chiesa ha un rapporto con la storia della uma-
nità, un Concilio ecumenico avrà un rapporto con la medesima
storia pari a quello che esso ha con la Chiesa 1.
I Concili sono detti ecumenici, o generali, quando, sotto la dire-
zione del Papa o di suoi rappresentanti, raccolgono vescovi prove-
nienti dall’intero ecumene, vale a dire dall’insieme del mondo abi-
tato 2. Nei Concili la voce del Papa e dei vescovi del mondo con lui

1
Cfr. GIUSEPPE SIRI, Il Concilio ecumenico visto dal piano della teologia della storia, con-
ferenza tenuta a Genova il 25 gennaio 1961, ora in La giovinezza della Chiesa. Testi-
monianze, documenti e studi sul Concilio Vatitano II, Giardini, Pisa 1983, p. 43 (pp.
43-50).
2
Cfr. WALTER BRANDMÜLLER, Il Concilio e i Concili. Il Vaticano II alla luce della Storia dei
Concili, in “Cristianità”, n. 332 (2005), p. 4 (pp. 3-10). Sul significato dei Concili nel-
la storia della Chiesa si veda: JOSEPH HEFELE, Histoire des Conciles d’après les docu-
ments originaux, vol. I/1, Letouzey et Ané, Parigi 1907, pp. 1-124. Cfr. anche l’Intro-
duzione di PIETRO PALAZZINI al Dizionario dei Concili, Città Nuova, Roma 1963, pp. XI-
XXXIX; nonché le voci Concile oecuménique di J. FORGET, in DTC, III (1908), coll. 636-
676 e NICOLAS JUNY in DDC, I (1954), coll. 378-381.
6 IL CONCILIO VATICANO II

riuniti si leva sulle vicende storiche: questa voce solenne fa la sto-


ria della Chiesa e, con essa, la storia del mondo.
Nella storia della Chiesa si sono tenuti ventuno Concili rico-
nosciuti dalla Chiesa come ecumenici, o generali 3. L’ultimo è sta-
to il Concilio Vaticano II, aperto a Roma nella Basilica di San Pie-
tro, da Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962, e chiuso nello stesso
luogo, dopo quattro sessioni, da Paolo VI, l’8 dicembre 1965. Dal
Concilio di Nicea, che è stato dopo il Concilio di Gerusalemme il
primo Concilio trattato dagli storici, al Vaticano II, ogni Concilio
è stato oggetto di dibattito storiografico. Ognuna di queste as-
semblee non solo ha fatto la storia, ma ha avuto poi i suoi stori-
ci e ognuno di essi ha portato nella sua opera la propria visuale
interpretativa 4.
A differenza dei precedenti Concili, il Vaticano II pone però agli
storici un problema nuovo. I Concili esercitano, sotto e con il Papa,
un solenne Magistero in materia di fede e di morale e si pongono
come supremi giudici e legislatori, per quanto riguarda il diritto
della Chiesa. Il Concilio Vaticano II non ha emanato leggi e nep-
pure ha deliberato in modo definitivo su questioni di fede e di mo-
rale. La mancanza di definizioni dogmatiche ha inevitabilmente
aperto la discussione sulla natura dei documenti e sul modo della
loro applicazione nel periodo del cosiddetto “postconcilio”. Il pro-
blema del rapporto tra Concilio e “postconcilio” sta perciò al cuo-
re del dibattito ermeneutico in corso.

3
Sul numero dei Concili ecumenici non esistono pronunciamenti ufficiali del Magi-
stero, ma la dottrina canonica e teologica è più che consolidata, dopo san ROBERTO
BELLARMINO (De Controversis christianae fidei, tomo II, Apud Societatem Minimam,
Venezia 1599, Liber I, De Conciliis et Ecclesia, cap. V, coll. 4-9). Sia nel discorso di
inaugurazione del Concilio che Giovanni XXIII tenne l’11 ottobre 1962, che nell’al-
locuzione di apertura di Paolo VI del terzo periodo, i due Pontefici accennano ai
venti Concili ecumenici celebrati in precedenza, considerando il Vaticano I come
l’ultimo Concilio ecumenico prima del Vaticano II.
4
Si veda, ad esempio, W. BRANDMÜLLER, Carl Joseph von Hefele. Ein Geschichtssch-
reiber macht Geschichte, in PONTIFICIO COMITATO DI SCIENZE STORICHE, Walter
Brandmüller Scripta Manent. Raccolta di studi in occasione del suo 80° genetliaco, a cu-
ra di COSIMO SEMERARO, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp.
365-377.
INTRODUZIONE 7

2. Le due ermeneutiche conciliari

La discussione sul Concilio Vaticano II, pur nella complessità e


nella articolazione delle diverse posizioni 5, può ricondursi sostan-
zialmente a due linee interpretative: quella della “continuità” del
Concilio con la tradizione precedente e quella della sua “disconti-
nuità” con il passato della Chiesa. La prima linea è stata assunta
dalle gerarchie ecclesiastiche fin dal pontificato di Giovanni Paolo
II 6 ed è stata formulata con chiarezza e convinzione da Benedetto
XVI soprattutto nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicem-
bre 2005 7. Si tratta di un approccio teologico al Concilio Vaticano
II, giudicato dai 16 testi, di ineguale valore dottrinale, che esso ha
prodotto. L’insieme di questi testi, secondo la suprema autorità
della Chiesa, esprime un Magistero non infallibile, ma autentico,
che deve essere letto in continuità con i documenti che lo hanno
preceduto e che lo hanno seguito, ovvero “alla luce della Tradizione”.

5
L’arcivescovo AGOSTINO MARCHETTO offre un quadro delle linee interpretative in
contrasto, con una dichiarata opzione per l’ermeneutica della continuità, in Il Conci-
lio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2005, e nelle recensioni raccolte in Chiesa e Papato nella storia e nel
diritto, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002 (su di lui cfr. CLAUDIO AN-
SELMO, Agostino Marchetto: per una ermeneutica del Concilio Vaticano II, in Venti secoli di
storiografia ecclesiastica. Bilancio e prospettive, a cura di LUIS MARTÍNEZ FERRER, EDUSC,
Roma 2010, pp. 449-458). Per un punto della situazione, nella prospettiva della
“scuola di Bologna”, si veda: GIUSEPPE RUGGIERI, Recezione e interpretazione del Vatica-
no II. Le ragioni di un dibattito, in “Cristianesimo nella storia”, n. 28 (2007), pp. 381-
406, ora in Chi ha paura del Vaticano II?, a cura di ALBERTO MELLONI-G. RUGGIERI, Ca-
rocci, Roma 2009, pp. 17-44. Cfr. anche YVES CHIRON, Il y a 40 ans. L’ouverture de Vati-
can II. Mise en perspective historique, in “Divinitas”, n. 46 (2003), pp. 222-232; DAVID
BERGER, Gegen die Tradition oder im Licht der Tradition? Zu neueren Interpretationen des
Zweiten Vatikanischen Konzils, in “Divinitas”, n. 40 (2005), pp. 294-316; e, più in gene-
rale, Vatican II. Did Anything happen?, a cura di JOHN W. O’MALLEY, Continuum, New
York-London 2007; GILLES ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica,
tr. it. Vita e Pensiero, Milano 2007; CHRISTOPH THEOBALD, La réception du Concile Vati-
can II. I. Accéder à la source, Cerf, Parigi 2009, in particolare pp. 495-654.
6
Sulla lettura “normalizzante” del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni Paolo
II, si veda GIOVANNI MICCOLI, In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Bene-
detto XVI, Rizzoli, Milano 2007, pp. 18-30.
7
BENEDETTO XVI, Una giusta ermeneutica per leggere e recepire il Concilio come grande
forza di rinnovamento della Chiesa. Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, in
BENEDETTO XVI, Insegnamenti, vol. I (2006), pp. 1018-1032.
8 IL CONCILIO VATICANO II

Benedetto XVI è ritornato più volte sull’argomento; nel discor-


so ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero del
16 marzo 2009 ha ribadito, ad esempio, la necessità di rifarsi “all’i-
ninterrotta Tradizione ecclesiale” e di “favorire nei sacerdoti, soprattut-
to nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio
Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrina-
le della Chiesa” 8. L’unica maniera di rendere credibile il Vaticano II
– ha sempre sostenuto il card. Ratzinger e sostiene oggi Benedetto
XVI – è presentarlo come una parte dell’intera ed unica Tradizione
della Chiesa e della sua fede 9.
La seconda linea interpretativa ha un approccio ermeneutico di
taglio non teologico, ma storico. Essa ha la sua espressione più si-
gnificativa nella cosiddetta “scuola di Bologna” che, sotto la dire-
zione del prof. Giuseppe Alberigo 10, ha prodotto un’imponente
Storia del Concilio Vaticano II 11, diffusa in varie lingue, che costitui-
sce un’opera di riferimento, per quanto discussa e discutibile, da
cui non si può prescindere. Per questa scuola il Vaticano II, al di là

8
In BENEDETTO XVI, Insegnamenti, vol. V/1 (2010), p. 393.
9
In questo solco si inseriscono i contributi di molti studiosi come quelli raccolti in
Vatican II. Renewal within Tradition (Oxford University Press, Oxford 2008) a cura di
Matthew Lamb e Matthew Levering, dell’Università Ave Maria in Florida (M.
LAMB-M. LEVERING, Vatican II. Renewal within Tradition, Oxford University Press,
Oxford 2008). Al discorso di Benedetto XVI del 2005, che apre il volume, seguono
una serie di densi contributi, rispettivamente dedicati alle quattro costituzioni con-
ciliari, ai nove decreti e alle tre dichiarazioni del Vaticano II. Tra gli autori sono due
cardinali americani (Avery Dulles e Francis George) e studiosi, come il domenicano
padre Charles Morerod e il filosofo del diritto Russell Hittinger. La tesi di fondo è
che il Vaticano II può essere inteso solo in continuità con la tradizione bimillenaria
della Chiesa, secondo la formula di Leone XIII “vetera novis augere et perficere”. Sul-
la stessa linea, si veda LEO SCHEFFCZYK, La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e cor-
retta interpretazione del Concilio Vaticano II, con presentazione del card. J. Ratzinger,
tr. it., Jaca Book, Milano 1998.
10
Giuseppe Alberigo (1926-2007), professore di Storia della Chiesa nell’Università di
Bologna, direttore dell’Istituto per le Scienze Religiose Giovanni XXIII e della rivi-
sta “Cristianesimo nella storia”. Sulla denominazione e sulla storia dell’Istituto, cfr.
L’officina bolognese 1953-2003, a cura di G. ALBERIGO, EDB, Bologna 2004. Per un’a-
nalisi del Concilio nella prospettiva di questa “scuola”, cfr. GIUSEPPE DOSSETTI, Il Va-
ticano II. Frammenti di una riflessione, a cura di FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO, Il Mu-
lino, Bologna 1966.
11
G. ALBERIGO, Storia del Concilio Vaticano II, Peeters/Il Mulino, Bologna 1995-2001,
5 voll.
INTRODUZIONE 9

dei documenti che esso ha prodotto, è stato innanzitutto un “even-


to” storico che, in quanto tale, ha significato un’innegabile discon-
tinuità con il passato: ha suscitato speranze, ha innescato polemi-
che e discussioni, ha aperto, in ultima analisi, un’epoca nuova 12.
Un evento è una situazione che rappresenta una radicale frat-
tura con il passato, “un fatto che, avvenuto una volta, cambia qual-
cosa nel presente e nel futuro” 13. Il Concilio Vaticano II presenta, se-
condo Alberigo, caratteristiche proprie molto spiccate: il modo
in cui fu convocato; l’assenza programmatica di uno scopo stori-
co determinato; il rigetto quasi integrale delle prospettive e del-
le formulazioni predisposte dagli organi preparatori; l’elabora-
zione assembleare degli orientamenti generali e degli stessi testi
delle decisioni; la percezione del Concilio da parte dell’opinione
pubblica come evento cruciale, seguito e partecipato con straor-
dinaria intensità 14. “Per tutte queste ragioni – scrive lo storico bo-
lognese – l’ermeneutica del Vaticano II dipende, principalmente e in
misura elevata, dalla dimensione evento del Concilio” 15. L’identità del
Concilio è determinata, in questa prospettiva, non solo dai do-
cumenti dottrinali istituzionali e dalle norme canoniche seguite
al Concilio, ma soprattutto dall’effettivo svolgimento dell’as-
semblea e dalla recezione dell’evento da parte della comunità
dei fedeli 16.

12
Per una visione di insieme della tesi del Concilio-evento, oltre alla Storia, cit., di G.
ALBERIGO, si veda: L’evento e le decisioni finali. Studi sulle dinamiche del Concilio Vati-
cano II, a cura di MARIA TERESA FATTORI-A. MELLONI, Il Mulino, Bologna 1997.
13
YVES CONGAR, Regard sur le Concile Vatican II, in Le Concile de Vatican II. Son église,
peuple de Dieu et corps du Christ, Beauschesne, Parigi 1984, p. 53.
14
G. ALBERIGO, Criteri ermeneutici per una storia del Vaticano II, in Il Vaticano II tra at-
tese e celebrazioni, a cura di G. ALBERIGO, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 16-17 (pp. 9-
26), ora in Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2009,
pp. 36-37.
15
Cfr. G. ALBERIGO, Transizione epocale, cit., p. 37.
16
Si veda, oltre all’opera di G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II, cit., Réceptions de Va-
tican II. Le concile au risque de l’histoire et des espaces humains, a cura di G. ROUTHIER,
Peeters, Lovanio 2004; Zweites Vatikanisches Konzil – Ende oder Anfang?, con i contri-
buti di WOLFGANG SEIBEL-HELMUT KRÄTZL-HERBERT VORGRIMLER-KARL LEHMANN-
SALVATORE LOIERO, a cura di ALFRED E. HIEROLD, Bamberger Theologisches Forum,
Münster 2004; GIACOMO MARTINA, Una nuova vitalità per la Chiesa. Sulla recezione del
Concilio Vaticano II, in “Rivista del Clero Italiano”, 3 LXXXVI (2005), pp. 170-189.
10 IL CONCILIO VATICANO II

La tesi della “discontinuità” viene portata avanti, anche dal


mondo cosiddetto “tradizionalista”, che raccoglie un ventaglio di
voci ampio ma disomogeneo. L’opera più importante finora ap-
parsa è quella del prof. Romano Amerio, Iota Unum 17, che non si
pone però sul piano storico, ma su quello teologico e soprattutto fi-
losofico. Ignorata dalla pubblicistica progressista, è anch’essa
un’opera di riferimento da cui non si può prescindere.

3. Ricezione e applicazione del Concilio

Il contrasto ermeneutico sul Vaticano II è legato anche a due di-


verse letture del contesto in cui l’assise conciliare si inserì e delle
conseguenze storiche che essa ebbe. Il card. Ratzinger racconta
che, alla vigilia dell’apertura dei lavori, il 12 ottobre 1962, il card.
Frings, presidente della Conferenza episcopale tedesca, lo invitò
ad esporre ai vescovi di lingua tedesca i problemi teologici che i
Padri conciliari avrebbero dovuto affrontare nei mesi successivi.
Cercando un’introduzione che mettesse in risalto qualcosa di rela-
tivo alla natura stessa dei Concili, l’allora prof. Joseph Ratzinger
trovò un testo di Eusebio di Cesarea che aveva partecipato al Con-
cilio di Nicea del 325 e che riassumeva con queste parole la sua im-
pressione sull’assise del suo tempo:

“Da tutte le chiese dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia intera si erano riu-


niti i più grandi servitori di Dio. E una sola Chiesa, come dilatata alla
dimensione del mondo per grazia di Dio, conteneva Siriani, Cilici, Feni-
ci, Arabi e Palestinesi e ugualmente Egiziani, Tebani, Africani e abitan-

17
Romano Amerio (1905-1997), filosofo e filologo, fu consulente del vescovo di Lu-
gano, mons. Angelo Jelmini, durante i lavori della Commissione preparatoria del
Concilio. La sua opera princeps Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica
nel secolo XX, pubblicata dall’editore Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli 1985, è sta-
ta ristampata nel 2009 dalle case editrici Lindau e Fede & Cultura. Su di lui, cfr. Ro-
mano Amerio. Della Verità e dell’Amore, a cura di ENRICO MARIA RADAELLI, introdu-
zione di Antonio Livi, Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005. Di Amerio si veda
anche: a cura di E. M. RADAELLI, Stat Veritas. Seguito a “Iota unum”, Lindau, Torino
2009, e Zibaldone, Lindau, Torino 2010.
INTRODUZIONE 11

ti della Mesopotamia. C’era anche un vescovo persiano. Non mancò a


questo coro uno Scita. Il Ponto e la Galizia, la Cappadocia e l’Asia, la Fri-
gia e la Pamfilia avevano invitato uomini scelti. Ma erano venuti anche
dei Traci, dei Macedoni, degli Achei e degli Epiroti e della gente abitan-
te ancora più lontano: anche uno spagnolo celebre era tra i partecipanti
a questa assemblea” 18.

Dietro queste parole entusiaste – commentò ai vescovi tedeschi


don Joseph Ratzinger – si riconosce la descrizione della Pentecoste
data da Luca negli Atti degli Apostoli. Il pensiero di Eusebio era che
Nicea era stata una vera Pentecoste. Questo era anche il pensiero
di Giovanni XXIII e dei Padri conciliari sul Vaticano II: sarebbe sta-
to una nuova Pentecoste 19.
La scuola di Bologna è rimasta fedele all’archetipo Concilio-
Pentecoste e vede in Giovanni XXIII il profeta inascoltato di una
nuova era nella storia della Chiesa. Benedetto XVI è oggi, invece,
il più illustre rappresentante di coloro che, di fronte alla auto-di-
struttiva realtà post-conciliare, modificarono, nel corso degli anni,
il loro giudizio sul Concilio, proponendone una lettura nel solco
della Tradizione.
Dopo aver attraversato da protagonista le vicende del Concilio
e i lunghi anni del post-Concilio, Joseph Ratzinger, assunto al soglio
pontificio con il nome di Benedetto XVI, applicò nuovamente al Va-
ticano II, ma in chiave ben diversa, l’immagine del Concilio di Ni-
cea. Nel già citato discorso del 22 dicembre 2005, il Papa neo-eletto,
dopo aver affermato che innegabilmente la recezione del Concilio
si era svolta in maniera difficile, evocò a questo proposito proprio
l’immagine che san Basilio dà della Chiesa dopo il Concilio del 325:
egli la paragona ad una battaglia navale, che si svolge nel buio del-

EUSEBIO DI CESAREA, Vita Constantini, II, 7.


18

Cfr. J. RATZINGER, Les principes de la théologie catholique. Esquisse et matériaux, tr. fr.
19

Téqui, Parigi 1985, p. 410. Sul Concilio come “Pentecoste”, cfr. GIOVANNI XXIII,
DMC, 23 ottobre 1958, 27 aprile 1959 (vol. I, p. 285), 12 settembre 1960 (ivi, vol. II,
p. 496), 6 gennaio, 21 aprile, 8 maggio, 26 agosto e 26 settembre 1962 (ivi, vol. IV,
pp. 221, 251, 486, 550, 879). Si veda anche GABRIELE CISLAGHI, Per una ecclesiologia
pneumatologica. Il concilio Vaticano II e una proposta sistematica, Glossa, Roma-Mila-
no 2004.
12 IL CONCILIO VATICANO II

la notte e nell’infuriare della tempesta, descrivendo “il grido rauco di


coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere in-
comprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti” 20.
La metafora che Benedetto XVI applica alla Chiesa postconci-
liare, quarant’anni dopo la conclusione del Concilio, è dunque
quella di una battaglia navale, tra le tenebre, nel mare in tempesta.
Ma già vent’anni dopo la chiusura dei lavori conciliari, nel suo
Rapporto sulla fede, l’allora cardinale Ratzinger riteneva “incontesta-
bile” che “gli ultimi vent’anni” fossero stati decisamente sfavorevo-
li per la Chiesa cattolica.

“I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti al-


le attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI. I
cristiani sono di nuovo minoranza, più di quanto lo siano mai stati dalla fi-
ne dell’antichità. I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità
cattolica, e si è invece andati incontro ad un dissenso che – per usare le pa-
role di Paolo VI – è sembrato passare dall’autocritica all’autodistruzione. Ci
si aspettava un nuovo entusiasmo, e si è invece finiti troppo spesso nella
noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti, e ci si è in-
vece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza che si è venu-
to sviluppando in larga misura sotto il segno di un richiamo a un presunto
‘spirito del Concilio’ e in tal modo lo ha screditato. (...) La Chiesa del dopo
Concilio è un grande cantiere; ma è un cantiere dove è andato perduto il
progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto” 21.

Le cause di questa profonda crisi, secondo il card. Ratzin-


ger/Benedetto XVI, vanno cercate in una cattiva applicazione del
Concilio, dovuta a una errata interpretazione dei suoi testi. Si trat-
ta dunque di un conflitto ermeneutico.

“I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche con-
trarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha cau-
sato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha

SAN BASILIO, De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG, vol. 32, col. 213.
20

J. RATZINGER, Rapporto sulla fede, Intervista con Vittorio Messori, Edizioni Paoline,
21

Milano 1985, pp. 27-28.


INTRODUZIONE 13

portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare


‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’; essa non di rado si è po-
tuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della
teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’‘ermeneutica della riforma’, del
rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore
ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo
però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino” 22.

Occorre precisare che tra la situazione di crisi seguente al Con-


cilio di Nicea e quella successiva al Concilio Vaticano II esiste una
differenza fondamentale. La crisi dopo Nicea non si aprì in segui-
to ad un conflitto ermeneutico sui canoni del Concilio del 325, ma
in aperta reazione a quei decreti 23. Di fronte a questo movimento
di reazione, l’imperatore Costantino modificò la sua politica verso
l’arianesimo, favorendo l’allargamento della crisi. Il conflitto fu tra
i sostenitori del Concilio di Nicea e i suoi avversari, radicali e mo-
derati, senza che mai fosse messo in discussione il significato del
Credo niceno.

22
“L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconcilia-
re e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero an-
cora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei
quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare mol-
te cose vecchie ormai inutili. (…) Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo im-
perfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosa-
mente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione
più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire
non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margi-
ne per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede
spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come
tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una
costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e
poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve ser-
vire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del
resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è sta-
ta data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva,
siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso” (BENEDETTO XVI,
Una giusta ermeneutica, cit., pp. 1024-1025).
23
Cfr. MANLIO SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, Institutum Patristicum “Augu-
stinianum”, Roma 1975, pp. 99-134 e passim. Cfr. anche lo studio del Beato JOHN
HENRY NEWMAN, The Arians of the Fourth Century (1833), tr. it. Gli ariani del IV secolo,
Jaca Book, Milano 1981.
14 IL CONCILIO VATICANO II

4. Concilio “pastorale” o “dottrinale”?

La formula del Concilio alla luce della Tradizione o, se si preferi-


sce, dell’“ermeneutica della continuità”, offre indubbiamente un’au-
torevole indicazione ai fedeli per chiarire il problema della giusta ri-
cezione dei testi conciliari, ma lascia aperto un problema di fondo:
posto che la corretta interpretazione sia quella continuativa, resta da
comprendere perché dopo il Concilio Vaticano II è accaduto ciò che
mai avvenne all’indomani di nessun Concilio della storia, e cioè che
due (o più) ermeneutiche contrarie si siano trovate a confronto e ab-
biano, per usare le parole dello stesso Papa, “litigato” tra di loro. Se
poi l’epoca del postconcilio è da interpretare in termini di “crisi”, c’è
da chiedersi se una errata ricezione dei testi possa incidere a tal pun-
to nelle vicende storiche e costituire una ragione sufficiente e pro-
porzionata a spiegare la vastità e la profondità della medesima crisi.
L’esistenza di una pluralità di ermeneutiche attesta peraltro
una certa ambiguità o ambivalenza dei documenti. Quando si de-
ve ricorrere a un criterio ermeneutico esterno al documento per in-
terpretare il documento stesso, è evidente, infatti, che il documen-
to non è in sé sufficientemente chiaro: ha bisogno di essere inter-
pretato e, in quanto suscettibile di interpretazione, può essere og-
getto di critica, storica e teologica.
Il più logico sviluppo di questo principio ermeneutico è quello
proposto da un eminente specialista di ecclesiologia, mons. Brune-
ro Gherardini 24. Secondo il teologo romano, il Vaticano II, in quan-
to Concilio che si auto qualificò “pastorale”, fu privo di un caratte-

24
BRUNERO GHERARDINI, Concilio Ecumenico vaticano II. Un discorso da fare, con prefa-
zione di S. E. mons. Mario Olivieri, vescovo di Albenga-Imperia, e presentazione di
mons. Albert Malcolm Ranjit, Segretario della Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, Casa Mariana, Frigento 2009. Mons. Gherardini è na-
to nel 1925. Ordinato nel 1948, ha insegnato Ecclesiologia presso la Pontificia Uni-
versità Lateranense dove è ora professore emerito. È succeduto a mons. Antonio
Piolanti come direttore della rivista “Divinitas”. Per una critica serrata dell’ambi-
guità dei testi conciliari, si veda ATILA SINKE GUIMARÃES, In the murky waters of Vati-
can II, Tan Books, Rockford (Illinois) 1999, pp. 1-296; ID., Animus Delendi (The Desire
to Destroy), Tradiction in Action, Los Angeles, vol. I (2001) e II (2002). Il carattere ete-
rogeneo e a volte contraddittorio dei testi conciliari è ammesso anche da ANTONIO
ACERBI in Due ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di comunione nella
“Lumen Gentium”, EDB, Bologna 1975.
INTRODUZIONE 15

re dottrinale “definitorio” 25. Il fatto che il Vaticano II non possa pre-


tendere la qualifica di dogmatico, ma che sia caratterizzato dalla
sua “pastoralità”, non significa naturalmente che esso sia privo di
una sua dottrina. Il Concilio Vaticano II ha certamente un suo spe-
cifico insegnamento, non privo di autorevolezza, ma, come scrive
Gherardini, “le sue dottrine, non riconducibili a precedenti definizioni,
non sono né infallibili né irreformabili, e dunque nemmeno vincolanti; chi
le negasse non per questo sarebbe formalmente eretico. Chi poi le impo-
nesse come infallibili ed irreformabili andrebbe contro il Concilio stesso” 26.
Se il Concilio Vaticano II ha una natura eminentemente pastorale, è
lecito riconoscergli un’indole dogmatica solamente là dove esso ri-
propone come verità di fede dogmi definiti in precedenti concili; “le
dottrine, invece, che gli son proprie non potranno assolutamente conside-
rarsi dogmatiche, per la ragione che son prive dell’ineludibile formalità de-
finitoria e quindi della relativa ‘voluntas definiendi’” 27.
A chi obiettasse che niente, in via di principio, impedisce che un
Concilio pastorale definisca un dogma, si potrebbe rispondere che,
al di là della autoqualificazione pastorale del Concilio Vaticano II,
la prova che esso non volle definire alcun dogma è data comunque
dai suoi atti e dal tenore dei suoi documenti, in nessuno dei quali si
trova in modo inequivoco la manifestazione della volontà di defi-
nire 28. Lo stesso Paolo VI, chiudendo il Concilio, ha dichiarato che,
in esso, “il Magistero della Chiesa (…) non ha voluto pronunciarsi con
sentenze dogmatiche straordinarie” 29 e, in occasioni meno solenni, ha

25
L’assenza di intenti definitori non è contraddetta dall’aggettivo “dogmatica”, con cui
il Concilio qualifica due sue importanti costituzioni: la Lumen Gentium e la Dei Verbum.
In realtà esse possono essere chiamate “dogmatiche” solo perché recepirono e ripro-
posero come verità di fede dogmi definiti in precedenti Concili. Su questo punto si ve-
da ARNALDO XAVIER VIDIGAL DA SILVEIRA, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti ponti-
fici e conciliari?, in “Cristianità”, n. 9 (1975), pp. 3-7. Meno convincente sembra la tesi
di BERNARD LUCIEN, Les Degrès d’autorité du Magistère. La question de l’infaillibilité. Doc-
trine catholique. Développements récents. Débats actuels, La Nef, Feucherolles 2007, che
raccoglie un certo numero di articoli già apparsi nella rivista “Sedes Sapientiae”. Con-
tra: PIERRE-MARIE o.p., Le magistère conciliare est-il infaillible?, e ALVARO CALDERON, Pour
une lucidité catholique, in “Le Sel de la Terre”, n. 63 (2007-2008), pp. 37-46 e 47-59.
26
B. GHERARDINI, Concilio Ecumenico Vaticano II, cit., p. 51 e, più in generale, pp. 47-65.
27
Ivi.
28
Cfr. A. XAVIER DA SILVEIRA, Qual è l’autorità dottrinale, cit., p. 7.
29
Discorso del 7 dicembre 1965, in PAOLO VI, Insegnamenti, vol. III, p. 722.
16 IL CONCILIO VATICANO II

ribadito che il Concilio ha avuto come uno dei suoi punti program-
matici “quello (…) di non dare nuove solenni definizioni dogmatiche” 30.
Se un Concilio ha solo l’autorità che il Papa gli vuole attribuire, i
pronunciamenti pontifici di Giovanni XXIII e di Paolo VI, anteriori
e posteriori alla promulgazione dei documenti conciliari, mettono
fine a tutti i dubbi che potessero sussistere a questo proposito.
La caratteristica “pastorale” del Concilio Vaticano II è sottoli-
neata anche dalla scuola di Bologna 31, seppure interpretata in un’ot-
tica diversa. La qualifica “pastorale” del Concilio riduce infatti l’im-
portanza dei suoi stessi atti e documenti e contribuisce a fare
dell’“evento” un canone ermeneutico. Se si ammette la “novità” di
un Concilio pastorale, occorre riconoscere, con Alberigo, che “la no-
vità più significativa del Vaticano II non è costituita dalle sue formulazio-
ni, ma piuttosto dal fatto stesso di essere stato convocato e celebrato” 32. La
convocazione del Concilio, sottolinea lo storico Joseph Komonchak,
“fu una sorpresa, una rottura con la normalità della Chiesa, in modo per-
sino indipendente da ciò che Papa Giovanni intendeva per Concilio” 33.
I testi promulgati fanno naturalmente parte dell’evento, ma
l’“evento” è costituito da un insieme di fattori che comprende, ac-
canto alla lettera dei testi, anche le rappresentazioni trasmesse e
amplificate dai media che coprivano l’avvenimento. Alcuni socio-
logi, come Melissa Wilde 34 e Massimo Introvigne 35, accettano la ca-

30
PAOLO VI, Discorso dell’8 marzo 1967, ivi, vol. V, p. 704.
31
Alberigo sottolinea che l’aggettivo pastorale al singolare compare nei testi di Ron-
calli 689 volte e 168 volte al plurale. Dall’elezione a Papa (28 ottobre 1958) fino alla
morte (1963) l’aggettivo viene usato 245 volte (G. ALBERIGO, Criteri ermeneutici, cit.,
p. 20); si veda anche ID., Le ragioni dell’opzione pastorale del Vaticano II, in “Synaxis”,
n. 20 (2002), pp. 489-509.
32
G. ALBERIGO, Transizione epocale, cit., p. 848.
33
JOSEPH A. KOMONCHAK, Riflessioni storiografiche sul Vaticano II come evento, in L’e-
vento e le decisioni, p. 419 (pp. 417-439).
34
Cfr. MELISSA WILDE, Vatican II: a sociological analysis of religious change, Princeton
University Press, Oxford 2007. Il volume di Melissa Wilde, sociologa all’Università
Indiana, in Bloomington, ha un carattere particolarmente innovativo. Esso si basa
sulle interviste ai Padri conciliari raccolte dal padre ROCCO CAPORALE (Vatican II: the
last of Councils, Helicon Press, Baltimora 1961), traendo da esse alcune importanti
considerazioni di carattere sociologico.
35
Cfr. MASSIMO INTROVIGNE, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi
del XX secolo nella Chiesa, Sugarco, Milano 2008, pp. 95-101.
INTRODUZIONE 17

tegoria di “evento” proprio per la rappresentazione che ne fecero i


media e per la “auto-rappresentazione” che di esso ebbero molti
Padri conciliari già durante il suo svolgimento. Anche Gilles
Routhier ha sottolineato come l’ermeneutica del Concilio non pos-
sa ignorare la rappresentazione dei media e il modo in cui il Con-
cilio venne percepito dai fedeli 36. I cattolici, la maggior parte dei
quali non ha letto i testi conciliari, hanno conosciuto il Concilio
proprio attraverso la rappresentazione fornita loro dai media.
Il padre John W. O’Malley conduce più a fondo l’analisi affer-
mando che il problema non riguarda solo il modo in cui i docu-
menti vennero presentati, anche prima della fine del Concilio, ma
tocca la natura stessa dei documenti sotto l’aspetto, non del conte-
nuto, ma della loro forma 37. Il gesuita americano ha proposto la fi-
gura di Erasmo da Rotterdam come “chiave” per interpretare il Va-
ticano II 38, da lui definito un concilio “erasmiano” 39. Le principali
assonanze tra Erasmo e il Vaticano II, in termini di contenuti, ri-
guardano il tema di fondo della “riconciliazione”, ma “la somi-
glianza più significativa tra Erasmo e il Vaticano II è il loro linguaggio,
il loro vocabolario, il loro stile del discorso” 40.
La “novità” del Concilio, più ancora che nel contenuto dei do-
cumenti, va cercata dunque nella loro forma, secondo le indica-

36
Cfr. G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II, cit., pp. 118-120.
37
Cfr. J. W. O’MALLEY s.j., Che cosa è successo nel Vaticano II, tr. it. Vita e Pensiero, Mi-
lano 2010, pp. 35-54 e pp. 297-319. Il padre John O’Malley ha esposto in numerose
opere il suo pensiero in relazione ai generi retorici, da Giles of Viterbo on Church and
Reform (1968), a Praise and Blame in Renaissance Rome (1979), fino a The First Jesuits
(1993) e Four Cultures of the West (2004). Meno convincente è la proposta di Peter
Hünermann di attribuire al magistero conciliare il valore di “testi costituzionali”,
intendendo con questo termine un nuovo genere letterario sviluppato dal Vaticano
II che implica la pretesa dell’“obbedienza di fede” (PETER HÜNERMANN, Der “Text”.
Eine Ergänzung zur Hermeneutik des II. Vatikanischen Konzils, in “Cristianesimo nella
storia”, n. 28 (2007), pp. 339-358, ora in Chi ha paura del Vaticano II?, cit., pp. 85-105).
38
Cfr. J. W. O’MALLEY, Erasmus and Vatican II. Interpreting the Council, in Cristianesi-
mo nella storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo, a cura di A. MELLONI-D. MENOZZI-
G. RUGGIERI-MASSIMO TOSCHI, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 195-197.
39
Cfr. ID., Egidio da Viterbo and Renaissance Rome, in Egidio da Viterbo O.S.A., e il suo
tempo: Atti del V Convegno dell’Istituto Storico Agostiniano, Studia Agostiniana Histo-
rica, Roma 1983, p. 81.
40
J. W. O’MALLEY, Erasmus and Vatican II, cit., p. 208.
18 IL CONCILIO VATICANO II

zioni della Gaudium et Spes e dello stesso Giovanni XXIII nel suo
discorso di apertura: “Altro è il deposito o le verità della fede, altro è
il modo in cui vengono enunziate, rimanendo pur sempre lo stesso si-
gnificato e il senso profondo” 41. Alle professioni di fede e dei cano-
ni si sostituisce un “genere letterario” che padre O’Malley chia-
ma “epidittico” 42. Fu il modo di esprimersi che, secondo lo storico
gesuita, “segnò una rottura definitiva con i Concili precedenti” 43.
Esprimersi in termini diversi dal passato, significa accettare una
trasformazione culturale più profonda di quanto possa sembrare.
Lo stile del discorso rivela infatti, prima ancora che le idee, le ten-
denze profonde dell’animo di chi si esprime. “Lo stile è l’espressio-
ne ultima del significato, è significato e non ornamento, ed è anche lo
strumento ermeneutico per eccellenza” 44. L’aspetto pastorale è, di
norma, accidentale e secondario rispetto a quello dottrinale, ma
nel momento in cui diviene una dimensione sostanziale e priori-
taria, il modo in cui la dottrina viene formulata si trasforma esso
stesso in dottrina, più importante di quella che, oggettivamente,
viene veicolata.
I leader del Concilio, continua O’Malley, “capivano benissimo che
il Vaticano II, essendosi autoproclamato concilio pastorale, era proprio per
questo anche un Concilio docente (…). Lo stile discorsivo del Concilio era
il mezzo, ma il mezzo comunicava il messaggio” 45. “Questo significa che
il Vaticano II, il ‘Concilio pastorale’, ha un insegnamento, una ‘dottrina’,
che in gran parte è stato difficile per noi formulare, poiché in questo caso
dottrina e spirito sono due facce della stessa medaglia” 46. La scelta di

41
Costituzione conciliare Gaudium et Spes, n. 62. Lo stesso documento rimanda poi
al discorso di apertura di Giovanni XXIII, il quale aveva affermato: “Altra è la so-
stanza dell’antica dottrina del depositum fidei, ed altra è la formulazione del suo rivesti-
mento: ed è di questo che si deve – con pazienza se occorre – tener gran conto” (Discorso
dell’11 ottobre 1962, in AAS, 54 (1962), p. 792).
42
J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, cit., pp. 45-54.
43
Ivi, p. 47.
44
Ivi, p. 51.
45
Ivi, p. 314. Cfr. anche ID., Vatican II: Historical Perspectives on its Uniqueness and In-
terpretation, in Vatican II. The Unfinished Agenda. A look to the Future, a cura di LU-
CIEN RICHARD-DANIEL HARRINGTON-J. W. O’MALLEY, Paulist Press, New York 1987,
pp. 22-32.
46
J. W. O’MALLEY, Vatican II. Did anything happen?, cit., p. 82.
INTRODUZIONE 19

uno “stile” di linguaggio con cui parlare al proprio tempo rivela


un modo di essere e di pensare e in questo senso si deve ammette-
re che il genere letterario e lo stile pastorale del Vaticano II non so-
lo esprimono l’unità organica dell’evento, ma veicolano implicita-
mente una coerente dottrina.
Sotto questo aspetto il Concilio segnò indubbiamente un
profondo cambiamento nella vita della Chiesa. I contemporanei
ne avvertirono il carattere epocale. “Si parlò – ricorda Komonchak
– di una svolta storica; la fine della controriforma o dell’epoca tridenti-
na, la fine del Medioevo, la fine dell’era costantiniana” 47. “Semplice-
mente – rileva Melissa Wilde – il Vaticano II rappresenta l’esempio più
significativo di cambiamento religioso istituzionalizzato dal tempo della
Riforma” 48.

5. Primato della prassi e riforma della Chiesa

Come ogni “evento”, il Vaticano II va calato nel contesto stori-


co in cui si svolse: gli anni Sessanta, che furono quelli in cui il co-
siddetto “socialismo reale” – ovvero il comunismo al potere – rag-
giunse l’apice della sua parabola storica. L’influenza intellettuale
del marxismo, come si presentava in quegli anni, fu forte in tutti gli
ambienti, compresi quelli cattolici. Non è difficile cogliere nel “pri-
mato della pastorale”, che si fece strada negli anni del Concilio, la
trasposizione teologica del “primato della prassi” enunciato da
Marx nelle sue Tesi su Feuerbach, con queste parole: “È nella prassi
che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il mondano
del suo pensiero” 49 e “i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi
diversi; ora però si tratta di mutarlo” 50. La prassi, vale a dire il risul-
tato storico dell’azione politica, è per Marx il supremo criterio del-

47
J. A. KOMONCHAK, Riflessioni storiografiche sul Vaticano II come evento, cit., p. 419; ID.,
Vatican II as an “event”, in Vatican II. Did anything happen?, cit., pp. 24-51.
48
WILDE, p. 2.
49
KARL MARX, Tesi su Feuerbach (1845), in FEUERBACH-MARX-ENGELS, Materialismo dia-
lettico e materialismo storico, a cura di CORNELIO FABRO, Editrice La Scuola, Brescia
1962, pp. 81-84, II Tesi, p. 82.
50
Ivi, XI Tesi, p. 84.
20 IL CONCILIO VATICANO II

la verità delle idee, perché l’azione contiene implicitamente una


dottrina, pur senza enunciarla 51.
La glossa di Marx a Feuerbach, secondo cui i filosofi non de-
vono conoscere il mondo ma trasformarlo, potrebbe essere para-
frasata da una glossa conciliare secondo cui il compito dei Pasto-
ri e dei teologi non è quello di comprendere e trasmettere la dot-
trina della Chiesa, ma di trasformare attraverso essa la storia 52.
“Fin dalla fine della prima sessione – scrive il card. Agostino Bea – ho
ripetutamente affermato che i frutti del Concilio sono da ricercarsi in
gran parte, prima che nei testi fissati sulla carta, nell’ambito delle espe-
rienze fatte dai partecipanti e, per riflesso, anche dal popolo cristiano che
seguiva i lavori conciliari. Ciò vale in modo speciale nel campo ecumeni-
co” 53. La teologia della liberazione portò questo principio alle ulti-
me conseguenze 54.
Nel postconcilio, la prassi storica divenne un “locus theologicus” 55,
per il quale “la teologia non è qualificabile come scienza pura, bensì sem-
pre come momento di un processo storico” 56. Il rapporto verità-storia fu
riformulato sottolineando la dimensione storica della teologia, che
assumeva la prassi storica 57, in forma di “teoria critica della prassi cri-

51
“Rivoluzione e senso della storia si uniscono: abbiamo la rivoluzione nel senso della sto-
ria. La storia in atto diventa l’unico giudice” (AUGUSTO DEL NOCE, I caratteri generali del
pensiero politico. Lezioni sul marxismo, Giuffrè, Milano 1972, p. 228).
52
Cfr. A. ACERBI, Ortoprassi, in Nuovo Dizionario di teologia, San Paolo, Cinisello Bal-
samo 1991, pp. 1006-1030; GIOVANNI BATTISTA MONDIN, Teologie della prassi, Queri-
niana, Brescia 1983; WALTER KASPER, La prassi scientifica della teologia, in AA.VV., Cor-
so di teologia fondamentale, IV, Trattato di gnoseologia teologica, Queriniana, Brescia
1980, pp. 245-281.
53
AGOSTINO BEA, Il cammino all’unione dopo il Concilio, Morcelliana, Brescia 1966, p.
10.
54
Cfr. CARLO MOLARI, Introduzione all’edizione italiana di Mysterium liberationis. I
concetti fondamentali della teologia della liberazione, a cura di IGNACIO ELLACURÍA-JOHN
SOBRINO, tr. it. Borla, Roma 1992, p. 12 (pp. 5-31).
55
Si veda, tra l’altro, Il Concilio vent’anni dopo. L’ingresso della categoria “storia”, a cu-
ra di ENRICO CATTANEO, Ave, Roma 1985; BRUNO FORTE, Le prospettive della ricerca teo-
logica, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, a cura di RI-
NO FISICHELLA, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, pp. 419-429.
56
GIUSEPPE RUFFINI, Il modello gramsciano della funzione intellettuale ed il suo impiego nel-
la discussione ermeneutico-teologica, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, Dimensione
antropologica della teologia, Ancora, Milano 1971, p. 292 (pp. 275-294).
57
Cfr. B. FORTE, Le prospettive della ricerca teologica, cit., p. 424.
INTRODUZIONE 21

stiana ed ecclesiale” 58. La teologia della prassi fu postulata come “l’ap-


plicazione coerente della teologia dei segni dei tempi (ST) come è stata trac-
ciata dal Concilio soprattutto nella costituzione pastorale “Gaudium et
Spes” (GS)” 59. L’“ortoprassi” divenne il criterio di verifica della teo-
logia, giudicata a partire dalla sua capacità di cambiare storicamen-
te il mondo. “La teologia sviluppatasi nella recezione del Vaticano II si ca-
ratterizza dunque per la sua peculiare storicità” 60, scrive mons. Bruno
Forte, riecheggiando il “Manifesto” di Le Saulchoir secondo cui “il
teologo non ha e non può avere alcuna speranza d’incontrare il proprio da-
to fuori dalla storia (…)” 61. È in questa prospettiva che bisogna collo-
care parole chiavi dell’epoca conciliare come “pastorale”, “aggior-
namento”, “segni dei tempi”.
La formula dell’aggiornamento, per cui non sono gli uomini a
conformarsi ai sacri insegnamenti, ma questi ad adattarsi agli uomi-
ni, capovolge, secondo O’ Malley, l’assioma del card. Egidio da Vi-
terbo nel suo discorso di apertura del Concilio Lateranense V (1512):
“(…) homines per sacra immutari fas est, non sacra per homines” 62. “Nes-
sun Concilio prima d’ora ha mai usato l’equivalente di aggiornamento co-
me leitmotiv, come un principio generale più che come rara eccezione, con
la conseguenza che per certi aspetti dovrebbe essere la Chiesa a cambiare per
incontrare i tempi e non i tempi a cambiare per incontrare la Chiesa” 63.
La dimensione pastorale diviene così una chiave ermeneutica
per riconoscere la “storicità della Chiesa” e interpretare storica-
mente la verità cristiana. Coerentemente con questa prospettiva,
Giuseppe Alberigo, che ha voluto fare della scuola di Bologna la
continuazione di quella di Le Saulchoir, non si limita nella sua Sto-
ria del Concilio Vaticano II a fare opera di storico: egli affida alla sto-

58
W. KASPER, La funzione della teologia della Chiesa, in Avvenire della Chiesa. Il libro del
Congresso di Bruxelles, Queriniana, Brescia 1970, p. 72.
59
C. MOLARI, Introduzione, cit., p. 12.
60
B. FORTE, Le prospettive della ricerca teologica, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e at-
tualità, cit., p. 424 (pp. 419-429).
61
MARIE-DOMINIQUE CHENU, Le Saulchoir. Una scuola di teologia, preceduto da una no-
ta introduttiva di G. ALBERIGO, Cristianesimo come storia e teologia confessate, tr. it. Ma-
rietti, Casale Monferrato 1982, p. 47.
62
MANSI, vol. 32, col. 669.
63
J. W. O’MALLEY, Vatican II. Did anything happen?, cit., p. 64.
22 IL CONCILIO VATICANO II

ria il compito della “riforma ecclesiologica” auspicata dalla “nou-


velle théologie” e, prima ancora, dal modernismo 64.

6. “Riscrivere” la storia del Concilio

Da parte nostra ci proponiamo di distinguere accuratamente tra


la dimensione teologica che emerge dai testi e quella più propria-
mente “fattuale”, che si riferisce alle vicende storiche. Distinzione
non significa naturalmente “separazione”. Ogni storico della Chie-
sa porta nella sua opera il bagaglio di una visione teologica ed ec-
clesiologica e, ancora prima, di una sua “teologia della storia”. Di-
remmo anzi che la ricostruzione storica dell’iter conciliare è indi-
spensabile per comprendere il senso e il significato di quei docu-
menti della Chiesa che i teologi ci aiutano a leggere nella loro di-
mensione teologica. Il teologo legge i documenti nella loro portata
dottrinale e su quelli discute 65. Lo storico ricostruisce gli eventi, an-
che se non si limita alla dimensione meramente fattuale, ma coglie
gli accadimenti nelle loro radici e conseguenze culturali e ideali. Il
compito dello storico non sta nello scomporre il passato, né nel ri-
comporlo in maniera cronachistica, ma nel cogliere l’orientamento
processuale e il nesso unitario per giungere ad una comprensione
“integrale” degli avvenimenti 66.
L’ermeneutica della continuità ribadisce correttamente il pri-
mato del Magistero ma assume il rischio di rimuovere, non solo
un’errata concezione teologica, ma anche il fatto stesso su cui si di-
scute 67. La conseguenza di questa opera di rimozione dell’evento è

64
Su questa linea si veda di G. ALBERIGO La Chiesa nella storia, Paideia, Brescia 1988,
in cui esprime la sua convinzione che “la conoscenza del fatto cristiano possa pervenire
a risultati criticamente rigorosi solo ripercorrendo la sua evoluzione dentro la storia dell’u-
manità” (ivi, p. 8).
65
Cfr. ad esempio KARL RAHNER, Interpretazione teologica fondamentale del Concilio Vati-
cano II, tr. it. in Nuovi Saggi: Sollecitudine per la Chiesa, Paoline, Roma 1982, pp. 345-361.
66
Cfr. R. DE MATTEI, Per un’assiologia della storia, in “Nova Historica”, n. 1 (2002), p.
14 (7-16).
67
“Stranamente si ha l’impressione – osserva Giuseppe Ruggieri – che la Storia non ven-
ga rifiutata perché racconta certe cose, ma perché racconta queste cose” (Recezioni e in-
terpretazioni del Vaticano II, cit., p. 391).
INTRODUZIONE 23

che oggi non esiste alcuna seria alternativa alla scuola bolognese,
alla quale va riconosciuto il merito di offrire una prima ricostru-
zione fattuale, sia pure tendenziosa, dell’avvenimento.
Per molti fautori dell’ermeneutica della continuità, la rimozio-
ne storica dell’“evento” conciliare è necessaria per separare il Con-
cilio dal post-Concilio e isolare quest’ultimo come una patologia
sviluppatasi su di un corpo sano. C’è da chiedersi però se la can-
cellazione del Concilio-evento porti a comprendere in profondità
che cosa è accaduto nel post-Concilio. Il Concilio Vaticano II fu, in-
fatti, un evento che non si concluse con la sua solenne sessione fi-
nale, ma si saldò con la sua applicazione e ricezione storica 68. Qual-
cosa accadde dopo il Concilio come conseguenza coerente di esso.
In questo senso non si può dar torto ad Alberigo quando afferma
che la ricostruzione di quanto è avvenuto tra il 25 gennaio 1959 e
l’8 dicembre 1965 costituisce una premessa necessaria per una se-
ria riflessione sul Vaticano II 69. La storia del Concilio è perciò da ri-
scrivere, o almeno da completare.
È in tale spirito che propongo una storia del Concilio, “mai scrit-
ta”, non tanto per la novità delle testimonianze e degli episodi che
ne emergono, quanto per la nuova ricostruzione e interpretazione
dei fatti che viene offerta. Vero storico non è né il ricercatore che
“scova” nuovi documenti, né il “cronista” che affastella quelli già
conosciuti, ma colui che basandosi sulla documentazione edita o
inedita a sua disposizione, è capace di ordinarla, di comprenderla,
di narrarla, inquadrando le vicende in una filosofia della storia che,
per lo storico cattolico, è innanzitutto una teologia della storia 70.
Le pagine che seguono sono dedicate alla ricostruzione storica
del “fatto”, senza pretendere di creare un’artificiale dicotomia tra i
testi e l’evento, ma cercando anzi di mostrare l’impossibilità di se-
parare la dottrina dai fatti che la generano. Non si tratta dunque di

68
Cfr. WILDE, p. 432.
69
Cfr. G. ALBERIGO, Transizione epocale, cit., p. 766.
70
Punto di riferimento di queste pagine è la teologia e filosofia della storia enuncia-
ta dal Magistero Pontificio tra il XIX e il XX secolo e sinteticamente riassunta da PLI-
NIO CORRÊA DE OLIVEIRA in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Presentazione a cura di
GIOVANNI CANTONI, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Sugarco, Milano 2009.
24 IL CONCILIO VATICANO II

un’opera di riflessione teologica, ma di narrazione storica, scritta


nello spirito con cui il card. Sforza Pallavicino affrontava il Conci-
lio di Trento: “La più sublime tra tutte le cose umane è la Religione –
scriveva – per cui trattiamo col cielo, acquistiamo il cielo. Perciò quei
racconti che hanno la religione per materia sono tanto sopra gli altri nel-
la materia, quando il cielo è sopra la terra” 71.

71
Istoria del Concilio di Trento scritta dal padre Sforza Pallavicino della Compagnia di Ge-
sù, Tipografia Pirotta, Milano 1843, vol. I, p. XXIV.
NOTA BIBLIOGRAFICA

La bibliografia sul Concilio Vaticano II è sovrabbondante 1. Per quan-


to riguarda le fonti, il punto di riferimento essenziale è l’edizione degli
atti e documenti, divisi in due sezioni, che rispecchiano i due tempi del
Concilio (preparatorio e svolgimento) 2: gli Acta et documenta Concilio ecu-
menico Vaticano II apparendo e gli Acta sinodali Sacrosancti Concilii Oecume-
nici Vaticano II.
La fase della preparazione è a sua volta divisa in due parti: antiprepa-
ratoria, che va dall’annunzio del Concilio (25 gennaio 1959) al 5 giugno
1960; la fase preparatoria, che inizia il 5 giugno 1960 con il Motu Proprio
di Giovanni XXIII Superno Dei nutu e giunge all’inizio del Concilio.
Per quanto riguarda lo svolgimento del Concilio (1962-1965), gli Acta
Synodalia raccolgono gli atti delle Congregazioni e delle sessioni pubbli-
che, gli interventi, sia orali che scritti, dei Padri, le differenti versioni degli
schemi, gli emendamenti proposti, l’approvazione dei documenti 3. Essi
offrono un contributo indispensabile per la ricostruzione delle discussioni
conciliari, anche se manca dagli Acta la documentazione delle Commis-
sioni conciliari dove vennero elaborati gli schemi. Infine i testi dei 16 do-
cumenti approvati dai Padri conciliari sono stati pubblicati in editio typica:

1
Si veda, per il solo triennio 2002-2005, MASSIMO FAGGIOLI, Concilio Vaticano II: bollet-
tino bibliografico (2002-2005), in “Cristianesimo nella storia”, n. 28 (2005), pp. 743-768.
2
Cfr. VINCENZO CARBONE, Genesi e criteri della pubblicazione degli Atti del Concilio Vati-
cano II, in “Lateranum”, n. 44 (1978), pp. 579-595; GEORGE LEFEBVRE, Les Actes du
Concile du Vatican II, in “Revue théologique de Louvain”, n. 11 (1980), pp. 186-200.
3
Acta Synodalia Sacrosancti Concili Oecumenici Vaticani II, Typis Polygl. Vaticanis,
Città del Vaticano; vol. 1, Periodus prima (1970); vol. 2, Periodus secunda (1971); vol.
3, Periodus tertia (1973); vol. 4, Periodus quarta (1976); vol. 5, Processus verbales (1991);
vol. 6, Acta secretariae generalis (1999).
26 IL CONCILIO VATICANO II

Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II. Constitutiones, Decreta,


Declarationes (Città del Vaticano 1966).
Un contributo di grande importanza è offerto inoltre dal fondo Conci-
lio Vaticano II dell’Archivio Segreto Vaticano a cui bisogna aggiungere i
fondi presenti in alcuni centri universitari di ricerca in Europa e in Ame-
rica, in particolare l’archivio Concilio Vaticano II dell’Istituto per le Scien-
ze religiose di Bologna diretto da Alberto Melloni, e, in Belgio, l’archivio
del Centrum Lumen Gentium della Université Catholique di Louvain-la-
Neuve diretto da Claude Soetens, a cui bisogna aggiungere il Centrum
voor Conciliestudie Vaticanum II della Katholieke Universiteit Leuven.
I documenti ufficiali, dai quali non si può prescindere, non sono però
sufficienti a comprendere quanto accadde a Roma dall’ottobre del 1962 al
dicembre del 1965. Importanti sono anche i testi di tutto ciò che avvenne
a latere del Concilio influendo su di esso 4. Molti aspetti, a volte, addirittu-
ra decisivi, avvennero, come ha osservato Roger Aubert, dietro le quinte.
“Su questi fatti gli archivi ufficiali tacciono, ma di essi si trovano riferimenti, a
volte anche assai precisi, nelle carte private di vari protagonisti o spettatori: lette-
re, diari, appunti personali…” 5. Ciò significa che occorre attingere alle testi-
monianze di partecipanti o di spettatori del Concilio, in particolare diari 6,
corrispondenze e libri di memorie, secondo quanto già avvertiva il cardi-
nale Siri nel 1969: “Ritengo ancora che un’adeguata storia potrà essere scritta
quando diverranno di pubblica ragione le eventuali note o diari di alcuni tra i più
autorevoli membri del Concilio” 7. Da allora sono usciti diari di fondamenta-
le importanza come quelli dello stesso Siri e dei padri Marie-Dominique

4
Un dettagliato repertorio dei fondi documentari conservati dai protagonisti del
Concilio, nelle loro diverse sedi locali, si deve a Massimo Faggioli e Giovanni Tur-
banti. Cfr. M. FAGGIOLI-GIOVANNI TURBANTI, Il Concilio inedito. Fonti del Vaticano II, Il
Mulino, Bologna 2001.
5
ROGER AUBERT, Come vedo il Vaticano II, in “Rassegna di teologia”, n. 36 (1995), p. 134.
6
A. MELLONI, I diari nella storia dei Concili, in M. D. CHENU, Diari del Vaticano II. Note
quotidiane al Concilio 1962-1963, a cura di A. MELLONI, Il Mulino, Bologna 1996, pp.
9-53; JOSEPH FAMERÉE, Uso comparativo dei diari. Una settimana di lavori conciliari (5-15
novembre 1963), in L’evento e le decisioni, pp. 321-354; LEO KENIS, Private sources for a
Study of the Second Vatican Council, in The Belgian Contribution to the Second Vatican
Council. International Research Conference at Mechelen, Lovanio e Louvain-la-Neuve
(12-16 settembre 2005), a cura di DORIS DONNELLY-J. FAMERÉE-MATTHIJS LAMBERIGTS-
KARIM SCHELKENS, Peeters, Lovanio 2008, pp. 29-52. Cfr. anche, più in generale, A.
MELLONI, Tipologia delle fonti per la storia del Vaticano II, in “Cristianesimo nella sto-
ria”, n. 13 (1992), pp. 393-514.
7
Cfr. G. SIRI, Il post-concilium: dal punto di vista storico, dal punto di vista della Provvi-
denza, in La giovinezza della Chiesa, cit., p. 177.
NOTA BIBLIOGRAFICA 27

Chenu, Yves Congar e Henri de Lubac; le corrispondenze, altrettanto im-


portanti, dei vescovi Giacomo Lercaro e Helder Câmara, a cui occorre ag-
giungere i Diari ancora inediti, che abbiamo potuto consultare, di mons.
Joseph Clifford Fenton e del dott. Murillo Maranhão Galliez e la docu-
mentazione presente negli archivi del Seminario di Ecône e dell’Istituto
Plinio Corrêa de Oliveira di San Paolo del Brasile 8.
I giornalisti che seguirono passo passo il Concilio furono di orienta-
mento progressista e ci hanno lasciato cronache tendenziose, e oggi invec-
chiate, come quelle del padre Antoine Wenger su “La Croix”, di Raniero
La Valle su “Avvenire d’Italia”, di Henri Fesquet su “Le Monde”, del re-
verendo René Laurentin su “Le Figaro”, del redentorista americano Fran-
cis X. Murphy, con lo pseudonimo di Xavier Rynne, sul “New Yorker Ma-
gazine”. Fa eccezione l’opera del padre verbita Ralph M. Wiltgen 9, diret-
tore dell’agenzia di informazioni “World Divine News”, autore di un’o-
pera apparentemente minore, ma di capitale importanza come The Rhine
flows into the Tiber.
Non vanno trascurate naturalmente le biografie dei protagonisti, ri-
cordando che la storia non è mossa solo da interessi economici e politici,
ma in primo luogo dalle idee e dalle tendenze profonde dell’animo uma-
no, che ispirano i sistemi ideologici e le azioni ad esso conseguenti. In que-
sto senso, il Concilio va considerato alla luce degli attori e dei protagoni-
sti che in essa agirono, come i cardinali Bea, Döpfner, Felici, Frings, König,
Lercaro, Ottaviani, Ruffini, Siri, Suenens. Va dato atto a Jan Grootaers di
avere seguito questa strada 10.
La storia del Concilio Vaticano II che proponiamo è “una” storia “mai
scritta” per l’approccio nuovo a questa vasta documentazione, ma non è
ancora “la” storia del Vaticano II, che attende che tutti gli archivi siano

8
Sui numerosi gruppi paraconciliari è indispensabile la consultazione della ricerca
di SALVADOR GÓMEZ Y CATALINA, Grupos “extra aulam” en el Concilio Vaticano y su in-
fluencia (tre libri in nove volumi, per un totale di 2.585 pagine. Tesi dottorale inedi-
ta, Biblioteca de la Facultad de Derecho de la Universidad de Valladolid).
9
Ralph Michael Wiltgen (1921-2007), della Congregazione del Verbo Divino, ordi-
nato nel 1950, si addottorò in Missiologia alla Pontificia Università Gregoriana,
pubblicando poi un’importante ricerca su The Founding of the Roman Catholic Chur-
ch in Oceania 1825-1850 (Australian National University Press, Canberra 1978). Il
suo libro più conosciuto è però The Rhine flows into the Tiber, Divine World Publica-
tions, New York 1967, tradotto anche in francese.
10
Cfr. JAN GROOTAERS, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Paoline, Cinisello Bal-
samo 1944; ID. (a cura di), Actes et Acteurs à Vatican II, Leuven University Press,
Lovanio 1998.
28 IL CONCILIO VATICANO II

esplorati e tutti i documenti portati alla luce. Le sorprese che si avranno


saranno allora molto maggiori di quelle che può riservare per molti que-
sto libro. Ma la Chiesa, come affermò Leone XIII, aprendo agli studiosi
l’Archivio Segreto Vaticano, “non deve temere la verità” 11.

11
Cfr. ARNOLD ESCH, Leone XIII. L’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano e la storiogra-
fia, in Leone XIII e gli studi storici, Atti del Convegno internazionale commemorati-
vo (Città del Vaticano, 30-31 ottobre 2003), a cura di C. SEMERARO, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 2004, p. 31 (pp. 20-43).
IL CONCILIO VATICANO II
I

LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII

1. Il pontificato di Pio XII: trionfo o crisi incipiente?

a) L’apogeo dell’Anno Santo

La Seconda Guerra Mondiale aveva fatto quaranta milioni di


morti e coperto il mondo di lutti e di rovine materiali e morali.
Mentre l’Europa si riprendeva faticosamente dalle macerie del tre-
mendo conflitto, nell’Anno Santo del 1950 la Chiesa cattolica, go-
vernata da Pio XII 1, si ergeva nello splendore della sua liturgia,
nella vitalità della sua dottrina e nella sua capacità di raccogliere le
folle del mondo intero.
Il momento culminante del Giubileo fu la proclamazione del
dogma dell’Assunzione della Beata Vergine in Cielo, il 1° novem-
bre 1950, davanti a oltre un milione e mezzo di pellegrini. Una te-
stimone racconta che, fin dall’alba di quel giorno, piazza San Pie-
tro, ancora immersa nel silenzio, “si trasformò in un ampio smisura-

1
Eugenio Pacelli (1876-1939) nato da una famiglia romana, ordinato nel 1899, Sotto-
segretario (1911) e poi Segretario negli Affari Ecclesiastici Straordinari (1914), consa-
crato vescovo e elevato allo stesso tempo alla dignità arcivescovile, il 13 maggio 1917.
Nunzio in Baviera (1917-1929), fu poi creato cardinale (1929) e nominato Segretario di
Stato di Pio XI. Eletto Papa il 2 marzo 1939, regnò fino al 9 ottobre 1958. Malgrado
l’abbondante letteratura, relativa soprattutto all’atteggiamento di Pio XII nei con-
fronti degli ebrei, manca ancora su questo Papa un’esauriente monografia. Si vedano
intanto le voci di ANDREA RICCARDI in DSP, vol. II, pp. 1175-1183 e FRANCESCO TRA-
NIELLO, in EP, pp. 632-645 con bibl.; JEAN CHELINI, L’Eglise sous Pie XII. 1. La tourmente:
1939-1945; 2. L’après-guerre, 1945-1958, Fayard, Parigi 1983 e 1989; PHILIPPE CHENAUX,
tr. it. Pio XII. Diplomatico e Pastore, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004; ANDREA TOR-
NIELLI, Pio XII. Eugenio Pacelli, un uomo sul trono di Pietro, Mondadori, Milano 2007.
32 IL CONCILIO VATICANO II

to mare, in cui si riversavano correnti di folla, inarrestabili e senza inter-


ruzione” 2. Tutti i popoli e tutte le nazioni erano rappresentate in
quella folla ondeggiante, mentre i canti e le preghiere si fondevano
armonicamente. Preceduto dalla bianca processione dei vescovi in
piviale e mitra, apparve sulla sedia gestatoria il Papa. Dopo aver
implorato l’assistenza dello Spirito Santo, Pio XII definì solenne-
mente “essere dogma da Dio rivelato che: l’Immacolata Madre di Dio
sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta al-
la gloria celeste in anima e corpo” 3. Il mondo intero, collegato via ra-
dio alla immensa piazza, esultò. “Sembrava una visione, eppure era
una realtà: Pio XII benedisse fino a notte inoltrata perché la folla non ces-
sava di chiamarlo. Dopo che la finestra si fu chiusa, a una fiumana di po-
polo che lasciava la piazza ne subentrava un’altra. Tutti volevano essere
benedetti ancora una volta prima che quel giorno meraviglioso finisse” 4.
Il 30 ottobre 1950, pre-vigilia del giorno della definizione del
dogma, Pio XII aveva avuto la straordinaria grazia di contempla-
re, nei giardini del Vaticano, lo stesso spettacolo del sole volteg-
giante nel cielo come un globo infuocato, a cui avevano assistito
70.000 pellegrini, a Fatima, in Portogallo, oltre trent’anni prima, il
13 ottobre 1917 5. La “danza del sole” si ripeté davanti agli occhi di

2
PASCALINA LEHNERT, Pio XII. Il privilegio di servirlo, tr. it. Rusconi, Milano 1984, p. 172.
3
PIO XII, Munificentissimus Deus, in DENZ-H., n. 3903. Si veda il testo in AAS, 42
(1950), pp. 767-770.
4
P. LEHNERT, Pio XII, cit., p. 174.
5
Su Fatima esiste una sovrabbondante bibliografia. La fonte più autorevole sono i
Documentos de Fátima, a cura di ANTONIO M. MARTINS s.j. (1918-1997), Porto 1976,
edizione in facsimile dei memoriali manoscritti di suor Lucia, con il testo in porto-
ghese e le corrispondenti traduzioni italiana e spagnola. Il più approfondito studio
sull’argomento è l’opera di MICHEL DE LA SAINTE TRINITÉ, Toute la vérité sur Fatima. Le
troisième secret, La Contre-Réforme catholique, Saint Parres-lès-Vaudes 1985, 3 voll.
Il miglior compendio: ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO, Fatima: Messaggio di
tragedia o di speranza? Con la terza parte del segreto (tr. it. Luci sull’Est, Roma 2000),
che dopo la prima edizione, in Brasile, nel 1973, ha conosciuto numerosissime tra-
duzioni e altre edizioni. Si veda anche la storia delle apparizioni e i contenuti del
messaggio, in Lucia racconta Fatima. Memorie, lettere e documenti di suor Lucia, con
presentazione e note di A. M. Martins s.j., tr. it., 4a ed. aggiornata, Queriniana, Bre-
scia 1999 e LUIS GONZAGA AIRES DA FONSECA s.j. (1878-1963), Le meraviglie di Fàtima.
Apparizioni, culto, miracoli, ed. riveduta e aggiornata da JOAQUÍN MARÍA ALONSO
c.m.f. (1913-1981), tr. it. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997. Per una inter-
pretazione di insieme: STEFANO M. MANELLI f.i., Fatima tra passato, presente e futuro,
in “Immaculata Mediatrix”, n. VII/3 (2007), pp. 299-431.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 33

Papa Pacelli il 31 ottobre e l’8 novembre. Il prodigio apparve al


Pontefice come il suggello celeste del dogma appena proclamato e
l’incoraggiamento a sviluppare il grande movimento mariano che,
dopo l’Immacolata Concezione e l’Assunzione, chiedeva a gran
voce la proclamazione della mediazione di Maria e la consacrazio-
ne della Russia al suo Cuore Immacolato 6.
Eugenio Pacelli era stato consacrato vescovo a Roma il 13 mag-
gio 1917, il giorno in cui iniziava il ciclo delle apparizioni mariane
ai tre pastorelli di Fatima, Lucia 7, Giacinta 8 e Francesco 9 e il 31 ot-
tobre del 1942 aveva consacrato la Chiesa e il mondo al Cuore Im-
macolato di Maria. Da allora il nome e il messaggio di Fatima ave-
vano iniziato a diffondersi in tutto il mondo cattolico. Per questo
molti lo consideravano il “Papa di Fatima” ed erano convinti che
durante il suo pontificato si sarebbero esaudite le richieste della
Madonna ai tre veggenti della Cova di Iria 10: la diffusione della
pratica riparatrice dei primi sabati del mese e la consacrazione del-
la Russia al Cuore Immacolato di Maria, fatta solennemente dal
Papa in unione con tutti i vescovi del mondo.
La situazione storica era delle più favorevoli, per il prestigio
senza precedenti di cui godeva la Sede Apostolica. Nel discorso di
chiusura dell’Anno Santo, il 23 dicembre 1950, Pio XII annunziò
che gli scavi intrapresi su sua richiesta sotto la Confessione della
basilica di San Pietro in Vaticano 11 confermavano che la tomba del

6
Cfr. M. DE LA SAINTE TRINITÉ, Toute la vérité sur Fatima, cit., vol. II, pp. 188-193.
7
Lúcia de Jesus dos Santos, nota come Suor Lucia (1907-2005), dopo la miracolosa
apparizione, decise di vestire l’abito delle religiose di Santa Dorotea (1921) e nel
1934 emise i voti solenni; nel 1948 entrò nel Carmelo di Santa Teresa a Coimbra do-
ve morì a 97 anni.
8
Jacinta de Jesus Marto (1910-1920), morì nell’ospedale D. Estefânia, a Lisbona, do-
po una lunga e dolorosa malattia, offrendo tutte le sue sofferenze per la conver-
sione dei peccatori, per la pace nel mondo e per “il Santo Padre” che “dovrà soffrire
molto”.
9
Francisco Marto (1908-1919) morì santamente il 4 aprile 1919, nella casa paterna.
10
Nella “Cova di Iria”, dove la Madonna apparve a Lucia, Francesco e Giacinta, Gio-
vanni Paolo II, dopo l’attentato subito il 13 maggio 1981, si recò in pellegrinaggio
nel 1982, nel 1991 e nel 2000, quando proclamò beati Francesco e Giacinta, stabilen-
do che la loro festa sia celebrata il 20 febbraio.
11
Cfr. BRUNO MARIA APOLLONJ GHETTI-ANTONIO FERRUA-ENRICO JOSI-ENRICO KIRSCH-
BAUM, Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-
1949, Tipografia Polyglotta Vaticana, Città del Vaticano 1951, 2 voll.
34 IL CONCILIO VATICANO II

Principe degli Apostoli era stata ritrovata: “La gigantesca cupola s’i-
narca esattamente sul sepolcro del primo Vescovo di Roma, del primo Pa-
pa; sepolcro in origine umilissimo, ma sul quale la venerazione dei secoli
posteriori con meravigliosa successione di opere eresse il massiccio tempio
della Cristianità” 12.

b) La “crisi teologica” degli anni Cinquanta

Il pontificato di Pio XII non appariva però privo di ombre e di


preoccupanti segni di crisi. Il Papa stesso ne era consapevole, se in
quello stesso 1950 dedicava un importante documento agli errori
serpeggianti nella Chiesa.
Nell’enciclica Humani Generis del 12 agosto, il Pontefice denun-
ciava i “frutti avvelenati” prodotti da “novità in quasi tutti i campi del-
la teologia” 13 e condannava, pur senza nominarli, coloro che face-
vano proprio il linguaggio e la mentalità della filosofia moderna e
che ritenevano “di poter esprimere i dogmi con le categorie della filoso-
fia odierna, sia dell’immanentismo, sia dell’idealismo, sia dell’esistenzia-
lismo o di qualsiasi altro sistema” 14. L’errore principale condannato
dall’enciclica era il relativismo, secondo il quale la conoscenza
umana non ha mai un valore reale e immutabile, ma solo un valo-
re relativo. Questo relativismo, che già aveva caratterizzato il mo-
dernismo condannato da san Pio X, andava ora riaffiorando sotto
veste di “nuova teologia” 15.
Pio XII conosceva bene l’origine e la natura di questi mali, an-
che perché, prima di partire come nunzio in Baviera, aveva stret-
tamente collaborato con mons. Umberto Benigni 16, promotore e or-

12
PIO XII, Radiomessaggio natalizio al mondo del 23 dicembre 1950, in DRM, vol.
XII, p. 380 (pp. 377-388).
13
PIO XII, Enciclica Humani Generis del 12 agosto 1950, in DRM, vol. XII, p. 503 (pp.
493-510).
14
Ivi, p. 499.
15
La denominazione è di Pio XII nell’allocuzione Quamvis inquieti del 22 settembre
1946, in AAS, 38 (1946), p. 385.
16
Umberto Benigni (1862-1934), ordinato nel 1884, professore di Storia ecclesiastica
all’Apollinare, nel 1906 fu chiamato alla Segreteria di Stato come Sottosegretario
della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari e venne nominato pre-
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 35

ganizzatore di una lotta senza quartiere contro il modernismo sot-


to il santo pontefice Pio X 17. Era a questo pontificato che Pio XII
volle collegare idealmente il proprio, con la beatificazione di Papa
Sarto, il 3 giugno 1951.
Parlando ai pellegrini accorsi a San Pietro per la solenne ceri-
monia, Pio XII levò “un inno di lode e di gratitudine all’Onnipotente
per averci il Signore concesso di elevare all’onore degli altari il Beato no-
stro Predecessore, Pio X (…) questo Papa del ventesimo secolo, che nel
formidabile uragano sollevato dai negatori e dai nemici di Cristo, seppe
dimostrare fin dal principio una consumata esperienza nel maneggiare il
timone della navicella di Pietro, ma che Iddio chiamò a sé, mentre più vio-
lenta infuriava la tempesta!”. Alle critiche che si erano levate contro
Pio X da parte di chi riteneva che egli avesse ecceduto nella “re-
pressione” contro il modernismo 18, Pio XII rispondeva: “Ora che il
più minuzioso esame ha scrutato a fondo tutti gli atti e le vicissitudini del

lato domestico di Sua Santità. Rimase in quella carica fino al marzo 1911 quando
gli successe l’allora mons. Eugenio Pacelli. Dal 1907 pubblicò l’agenzia d’informa-
zione “Corrispondenza romana”, poi dal 1909 al 1912, la “Correspondance de Ro-
me”. Fondò in quegli anni, con l’incoraggiamento di Pio X, l’associazione antimo-
dernista Sodalitium Pianum (nota anche come “La Sapinière”). Cfr. gli studi fon-
damentali di EMILE POULAT, Intégrisme et catholicisme intégral. Un réseau Internatio-
nal antimoderniste: La «Sapinière» (1909-1921), Casterman, Parigi-Tournai 1969; ID.,
Catholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvement catholique et Mgr. Benigni de la
naissance du socialisme à la victoire du fascisme, Castermann, Bruxelles-Parigi 1977; si
veda anche R. DE MATTEI, Modernismo e antimodernismo nell’epoca di Pio X, in MI-
CHELE BUSI-R. DE MATTEI-ANTONIO LANZA-FLAVIO PELOSO, Don Orione negli anni del
modernismo, introduzione di Annibale Zambarbieri, Jaca Book, Milano 2002, pp.
29-86; JEAN MADIRAN, L’intégrisme. Histoire d’une histoire, Nouvelles Editions Lati-
nes, Parigi 1964. Sui rapporti di Benigni con mons. Pacelli, cfr. tra l’altro SERGIO PA-
GANO, Documenti sul modernismo romano dal fondo Benigni, in “Ricerche per la storia
religiosa di Roma”, n. 8 (1990), p. 259 (pp. 223-300).
17
Pur non avendo mai ricevuto un’approvazione canonica formale, il Sodalitium
Pianum, l’associazione antimodernista costituita da mons. Benigni nel 1909, fu in-
coraggiato dalla Santa Sede, in particolare dalla S. Congregazione Concistoriale, di
cui era prefetto il card. Gaetano De Lai (1853-1928) e dallo stesso Pio X che inviò tre
autografi papali di benedizione ed assicurò una sovvenzione annuale. Il Sodalizio
fu sciolto dopo la morte di Pio X per essere riattivato nel 1915, d’intesa con la Con-
gregazione Concistoriale; venne definitivamente sciolto in data 25 novembre 1921.
18
Queste critiche riemergono continuamente. Cfr. ad esempio, tra le pubblicazioni
recenti: La condanna del modernismo. Documenti, interpretazioni, conseguenze, a cura di
CLAUS ARNOLD-GIOVANNI VIAN, Viella, Roma 2010; GUIDO VERUCCI, L’eresia del Nove-
cento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino 2010.
36 IL CONCILIO VATICANO II

suo Pontificato, ora che si conosce il seguito di quelle vicende, nessuna


esitazione, nessuna riserva è più possibile e si deve riconoscere che anche
nei periodi più difficili, più aspri, più gravi di responsabilità, Pio X, assi-
stito dalla grande anima del suo fidissimo Segretario di Stato, il Cardina-
le Merry del Val 19, diede prova di quella illuminata prudenza, che non fa
mai difetto nei santi, anche quando nelle sue applicazioni essa si trova in
contrasto, doloroso, ma inevitabile, con gl’ingannevoli postulati della
prudenza umana e puramente terrena” 20.
La prudenza soprannaturale, così diversa da quella umana, è la
prima virtù che si richiede a chi governa, e in modo particolare a
chi ha l’altissimo compito di governare la Chiesa. Non basta, per
far fronte agli eventi, un Papa “buono”, occorre un Papa “santo”,
e tale si era rivelato Pio X nella sua opera che, come affermò Pio
XII, il giorno della canonizzazione, “in vicende talora drammatiche
ebbe l’aspetto di una lotta impegnata da un gigante in difesa di un ine-
stimabile tesoro; l’unità interiore della Chiesa nel suo intimo fondamen-
to: la fede” 21.

19
Rafael Merry del Val y Zulueta (1865-1939), nato a Londra da famiglia aristocra-
tica spagnola, ordinato nel 1888, arcivescovo titolare di Nicea (1900), nominato da
san Pio X Segretario di Stato e creato cardinale nel 1903, poi Segretario della Con-
gregazione del Sant’Uffizio (1914-1930). Cfr. PIO CENCI, Il Cardinale Merry del Val.
Segretario di Stato di San Pio X Papa, L.I.C.E. – R. Berruti, Roma-Torino 1955 (l’ope-
ra è redatta in realtà dal card. Nicola Canali); GIROLAMO DAL GAL, Il servo di Dio
card. Raffaele Merry del Val, Paoline, Roma 1956; JOSÉ M. JAVIERRE, Merry del Val, Juan
Flors, Barcellona 1965.
20
PIO XII, Discorso per la Beatificazione di Pio X, del 3 giugno 1951, in DRM, vol.
XIII, pp. 127, 128, 131 (pp. 125-136). Il “minuzioso esame” a cui Pio XII si riferisce è
quello della “Disquisitio”, redatta da padre, poi cardinale, Ferdinando Antonelli per
valutare le accuse fatte a Pio X di mancanza di prudenza nella repressione del mo-
dernismo. L’esame confermò, anche in questo caso, l’eroica virtù del Pontefice (F.
ANTONELLI, Sacra Rituum Congregatio Sectio Historica n. 77 Romana Beatificationis et
Canonizationis Servi Dei Pii Papae X Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agen-
di Servi Dei respicientes in Modernismi debellatione una cum Summario Additionali ex Of-
ficio compilato, Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1950). Ne esiste una
buona traduzione francese a cura di EMMANUEL DU CHALARD DE TAVEAU: Conduite de
saint Pie X dans la lutte contre le modernisme. “Disquisitio”. Enquête des procès de béati-
fication et de canonisation, Publications du “Courrier de Rome”, Versailles 1996. Il ca-
pitolo relativo al Sodalitium pianum è stato pubblicato in italiano dal Centro Li-
brario Sodalitium (Verrua Savoia, Torino 2005).
21
PIO XII, Discorso per la Canonizzazione di Pio X, del 29 maggio 1954, in DRM, vol.
XVI, p. 33 (pp. 29-37).
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 37

L’enciclica Humani generis con cui Pio XII condannò gli errori
del proprio tempo, non aveva però la forza dottrinale della Pa-
scendi 22, il documento con cui nel 1907 Pio X aveva fulminato il mo-
dernismo. Alla Humani generis, soprattutto, non seguirono gli atti
repressivi che avevano permesso a Papa Sarto di stroncare, anche
se solo provvisoriamente, la nuova eresia. Tra i collaboratori più
stretti di Pio XII non mancava inoltre chi cercava di svigorire la
portata dell’enciclica. Poche settimane dopo la pubblicazione del
documento pontificio, l’8 settembre 1950, il filosofo francese Jean
Guitton 23 incontrò in Vaticano il sostituto della Segreteria di Stato
Giovanni Battista Montini 24 e gli espose la sua preoccupazione per
il fatto che Roma potesse guardare con sospetto ai “progressi del
pensiero” in Francia. Mons. Montini si sforzò di dissipare questa
impressione, dicendo a Guitton che la Humani generis non condan-
nava alcun errore, ma solo invitava alla cautela quelle tendenze
culturali vive e vitali, che avrebbero potuto svilupparsi nella Chie-
sa senza fretta e in maniera prudente.

“Avrà certamente osservato anche lei le sfumature di questo testo ponti-


ficio. Per esempio l’enciclica non parla mai di errori (errores). Parla sol-
tanto di opinioni (opiniones). Questo sta ad indicare che la Santa Sede
non mira a condannare errori veri e propri, ma dei modi di pensiero su-
scettibili di produrre errore, ancorché rispettabili in sé. D’altra parte esi-
stono tre ragioni perché l’enciclica non sia deformata: la prima voglio

22
Cfr. PIO X, Enciclica Pascendi dominici gregis dell’8 settembre 1907, in AAS, 40
(1907), pp. 596-628; tr. it. Cantagalli, Siena 2009, con introduzione di R. DE MATTEI.
L’enciclica venne preceduta dal decreto Lamentabili (Decr. S. Officii del 3 luglio 1907
in ASS, 40 (1907), pp. 470-478) e fu seguita dal giuramento antimodernista Sacrorum
antistitum del 1 settembre 1910 (AAS, 2 (1910), pp. 655-680) che ne costituisce il
compimento.
23
Jean Guitton (1901-1999), scrittore francese, membro dell’Académie Française, fu
invitato personale al Concilio sedendo, durante la prima sessione, nella tribuna de-
gli osservatori cattolici, poi tra gli uditori laici.
24
Giovanni Battista Montini (1897-1978) del clero di Brescia. Ordinato nel 1920, so-
stituto della Segreteria di Stato per gli Affari Ordinari (1937-1952); Pro-segretario di
Stato per gli Affari Ordinari (1952-1954); arcivescovo di Milano (1954), cardinale
(1958). Eletto Sommo Pontefice il 21 giugno 1963 con il nome di Paolo VI. Su di lui
cfr. la voce di GIOVANNI MARIA VIAN, in EP, pp. 657-674 con bibl., e le opere via via
citate in questo volume.
38 IL CONCILIO VATICANO II

confidargliela: è l’espressa volontà del Santo Padre. La seconda è la men-


talità dell’episcopato francese, di vedute ampie, aperto alle correnti con-
temporanee (…) A Roma noi abbiamo il dovere di vegliare anche al lato
dottrinale. Noi siamo particolarmente sensibili a tutto quello che potreb-
be alterare la purezza della dottrina che è verità. Il sommo pontefice de-
ve custodire il deposito, come dice san Paolo. E arrivo alla terza ragione,
Essa si riassume in due parole; i francesi sono intelligenti (…) Se i fran-
cesi hanno sovente ricevuto da parte della Santa Sede degli avvertimen-
ti (e talvolta degli avvertimenti in senso contrario), ciò è dovuto, direi,
alla loro qualità di ardore, di vitalità, di creatività e, ripeto, di intelli-
genza. Voglio aggiungere qualcosa che un filosofo come lei capirà molto
facilmente. Non si corregge ciò che dorme, ciò che è morto. Oppure, in al-
tre parole, si corregge solo ciò che è vivo e, nel correggerlo, lo si ammira.
E arriverei persino a dire che, talvolta, lo si invidia. I francesi fanno ma-
le a prendere per condanna l’avvertimento, l’appello alla prudenza, alla
lentezza, alla maturazione” 25.

Le parole di mons. Montini lasciavano trasparire una sostan-


ziale simpatia per le tendenze dottrinali che preoccupavano Pio
XII e con essa la convinzione che l’era dello scontro ideologico fra
modernismo e antimodernismo fosse definitivamente superata dai
“tempi nuovi” che si aprivano per la Chiesa.

2. La “riforma” modernista della Chiesa

a) Il “metodo storico-critico”

Il termine “modernismo” ricorre ufficialmente la prima volta


nella enciclica Pascendi di san Pio X per ricondurre a un medesimo
movimento un complesso di errori in tutti i campi della dottrina

25
JEAN GUITTON, Dialoghi con Paolo VI, tr. it. Mondadori, Milano 1967, pp. 25-27. Cfr.
anche ID., Paolo VI segreto, tr. it. Edizioni Paoline, Roma 1981, pp. 40-47. Si veda an-
che R. AUBERT, La théologie catholique au milieu du XXe siècle, Castermann, Parigi
1954, pp. 84-86; G. MARTINA, Il contesto storico in cui è nata l’idea di un nuovo Concilio
ecumenico, in Vaticano II. Bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo, a cura di RENÉ
LATOURELLE s.j., Cittadella, Assisi 1987, p. 57.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 39

cattolica (Sacra Scrittura, teologia, filosofia, culto) 26. Le radici e le


ragioni di questo movimento stanno nel tentativo di stabilire un
“dialogo” tra la Chiesa e il processo di secolarizzazione seguito al-
la Rivoluzione francese 27.
Nel XIX secolo, Pio IX aveva stabilito una linea di argine contro
questo processo rivoluzionario attraverso tre momenti solenni del
suo Pontificato: la definizione del dogma dell’Immacolata Concezio-
ne (1854); la condanna degli errori moderni con l’enciclica Quanta cu-
ra e Il Sillabo (1864); la proclamazione dei dogmi del Primato di giu-
risdizione e dell’infallibilità del Romano Pontefice con il Concilio Va-
ticano I (1870) 28. Ognuno di questi atti costituiva un bastione teologi-
co che rendeva difficile un attacco frontale. La “riforma” della Chie-
sa, che aveva costituito l’obiettivo delle principali correnti eterodos-
se del XVIII e XIX secolo, avrebbe dovuto seguire nuove strade.
Nel corso della storia, “gli eretici degli eretici”, secondo Luciano
Canfora, furono “i fondatori della filologia” 29, una scienza che, fin dai
tempi di Lorenzo Valla e di Erasmo da Rotterdam, venne brandita
come strumento di eversione della verità naturale e divina. Alla fine
del secolo XIX, sotto l’influsso del positivismo, lo strumento filolo-
gico venne applicato alle Sacre Scritture da alcuni teologi ed esegeti
che invocavano l’autonomia della ricerca scientifica dal Magistero
ecclesiastico e rivendicavano ai filologi la interpretatio autentica dei
testi sacri. Fu così che, sotto il pontificato di Leone XIII, successore

26
Il documento pontificio fu, secondo il modernista ERNESTO BUONAIUTI, “l’unica ri-
duzione ad unità dei molteplici indirizzi compresi sotto il nome generico di modernismo”
(Modernismo, in Dizionario delle Opere, Milano, Bompiani 1947, vol. I, p. 158), movi-
mento che si presentò come “una materia fluida e incandescente” (ID., Storia del Cri-
stianesimo, Dall’Oglio, Milano 1943, vol. III, p. 622) e il cui carattere distintivo “fu la
stessa indeterminatezza del suo programma” (ivi, p. 618).
27
Sul modernismo la bibliografia è ormai ampia. Per una lettura alla luce dell’inse-
gnamento tradizionale della Chiesa cfr., oltre a R. DE MATTEI, Modernismo e antimo-
dernismo, cit., la densa voce di C. FABRO, in EC, VIII, coll. 1190-1191; ID., Dall’essere
all’esistente, Morcelliana, Brescia 1957, pp. 71-125; RAMÓN GARCÍA DE HARO, Historia
teológica del modernismo, Universidad de Navarra, Pamplona 1972.
28
Per un’analisi dei tre atti pontifici, cfr. R. DE MATTEI, Pio IX, Piemme, Casale Mon-
ferrato 2000.
29
LUCIANO CANFORA, Filologia e libertà. La più eversiva delle discipline, l’indipendenza di
pensiero e il diritto alla verità, Mondadori, Milano 2008, p. 13. Canfora ricorda il no-
me di Spinoza, da cui discende, come logico sviluppo, l’opera esegetica dell’orato-
riano Richard Simon, che costituisce a sua volta il retroterra di Loisy.
40 IL CONCILIO VATICANO II

di Pio IX, riapparve il “metodo” storico-critico con cui Erasmo, tre


secoli prima, aveva spianato la strada alla Rivoluzione protestante 30.
All’interno dell’Institut Catholique fondato a Parigi nel 1875,
mons. Louis Duchesne 31 iniziò ad applicare il nuovo metodo alla
storia della Chiesa. Con lui collaborava un giovane sacerdote, Al-
fred Loisy 32, che si propose di applicare la lezione del maestro al-
l’ambito degli studi biblici.
Nel volumetto L’Evangile et l’Eglise 33 (1902), risposta all’inter-
pretazione del Cristianesimo dell’esegeta protestante Adolf von
Harnack 34, Loisy, applicando il metodo storico-critico, negava o

30
Cfr. HENRI-IRÉNÉE MARROU, Philologie et histoire dans la période du pontificat de Léon
XIII, in Aspetti della cultura cattolica nell’età di Leone XIII, a cura di GIUSEPPE ROSSINI,
Cinque Lune, Roma 1961, pp. 71-106; HANS-JOACHIM KRAUS, Geschichte der historisch-
kritischen Erforschung des Alten Testaments von der Reformation bis zur Gegenwart,
Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1969; JOSEPH G. PRIOR, The Historical Criti-
cal Method, in Catholic Exegesis, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1999;
FRANÇOIS LAPLANCHE, La crise de l’origine. La science catholique des Evangiles et l’histoi-
re du XXème siècle, Albin Michel, Parigi 2006. Sul carattere eversivo del metodo fi-
lologico-critico di Erasmo, cfr., tra l’altro, R. GARCÍA DE HARO, op. cit., pp. 235-289; R.
DE MATTEI, A sinistra di Lutero, Città Nuova, Roma 2001, pp. 17-20 e passim.
31
Su mons. Louis Duchesne (1843-1922), francese, ordinato nel 1867, professore al-
l’Institut Catholique di Parigi (1877-1885) poi direttore della Ecole archéologique
française di Roma (1895-1922), cfr. gli Atti del convegno organizzato dalla Ecole
Française di Roma, Monseigneur Duchesne et son temps, Ecole Française de Rome, Ro-
ma 1975; BRIGITTE WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne (1843-1922), Ecole française
de Rome, Roma 1992; L. DUCHESNE, Correspondance avec Madame Bulteau (1902-1922),
Ecole française de Rome, Roma 2009.
32
Alfred Loisy (1857-1940), ordinato nel 1881, professore di scienza biblica all’Institut
Catholique di Parigi dal 1889 al 1893, scomunicato il 7 marzo 1908, ruppe il rapporto
con la Chiesa e, al contrario dei suoi amici modernisti, abbandonò il Cristianesimo.
Cfr. FRIEDRICH HEILER, Der Vater des katholischen Modernismus: Alfred Loisy (1857-1940),
Erasmus, Monaco 1947; EMILE GOICHOT, Alfred Loisy et ses amis, Cerf, Parigi 2002.
33
L’opera, pubblicata dall’editore Picard nel 1903, fu inserita nell’Indice dei libri proi-
biti insieme ad altre quattro opere di Loisy, che fu scomunicato personalmente il 7
marzo 1908. Cfr. A. LOISY, Il Vangelo e la Chiesa e intorno a un piccolo libro, tr. it. con
un saggio introduttivo di LORENZO BEDESCHI, Ubaldini, Roma 1975. Sulla discussio-
ne attorno al volumetto di Loisy, si veda E. POULAT, Storia, dogma e critica nella crisi
modernista, tr. it. Morcelliana, Brescia 1967, pp. 38-78, 85-122 (con tutte le indicazio-
ni bibliografiche relative). Dello stesso POULAT, cfr. Critique et mystique. Autour de
Loisy ou la conscience catholique et l’esprit moderne, Centurion, Parigi 1984.
34
Adolf von Harnack (1851-1930), teologo protestante, professore alla Università di
Lipsia, Geissen e Marburgo. Per un bilancio della discussione, cfr. GUGLIELMO FOR-
NI, L’“essenza del Cristianesimo”. Il problema ermeneutico nella discussione protestante e
modernista (1897-1940), Il Mulino, Bologna 1992.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 41

vanificava il carattere rivelato dell’Antico e del Nuovo Testa-


mento, la divinità di Cristo, l’istituzione della Chiesa, della ge-
rarchia, dei sacramenti. In una visione retrospettiva della sua
opera, egli dichiarava di aver voluto “una riforma essenziale della
esegesi biblica, di tutta la teologia e perfino del cattolicesimo in gene-
re” 35. “Storicamente parlando – ricorderà Loisy – io non ammettevo
che Cristo avesse fondato la Chiesa e i Sacramenti; professavo che i
dogmi si erano formati gradualmente e che non erano immutabili; lo
stesso ammettevo per l’autorità ecclesiastica, di cui facevo un ministe-
ro di educazione umana (…). Non mi limitavo dunque a criticare Har-
nack. Insinuavo con discrezione, ma effettivamente, una riforma so-
stanziale dell’esegesi cattolica, della teologia ufficiale, del governo ec-
clesiastico in generale” 36. L’orizzonte che egli dischiudeva era
quello della trasformazione del cristianesimo in una nebulosa
“religione dell’umanità”. Alcuni esegeti cattolici di valore, come
il padre domenicano Marie-Joseph Lagrange 37, rifiutavano le te-
si teologiche e filosofiche di Loisy, ma ne accettavano il metodo
e vennero censurati dall’autorità ecclesiastica per gli errori im-
pliciti nel loro approccio ai testi sacri 38.

35
A. LOISY, Choses passées, Nourry, Parigi 1913, p. 246.
36
A. LOISY, Mémoires pour servir à l’histoire religieuse de notre temps, 3 voll., Nourry, Pa-
rigi 1930-31, vol. II, p. 168.
37
Marie-Joseph Lagrange (1855-1938), domenicano francese, ordinato nel 1879,
fondò la scuola biblica di Gerusalemme, dove dimorò 45 anni. La Scuola Biblica di
Gerusalemme e il Capitolo Generale dell’Ordine domenicano hanno introdotto la
sua causa di beatificazione. Su di lui, si veda FRANÇOIS-MARIE BRAUN, L’oeuvre du Pè-
re Lagrange. Etude et bibliographie, Editions Saint Paul, Friburgo 1943; BERNARD MON-
TAGNES, Le Père Lagrange (1855-1938). L’exégèse catholique dans la crise moderniste, Cerf,
Parigi 1995; ID., Marie-Joseph Lagrange: une biographie critique, Cerf, Parigi 2004;
JERÔME MURPHY O’CONNOR, Cent’anni di Esegesi, II, Il Nuovo Testamento. L’Ecole bibli-
que di Gerusalemme, tr. it. Dehoniane, Bologna 1992, pp. 19-41.
38
Alla scuola di Lagrange appartenevano i gesuiti Ferdinand Prat (1857-1938),
Franz-Xavier Funck (1840-1907) e Franz von Hummelauer (1841-1914), confutati
dai loro confratelli Santo Schiffini, nel volume Divinitas scripturarum adversus odier-
na novitates asserta et vindicata (1905) e Louis Billot, in De inspiratione Sacrae Scriptu-
rae (1903). Cfr. GIOVANNI SALE, “La Civiltà Cattolica” nella crisi modernista (1900-1907),
Jaca Book, Milano 2001, pp. 157-160. Si veda anche la critica alla “scuola larga” di
Lagrange, in ALPHONSE J. DELATTRE s.j., Autour de la question biblique. Une nouvelle
école d’exégèse et les autorités qu’elle invoque, H. Dessain, Liegi 1904. Notorie erano le
riserve nei confronti di Lagrange dello stesso Maestro Generale dei domenicani il
beato Giacinto Cormier (1832-1916).
42 IL CONCILIO VATICANO II

Leone XIII, nella enciclica Providentissimus Deus 39 (1893), con-


fermò l’insegnamento già definito dal Concilio Tridentino e dal Va-
ticano I, secondo cui il Magistero della Chiesa, l’unica depositaria
della parola di Dio, è la norma suprema per stabilire il vero senso
della Sacra Scrittura 40, e il 30 ottobre 1902 costituì, con la Lettera
Apostolica Vigilantiae studique 41, la Pontificia Commissione Biblica.
Il documento di Leone XIII, dopo avere richiamato la formula dei
Concili, definisce la ragione stessa dell’esistenza della Commissio-
ne nel principio secondo cui, in materia di dogma e di morale, “Dio
non ha lasciato le Scritture al parere privato dei dotti, ma ne ha affidato
l’interpretazione al Magistero della Chiesa” 42.

b) Il principio di immanenza

Il documento forse più significativo del modernismo è rappre-


sentato dal Programma dei modernisti, apparso anonimamente a Ro-
ma nell’ottobre 1907, ma opera principalmente di don Ernesto
Buonaiuti 43, professore di storia della Chiesa nel Seminario dell’A-
pollinare, convinto che il metodo storico fosse “destinato a divenire
il vero locus theologicus della Rivoluzione cristiana” 44. Il Programma 45

39
Cfr. LEONE XIII, Enciclica Providentissimus Deus del 18 novembre 1893, in ASS, 26
(1893/1894), pp. 279-291; DENZ-H, nn. 3280-3294.
40
Cfr. PIO XII, Enciclica Divino Afflante spiritu, in AAS, 35 (1943), p. 338; ID., Encicli-
ca Humani generis, AAS, 42 (1950), p. 569.
41
LEONE XIII, Lettera apostolica Vigiliantiae studique del 30 ottobre 1902, in ASS, 35
(1902-1903), pp. 234-238.
42
Ivi, p. 236.
43
Ernesto Buonaiuti (1881-1946), ordinato nel 1903, fu scomunicato nel 1925. Su di
lui, cfr. la voce di FAUSTO PARENTE in DBI, XV (1972), pp. 112-122 con bibl., e quella
di ANNIBALE ZAMBARBIERI, in DSMCI, II, pp. 58-66; ID., Il cattolicesimo tra crisi e rin-
novamento. Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista,
Morcelliana, Brescia 1979. Fondamentale rimane la sua autobiografia, Pellegrino in
Roma, Darsena, Roma 1945. Sul modernismo in Italia: MAURILIO GUASCO, Moderni-
smo: i fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995.
44
E. BUONAIUTI, Pellegrino in Roma, cit., p. 139.
45
Cfr. ID., Il Programma dei modernisti italiani. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi do-
minici gregis”, Società Internazionale Scientifico-Religiosa, Roma 1907, p. 100. Un de-
creto del vicariato di Roma (ASS, XL (1907), p. 720) comminò la scomunica a coloro che
avessero redatto, o in qualunque modo preso parte, alla realizzazione dell’opera.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 43

professava l’evoluzione intrinseca e illimitata dei dogmi, il cui si-


gnificato e valore non proverrebbe dal loro immutabile contenuto,
ma dall’emozione soggettiva che può suscitare nella coscienza
umana.
L’impianto teologico del movimento si deve tuttavia al sacer-
dote irlandese George Tyrrell 46, convertitosi dal calvinismo all’an-
glicanesimo e da questo al cattolicesimo (1879) per poi entrare nel-
la Compagnia di Gesù da cui fu espulso nel 1907. Nello sviluppo
del suo pensiero, una data importante è l’anno 1899 con la pubbli-
cazione, sulla rivista “The Month”, dell’articolo On the Relation of
Theology to Devotion poi ristampato sotto il nuovo titolo Lex orandi,
lex credendi nella raccolta Through Scylla and Carybdis del 1907. Tyr-
rell identifica la rivelazione con l’esperienza vitale (religious expe-
rience), che si compie nella coscienza di ognuno, per cui è la lex
orandi a dettare le norme della lex credendi e non viceversa. La Ri-
velazione-esperienza, infatti, “non può venire a noi dal di fuori; l’in-
segnamento può essere l’occasione, non la causa” 47. L’“esperienza reli-
giosa” del credente si sostituisce simultaneamente sia alla ragione
che alla fede.
Sugli “Annales de philosophie chrétienne”, diretti dall’orato-
riano Lucien Laberthonnière 48, Maurice Blondel, sviluppando il te-

46
George Tyrrell (1861-1909), irlandese, si convertì dal calvinismo all’anglicanesi-
mo e da questo al cattolicesimo (1879) per poi entrare nella Compagnia di Gesù
(1880). Ordinato nel 1891, fu scomunicato nel 1907. Su di lui si veda DOMENICO
GRASSO, La conversione e l’apostasia di G. Tyrrell, in “Gregorianum”, n. 38 (1957), pp.
446-480; DANIELE ROLANDO, Cristianesimo e religione dell’avvenire in George Tyrrell,
Le Monnier, Firenze 1978, e la tesi per il dottorato in teologia di STEFANO VISINTIN
o.s.b., Rivelazione divina ed esperienza umana. La proposta di George Tyrrell e la rispo-
sta di Karl Rahner, Peter Lang, Berna 1999. Documenti importanti per compren-
derne il pensiero sono la Autobiografia e biografia pubblicata con il titolo Autobio-
graphy and Life of George Tyrrell, Edward Arnold, Londra 1912 (tr. it. Autobiografia
e biografia, Libreria Editrice Milanese, Milano 1915) da Maude Petre (1863-1947),
che dopo aver conosciuto il gesuita in un ritiro spirituale, nella Congregazione re-
ligiosa di cui essa era la superiora provinciale, si era secolarizzata per seguirlo co-
me sua discepola e “vestale”.
47
G. TYRRELL, Through Scylla and Charydbis, Green and Co., Londra 1907, pp. 305-306.
48
Di Lucien Labertonnière (1862-1932), della Congregazione dell’Oratorio, ordinato
nel 1886 e direttore della rivista “Annales de philosophie chrétienne” dal 1905 al
1913, importante è la Correspondance philosophique, con Maurice Blondel, a cura di
CLAUDE TRESMONTANT, Seuil, Parigi 1961.
44 IL CONCILIO VATICANO II

ma di fondo della sua tesi di dottorato L’Action. Essai d’une critique


de la vie et d’une science de la pratique (1893) 49, propose una nuova
forma di apologetica attraverso il metodo dell’immanenza che avreb-
be permesso di accogliere la Rivelazione a partire dalle esigenze
dello spirito dell’uomo 50. L’apologetica di Blondel, per evitare
l’“intellettualismo”, si fondava su di una “religione del cuore” a
sfondo soggettivista e immanentista.
Buonaiuti ricorda il “solco incancellabile” inciso dall’Azione di
Blondel sulla sua anima 51 e l’“intimo senso di voluttuoso compiaci-
mento con cui trascorse nella lettura dell’opera di Blondel la prima notte
del secolo ventesimo” 52. Anche Tyrrell sottolinea la sua affinità con il
pensatore francese 53 a cui preferisce tuttavia Laberthonnière e Le
Roy “che ha il vantaggio di essere chiaro” 54.
Pio X, nella enciclica Pascendi e nel decreto Lamentabili con-
dannò il principio di immanenza che costituiva il nucleo del mo-
dernismo, e con questo il primato dell’“esperienza religiosa” del
credente, da cui scaturisce la possibilità di evoluzione dei dogmi e
della verità religiosa. Il Motu Proprio Sacrorum Antistitum, che co-
stituisce il compimento dei documenti precedenti, respinge “l’ere-

49
Cfr. MAURICE BLONDEL, L’Action (1893), P.U.F., Parigi 1974. Su Blondel (1861-1949),
professore di filosofia alla Università di Aix (1896-1927), cfr. RENÉ VIRGOULAY, Blon-
del et le Modernisme: la philosophie de l’action et les sciences religieuses (1896-1913), Cerf,
Parigi 1980; ID., “L’Action” de Maurice Blondel. 1893. Relecture pour un centenaire,
Beauchesne, Parigi 1992. Importante è anche la Correspondance di Blondel con Pier-
re Teilhard de Chardin (Beauchesne, Parigi 1965) e Joannès Wehrlé (Aubier, Parigi
1969) commentate da padre Henri de Lubac.
50
Le tesi di Blondel furono acutamente confutate da JOSEPH DE TONQUÉDEC s.j. (1869-
1962), Immanence. Essai critique sur la doctrine de Maurice Blondel, Beauchesne, Parigi
1912. Si veda anche l’articolo dell’abbé HERVÉ GRESLAND, Maurice Blondel et sa métho-
de d’immanence. Un grand-père de Vatican II, in “Le Sel de la Terre”, n. 57 (2006), pp.
30-77, che riassume e riattualizza la critica del padre de Tonquédec.
51
Cfr. E. BUONAIUTI, Pellegrino in Roma, cit., p. 63.
52
Ivi, p. 43.
53
G. TYRRELL, Autobiografia e biografia, cit., p. 333.
54
Lettres de Georges Tyrrell à Henri Brémond, Aubier-Montaigne, Parigi 1971, p. 271.
Per Edouard Le Roy (1870-1954), discepolo e successore di Henri Bergson al Collè-
ge de France, la verità dogmatica è solo un elemento di orientamento per la prassi
e non si può dimostrare, ma solo tradurre in azione etica un Dio che “diviene” con-
temporaneamente alla creazione. Su di lui, cfr. RUDOLF MICHAEL SCHMITZ, Dogma
und Praxis. Der Dogmenbegriff der Modernisten Edouard Le Roy Kritisch Dargestellt, Li-
breria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 45

tica convinzione della evoluzione dei dogmi, secondo la quale tali dogmi
cambierebbero di significato per riceverne uno diverso da quello che è sta-
to dato loro dalla Chiesa agli inizi” 55 e ribadisce che la fede non è un
“cieco sentimento religioso che erompe dall’oscurità del subcosciente” ma
che essa è “un vero assenso dell’intelletto” 56.

c) Tra modernismo e anti-modernismo: il “Terzo Partito”

Il termine “Terzo Partito” è stato coniato dallo storico francese


Emile Appolis, in alcuni studi sulle correnti religiose del secolo
XVIII 57. Il giansenismo, condannato dalla Chiesa, produsse secondo
Appolis un “Terzo Partito” costituito da ecclesiastici di diverse cate-
gorie che offrirono ai giansenisti la possibilità di prosperare all’inter-
no della Chiesa. Tali ecclesiastici naturalmente non si dichiaravano
giansenisti e anzi condannavano il giansenismo, ma non lo combat-
tevano e sostenevano la tesi che questo sarebbe tranquillamente
scomparso se gli antigiansenisti avessero cessato qualsiasi campagna
contraria. Nelle file cattoliche, accanto ai giansenisti e ai seguaci del-
l’autorità romana, sorse il partito della terza forza, anch’essa opposta
ai fedeli di Roma, che accusava di essere esagerati, intransigenti, ne-
mici della carità. Applicando questa polarizzazione, altri storici han-
no parlato dell’esistenza in questo periodo di una corrente di “cen-
tro”, tra la destra ortodossa dei gesuiti e la “sinistra” gallicana e gian-
senista 58. Per quanto improprie siano queste categorie, non c’è dub-
bio che l’allontanamento dal polo dell’ortodossia integrale abbia co-
nosciuto sfumature diverse che permettono di parlare dell’esistenza
di una “terza forza” tra la verità integrale e l’errore dichiarato.

55
DENZ-H, n. 3541.
56
Ivi, n. 3542.
57
Cfr. EMILE APPOLIS, Entre jansénistes et constitutionnaires: un tiers parti, in “Annales”,
n. 2 (1951), pp. 154-171; poi Entre jansénistes et zelanti. Le Tiers Parti catholique au XVIIIè-
me siècle, A. e J. Picard, Parigi 1962. Si veda anche ANTONIO DE CASTRO MAYER, Il Gian-
senismo e la Terza Forza, tr. it. “Cristianità”, n. 1 (1973), pp. 3-4 e n. 2 (1973), pp. 3-4.
58
Cfr. LUCIEN CEYSSENS, Le jansénisme. Considérations historiques préliminaires à sa no-
tion, in Nuove ricerche storiche sul giansenismo, Gregoriana, Roma 1959, pp. 28-29. Si
veda anche R. DE MATTEI, Idealità e dottrine delle Amicizie, Biblioteca Romana, Roma
1981, pp. 15-22.
46 IL CONCILIO VATICANO II

Anche nel Concilio Vaticano I si era formato, tra “infallibilisti”


e “anti-infallibilisti”, un “Terzo Partito” composto non tanto da
“infallibilisti moderati”, come l’arcivescovo di Baltimora Spal-
ding 59, quanto da “anti-infallibilisti”, come mons. Lavigerie 60 che,
essendosi resi conto di andare incontro ad una sconfitta, cercaro-
no fin all’ultimo di mitigare i termini della formulazione del dog-
ma in nome della “opportunità politica” 61. Lo stesso meccanismo
si ripeté con il modernismo, che produsse anch’esso un “Terzo
Partito” intermedio tra le posizioni dell’autorità romana e quelle
eterodosse. Blondel, “non abbastanza moderno per gli uni, non abba-
stanza modernista per gli altri” 62, cercava di tracciare una via “in-
termedia” tra modernismo ed antimodernismo e può essere con-
siderato, come il padre Lagrange, significativo esempio di quel
“Terzo Partito” che avrebbe dominato il pensiero cattolico nei de-
cenni successivi 63. “Siete stato bene ispirato – gli scrive l’amico Fer-
dinand Mourret – a chiamare il vostro principio sintetico col suo no-
me tradizionale di tradizione. Se aveste avuto l’idea di denominarlo l’e-
sperienza collettiva della Chiesa o l’azione dello spirito infallibile sulla
comunità cristiana, o in altro modo analogo, sareste stato fortemente
compromesso. Se aveste avuto la disgrazia di battezzarlo l’evoluzione
immanente, sareste stato perduto” 64.
Dopo la morte di Pio X, negli anni Venti del Novecento, si deli-
neò una terza forza che, pur prendendo le distanze dal moderni-
smo, ne assicurava di fatto la continuazione anche dopo la con-
danna 65. Questo “Terzo Partito” si affermò grazie all’appoggio del

59
Martin John Spalding (1810-1872), americano, ordinato nel 1834, fu vescovo di
Louisville (1850) e poi arcivescovo di Baltimora (1864).
60
Charles-Martial Allemand Lavigerie (1825-1892), francese, ordinato nel 1849, ve-
scovo di Nancy (1863), poi di Algeri (1867), creato cardinale nel 1882.
61
R. AUBERT, Documents concernant le tiers parti au concile du Vatican, in Abhandlungen
über Theologie und Kirche. Festschrift für Karl Adam, a cura di MARCEL REDING, Pat-
mos-Verlag, Düsseldorf 1952, pp. 241-259.
62
ETIENNE FOUILLOUX, Une Eglise en quête de liberté, Desclée de Brouwer, Parigi 2006,
p. 30.
63
Cfr. Ivi. Per Fouilloux, la “nuova teologia” degli anni Quaranta e Cinquanta è “la
figlia legittima del Terzo Partito degli anni 1900” (p. 33).
64
Lettera di Mourret a Blondel del 20 febbraio 1904 in RENÉ MARLÉ, Au coeur de la cri-
se moderniste. Le dossier inédit d’une controverse, Aubier-Montagne, Parigi 1960, p. 128.
65
Cfr. R. DE MATTEI, Modernismo e antimodernismo nell’epoca di Pio X, cit., pp. 68-71.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 47

card. Pietro Gasparri 66, Segretario di Stato di Benedetto XV e poi di


Pio XI, fino al 1930, quando gli successe il card. Eugenio Pacelli. La
scomparsa dell’antimodernismo, sostituito dalla politica ecclesia-
stica del “Terzo Partito”, favorì, negli anni Trenta, la nascita di cor-
renti e tendenze che, in una maniera o nell’altra, raccoglievano l’e-
redità del modernismo: il “movimento biblico”, il “movimento li-
turgico”, il “movimento filosofico-teologico”, di cui la “nouvelle
théologie” fu espressione, e il “movimento ecumenico” in cui gli al-
tri movimenti confluirono.

3. Il movimento biblico

Pio X, con l’enciclica Pascendi e il decreto Lamentabili (1907),


condannò la distinzione tra esegesi teologico-pastorale ed esege-
si scientifico-critica 67; riaffermò il principio secondo cui l’inter-
pretazione autentica della Sacra Scrittura spetta al Magistero e
non agli esegeti; indicò le linee di un autentico rinnovamento de-
gli studi biblici, attraverso la creazione (1909) del Pontificio Isti-
tuto Biblico, contraltare alla scuola di Gerusalemme del padre
Lagrange; promosse nei seminari una riforma degli studi che at-
tribuiva un ruolo rilevante alla spiritualità biblica del clero 68.
Successivamente, l’enciclica Spiritus Paraclitus 69 di Benedetto XV,
del 15 settembre 1920, dedicata a san Girolamo come modello
dell’esegesi cattolica, ribadì la divina ispirazione e l’immunità
da ogni errore dei libri sacri, e condannò la teoria delle “appa-
renze storiche”, che era stata oggetto di discussioni e difesa an-
che da Lagrange.

66
Pietro Gasparri (1852-1934), ordinato nel 1877, arcivescovo di Cesarea (1898), crea-
to cardinale nel 1907, fu nominato da Papa Benedetto XV, nell’autunno del 1914, Se-
gretario di Stato, carica a cui fu confermato da Pio XI.
67
Cfr. S. PIO X, Enciclica Pascendi dominici gregis, tr. it. cit., p. 65.
68
Cfr., oltre ai documenti citati, il motu proprio Praestantia Scripturae Sacrae (ASS, 40
(1907), pp. 723-726), che riconosceva carattere normativo a livello dottrinale ai nu-
merosi decreti e responsi della Pontificia Commissione Biblica.
69
Cfr. BENEDETTO XV, Enciclica Spiritus Paraclitus del 15 settembre 1920, in AAS, 12
(1920), pp. 385-422 e in EE, IV, Pio X-Benedetto XVI (1903-1922), p. 629 (pp. 574-651).
Cfr. anche la voce di PIETRO NOBER in EC, vol. XI, coll. 1162-1163.
48 IL CONCILIO VATICANO II

Le origini del movimento biblico post-modernista risalgono al-


l’inizio degli anni Venti, quando apparve in Germania il nuovo
metodo della “storia delle forme” (Formgeschichte), grazie soprat-
tutto ai libri di Martin Dibelius, Die Formgeschichte des Evangeliums
(1919), e di Rudolf Bultmann, Geschichte der Synoptischen Tradition
(1921). Tale corrente, che condizionò gli studi esegetici degli anni
successivi, soprattutto nell’area centro-europea, pretendeva spie-
gare in maniera razionalistica la vita di Gesù, concependo la for-
mulazione dei testi evangelici come frutto, non di scrittori partico-
lari o di determinate fonti letterarie, ma di una lenta elaborazione
anonima nel seno delle primitive comunità cristiane 70.
In quegli stessi anni il Pontificio Istituto Biblico, fondato da san
Pio X, fu il centro di un progressivo cedimento dell’esegesi cattoli-
ca al metodo storico 71. Decisiva fu la responsabilità del padre Ago-
stino Bea 72 che, dal 1930 al 1949, nello spazio di 19 anni, mantenne
la posizione chiave di rettore dell’Istituto, mentre vicedirettore fu

70
Sulla Formgeschichte e in particolare su Rudolf Bultmann (1884-1976), cfr. B. GHE-
RARDINI, La seconda riforma, Morcelliana, Brescia 1966, vol. II, pp. 366-496. Cfr. anche
le voci di FRANCESCO SPADAFORA, Ermeneutica e Generi letterari, nel Dizionario Biblico,
Studium, Roma 1963, pp. 209-212 e 263-266; ID., Razionalismo, Esegesi cattolica e Ma-
gistero, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo s.d.; ID., Leone XIII e gli studi biblici,
Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1976. Si veda anche ERMENEGILDO FLORIT, Il
metodo della Storia delle Forme e la sua applicazione al racconto della Passione, Pontifcio
Istituto Biblico, Roma 1935; SALVATORE GAROFALO, Gli studi biblici in Italia da Leone
XIII a Pio XII, in Problemi di storia della Chiesa del Vaticano I al Vaticano II, Edizioni
Dehoniane, Roma 1988.
71
Sulla fondazione e la storia dell’Istituto Biblico, cfr. G. MARTINA s.j., A novant’anni
dalla fondazione del Pontificio Istituto Biblico, in “Archivium Historiae pontificiae”, n.
37 (1999), pp. 129-160.
72
Agostino Bea (1881-1968), della Compagnia di Gesù, tedesco, ordinato sacerdote
nel 1912, dal 1924 fu professore di Sacra Scrittura, e dal 1930 rettore del Pontificio
Istituto Biblico. Il 14 dicembre 1959 fu creato cardinale da Giovanni XXIII. Su di lui
si veda STJEPAN SCHMIDT s.j., Agostino Bea, Il cardinale dell’unità, Città Nuova Editri-
ce, Roma 1987; ID., Agostino Bea. Cardinale dell’ecumenismo e del dialogo, San Paolo,
Milano 1996; JAN WILLEBRANDS, Il cardinale Agostino Bea: il suo contributo al movi-
mento ecumenico, alla libertà religiosa e all’instaurazione di nuove relazioni con il popolo
ebraico, in Atti del Simposio Card. Agostino Bea (Roma, 16-19 dicembre 1981), Pontifi-
cia Università Lateranense-Istituto “Ut unum sint”, Roma 1983; J. GROOTAERS, Ago-
stino Bea, in GROOTAERS, I protagonisti, pp. 67-82; Cfr. STANISLAS LYONNET s.j., Le car-
dinal Bea et le développement des études bibliques, in “Rivista Biblica”, n. 4 (1968), pp.
371-392. Di Bea, cfr. La scienza biblica da Leone XIII a Pio XII, in “Divinitas”, n. 4
(1959), pp. 598-634.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 49

il padre Alberto Vaccari 73. La posizione di Bea fu rafforzata dalla


nomina alla testa della Commissione Biblica, nel 1938-1939, di due
discepoli del padre Lagrange: il card. Eugenio Tisserant 74 (presi-
dente) e il domenicano belga Jacques-Marie Vosté 75 (segretario),
quest’ultimo fraterno amico del padre Bea. Uno storico dell’esege-
si, Mauro Pesce, sottolinea “la straordinaria strategia” di Bea, di “im-
portanza cruciale” non solo nella costruzione dell’asse Pontificio
Istituto Biblico-Pontificia Commissione Biblica-Papato negli anni
Trenta e Quaranta, ma anche negli anni Cinquanta, in cui riuscì a
creare una fitta serie di alleanze negli organismi centrali della
Chiesa 76. L’esegesi storica del Biblico e della Pontificia Commissio-
ne Biblica considerava solo il senso letterale dei testi sacri disso-
ciando i dati storici, filosofici ed archeologici, dalla riflessione teo-
logica e spirituale. Lo studio della Sacra Scrittura avrebbe dovuto
limitarsi alla critica testuale dei testi biblici, attraverso l’analisi let-
teraria e lo studio comparato delle molteplici scienze ausiliari 77.
Il metodo raccomandato dalla Chiesa era, invece, quello di
partire dal senso letterale senza limitarsi ad esso, come aveva ri-

73
Alberto Vaccari (1874-1965), della Compagnia di Gesù, professore al Pontificio
Istituto Biblico, di cui fu vice-rettore dal 1924, qualificatore del S. Uffizio (1924),
consultore della Pontificia Commissione Biblica (1929). Giovanni XXIII lo nominò
membro della Commissione teologica preparatoria e in seguito perito conciliare.
Cfr. A. BEA-V. BOCCACCIO, In memoriam, in “Biblica”, n. 47 (1966), pp. 158-162.
74
Eugène Tisserant (1884-1972), francese, ordinato nel 1907, creato cardinale nel
1936, vescovo titolare di Iconium (1937), Segretario della Congregazione della Chie-
sa orientale dal 1936 al 1959. Bibliotecario e archivista dal 1957 al 1971, decano del
Collegio dei Cardinali, fu membro della Académie Française a partire dal 1971.
75
Jacques-Marie Vosté (1883-1949), domenicano belga, ordinato nel 1936, allievo del-
l’Ecole Biblique de Jérusalem, poi professore di Sacra Scrittura all’Angelicum. Sui
rapporti Vosté-Bea, cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 109-110.
76
Cfr. MAURO PESCE, Il rinnovamento biblico della prima guerra mondiale alle soglie del
Concilio Vaticano II, in SC, I cattolici nel mondo contemporaneo (1922-1958), a cura di M.
GUASCO-ELIO GUERRIERO-FRANCESCO TRANIELLO, Edizioni Paoline, Roma 1991, pp.
593-605; ID., Dalla enciclica biblica di Leone XIII Providentissimus Deus (1893) a quel-
la di Pio XII Divino Afflante Spiritu (1943), in CARLO MARIA MARTINI-GIUSEPPE GHI-
BERTI-M. PESCE, Cento anni di cammino, Vita e Pensiero, Milano 1995, pp. 63-64 (pp.
38-100).
77
Cfr. M. PESCE, Il rinnovamento biblico, cit. pp. 575-610; ID., Esegesi storica ed esegesi
spirituale nell’ermeneutica biblica cattolica dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio XII,
in “Annali di Storia dell’Esegesi”, n. 6 (1989), pp. 261-291. ID., Dalla enciclica biblica
di Leone XIII cit., p. 64.
50 IL CONCILIO VATICANO II

cordato l’enciclica di Benedetto XV Spiritus Paraclitus, additando


l’esempio di san Girolamo, “che consiglia più volte di non fermarsi al
puro senso letterale, ‘ma di penetrare più a fondo, per scorgervi il senso
divino, così come si cerca l’oro nel seno della terra, il nocciolo sotto la
scorza, il frutto che si nasconde sotto il riccio della castagna’ (In Eccl. 12,
9 sgg.)” 78. Infatti, sottolinea Benedetto XV, “ciò che bisogna innanzi
tutto cercare nella Scrittura è il nutrimento che alimenti la nostra vita
spirituale e la faccia procedere sulla via della perfezione” 79.
Bea si muoveva su due fronti. Da una parte impugnava il me-
todo storico contro gli esegeti tradizionali, fedeli al metodo di san
Girolamo; dall’altra combatteva la “nuova teologia” di matrice fi-
losofica blondelliana, che in questo stesso periodo proponeva
un’esegesi spirituale dei testi sacri disancorata dal senso storico-
letterale 80. Tra i rappresentanti di questa esegesi “pneumatica”, che
si richiamava ad Origene, erano il teologo di Lovanio Joseph Cop-
pens 81 e i padri gesuiti Daniélou 82 e de Lubac 83. Non sbagliava la
“nuova teologia” nel rivendicare l’insegnamento dei Padri della
Chiesa abbandonato dagli esegeti razionalisti, ma errava profon-
damente nel voler eliminare dal Vecchio Testamento il senso lette-
rale per rivendicargli il solo senso spirituale e “tipico”. Altrettanto
riduttiva era però la posizione di chi si attestava al senso storico-
letterale, sopprimendo, o peggio ancora ridicolizzando, quello spi-
rituale ed allegorico, in nome di una presunta “obiettività” storico-
scientifica.

78
BENEDETTO XV, Enciclica Spiritus Paraclitus, cit., p. 629.
79
Ivi, p. 623.
80
Cfr. M. PESCE, Esegesi storica ed esegesi spirituale, cit., pp. 286-291; ID., Un “bruit ab-
surde”? Henri de Lubac di fronte alla distinzione tra esegesi spirituale e esegesi storica, in
“Annali di Storia dell’Esegesi”, n. 10 (1993), pp. 301-353; E. POULAT, Comment lire la
Bible. Exégèse critique et sense spirituel de Loisy à Claudel, in Le retour aux écritures. Fon-
damentalismes présents et passés, a cura di EVELYNE PATLAGEAN-ALAIN LE BOULLUEC,
Peeters, Lovanio-Parigi 1993, pp. 217-234.
81
Joseph Coppens (1896-1981), sacerdote belga, professore di esegesi all’Università
di Lovanio, decano della Facoltà di Teologia dal 1964 al 1967. Di lui, cfr. L’histoire
critique de l’Ancien testament. Ses origines. Ses orientations nouvelles. Ses perspectives
d’avenir, Casterman, Tournai-Parigi 1939.
82
Cfr. JEAN DANIÉLOU s.j., Origène, La Table Ronde, Parigi 1948; ID., Sacramentum fu-
turi. Etudes sur les origines de la typologie biblique, Beauchesne, Parigi 1950.
83
Cfr. H. DE LUBAC s.j., Histoire et esprit. L’intelligence de l’Ecriture d’après Origène, Aubier,
Parigi 1950; ID., Exégèse Médiévale. Les quatre sens de l’Ecriture, Aubier, Parigi 1959-1961.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 51

Un tipico esempio di questa visione riduttiva fu la vera e propria


persecuzione condotta dall’Istituto Biblico e dalla Commissione Bi-
blica nei confronti di don Dolindo Ruotolo 84, un pio e dotto sacer-
dote napoletano che aveva osato sfidare il nuovo orientamento ra-
zionalista, intraprendendo un commento dei Libri Sacri, sulla base
del metodo esegetico tradizionale dei padri e dei dottori della Chie-
sa. Don Ruotolo accompagnava lo studio dei Libri Sacri con la pre-
ghiera e con la meditazione e si proponeva di ricomporre la frattura
tra scienza e fede nel campo della esegesi. Due presuli, mons. Gio-
vanni Maria Sanna 85, vescovo di Gravina e Irsina, e mons. Giuseppe
Palatucci 86, vescovo di Campagna, intervennero in sua difesa 87, con-
trapponendo l’indirizzo esegetico di don Ruotolo a quello del Bibli-
co, che essi interpretavano come “un incoraggiamento di certi metodi e
indirizzi a sfondo razionalistico e modernistico” 88. Malgrado l’autorevo-
le e fermo sostegno di questi e di altri illustri presuli italiani, don
Ruotolo fu condannato dal Sant’Uffizio sotto pressione del padre Al-

84
Dolindo Ruotolo (1882-1970), ordinato nel 1905, svolse la sua attività soprattutto
a Napoli nella Chiesa di San Giuseppe dei Nudi, di cui il fratello Elio fu parroco e
in cui egli è ora sepolto. Ne è stata introdotta la causa di beatificazione. L’opera
principale, pubblicata con lo pseudonimo di DAIN COHENEL è La Sacra Scrittura. Psi-
cologia. Commento. Meditazione, in 33 volumi dalla Genesi all’Apocalisse, conclusa nel
1974, sotto l’auspicio del vescovo di Sessa Aurunca, Vittorio M. Costantini (1906-
2003). Su di lui, cfr. Fui chiamato Dolindo, che significa dolore. Pagine di autobiografia, a
cura dell’Apostolato Stampa, Sessa Aurunca-Napoli-Riano 1972; ANTONIO GALLO,
Un prete del Duemila, Edizioni Apostolato, Napoli 1974.
85
Giovanni Maria Sanna (1873-1956), dei Frati Minori Conventuali, ordinato nel
1896, vescovo di Ampurias e Tempio in Sardegna (1915-1922), poi vescovo di Gra-
vina e Irsina di Puglia dal 1922 al 1953, dove fondò le suore Francescane Missiona-
rie di Gesù Crocifisso. Ricordato come un santo pastore, molti ne auspicano la cau-
sa di beatificazione.
86
Giuseppe Maria Palatucci (1892-1961), dei Frati Minori Conventuali, ordinato nel
1915, fu vescovo di Campagna dal 1937 fino alla morte. Il 12 dicembre 2006 gli è sta-
ta conferita una Medaglia d’Oro al valore civile per la sua eroica assistenza agli
ebrei internati a Campagna.
87
Cfr. G. M. SANNA-G. M. PALATUCCI, La Sacra Scrittura. Psicologia-Commento-Medita-
zione del Sac. Dain Cohenel. Difesa dalle incriminazioni dei pretesi errori segnalati dal P.
Alberto Vaccari s.j., Apostolato Stampa, Gravina di Puglia 1939; G. M. SANNA, Rispo-
sta al R.P.A. Vaccari s.j. riguardo ai pretesi errori da lui precisati in una lettera al Vescovo
stesso sull’Opera La Sacra Scrittura. Psicologia-Commento-Meditazione del Sac. Dain
Cohenel, s.e., Gravina di Puglia 1939.
88
Ivi, p. 36.
52 IL CONCILIO VATICANO II

berto Vaccari 89. Il sacerdote napoletano reagì con un opuscolo del


maggio 1941 90, presentato al Papa dal cardinale di Napoli Alessio
Ascalesi 91, che prendeva di mira l’esegesi storica, vedendo nell’o-
rientamento di Vaccari il pericolo di una “dittatura intellettuale in re
biblica”. Lo scritto di don Ruotolo fu riprovato dalla Pontificia Com-
missione Biblica 92, ma le preoccupazioni che esso esprimeva non
erano prive di fondamento. La parola d’ordine dei biblisti degli an-
ni Cinquanta, come quella dei liturgisti, sembrava essere quella che
era stata di Erasmo: “Torniamo alle fonti!” 93. Ma Erasmo, sottolinea il
suo biografo Huizinga, “non si rendeva conto di quanto il suo metodo fi-
lologico-critico dovesse scuotere dalle fondamenta l’edificio della Chiesa” 94.
Il padre Bea, “stratega” di questo riduzionismo biblico, riuscì a
esercitare una forte influenza sulla enciclica Divino Afflante spiritu di
Pio XII (1943). Il documento ribadì energicamente il principio per
cui solo al Magistero della Chiesa spetta l’interpretazione autentica
della Sacra Scrittura 95, contro gli esegeti postmodernisti che, negli
anni Quaranta, volevano limitare l’inerranza divina alle verità di fe-
de e di morale, ma individuò lo scopo principale dell’esegesi nella
determinazione del senso letterale del testo. Ciò significava l’abban-
dono dell’esegesi patristica, teologica e spirituale, in nome di una
esegesi storico-letteraria puramente scientifica e razionale. L’encicli-
ca tagliava dunque il terreno non solo all’ermeneutica simbolica del-

89
AAS, 32 (1940), p. 553. Sulla vicenda, cfr. M. PESCE, Il rinnovamento biblico, cit., pp.
593-598.
90
Un gravissimo pericolo per la Chiesa e per le anime. Il sistema critico-scientifico nello stu-
dio e nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Le sue deviazioni funeste e le sue aberrazio-
ni (opuscolo del 24 maggio 1941, 48 pp.).
91
Alessio Ascalesi (1872-1952), ordinato nella Congregazione del Preziosissimo San-
gue nel 1895. Vescovo di Muro Lucano (1909-1911) e di Benevento (1911-1916), fu
creato cardinale nel 1916. Arcivescovo di Napoli dal 1924 alla morte.
92
AAS, 23 (1941), pp. 465-472. Cfr. ALBERTO VACCARI s.j., Lo studio della S. Scrittura.
Lettera della Pontificia Commissione Biblica con introduzione e commenti, La Civiltà Cat-
tolica, Roma 1943.
93
“Ad fontes! Ritorniamo alle vecchie fonti classiche, scritturali, patristiche! Questo era il
grido di battaglia degli umanisti del Rinascimento come Erasmo. Era per lo più il grido di
battaglia del Concilio, benché nei suoi documenti fosse sussurrato più che gridato” (J. W.
O’MALLEY, Erasmus and Vatican II, cit., p. 200).
94
JOHAN HUIZINGA, Erasmo, tr. it. Giulio Einaudi, Torino 1941, p. 166 (pp. 164-167).
95
Enc. Divino Afflante spiritu cit. Cfr. anche MARIO MERENDA, Il Magistero della Chiesa.
Norma prossima per l’esegeta, in “Palestra del Clero”, n. 49 (1970), pp. 203-220; pp.
396-404; pp. 473-484.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 53

la “nouvelle théologie”, disancorata dal Magistero e dalla teologia sco-


lastica, ma anche a quella esegesi tradizionale che non rinunciava al-
l’interpretazione simbolica dei Padri della Chiesa. Non a torto, i pro-
gressisti videro un successo nel documento di Pio XII che, per esse-
re rettamente inteso, va letto alla luce delle encicliche Spiritus Para-
clitus di Benedetto XV e Humani generis dello stesso Papa Pacelli.
D’altra parte, anche la condanna degli errori della “nouvelle théolo-
gie”, da parte della Humani generis, fu presentata dal card. Bea come
approvazione del metodo storico-critico, che continuava a domina-
re l’orizzonte esegetico degli anni Cinquanta e Sessanta e che, come
rileva uno studioso, riuscì ad ottenere “profonde modificazioni del pen-
siero teologico cattolico senza puntare mai direttamente a una riforma del-
la teologia in quanto tale” 96. Bea sarà peraltro confessore di Pio XII dal
1945 fino alla morte di lui (1958). In una conferenza tenuta l’8 di-
cembre 1957 al Pontificio Istituto Biblico per commemorare il 50esi-
mo anniversario dell’enciclica Pascendi, il gesuita tedesco da una
parte rilevava che un gran numero di proposizioni colpite dall’enci-
clica Pascendi e dal decreto Lamentabili di Pio X riguardavano il mo-
dernismo biblico, dall’altra negava che tali errori fossero diffusi in
Italia, riducendo il modernismo biblico a una mera tendenza filoso-
fica, impersonata dall’ormai dimenticato Alfred Loisy 97.

4. Il movimento liturgico

La liturgia fu, con l’esegesi, l’altro grande campo in cui lavorò


il modernismo, secondo il quale l’esperienza religiosa cristiana
non può essere adeguatamente espressa in formule intellettuali
quali sono i dogmi, ma deve avere la sua prima espressione nella
lex orandi. Dom Prosper Guéranger 98, il grande restauratore della

96
M. PESCE, Un “bruit absurde”, cit., pp. 326-327.
97
Cfr. A. BEA s.j., L’enciclica “Pascendi” e gli studi biblici, in “Biblica”, n. 39 (1958), pp. 121-
138.
98
Dom Prosper Guéranger (1805-1875), ordinato nel 1827, abate del priorato bene-
dettino di Solesmes e fondatore della Congregazione di Francia dell’Ordine di San
Benedetto, fu il restauratore della vita monastica in Francia. Di lui, cfr. le Institutions
liturgiques, 4 voll., Société Générale de Librairie Catholique, Parigi 1878-1885. Su di
lui, si veda PAUL DELATTE o.s.b., Dom Guéranger. Abbé de Solesmes, Abbaye de Sole-
54 IL CONCILIO VATICANO II

liturgia romana nel XIX secolo, aveva inteso il rinnovamento della


vita monastica come un ritorno alla liturgia romana tradizionale,
dopo le devastazioni operate dal protestantesimo e, all’interno del-
la Chiesa cattolica, dal gallicanesimo e dal giansenismo. Il nuovo
movimento liturgico aveva una ispirazione sostanzialmente anti-
romana e si muoveva indipendentemente dalle indicazioni della
Santa Sede e spesso apertamente contro di essa.
San Pio X aveva tracciato le linee di un programma di autenti-
co rinnovamento liturgico, che si inseriva nel solco aperto da dom
Guéranger. Espressione di questo rinnovamento furono i decreti
Sacra Tridentina 99 del 20 dicembre 1905 e Quam singulari 100 dell’8
agosto 1910, che raccomandavano la comunione frequente e la co-
munione dei bambini; la lettera al card. Pietro Respighi del 14 giu-
gno 1905, in cui il Papa chiedeva che il catechismo fosse completa-
to da un’istruzione sulle feste liturgiche; la bolla Divino afflatu 101 del
1° novembre 1911 che promulgava una riforma del breviario.
Il liturgismo postmodernista 102 ebbe il suo principale interprete
in dom Lambert Beauduin 103, benedettino belga di Mont-César, il

smes, Sablé-sur-Sarthe 1984 (1909) e CUTHBERT JOHNSON o.s.b., Prosper Guéranger


(1805-1875): a liturgical theologian, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma 1984. Cfr. an-
che le voci di B. HEURTEBIZE, in DTC, VI (1920), coll. 1894-1898 e di JACQUES HOUR-
LIER, in DSp, VI (1967), coll. 1097-1106.
99
ASS, 38 (1905/1906), pp. 401-405.
100
AAS, 2 (1910), pp. 894-897.
101
Bolla Divino Afflatu, in BELLOCCHI, vol. VII: Pio X (1903-1914), pp. 470-473.
102
Sul “movimento liturgico”, cfr. OLIVIER ROUSSEAU o.s.b., Storia del movimento litur-
gico. Lineamenti storici dagli inizi del secolo XIX fino ad oggi, tr. it. Ed. Paoline, Roma
1961; DIDIER BONNETERRE, Le Mouvement liturgique, Editions Fideliter, Escurolles
1980; BURKHARD NEUNHEUSER, Movimento liturgico, in Liturgia, a cura di DOMENICO
SARTORE-ACHILLE MARIA TRIACCA, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 1279-1293;
AA. VV., Liturgia: temi e autori. Saggi di studio sul movimento liturgico, a cura di FRAN-
CO BROVELLI, Edizioni Liturgiche, Roma 1990; MATIAS AUGÉ, Il movimento liturgico.
Alla ricerca della fondazione “spirituale” della liturgia, in “Ecclesia Orans”, n. 24 (2007),
pp. 335-350; ALCUIN REID o.s.b., The Organic Development of Liturgy. The Principles of
Liturgical Reform and their Relation to the Twentieth Century. Liturgical Movement Prior
to the Second Vatican Council, con una prefazione del card. J. Ratzinger, St Michael’s
Abbey Press, Londra 2004; BERNARD BOTTE o.s.b., Il movimento liturgico. Testimonian-
ze e ricordi, tr. it. Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2009.
103
Lambert Beauduin (1873-1960), benedettino belga, ordinato nel 1897, monaco nel-
l’abbazia benedettina di Mont-César, presso Lovanio (1907), fondò poi il monaste-
ro dell’Unione ad Amay (Liegi), trasferitosi a Chevetogne, nella provincia di Na-
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 55

cui intervento al Congrès National des Oeuvres Catholiques di Mali-


nes, il 23 settembre 1909, è considerato l’inizio del nuovo movi-
mento 104. Nel suo discorso il monaco di Mont-César sostenne che
la liturgia non è solo il culto pubblico della Chiesa, ma la vera pre-
ghiera dei fedeli, tra cui stabilisce un potente legame di unione 105.
Le assemblee liturgiche avevano perduto, a suo avviso, il carattere
comunitario, per ridursi a forme di devozione privata e interiore.
Durante il noviziato, Beauduin aveva compendiato la sua idea di
“rinnovamento liturgico” nella frase “bisognerebbe democratizzare la
liturgia” 106; per realizzare ciò egli sviluppò la nozione di “partecipa-
zione attiva dei fedeli” 107, una breve frase di Pio X, ricorda Gilles
Routhier, sfuggita alla fine del terzo paragrafo del suo motu pro-
prio Tra le sollecitudini 108. Quando nel 1913 Maurice Festugière 109,

mur. Fu dimesso dall’abbazia nel 1932 ma rimase come punto di riferimento per l’e-
cumenismo. Su di lui, cfr. la biografia di RAYMOND LOONBEEK-JACQUES MORTIAU, Un
pionnier: dom Lambert Beauduin (1873-1960). Liturgie et unité des chrétiens, Louvain-la-
Neuve, Chevetogne 2001, 2 voll. Una versione ridotta è stata pubblicata dalle Edi-
tions du Cerf nel 2005, con il titolo: Dom Lambert Beauduin. Visionnaire et précurseur
(1873-1960). Un moine au coeur libre. Cfr. anche ANDRÉ HAQUIN, Dom Lambert Beau-
duin et le renouveau liturgique, J. Duculot, S.A., Gembloux 1970; LOUIS BOUYER, Dom
Lambert Beauduin (1823-1960). Un homme d’Eglise, Casterman, Parigi 1964; FRANCE-
SCO RICOSSA, L’eresia antiliturgica dai Giansenisti a Giovanni XXIII (1668-1960): i tre se-
coli di gestazione delle riforme conciliari, in “Sodalitium”, n. 11 (1986), pp. 8-16.
104
“Il Congresso di Malines del settembre 1909 offre l’occasione di raggruppare le buone vo-
lontà, di fissare un programma di azione, di concertare un piano di campagna, nonché di
creare un movimento liturgico” (L. BEAUDUIN o.s.b., Introduction, in Cours et conférences
de la semaine liturgique de Maresdous 19-24 août 1912, Abbaye de Maresdous, Mare-
sdous 1913, p. XV (pp. XIII-XVI)).
105
La vraie prière de l’Eglise. Resumé du rapport de dom Lambert Beauduin au Congrès de
Malines, in “Questions liturgiques et paroissiales”, n. 40 (1959), pp. 218-221.
106
L. BEAUDUIN o.s.b., Autour du Jubilé du mouvement liturgique 1909-1959, in “Que-
stions liturgiques et paroissiales”, n. 40 (1959), p. 208, cit. in REINER KACZYNSKI, La
liturgia come vissuto religioso, in SC, I cattolici nel mondo contemporaneo, cit., p. 400.
107
J. LAMBERTS, L’évolution de la notion de «participation active» dans le Mouvement li-
turgique du XXe siècle, in “La Maison-Dieu”, n. 241 (2005), pp. 77-120; The active par-
ticipation revisited, – La participation active. 100 ans après Pie X et 40 ans après Vatican
II, a cura di JOZEF LAMBERTS, Peeters, Lovanio 2005.
108
Cfr. G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II, cit., pp. 100-101.
109
Maurice Festugière (1870-1950) entrò nel monastero benedettino di Maresdous
nel 1895, fu ordinato nel 1900 e professò i voti solenni a Sant’Anselmo, in Roma, do-
ve conseguì il dottorato di teologia. Dal 1911 al 1913 pubblicò diversi articoli nella
“Revue Liturgique et Bénédictine”. Nel 1913 apparve, sulla “Revue de philo-
sophie”, La Liturgie catholique. Essai de synthèse, pubblicato poi a parte in volume
56 IL CONCILIO VATICANO II

benedettino di Maredsous 110, pubblicò il suo studio La liturgie


catholique 111, in cui attaccava a fondo la spiritualità ignaziana, dom
Beauduin definì l’opera come “la inaugurazione della fase scientifica
del Movimento liturgico” 112 e ne fu un sostenitore appassionato. Fe-
stugière e Beauduin consideravano l’“azione liturgica” come un
metodo di ascesi e di spiritualità che si contrapponeva ad altre
“scuole”, come quella ignaziana, fino ad allora dominante nella
Chiesa. “Una lotta profonda di idee – scriveva dom Beauduin – si pre-
para nell’ambito della pietà e dell’ascetismo” 113. Un anno dopo, lo stes-
so Beauduin pubblicò l’opuscolo La piété de l’Eglise: Principes et
faits, considerato da molti come il testo programmatico del na-
scente movimento liturgico. Nello stesso 1914, in Italia, il monaco
di Praglia, Emanuele Caronti 114, fondò la “Rivista liturgica” in cui,
fin dai primi numeri, si rifaceva al “programma” di dom Beau-
duin, contrapponendo il “valore sacramentale discendente” del culto,
a quello “latreutico ascendente” 115. Alla rivista iniziò la sua collabo-

(Maredsous 1913). Pubblicò in seguito articoli di filosofia, teologia, morale, spiri-


tualità. Cfr. EDMOND YAWO AMEKUSE, Le rôle total de la liturgie dans l’économie chré-
tienne. La contribution de Maurice Festugière au mouvement liturgique, Pontificium
Athenaeum S. Anselmi, Roma 2008.
110
Abate di Maresdous era dom Marmion Columba (1858-1923), che seguì con equi-
librio le polemiche di quegli anni. Cfr. BENJAMIN MARIE MORINEAU, Dom Marmion
Maître de sagesse, DDB, Parigi 1944.
111
Cfr. MAURICE FESTUGIÈRE o.s.b., La liturgie catholique. Essai de synthèse, suivi de quel-
ques développements, in “Revue de philosophie” (1913), pp. 692-886 (tr. it. La liturgia
cattolica, Messaggero, Abbazia di S. Giustina, Padova 2002). Cfr. ANNALISA GIROLI-
METTO, Liturgia e vita spirituale. Il dibattito sorto sugli anni 1913-1914, in Liturgia: temi
e autori, cit., pp. 211-274.
112
Cit. da M. AUGÉ, Il movimento liturgico, cit., p. 338.
113
Lettera del 12 ottobre 1913, in Lettres de dom Beauduin à dom R. Thibaut, 1909-1955,
cit., in E. Y. AMEKUSE, op. cit.
114
Emanuele Caronti (1882-1966), benedettino, abate del Monastero di S. Giovanni
di Parma (1919) e poi abate generale della Congregazione benedettina sublacense
(1937). Cfr. i suoi articoli programmatici nel primo fascicolo della rivista: La liturgia:
nozioni e principi, in “Rivista Liturgica”, n. 1 (1914), pp. 7-13, 88-108.
115
Cfr. SALVATORE MARSILI o.s.b., Storia del movimento liturgico italiano dalle origini al-
l’enciclica “Mediator Dei”, in O. ROUSSEAU o.s.b., Storia del movimento liturgico, cit., pp.
263-369; PAOLO TOMATIS, Lo spirito della liturgia nei primi 50 anni di “Rivista liturgica”
(1914-1964), in “Rivista Liturgica”, n. 90/2-3 (2003), pp. 341-356; MANLIO SODI, Tra
movimento, riforma e rinnovamento: il servizio di “Rivista Liturgica”, in “Rivista Litur-
gica”, n. 90/6 (2003), pp. 931-964.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 57

razione dal 1934 il benedettino Salvatore Marsili 116 che la guidò dal
1939 al 1948. Tra gli ammiratori di dom Beauduin, in Italia, fu l’o-
ratoriano di Brescia Giulio Bevilacqua 117, a cui il giovane Giovanni
Battista Montini deve la sua formazione liturgica 118.
In Germania, punto di partenza del “movimento liturgico” è
considerata la celebrazione della “Messa Comunitaria” 119, avve-
nuta il 6 agosto 1921 nella Cripta dell’abbazia tedesca di Maria
Laach 120, in Renania, sotto la guida dell’abate Ildelfonso Herwe-
gen 121. Al movimento liturgico di Maria Laach vanno collegati
personaggi come il suo monaco Odo Casel 122 e don Romano Guar-
dini 123 che nei primi anni della sua attività fu in contatto determi-
nante con l’abbazia 124. Per loro impulso, nel 1918, ebbero inizio le
tre collane: “Ecclesia Orans”, “Liturgiegeschichtliche Quellen” e
“Liturgiegeschichtliche Forschungen”.

116
Salvatore Marsili (1910-1983), benedettino, ordinato nel 1931, cofondatore e pri-
mo Preside del Pontificio Istituto Liturgico in Roma, abate dell’abbazia di S. Maria
di Finalpia dal 1972 al 1979. Cfr. ADELE COLOMBO, Il teologo Salvatore Marsili, profeti-
co fautore delle scienze umane in liturgia?, in “Rivista Liturgica”, n. 90/5 (2003), pp.
745-764.
117
Giulio Bevilacqua (1881-1965), prete dell’Oratorio, ordinato nel 1908 a Brescia. Fu
direttore spirituale a Brescia di Giovanni Battista Montini che, eletto Papa, lo creò
cardinale nel 1965. Su di lui, cfr. ANTONIO FAPPANI, Padre Giulio Bevilacqua, il cardi-
nale-parroco, Queriniana, Brescia 1979.
118
Cfr. GODFRIED DANNEELS, Paul VI et la réforme liturgique, in “Istituto Paolo VI”, n.
10 (1985), pp. 56-57 (pp. 55-70).
119
R. KACZYNSKI, op. cit., p. 401.
120
Mons. Giovanni Battista Montini visitò l’abbazia di Maria Laach nell’agosto del
1928 durante un viaggio che aveva toccato la Francia, il Belgio e la Germania. Cfr.
G. B. MONTINI, Lettere ai familiari. 1919-1943, vol. II, 1928-1943, a cura di NELLO VIAN,
Studium, Roma 1986, p. 556.
121
Ildefonso Herwegen (1874-1946), benedettino tedesco, iniziò il noviziato nell’ab-
bazia di Maria Laach nel 1894, dove venne ordinato nel 1901 ed eletto abate nel 1913.
122
Odo Casel (1886-1949), benedettino tedesco, ordinato nel 1911, direttore del “Jahr-
buch für Liturgie-Wissenschaft” (1921-1924), dal 1922 al 1948 direttore spirituale
dell’abbazia di Herstelle (Westfalia). Cfr. AMO SCHILSON, Theologie als Sakramen-
tentheologie. Die Mysterientheologie Odo Casels, Matthias Grünewald, Mainz 1982.
123
Romano Guardini (1885-1968), ordinato nel 1910. Insegnò filosofia della religione
a Berlino, Tubinga e Monaco di Baviera. Qui fu tra i fondatori della Katholische Aka-
demie. Cfr. HANNA BARBARA GERL, Romano Guardini. La vita e l’opera, tr. it. Morcellia-
na, Brescia 1988.
124
Cfr. R. GUARDINI, Briefe an den Laacher Abt Ildefons Herwegen aus den Jahren 1917 bis
1934, a cura di ANGELUS A. HÄUSSLING o.s.b., in “Archiv für Liturgiewissenschaft”,
n. 27 (1985), pp. 205-262, pp. 408-411.
58 IL CONCILIO VATICANO II

Dom Pius Parsch 125, canonico agostiniano dell’abbazia di Klo-


sterneuburg, presso Vienna, autore nel 1923 di Das Jahr des Heiles,
cominciò a celebrare una Messa “verso il popolo” e a tradurre in te-
desco i testi liturgici. Il titolo della sua opera principale, Volkslitur-
gie 126 (1940), ripreso dal gesuita di Innsbruck Joseph Jungmann,
esprime l’idea di una “liturgia popolare” che orizzontalizza il rap-
porto verticale con Dio. I partecipanti alle prime “Messe liturgi-
che” di Klosterneuburg provenivano dal “movimento biblico” che
in Germania, come in Belgio, confluiva in quello liturgico. Il nun-
zio Eugenio Pacelli non nascondeva le sue critiche verso il nuovo
liturgismo: “Il detto movimento – scriveva ai suoi superiori al mo-
mento di lasciare la Germania nel novembre 1929 – esagera il valore
della liturgia, volendo quasi sostituire forme esteriori al contenuto essen-
ziale della fede cattolica” 127. Anche negli anni Trenta, le attività del-
l’abbazia di Maria Laach saranno oggetto di critiche severe da par-
te del cardinale Segretario di Stato Pacelli 128.
Le nuove idee avevano pesanti ricadute sul piano della spiri-
tualità, della pastorale e della stessa ecclesiologia. I riformatori ten-
devano a cancellare la sostanziale differenza tra il sacerdozio sacra-
mentale dei presbiteri e il sacerdozio comune dei laici, in modo da
attribuire alla comunità dei fedeli una vera e propria natura sacer-
dotale; insinuavano l’idea di una “concelebrazione” del sacerdote
con il popolo; sostenevano che si doveva “partecipare” attivamen-
te alla Messa dialogando con il sacerdote, con l’esclusione di ogni
altra forma di legittima assistenza al Sacrificio, come la meditazio-
ne, il Rosario o altre orazioni private; propugnavano la riduzione
dell’altare a mensa; consideravano la comunione “extra Missam”, le
visite al SS.mo Sacramento, l’adorazione perpetua, come forme ex-

125
Pius Parsch (1884-1954), austriaco, canonico agostiniano dell’abbazia di Kloster-
neuburg, ordinato nel 1905, fondatore e primo direttore di “Bibel und Liturgie”.
126
Cfr. P. PARSCH, Volksliturgie, Ihr Sinn und Umfang, Echter Verlag, Würzburg 2004.
127
Cit. in P. CHENAUX, Pio XII, cit., p. 361. Il padre Max Kassiepe o.m.i. (1867-1948),
nel suo Irrwege und Umwege im Frömmigkeitsleben der Gegenwart (Butzon-Becker, Ke-
velaer 1939), denunciava tra i primi gli errori del “liturgismo”. Seguì la critica di
August Doerner, Sentire cum ecclesia (1941) e il Memorandum spedito ai vescovi te-
deschi nel 1943 dell’arcivescovo di Friburgo Conrad Gröber (1872-1948).
128
Pacelli all’abate von Stotzinger, 3 agosto 1933, cit. in P. CHENAUX, Pio XII, cit., pp.
361-362.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 59

tra-liturgiche di pietà; manifestavano scarsa considerazione per le


devozioni al Sacro Cuore, alla Madonna, ai Santi e, più in generale,
per la spiritualità e per la morale tradizionale. Si trattava, in una pa-
rola, di una “reinterpretazione” della dottrina e della struttura del-
la Chiesa al fine di adattarle allo spirito moderno.
In Belgio, il movimento liturgico beneficiò dello sviluppo del-
l’Azione cattolica, specialmente del movimento della JOC (Jeunesse
Ouvrière Chrétienne), fondata nel1925 da don Joseph Léon Cardijn 129.
Cardijn era un amico dell’abbazia di Mont-César e quando inco-
minciò a organizzare grandi raduni, affidò ad essa la celebrazione
della Messa, che doveva essere il centro della giornata. “È certo – ri-
corda dom Bernard Botte – che queste assemblee di giovani operai, che
rispondevano al prete, cantavano l’ordinario della Messa, partecipavano
all’offertorio e alla comunione, facevano progredire il Movimento liturgico
più di tanti articoli” 130.
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Centro di Pa-
storale Liturgica di Parigi, diretto dal canonico Aimé-Georges Mar-
timort 131, e l’Istituto Liturgico di Treviri, diretto da mons. Johannes
Wagner 132, presero contatto con l’abbazia di Mont-César. Nel 1951,
i due centri organizzarono, presso l’abbazia di Maria Laach, una
riunione riservata, in cui, senza la presenza di alcun rappresentan-
te della gerarchia romana, si affrontò per la prima volta il proble-
ma di una riforma radicale della Messa. Jungmann, guida del Mo-
vimento liturgico tedesco, propose mutamenti strutturali dello
stesso canone della consacrazione 133. Il Centro Pastorale Liturgico

129
Joseph-Léon Cardijn (1882-1967), belga, ordinato nel 1906, consacrato vescovo nel
1965 e creato cardinale nello stesso anno.
130
B. BOTTE, op. cit., p. 66. Dom Bernard Botte (1893-1980), benedettino belga, fu Con-
sultore della Commissione preparatoria della Sacra Liturgia.
131
Aimé-Georges Martimort (1911-2000), sacerdote della diocesi di Tolosa, professo-
re all’Institut Catholique di Tolosa. Consultore della Commissione liturgica prepa-
ratoria, peritus conciliare.
132
Johannes Wagner (1908-1999), tedesco, ordinato nel 1932. Segretario della Com-
missione liturgica della Conferenza episcopale di Fulda, poi Conferenza episcopa-
le tedesca, dal 1946 al 1975. Consultore della Pontificia Congregazione per il Culto
Divino fino al 1975.
133
Cfr. B. BOTTE, op. cit., pp. 206-207. Joseph Jungmann (1919-1975), austriaco, della
Compagnia di Gesù, ordinato nel 1913, professore alla facoltà teologica dell’Università
di Innsbruck, direttore di “Zeitschrift für Katholische Theologie” (1927-1939, 1945-
60 IL CONCILIO VATICANO II

e l’Abbazia di Mont-César diedero quindi vita, sotto la direzione di


dom Bernard Botte, anch’egli monaco di Mont-César, all’Istituto
Superiore di Liturgia di Parigi, equiparato dalla Santa Sede al Pon-
tificio Istituto Liturgico di Sant’Anselmo.
Il 20 novembre 1947 apparve l’enciclica Mediator Dei 134 sulla sa-
cra liturgia. Essa intendeva correggere le deviazioni nel movimen-
to liturgico, sviluppando l’insegnamento pontificio già iniziato con
la Mystici Corporis 135. Pio XII tuttavia, influenzato da padre Bea, suo
confessore, e mosso dallo spirito di perfezionismo che caratteriz-
zava la sua personalità, accettò che il movimento biblico portasse
avanti un’opera di riforma liturgica, iniziata già prima della Me-
diator Dei con la nuova versione latina dei salmi, compiuta dallo
stesso Bea. La nuova traduzione del Salterio dall’ebraico, iniziata
dal Biblico nel 1941 136, in cui il “latino cristiano” della Volgata ven-
ne sostituito con un artificioso latino “ciceroniano”, rappresentava
il colpo più grave inferto all’opera di san Girolamo dai tempi di
Lorenzo Valla e di Erasmo.

“Per più di quindici secoli – ricorda lo scrittore Nino Badano 137 – nei
chiostri, nelle abbazie, nei cenobi, generazioni di monaci santi avevano re-
citato i salmi con le parole della volgata: dovevano venire i settanta del Bi-
blico di Agostino Bea, a proporre le loro sapientissime correzioni filologi-
che. (…) Il dato più sorprendente è che questa prima profanazione del Sal-
terio sia stata compiuta e permessa da Pio XII: un Papa certamente gran-
de, ma ossessionato da un perfezionismo formalistico che gli ha fatto rite-

1963), membro della Commissione preparatoria, poi peritus del Concilio Vaticano II. Il
suo libro Die Frohbotschaft und unsere Glaubensverkündigung, Pustet, Regensburg 1936,
venne ritirato dalle librerie per l’intervento del Sant’Uffizio, ma ristampato e rielabo-
rato nel 1963 (Tyrolia, Innsbruck 1963). Su di lui cfr. J. A. Jungmann. Ein Leben für Li-
turgie und Keryma, a cura di HANS-BERNHARD MEYER s.j., Tyrolia, Innsbruck 1975.
134
Cfr. PIO XII, Enciclica Mediator Dei del 20 novembre 1947, in AAS, 39 (1947), pp.
521-600.
135
Cfr. PIO XII, Enciclica Mystici Corporis del 29 giugno 1943, in AAS, 35 (1943), pp.
193-248.
136
Cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 102-105. Secondo l’autore, sarebbe stato lo stesso Pio XII a
“imporre” a Bea l’uso del latino “ciceroniano” (ivi, pp. 102-105).
137
Nino Badano (1911-1991), direttore de “Il Quotidiano” (1950-1964), poi de “Il
Giornale d’Italia” (1966-1969) ed editorialista de “Il Tempo” di Roma per 20 anni.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 61

nere sempre più importante il magistero del governo; la missione di inse-


gnare rispetto a quella di vigilare il gregge. (…) È stato lui a volere o tol-
lerare la modifica del Salterio per uno scrupolo di precisione filologica che
gli ha fatto trascurare il pregio inestimabile della tradizione” 138.

Nel 1948 fu nominata una Commissione per la riforma liturgi-


ca 139, presieduta dal card. Clemente Micara 140 e poi, dal 1953, dal
card. Gaetano Cicognani, Prefetto della S. Congregazione dei Riti.
Segretario fu nominato un giovane sacerdote lazzarista, il padre
Annibale Bugnini 141, direttore delle “Ephemerides Liturgicae”. In
dodici anni di vita (28 giugno 1948-8 luglio 1960) – ricorda lo stes-
so Bugnini – la Commissione tenne 82 adunanze e lavorò nel più
assoluto segreto. “Essa godeva della piena fiducia del Papa, tenuto al
corrente da mons. Montini e, più ancora, settimanalmente, dal padre Bea,
confessore di Pio XII” 142. Praticamente tutti i libri liturgici furono rin-
novati, in particolare l’Ufficio divino e la Settimana Santa. Inattesi
apparvero, il 9 febbraio 1951, il decreto della Congregazione dei
Riti Dominicae Resurrectionis Vigiliam e, il 16 novembre 1955, il de-
creto Maxima redemptionis nostra mysteria 143 sulla riforma della li-
turgia della Settimana Santa. Il futuro card. Ferdinando Antonelli
ebbe a definirla “l’atto più importante nella storia della liturgia da S.

138
NINO BADANO, I primi giorni della Chiesa e gli ultimi, Volpe, Roma 1973, pp. 158-159.
139
Cfr. NICOLA GIAMPIETRO o.f.m., Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della rifor-
ma liturgica dal 1948 al 1970, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma 1998; ID., A cin-
quant’anni dalla riforma liturgica della Settimana Santa, in “Ephemerides liturgicae”, n.
3 (2006), pp. 293-332. Sul lavoro della Commissione, cfr. anche CARLO BRAGA c.m.,
La riforma liturgica di Pio XII. Documenti. I. La “memoria sulla riforma liturgica”, Edi-
zioni Liturgiche, Roma 2003.
140
Clemente Micara (1879-1965), ordinato nel 1902, nel 1920 venne nominato nunzio
apostolico in Cecoslovacchia e consacrato vescovo titolare di Apaurea, poi nunzio
in Belgio e in Lussemburgo (1923-1946). Creato cardinale nel 1946. Pro-prefetto del-
la Congregazione dei Riti (1950-1953).
141
Annibale Bugnini (1912-1982), della Congregazione della Missione (Lazzarista).
Ordinato nel 1936, Segretario della Sacra Congregazione per il Culto Divino (1969-
1976), arcivescovo titolare di Diocletiana (1972). Pro-nunzio apostolico in Iran
(1976-1982).
142
A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975), Edizioni Liturgiche, Roma 1997, p. 25.
143
Cfr. AAS, 47 (1955), pp. 838-847. Sulle principali modifiche introdotte: F. ANTO-
NELLI o.f.m., Importanza e carattere pastorale della Riforma liturgica della Settimana San-
ta, in “L’Osservatore Romano”, 27 novembre 1955.
62 IL CONCILIO VATICANO II

Pio V ad oggi” 144. Tutta la ratio di questa riforma – è stato giusta-


mente osservato – appare permeata da un misto di razionalismo e
archeologismo dai contorni a volte fantasiosi 145.

5. Il movimento filosofico e teologico

Il 4 agosto 1879 Leone XIII indirizzava al mondo cattolico l’en-


ciclica Aeterni Patris, con la quale proponeva la dottrina di san
Tommaso come fondamento degli studi superiori di filosofia, indi-
cando nel tomismo la prima e necessaria risposta agli errori filoso-
fici che minacciavano la fede cattolica e la stessa morale naturale 146.
Sul piano filosofico, il metodo storico-critico adottato dai mo-
dernisti era dominato dal principio di immanenza, che pur senza
opporsi direttamente all’una o all’altra delle verità rivelate, cam-
biava radicalmente la nozione stessa di “verità”, di “religione” e
di “rivelazione” e si opponeva frontalmente al sistema filosofico
di san Tommaso d’Aquino 147. Nell’enciclica Pascendi, Pio X con-
dannava la filosofia dell’immanenza e prescriveva che il fonda-
mento degli studi sacri fosse la philosophia scholastica, intendendo
con essa principalmente (praecipue) “quella di S. Tommaso d’Aqui-
no” 148. Nell’ampio documento Doctoris Angelici, emanato il 29 giu-

144
F. ANTONELLI o.f.m., La riforma liturgica della Settimana Santa: importanza attualità
prospettive, in La Restaurazione liturgica nell’opera di Pio XII. Atti del primo Congresso
Internazionale di Liturgia Pastorale, Assisi-Roma, 12-22 settembre 1956, Centro di Azio-
ne liturgica, Genova 1957, pp. 179-197, cit. in C. BRAGA, “Maxima Redemptionis No-
strae Mysteria” 50 anni dopo (1955-2005), in “Ecclesia Orans”, n. 23 (2006), p. 34 (pp.
11-36).
145
Cfr. STEFANO CARUSI, La riforma della Settimana Santa negli anni 1951-1956, in “Dispu-
tationes Theologicae” (http://disputationes-theologicae.blogspot.com/2010/03/la-
riforma-della-settimana-santa-negli.html).
146
Una silloge dei documenti fondamentali del Magistero, con ampio commento, in
SANTIAGO RAMIREZ o.p., De auctoritate doctrinali S. Thomae Aquitanatis, Apud Sanc-
tum Stephanum, Salamanca 1952.
147
Cfr. C. FABRO, Modernismo, in EC, VIII, coll. 1191-1192 (coll. 1188-1196). Sulle origini
filosofiche del principio di immanenza, cfr. ID., Introduzione all’ateismo moderno, Stu-
dium, Roma 1969, 2 voll., passim. ALBERTO CATURELLI, El principio de immanencia, la di-
vinización del hombre y el orden temporal, in “Verbo”, nn. 253-254 (1987), pp. 249-294.
148
Cfr. ASS, 40 (1907), p. 640.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 63

gno 1914, due mesi prima della morte, il Papa ordinava espressa-
mente di porre “a fondamento degli studi sacri la filosofia scolastica”,
precisando ancora una volta di intendere quella di san Tommaso
d’Aquino 149. “Infatti, quelli che sono i capisaldi della filosofia di san
Tommaso non debbono essere visti alla stregua di opinioni sulle quali
sia lecito disputare tirandole da una parte o dall’altra, ma come i fonda-
menti sui quali poggia ogni scienza delle cose naturali e divine” 150. Con
formula categorica (Nos volumus, iubemus, praecipimus) il Papa or-
dinava che negli istituti teologici fosse reintrodotta come testo di
studio la Summa Theologiae di san Tommaso. A questo fondamen-
tale documento, seguì, il mese successivo, la pubblicazione, da
parte della Sacra Congregazione degli Studi, delle ventiquattro
tesi tomistiche 151 che, secondo Pio X, contenevano i “principia et
pronuntiata maiora doctrinae S. Thomae” 152.
Una piena e integrale adesione alla filosofia di san Tommaso
implicava un rifiuto della filosofia moderna in tutte le sue espres-
sioni, da Cartesio a Kant, fino alle correnti idealistiche, storicistiche
ed evoluzionistiche che si affacciavano all’alba del secolo XX. Il nu-
cleo della filosofia moderna, come aveva ben visto Pio X, era nel-
l’immanentismo, ovvero nel principio secondo cui la fonte e la mi-
sura dell’essere scaturiscono dalla coscienza dell’uomo. La neo-
scolastica del XX secolo non comprese però l’eversione metafisica
rappresentata dal principio di immanenza e cercò spesso un com-
promesso con esso. Il “Terzo Partito” filosofico fu rappresentato
dal movimento che, dopo la Prima Guerra Mondiale, cercò di con-

149
Cfr. AAS, 6 (1914), p. 338.
150
Ivi, pp. 337-338.
151
Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DEGLI STUDI, Dichiarazione (nota co-
me XXIV tesi della filosofia di S. Tommaso) del 27 luglio 1914, in AAS, 6 (1914), pp.
383-386. Le XXIV tesi furono opere principalmente del gesuita Guido Mattiussi
(1852-1925). “Esse sono state ordinate così mirabilmente che tutte dipendono dalla prima,
la quale enuncia il fondamento stesso della sintesi tomistica, cioè la distinzione reale fra le
potenze e l’atto” (RÉGINALD GARRIGOU-LAGRANGE o.p., Sintesi tomistica, Queriniana,
Brescia 1953, pp. 399-411). Si veda anche CARLO GIACON s.j., Per una prima genesi del-
le XXIV tesi del tomismo specifico, in “Doctor communis”, n. 24 (1981), pp. 175-193;
JÉSUS VILLAGRASA l.c., Il retroscena di una polemica: le XXIV tesi tomistiche, in Neotomi-
smo e suarezianismo. Il confronto di Cornelio Fabro, Ateneo Pontificio Regina Aposto-
lorum, Roma 2006, pp. 35-90.
152
AAS, 6 (1914), p. 383.
64 IL CONCILIO VATICANO II

ciliare la Scolastica con le correnti di pensiero moderne 153. In Bel-


gio, il gesuita Joseph Maréchal 154, fin dal 1912, indicava in Blondel
uno dei maggiori pensatori contemporanei 155 e reinterpretava
blondellianamente il tomismo 156. La sua opera postuma, Le point de
départ de la métaphysique 157 (1947) diede origine a una corrente filo-
sofica impropriamente definita “tomismo trascendentale” 158, che
stabiliva un ponte con la fenomenologia di Martin Heidegger.
Maréchal aveva l’autorevole appoggio del cardinale belga Mercier,
che cercava di conciliare il tomismo con le istanze della filosofia
moderna, da Cartesio a Kant 159.
L’errore della neo-scolastica degli anni Venti e Trenta era quello
di ritenere che una semplice riproposta dei principi metafisici tra-
dizionali sarebbe stata sufficiente a sbarrare il passo al processo ri-
voluzionario di laicizzazione della società. Molto spesso la neo-sco-
lastica di quegli anni mancò di una teologia della storia e rinunciò

153
Cfr. EDUARD HABSBURG-LOTHRINGEN, Das Ende des Neuthomismus. Die 68er, das Kon-
zil und die Dominikaner, Nova et Vetera, Bonn 2007, pp. 86-94.
154
Joseph Maréchal (1878-1944), filosofo e psicologo belga della Compagnia di Ge-
sù, ordinato nel 1908. Professore all’Università di Lovanio.
155
Cfr. JOSEPH MARÉCHAL s.j., Science empirique et psychologie religieuse, in “Recherches
de Science Religieuse”, n. 3 (1912), p. 1. L’influenza di Blondel su Maréchal è stata
studiata da A. MILLET, Les “Cahiers” du P. Maréchal. Sources doctrinales et influences su-
bies, “Revue néo-scolastique de Philosophie”, n. 43 (1945). Cfr. anche GERALD A.
MCCOOL, From Unity to Pluralism. The International Evolution of Thomism, Fordham
University Press, New York 1989, pp. 87-113.
156
Cfr. GIOVANNI MORETTO, Destino dell’uomo e Corpo Mistico. Blondel, de Lubac e il Con-
cilio Vaticano II, Morcelliana, Brescia 1994, p. 64. Si veda anche SALVATORE NICOLOSI,
La presenza di Blondel nel Concilio Vaticano II, in AA.VV., Attualità del pensiero di Mau-
rice Blondel, Massimo, Milano 1976, pp. 49-91.
157
Cfr. J. MARÉCHAL s.j., Le point de départ de la métaphysique, Alcan, Bruges-Lovanio
1922-1947, 4 voll.
158
“Infatti il qualificare di “trascendentale”, nel senso kantiano, il tomismo è una contra-
dictio in terminis perché il trascendentale tomista è realista, mentre quello kantiano è ir-
realista” (GIOVANNI CAVALCOLI o.p., Karl Rahner, Il Concilio tradito, Fede e Cultura, Ve-
rona 2009, p. 19).
159
Desiré Mercier (1851-1926), ordinato nel 1874, arcivescovo di Malines (1906) e car-
dinale (1907), fu il fondatore della scuola neotomista di Lovanio. Cfr. LOUIS DE RAEY-
MAEKER, Le cardinal Mercier et l’Institut supérieur de philosophie de Louvain, Presses
Universitaires de Louvain, Lovanio 1952; R. AUBERT, Le cardinal Mercier, archevêque
de Malines, 1906-1926. Un prélat d’avant-garde, Presses Universitaires de Louvain, Lo-
vanio 1994 (1976).
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 65

alla lotta contro l’avversario, rifugiandosi in una torre d’avorio in-


tellettuale. In realtà il modernismo circolava non solo nei libri, ma
in tutto il corpo sociale (arte, letteratura, costume, etc.), avvelenan-
done ogni aspetto. Ciò permise alla “nouvelle théologie” che nasceva
di presentarsi come una teologia e filosofia “viva”, legata alla sto-
ria, in opposizione all’astrattezza libresca della scolastica.
In Belgio, presso Tournai, sorgeva il convento domenicano di Le
Saulchoir dove, a partire dal 1932, fu “reggente degli studi” il padre
Marie-Dominique Chenu 160. Nel 1937 apparve un suo saggio, pro-
manuscripto, dal titolo, Une école de théologie, Le Saulchoir 161, che vo-
leva essere un programma “metodologico” per la formazione degli
studi domenicani. Chenu vi criticava la teologia antimodernista, in
nome di un “Cristo della fede” che si conosce (come volevano i mo-
dernisti) nel “Cristo della storia” 162. Nella misura in cui la storicità è
la condizione della fede e della Chiesa 163, i teologi dovevano essere
in grado di leggere “i segni dei tempi”, ovvero la manifestazione del-
la fede nella storia 164.
Il “manifesto” del domenicano francese fu messo all’indice con
un decreto del Sant’Uffizio del 4 febbraio 1942 165, assieme all’Essai
sur le problème théologique del suo confratello Louis Charlier 166, ed egli

160
Marie-Dominique Chenu (1895-1990), domenicano francese, studiò all’Angeli-
cum di Roma con il padre Garrigou-Lagrange e fu professore di Storia ecclesiastica
alla Facoltà del Saulchoir dal 1920 al 1942. Al Concilio fu esperto personale di mons.
Claude Rolland, vescovo di Antsirabe (Madagascar). Su di lui, cfr. Jacques Duquesne
interroge le Père Chenu: Un théologien en liberté, Centurion, Parigi 1975; L’hommage dif-
feré au Père Chenu, Cerf, Parigi 1990; FLORENT GABORIAU, Trente ans de théologie
française. Dérive et genèse, L’Age d’Homme, Losanna 2003, pp. 139-152.
161
Cfr. M. D. CHENU o.p., Une école de théologie: Le Saulchoir, pro-manuscripto Kain
1937; ristampato da G. ALBERIGO, come Le Saulchoir. Una scuola di teologia, cit. Su Le
Saulchoir, cfr. E. FOUILLOUX, Une Eglise en quête de liberté, cit., pp. 124-148.
162
M. D. CHENU o.p., Une école de théologie, cit., p. 47.
163
Ivi, pp. 42-46.
164
Cfr. anche Y. CONGAR o.p., La storia della Chiesa come luogo teologico, in “Conci-
lium”, n. 6 (1970), pp. 103-115.
165
Cfr. AAS, 34 (1942), p. 37.
166
Louis Charlier (1898-1981), domenicano belga, autore di un Essai sur le proble-
me théologique (Ramgal, Thuillies 1938) messo all’indice il 4 febbraio 1942. Su di
lui cfr. Nouvelle théologie, pp. 61-69 e la critica del padre MARIE-ROSAIRE GAGNEBET
o.p., Un essai sur le problème théologique, in “Revue thomiste”, n. 45 (1939), pp.
108-145.
66 IL CONCILIO VATICANO II

fu destituito dalla sua carica. I suoi discepoli, sacerdoti, come il do-


menicano Yves Congar 167, di dieci anni più giovane di lui, erano fin
da allora convinti che la loro generazione dovesse “recuperare e tra-
sferire nel patrimonio della Chiesa qualunque elemento di un certo valore
che poteva emergere da un approccio al modernismo” 168. Lo stesso Chenu
aveva peraltro visto nel modernismo solo “una crisi di coscienza nella
Chiesa” 169. Chenu, Congar e Henri-Marie Féret 170, il meno conosciuto
dei teologi di Le Saulchoir, venivano definiti i “tre moschettieri” e si
ritrovarono a Roma durante il Concilio Vaticano II.
Ciò che per i domenicani fu la scuola di Le Saulchoir, per i ge-
suiti fu quella di Fourvière 171, nei pressi di Lione, dove sorgeva un
istituto universitario della Compagnia di Gesù. L’ambiente di Lio-
ne-Fourvière fu influenzato soprattutto dall’insegnamento del pa-

167
Yves Congar (1904-1995), domenicano francese, ordinato nel 1930, professore di
teologia a Le Saulchoir fino al 1937. Definito “padre e ispiratore del Vaticano II” (B.
FORTE, in “Avvenire”, 23 giugno 1996), fu insignito, a 90 anni, della porpora cardi-
nalizia, nel novembre 1994, da Giovanni Paolo II. Su di lui si veda E. FOUILLOUX, Frè-
re Yves, Cardinal Congar, dominicain. Itinéraire d’un théologien, in “Revue des sciences
philosophiques et théologiques”, n. 79 (1995), pp. 379-404; ID., Comment devient-on
expert au Vatican II? Le cas du Père Yves Congar, in Le deuxième concile du Vatican, pp.
307-331; Cardinal Yves Congar 1904-1995, a cura di ANDRÉ VAUCHEZ, Cerf, Parigi
1999; G. ALBERIGO, P. Congar, Dossetti e l’officina bolognese, in “Cristianesimo nella
storia”, n. 24 (2003), pp. 154-165; JEAN-PIERRE JOSSUA, Le concile d’Yves Congar, in
“Cristianesimo nella storia”, n. 24 (2003), pp. 149-153; A. MELLONI, Congar, Architect
of the Unam Sanctam, in “Louvain Studies”, n. 29 (2004), pp. 222-238; MARIE-ANNE
VANNIER, Notes sur Yves Congar et Vaticano II, in “Revue des Sciences Religieuses”, n.
77 (2003), p. 1, pp. 8-10; J. WICKS, Yves Congar’s Doctrinal Service of the People of God,
in “Gregorianum”, n. 84 (2003), pp. 499-550; numero di “Istina”, n. 48/1 (2003), in-
titolato a Deux pionniers de l’unité: Yves Congar et Willem Visser’t Hooft (colloquio di
Parigi, 27 settembre 2002), con contributi di B. Dupuy, É. Mahieu, K. Raiser, F. Flei-
nert-Jensen, B. Bobrinskoy, R. Beaupère, M. Chevallier.
168
AIDAN NICHOLS, Yves Congar, tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo 1991, p. 12.
169
M. D. CHENU, Une école de théologie, cit., p. 27.
170
Henri-Marie Féret (1904-1992), domenicano francese, professore di Storia della
Chiesa a Le Saulchoir, poi priore di una comunità domenicana a Digione (1958-
1964), guidò per cinquant’anni, fino alla morte, un “Gruppo evangelico” formato
da donne che si riunivano mensilmente per studiare la Sacra Bibbia. Durante il
Concilio fu consigliere del vescovo di Saint-Claude, Claude Fusin. È autore di un
discusso volume L’Apocalypse de saint Jean: Vision chrétienne de l’histoire, Correa, Pa-
rigi 1943. Su di lui, cfr. Nouvelle théologie, pp. 57-60.
171
Cfr. E. FOUILLOUX, Une “école de Fourvière”?, in “Gregorianum”, n. 83 (2002), pp. 451-
459; DOMINIQUE AVON, Une école théologique à Fourvière, in Les jésuites à Lyon XVIe – XXe
siècle, a cura di E. FOUILLOUX-BERNARD HOURS, ENS Editions, Lione 2005, pp. 231-246.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 67

dre Auguste Valensin 172, professore di filosofia a Lione dal 1929 al


1934, discepolo di Blondel e amico di un altro personaggio di spic-
co, che esercitò un’influenza “occulta” in questo periodo: il gesuita
Pierre Teilhard de Chardin 173. Direttore di spedizioni e missioni
scientifiche e autore di numerosi scritti, Teilhard, durante la sua vi-
ta, non aveva mai avuto l’autorizzazione a pubblicare le sue opere,
nelle quali aveva delineato una concezione filosofica e religiosa in-
compatibile con quella cristiana. Nel 1926 era stato sospeso dall’in-
segnamento e l’anno successivo la Santa Sede aveva rifiutato di da-
re l’imprimatur al suo libro Le milieu divin. Nel 1933 Roma ordinò il
suo allontanamento da Parigi e nel 1939 il suo libro L’énergie humai-
ne fu messo all’indice dal Sant’Uffizio. “Ritorno alla Bibbia” e “rin-
novamento della teologia patristica” erano le parole d’ordine contro la
Scolastica dei gesuiti di Fourvière. Al centro di questo pensiero non
era il “ritorno ai Padri”, ma un’antropologia teologica fondata sul-
la filosofia di Blondel e influenzata da Teilhard de Chardin 174.
Il più diretto continuatore dell’opera di Blondel e Teilhard fu il
padre Henri de Lubac 175 della Compagnia di Gesù. De Lubac ave-
va iniziato i suoi studi in Inghilterra e li aveva conclusi nel 1928 a
Lione, dove era stato nominato professore di teologia fondamenta-
le. Aveva conosciuto, all’inizio degli anni Venti, Teilhard, che eser-
citò un influsso decisivo sul suo pensiero, e riconosceva nella sua

172
Auguste Valensin (1879-1953), gesuita francese, ordinato nel 1910. Professore di
filosofia presso la facoltà cattolica di Lione dal 1920 al 1934.
173
Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), gesuita francese, ordinato nel 1911, stu-
dioso di paleontologia e scienze naturali, ripetutamente censurato dalla Santa Sede
per le sue tesi eterodosse. Cfr. ROSINO GIBELLINI, Teilhard de Chardin. L’opera e le in-
terpretazioni, Queriniana, Brescia 1981, con bibl. Sui suoi rapporti con Blondel, cfr.
CHRISTIAN D’ARMAGNAC, De Blondel à Teilhard. Nature et intériorité, in “Archives de
Philosophie”, n. XXI/2 (1958), pp. 298-312; PAUL-HENRI COUTAGNE, Le problème de
l’Action chez Teilhard et Blondel, in Maurice Blondel. Une dramatique de la modernité, At-
ti del colloquio di Aix-en-Provence (marzo 1989), a cura di DOMINIQUE FOLSCHEID,
Editions Universitaires, Parigi 1990, pp. 188-200.
174
Blondelliano, come de Lubac, era il padre Henri Bouillard s.j. (1908-1981), la cui
opera Conversion et grâce chez saint Thomas d’Aquin (1944) fu tra i fattori scatenanti
la polemica sulla “nouvelle théologie” (M. PESCE, Un “bruit absurde”, cit., p. 306).
175
Henri de Lubac (1896-1991) entrò nella Compagnia di Gesù nel 1913 e fu ordinato
nel 1927. Professore di teologia a Lione, fu consultore della Commissione teologica
preparatoria, poi peritus. Fu creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1983. Su di lui
cfr. J. GUILLET, in DHCJ, pp. 2430-2432; GEORGES CHANTRAINE s.j., Le cardinal Henri de
Lubac. L’homme et l’oeuvre, Lethielleux, Parigi 1983 e i volumi successivamente cit.
68 IL CONCILIO VATICANO II

formazione un debito particolare a Blondel e Maréchal 176. Hans Urs


von Balthasar, che apparteneva alla medesima scuola, vede nella
triade Blondel-Maréchal-de Lubac, i “tre martiri della verità” 177 di
quell’epoca.
Il padre Jean Daniélou 178, discepolo di de Lubac a Fourvière, in
un ampio articolo programmatico, comparso nel 1946 sulla rivista
“Etudes”, sotto il titolo Les orientations présentes de la pensée religieuse,
screditava a sua volta il tomismo, affermando che ad esso “è estranea
la nozione di storia”, mentre, al contrario, “è proprio su di essa che sono
imperniati i grandi sistemi patristici” 179 e auspicava l’utilizzazione, da
parte della teologia contemporanea, della psicologia e della fenome-
nologia religiosa per ritrovare il senso storico e il contatto con la vi-
ta. Egli inoltre definiva il modernismo “espressione infelice di esigenze
autentiche” 180, attribuendone la responsabilità della nascita alla “rot-
tura tra la teologia e la vita” del pensiero cattolico tradizionale.
Nel 1942 de Lubac e Daniélou fondarono due collane editoria-
li: “Sources chrétiennes” 181, per promuovere lo studio dei Padri

176
“Durante i miei anni di filosofia (1920-1923) a Jersey, avevo letto con passione l’Action,
la Lettre (sull’apologetica) e diversi altri studi di Maurice Blondel”, testimonia Henri de
Lubac (Mémoire sur l’occasion de mes écrits, Cerf, Parigi 2006, p. 15). Sull’impostazio-
ne blondelliana della filosofia religiosa di de Lubac, cfr. tra l’altro, ANTONIO RUSSO,
Henri de Lubac: teologia e dogma nella storia. L’influsso di Blondel, Studium, Roma 1990;
E. FOUILLOUX, Une Eglise en quête de liberté, cit., pp. 174-181; G. MORETTO, Destino del-
l’uomo e corpo mistico, cit.; GIANFRANCO COFFELE, Apologetica e teologia fondamentale, da
Blondel a de Lubac, Studium, Roma 2004.
177
HANS URS VON BALTHASAR, Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di rinnova-
mento, Jaca Book, Milano 1978, p. 15. Hans Urs von Balthasar (1905-1988), teologo
svizzero della Compagnia di Gesù, che lasciò nel 1950. Creato cardinale nel 1988,
morì prima del concistoro.
178
Jean Daniélou (1905-1974), gesuita francese, ordinato nel 1938, professore di sto-
ria antica del Cristianesimo all’Institut Catholique di Parigi, peritus conciliare. Fu
creato cardinale nel 1969. Nel 1972 fu eletto membro dell’Académie Française. Su-
scitò scalpore la sua morte improvvisa avvenuta il 21 giugno 1974 nella casa di una
prostituta parigina. Su di lui si veda DONATO VALENTINI, La teologia della storia nel
pensiero di Jean Daniélou, con bibliografia generale dal 1936 al 1968, Pontificia Univer-
sità Lateranense, Roma 1970; P. DUCLOS, in DHCJ, pp. 1044-1046 con bibl.
179
J. DANIÉLOU s.j., Les orientations présentes de la pensée religieuse, in “Etudes”, n. 249
(1946), pp. 5-21.
180
Ivi, p. 7.
181
Cfr. E. FOUILLOUX, La collection “Sources chrétiennes”. Editer les Pères de l’Eglise au
XXème siècle, Cerf, Parigi 1995.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 69

della Chiesa, in implicita contrapposizione alla Scolastica, e “Théo-


logie”, che si proponeva di rimaneggiare le questioni teologiche
con il metodo critico-storico.
L’apparizione, nel 1938, del libro di de Lubac, Catholicisme nella
collana “Unam Sanctam”, diretta dal padre Congar, esprimeva la
“fraternità” che legava le due scuole più eterodosse del tempo, quel-
la gesuita di Fourvière e quella domenicana di Le Saulchoir. Tutta-
via, mentre Chenu volle fare di Saulchoir una scuola ideologica, de
Lubac contestò l’esistenza di una “mitica scuola di Fourvière” 182.
Alla “nouvelle théologie” corrispondeva l’idea di una “nouvelle
chrétienté” elaborata negli stessi anni dal filosofo francese Jacques
Maritain 183. Nella lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimo-
quinto 184 (1902), Leone XIII tracciava le linee del processo rivolu-
zionario che dal protestantesimo, attraverso la Rivoluzione fran-
cese, giungeva al comunismo. Il capovolgimento della filosofia
della storia di Leone XIII avvenne con l’opera di Maritain, Uma-
nesimo integrale 185 (1936), che esercitò, soprattutto sui laici, un’in-

182
H. DE LUBAC s.j., Entretien autour de Vatican II, Cerf, Parigi 1985, p. 12.
183
Jacques Maritain (1882-1973), discepolo del filosofo Henri Bergson, si convertì al
cattolicesimo nel 1906, assieme alla moglie Raissa, ebrea di origine russa. Dopo es-
sere stato vicino all’Action Française, si staccò da Maurras, proponendosi come il
nuovo maître à penser del mondo cattolico. Dopo aver trascorso il periodo della
guerra in America, venne nominato ambasciatore francese presso la Santa Sede
(1944-1948), per poi tornare in America quale professore all’Università di Princeton.
Su di lui cfr. tra l’altro: GUILLAUME DE THIEULLOY, Le chevalier de l’absolu. Jacques Ma-
ritain entre mystique et politique, Gallimard, Parigi 2005.
184
Cfr. LEONE XIII, Lettera Apostolica Annum Ingressi del 19 marzo 1902, conosciuta,
dalle sue prime parole, come Pervenuti all’anno vigesimo quinto, in EE, III, Leone XIII
(1878-1903), EDB, Bologna 1997, pp. 1892-1931.
185
Cfr. J. MARITAIN, Humanisme intégral. Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle
chrétienté, Aubier-Montaigne, Parigi 1936, ora in JACQUES e RAISSA MARITAIN, Oeuvres
complètes, Editions Universitaires, Fribourg 1984, vol. VI, pp. 293-642. LOUIS SALLE-
RON, sulla “Revue Hebdomadaire” del 22 agosto 1936 (poi Humanisme intégral? M.
Jacques Maritain, marxiste chrétien, in “L’Ordre Français”, n. 176 (1973), pp. 11-24), fin
dal 1936 denunciava come “puramente marxista” la dialettica di Maritain (ibid., p.
21). Per un’analisi critica del pensiero del filosofo francese, cfr. inoltre JULIO MEIN-
VIELLE, De Lamennais à Maritain, Theoria, Buenos Aires 1967 (1945); LEOPOLDO PALA-
CIOS, El mito de la nueva cristianidad, Speiro, Madrid 1952; e gli articoli sulla “Civiltà
Cattolica” di ANTONIO MESSINEO s.j.: Evoluzione storica e messaggio cristiano, q. 2433
(1951), pp. 253-263; Laicismo politico e dottrina cattolica, q. 2443 (1952), pp. 18-28;
Umanesimo integrale, q. 2549 (1956), pp. 449-463.
70 IL CONCILIO VATICANO II

fluenza non minore dell’Action di Blondel 186. Padre Meinvielle,


nel suo libro De Lamennais à Maritain, apparso nel 1945, ha dimo-
strato la coincidenza pressoché letterale tra il “cristianesimo socia-
le” di Lamennais e la “nouvelle chrétienté” di Maritain 187. Alla Ci-
viltà cristiana, Maritain voleva sostituire una civitas humana pro-
fana, intesa come “un regime temporale o un’età di civiltà la cui for-
ma ispiratrice sarebbe cristiana e risponderebbe al clima storico dei tem-
pi nei quali entriamo” 188. Alla base di questa filosofia della storia
che cercava un’ipotetica “terza via”, tra “l’ideale medievale” e quel-
lo “liberale” 189, vi era la tesi deterministica dell’irreversibilità del
mondo moderno e il postulato marxista del “ruolo storico del pro-
letariato” 190. Malgrado la dichiarata adesione di Maritain ai prin-
cipi del tomismo, la sua filosofia della storia e la sua sociologia
convergevano con il neomodernismo che affiorava tra giovani re-
ligiosi degli ordini gesuitico e domenicano. In una lettera a Mari-
tain, il padre Chenu evoca lo “choc così profondo” che gli aveva
provocato la lettura del suo libro che, da allora, lo aveva costan-
temente “alimentato” 191.
Maritain ebbe un’enorme influenza in America Latina, dove si
recò per una serie di conferenze negli anni Trenta, negli Stati Uni-
ti, dove soggiornò dal 1940 al 1945, e a Roma, dove fu ambasciato-
re di Francia presso il Vaticano dal 1945 al 1948 192. Un’espressione
del capovolgimento di prospettive del rapporto Chiesa-mondo fu
la pastorale pubblicata dal card. Emmanuel Suhard, arcivescovo di

186
Cfr. JEAN-HUGUES SORET, Philosophes de l’Action catholique: Blondel-Maritain, Cerf,
Parigi 2007.
187
J. MEINVIELLE, De Lamennais à Maritain, cit. “Il mio libro s’intitola ‘Da Lamennais a
Maritain’ e non “Lamennais e Maritain’ – scriveva Meinvielle al padre Garrigou-La-
grange – perché non voglio paragonare due uomini ma segnalare l’identità dell’uno e del-
l’altro in uno stesso errore che è stato condannato nel secolo scorso” (J. MEINVIELLE, Corre-
spondance avec le R. P. Garrigou-Lagrange à propos de Lamennais et Maritain, Nuestro
Tiempo, Buenos Aires 1947, p. 39).
188
J. MARITAIN, Humanisme intégral, cit., p. 442 (si veda ampiamente pp. 437-526).
189
Ivi, pp. 495.
190
Ivi, pp. 552-554.
191
Lettera del 3 marzo 1947, in P. CHENAUX, Paul VI et Maritain. Les rapports du “mon-
tinianisme” et du “maritainisme”, Studium, Brescia 1994, p. 80.
192
Cfr. ROBERTO FORNASIER, Jacques Maritain Ambasciatore. La Francia, la Santa Sede e i
problemi del dopoguerra, Studium, Roma 2010.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 71

Parigi, nella Quaresima del 1947. Il cardinale interpretava la crisi


del proprio tempo come una crisi di giovinezza e di crescenza che
investiva tutte le strutture dell’ordine umano e prevedeva un tem-
po di “aurora” per la Chiesa 193.

6. Il movimento ecumenico

Il movimento biblico-liturgico e le nuove tendenze filosofiche e


teologiche confluirono in un più vasto movimento “ecumenico”, ca-
ratterizzato anch’esso da un forte sentimento antiromano. A diffe-
renza dei precedenti movimenti, l’ecumenismo nacque fuori dalla
Chiesa cattolica e precisamente nell’ambiente missionario protestan-
te, dove la molteplicità delle confessioni creava forti problemi al pro-
selitismo 194. Dalla conferenza di Edimburgo (1910) ebbero origine i
due movimenti di “Fede e Costituzione” e “Vita e azione”, che si pro-
ponevano di cercare la via dell’unione ecumenica tra le chiese (pro-
testanti) nel campo rispettivamente della dottrina e dell’azione. La
Chiesa cattolica non partecipò mai a queste iniziative. Il 4 luglio 1919
il Sant’Uffizio estendeva il divieto di Pio IX (1864) di partecipare “a
conferenze pubbliche o private indette da acattolici, i quali si propongono il
fine di promuovere l’unione di tutti i gruppi che si dicono cristiani” 195.
Poco a poco, tuttavia, le istanze ecumeniche protestanti pene-
trarono all’interno della Chiesa cattolica trovando una delle prime
espressioni nel barone Friedrich von Hügel 196, le cui lettere alla ni-
pote anglicana formarono, come scrive Georges Tavard, “un model-

193
Cfr. E. SUHARD, Essor ou déclin de l’Eglise, Lahure, Parigi 1947. Emmanuel Célestin
Suhard (1874-1949), ordinato nel 1897, vescovo di Bayeux nel 1928, arcivescovo di
Reims dal 1930, creato cardinale nel 1935, arcivescovo di Parigi nel 1940.
194
Cfr. RUTH ROUSE-STEPHEN C. NEIL, Storia del movimento ecumenico, tr. it. Ed. Deho-
niane, Bologna 1973-1982, 4 voll.
195
Decretum De Partecipatione catholicorum societati “ad procurandam christianitatis
unitatem”, in AAS, XI (1919), p. 309.
196
Friedrich von Hügel (1852-1925), austriaco ma nato in Italia, fu una delle figure
chiave del modernismo. Su di lui cfr. J. P. WHELAN, sub voce, in DSp, VII, coll. 852 ss.,
con ampia bibliografia; JOHN J. HEANEY, The Modernist Crisis: Von Hügel, G. Chap-
man, Londra 1969; Baron Friedrich von Hügel: Selected Letters, 1896-1924, a cura di
BERNARD HOLLAND, Dent, Londra 1928.
72 IL CONCILIO VATICANO II

lo di corrispondenza ecumenica” 197. Hügel era, secondo l’espressione


di Loisy, un importante “agente di collegamento” 198 dei diversi am-
bienti e delle diverse correnti del modernismo, “l’anello intermedia-
rio tra società inglese tedesca e italiana, fra idee della filosofia dell’azione
e quelle dell’immanenza storica” 199, ma le sue iniziative non ebbero
l’autorità di quelle promosse in Belgio negli anni Venti.
Tra il 1921 e il 1926, su iniziativa di Lord Halifax 200 e del padre
lazzarista francese Fernand Portal 201, si tennero in Belgio alcuni in-
contri ufficiosi tra cattolici e anglicani noti come “Conversazioni di
Malines”, perché tenutisi nella casa del card. Mercier che li patro-
cinò 202. A questi colloqui partecipò attivamente dom Lambert
Beauduin, che dopo aver promosso il movimento liturgico si lan-
ciò in quello ecumenico fondando, nel 1925, in Belgio, il Monaste-
ro di Chevetogne a Amay-sur-Meuse. I suoi monaci dovevano “de-
romanizzarsi” e aprirsi al “dialogo” con gli anglicani e con gli sci-
smatici “ortodossi” 203. La rivista del monastero, dal significativo ti-

197
GEORGES TAVARD, Petite histoire du mouvement œcuménique, Editions Fleurus, Parigi
1960, p. 159.
198
Cfr. MAURICE NÉDONCELLE, La pensée religieuse de Friedrich von Hügel, Vrin, Parigi
1935, p. 14.
199
GIUSEPPE PREZZOLINI, Cos’è il modernismo, Treves, Milano 1908, p. 75.
200
Su Charles Lindley Wood, Lord Halifax (1839-1934), cfr. JOHN GILBERT LOCKHART,
Charles Lindley Viscount Halifax, Geoffrey Bless, Londra 1935-36, 2 voll.; J. GUITTON,
Trois serviteurs de l’unité chrétienne: le P. Portal, lord Halifax, le cardinal Mercier, Cerf,
Parigi 1939; ALBERT GRATIEUX, L’amitié au service de l’union. Lord Halifax et l’abbé Por-
tal, Bonne Presse, Parigi 1951.
201
Fernand Portal (1885-1926), ordinato nella Congregazione della Missione dei
Lazzaristi nel 1880, abbandonò nel 1908 il posto di superiore del Seminario uni-
versitario di Saint-Vincent de Paul, perché sospettato di modernismo. Cfr. F. POR-
TAL, Refaire l’Eglise de toujours. Textes présentés par Régis Ladous, Nouvelle Cité, Pa-
rigi 1977; HYPPOLYTE HEMMER, M. Portal, prêtre de la Mission de Paris, Bloud & Gay,
Parigi 1947; RÉGIS LADOUS, Monsieur Portal et les siens (1855-1926), prefazione di
Emile Poulat, Cerf, Parigi 1985.
202
Cfr. R. AUBERT, Les Conversations de Malines. Le Cardinal Mercier et le Saint-Siège, in
“Bulletin de la Classe des Lettres et des Sciences Morales et Politiques”, n. 3 (1967),
pp. 87-159, ora in Le cardinal Mercier (1851-1926). Un prélat d’avant-garde, Publica-
tions du Prof. Roger Aubert rassemblées à l’occasion de ses 80 ans, a cura di JEAN-
PIERRE HENDRICKX-JEAN PIROTTE-LUC COURTOIS, Presses Universitaires de Louvain,
Lovanio 1994, pp. 393-452; E. FOUILLOUX, Les catholiques et l’unité chrétienne du XIXe
au XXe siècle. Itinéraires européens d’expression française, Le Centurion, Parigi 1982,
pp. 125-158.
203
Cfr. L. BOUYER, op. cit., pp. 133-135.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 73

tolo “Irenikon”, era il centro di diffusione di queste idee. “La nostra


generazione – ricorda il card. Suenens – era stata contrassegnata dalle
“Conversazioni di Malines” nel corso delle quali il cardinale Mercier leg-
geva il celebre Mémorandum del benedettino dom Lambert Beauduin –
futuro fondatore del monastero ecumenico di Amay – sulla chiesa angli-
cana, annessa ma non assimilata” 204.
Fu in seguito ad un soggiorno ad Amay, nel 1932, che Paul Cou-
turier 205, un sacerdote di Lione, scoprì la sua “vocazione ecumeni-
ca”. Nel 1908, Lewis Wattson 206, un anglicano convertito al cattoli-
cesimo, aveva diffuso un “ottavario” di preghiera per il ritorno al-
la Chiesa dei fratelli separati. L’abbé Couturier, dopo un soggiorno
nell’abbazia di Amay-sur-Meuse, decise di introdurre nella sua co-
munità l’Ottavario per l’Unità, allo scopo non di pregare per il ri-
torno dei fratelli separati, come fino ad allora si era fatto nella
Chiesa, bensì di creare una nuova “unità” spirituale tra le diverse
confessioni religiose: l’ecumenismo era per lui una “convergenza”
verso Cristo, in cui avrebbero potuto incontrarsi tutti i cristiani, in-
dipendentemente dalla loro chiesa di appartenenza 207.
L’enciclica di Pio XI, Mortalium animos del 6 gennaio 1928 208, che
può essere considerato l’atto pontificio di maggiore importanza dot-
trinale apparso dopo la Pascendi, stroncò alle radici le false nozioni
d’unità di coloro che interpretavano le parole di Cristo “che tutti sia-
no una cosa sola (…) si farà un solo ovile e un solo pastore” (Gv 17,21;

204
J. SUENENS, Souvenirs et espérances, Fayard, Parigi 1991, p. 62.
205
Paul Couturier (1881-1953), ordinato nel 1906, fu uno dei principali promotori
dell’ecumenismo cattolico nel XX secolo. Cfr. le biografie apologetiche di MAURICE
VILLAIN, L’abbé Paul Couturier, apôtre de l’unité chrétienne, Casterman, Tournai 1957, e
PIERRE MICHALON, L’abbé Paul Couturier. Apôtre de l’unité chrétienne, Nouvelle Cité,
Parigi 2003.
206
Lewis Thomas Wattson (1863-1940). Figlio di un pastore episcopaliano e pastore
egli stesso (dal 1886), fondatore della congregazione dei Frati Francescani dell’Ato-
nement, una comunità religiosa protestante dedita all’attività ecumenica. Nel 1909 si
convertì al cattolicesimo insieme alla sua comunità, che venne riconosciuta dalla San-
ta Sede come congregazione religiosa; l’anno seguente venne ordinato sacerdote.
207
Cfr. SANDRO SPINAUTI, Ecumenismo, Centro “Ut unum sint”, Roma 1982, pp. 59-63.
208
Mortalium animos sono le prime parole dell’enciclica di Pio XI del 6 gennaio 1928,
De vera religionis unitate favenda (AAS, 20 (1928), pp. 5-16; EE, vol. V: Pio XI, pp. 300-
321), pubblicata pochi mesi dopo la risposta negativa della Congregazione del
Sant’Uffizio al dubbio se sia lecito ai cattolici partecipare ai congressi pancristiani (8
luglio 1927, in AAS, 19 (1927), p. 278).
74 IL CONCILIO VATICANO II

10,16) come se in queste parole “il desiderio e la preghiera di Gesù Cri-


sto siano rimasti senza effetto” 209. Contro il falso ecumenismo dei co-
siddetti “pancristiani”, Pio XI ribadiva che “la riunione dei cristiani
non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti al-
l’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero
l’infelice idea di staccarsi; a quella unica vera Chiesa di Cristo, che è visibi-
le a tutti e che tale, per volontà del suo Fondatore, resterà quale Egli stesso
la fondò per la salvezza di tutti” 210. Pio XI ricordava quindi le limpide
affermazioni di Lattanzio: “solo la Chiesa è quella che ha il culto vero.
Essa è la fonte della verità, il domicilio della fede, il tempio di Dio: a non en-
trarvi o a uscirne, si resta fuori dalla speranza di vita e di salvezza” 211.
Le ricerche di Johan Ickx nell’Archivio Segreto Vaticano hanno
mostrato che l’enciclica di Pio XI intendeva colpire, non solo le
conversazioni di Malines tra cattolici e anglicani e le aperture ai
greco-scismatici di dom Beauduin, ma anche la nascita di una “Al-
ta chiesa tedesca” che si proponeva di confondere in un’unica chie-
sa ecumenica le cosiddette tre grandi confessioni cristiane: il Pro-
testantesimo, il Cattolicesimo e la chiesa greco-ortodossa 212.
In quello stesso 1928 dom Beauduin fu rimosso da priore del
monastero di Amay e poi trasferito a quello di En-Calcat (Francia).
Il movimento ecumenico interno alla Chiesa cattolica seguiva però
altre vie. A Parigi si tenevano degli incontri privati tra cattolici, or-
todossi e protestanti, per cercare convergenze su argomenti teolo-
gici e filosofici. Gli incontri ruotavano soprattutto attorno alle figu-
re, già prestigiose, di Jacques Maritain e di Nicolàj Berdaijev 213, che,
a partire dal 1929, formarono un circolo franco-russo di incontri in-

209
PIO XI, Lett. Enc. Mortalium animos, cit., p. 309.
210
Ivi, p. 317.
211
LATTANZIO, Divinae Institutiones, 4,30, 11-12, cit. in PIO XI, Mortalium animos, cit.,
p. 319.
212
Cfr. JOHAN ICKX, L’enciclica “Mortalium animus” (1928): sfide storiografiche in base al
nuovo materiale archivistico della Santa Sede, in La sollecitudine ecclesiale di Pio XI alla
luce delle nuove fonti archivistiche, Atti del Congresso Internazionale di Studio, Città
del Vaticano, 26-28 febbraio 2009, a cura di C. SEMERARO, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2010, pp. 320-327.
213
Nikolàijev Berdaijev (1874-1948) aveva fondato a Parigi l’Istituto di San Sergio
con Sergei Bulgakov (1874-1948) e Semen Frank (1877-1950), dove l’“ortodossia”
veniva reinterpretata in chiave mistico-panteista. Cfr. OLIVIER CLÉMENT, Berdaijev:
un philosophe russe en France, Olivier Clément Publisher, Parigi 1991.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 75

terconfessionali 214. Agli incontri partecipava il giovane padre do-


menicano Yves Congar, che anche sulla base di essi compose i libri
Chrétiens désunis (1937) 215 e Esquisses du mystère de l’Eglise (1941) 216.
Chrétiens désunis, primo volume di una nuova coedizione
“Unam Sanctam”, fondata presso le edizioni du Cerf, proponeva
un nuovo “ecumenismo cattolico” che mescolava abilmente propo-
sizioni in sé ortodosse (le chiese dissidenti hanno conservato alcu-
ni principi della vera Chiesa e le anime possono santificarsi all’in-
terno di queste confessioni, malgrado esse), con altre palesemente
eterodosse (le chiese dissidenti sono, in misura diversa da quella
cattolica, vere chiese e ci si può santificare in esse grazie ad esse) 217.
Nel 1932 Congar aveva incontrato e stabilito relazioni con l’abbé
Couturier e dom Beauduin 218. “L’abbé Couturier – ricorda Congar –
sviluppò in me una visione della Chiesa di ispirazione piuttosto bergso-
niana: vi era nella Chiesa uno slancio di vita; vi era qualcosa che corri-
spondeva alla materia interpretata come ‘spirito ricaduto’” 219. La visione
“evoluzionista” di Couturier, che affascinava Congar, non sorpren-
de, visto che lo stesso Couturier era un dichiarato ammiratore di
Teilhard de Chardin, alla cui fonte alimentava il suo ecumenismo 220.
Congar divenne un frequentatore del monastero di Chevetogne,

214
Cfr. CATHERINE GOUSSEFF, Une intelligentsia chrétienne en exil: les orthodoxes russes
dans la France des années 20, in Intellectuels chrétiens et esprits des années 1920, a cura
di PIERRE COLIN, Cerf, Parigi 1997, pp. 115-138; ANTONELLA CAVAZZA, L’idea di ‘sobor-
nost’ da A.S. Chomjakov al Concilio Vaticano II. Messa a fuoco del problema, in Vatican II
in Moscow, pp. 130-132 (pp. 129-144); cfr. anche J. FAMERÉE, L’ecclésiologie d’Yves Con-
gar avant Vatican II: histoire et Eglise. Analyse et reprise critique, Presses universitaires
de Louvain, Lovanio 1992.
215
Cfr. Y. CONGAR o.p., Chrétiens désunis: Principes d’un oecuménisme catholique, Cerf,
Parigi 1937.
216
Cfr. Y. CONGAR o.p., Esquisses du mystère de l’Eglise, Cerf, Parigi 1941.
217
Cfr. CLAUDE BARTHE, Trouvera-t-il encore la foi sur la terre? Une crise de l’Eglise, hi-
stoire et questions, François-Xavier de Guibert, Parigi 2006 (3° ed.), pp. 51-52.
218
Cfr. Y. CONGAR o.p., Une passion: l’unité. Réflexions et souvenirs 1929-1973, Cerf, Pa-
rigi 1974, pp. 20-23.
219
Ivi, p. 23.
220
Uno dei testi favoriti di Couturier era Le Milieu Divin di Teilhard de Chardin, di
cui diffondeva copie manoscritte prima ancora della sua pubblicazione. Cfr. TERESA
BURKE c.p., The Abbé Paul Couturier, Pioneer of Spiritual Ecumenism, in The Unity of Ch-
ristians: the vision of Paul Couturier, in “The Messanger of the Catholic League”, edi-
zione speciale, n. 280 (2003-2004), p. 1.
76 IL CONCILIO VATICANO II

centro, fin dagli anni Quaranta, di “giornate ecumeniche” animate


soprattutto da dom Olivier Rousseau 221. Gli ecumenisti cattolici de-
gli anni Quaranta e Cinquanta pretendevano di estendere il concet-
to di Corpo Mistico a tutte le chiese cristiane, intendendolo in sen-
so lato e “pneumatico”, prescindendo dalla dimensione giuridica e
istituzionale della Chiesa cattolica 222. Congar, in particolare, subiva
l’influenza del teologo tedesco Johann-Adam Möhler 223, di cui nel
1938 pubblicò, nella collana “Unam Sanctam”, l’opera maggiore Die
Einheit in der Kirche. In essa si enfatizza il ruolo dello Spirito Santo
come principio vitale della Chiesa, secondo il principio per cui “tut-
ta la costituzione della Chiesa non è altro che l’amore corporificato” 224.
Tra i discepoli di Couturier fu inoltre un giovane calvinista
svizzero, studente di teologia, Roger Schutz 225, che con Max Thu-
rian 226, suo collega di studi, inaugurò nel 1941 la Comunità di
Taizé, non lontano dalle rovine dell’abbazia benedettina di Cluny,
in Francia 227. Essi ottennero, attraverso il nunzio apostolico a Pari-
gi, mons. Roncalli, l’autorizzazione della Santa Sede a officiare la

221
Olivier Rousseau (1898-1984), belga, monaco dell’abbazia di Chevetogne, diretto-
re della rivista “Irenikon”. Uno dei partecipanti a questi incontri, il padre Emma-
nuel Lanne, ricorda ad esempio, le giornate del 1945, cui intervennero Charles
Moeller, Gustave Thils, Yves Congar e Jerôme Hamer, tutti partecipanti al Concilio
Vaticano II, dedicate al concetto di “popolo di Dio” in ecclesiologia (E. LANNE, Il
ruolo del monastero di Chevetogne al Concilio Vaticano II, in “Cristianesimo nella sto-
ria”, n. 27 (2006), pp. 517-518).
222
Cfr. ad esempio ERICH PRZIWARA, Corpus Christi mysticum. Eine Bylanz, in “Zeit-
schrift für Aszese und Mystik”, n. 15 (1940), pp. 197-215.
223
Johann-Adam Möhler (1796-1838), tedesco, ordinato nel 1918, professore di Apo-
logetica e Storia della Chiesa a Tubinga e Monaco di Baviera. La sua opera mag-
giore è Die Einheit in der Kirche oder das Prinzip des Katholizismus dargestellt im Gestalt
der Kirchenväter der drei ersten Jahrhunderte (1825). Su di lui cfr. la voce di HARALD
WAGNER, in TRE, XXIII, pp. 140-143 con bibliografia.
224
J. A. MÖHLER, L’Unité dans l’Eglise, Cerf, Parigi 1938, p. 206. Cfr. anche PHILIPPE
BOURRAT, Ce que Lumen Gentium doit à Möhler, in L’unité spirituelle du genre humain,
pp. 65-89.
225
Roger Schutz (1915-2005), pastore riformato francese, fondatore e priore della Co-
munità ecumenica di Taizé. Ospite del Segretariato per l’Unità dei Cristiani al Con-
cilio Vaticano II.
226
Max Thurian (1921-1986), pastore riformato svizzero, vice priore della Comunità
di Taizé. Ospite del Segretario per l’Unità dei Cristiani al Concilio, fu ordinato sa-
cerdote della Chiesa Cattolica nel 1987.
227
Cfr. Y. CHIRON, Frère Roger, Perrin, Parigi 2008, pp. 64-65.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 77

chiesa cattolica del paesino di Taizé, chiusa dalla Rivoluzione fran-


cese, iniziando così una nuova liturgia “ecumenica”.
Pio XII, nella Orientalis Ecclesia del 9 aprile 1944 228, ribadì l’esi-
stenza di una sola via all’unità: il ritorno alla Chiesa una, vera, vi-
sibile, di Cristo, che è la Chiesa cattolico-romana. L’Istruzione Ec-
clesia Catholica della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio del 20
dicembre 1949 raccomandava di “evitare che, per uno spirito, chiama-
to oggi “irenico”, l’insegnamento cattolico (si tratti di dogma o di verità
connessa col dogma) venga talmente conformato od accomodato con le
dottrine dei dissidenti (…) che ne abbia a soffrire la pienezza della dottri-
na cattolica e ne venga oscurato il senso genuino e certo” 229. A questa vi-
sione si opponeva quella delle varie correnti protestanti che, dopo
essersi unite nell’assemblea pancristiana di Amsterdam, diedero
vita, nel 1948, al Consiglio Ecumenico delle Chiese (W.C.C.). Nel
luglio 1950, a Toronto, il W.C.C. elaborò una “carta ecumenica” che
presupponeva l’idea di “chiesa ecumenica” nata dal superamento
delle singole confessioni cristiane, nessuna delle quali, da sola,
possiede l’interezza della verità 230. Da qui la concezione escatolo-
gica di una Chiesa quale “popolo di Dio” in cammino per rag-
giungere la piena unità in una futura Chiesa sintesi di tutte le pre-
senti chiese confessionali. Le istanze dell’ecumenismo protestante
venivano accolte con simpatia dagli ambienti della “nouvelle théo-
logie”, inclini al relativismo e allo storicismo. Queste tendenze era-
no rafforzate da un atteggiamento psicologico dominante negli
ambienti intellettuali laici e cattolici di incondizionata fiducia nel-
l’idea di “Progresso”.

7. Una associazione segreta all’interno della Chiesa?

I fermenti ideologici di cui abbiamo cercato di seguire le linee


direttrici si svilupparono all’interno della Chiesa in maniera appa-

228
Cfr. PIO XII, Lettera Enciclica Orientalis Ecclesia, in DRM, vol. VI, pp. 325-340.
229
SUPREMA S. CONGREGATIO S. OFFICII, Instructio “De motione ecumenica” del 20 di-
cembre 1949, in AAS, 42 (1950), p. 143 (pp. 142-147).
230
Cfr. MAURIZIO GORDILLO, Ecumenismo in EC, V, col. 63 (coll. 63-65).
78 IL CONCILIO VATICANO II

rentemente spontanea e priva di ordine e direzione, come già era


avvenuto all’epoca del modernismo. San Pio X tuttavia, con l’enci-
clica Pascendi, si era sforzato di ridurre ad unum il magmatico mo-
vimento che si espandeva sotto i suoi occhi. Tre anni dopo la Pa-
scendi, nel Motu proprio Sacrorum Antistitum del 1 settembre 1910,
egli aveva anche avanzato l’ipotesi che il movimento avesse una
sotterranea organizzazione unitaria, fino a formare una vera e pro-
pria “società segreta” all’interno della Chiesa:

“Crediamo che nessun vescovo ignori che una perniciosissima genia di


uomini, i modernisti – anche dopo che l’Enciclica Pascendi Dominici
Gregis ha tolto loro la maschera che avevano assunto – non hanno ab-
bandonato i loro propositi di turbare la pace della Chiesa. Essi infatti non
hanno cessato di ricercare e di raggiungere in una associazione segreta
nuovi adepti e di inoculare con loro, nelle vene della società cristiana, il
veleno delle loro opinioni, attraverso la pubblicazione di libri e di opusco-
li di cui tacciono o dissimulano i nomi degli autori. Se, dopo aver riletto
la Nostra predetta Enciclica, si considera con maggiore attenzione quella
temeraria audacia che ci ha inflitto tanto dolore, apparirà evidente che uo-
mini di tale condotta non sono diversi da quelli che abbiamo descritto nel-
l’Enciclica, avversari tanto più temibili in quanto più vicini” 231.

Le parole di San Pio X non appaiono esagerate allo storico. La


segretezza e la dissimulazione caratterizzavano infatti i modernisti
come già era accaduto per gli eretici italiani del ’500 232. “Saper dissi-
mulare le proprie batterie è uno dei principi essenziali della guerra moder-
na. Fu anche uno dei caratteri distintivi del movimento modernista, quel-
lo di associare all’attacco diretto contro i dogmi la più estrema varietà di

231
PIO X, Motu proprio Sacrorum Antistitum, cit., p. 655. La frase in maiuscoletto, che
in latino recita: “Haud enim intermiserunt novos aucupari et in clandestinum foedus asci-
re socios, cum iisque in christianae reipublicae venas opinionum suarum virus inserere, edi-
tis libris commentariisque suppresso aut mentito scriptorum nomine” è stata tagliata dal-
la traduzione italiana del testo pubblicata da Ugo Bellocchi, in BELLOCCHI, vol. VII,
San Pio X (1903-1914), p. 425 (pp. 415-441).
232
Cfr. DELIO CANTIMORI, Umanesimo e religione nel rinascimento, Einaudi, Torino 1980,
pp. 207-208; CARLO GINZBURG, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa
nell’Europa del ’500, Einaudi, Torino 1970; R. DE MATTEI, A sinistra di Lutero, cit., pp.
84-85.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 79

sotterfugi” ha osservato Jean Rivière 233, ricordando il consiglio dato


dal suo letto di morte dal Santo di Fogazzaro: “Non pubblicate mai
scritti intorno a questioni religiose difficili perché siano venduti, ma di-
stribuiteli secondo prudenza e mai non vi apponete il vostro nome” 234.
“La frequente doppiezza dei modernisti – scrive il biografo di Fo-
gazzaro, Tommaso Gallarati Scotti – è uno dei lati oscuri su cui dovrà
pronunciarsi lo storico futuro. Il solo fenomeno dell’anonimato non appa-
re certo in una luce simpatica all’occhio imparziale. Perché non è senza
profonda umiliazione che un uomo maschera il suo nome, e il modernismo
ha tollerato questa menzogna nelle sue forme più complicate. Il movi-
mento che voleva essere un grande soffio purificatore nella Chiesa, un’af-
fermazione di sincerità virile contro l’ecclesiasticismo corrotto, si è adat-
tato a queste forme di prudenza mondana per cui uno credeva lecito di po-
ter essere due cose in contraddizione fra loro” 235.
Di fronte alla condanna contenuta nella Pascendi, l’atteggia-
mento dei modernisti fu analogo a quello dei giansenisti all’indo-
mani della condanna delle proposizioni di Giansenio e della bolla
Unigenitus del 1713: negarono di riconoscersi nelle proposizioni
condannate, affermando che il modernismo, quale era condannato
nell’enciclica, era una chimera 236.
Un testimone dal “di dentro” come l’ex benedettino francese
Albert Houtin descrivendo il piano del modernismo prevedeva
che i novatori non sarebbero usciti dalla Chiesa, neppure nel caso
che avessero perso la fede, ma che vi sarebbero restati il più a lun-
go possibile per propagare le loro idee 237. “È in questo senso che fu
convenuto verso il 1903 e che si scriveva ancora nel 1911, che nessun ve-

233
Cfr. JEAN RIVIÈRE, Le modernisme dans l’Eglise, Letouzey et Ané, Parigi 1929, pp.
484-485.
234
ANTONIO FOGAZZARO, Il Santo, Mondadori, Milano 1941, p. 282.
235
TOMMASO GALLARATI SCOTTI, Vita di Antonio Fogazzaro, Baldini e Castoldi, Milano
1920, p. 496-497; il passo è anche riportato da E. POULAT nel suo Storia, dogma e cri-
tica nella crisi modernista, tr. it. Morcelliana, Brescia 1967, pp. 643-644.
236
Buonaiuti accetta il parallelo e parla di “una certa intima corrispondenza che ad un
esame oggettivo fa apparire i due movimenti idealmente collegati più di quanto a prima vi-
sta non si sarebbe indotti a pensare” (E. BUONAIUTI, Storia del cristianesimo, Dall’Oglio,
Milano 1943, vol. III, p. 617).
237
Cfr. ALBERT HOUTIN (1867-1926), Histoire du Modernisme catholique, in proprio, Pa-
rigi 1913, pp. 116-117.
80 IL CONCILIO VATICANO II

ro modernista, laico o sacerdote, avrebbe potuto lasciare la Chiesa o la ta-


lare, perché altrimenti avrebbe in quel momento cessato di essere moder-
nista nel senso elevato del termine” 238; “contemporaneamente alla De-
lenda Carthago, perché non praticare la Dissolvenda?” 239
“Fino ad oggi – spiegava a sua volta Ernesto Buonaiuti – si è voluto
riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Ro-
ma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali
devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma è difficile. Hic
opus, hic labor” 240. Il modernismo si proponeva, in questa prospetti-
va, di trasformare il cattolicesimo dall’interno, lasciando intatto, nei
limiti del possibile, l’involucro esteriore della Chiesa. “Il culto esterio-
re – continua Buonaiuti – durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa,
in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia
e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e
questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma
un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, ri-
voluzionario, insubordinato; un protestantesimo che non distruggerà la con-
tinuità apostolica del ministero ecclesiastico né l’essenza stessa del culto” 241.
“Roma – aveva affermato George Tyrrell – non può essere distrut-
ta in un giorno, ma bisogna farla cadere in polvere e in cenere in modo
graduale e inoffensivo; allora noi avremo una nuova religione e un nuovo
decalogo” 242.
Una conferma dell’esistenza di questo fiume sotterraneo che
scorreva nella Chiesa, si ebbe nel 1978 quando venne pubblicato
un documento, fino ad allora sconosciuto, dal titolo Dal profondo: il
testamento di fede di don Primo Vannutelli, un sacerdote romano mor-
to a Roma il 9 aprile 1945 243, presso i Padri Filippini dell’Oratorio.

238
Ivi, p. 122.
239
Ivi, p. 116.
240
Cfr. E. BUONAIUTI, Il modernismo cattolico, Guanda, Modena 1943, p. 128.
241
Ivi, p. 130.
242
G. TYRRELL, Lettres de Georges Tyrrell à Henri Brémond, cit., p. 287.
243
Il testamento di fede di don Primo Vannutelli, a cura di FRANCESCO GABRIELI, in CEN-
TRO STUDI PER LA STORIA DEL MODERNISMO, “Fonti e Documenti”, n. 7 (1978), pp. 119-
253. Don Primo Vannutelli (1885-1945) veniva da una famiglia che aveva già dato,
nei fratelli Serafino (1834-1915) e Vincenzo (1836-1930), due cardinali alla Chiesa.
Ordinato nel 1909 visse fino alla morte presso i Filippini dell’Oratorio della Chiesa
Nuova a Roma. Cfr. FEDERICO BATTISTRETTA, Trittico eretico. Sentieri interrotti del No-
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 81

Don Vannutelli, dopo essere stato modernista, era ufficialmente


“rientrato nei ranghi” prestando il prescritto giuramento antimo-
dernistico. Secondo il suo esecutore testamentario, Francesco Ga-
brieli, “il suo posto è fra quei modernisti rimasti dopo la condanna entro
la Chiesa, che si piegarono alla sua disciplina pur mantenendo nel cuore
le loro intime convinzioni (…)” 244. Ascoltando questa voce che pro-
viene dal sottosuolo e paragonandola con il Credo di Nicea, “si
sbriciola”, secondo Gabrieli, tutto l’edificio della fede: “divina filia-
zione di Gesù, sua nascita verginale, miracoli, resurrezione, Trinità. (…)
L’impalcatura dogmatica del Cristianesimo, o almeno del cattolicesimo
romano, ne esce a pezzi (…)” 245.
Don Primo Vannutelli enuncia così la sua professione di fede
nella nuova Chiesa:

“Attenti studi fatti per secoli, da uomini di più nazioni, di varia mente, e
tra essi anche da figli tuoi, hanno mostrato che secondo gli Evangeli più
antichi Gesù ignorò d’essere il logos d’Iddio, Dio col Padre, stato prima
del mondo. Questi titoli Gesù in quei racconti non si dà mai. Fu profeta
grande, servo e figlio di Dio, inviato ad una grande opera, ma non fortu-
nato come Mosé o Maometto, o Francesco d’Assisi: quand’egli visse, il
suo popolo attendeva un Messia (…). Pare bene che Gesù stesso si rite-
nesse Messia: ma logos d’Iddio, Dio col Padre non si disse mai”.
“E se taluno che legge questi fogli mi domandasse: ‘E che resta allora al
Cristianesimo, se Gesù non è Dio?’, gli rispondo già fin d’ora: Resta po-
co poco: Dio, l’anelito e la gioia dell’universo”. “Ma allora, che cosa di-
stinguerà più il cristiano dall’israelita e dal maomettano? Ti contristere-
sti, se nulla ci distinguesse davvero? Se, nell’amore del Padre fossimo tut-
ti d’un labbro solo e d’un cuore? Se alle tante cause di discordia tra uo-
mini, non s’aggiungesse quella che più dovrebbe essere d’amore? Se la ve-
rità, che è una, ci unisse?” 246.

vecento religioso. Ernesto Buonaiuti, Primo Vannutelli, Ferdinando Tartaglia, Millenia,


Novara-Milano 2005, e F. RICOSSA, Un “profeta” modernista. Il testamento di don Primo
Vannutelli, in “Solidatium”, n. 64 (2010), pp. 14-22.
244
Presentazione di F. GABRIELI, in Il testamento di fede, cit., p. 125.
245
Ivi, p. 124.
246
Ivi, pp. 244-245, 246, 247.
82 IL CONCILIO VATICANO II

Pur negando la divinità di Gesù Cristo e della Chiesa, il sacerdo-


te romano teorizzava la necessità di non uscire da essa, attendendo-
ne pazientemente la inevitabile trasformazione storica. I mezzi per
favorire questo processo erano per lui la libertà di discussione e di
ricerca e il cambiamento della liturgia. La riforma, per essere radica-
le, “dovrebb’essere di riti, non di dogmi apertamente” 247.
Primo Vannutelli era rimasto un incredulo che svolgeva il suo
ministero in una delle più belle chiese di Roma, quella Chiesa nuo-
va, dove viveva in piena armonia con padre Giulio, futuro card.
Bevilacqua, e con il padre Paolo Caresana 248, preposito generale
della Congregazione, senza che nessuno ne avvertisse la duplicità.
È lecito chiedersi se il movimento colpito da san Pio X, sia rima-
sto inerte dopo la morte del Pontefice e non abbia invece tentato di
ricostituirsi all’ombra del “Terzo Partito” che guidò le sorti della
Chiesa tra gli anni Venti e gli anni Trenta del XX secolo 249. Quel che è
certo è che in quegli stessi anni, mentre si sviluppavano nuove ten-
denze eterodosse in tutti i campi della dottrina cattolica, scomparve
l’antimodernismo e mancò una reazione che contrastasse gli errori
che si propagavano nella Chiesa. Il modernismo sopravvisse ma l’an-
timodernismo si dissolse nell’illusione che il peggio fosse ormai su-
perato. Le voci di denuncia e di allarme furono scarse e isolate, spes-
so liquidate con sufficienza come residui di “integrismo”, sotto lo
stesso pontificato di Pio XII, molto meno “repressivo” di quanto lo si
possa immaginare. E per questa ragione che ci proponiamo di met-
tere in rilievo alcune di queste voci di allarme provenienti, in un ar-

247
Ivi, p. 251.
248
Paolo Caresana (1882-1973), oratoriano, fu dal 1934 al 1958 confessore di Gio-
vanni Battista Montini e suo maestro spirituale (cfr. l’epistolario: P. CARESANA-G.
B. MONTINI, Lettere. 1915-1973, a cura di XENIO TOSCANI, Studium, Roma 1998, da
cui emergono anche i legami di mons. Montini con don Primo Vannutelli, pp.
113-115).
249
Gli storici ignorano il problema sollevato da san Pio X e presentano il moderni-
smo come una corrente sgorgata spontaneamente dal corso inarrestabile della sto-
ria. Chi prende sul serio le parole del Pontefice non può fare a meno di porsi la do-
manda che solleva Jean Madiran: “In quale data l’associazione segreta dei modernisti ha
cessato di esistere? Non ci si può neanche chiedere se per caso essa non sarebbe ulteriormente
“ricostituita”; per “ricostituirsi” deve aver cessato di esistere: ma si ignora se e quando è
stata sciolta. Ma non solo si ignora la risposta; si finge di ignorare la domanda” (J. MADI-
RAN, L’intégrisme, cit., p. 250, e più in generale, pp. 247-277).
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 83

co di quindici anni di tempo, da aree culturali e geografiche diverse,


ma accomunate da un medesimo amore per la Chiesa Romana.

8. Le reazioni al neomodernismo sotto il pontificato di Pio XII

a) Plinio Corrêa de Oliveira: in difesa dell’Azione Cattolica

Di fronte alle nuove tendenze eterodosse che iniziavano a


diffondersi nella Chiesa, la prima voce di allarme giunse inaspet-
tatamente dall’America Latina dove il progressismo era arrivato
negli anni Trenta attraverso il movimento liturgico centro-euro-
peo 250 quando un monaco benedettino giunto dalla Germania,
Martin Michler 251, aveva iniziato il suo apostolato liturgico presso
l’Azione cattolica brasiliana 252.
In Brasile, Plinio Corrêa de Oliveira 253, poco più che trentenne,
era l’esponente più in vista del Movimento cattolico. Nel 1932, a 24
anni, aveva promosso la formazione della Lega Elettorale Cattoli-

250
Cfr. JOSÉ ARIOVALDO DA SILVA o.f.m., O Movimento litúrgico no Brasil, Editora Vozes,
Petrópolis 1983; cfr. anche mons. CLEMENTE ISNARD o.s.b., Reminiscências para a Hi-
stória do Movimento litúrgico no Brasil, appendice in B. BOTTE o.s.b., O Movimento
litúrgico. Testemunho e recordações, Edicões Paulinas, San Paolo 1978, pp. 208-209.
251
Dom Martin Michler (1901-1969) fu benedettino a Neusheim, a Maria Laach e a
S. Anselmo in Roma, subendo l’influenza, dopo Romano Guardini, di dom Beau-
duin e di dom Odo Casel. Cfr. J. A. DA SILVA o.f.m., op. cit., pp. 40-58; CLEMENTE
ISNARD o.s.b., O papel de dom Martin Michler no Movimento Católico brasileiro, in “A
Ordem”, n. 36 (1946), pp. 535-545.
252
L’11 luglio 1933 si celebrò la prima Messa dialogata e versus populum in Brasile.
Cfr. J. A. DA SILVA o.f.m., op. cit., pp. 41-42 e C. ISNARD o.s.b., Reminiscências, cit., che
ricorda: “nella sala principale, egli [dom Michler] preparò un altare per la celebrazione
della Messa. Ma, con nostra grande sorpresa, invece di accostare la tavola alla parete, la col-
locò al centro della sala e dispose un semicircolo di sedie, dicendo che stava per celebrare di
fronte a noi. Fu la prima messa celebrata in Brasile di fronte al popolo!” (p. 218).
253
Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), brasiliano, storico e uomo di azione, deputa-
to all’Assemblea Costituente (1933), professore di Storia moderna e contemporanea
nell’Università di San Paolo, direttore del settimanale “O Legionario” (1933-1947), fon-
datore nel 1960 della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Familia e Propieda-
de, poi diffusa in tutto il mondo. Su di lui cfr. R. DE MATTEI, Il crociato del secolo XX. Pli-
nio Corrêa de Oliveira, con prefazione di S. Em. Alfonso Maria card. Stickler s.d.b., Piem-
me, Casale Monferrato 1996. Si veda anche, AA. VV., Plinio Corrêa de Oliveira dez anos
depois…, Associação dos Fundadores da TFP, San Paolo 2005; M. INTROVIGNE, Una bat-
taglia nella notte, cit., e la tesi di dottorato di RODRIGO COPPE CALDEIRA, O influxo ultra-
mondano no Brasil. O pensamento de Plinio Corrêa de Oliveira, Belo Horizonte 2005.
84 IL CONCILIO VATICANO II

ca, nella cui lista, l’anno seguente, era stato eletto all’Assemblea
Costituente come il deputato più giovane e più votato di tutto il
Paese. Dirigeva il settimanale cattolico “O Legionario” e nel 1940
era stato uno dei fondatori della Azione Cattolica di San Paolo, di
cui era stato nominato presidente della giunta interdiocesana. Nel
giugno del 1943, con la prefazione del nunzio Benedetto Aloisi Ma-
sella 254 e con l’imprimatur dell’arcidiocesi di San Paolo, vide la luce
un suo libro dal titolo Em defesa de Ação Catolica 255. L’opera, divisa
in cinque parti, costituiva la prima confutazione di ampio respiro
delle deviazioni serpeggianti all’interno dell’Azione Cattolica in
Brasile e, di riflesso, nel mondo, soprattutto per quanto riguarda la
liturgia, la spiritualità e i metodi di apostolato e di azione 256.
Dal punto di vista della vita interiore, il liturgicismo che si an-
dava diffondendo, sembrava comportare una “ascesi nuova”, le-
gata ad una specifica “grazia di stato”, propria dell’Azione Catto-
lica. La liturgia, secondo le nuove tesi, avrebbe esercitato sopra i fe-
deli un’azione meccanica o magica tale da rendere superfluo ogni
sforzo di collaborazione tra l’uomo e Dio 257. Le pratiche di devo-
zioni più comuni e ogni sforzo della volontà, dall’esame di co-
scienza alla partecipazione agli esercizi spirituali di sant’Ignazio,
venivano sistematicamente scoraggiate, perché considerate inutili
e superate. L’origine di questi errori, secondo l’autore, si trovava
nello spirito di indipendenza e di ricerca del piacere che vorrebbe
liberare l’uomo dal peso dei sacrifici imposti dal lavoro di santifi-
cazione: “eliminata la lotta spirituale, – infatti – la vita del cristiano ap-
pare loro come una serie ininterrotta di piaceri spirituali e di consolazio-
ni” 258. Plinio Corrêa de Oliveira ricordava a questo proposito le pa-
role di Pio XI nella Lettera Magna Equidem del 2 agosto 1924:

“Il desiderio sfrenato di piaceri, snervando le forze dell’anima e corrompen-


do i buoni costumi, distrugge a poco a poco la coscienza del dovere. Di fatto

254
Benedetto Aloisi Masella (1879-1970), ordinato nel 1902, arcivescovo titolare di
Cesarea (1927) e nunzio apostolico in Brasile (1927-1945). Creato cardinale nel
1946.
255
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Em defesa de Ação Catolica, Ave Maria, San Paolo 1943.
256
Cfr. R. DE MATTEI, Il crociato del secolo XX, cit., pp. 125-133.
257
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Em defesa de Ação Catolica, cit., p. 94.
258
Ivi, p. 97.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 85

sono sempre più numerosi coloro che oggi, attratti dai piaceri del mondo,
niente abominano più vivamente, né evitano con maggior attenzione, che le
sofferenze che si presentano o le afflizioni volontarie dell’anima o del corpo e
si comportano abitualmente, secondo la parola dell’Apostolo, come nemici
della Croce di Cristo. Ora nessuno può ottenere la beatitudine eterna se non
rinuncia a sé stesso, non si carica della sua croce e non segue Gesù Cristo”.

Al termine della lunga enumerazione di punti concernenti de-


viazioni nelle dottrine e nelle mentalità degli ambienti di Azione
Cattolica, Plinio Corrêa de Oliveira concludeva:

“Tutte queste si legano, prossimamente o remotamente, ai seguenti


princìpi: una negazione degli effetti del peccato originale; una conseguen-
te concezione della grazia come fattore esclusivo della vita spirituale; e
una tendenza a prescindere dalla autorità, nella speranza che l’ordine ri-
sulti da una combinazione libera, vitale e spontanea delle intelligenze e
delle volontà” 259.

Il libro costituiva la prima denuncia del progressismo che, nato


in Europa, utilizzava come “laboratorio” l’America Latina. La sua
pubblicazione contribuì a risvegliare la maggioranza sonnolenta, e
a metterla in guardia contro il progressismo incipiente. La sua ana-
lisi fu condivisa a Roma, tanto che, nel 1947, i due sacerdoti che
avevano sostenuto Plinio Corrêa de Oliveira, padre Geraldo de
Proença Sigaud 260 e don Antonio de Castro Mayer 261, dopo essere
stati “epurati” dalle gerarchie ecclesiastiche brasiliane, furono ina-

259
Ivi, p. 337.
260
Geraldo de Proença Sigaud (1909-1999), brasiliano, membro della Congregazione
del Verbo Divino, si laureò in teologia all’Università Gregoriana di Roma, dove fu
ordinato il 12 marzo 1932. Il 1° maggio 1947 fu consacrato vescovo di Jacarezinho nel
Paranà (1947-1961); fu quindi arcivescovo metropolitano di Diamantina (1961-1980),
svolgendo molteplici attività pastorali che lo resero conosciuto in tutto il Paese.
261
Antonio de Castro Mayer (1904-1991), brasiliano, laureato in teologia all’Univer-
sità Gregoriana di Roma, dove fu ordinato il 30 ottobre 1927. Assistente generale
dell’Azione Cattolica di San Paolo (1940), poi vicario generale dell’Arcidiocesi
(1942-1943). Il 23 maggio 1948 fu consacrato vescovo coadiutore di Campos con di-
ritto di successione. Governò come vescovo la diocesi di Campos fino al 1981. Par-
tecipò con mons. Marcel Lefebvre, alle consacrazioni episcopali di Ecône del 30 giu-
gno 1988, che lo fecero incorrere nella scomunica latae sententiae.
86 IL CONCILIO VATICANO II

spettatamente “promossi” dalle autorità romane: padre Sigaud fu


nominato vescovo di Jacarezinho e mons. de Castro Mayer vesco-
vo coadiutore con diritto di successione del vescovo di Campos,
cui succederà l’anno seguente. I due vescovi brasiliani avrebbero
svolto, in stretto collegamento con Plinio Corrêa de Oliveira, un
ruolo importante nella futura assise conciliare.

b) Padre Réginald Garrigou-Lagrange: dove va la nuova teologia?

Padre Réginald Garrigou-Lagrange 262, studioso di filosofia, di


teologia e di ascetica e mistica, era una delle menti teologiche più
acute del suo tempo. Nel 1909 era stato chiamato a Roma dal
Maestro Generale dei domenicani Giacinto Cormier 263, per inse-
gnare al Collegio Internazionale Angelicum, appena fondato, e
qui profuse tutte le sue energie fino a quando nel 1960, al termi-
ne della sua attività accademica, si ritirò nel convento domenica-
no di Santa Sabina. In tutta la sua opera, il padre Garrigou-La-
grange oppone la nozione realista della verità a quella del prag-
matismo e dell’evoluzionismo che caratterizzavano la “filosofia
dell’azione”. Nel 1946 apparve un suo importante articolo sul te-
ma La Nouvelle Théologie où va-t-elle? 264, in cui egli sottolineava il

262
Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964) domenicano francese, ordinato nel
1902, dal 1909 al 1960 professore di teologia all’Angelicum. Cfr. la vastissima bi-
bliografia in “Angelicum”, n. 42 (1965), pp. 200-272. Su di lui: LOUIS JUGNET, Le
Révérend Père Garrigou-Lagrange métaphysicien, in “La Pensée catholique”, n. 91
(1964), pp. 40-45; M. R. GAGNEBET o.p., L’œuvre du P. Garrigou-Lagrange: Itinéraire in-
tellectuel et spirituel vers Dieu, in “La Pensée catholique”, n. 98 (1965), pp. 33-52; IN-
NOCENZO COLOSIO o.p., Il P. Maestro Réginald Garrigou-Lagrande. Ricordi personali di
un discepolo, in “Rivista di Ascetica e Mistica”, n. 9 (1964), pp. 226-240; BENOÎT LA-
VAUD, Le Père Garrigou-Lagrange: in Memoriam, in “Revue Thomiste”, n. 64 (1964),
pp. 181-192.
263
Giacinto Enrico Maria Cormier (1832-1916), domenicano, ordinato nel 1856, pro-
vinciale dell’Ordine per la Francia (1865-1878), dal 1891 al 1896 fu Assistente del
Maestro Generale per la lingua francese e poi Procuratore generale sotto il Maestro
dell’Ordine Frühwirth (1896-1904). Nel Capitolo generale del 1904 gli successe co-
me Maestro Generale. Fu beatificato da Giovanni Paolo II nel 1994.
264
R. GARRIGOU-LAGRANGE o.p., La nouvelle théologie où va-t-elle?, in “Angelicum”, n.
23 (1946), pp. 126-145, tr. it. in “Sì sì no no”, n. 6 (1994), pp. 4-7.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 87

pericolo della nuova definizione della Verità intesa non più come
“conformità dell’intelletto alla realtà”, ma come “conformità della
mente alla vita”.

“È assai pericoloso dire: ‘i concetti cambiano, le affermazioni permango-


no’. Se il concetto stesso di Verità cambia, le affermazioni non restano più
vere alla stessa maniera né secondo lo stesso significato. Allora il senso dei
Concili non è più conservato, come si vorrebbe.
Disgraziatamente la nuova definizione di verità si diffonde tra quelli che
dimenticano ciò che ha detto san Pio X: ‘Ammoniamo quelli che insegna-
no di ben persuadersi che il discostarsi dall’Aquinate specialmente in co-
se metafisiche non è senza grave danno. Un piccolo errore nei principi –
per dirla con lo stesso Aquinate – è grande nelle conseguenze’ (Enc. Pa-
scendi). A più forte ragione se si disprezza ogni metafisica, ogni ontolo-
gia e si tende a sostituire alla filosofia dell’essere quella del fenomeno o
quella del divenire o quella dell’azione.
Non è forse la nuova definizione di verità che si ritrova sotto la nuova de-
finizione della teologia: ‘La teologia non è altro che una spiritualità o espe-
rienza religiosa che ha trovato la sua espressione intellettuale’? E allora
che pensare di affermazioni come queste: ‘Se la teologia ci può aiutare a
comprendere la spiritualità, la spiritualità a sua volta, in molti casi, farà
scoppiare i nostri schemi teologici e ci obbligherà a concepire tipi diversi
di teologia (…) Ad ogni grande teologia’? Vuol dire che due teologie pos-
sono essere vere, anche se si oppongono, contraddicendosi, sulle loro tesi
fondamentali? Si risponderà di no, se si mantiene la definizione tradizio-
nale della verità. Si dirà di sì, se si adotta la nuova definizione della ve-
rità, concepita non in rapporto alla realtà e alle sue leggi immutabili, ma
in rapporto alle differenti esperienze religiose. E ciò ci avvicina in modo
singolare al modernismo.
Dove va la nuova teologia? Ritorna al modernismo. Poiché essa ha accet-
tato la proposta che le è stata fatta: quella di sostituire alla definizione tra-
dizionale della verità, adaequatio rei et intellectus, come se fosse chi-
merica, la definizione soggettiva: ‘adaequatio realis mentis et vitae’.
(…) La verità non è più la conformità del giudizio con la realtà extra-
mentale (oggettiva) e le sue leggi immutabili, ma la conformità del giudi-
zio con le esigenze dell’azione e della vita umana, che si evolve continua-
mente. Alla filosofia dell’essere o ontologia si sostituisce la filosofia dell’a-
88 IL CONCILIO VATICANO II

zione, che definisce la Verità in funzione non più dell’essere, ma dell’a-


zione. Si ritorna così alla posizione modernista: ‘La verità non è immuta-
bile più dell’uomo, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui
(DENZ. 2058)’. Perciò san Pio X diceva dei modernisti: ‘Pervertono l’e-
terna nozione di verità’ (DENZ. 2080)”.

c) Mons. Joseph Clifford Fenton: una voce “romana” negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, agli inizi degli anni Quaranta, la voce più fe-
dele al Magistero Romano era quella di Joseph Clifford Fenton 265,
un giovane teologo che dal 1944 assunse la direzione di “The Ame-
rican Ecclesiastical Review”, la rivista della Catholic University of
America, a Washington.
Nel 1943 l’enciclica Mystici Corporis 266 di Pio XII volle mettere
fine alla “Babele ecclesiologica” 267 sul concetto di “Corpo Misti-
co”, una nozione che risaliva al Concilio Vaticano I, ma di cui la
“nouvelle théologie” si serviva come grimaldello per introdurre
una nuova visione “pneumatica” della Chiesa. Fenton, che era un
eccellente ecclesiologo, dedicò numerosi studi alla necessità del-
la Chiesa cattolica per raggiungere la salvezza 268 e al problema
dei rapporti tra Chiesa e Stato, molto sentito negli Stati Uniti. Su
questi temi, egli si scontrò con il padre John Courtney Murray 269,

265
Joseph Clifford Fenton (1906-1969), ordinato nel 1930, fu professore di teologia
presso la Catholic University of America e direttore dell’“American Ecclesiastical
Review” (1944-1966). La Santa Sede manifestò un alto apprezzamento nei suoi con-
fronti, nominandolo cerimoniere (1951), prelato d’onore (1954) e protonotario apo-
stolico (1963). Fece parte della Pontificia Accademia Romana di Teologia e fu consu-
lente della Congregazione dei Seminari e delle Università. A lui si deve, tra l’altro,
un eccellente studio sulla ecclesiologia: Scholastic Definition of the Catholic Church, in
“The American Catholic Review”, n. 111 (1944), pp. 59-69, pp. 131-145, pp. 212-228.
266
PIO XII, Enciclica Mystici Corporis del 29 giugno 1943, in AAS, 35 (1943), pp. 200-
248.
267
Cfr. B. GHERARDINI, L’enciclica Mystici Corporis (29 giugno 1943), in L’eredità del
Magistero di Pio XII, a cura di P. CHENAUX, Lateran University Press-GBP, Roma
1910, p. 204 (pp. 203-217).
268
Cfr. J. C. FENTON, Extra Ecclesiam nulla salus, in “The American Ecclesiastical Re-
viw”, n. 110 (1944), pp. 300-306; ID., The Meaning of the Church’s Necessity for Salva-
tion, ivi, n. 124 (1951), pp. 124-143, 203-221, 290-302.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 89

un gesuita di New York di orientamento progressista, che dirige-


va la rivista “Theological Studies”. Seguace di Maritain, Murray
metteva in dubbio il tradizionale principio extra Ecclesiam nulla
salus 270 e si richiamava al “First Amendment” della costituzione
americana per rivendicare la libertà religiosa nei rapporti tra
Chiesa e Stato 271.
Il gesuita newyorkese si legò poi a mons. Montini, che conob-
be negli anni Cinquanta, mentre Fenton fu grandemente apprez-
zato dal card. Ottaviani, che nel 1960 lo volle a Roma come esper-
to della Commissione Teologica preparatoria del Vaticano II. I due
teologi erano pressoché coetanei (Murray era nato nel 1904, Fen-
ton nel 1906) e morirono, relativamente giovani, pressoché con-
temporaneamente (il primo nel 1967, il secondo nel 1969). Essi
rappresentavano le due anime contrapposte del Cattolicesimo
americano 272.
Uno dei temi di fondo che ricorrono negli articoli di Fenton sul-
la “American Ecclesiastical Review” di quegli anni è la critica di
quanti cercavano di strumentalizzare l’enciclica Mystici Corporis di
Pio XII, per svilupparne la dimensione “carismatica”. Egli scriveva

269
John Courtney Murray (1904-1967), gesuita americano ordinato nel 1933. Do-
po aver studiato a Roma, insegnò dal 1937 alla morte al Woodstock College e di-
resse la rivista “Theological Studies” (1942-1967). Nel 1955 aveva dovuto smet-
tere di scrivere sulla libertà religiosa per ordine di Roma. Esperto personale del
card. Spellman, fu nominato peritus del Concilio nella seconda sessione. Cfr. la
voce Murray di W. J. BURGHARD, con bibl. in DHCJ, pp. 2774-2775, e DONALD E.
PELOTTE, John Courtney Murray: Theologian in conflict, Paulist, New York 1975, con
bibliografia su Fenton e Murray; DOMINIQUE GONNET, L’apport de John Courtney
Murray au schéma sur la liberté religieuse, in Les Commissions conciliaires, pp. 205-
215.
270
Cfr. l’esposizione che di questo principio fece, nel 1922, il padre EDOUARD HUGON
o.p. (1867-1929), Fuori della Chiesa non c’è salvezza, tr. it. Amicizia Cristiana, Chieti
2007. Per una discussione “aggiornata” sullo stesso principio si veda GIACOMO CA-
NOBBIO, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teo-
logico, Queriniana, Brescia 2009.
271
Cfr. ad esempio Contemporary Orientations of Catholic Thought on Church and State
in the Light of History, in “Theological Studies”, n. 10 (1949), pp. 177-234.
272
Sull’antitesi tra le posizioni di mons. Fenton e di padre Murray, cfr. MICHAEL DA-
VIES, The Second Vatican Council and Religious Liberty, The Neumann Press, Long
Prairie (Minnesota) 1992. Il libro è dedicato alla memoria di mons. Fenton. Cfr. an-
che GERALD FOGARTY, L’avvio dell’assemblea, in SCV, vol. II, pp. 111-113 (pp. 87-128).
90 IL CONCILIO VATICANO II

“Il funesto errore rimproverato dal Sommo Pontefice esiste nella lettera-
tura teologica cattolica sotto forma di insegnamento sul corpo e sull’anima
della Chiesa. Alcuni autori hanno descritto l’anima della Chiesa cattolica
come una società invisibile, spirituale e hanno poi designato la Chiesa esi-
stente e visibile come il corpo, la controparte di quell’anima. La Chiesa in-
visibile o spirituale è presentata come una società di donne e uomini buo-
ni nello stato di grazia, legati dal vincolo della fede e della carità. Secondo
coloro che hanno operato la distinzione rifiutata nella Mystici Corporis,
quest’anima della Chiesa è una società che esiste anche al di fuori dei mem-
bri della Chiesa visibile. È diversa dalla Chiesa di cui il Romano Pontefice
è il capo visibile e tuttavia è in qualche modo collegata ad essa.
(…) La distinzione condannata dal Santo Padre è utilizzata comunemen-
te per spiegare il legame tra i non cattolici che sono salvi e la Chiesa cat-
tolica. Un simile legame deve esistere, poiché la Chiesa è necessaria al rag-
giungimento della visione beatifica. Per ovviare a ciò che a loro sembra
una difficoltà, alcuni scrittori hanno postulato l’esistenza di un organi-
smo sociale di uomini e donne che posseggono la carità. Questa Chiesa in-
visibile o anima della Chiesa è stata descritta come più ampia in estensio-
ne rispetto alla società visibile, diversa da essa, tuttavia per certi versi ap-
partenente a quest’ultima. Il corpo e l’anima sono stati rappresentati co-
me parti di quella Chiesa universale alla quale ogni persona deve appar-
tenere per essere salvata.
La Mystici Corporis ha stigmatizzato, una volta per tutte, una simile
ipotesi come erronea. Non esiste una Chiesa di Dio in questo mondo per
nulla diversa dall’unica società visibile che Gesù Cristo ha istituito du-
rante i giorni del suo soggiorno terrestre e che Egli ha posto sotto la su-
prema e visibile direzione di san Pietro e dei suoi successori. Inoltre non
esiste una società in questo mondo composta solo ed esclusivamente da
persone nello stato di grazia. I giusti sulla terra non sono organizzati in
qualche società, costituita esclusivamente dal loro stesso numero 273.

Contro i nuovi ecclesiologi “ecumenisti”, Fenton riproponeva


la classica e insuperabile definizione della Chiesa di san Roberto
Bellarmino nel De ecclesia militante:

J. C. FENTON, The use of terms Body and Soul with Reference to the Catholic Church, in
273

“The American Ecclesiastical Review”, vol. 110 (1944), pp. 48-49 (pp. 48-57).
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 91

“Il nostro insegnamento è che vi è una sola Chiesa e non due e che que-
sta unica e vera Chiesa è un’assemblea di uomini riuniti dalla professio-
ne dell’unica fede cristiana, in comunione con i medesimi sacramenti,
sotto la guida dei legittimi pastori e in particolare del Romano Pontefice,
unico vicario di Cristo sulla terra. (…) La nostra dottrina differisce da
tutte le altre, perché le altre richiedono le virtù interiori per rendere qual-
cuno membro della Chiesa, e perciò fanno invisibile la vera Chiesa. Noi
invece, benché crediamo che nella Chiesa si trovino tutte le virtù, fede,
speranza, carità e le altre, tuttavia, per poter dire che qualcuno sia parte
della vera Chiesa di cui si parla nelle Scritture, non pensiamo sia neces-
saria alcuna virtù interiore, ma solo la professione esteriore della fede e
la comunione dei sacramenti, percepita nel medesimo senso. Perché la
Chiesa è una società altrettanto visibile e palpabile che l’assemblea del
popolo romano o del Regno di Francia o della Repubblica di Venezia” 274.

Mons. Fenton si rendeva conto che all’interno della Chiesa si


andava delineando uno scontro decisivo tra gli eredi del moderni-
smo e dell’“integralismo” dell’epoca di san Pio X. Nel 1949, com-
mentando la pastorale del cardinal Suhard, mons. Fenton spiega-
va la natura delle due correnti che, dieci anni dopo, si sarebbero
contrapposte nel Concilio.

“Chi legge incautamente la pastorale del cardinale Suhard potrebbe forse


giungere alla conclusione pericolosamente falsa che il modernismo e l’in-
tegralismo, per come li conosciamo, sono due dottrine opposte, l’una alla
sinistra e l’altra alla destra del genuino insegnamento cattolico. Niente,
naturalmente, potrebbe essere più lontano dalla verità. Il modernismo, nel
linguaggio tecnico della dottrina cattolica, è il nome utilizzato per defini-
re la serie di errori condannati nel decreto Lamentabili sane exitu, nel-
l’enciclica Pascendi dominici gregis, e nel motu proprio Sacrorum an-
tistitum. Il Papa Pio X ha parlato di modernismo come di ‘un conglo-
merato di tutte le eresie’” 275.

274
ROBERTO BELLARMINO, De Ecclesia militante, c. 2, in Controversie, l. 3, Giuliano, Na-
poli 1857, t. 2, p. 75.
275
Pascendi, cit., n. 39. Cfr. Codicis iuris canonici fontes, Typis Polyglottis Vaticanis,
Città del Vaticano 1933, vol. III, p. 713.
92 IL CONCILIO VATICANO II

L’integralismo, d’altra parte, è essenzialmente l’insegnamento o l’atteggia-


mento di quanti hanno lavorato per la presentazione di un cattolicesimo in-
tegrale, ossia del dogma cattolico stabilito così accuratamente e nella sua in-
terezza. Più frequentemente il nome di integralismo è stato utilizzato per la
dottrina e il punto di vista di quegli scrittori cattolici entrati in polemica
contro i modernisti durante la prima decade del secolo attuale. Inteso in que-
sto modo, l’integralismo non fu altro che la contraddizione del modernismo
eretico. Sostanzialmente fu solo l’esposizione della verità cattolica” 276.

A differenza del modernismo, e al di là di possibili esagerazio-


ni, l’integralismo, sottolineava Fenton, non è un’eresia.

“Non dobbiamo dimenticare che il modernismo, come tale, è una chiara ere-
sia o raccolta di insegnamenti eretici, mentre l’integralismo, come tale, non
è niente del genere. Il vero insegnamento cattolico non si troverà in nessu-
na via di mezzo tra gli insegnamenti come quelli di Tyrrell e Loisy e le dot-
trine degli autori cattolici che vi si oppongono. Contrariamente al dicta
condannato nella Lamentabili, Pascendi e Sacrorum antistum, i grandi
autori cattolici della scorsa generazione erano perfettamente giustificati. Se,
com’è solito nel nostro Paese, la parola integralismo è applicata allo specifi-
co insegnamento antimodernista, allora l’integralismo non è altro che l’e-
spressione della verità cattolica, che comporta la negazione di errori che so-
no incompatibili con il messaggio divino della Chiesa cattolica” 277.

Fenton e Murray si sarebbero ritrovati a combattere un’ultima


battaglia poco prima della loro morte, nelle aule conciliari.

d) Padre José Antonio de Aldama: il modernismo non è scomparso

Il gesuita spagnolo José Antonio de Aldama 278 fu uno dei più in-
signi mariologi del XX secolo. Apparteneva a una famiglia profon-

276
Two currents in contemporary catholic thought, in “The American Ecclesiastical Re-
view”, vol. 119 (1948), p. 297.
277
Ivi, p. 298.
278
Del padre José Antonio de Aldama (1903-1980), gesuita spagnolo, ordinato nel
1929, professore poi rettore dell’Università di Granada, cfr. Virgo Mater: estudios de
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 93

damente cristiana, in cui tutti i suoi fratelli si consacrarono a Dio:


Antonio María e Borja si fecero gesuiti, mentre le sue due sorelle
divennero Figlie del Sacro Cuore. I suoi genitori, conti de Aldama
e marchesi de Ayala, decisero di seguire la stessa strada: il padre fu
ordinato sacerdote a Granada il 24 dicembre 1929 e il giorno suc-
cessivo impose l’abito di salesiana alla moglie a Siviglia; il 5 gen-
naio 1930, entrò nella Compagnia di Gesù a Loyola, dove morì un
mese dopo, assistito spiritualmente dal figlio, davanti al quale
emise i voti “in articulo mortis”.
Padre de Aldama fu professore di teologia dogmatica presso
l’Università Gregoriana, la Pontificia Università di Salamanca e la
Facoltà di teologia di Granada, di cui divenne rettore. In un pene-
trante articolo apparso sulla rivista teologica “Salmaticensis” nel
1956, egli stabiliva un parallelo tra l’atteggiamento di Pio X nei con-
fronti del modernismo e quello di Pio XII verso la “nuova teologia”.

“Tra Pio X e Pio XII esiste un’affinità teologica, una somiglianza di com-
portamento dottrinale, una identità di situazioni storiche, che fanno sì che
questi due nomi e queste due acutissime figure rimangano per sempre nel-
lo sviluppo vitale della teologia cattolica 279. Le due egregie figure, che al-
l’inizio e a metà del XX secolo hanno immortalato con il loro magistero
dogmatico la cattedra di San Pietro, sono storicamente unite nella valo-
rosa difesa del tesoro della fede e del deposito della rivelazione, completa-
mente minacciato non in una verità o in un dogma, ma nel suo insieme,
nella sua interpretazione ideologica, nei suoi fondamenti razionali. Con-
tro ciò che Pio X chiamò ‘collezione di tutte le eresie’ si alzò vibrante la
sua voce; contro le nuove opinioni, ‘che minacciavano di distruggere i
fondamenti della dottrina cattolica’, si è levata, non meno vibrante, la vo-
ce di Pio XII. In entrambi i casi non si trattava di un errore in particola-

teología patrística, Facultad de Teología de Granada, Granada 1963; De questione ma-


riali in hodierna vita Ecclesiae, Pontificia Academia Mariana Internationalis, Roma
1964. Su di lui, cfr. CÁNDIDO POZO s.j., El p. José Antonio de Aldama, s.j. como teólogo,
Facultad de Teología de Granada, Granada 1980; ID., In memoriam, in “Scripta de
Maria”, n. 3 (1980), pp. 11-30; FRANCISCO DE P. SOLA, En la paz de Cristo. P. J. De Al-
mada, Mariologo eminente, in “Ephemerides Mariologicae”, n. 30 (1980), pp. 253-258.
279
Cfr. J. A. DE ALDAMA s.j., Pio XII y la teología nueva, in “Salmanticensis”, n. 3 (1956),
p. 303 (pp. 303-320).
94 IL CONCILIO VATICANO II

re, non si attentava a un dogma concreto. I pericoli erano decisamente


maggiori, in quanto si riferivano al deposito stesso della rivelazione e al-
la sua esposizione umana nel dogma e nella teologia.
Naturalmente l’allusione è al Modernismo e alla Teologia Nuova; all’en-
ciclica ‘Pascendi’, compresi i documenti annessi, e all’enciclica ‘Humani
Generis’, con i vari comportamenti pontifici che la prepararono”. 280
“Pio XII – continuava il padre de Aldama – ci ha descritto lo sconcer-
to dottrinale dei pensatori lontani dalla Chiesa, facendoci conoscere i loro
principali orientamenti ideologici: un evoluzionismo che ‘pretendono di
estendere all’origine di tutte le cose, sostenendo con audacia l’ipotesi mo-
nistica e panteistica di un mondo soggetto a un’evoluzione perpetua’; un
esistenzialismo che ‘rifiuta le essenze immutabili delle cose’, ‘si preoccu-
pa solo dell’esistenza di ognuna di esse’, e ‘o è ateo o impugna almeno il
valore del raziocinio metafisico’; uno storicismo che ‘si attiene solo agli
avvenimenti della vita umana, e distrugge ogni verità e legge assoluta’.
Tra l’agitazione di questi errori, Pio XII, Maestro Supremo e augusto cu-
stode del deposito rivelato, ha denunciato nei fautori della Teologia Nuo-
va lo sforzo imprudente di assimilarli e di adattare a loro il nostro pensie-
ro teologico. Anch’egli si è speso per condannare questo tentativo di ‘for-
mulare il dogma con le categorie della filosofia moderna, che si chiami im-
manentismo, idealismo, esistenzialismo, o in qualsiasi altro modo’. Anche
lui ha smascherato l’assurdità del credere, con un’idea evoluzionista e sto-
ricista del dogma, che ‘i misteri della fede non possono mai essere espres-
si con concetti pienamente veri, ma solo con concetti approssimativi, in
continuo cambiamento, per cui la verità è sì indicata, in una certa ma-
niera, ma si deforma necessariamente’” 281.

A questo punto il teologo di Granada criticava le previsioni di


un suo illustre confratello, il padre Léonce de Grandmaison 282, che
nel 1923 aveva escluso che nella Chiesa avrebbe potuto ripetersi
una nuova crisi modernista. Il giudizio di Grandmaison, secondo
il padre de Aldama, era fondato su ragioni che “se si ripensano oggi

280
Ivi, p. 304.
281
Ivi, p. 311.
282
Léonce de Grandmaison (1868-1927), gesuita francese, professore di teologia, poi
direttore di “Etudes” e fondatore di “Recherches de science religieuse”. Su di lui,
cfr. JULES LEBRETON, Le Père Léonce de Grandmaison, Beauchesne, Parigi 1932.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 95

alla presenza storica della Nuova Teologia, ci sembrano portare esatta-


mente alla conclusione opposta”.

“Secondo il padre Grandmaison il fatto che oggi si conoscano meglio gli


errori modernisti, evita di ripeterli. Il Modernismo non nacque da una ri-
bellione, ma sulla base dei fatti, dall’impatto con le difficoltà che le scien-
ze, la storia e l’esegesi presentavano alla fede e alla teologia. I teologi, sen-
za difese da una teologia superficiale, pieni dell’inquietudine che regnava,
respirando i desideri di indipendenza e sfiducia verso la Chiesa in un am-
biente saturo di evoluzionismo, non seppero controllarsi e soccombettero
alla tentazione modernista. La descrizione è esatta. Ma sarebbe una for-
zatura applicarla ai creatori della Teologia Nuova?
Un altro elemento decisivo per allontanare la probabilità di un nuovo Mo-
dernismo era, secondo il padre Grandmaison, il progresso che recente-
mente aveva raggiunto la cultura religiosa, collocandosi al livello della
cultura generale. Egli considerava coloro che avevano cominciato seria-
mente e che erano stati realmente affascinati dalla dottrina scolastica, im-
muni dal gusto eccessivo e globale del moderno che provoca il Moderni-
smo. Esatto, ancora una volta. Ma è proprio questo che è mancato e lo ab-
biamo visto. Nonostante le raccomandazioni di Pio X e di Pio XI a favo-
re della Scolastica, egli non aveva dedicato i suoi studi e le sue attenzioni
agli ambienti teologici, né ai malesseri del Modernismo, nonostante gli in-
genti sforzi di Leone XIII. E se la nostra cultura religiosa è riuscita a pro-
gredire fino a raggiungere il livello della cultura generale, non è però riu-
scita a diventare una cultura religiosa di solidi fondamenti, proprio per
aver omesso lo studio serio della filosofia scolastica.
Cosa si potrebbe dire dell’ultima considerazione che convinceva il padre
Grandmaison a negare la probabilità di una nuova crisi modernista? È
vero che, poiché i cattolici hanno lavorato tanto sullo studio scientifico
delle fonti e della teologia positiva, i giovani desiderosi di scienza non
hanno avuto più bisogno di attingere alle fonti inquinate degli scrittori
eterodossi, come fecero nell’epoca del Modernismo? Non stiamo piuttosto
assistendo a un travaso di idee, preoccupazioni e metodi, in cui i contor-
ni tra gli scrittori eterodossi e gli ortodossi rimangono talmente sfumati
che a stento possono essere apprezzati?
Di fronte ai fatti, risultano poi inconsistenti le considerazioni che con
buona volontà e con eccessivo ottimismo esprimeva 30 anni fa il padre
96 IL CONCILIO VATICANO II

Grandmaison. La storia non sembra avergli dato ragione. E la storia si


impone” 283.

e) Padre Antonio Messineo: il rapporto tra modernismo e progressismo

Nello stesso anno in cui il padre de Aldama svolgeva queste lu-


cide riflessioni, un suo confratello, il padre Antonio Messineo 284, in
tre articoli, pubblicati dalla “Civiltà Cattolica”, riuniva, con altret-
tanto acume, sotto la categoria del “progressismo”, lo stato d’ani-
mo e le tendenze dottrinali dei nuovi teologi stabilendone il rap-
porto con il modernismo 285. Padre Messineo era un gesuita sicilia-
no, dall’intelligenza vivacissima e dalla spiritualità solida, che fa-
ceva parte del ristretto gruppo di redattori ad vitam della “Civiltà
Cattolica”, la rivista considerata portavoce ufficioso della Santa Se-
de. Le righe che seguono avevano certamente l’approvazione di
Pio XII.

“Il progressismo moderno se non è nella sua sostanza un modernismo ri-


verniciato, si può molto bene paragonare a quella corrente, della quale ad
alcuni, forse non del tutto a torto, sembra una propaggine. Il modernismo
pretese rinnovare il domma, vuotandolo di contenuto trascendente, dopo
averlo sommerso nell’onda mobile del relativismo storicista; fece appello
al soggettivismo e col metro dei sentimenti volle stabilire la verità e tro-
vare il collegamento con la divinità; fu insieme razionalista e scettico sui
poteri della ragione e soprattutto antiautoritario, e su questi binari proce-

283
J. A. DE ALDAMA s.j., Pio XII y la teología nueva, cit., p. 316.
284
Antonio Messineo (1897-1978) della Compagnia di Gesù, ordinato nel 1930, fu
dal 1931 alla morte uno dei più qualificati scrittori della “Civiltà Cattolica” nel
campo delle scienze sociali e morali e del diritto internazionale. Rappresentò la
Santa Sede nella Conferenza Internazionale di Vienna (1968-1969). Tra le sue ope-
re, si veda La nazione (La Civiltà Cattolica, Roma 1942) e Il diritto internazionale nel-
la dottrina cattolica (La Civiltà Cattolica, Roma 1942). Su di lui, si veda DOMENICO
MONDRONE s.j., Ricordo del padre Antonio Messineo, in “Civiltà Cattolica”, q. 4071
(1978), pp. 468-473.
285
Cfr. “Civiltà Cattolica”: Il progressismo contemporaneo, q. 2537 (1950), pp. 494-506;
Lo storicismo progressista, q. 2541 (1956), pp. 225-238; Il provvidenzialismo progressista,
q. 2543 (1956), pp. 462-474. La serie era completata dalla stringente sintesi: L’uma-
nesimo e gli umanesimi, q. 2545 (1956), pp. 17-29.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 97

dette a una revisione radicale, distruggendo tutto un passato di gloriosa e


feconda speculazione dottrinale, per adeguarsi al cosi detto pensiero mo-
derno e alle pretese esigenze del progresso intellettuale contemporaneo. Il
progressismo, in verità, porta in se stesso impressi alcuni dei connotati
descritti. È storicista (…) crede all’evoluzione incessante della verità e
delle forme istituzionali, in cui s’inquadra la vita della Chiesa e la vita so-
ciale civile; è razionalista, umanitario e naturalista, e pretende, così come
il modernismo, rivedere dalle fondamenta gli atteggiamenti teorici e gli
insegnamenti pratici, che sono patrimonio consolidato di una lunga serie
di anni e di esperienze feconde nel pensiero e nella prassi. Nei suoi enun-
ziati mantiene un piglio di superiore autosufficienza, come interprete
qualificato e indipendente delle esigenze della vita intellettuale e sociale
del tempo presente, che soltanto i suoi fautori comprenderebbero a pieno,
mentre gerarchia e maestri, ancora fermi alle posizioni tradizionali, sa-
rebbero fuori fase e, se non ottusi, almeno sviati da un conservatorismo re-
trivo e mortificante.
Il progressista sa, conosce, giudica con un criterio suo proprio, che poi
non è altro se non il criterio ondeggiante di una verità relativa, diversa
nei vari periodi della storia, e, per il tempo presente, il pensiero così detto
moderno, la società moderna, le tendenze spirituali moderne, in una pa-
rola il così detto progresso moderno. Donde poi deriva il suo nome, che
esprime e la tendenza ad un adeguamento con esso e la spinta a procede-
re innanzi, nella riforma dei principi e della prassi, secondo le direttive dal
medesimo tracciate” 286.

Padre Messineo descriveva inoltre lucidamente lo slittamento


verso il marxismo del progressismo cattolico.

“Non ultima tra le note che contrassegnano il progressismo moderno è la


sua spiccata simpatia verso il comunismo e il marxismo in genere. A que-
sto lo conduce non solo l’irenismo, di cui sopra si è fatto cenno, e il con-
seguente desiderio di aprire il colloquio con tutte le correnti moderne, ma
anche una valutazione almeno parzialmente positiva dell’ideologia marxi-
sta. L’occhio del progressista è volto invariabilmente a sinistra, perché
nelle istanze delle correnti che si allineano da questo lato, a causa di una

286
A. MESSINEO, Il progressismo contemporaneo, cit., pp. 498-499.
98 IL CONCILIO VATICANO II

deformazione visiva avveratasi nel suo spirito, egli crede di scorgere dei
contatti e somiglianze con le istanze del proprio credo religioso e delle sue
convinzioni morali e sociali.
Riguardo al comunismo il progressista deplora il sostrato materialista
dell’ideologia su cui si appoggia e il suo conseguente ateismo, ma, fatta
questa riserva indispensabile per salvare la fede cristiana, ne accoglie i
postulati e li fa propri, non escludendo un’eventuale collaborazione per
la loro attuazione. II comunismo, afferma, è ormai una forza, un movi-
mento della storia, una molla propulsiva nella moderna società occorre,
quindi, valutario per quello che è e riconciliare con esso il pensiero cri-
stiano. La divisione manicaica, come viene chiamata, tra un mondo che è
tutto male e un mondo dove unicamente si trova il bene, dev’essere su-
perata con una reciproca comprensione, per non mettersi fuori del ciclo
della storia e appianare i contrasti con la pacificazione. L’incontro è pos-
sibile, aggiunge, intorno a quel nucleo di valori cristiani di cui sarebbe
portatore anche il comunismo, sebbene siano deformati dalle sue sovra-
strutture ideologiche.
Perciò il progressista è l’uomo della distensione, è un fautore convinto del-
la mano tesa, un promotore del colloquio con le correnti marxiste, quando
addirittura non ne è un seguace e un sostenitore, senza tuttavia aderirvi co-
me gregario, per qualche residuo di incrinatura tra la sua visione del mon-
do e quella propagata dal comunismo. Non di rado non osa spingersi fino a
questi limiti, ma, mentre rigetta il comunismo in quanto tale, dinanzi al
quale trova eretta la barriera dell’insegnamento esplicito della Chiesa, non
disdegna di pensare, come a gradite alleate, alle altre correnti marxiste, con
le quali andrebbe volentieri insieme sul piano politico e sociale.
Lo strano si è che, mentre il progressismo postula il superamento della di-
stinzione manicaica tra comunismo, marxismo e cristianesimo, con
un’intesa e una coesistenza appoggiata sulla distensione, questa medesi-
ma opposizione inconciliabile introduce tra il cristianesimo e le correnti
che esso bolla col denominativo sprezzante di destra reazionaria. II prin-
cipio del male per lui si è condensato nella destra, baratro oscuro di forze
reazionarie in agguato, entro il quale egli getta, con sentenza inappellabi-
le, quanti sono contrari alle idee e alle tendenze progressiste” 287.

287
Ivi, pp. 503-505.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 99

9. Tra false riforme e vera Rivoluzione

Le pagine che abbiamo citato, a cui altre potrebbero aggiunger-


si, dimostrano come, di fronte al risorgere del modernismo, non
mancassero alcune voci di preoccupato allarme. La maggioranza
dei Pastori della Chiesa, pur fedele all’ortodossia, inclinava però al-
l’ottimismo. Negli anni Cinquanta, la Chiesa cattolica si trovava di
fronte a un bivio storico: la Seconda Guerra Mondiale era stata l’e-
sito tragico di un processo di allontanamento della società umana
dall’ordine religioso e morale che Pio XII aveva denunciato nelle
sue encicliche e nei suoi radiomessaggi. La grande alternativa che il
mondo aveva di fronte era quella di un ritorno delle società a Cri-
sto o di una decristianizzazione, che avrebbe avuto come risultato
una catastrofe peggiore della Seconda Guerra Mondiale, perché
avrebbe colpito non i corpi, ma le anime degli uomini. Infatti, ave-
va ammonito Pio XII, “all’inizio del cammino, che conduce all’indigen-
za spirituale e morale dei tempi presenti, stanno i nefasti sforzi di non po-
chi per detronizzare Cristo, il distacco dalla legge della Verità, che Egli an-
nunziò, dalla legge dell’amore, che è il soffio vitale del Suo regno. Il rico-
noscimento dei diritti regali di Cristo e il ritorno dei singoli e della società
alla legge della Sua verità e del Suo amore sono la sola via di salvezza” 288.
Nella Chiesa non mancava la solidità della dottrina: il Magiste-
ro di Pio XII costituiva un corpus enciclopedico che abbracciava
tutti i campi della fede e della morale, entrando con competenza
nelle questioni scientifiche, tecniche e professionali 289. Papa Pacelli
aveva dato impulso alla redazione di una Enciclopedia Cattolica che
racchiudeva i contributi dei migliori specialisti offrendo una sum-
ma di dottrina e di informazione che si affiancava al grande Dic-
tionnaire de Théologie Catholique 290. A questa dottrina, diffusa nel

288
PIO XII, Enciclica Summi Pontificatus, in DRM, vol. III, p. 441, pp. 435-467.
289
Le Lettere encicliche firmate da Pio XII sono 43, trattanti i più svariati argomenti;
altrettanto importanti i Radiomessaggi. Cfr. EE, VI (2002). Per una visione sintetica
del corpus pacelliano, si veda J. CHELINI, L’Eglise sous Pie XII, cit., vol. II, pp. 158-224;
VITALIANO MATTIOLI, L’eredità di Pio XII, Fede e Cultura, Verona 2008; L’eredità del
Magistero di Pio XII, a cura di P. CHENAUX, cit.
290
Il Dictionnaire de Théologie Catholique fu iniziato agli inizi del secolo sotto la dire-
zione di Jean-Michel Alfred Vacant (1852-1901) e continuato sotto quella di Eugène
Mangenot (1856-1922) con il concorso di un grande numero di autorevoli collabo-
100 IL CONCILIO VATICANO II

mondo, dalla Cattedra di Pietro, le splendide cerimonie davano un


brillio mai conosciuto nella storia. Quando le navate di San Pietro
risuonavano dei canti della liturgia secondo il Rito Romano antico
e il Papa benedicente avanzava nella Basilica tra i flabelli, sulla se-
dia gestatoria, scortato dalle guardie nobili nelle loro rosse unifor-
mi, l’immaginazione era colpita davanti allo spettacolo della bel-
lezza della verità.
Molti errori, come abbiamo visto, serpeggiavano tuttavia all’in-
terno della Chiesa. Il modernismo, sotto il pontificato di Pio X, si era
inabissato, ma continuava a scorrere come un fiume carsico all’in-
terno del corpo ecclesiale. I movimenti di “riforma” biblica, liturgi-
ca, filosofica ed ecumenica, sviluppatisi a partire dagli anni Venti,
formavano una rete sotterranea che fermentava nel sottosuolo.
Negli anni del secondo dopoguerra del Novecento, e dopo la
tragedia della Seconda Guerra Mondiale, uno spirito di materiali-
smo edonista si diffondeva e penetrava nella Chiesa stessa. Dopo
tante sofferenze, in alcuni uomini di Chiesa si faceva strada un’il-
lusione: quella che fosse giunto il momento di abbandonare la
Croce, per troppo tempo portata, e di trovare sollievo nelle paro-
le di pace e di benessere pronunciate dal mondo. L’illusione di po-
ter realizzare una società terrena, ispirata ai valori del mondo, fu
la principale tentazione che si offrì al clero nel decennio degli an-
ni Cinquanta, mentre il pontificato di Pio XII volgeva al termine.
Inoltre, anche quando i pastori della Chiesa riaffermavano i prin-
cipi tradizionali della fede e della morale, non sempre essi confor-
mavano a questi principi le loro vite. La Chiesa aveva bisogno di
coerenza tra la integrità della sua dottrina e la santità dei suoi
membri, a cominciare dalle proprie gerarchie. Occorreva certa-
mente condannare gli errori, ma anche risvegliare le anime alla
penitenza, alla preghiera, alla frequenza dei Sacramenti, alla de-
vozione alla Vergine Maria. Di questa situazione erano consape-
voli le anime più devote, come emerge dalla corrispondenza di
quegli anni tra due religiosi, oggi sugli Altari: don Giovanni Ca-

ratori. Fu pubblicato a Parigi dalle Edizioni Letouzey e Ané (1902-1950) in 15 tomi,


in 30 volumi. L’Enciclopedia cattolica fu pubblicata nella Città del Vaticano dal 1948
al 1954 in 12 volumi.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 101

labria 291, fondatore dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, e il


cardinale Ildefonso Schuster 292, arcivescovo di Milano.
“Da anni – scriveva don Calabria al card. Schuster – con crescente
insistenza sento ripercuotersi, in fondo al mio cuore, il lamento di Gesù: la
mia Chiesa!” 293. Da parte sua, quando nel 1953 la Madonna pianse a
Siracusa, l’arcivescovo di Milano commentò: “anche la Santissima Ver-
gine piange sui mali della Chiesa e sul castigo che incombe al mondo” 294.
San Giovanni Calabria si diceva a sua volta convinto che:

“Il clero dei nostri tempi è chiamato a esercitare una potente influenza sui
popoli, a iniziare una nuova opera di civilizzazione spirituale, intellet-
tuale, morale. Tutto ciò richiede abnegazione, eroismo, santità; soffrire per
la giustizia; per questo appunto fummo chiamati nelle file di Dio, in sor-
tem Domini vocati”.
“Noi Sacerdoti, o siamo santi e possiamo salvare il mondo intero; o siamo
cattivi e possiamo rovinarlo per secoli e secoli. Chi ha donato il Cristiane-
simo alla Terra? L’eroismo dei Pontefici, dei Vescovi, dei Sacerdoti santi.
Chi ha lacerato le vesti della Chiesa? Ario, Fozio, Lutero. ‘La tua nazione
e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me’ (Gv. 18, 35), diceva Pila-
to a Gesù in catene. È una frase che fa tremare.
Si legge che nel 1790 si contavano nel mondo cristiano più di settemila
conventi di soli Francescani, con centoventimila Religiosi, donne escluse.
Aggiungete i Religiosi di tutti gli altri Ordini e Congregazioni; mettete-
ci accanto i Sacerdoti del clero secolare allora numerosissimo. Come si
spiega, con un numero tale di difensori, la bufera della Rivoluzione Fran-
cese che si scatena anche contro la Chiesa?

291
Giovanni Calabria (1873-1954), ordinato nel 1901, fondò i “Poveri Servi della Di-
vina Provvidenza”, approvati dal vescovo di Verna nel 1932 e da Pio XII nel 1949.
È stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1999.
292
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), ordinato nel 1904, divenne monaco bene-
dettino e nel 1918 abate di San Paolo fuori le Mura a Roma. Fu nominato da Pio XI
arcivescovo di Milano e creato cardinale nel 1929. È stato beatificato da Giovanni
Paolo II nel 1997.
293
Lettera di don Giovanni Calabria al card. Schuster del 21 novembre 1948, in L’e-
pistolario card. Schuster-don Calabria (1945-1954), a cura di ANGELO MAJO-LUIGI PIO-
VAN, NED, Milano 1989, p. 30.
294
Lettera del card. Schuster a don Calabria del 6 ottobre 1953, in L’epistolario, cit.,
p. 160.
102 IL CONCILIO VATICANO II

Eppure con soli dodici uomini Gesù è andato alla conquista del mondo.
Ma erano santi!” 295.

I due religiosi erano profondamente consapevoli delle necessità


per la Chiesa di una profonda opera di riforma, che sarebbe dovu-
ta partire dalla santificazione del clero. La santità della vita è ri-
chiesta per ogni battezzato, ma soprattutto per chi riceve gli ordi-
ni sacri e amministra le cose sante. Sono i vescovi e i sacerdoti san-
ti che fanno santa la società cristiana, mentre se viene meno la te-
stimonianza vivente della santità del clero le anime si allontanano
e si giunge alla scristianizzazione di interi paesi e nazioni.
Nella storia della Chiesa i movimenti di vera riforma, come
quelli dell’XI o del XVI secolo (artificialmente distinto nelle due fa-
si della “Riforma cattolica” e della “Contro-Riforma”), sono stati
caratterizzati per un verso dal recupero del ruolo del Papato e del-
l’autorità della Chiesa; per altro verso da un eroico slancio verso
l’ascesi e da un profondo spirito di penitenza e preghiera. La stra-
da indicata dai “novatori” era diversa.
In un libro dal titolo Vera e falsa riforma 296, il padre Yves Con-
gar presentava come “vera” una “riforma” della Chiesa che si sa-
rebbe rivelata essere, più che una vera riforma, una autentica Ri-
voluzione. Al teologo domenicano si deve una delle prime enun-
ciazioni della formula del “primato del pastorale”, che introdu-
ceva la distinzione tra i dogmi e la loro formulazione, quasi che
l’espressione della dottrina potesse mutare senza intaccarne il
contenuto. Alla riforma modernista della “fede senza i dogmi”, si
sostituiva ora quella di una formulazione non dogmatica della fe-
de 297, che puntava a cambiare la fede stessa, senza toccare appa-
rentemente la dottrina. Congar coltivava “la virtualità e le ambiva-

295
G. CALABRIA, Apostolica vivendi forma, Regnum Dei Editrice, Verona 1958, pp. 61, 113.
296
Y. CONGAR o.p., Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Cerf, Parigi 1950, (tr. it. Vera e fal-
sa riforma della Chiesa, Jaca Book, Milano 1994). Sulle ripercussioni di questo libro, cfr.
E. FOUILLOUX, Recherche théologique et magistère romain en 1952: Une “affaire” parmi
d’autres, in “Recherches de science religieuse”, n. 71 (1983), pp. 269-286. Si veda an-
che A. B. SIMONI, Da Vera e falsa riforma nella Chiesa all’aggiornamento del Vaticano II, in
“Rivista di ascetica e mistica”, n. XXX/1 (2005), pp. 145-179.
297
Cfr. C. BARTHE, op. cit., p. 54.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 103

lenze originali del pensiero innovatore” 298, affermando che “non esi-
ste un pensiero vivente che non sia, parimenti, pericoloso” 299, né esi-
stono “germi attivi nei quali non siano pure presenti dei microbi” 300.
Poiché uccidere i microbi significherebbe uccidere anche i germi
vivi, occorreva, a suo avviso, lasciare prosperare gli uni e gli al-
tri. La condanna degli errori da parte della Chiesa, dalle eresie
medievali fino al modernismo, avrebbe spento le istanze positive
in essi presenti: meglio avrebbe fatto la Chiesa a lasciar vivere e
diffondere questi errori 301. Con questo atteggiamento egli propo-
neva di cambiare la Chiesa dall’interno, attraverso “una riforma
senza scisma” 302. “Non bisogna fare un’altra Chiesa – spiegava – biso-
gna fare una Chiesa diversa” 303.
Ben altra era la “vera riforma” di cui aveva bisogno la Chiesa al-
la metà del secolo XX. Essa non era diversa da quella “legge della re-
staurazione” enunciata da Papa Leone XIII secondo cui “quando un
essere organico intristisce e declina, ciò proviene dal cessato influsso delle
cause che gli diedero forma e consistenza; e non c’è dubbio che, a rifarlo sa-
no e fiorente, bisogna restituirlo ai vitali influssi di quelle medesime” 304.
Lo stesso san Pio X, presentato come un Papa “reazionario” e
“controriformista”, aveva esposto il piano di un’autentica riforma
ispirata al modello di san Carlo Borromeo, nell’enciclica Editae saepe
del 26 maggio 1910 305. Egli indicava l’arcivescovo di Milano come
“modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni, propugnatore e consi-
gliere indefesso della verace riforma cattolica contro quei novatori recenti,
il cui intento non era la reintegrazione, ma piuttosto la deformazione e di-
struzione della fede e dei costumi” 306. Nel XVI secolo, come all’inizio del
Ventesimo, “c’era lotta continua con gli errori, e l’umana società, precipi-
tando al peggio, sembrava correre verso l’abisso. Fra questi mali insorgeva-

298
Y. CONGAR o.p., Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, cit. p. 238.
299
Ivi, p. 236.
300
Ivi, p. 237.
301
Ivi, pp. 241-246.
302
Ivi, p. 247.
303
Ivi, p. 251.
304
LEONE XIII, Epistola apostolica Annum ingressi cit., p. 1911.
305
S. PIO X, Enciclica Editae saepe, De S. Caroli Borromaei apostolica activitate et doctrina,
edizione bilingue in EE, IV (1998), pp. 369-411.
306
Ivi, p. 375.
104 IL CONCILIO VATICANO II

no uomini orgogliosi e ribelli, “nemici della croce di Cristo…” (…). Costo-


ro, applicandosi non a correggere i costumi, ma a negare i dogmi, moltipli-
cavano i disordini, allargavano a sé e agli altri il freno della licenza, o certo
sprezzando la guida autorevole della Chiesa (…), con una quasi tirannide
ne rovesciavano la dottrina, la costituzione, la disciplina” 307.
Al modernismo, che si proponeva “un’apostasia universale dalla
fede e dalla disciplina della Chiesa, apostasia tanto peggiore di quella an-
tica che mise in pericolo il secolo di Carlo, quanto più astutamente ser-
peggia occulta nelle vene stesse della Chiesa” 308, san Pio X opponeva
un’autentica riforma che aveva il suo proprio punto nella custodia
e nella trasmissione della verità cattolica.

“Fra un trasformarsi così molteplice degli errori e un blandire di vizi co-


sì vario, che dagli uni e dagli altri anche molti dei nostri si lasciano lu-
singare, sedotti dall’apparenza di novità e di dottrina, o dalla illusione che
la Chiesa possa amichevolmente accordarsi con le massime del secolo, voi
bene intendete, venerabili fratelli, che noi tutti dobbiamo opporre vigoro-
sa resistenza e ribattere l’assalto dei nemici con quelle stesse armi, di cui
un tempo usò il Borromeo. E anzitutto, poiché attentano alla rocca stessa
che è la fede o con l’aperta negazione, o con l’ipocrita impugnazione, o col
travisarne le dottrine, ricorderemo quello che san Carlo spesso inculcava:
‘la prima e più grande cura dei pastori deve essere intorno alle cose che ri-
guardano il conservare integra e inviolata la fede cattolica, quella fede che
la santa Chiesa romana professa e insegna, e senza la quale «è impossibi-
le piacere a Dio»’. (…) ricordando con san Carlo, ‘quanto sommo debba
essere lo studio e diligentissima sopra ogni altra la cura del vescovo nel
combattere il delitto dell’eresia’” 309.

Alla fermezza della dottrina doveva corrispondere l’ardore del-


la carità. I veri riformatori infatti, ricordava Papa Sarto, “non soffo-
cano i germogli per porre in salvo la radice, cioè non disgiungono la fede
dalla santità della vita, ma l’una e l’altra alimentano e riscaldano al sof-
fio della carità, la quale è ‘vincolo della perfezione’ (Col 3, 14)” 310.

307
Ivi, pp. 377, 379.
308
Ivi, p. 385.
309
Ivi, p. 387.
310
Ivi, p. 395.
LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII 105

Non vi era, e non vi è, altra riforma possibile per la Chiesa al di


fuori di questa integrità dottrinale e morale in cui il pensiero e la
vita trovano la loro coerente armonia. Ma diversa sarebbe stata la
strada percorsa nel ventennio che seguì la morte di Pio XII.
II

VERSO IL CONCILIO

1. Muore Pio XII: la fine di un’epoca?

Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1958, spirò, a Castel Gandolfo,


Pio XII, Papa Eugenio Pacelli, che aveva governato la Chiesa per 19
anni. “Roma si è svegliata immersa nel lutto”, annota sul suo Diario il
vaticanista Benny Lai. “Fino all’alba le campane di Castel Gandolfo
hanno suonato a morte, desolatamente sole; ma prima che il cielo pren-
desse le sue tinte livide hanno risposto quelle della città” 1.
Pio XII venne sepolto, il 13 ottobre, nelle Grotte di San Pietro,
dopo un solenne rito funebre alla presenza di ventidue cardinali.
“Nel tempo degli Hitler e degli Stalin, del ferro e del fuoco, delle polizie
segrete e dei campi di sterminio – scriveva Indro Montanelli sul “Cor-
riere della Sera” – la incorporea figura del nuovo Papa era quella che
meglio si prestava a smentirne gli esempi e gli insegnamenti e a ricorda-
re l’Eterno a un’umanità che sembrava averne perduto perfino il sospet-
to”. “Il vuoto che egli lascia – aggiungeva Montanelli – è forse ancora
più grande del posto che occupò” 2. Circa due milioni di fedeli afflui-
rono a Roma per rendere omaggio al Papa che con tanta dignità
aveva incarnato la Chiesa in un’ora tempestosa della storia. La sen-
sazione diffusa era che la sua morte segnasse la fine di un’epoca,
simboleggiata dalla sua ieratica figura. “Dio ci conservi il Santo Pa-

1
BENNY LAI, Il “mio” Vaticano. Diario tra Pontefici e cardinali, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2006, p. 142.
2
INDRO MONTANELLI, Un’apparizione, in “Corriere della Sera”, 10 ottobre 1958.
108 IL CONCILIO VATICANO II

dre Pio XII – aveva scritto nel 1951 il cardinale Schuster - perché ne
compiango fin d’ora il successore. Infuria la burrasca, e chi oserebbe mai
assumere il comando della barca?” 3.
Nei primi dieci numeri del settimanale “L’Espresso” del 1958 4, il
giornalista “spretato”, Carlo Falconi 5, aveva sferrato un pesante at-
tacco alla Curia Vaticana 6 dominata, a suo avviso, da un “Pentago-
no” conservatore composto dai cardinali Nicola Canali 7, Clemente
Micara, Alfredo Ottaviani 8, Adeodato Piazza 9, Giuseppe Pizzardo 10.
Sul fronte opposto Falconi individuava i maggiori esponenti della
corrente progressista e anti-curiale nel cardinale Giacomo Lercaro 11,

3
Lettera del card. Schuster a don Calabria del 20 luglio 1951, in L’epistolario, cit.,
p. 93.
4
Gli articoli di CARLO FALCONI, usciti tra gennaio e marzo, furono poi raccolti e svi-
luppati nel volume Il Pentagono Vaticano, Laterza, Bari 1958.
5
Carlo Falconi (1915-1985), ordinato nel 1938, uscì dalla Chiesa nel 1949, e si dedicò
all’attività pubblicistica, collaborando soprattutto al settimanale laicista “L’Espresso”.
6
Nel 1952 era uscito Schleifung der Bastionen (Abbattere i bastioni, tr. it. Borla, Torino
1966) di H. U. VON BALTHASAR, che nel titolo sembrava tracciare un programma.
7
Nicola Canali (1874-1961), ordinato nel 1900, sostituto della Segreteria di Stato
(1908-1914), assessore del Sant’Uffizio (1926), creato cardinale nel 1935, ricoprì suc-
cessivamente in Curia diverse cariche amministrative. Fu il più fedele allievo e con-
tinuatore del card. Raffaele Merry del Val.
8
Alfredo Ottaviani (1890-1979), ordinato nel 1916, Segretario della Sacra Congrega-
zione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari (1928-29) e sostituto alla Segreteria di
Stato (dal 1929). Nel 1935 entrò al Sant’Uffizio come assessore. Cardinale nel 1953,
fu affiancato al card. Pizzardo come Pro-segretario della Suprema Congregazione e
il 7 novembre 1959 ne divenne il Segretario. Cfr. GROOTAERS, I protagonisti, pp. 195-
207; EMILIO CAVATERRA, Il Prefetto del Sant’Uffizio. Le opere e i giorni del cardinale Otta-
viani, Mursia, Milano 1990.
9
Adeodato Piazza (1895-1957), carmelitano, ordinato nel 1908, vescovo di Beneven-
to (1930), creato cardinale nel 1937.
10
Giuseppe Pizzardo (1877-1970), ordinato nel 1903, sostituto della Segreteria di
Stato (1921-1929), vescovo di Nicea e Segretario della Sacra Congregazione degli
Affari Ecclesiastici (1929-1939), fu creato cardinale da Pio XI nel 1937 e nominato
da Pio XII, nel 1939, prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari e degli Stu-
di, carica che mantenne fino al 1967. Dal 1951 al 1959 fu anche Segretario del
Sant’Uffizio.
11
Giacomo Lercaro (1891-1976), ordinato nel 1914. Arcivescovo di Bologna dal 1952
al 1968, creato cardinale nel 1953. Fu nominato nel 1963 da Paolo VI, uno dei quat-
tro Moderatori del Concilio. Cfr. i volumi (agiografici), Giacomo Lercaro. Vescovo del-
la Chiesa di Dio (1891-1976), a cura di ANGELINA ALBERIGO, Marietti, Genova 1991;
Araldo del Vangelo. Studi sull’episcopato e sull’archivio di Giacomo Lercaro a Bologna
1952-1968, a cura di NICLA BUONASORTE, Il Mulino, Bologna 2004; nonché GROO-
TAERS, I protagonisti, pp. 157-171.
VERSO IL CONCILIO 109

arcivescovo di Bologna, nel cardinale Giuseppe Roncalli 12, patriarca


di Venezia, e nell’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini,
non ancora cardinale. Nell’arco di cinque anni due di loro sarebbero
saliti al soglio pontificio.
Forse in nessun altro momento come nel conclave è dato alla
terra di incontrare il Cielo. La Chiesa, nella sua porzione più nobi-
le, i cardinali, è unita per eleggere il Vicario di Cristo, colui che è
destinato a compendiare nella sua persona la Chiesa stessa, a gui-
darla e a governarla. Il momento è così alto che Cristo ha promes-
so alla Chiesa di assisterla nella scelta, in modo particolare, con lo
Spirito Santo, che illumina e santifica con la sua Grazia. Come ogni
grazia, quella dovuta all’intervento straordinario dello Spirito San-
to presuppone però una piena disponibilità e corrispondenza
umana. A questa corrispondenza si possono opporre gli affetti e gli
interessi umani degli uomini di Chiesa riuniti in conclave che, per
questo, si dispongono con speciali cerimonie a ricevere l’influsso
vivificatore dello Spirito.
In questo senso, il 25 ottobre 1958 don Dolindo Ruotolo scrive-
va ad un suo amico sacerdote: “Oggi si apre il Conclave per l’elezio-
ne del successore di Pio XII. Occorre pregare perché l’elezione del Papa
è fatta dello Spirito Santo, ma si fa tra i cardinali, che sono liberi di sce-
gliere l’eletto, ma possono interferire con vedute umane nell’ispirazione
dello Spirito Santo, perciò occorre pregare perché queste interferenze non
ci siano” 13.

12
Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), del clero di Bergamo. Ordinato nel 1904;
arcivescovo titolare di Areopoli (1925); visitatore apostolico (1925-1931) e delegato
apostolico in Bulgaria (1931-1934); arcivescovo titolare di Mesembria (1934); dele-
gato apostolico in Turchia e in Grecia (1934-1944); nunzio in Francia (1944-1953); nel
1953 fu creato cardinale e patriarca di Venezia (1953-1958). Eletto Sommo Pontefice
con il nome di Giovanni XXIII (1958), beatificato da Giovanni Paolo II (2000). Oltre
alla Positio storica, si veda la biografia agiografica ma ben documentata di MARCO
RONCALLI: Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella storia, Mondado-
ri, Milano 2007. Per una lettura critica non sempre condivisibile, si veda la serie di
23 articoli su Il Papa del Concilio, di don FRANCESCO RICOSSA, apparsi su “Sodalitium”
tra il 1990 e il 1999. Bibliografia su di lui in G. ALBERIGO, Il Pontificato di Giovanni
XXIII, in SC, La Chiesa del Vaticano II, vol. XXV/I, pp. 15-16 e F. TRANIELLO, sub voce,
in EP, pp. 646-657.
13
D. RUOTOLO, Lettera a mons. Giacomo Cicconardi del 25 ottobre 1958, in Lettere a
sacerdoti. Anni 1958-1959, Apostolato Stampa, Napoli 1999, p. 32.
110 IL CONCILIO VATICANO II

2. Il conclave del 1958

a) Le “grandi manovre”

Il conclave si aprì il pomeriggio del 24 ottobre 1958 14. I cardina-


li presenti erano 51, di cui 18 italiani, undici dei quali appartenen-
ti alla Curia romana. Due porporati erano impossibilitati a parteci-
pare all’elezione perché trattenuti dai rispettivi governi comunisti:
József Mindszenty 15, arcivescovo di Budapest, rifugiato dopo la ri-
volta ungherese del 1956 nell’ambasciata americana, e Alojzije
Stepìnac 16, arcivescovo di Zagabria, condannato ai lavori forzati e
poi agli arresti domiciliari dal regime di Tito. Erano entrambi i
maggiori simboli della resistenza della Chiesa cattolica al comuni-
smo persecutore nell’Est europeo. Nei giorni che precedettero il
conclave morirono inoltre l’americano Edward Mooney 17, arcive-

14
Sul conclave del 1958, cfr. M. RONCALLI, Giovanni XXIII, cit., pp. 417-432; GIAN-
CARLO ZIZOLA, Il Conclave. Storia e segreti. L’elezione papale da san Pietro a Giovanni Pao-
lo II, Newton Compton, Roma 1993, pp. 216-227.
15
József Mindszenty (1892-1975), ungherese, ordinato nel 1915, vescovo di Veszprím
nel 1944, arcivescovo di Esztregom e Primate di Ungheria dal 1945 al 1973, fu crea-
to cardinale nel 1946 da Pio XII. Arrestato dal governo comunista nel 1948 con l’ac-
cusa di tradimento e cospirazione, fu condannato alla detenzione a vita. Liberato
nel 1956 dalla rivolta ungherese, visse nella ambasciata americana di Budapest. De-
stituito da Paolo VI dalla sua carica, riparò in Occidente dove continuò a svolgere
la sua attività a favore della Chiesa del Silenzio. È stato introdotto il suo processo
di beatificazione. Di lui cfr. le Memorie, tr. it. Rusconi, Milano 1975. Cfr. anche BELA
FABIAN, Cardinal Mindszenty: the Story of a Modern Martyr, Charles Scribner’s Son,
New York 1949.
16
Alojzije Stepìnac (1898-1960), croato, ordinato nel 1930, nel 1933 fu nominato da
Pio XI vescovo coadiutore di Zagabria e, nel 1937, successore dell’arcivescovo An-
ton Bauer. Quando i comunisti presero il potere, fu arrestato (18 settembre 1946) e
condannato a sedici anni di lavori forzati per presunto collaborazionismo. Fu crea-
to cardinale da Pio XII nel 1953, ma il regime di Tito, pur trasformando la prigionia
in stretti arresti domiciliari, non gli permise mai di recarsi a Roma. Morì l’8 febbraio
1960, probabilmente in seguito a un avvelenamento. È stato beatificato da Giovan-
ni Paolo II il 3 ottobre 1998. La migliore documentazione storica è raccolta negli at-
ti del processo di beatificazione (Beatificationis et canonizationis servi dei Aloysii Stepi-
nac, S.R.E. Cardinalis, Zagabrien Archiepiscopi (1898-1960), 3 voll. III, Tipografia Guer-
ra, Roma 1996).
17
Edward Aloysius Mooney (1882-1958), statunitense, ordinato nel 1909, arcivesco-
vo titolare di Irenopolis in Isauria nel 1926, arcivescovo di Rochester nel 1933 e di
Detroit nel 1937, creato cardinale nel 1946.
VERSO IL CONCILIO 111

scovo di Detroit, e l’italiano Celso Costantini 18, protagonista della


vita diplomatica della Chiesa. L’arcivescovo di Milano, Montini,
candidato ideale dello schieramento progressista e forte di nume-
rosi appoggi, non partecipava al conclave perché non era stato
creato cardinale da Pio XII, forse proprio al fine di scongiurare una
sua elezione. Il suo interesse era quello di un pontificato breve e di
transizione che gli permettesse di ottenere la porpora e partecipa-
re al conclave successivo. Tra i nomi che circolavano erano quelli
dei cardinali Ottaviani, Ruffini e Siri 19, continuatori della linea di
Pio XII. Ma Siri era troppo giovane e Ottaviani e Ruffini, conside-
rati troppo caratterizzati per essere eletti, puntavano sul cardinale
Benedetto Aloisi Masella o, in subordine, sul cardinale Gregorio
Agagianian 20. Silvio Negro, vaticanista del “Corriere della Sera”,
indicava come beniamino dei comuni pronostici proprio il patriar-
ca degli Armeni, Agagianian, sessantatreenne, nato nel Caucaso,
ma vissuto sempre a Roma, romanesco d’accento e italiano di edu-
cazione, conoscitore della Curia e uomo di pietà esemplare 21.
Come ogni conclave della storia, anche quello che seguì alla
morte di Pio XII subì pressioni e tentativi di interferenze politiche.
L’azione diplomatica più invadente fu condotta dalla Francia del

18
Celso Benigno Luigi Costantini (1876-1958), ordinato nel 1899, vescovo titolare di
Hierapolis in Phrygia nel 1921, arcivescovo titolare di Theodosiopolis in Arcadia
nel 1922, Segretario della Congregazione Propaganda Fide nel 1935, creato cardina-
le nel 1953.
19
Giuseppe Siri (1906-1989) studiò presso la Gregoriana, a Roma, dove fu ordinato
nel 1928. Nel 1944 Pio XII lo consacrò vescovo titolare di Liviade, come ausiliare del
card. Pietro Boetto, alla cui morte successe quale arcivescovo di Genova nel 1946.
Creato cardinale nel 1953, assunse poi l’incarico di presidente della Conferenza epi-
scopale italiana dal 1959 al 1965. Al compiere dei 75 anni inviò a Giovanni Paolo II
la lettera di rinuncia al governo della diocesi, ma fu mantenuto in essa fino al 6 lu-
glio 1987. Su di lui cfr. tra l’altro B. LAI, Il Papa non eletto. Giuseppe Siri cardinale di
Santa Romana Chiesa, Laterza, Roma 1993; N. BUONASORTE, Siri. Tradizione e Novecen-
to, Il Mulino, Bologna 2000; AA.VV., Siri. La Chiesa, l’Italia, a cura di PAOLO GHEDA,
Marietti 1820, Genova-Milano 2009.
20
Grégoire-Pierre Agagianian (1895-1971), armeno, ordinato nel 1917. Patriarca ar-
meno della Cilicia dal 1937 al 1962, creato cardinale nel 1946, prefetto della Con-
gregazione di Propaganda Fide dal 1958 al 1970, membro della Commissione pre-
paratoria centrale del Concilio e poi Moderatore.
21
Cfr. SILVIO NEGRO, Possibile non probabile che venga eletto uno straniero, in “Corriere
della Sera”, 10 ottobre 1958.
112 IL CONCILIO VATICANO II

generale de Gaulle, che non rinunciava alle sue tradizioni gallica-


ne. De Gaulle aveva prescritto al suo ambasciatore presso la Santa
Sede, Roland de Margerie, di fare di tutto per impedire che potes-
sero essere eletti i cardinali Ottaviani e Ruffini, considerati “rea-
zionari” e legati a Pio XII, il Papa che aveva beatificato Innocenzo
XI, campione della resistenza della Santa Sede a Luigi XIV 22. Il
“partito francese”, che faceva capo al cardinale decano Eugenio
Tisserant 23, vedeva di buon occhio il patriarca di Venezia Roncalli,
che in Francia si era fatto apprezzare per la sua giovialità e indi-
pendenza di giudizio. “Roncalli entrò in conclave ben sicuro di diven-
tare Papa”, racconterà il cardinale Silvio Oddi 24, “e non esitò a comu-
nicare questa sua quasi certezza ad alcuni amici” 25. Il 15 ottobre aveva
annotato sul suo diario: “In giornata, gran movimento di farfalle in-
torno alla mia povera persona. Qualche incontro fuggitivo che però non
turba la mia tranquillità” 26. Roncalli non era legato né al gruppo pro-
gressista montiniano, né a quello conservatore della Curia; era
avanti nell’età e poteva assicurare un pontificato di transizione 27.
Molti voti di entrambi gli schieramenti confluirono infine su di lui
che, secondo alcune indiscrezioni trapelate, ne avrebbe ottenuti

22
Cfr. POSWICK, Journal, p. 162. Cfr., più in generale, A. MELLONI, Governi e diplo-
mazie davanti all’annuncio del Vaticano II, in MATTHIJS LAMBERIGTS-CLAUDE SOETENS
(a cura di), A la veille du Concile Vatican II. Vota et réactions en Europe et dans le catho-
licisme oriental, Bibliotheek van de Faculteit der Godgeleerdheid, Lovanio 1992,
pp. 214-257.
23
Eugène Tisserant (1884-1972), francese, ordinato nel 1907. Creato cardinale nel
1936, fu Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali dal 1936 al 1959,
prefetto della Congregazione Cerimoniale dal 1951 al 1967, bibliotecario e archivi-
sta di Santa Romana Chiesa dal 1957 al 1971. Nel 1961 venne cooptato nell’Acadé-
mie Française. Durante il Concilio fu decano del Consiglio di Presidenza.
24
Silvio Oddi (1910-2001), ordinato nel 1933, fu consacrato vescovo dallo stesso
Roncalli a Piacenza il 27 settembre 1953, dopo averne condiviso, per tre anni, l’e-
sperienza parigina. Delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina (1953), poi
internunzio presso la Repubblica di Egitto (1957). Nel maggio 1962 fu nominato
nunzio in Belgio dove rimarrà fino al 1969. Nello stesso anno fu creato cardinale
da Paolo VI. Nel 1979 Giovanni Paolo II lo nominò prefetto della Congregazione
per il Clero.
25
LUCIO BRUNELLI e S. ODDI, Il tenero mastino di Dio: memorie del Cardinale Silvio Oddi,
Progetti museali editore, Roma 1995, p. 114.
26
GIOVANNI XXIII, Pace e Vangelo. Agende del Patriarca, pp. 752-753.
27
“Angelo Giuseppe Roncalli, papa di transizione”, appunta il 28 ottobre 1958 il giova-
ne, ma informato, vaticanista Benny Lai (Il “mio” Vaticano, cit., p. 166).
VERSO IL CONCILIO 113

trentasei, su una maggioranza di 35 dopo undici scrutini 28. “Al-


l’undicesimo scrutinio eccomi nominato Papa”, scriverà nel diario An-
gelo Roncalli “si direbbe un sogno, ed è, prima di morire, la realtà più
solenne di tutta la mia povera vita” 29.

b) L’elezione di Giovanni XXIII

Il pomeriggio del 28 ottobre 1958 il card. Canali annunciò alla


folla riunita in piazza San Pietro che Angelo Giuseppe Roncalli,
patriarca di Venezia, di settantasette anni di età, era stato eletto al
soglio pontificio con il nome di Giovanni XXIII, un nome inatteso,
non più usato dal lontano 1415 quando un Giovanni XXIII era sta-
to deposto come antipapa.
Tisserant confermò che i cardinali francesi furono i grandi elet-
tori di Roncalli. “Essi erano interessati alla soluzione del problema dei
preti operai e Roncalli li aveva assicurati che avrebbe risolto la questio-
ne” 30. Come il Quai d’Orsai, anche il Cremlino si mostrò soddi-
sfatto dell’elezione. “Gli archivi di partito a Mosca registrano com-
menti molto positivi sul fatto che il nuovo Papa viene da una famiglia di
contadini, ma anche sul fatto “politico” che Roncalli è stato nunzio apo-
stolico a Sofia e ad Ankara, rappresentante pontificio ad Atene (…)” e
“ha sempre saputo adempiere ai suoi compiti” di modo che Montini,
all’epoca facente parte della Segreteria di Stato, lo aveva fatto tra-
sferire alla nunziatura di Parigi, dove aveva conquistato la fiducia
del generale De Gaulle e, da Parigi, tramite Bogomolov, diploma-
tico russo, “ha trovato la strada verso Mosca” 31.
L’elezione di Roncalli fu dunque un compromesso, come ap-
parve dalle prime nomine pontificie. Il 4 novembre, poco prima
dell’inizio della cerimonia di incoronazione, Giovanni XXIII prean-

28
Cfr. G. ZIZOLA, Il Conclave. Storia e segreti, cit., p. 222; M. RONCALLI, Giovanni XXIII,
cit., p. 428.
29
GIOVANNI XXIII, Pace e Vangelo. Agende del Patriarca, p. 769 (pp. 768-770).
30
G. ZIZOLA, Il Conclave. Storia e segreti, cit., p. 217. Sui preti operai, cfr. E. POULAT, I
preti operai (1943-1947), tr. it. Morcelliana, Brescia 1967.
31
VIKTOR GAIDUK, Vaticano e Cremlino. A proposito della presa di coscienza dell’ingresso nel-
l’era nucleare: crinale apocalittico della storia, in Vatican II in Moscow, p. 24 (pp. 13-34).
114 IL CONCILIO VATICANO II

nunciò, con un biglietto autografo a mons. Montini, l’imminente


nomina cardinalizia: “Eccellenza carissima, sto sul punto di scendere a
S. Pietro per la grande cerimonia. (…) Poi annuncerò il concistoro in cui
figureranno i nomi di mons. Montini e mons. Tardini. Questo però in set-
timana, e intanto con segreto assoluto” 32.
Il 17 novembre il neo-eletto affidò a mons. Domenico Tardini 33
l’incarico di Segretario di Stato, vacante da 14 anni, e annunziò il
prossimo concistoro. Al primo posto della lista dei nuovi porpora-
ti, in tutto ventitré, c’era il nome dell’arcivescovo di Milano, mons.
Giovanni Battista Montini. Tardini e Montini, dotati entrambi di
forte personalità, rappresentavano all’interno della Curia due linee
parallele e, sotto un certo aspetto, contrapposte. Avevano avuto
entrambi la qualifica di Segretario per gli Affari straordinari e so-
stituto per gli Affari ordinari poi, dal 1953, di prosegretari di Stato,
quindi, nel 1954 le loro strade si erano divaricate 34.
Se l’appoggio dato dai conservatori in conclave al cardinale
Roncalli fu dovuto all’idea di avere in lui un Papa malleabile e di
“transizione”, si trattò di un indubbio errore di valutazione. Il
card. Roncalli, dietro la sua bonomia, aveva un carattere forte e tal-
volta caparbio. “Non temo le avversità e non ricuso le sofferenze – scris-
se dopo il primo mese di pontificato –. Mi sento l’ultimo di tutti, ma
ho in mente un programma di lavoro non affannoso, ma ben deciso” 35.
Il giovane teologo tedesco Hans Küng 36 fu tra coloro che non
apparvero sorpresi dall’elezione. Il suo maestro di dottorato, Louis

32
GIOVANNI XXIII, Lettere del pontificato, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, p. 67.
33
Domenico Tardini (1888-1961), ordinato nel 1912, Sottosegretario della Sacra Con-
gregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari (1929), sostituto della Segreteria
di Stato (1935), Pro-segretario di Stato (1944) e infine Segretario di Stato di Giovan-
ni XXIII nel novembre 1958. Nella stessa data fu creato arcivescovo titolare di Lao-
dicea di Siria e cardinale. Cfr. GIULIO NICOLINI, Il cardinale Domenico Tardini, EMP,
Padova 1980; CARLO FELICE CASULA, Il cardinale Domenico Tardini, in Le deuxième Con-
cile du Vatican, pp. 207-227.
34
Cfr. ROBERT A. GRAHAM, s.j., Montini Substitut Secretary of State (in tandem with Dome-
nico Tardini), in Paul VI et la modernité, Ecole Française de Rome, Roma 1984, pp. 67-82.
35
Appunto del 28 novembre 1958 cit., in Ioannis XXIII. Biografia documentata, pars IV,
p. 2669.
36
Hans Küng (1928), teologo svizzero, ordinato nel 1954, professore all’Università di
Tubinga dal 1962 al 1996, venne nominato “esperto” del Concilio nel 1962. Nel 1979
gli venne revocata dalla Santa Sede l’autorizzazione all’insegnamento della teolo-
gia cattolica per le sue posizioni eterodosse.
VERSO IL CONCILIO 115

Bouyer 37, gli aveva da molto tempo predetto che il futuro papa sa-
rebbe stato Roncalli. Perché? “Perché – rispose Bouyer – è gioviale,
devoto e non troppo intelligente” 38. Roger Poelman, discepolo di dom
Lambert Beauduin, riferisce a sua volta un dialogo che ebbe con
quest’ultimo, durante l’ultima malattia di Pio XII. Beauduin: “Ti
preannuncio: morirà molto presto. Il suo successore sarà Roncalli!”.
Poelman: “Quel grosso nunzio a Parigi?”. Beauduin: “Ebbene, vedrai.
Farà un Concilio e lo farà in una prospettiva ecumenica!” 39. Anche il
card. Suenens riporta, nelle sue memorie, le parole di dom Beau-
duin: “Se Roncalli diventa Papa ci sarà un Concilio” 40.

3. Angelo Roncalli: conservatore o rivoluzionario. L’enigma Roncalli

Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, nato a Sotto il Monte


(Bergamo) il 25 novembre 1881, da una famiglia di origini contadi-
ne, aveva avuto una vita travagliata. Il sospetto di modernismo,
dovuto anche ai suoi rapporti con Ernesto Buonaiuti, aveva ac-
compagnato la sua vita di giovane sacerdote. Il 10 agosto 1904, nel-
la chiesa di santa Maria in Montesanto, Roncalli era stato assistito,
nella sua ordinazione sacerdotale, dal condiscepolo in seminario
Buonaiuti 41 e non era stato insensibile alle istanze del modernismo,

37
Louis Bouyer (1913-2004), teologo francese. Pastore luterano convertito, diven-
ne prete dell’Oratorio nel 1944 e insegnò all’Institut Catholique di Parigi fino al
1963.
38
KÜNG, La mia battaglia, p. 206.
39
Cit. in JACQUES MORTIAU-R. LOONBEEK, Dom Lambert Beauduin visionnaire, cit., p.
251. Il card. Roncalli era da lunga data amico di dom Beauduin, che aveva incon-
trato a Roma (1925), Sofia (1929), Istanbul (1930) e a Parigi dal 1944 al 1953. Cfr.
SONYA QUITSLUND, Beauduin: A Prophet Vindicated, Newman, New York 1973, pp. 54-
55, p. 148, p. 167, p. 191, pp. 200-201, p. 228, pp. 237-253 e FRANCESCA DELLA SALDA,
Obbedienza e pace: il vescovo A.G. Roncalli fra Sofia e Roma, Marietti, Genova 1989, pp.
36-40 e passim.
40
SUENENS, Souvenirs et espérances, p. 62.
41
Roncalli ricorda così Buonaiuti nei suoi appunti: “Mi era accanto fra don Nicola Tur-
chi e me; mi aveva assistito e teneva tra noi due il messale. Scomunicato nel 1921, dichia-
rato vitandus nel gennaio 1926, morto il 20 aprile 1946, sabato santo. Morto dunque così a
65 anni: in luce et in Cruce. I suoi ammiratori scrissero di lui che egli era uno spirito
profondamente e intensamente religioso, aderente al cristianesimo con tutte le sue fibre,
stretto da vincoli infrangibili alla sua diletta Chiesa cattolica. Naturalmente nessun eccle-
116 IL CONCILIO VATICANO II

pur non intendendo “azzardare proposizioni, anche di un apice, diffor-


mi dal retto sentire della Chiesa” 42.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, fu richiamato a Bergamo, come
segretario del nuovo vescovo, mons. Giacomo Radini Tedeschi 43,
anch’egli “aperto” alle suggestioni del modernismo. Il cardinale
Gaetano De Lai 44, prefetto della Sacra Congregazione Concistoria-
le, nel giugno del 1914, venuto a conoscenza del fatto che in talu-
ne occasioni il giovane Roncalli si era mostrato “proclive a quella
corrente di idee larghe che tendono a svuotare il valore delle tradizioni e
l’autorità del passato (…)”, lo aveva esortato a “uscire dal triste incan-
tesimo di certi libri e di certi autori” 45. Come il suo vescovo Radini Te-
deschi, Roncalli, pur rimanendo estraneo al movimento moderni-
sta, dissentiva però, almeno in privato, dall’atteggiamento antimo-
dernista di san Pio X 46.
Radini Tedeschi morì il 22 agosto 1914, due giorni dopo Pio X, e
Roncalli trascorse come cappellano militare gli anni della Grande
Guerra. Fu quindi chiamato a lavorare a Roma, a Propaganda Fide,
e nel 1925 venne consacrato vescovo e nominato Visitatore aposto-
lico in Bulgaria, una delle sedi meno importanti della diplomazia
vaticana, dove tardò la sua promozione a Delegato apostolico e la
missione gli sembrò durare troppo a lungo 47. La sua vita diploma-
tica continuò come delegato apostolico nella Turchia di Kemal
Atatürk (1935-1944) e poi come nunzio in Francia (1945-1953). La

siastico a benedire la sua salma; nessun tempio ad accogliere la sepoltura” (cit. in STEFANO
TRINCHESE, Roncalli e i sospetti di modernismo, in Il modernismo tra cristianità e secola-
rizzazione, Quattroventi, Urbino 2000, p. 749 (pp. 727-770)).
42
GIOVANNI XXIII, Il Giornale dell’anima e altri scritti di pietà, a cura di L. F. CAPOVIL-
LA, San Paolo, Cinisello Balsamo 1989, 9-18 dicembre 1903, p. 311.
43
Giacomo Maria Radini Tedeschi (1857-1914), ordinato nel 1879, vescovo di Berga-
mo dal 1905 al 1914, dovette difendersi da sospetti di modernismo. Cfr. la corri-
spondenza di Pio X e Giacomo Maria Radini Tedeschi in ALEJANDRO M. DIÉGUEZ-SER-
GIO PAGANO, Le carte del “sacro tavolo”. Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del
suo archivio privato, Archivio Storico Vaticano, Città del Vaticano 2006, pp. 283-292.
44
Gaetano De Lai (1853-1928), ordinato nel 1876, creato cardinale nel 1907. Segreta-
rio della Concistoriale dal 1908 al 1928.
45
Documento in S. TRINCHESE, op. cit., p. 764. Sul caso, cfr. MARIO BENIGNI, Papa Gio-
vanni XXIII. Chierico e sacerdote a Bergamo 1892-1921, Glossa, Milano 1998, pp. 271-275.
46
Cfr. M. RONCALLI, op. cit., pp. 84-114.
47
Cfr. A. RONCALLI, Lettere alla famiglia, a cura di EMANUELE e M. RONCALLI, Rusconi,
Milano 1989, lettera del 21 dicembre 1929, p. 120.
VERSO IL CONCILIO 117

sede era prestigiosa ma la Santa Sede aveva voluto affidarla a un di-


plomatico di secondo piano, scelto tra i delegati apostolici, invece
che tra i nunzi, come forma di “rivincita” sul governo francese, che
aveva imposto al Vaticano il ritiro del precedente nunzio Valerio
Valeri 48, accusato di simpatia per il regime di Vichy 49. La nunziatu-
ra di Parigi gli aprì però la strada al Sacro Collegio. Roncalli fu crea-
to cardinale nel 1953 e venne assegnato, a 72 anni, alla sede pa-
triarcale di Venezia, la stessa governata da san Pio X prima di ascen-
dere al soglio pontificio 50. La nota distintiva dei suoi cinque anni di
governo della diocesi fu uno stile pastorale improntato all’ottimi-
smo verso il presente, anche “innanzi allo spettro del trionfo del marxi-
smo ateo e materialista”, come confermò nella lettera pastorale per la
Quaresima del 1955, Per un rinnovamento pastorale 51.
La figura di Angelo Roncalli rimane ancora, sotto un certo
aspetto, un “mistero”. Non si poteva attribuire al patriarca di Ve-
nezia che saliva al trono pontificio, una visione “progressista” o
“conservatrice”, come quelle che si delineavano con chiarezza alle
soglie degli anni Sessanta. La sua struttura mentale e la sua sensi-
bilità religiosa ne facevano un conservatore, ma la sua “umanità”

48
Valerio Valeri (1883-1963), ordinato nel 1907, arcivescovo di Efeso nel 1927, nun-
zio apostolico in Romania nel 1933 e in Francia nel 1936, creato cardinale nel 1953.
49
Per Parigi, cfr. E. FOUILLOUX, Straordinario ambasciatore? Parigi 1944-1953, in ALBE-
RIGO, Papa Giovanni, p. 71 (pp. 67-95); ID., Le nonce Roncalli et l’Eglise de France, in L’o-
ra che stiamo attraversando, pp. 213-226; A. RICCARDI, Angelo Giuseppe Roncalli, un di-
plomatico vaticano, in AA.VV., Un cristiano sul trono di Pietro. Studi storici su Giovanni
XXIII, Servitium, Gorle (BG) 2003, pp. 177-251. Secondo Riccardi, mons. Roncalli
“era considerato dai suoi superiori – in particolare dallo stesso Tardini – un originale e un
ingenuo” (ivi, p. 250).
50
Sugli anni veneziani, cfr. G. VIAN, Il patriarca Roncalli attraverso le sue agende ve-
neziane, in “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa”, n. 2 (2009), pp. 369-394. Nel
suo messaggio natalizio del 1955, il patriarca di Venezia aveva scritto: “Ci rivol-
giamo specialmente a voi, cari giovani, tanto bravi, generosi e bene intenzionati. Non la-
sciatevi incantare da vane parole. Anche noi che vi parliamo fummo giovani come voi.
Mezzo secolo fa si agitavano nella Chiesa e nel mondo questioni gravi di ordine dottrina-
le pericolosissime. Furono una tentazione per la nostra anima che era pur fervida per il
bene, per il meglio. La grazia del Signore, la esperienza, la guida della Santa Chiesa ci fe-
cero saggi, preservandoci dalle distensioni e aperture di allora. San Pio X, il grande Papa
veneto, sgombrò l’orizzonte dagli errori e salvò la Chiesa” (Messaggio natalizio del pa-
triarca del 14 dicembre 1955, in “Bollettino ecclesiastico Diocesi di Vittorio Veneto”,
n. 1 (1955), pp. 19-21.
51
A. RONCALLI, Scritti e discorsi, Edizioni Paoline, Roma 1959-1962, vol. II, pp. 28-42.
118 IL CONCILIO VATICANO II

lo spingeva a gesti di rottura con la tradizione e a “novità” di or-


dine pastorale. Il carattere rivoluzionario del suo pontificato va ri-
cercato più che nella sua ideologia, nel suo modo di essere, in una
terrena “umanità”, anche se, osserva Melloni, “l’umano di Roncalli
non ha nulla a che spartire con la “svolta antropologica” della teologia de-
gli anni Sessanta e coi suoi sotto prodotti pastorali o addirittura politici-
stici di fine secolo XX” 52.
Il pontificato di Angelo Roncalli, come la sua vita precedente,
non si svolse secondo le linee di un coerente progetto, ma all’inse-
gna di una certa improvvisazione orientata da un “amore alla vita”
e da un naturale ottimismo che aveva, come conseguenza psicolo-
gica, più che ideologica, l’idea di “adattamento” o, come poi si dirà,
di “aggiornamento”. Roncalli, rileva Alberigo, fin dagli anni Trenta,
non si stancherà di sostenere che “bisogna adattare le forme della buo-
na penetrazione alle circostanze dei tempi e dei luoghi” 53. L’idea che ci si
potesse liberare dalle forme antiche, senza snaturare la sostanza
della dottrina, conteneva in embrione lo “spirito” del Vaticano II.

4. Verso il Concilio Vaticano II

a) Come nacque l’idea del Concilio

La bomba scoppiò a soli tre mesi dalla sua elezione. Il 25 gennaio


1959, nell’aula capitolare dell’abbazia di S. Paolo Fuori le Mura, Gio-
vanni XXIII comunicò a un gruppo di cardinali presenti e al mondo
intero il suo proposito di convocare un Concilio ecumenico 54. Il Pa-
pa rimase sconcertato dall’“impressionante, devoto silenzio” dei pre-

52
A. MELLONI, Roncalli: Fare storia di un cristiano così, in L’ora che il mondo sta attraver-
sando. Giovanni XXIII di fronte alla storia, Atti del Convegno, Bergamo (20-21 no-
vembre 2008), a cura di GRADO GIOVANNI MERLO-FRANCESCO MORES, Edizioni di Sto-
ria e Letteratura, Roma 2009, p. 41.
53
G. ALBERIGO, L’ispirazione di un Concilio ecumenico: le esperienze del cardinale Roncal-
li, in Le deuxième Concile du Vatican, p. 92 (pp. 81-99).
54
AD, I-I, pp. 3-6. Cfr. ALEXANDRA VON TEUFFENBACH, L’annuncio del Concilio cin-
quanta anni fa. Una lettura nell’ambito della Chiesa, in “Alpha Omega”, n. XII/3
(2009), pp. 399-446.
VERSO IL CONCILIO 119

senti, che manifestava interrogativi e perplessità 55. La stessa reazio-


ne ebbe il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, che ap-
prese la notizia dalla radio, mentre si trovava in visita pastorale a un
paesello della diocesi ligure. “Solo al rientro nel palazzo arcivescovile il
cardinale manifestò ai suoi segretari sorpresa e preoccupazione. (…) Le per-
plessità nascevano dal timore che le tendenze teologiche innovatrici, sorte
nell’area francese e tedesca dopo la guerra, insieme con i fermenti in campo
biblico, potessero svilupparsi sfruttando l’evento conciliare” 56.
Una considerazione a questo punto si impone. Negli ultimi cin-
que secoli del secondo millennio, si erano svolti solo due Concili, il
Tridentino e il Vaticano I. L’indizione di una assemblea di tale vasta
portata è una decisione che non può essere presa affrettatamente e a
cuor leggero, ma presuppone profonde riflessioni e ampia consulta-
zione. Così era accaduto quando Pio XI e Pio XII avevano esaminato
la possibilità di riprendere il Concilio Vaticano I, per poi entrambi ac-
cantonare l’ipotesi. Non è facile per lo storico comprendere come
Giovanni XXIII abbia potuto assumere una responsabilità così impe-
gnativa in maniera tanto fulminea, a soli tre mesi dalla sua elezione,
a meno di non immaginare una speciale illuminazione dello Spirito
Santo, che non risulta però né dal Giornale dell’anima, né dalle agende
private del Pontefice. Non stupisce dunque la reazione di sbalordito
silenzio dei cardinali di fronte alla tranquilla sicurezza con cui il Pa-
pa appena eletto annunciava loro un evento destinato a cambiare la
storia. Lo stupore fu così diffuso da trovare eco persino in Giovanni
XXIII, il quale, in un appunto del 16 settembre, giunse a scrivere: “Il
primo ad essere sorpreso di questa mia proposta fui io stesso” 57.

55
GIOVANNI XXIII, DMC, vol. IV, p. 259. Il futuro card. Giacomo Biffi, ricordando la
convocazione del Vaticano II, annota nella sua autobiografia: “Fummo tutti stupefatti
(…). Il papa, com’era giusto, attribuì tale decisione a una ‘improvvisa illuminazione dall’al-
to’. I concili però erano sempre stati motivati dalla necessità di definire qualche punto di fede
e di combattere qualche eresia; compiti che Giovanni XXIII escluse subito. Ma allora, mi do-
mandavo, sul piano della psicologia umana da che cosa era stato mosso? Scanzonato com’ero,
mi veniva fatto di pensare che i suoi erano, almeno inconsciamente, dei ‘motivi estetici’ (…)”
(Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Edizioni Cantagalli, Siena 2007, p. 156).
56
B. LAI, Il Papa non eletto, cit., p. 179.
57
A. G. RONCALLI, Giovanni XXIII, cit., p. 616. Secondo mons. Capovilla ne parlò con
Tardini solo il 20 gennaio 1959 (Giovanni XXIII. Nel ricordo del Segretario Loris F. Ca-
povilla, intervista di M. Roncalli con documenti inediti, San Paolo, Cinisello Balsa-
mo 1994, p. 60).
120 IL CONCILIO VATICANO II

Lo stesso Segretario di Stato Tardini apprese la notizia solo


qualche giorno prima, presumibilmente il 20 gennaio, anche se
nelle agende del Pontefice, lo stesso episodio è ricordato due vol-
te, sotto due giorni diversi, il 15 e il 20 gennaio. Quel che è certo è
che il Tardini approvò con slancio l’iniziativa, forse nell’illusione
di mantenerne le redini, ma soprattutto per lo spirito di servizio
che lo animava. Giovanni XXIII così ricorda:

“Nella udienza col Segret. di Stato Tardini, per la prima volta, e, direi, co-
me a caso mi accadde di pronunciare il nome di Concilio, come a dir che
cosa il nuovo Papa potrebbe proporre come invito ad un movimento vasto
di spiritualità per la S. Chiesa e per il mondo intero. Temevo proprio una
smorfia sorridente e sconfortante come risposta. Invece al semplice tocco,
il Cardinale – bianco in viso, e smorto – scattò con una esclamazione in-
dimenticabile ed un lampo di entusiasmo: ‘Oh! Oh? Questa è un’idea,
questa è una grande idea?’” 58.

Domenico Tardini, che aveva speso la maggior parte della sua


vita nella Segreteria di Stato, dov’era entrato come minutante fin
dal 1921, era “prete romano” fino al midollo, pragmatico e arguto,
ma non privo di autentico spirito sacerdotale. Fino alla morte, il 30
luglio 1961, egli mantenne con il Pontefice un rapporto franco e
leale, bene espresso da un suo appunto personale: “Quello che vo-
stra Santità vuole. Non mi nasconda nulla” 59. Tardini non era tuttavia
ingenuo e non si può escludere che con le sue parole egli inten-
desse fare da “sponda” a quanto già egli stesso aveva concordato
con i cardinali di Curia Ottaviani e Ruffini.

58
GIOVANNI XXIII, Pater Amabilis. Agende del Pontefice, p. 25. Il 15 gennaio il Pon-
tefice riportava: “Nel colloquio con Tardini, Segretario di Stato, volli assaggiare il suo
spirito circa l’idea che mi venne di proporre ai membri del S. Collegio (…) il progetto di
un Consiglio Ecumenico da radunarsi omnibus perpensis a tempo debito: coll’inter-
vento di tutti i vescovi cattolici di ogni rito e regione del mondo. Ero assai titubante ed
incerto. La risposta immediata fu la sorpresa la più esultante che mi potessi aspettare.
Oh! ma questa è una luminosa e santa idea. Essa viene proprio dal cielo, Padre Santo, bi-
sogna coltivarla, elaborarla e doffonderla. Sarà una grande benedizione per il mondo in-
tero” (ivi, pp. 23-24).
59
In G. NICOLINI, op. cit., p. 176.
VERSO IL CONCILIO 121

b) Gli “Stati Generali” della Chiesa?

Alla erronea convinzione dei card. Ottaviani e Ruffini di poter


“controllare” la forte personalità di Giovanni XXIII, si accompagnò
quella di poter mantenere sotto il controllo della Curia romana il
Concilio e di ritenere che esso avrebbe riaffermato l’insegnamento
tradizionale della Chiesa contro gli errori serpeggianti. Ben diver-
sa era stata la previsione di un altro illustre rappresentante della
scuola romana di teologia, il card. Louis Billot 60, interpellato da Pio
XI sulla questione. Quando Papa Ratti, nel 1923, aveva avviato
consultazioni per esaminare la possibilità di riprendere il Vaticano
I, interrotto nel 1870 dalla guerra franco-prussiana e dall’invasione
di Roma, il cardinale francese gli aveva risposto di ritenere perico-
loso convocare un Concilio dal momento che

“è impossibile dissimulare l’esistenza di divergenze profonde, in seno allo


stesso episcopato, sulle questioni sociali, politiche o economiche, nei loro
rapporti con la morale e con la regola della fede. Queste questioni, pre-
sentandosi, a motivo della loro complessità, sotto aspetti diversi secondo i
paesi, daranno luogo a discussioni che rischiano di estendersi e prolun-
garsi indefinitamente”.

Il cardinale Billot continuava:

“Infine, ecco la ragione più grave, quella che mi sembrerebbe militare as-
solutamente per la negativa. La ripresa del Concilio è desiderata dai peg-
giori nemici della Chiesa, cioè dai modernisti, che già s’apprestano – co-
me ne fanno fede gli indizi più certi – a profittare degli stati generali del-
la Chiesa per fare la rivoluzione, il nuovo ’89, oggetto dei loro sogni e del-
le loro speranze. Inutile dire che non ci riusciranno, ma noi rivedremmo i

60
Louis Billot (1846-1931) della Compagnia di Gesù, francese, ordinato nel 1869,
tenne la cattedra di dogmatica presso la Gregoriana dal 1885 al 1911, quando fu
creato cardinale. In seguito alla condanna dell’Action Française da parte di Pio XI
nel 1927, rinunziò alla dignità cardinalizia. Su di lui cfr. HENRI LE FLOCH c.s.sp., Le
cardinal Billot lumière de la théologie, Beauchesne, Parigi 1947; JULES ARTUR, Les en-
seignements du cardinal Billot, “La Pensée catholique”, n. 150 (1974), pp. 76-81; P.
DUCLOS, Billot, in DHCJ, p. 450.
122 IL CONCILIO VATICANO II

giorni tanto tristi della fine del pontificato di Leone XIII e dell’inizio di
quello di Pio X; vedremmo ancora peggio, e sarebbe l’annientamento dei
felici frutti dell’enc. Pascendi che li aveva ridotti al silenzio” 61.

La previsione di Billot si fondava su di una ragione evidente.


Quando egli scriveva, negli anni Venti, non erano ancora cicatriz-
zate le ferite dovute agli interventi chirurgici di Pio X per estirpa-
re il modernismo dal corpo della Chiesa. La proclamazione del Pri-
mato romano, nel 1870, rendeva meno necessario di una volta l’a-
vallo del Concilio alle decisioni dei Pontefici. Un Concilio, per la
sua natura assembleare, lungi dal rafforzare il Primato, avrebbe
inevitabilmente innescato una dialettica tra il Pontefice Romano e
il vasto e incontrollato corpo episcopale, indebolendo la forza e il
prestigio dell’Autorità romana. C’era il pericolo che si formassero
quei blocchi episcopali nazionali che la Chiesa aveva sempre cer-
cato di evitare, per la sua vocazione universale. Ciò che Billot non
poteva prevedere era però qualcosa di peggio: l’esplosione di un
conflitto, non già tra il Papa e la Curia Romana da una parte e i ve-
scovi dall’altra, ma tra i Padri conciliari, o almeno tra una parte di
essi, e la Curia romana, mentre il Papa avrebbe riservato a sé un
ruolo di “mediatore” tra le due tendenze. Fu esattamente quanto
poi accadde.

c) I cardinali Ottaviani e Ruffini suggeriscono il Concilio

Anche Pio XII valutò l’idea di convocare un grande Concilio


Ecumenico per continuare l’opera del Vaticano I 62. Nell’udienza
concessa il 4 marzo 1948 a mons. Alfredo Ottaviani, assessore del
Sant’Uffizio, Pio XII parlò per la prima volta delle opportunità di
riprendere il Vaticano I. Il suggerimento era venuto dal card. Erne-

61
CAPRILE, vol. V, p. 688, (pp. 681-701). Padre Caprile esamina 26 lettere e tre pro-
memoria scritti dai cardinali di Curia sul tema della riapertura del Concilio Vati-
cano I. Valutazioni fortemente contrarie furono esposte anche dal card. Frühwirth
e dal card. Boggiani.
62
Cfr. Relazione sui primi lavori fatti in S. Offizio dal 1948 al 1951, in ASV, Conc. Vat. II,
Busta 682, fasc. 1, ff. 10.
VERSO IL CONCILIO 123

sto Ruffini 63, arcivescovo di Palermo, in una precedente udienza


avvenuta il 24 febbraio 1948. “Ai piedi di Pio XII – raccontò undici
anni dopo il porporato – osai invocare, ultimo tra i sacerdoti, un Con-
cilio ecumenico. Mi sembrava che fosse urgentemente richiesto dalle cir-
costanze e che ci sarebbe stata tanta materia da trattare quanta ne ebbe il
Concilio di Trento. Il venerato Pontefice non rifiutò la proposta, ne prese
anzi nota, come era solito fare negli affari importanti (…)” 64. Fu creata
quindi una Commissione ristretta, presieduta da mons. Ottaviani,
che iniziò i suoi lavori il 15 marzo 1948. Nel verbale della prima
adunanza si legge che mons. Ottaviani disse di aver prospettato al
Santo Padre “la necessità di chiarire e definire alcuni punti dottrinali,
dato il cumulo di errori che si vanno diffondendo in materia filosofica e
teologica, morale e sociale” 65. Nel febbraio 1949 il Papa nominò una
Commissione speciale preparatoria, che aveva come presidente
mons. Francesco Borgongini Duca 66, nunzio apostolico in Italia, e
come segretario, il gesuita Pierre Charles 67, professore di teologia a
Lovanio. La Commissione tenne, nella più assoluta riservatezza,
numerose adunanze, tra il 1949 e il 4 gennaio 1951, data dell’ulti-
ma riunione. Al suo interno affiorarono due diversi modi di con-
cepire l’evento. Alcuni volevano che il Concilio fosse molto breve,
non più di un mese, e si occupasse solo di materie ben determina-
te, su cui raggiungere un accordo unanime, anche per “acclama-
zione”, mostrando al mondo l’unità e la compattezza della Chiesa.
Altri pensavano ad una lunga preparazione e ad un altrettanto
lungo svolgimento con piena libertà di discussione lasciata ai pa-
dri, per non dare l’impressione che l’assise fosse “diretta” dalla

63
Ernesto Ruffini (1888-1967), ordinato nel 1910, nominato arcivescovo di Palermo
l’11 ottobre 1945, creato cardinale nel 1946. Su di lui cfr. ANGELO ROMANO, Ernesto
Ruffini. Cardinale arcivescovo di Palermo (1946-1967), Studi del Centro A. Cammarata,
Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2002; FRANCESCO MICHELE STABILE, Il
Cardinale Ruffini e il Vaticano II. Lettere di un “intransigente”, in “Cristianesimo nella
Storia”, n. 11 (1990), pp. 183-176; GROOTAERS, I protagonisti, pp. 217-229.
64
Cit. in GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI, Storia del Concilio, Ancora, Milano 1967, p. 23.
65
Relazione sui primi lavori, cit.
66
Francesco Borgongini Duca (1884-1954), ordinato nel 1906, arcivescovo titolare di
Heraclea e nunzio apostolico in Italia nel 1929, creato cardinale nel 1953.
67
Pierre Charles (1883-1954), teologo belga, della Compagnia di Gesù, ordinato nel
1910. Professore di teologia dogmatica a Lovanio, si specializzò nella missionologia.
124 IL CONCILIO VATICANO II

Curia Romana 68. Di fronte a questa diversità di opinioni, che la-


sciava presagire uno scontro, Pio XII preferì accantonare il progetto,
non diversamente da quanto aveva fatto il suo predecessore Pio XI.
Gli stessi card. Ottaviani e Ruffini, che avevano suggerito a Pio
XII l’idea di un Concilio, nel 1948 69, affermarono che nella “cella” del
conclave essi avrebbero per primi suggerito a Giovanni XXIII appe-
na eletto di indire il ventunesimo concilio universale della Chiesa 70.
In un’intervista pubblicata dal settimanale “Epoca”, fu chiesto,
tra l’altro, al card. Ottaviani: “Quando Giovanni XXIII ha annunciato
il Concilio, quale è stata la sua reazione?”. Ottaviani rispose:

“Me ne aveva parlato fin dal momento della sua elezione. Anzi, per esse-
re più esatti, fui io che andai a trovarlo nella sua cameretta del conclave,
alla vigilia dell’elezione. Tra l’altro gli dissi: ‘Eminenza, bisogna pensare
a un Concilio’. Il cardinale Ruffini, che assisteva alla conversazione, era
del medesimo avviso. Il cardinale Roncalli fece sua questa idea e più tar-
di ebbe a dire: ‘Ho pensato al Concilio dal momento in cui sono diventato
Papa’. È vero, ha accolto il nostro suggerimento” 71.

Di certo, come ricorda lo storico mons. Hubert Jedin 72, l’ina-


spettato annuncio “fece l’effetto di un colpo di fanfara all’interno e for-
se ancor più all’esterno della Chiesa” 73. La sorpresa fu dei vescovi del
mondo intero, come documenta nel suo libro di interviste ai prota-
gonisti del Concilio Rocco Caporale. Uno di essi, mons. Thomas
Roberts 74, riassume il pensiero della maggioranza: “Non avevo mai
sognato un Concilio e mai incontrato qualcuno che lo avesse sognato” 75.

68
Cfr. Relazione sui primi lavori, cit.; G. F. SVIDERCOSCHI, op. cit., pp. 25-26.
69
Cfr. A. VON TEUFFENBACH, L’annuncio del Concilio, cit., pp. 416-417.
70
Cfr. Deposizione Ottaviani, in Ioannis XXIII. Positio, vol. II/1, p. 238; cfr anche EMI-
LIO CAVATERRA, Il prefetto del Sant’Uffizio, cit., pp. 5-6.
71
CAPRILE, vol. V, p. 702.
72
Hubert Jedin (1908-1980), tedesco, ordinato nel 1924, storico della Chiesa, profes-
sore alle università di Breslavia e Bonn, fu nominato nel 1962 esperto al Concilio.
73
HUBERT JEDIN, Il Concilio Vaticano II sotto il profilo storico, conferenza tenuta in più
luoghi tra il 1959 e il 1962, ora in Chiesa della fede, Chiesa della storia, tr. it. Morcellia-
na, Brescia 1972, p. 108.
74
Thomas Roberts (1893-1976), inglese, ordinato nel 1925 nella Compagnia di Gesù,
arcivescovo di Bombay (1937-1950), poi di Sugdaea (1950-1970).
75
Cit. in WILDE, p. 13.
VERSO IL CONCILIO 125

Al vescovo di Jacarezinho, mons. de Proença Sigaud, la notizia


giunse nel corso di una Settimana di Studi anticomunisti promos-
sa a San Paolo dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Mons. Sigaud,
appresa la notizia dal giornale, si rivolse al prof. de Oliveira con
queste parole: “Bene, vero, Plinio, la convocazione di un Concilio”. Pli-
nio: “Dom Sigaud trasecolo: sono gli Stati Generali della Chiesa! È l’ini-
zio della Rivoluzione nella Chiesa”. “No – replicò Sigaud – il Papa riu-
scirà a cambiare le teste di tutti i vescovi e andrà a finire tutto bene. Non
succederà niente!” 76.

d) Che cosa significa concilio “ecumenico”?

Fin dall’inizio il Concilio Vaticano II fu qualificato come “ecu-


menico”. Ma cosa significava questo termine? L’esistenza di un
movimento “ecumenico”, di origine protestante, poteva suggerire
l’idea di un grande concilio “unionista”, come era stato quello di
Firenze del 1439. “Ma è fuori di ogni dubbio – affermava Jedin, alla
vigilia dell’apertura – che fin dall’inizio il Papa non gli aveva annesso
questo significato. Egli si atteneva semplicemente alla terminologia della
Chiesa, quale risulta fissata nel codice di diritto canonico: e qui il capito-
lo che tratta del Concilio universale si intitola appunto de Concilio Oe-
cumenico” 77.
La Chiesa cattolica intende se stessa come l’unica Chiesa di Cri-
sto e Papa Giovanni non poteva che pensare ad un grande Conci-
lio universale della Chiesa cattolica 78. Nel suo senso logico, il Con-

76
A-IPCO, Riunione del 9 settembre 1989. Uno scambio di battute analogo, rievoca-
to da Jacques Trémolet de Villers, avvenne in quegli stessi giorni in Francia. Mons.
Marcel Lefebvre si rivolse all’amico Jean Ousset (1914-1994), fondatore de la “Cité
Catholique”, con queste parole: “Ho una grande notizia da annunciarle (…) ci sarà un
Concilio!”. “Mi perdoni, monsignore, se non condivido il suo entusiasmo. Secondo me non
è una buona notizia”. “Ma come? Mio caro Ousset, questo Concilio sarà il Concilio della
‘Cité Catholique’!”. “Monsignore, quando il regno vacilla da tutte le parti, non si convoca-
no gli Stati Generali!” (cit. da M. INTROVIGNE, in Jean Ousset e la Cité Catholique. A cin-
quant’anni da Pour qu’il règne, in “Cristianità”, n. 355 (2010), pp. 48-49 (pp. 9-61)).
77
H. JEDIN, Il Concilio Vaticano II, cit., p. 66 (pp. 66-87).
78
A. VON TEUFFENBACH, L’annuncio del Concilio, cit., pp. 434-435; ID., Die Bedeutung des
“subsistit in” (LG 8). Zum Selbstverständnis der katholischen Kirche, Herbert Utz Ver-
lag, Monaco 2002, pp. 184-201.
126 IL CONCILIO VATICANO II

cilio Vaticano II sarebbe stato “ecumenico” perché la Chiesa catto-


lica riconosceva venti concili “ecumenici”, o “generali”, ossia “uni-
versali”. “Il Concilio ecumenico – chiariva il padre Charles Boyer 79
su “L’Osservatore Romano” – ha nella Chiesa cattolica romana una
nozione ben definita: è l’assemblea di tutti i vescovi della Chiesa cattolica
convocati dal Pontefice romano per trattare le questioni riguardanti la fe-
de e i costumi. La sua universalità di fatto è costituita dalla presenza dei
cattolici che sono su tutta la terra: e la sua universalità di diritto consiste
nel fatto che la Chiesa è istituita per raccogliere nel suo seno tutti gli uo-
mini senza eccezione” 80.
Quando, rivolgendosi ai parroci di Roma, Giovanni XXIII affer-
mava di volersi rivolgere alle chiese cristiane, per “dir loro di finire
con le discordie, e tornare insieme senza fare il processo storico minuzio-
so per vedere chi ebbe torto e chi ragione” 81, non intendeva esprimere
dunque una nuova “teologia ecumenica”, ma sottolineare piutto-
sto la nuova fisionomia “pastorale” che avrebbe dovuto avere l’im-
minente Concilio.
Nell’enciclica Ad Petri cathedram del 29 giugno 1959, che può
essere considerata il documento programmatico del suo Pontifi-
cato 82, il Papa chiarì che la Chiesa romana già possiede la sua pie-
na unità 83 e delineò i due scopi principali dell’imminente Concilio
in questi termini: “ut ad catholicae Fidei incrementum et ad rectam cri-
stiani populi morum renovationem deveniatur” 84: incremento della fe-
de, dunque, e rinnovamento morale dei costumi del popolo cri-

79
Charles Boyer (1884-1980), gesuita francese, ordinato nel 1916. Professore di teo-
logia alla Gregoriana fino al 1962, fu il fondatore del centro Unitas e della rivista
dallo stesso nome, creata nel 1946. Fu nominato membro del Segretariato per l’u-
nità nel 1960, poi esperto al Concilio nel 1962. Dal 1935 alla morte fu Segretario del-
la Accademia Pontificia S. Tommaso e direttore della rivista “Doctor Communis”.
Cfr. LUIGI BOGLIOLO, Il padre Carlo Boyer s.j., Segretario dell’Accademia di S. Tommaso
dal 1934 al 1980, in “Doctor Communis”, n. 35 (1982), pp. 3-14; H. DE GENSAC-P. DU-
CLOS, Charles Boyer, in DHCJ, pp. 515-516.
80
“L’Osservatore Romano”, 6-7 aprile 1959.
81
CAPRILE, vol. I/1, p. 107; G. F. SVIDERCOSCHI, op. cit., pp. 39 sgg.
82
Alla prima enciclica ne seguirono, tra agosto e novembre, altre tre: la Sacerdoti no-
stri primordia (agosto 1959) sul sacerdozio, nel centenario della morte del santo “Cu-
rato d’Ars”; la Grata recordatio (settembre) dedicata alla recita del Rosario per la mis-
sione per la pace; la Princeps pastorum (novembre) sul tema delle missioni.
83
AAS, 51 (1959), pp. 497-531.
84
GIOVANNI XXIII, DMC, vol. I, p. 818.
VERSO IL CONCILIO 127

stiano, come era nella tradizione di ogni Concilio della Chiesa cat-
tolica. Nell’allocuzione della fase preparatoria del Concilio del 14
novembre, il Papa ribadiva che “nell’epoca moderna più che di un
punto o dell’altro di dottrina e disciplina (…) si tratta di rimettere in va-
lore e in splendore la sostanza del pensare e del vivere umano e cristia-
no, di cui la Chiesa è depositaria e maestra nei secoli” 85.
E se il Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC), per iniziativa
del suo Segretario generale, il pastore olandese W.A. Visser’t
Hooft 86, fin dal 27 gennaio 1959, esprimeva un interesse “partico-
larissimo” per l’accenno di Giovanni XXIII all’unità dei cristiani,
nell’autunno dello stesso anno, il card. Segretario di Stato, Tardi-
ni, dichiarava che non era previsto l’invito al Concilio di comunità
ecclesiastiche non cattoliche, pur non escludendo la possibilità di
ammettere degli “osservatori”. Fu solo nei mesi successivi che il
“movimento ecumenico” riuscì a dare la sua impronta al Concilio.

e) Mons. Pericle Felici, Segretario generale del Concilio

Il 16 maggio 1959, Giovanni XXIII istituì una Commissione an-


tipreparatoria 87, presieduta dal cardinale Segretario di Stato Tardi-
ni, a cui affidò il compito di organizzare l’imminente Concilio. Al-
la segreteria dell’organismo fu chiamato mons. Pericle Felici 88, un
giurista di 48 anni, che nella Storia del Concilio di Alberigo viene de-
finito “un oscuro uditore della Rota” 89. Nato a Segni in Ciociaria,
mons. Felici era stato ordinato sacerdote, a soli 22 anni, con ecce-
zionale dispensa largita da Pio XI e dopo aver brillantemente com-

85
“L’Osservatore Romano”, 15 novembre 1959.
86
Willem Visser’t Hooft (1900-1985), pastore olandese, fu il primo Segretario del
Consiglio Ecumenico delle Chiese, (1948-1966). Cfr. W. A. VISSER’T HOOFT, Pionnier
de l’oecuménisme Genève-Rome. Textes présentés par Jacques Maury, Cerf, Parigi 2001.
87
Cfr. AD, I-I, pp. 22-23.
88
Pericle Felici (1911-1982), ordinato nel 1933, arcivescovo titolare nel 1960, creato
cardinale nel 1967, poi presidente del Pontificio Consiglio dei Testi di Legge (1967)
e prefetto del Tribunale supremo della Segnatura Apostolica (1977). Cfr. RICCARDO
BURIGANA, Pericle Felici, in DBI, 46 (1966), pp. 69-74. Sul suo ruolo in Concilio, cfr.
Actes et acteurs, pp. 301-313; GROOTAERS, I protagonisti, pp. 115-133.
89
G. ALBERIGO, L’annuncio del Concilio. Dalle sicurezze dell’arroccamento al fascino della
ricerca, in SCV, vol. I, p. 62 (pp. 19-70).
128 IL CONCILIO VATICANO II

pletato gli studi di Diritto, a 27 anni era stato scelto come rettore
del Pontificio Seminario Romano per gli Studi giuridici. Dal 1943
insegnava teologia morale all’Ateneo Lateranense e nel 1947 era
stato nominato Uditore della Sacra Rota. Fin dall’inizio, malgrado
affiorassero divergenze con il suo collaboratore, Tardini preferì la-
sciare l’iniziativa al più giovane Felici, che era anch’egli un uomo
dalla forte personalità e che condusse i lavori con mano sicura. La
sua attività di Segretario generale del Concilio era destinata a in-
fluenzare in modo determinante il corso degli avvenimenti 90.
Il 18 giugno 1959 il card. Tardini inviò una lettera a tutta la ge-
rarchia cattolica chiamata di diritto a far parte del Concilio ecume-
nico (cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi residenziali e titola-
ri, abati e prelati nullius, vicari e prefetti apostolici), nonché ai supe-
riori generali degli ordini religiosi esenti e delle Congregazioni non
esenti, ai dicasteri della Curia romana e alle facoltà teologiche delle
università cattoliche, chiedendo loro di far pervenire “pareri, consigli
e voti che la sollecitudine pastorale e lo zelo delle anime possano suggerire
a Vostra Eccellenza in ordine alle materie e gli argomenti che potranno es-
sere discussi nel prossimo concilio” 91. La consultazione sollecitava 2700
persone e 62 comunità e istituzioni. Una tale procedura, nota Phi-
lippe Levillain, costituiva un “ribaltamento democratico”, nella pre-
parazione del Concilio, rispetto ai metodi utilizzati nell’organizza-
zione del Vaticano I 92. Il Concilio precedente infatti aveva stabilito

90
Cfr. GROOTAERS, I protagonisti, pp. 115-132. Componevano la Commissione anti-
preparatoria i segretari di sette Congregazioni romane: Propaganda Fide (Pietro Si-
gismondi), degli Affari Ecclesiastici Straordinari (Antonio Samoré), della Disciplina
dei Sacramenti (Cesare Zerba), del Concilio (Pietro Palazzini), dei Religiosi (Arca-
dio Larraona), dei Seminari ed Università (Dino Staffa); il Pro-segretario dei Riti
(Enrico Dante), gli assessori della Concistoriale (Giuseppe Ferretto) e della Congre-
gazione per le Chiese Orientali (Acacio Coussa) e il commissario del Sant’Uffizio
(Paul Philippe). Il loro compito era quello di raccogliere i documenti per la “prepa-
razione prossima” dei lavori conciliari, tracciare le linee generali degli argomenti da
trattare, suggerire la composizione dei diversi organi destinati a curare nel dettaglio
la preparazione dei lavori. Questa gravosa attività si sviluppò lungo undici mesi,
tra il maggio 1959 e l’aprile 1960, articolandosi in cinque sedute.
91
E. FOUILLOUX, La fase antepreparatoria (1959-1960). Il lento avvio dell’uscita dall’iner-
zia, in SCV, vol. I, pp. 107-108 (pp. 71-176).
92
PHILIPPE LEVILLAIN, La mécanique politique de Vatican II. La majorité et l’unanimité dans
un concile, prefazione di René Rémond, Beauchesne, Parigi 1975, p. 37.
VERSO IL CONCILIO 129

una procedura per cui era il Papa che poneva le questioni al Conci-
lio, lasciando ai vescovi solo la possibilità di esprimersi con il voto.
Ora invece il potere di iniziativa era di fatto trasferito ai vescovi di
tutto il mondo, che non avrebbero mancato di farne uso.
Il 14 luglio Giovanni XXIII comunicò al cardinale Tardini che il
nome del prossimo Concilio sarebbe stato Vaticano II. Si sarebbe
trattato dunque di un Concilio nuovo e non di una ripresa e com-
pletamento del Vaticano I.

5. Giovanni XXIII e i “segni del soprannaturale” nella Chiesa

a) “Fatima non riguarda gli anni del mio Pontificato”

Giovanni XXIII passò il mese di agosto del 1959 a Castel Gan-


dolfo. Qui, il 17 del mese, secondo la testimonianza del Segretario
Capovilla 93, che era presente 94, il Papa ricevette dalle mani di pa-
dre Paul Philippe 95, commissario del Sant’Uffizio, il plico sigillato
che conteneva il Terzo Segreto di Fatima. “Disse che l’avrebbe aperto
e letto alla presenza del suo confessore mons. Cavagna 96, il venerdì suc-
cessivo [21 agosto, n.d.a]. dunque senza fretta. Lesse il memoriale, ma
poiché il testo appariva qua e là astruso per le locuzioni dialettali porto-
ghesi, se lo fece tradurre da monsignor Paolo Tavares 97, minutante della
Segreteria di Stato (poi vescovo di Macao). Io ero presente. Ne furono fat-
ti partecipi, i capi della Segreteria di Stato e del Sant’Uffizio e altre per-
sone, ad esempio il cardinale Agagianian” 98.

93
Loris Capovilla, nato nel 1915, ordinato nel 1940, fu Segretario particolare di Gio-
vanni XXIII e poi esperto al Concilio nel 1964. Vescovo di Chieti dal 1967 al 1971.
94
Giovanni XXIII nel ricordo del Segretario Loris F. Capovilla, cit., pp. 113-117.
95
Paul Philippe (1905-1984), domenicano francese, ordinato nel 1932. Membro del
Sant’Uffizio dal 1955 al 1959, poi Segretario della Congregazione dei Religiosi.
Membro della Commissione antepreparatoria. Consacrato vescovo nel 1962, fu no-
minato membro della Commissione dei Religiosi durante la prima sessione. Creato
cardinale nel 1973, pro-prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali dal
1973 al 1980.
96
Alfredo Maria Cavagna (1879-1970), ordinato nel 1902, vescovo di Tio nel 1962.
97
Paulo José Tavares (1920-1973), portoghese, ordinato nel 1943, vescovo di Macao
(Cina) dal 1961 fino alla morte.
98
Giovanni XXIII nel ricordo del Segretario Loris F. Capovilla, cit., p. 115.
130 IL CONCILIO VATICANO II

Il messaggio, rivelato ai pastorelli di Fatima, che come ha scrit-


to il card. Bertone “è senza dubbio la più profetica delle apparizioni mo-
derne” 99, consta di tre parti distinte. La prima è la drammatica vi-
sione dell’inferno, in cui cadono moltissime anime.

“La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sot-
to terra. Immersi in quel fuoco vedemmo i demoni e le anime, come se fos-
sero braci trasparenti e nere o brunite, di forma umana, che ondeggiava-
no nell’incendio sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stessi insie-
me a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti – simili al cadere delle scin-
tille nei grandi incendi – senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di do-
lore e di disperazione che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I de-
moni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spa-
ventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un mo-
mento. E grazie alla nostra buona Madre Celeste, che prima ci aveva pre-
venuti con la promessa di potarci in cielo! Altrimenti credo che saremmo
morti di spavento e di terrore” 100.

Nella seconda parte, la Madonna profetizza la fine del primo


conflitto mondiale, lo scoppio di una nuova guerra e la diffusione
del comunismo se il mondo non si convertirà, ma anche il rimedio
per salvare l’umanità: la devozione al suo Cuore Immacolato.

“In seguito alzammo gli occhi alla Madonna che ci disse con bontà e tri-
stezza: ‘Avete visto l’inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori.
Per salvarle, Dio vuole istituire nel mondo la devozione al mio Cuore
Immacolato.
Se farete quello che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà la pace.
La guerra sta per finire, ma se non smetteranno di offendere Dio, nel re-

99
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima, LEV, Città del
Vaticano 2000, Presentazione p. 3. Il documento della Congregazione per la Dottri-
na della Fede riporta le tre parti del “segreto” nella redazione fattane da suor Lu-
cia, una presentazione del Segretario della Congregazione, mons. Tarcisio Bertone
s.d.b., e un commento teologico alla terza parte del “segreto” del prefetto della Con-
gregazione, card. Joseph Ratzinger.
100
Prima e seconda parte del “segreto” nella redazione fattane da Suor Lucia nella “terza me-
moria” del 31 agosto 1941, destinata al vescovo di Leiria-Fatima, in CONGREGAZIONE PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima, cit., pp. 15-16.
VERSO IL CONCILIO 131

gno di Pio XI ne comincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una notte


illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segnale che
Dio vi dà del fatto che si appresta a punire il mondo per i suoi crimini, per
mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo
Padre.
Per impedire tutto questo, sono venuta a chiedere la consacrazione della
Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sa-
bati. Se accetteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e vi sarà pa-
ce, altrimenti essa diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guer-
re e persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre
dovrà soffrire molto, diverse nazioni saranno annientate; infine il mio
Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che
si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace’” 101.

La terza parte del messaggio è una visione misteriosa in cui il


Papa, vescovi, religiosi e religiose e semplici laici trovano dram-
maticamente la morte.

“Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di No-
stra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella
mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero in-
cendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra
Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui; l’Angelo indicando la
terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza! Penitenza! Peni-
tenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a
come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un
Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il
Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una
montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi
grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di
arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo
con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei
cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, pro-
strato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo
di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stes-

101
Prima e seconda parte del “segreto”, cit., p. 16.
132 IL CONCILIO VATICANO II

so modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e reli-
giose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni.
Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffia-
toio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e
con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio” 102.

Di quest’ultima parte, che fu resa pubblica dalla Santa Sede so-


lo il 26 giugno 2000, si attendeva la rivelazione nel 1960. Negli Sta-
ti Uniti, l’Armata Azzurra 103 aveva lanciato una intensa campagna
centrata sulla imminente rivelazione del Terzo Segreto e c’era una
grande attesa dell’evento nell’opinione pubblica e nei mass-media.
Il mondo attraversava una difficile ora storica. L’annuncio di
Giovanni XXIII di voler riunire i vescovi del mondo in un Concilio
era stato preceduto di poche settimane dall’ingresso delle truppe di
Fidel Castro a L’Avana. La Rivoluzione cubana aveva confermato
l’esistenza di un piano di espansione mondiale dell’imperialismo
comunista. Meno di tre anni dopo, con la crisi internazionale tra Sta-
ti Uniti e Unione Sovietica, in seguito alla decisione del Cremlino di

102
Terza parte del “segreto”, traduzione dall’originale, in CONGREGAZIONE PER LA DOT-
TRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima, cit., p. 21. Sul contenuto del Terzo segreto è
in corso una controversia di cui sono espressione il libro di ANTONIO SOCCI, Il quar-
to segreto di Fatima, Rizzoli, Milano 2006, e il testo del card. T. BERTONE con GIUSEPPE
DE CARLI, L’ultimo segreto di Fatima, Eri-Rizzoli, Milano 2006 e ID., L’ultima veggente
di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia, Rizzoli, Milano 2007. Per un punto equili-
brato sulla questione, si veda: A. A. BORELLI MACHADO, Riflessioni amichevoli per chia-
rire una polemica, in “Lepanto”, n. 174 (2007), pp. 2-24.
103
L’Armata Azzura (Blue Army) era sorta nel 1947 nella Diocesi di Newark
(USA) per opera di un sacerdote, padre Harold Colgan che, gravemente infermo,
ritrovandosi, il giorno seguente, completamente ristabilito, venne a conoscere da
una rivista il Messaggio della Madonna a Fatima. Iniziò così ad organizzare la
diffusione del Messaggio e la “peregrinatio” della statua di una Madonna di Fa-
tima. L’iniziativa cominciò a diffondersi negli Stati Uniti e nel mondo anche per
l’opera di un laico fervente, il giornalista-scrittore John Mathias Haffert (1915-
2001), che tramite la rivista “Soul” e i pellegrinaggi a Fatima, fece conoscere il
Movimento ovunque, tanto che il 13 maggio 1950 il padre Colgan portava a Fa-
tima un microfilm che riportava i nomi del milione di iscritti raccolti fino allora.
Dopo numerosi pellegrinaggi realizzati dall’Italia a Fatima prese corpo l’idea di
una “peregrinatio” della Immagine della Madonna di Fatima attraverso i capo-
luoghi delle province italiane, per concludersi a Catania, in occasione del Con-
gresso eucaristico nazionale, con la consacrazione dell’Italia al Cuore Immacola-
to di Maria, il 13 settembre 1959.
VERSO IL CONCILIO 133

installare i suoi missili a Cuba, il mondo si sarebbe trovato sull’orlo


di una guerra nucleare. A chi professava un ingiustificato ottimismo
sul corso degli eventi storici, il messaggio di Fatima ricordava la tra-
gedia del momento e indicava la strada per affrontarla. La lettura
del testo non scosse però Giovanni XXIII, che si limitò a dettare a
mons. Capovilla una nota attestante “che il Papa aveva preso visione del
contenuto e rimetteva ad altri – al suo successore? – l’incombenza di pro-
nunciarsi” 104. Il padre Alonso, massimo esperto di Fatima, che lo sep-
pe probabilmente da qualcuno dei presenti a Castelgandolfo, rac-
conta che, dopo avere letto il messaggio, il Papa commentò: “Non ri-
guarda gli anni del mio pontificato” 105. La consegna delle autorità ec-
clesiastiche fu quella trasmessa da padre Giovanni Caprile su “Ci-
viltà Cattolica”: “Non terrori, né allarmismi, non ‘senzazionalismo’, né
curiosità morbosa” 106. Le ragioni per cui Papa Roncalli giudicò di rin-
viare la diffusione del testo sono evidenti: c’era un contrasto stri-
dente tra la “profezia di sventura” del Messaggio di Fatima e il pro-
fetismo ottimista del nuovo Pontefice, che inaugurava il Concilio
Vaticano II 107. L’esistenza di questo contrasto tra due “linee profeti-
che” contribuisce a comprendere gli eventi degli anni successivi.
Il 13 settembre dello stesso anno, l’Italia venne consacrata al
Cuore Immacolato di Maria nel corso di una solenne cerimonia,
che si svolse a Catania alla presenza di 300.000 fedeli accorsi da
tutta la penisola. In quest’occasione giunse dal Portogallo e
toccò 150 città italiane, in un clima di straordinario fervore, la

104
Giovanni XXIII nel ricordo del Segretario Loris F. Capovilla, cit., p. 115.
105
J. M. ALONSO c.f.m., La vérité sur le secret de Fatima, Téqui, Parigi 1979, p. 106. Cfr.
anche M. DE LA SAINTE TRINITÉ, Toute la vérité sur Fatima, cit., pp. 371-382; FRANÇOIS-
MARIE DES ANGES, Fatima, joie intime. Évenement Mondial, Contre-Réforme Catholi-
que, Parres-les-Vaudes 1991, pp. 295 e sgg.
106
G. CAPRILE s.j., Fatima e il suo “segreto” non svelato, in “Civiltà Cattolica”, q. 2640
(1960), pp. 614-618. Giovanni Caprile (1917-1993) della Compagnia di Gesù, redat-
tore alla “Civiltà Cattolica” dal 1953 alla morte, cronista del Concilio su questa ri-
vista. Cfr. *** In ricordo del padre Giovanni Caprile, in “Civiltà Cattolica”, q. 3430
(1993), pp. 365-368.
107
Lo storico Giorgio Rumi, che approvò la scelta di Giovanni XXIII, ne attestò il
mancato profetismo con queste parole: “Oggi noi sappiamo che il comunismo sarebbe
caduto. Ma allora Roncalli non poteva certo prevederlo, anzi, il comunismo era fortissimo”
(Intervista di PAOLO CONTI, Gli intellettuali cattolici: Giovanni XXIII fece bene a non di-
vulgare il segreto, in “Corriere della Sera”, 14 maggio 2000).
134 IL CONCILIO VATICANO II

statua della Madonna pellegrina di Fatima 108. Nel suo radiomes-


saggio, Giovanni XXIII non fece alcun accenno né a Fatima né al
suo segreto 109.

b) Giovanni XXIII e Padre Pio

Lo storico cristiano non può ignorare le manifestazioni divine


nelle vicende umane. Il soprannaturale non si manifesta solo nelle
apparizioni o visioni straordinarie, ma anche nella vita ordinaria
dei santi, che costituisce una delle principali espressioni della pre-
senza di Dio nella storia. “Nella sua infinita giustizia e misericordia –
scrive dom Guéranger – Dio elargisce santi alle varie epoche, oppure de-
cide di non concederli in modo che, se è lecito esprimersi in tal modo, è ne-
cessario consultare il termometro della santità per saggiare la condizione
di normalità di un’epoca o di una società” 110. Il XX secolo, rispetto ad al-
tre epoche, fu avaro di santi. E tuttavia una figura carismatica sem-
brò riassumere in sé una larga parte dei doni straordinari di cui il
suo tempo fu privo. Questa figura è quella di padre Pio da Pietrel-
cina 111, lo stigmatizzato di san Giovanni Rotondo, attorno a cui si
formò una rete di gruppi di preghiera sparsi in tutte le nazioni.
Lo stigmatizzato di Pietrelcina subì incomprensioni e calunnie,
per le quali dovette subire umilianti ispezioni canoniche. Tra di es-
se vi fu quella promossa da Giovanni XXIII, che dal 13 luglio al 2

108
Una delle ultime tappe dell’itinerario della Madonna pellegrina fu S. Giovanni
Rotondo, dove giunse il 5 agosto 1959 e padre Pio, che in quel momento era grave-
mente malato, ritrovò improvvisamente le sue forze. Cfr. Y. CHIRON, Padre Pio le stig-
matisé, Perrin, Parigi 1991, pp. 254-260.
109
Cfr. Radiomessaggio a chiusura del XVI Congresso Eucaristico nazionale, in
DMC, vol. I, pp. 432-437.
110
P. GUÉRANGER o.s.b., Le sens chrétien de l’histoire, in Essai sur le naturalisme contem-
porain, Editions Delacroix, s.l. 2004, p. 377 (pp. 365-402).
111
San Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione (1887-1968), emise nel 1907 i
voti solenni nell’ordine cappuccino con il nome di Pio e ordinato nel 1910, fu desti-
nato nel 1916 al convento di San Giovanni Rotondo, dove nel 1918 ricevette le stim-
mate visibili della Passione di Cristo che restarono aperte e sanguinanti per ben cin-
quant’anni. Fu beatificato (1999) e canonizzato (2002) da Giovanni Paolo II. Su di
lui, cfr. Sipontina Beatificationis et canonizationis Servi Dei Pii a Pietrelcina Positio Super
Virtutibus, vol. I/1, Città del Vaticano 1997.
VERSO IL CONCILIO 135

ottobre 1960 inviò, come visitatore apostolico a San Giovanni Ro-


tondo, mons. Carlo Maccari 112, allora Segretario del Vicariato di Ro-
ma. Quel periodo sarà ricordato come quello di più dura persecu-
zione nei confronti del santo di Pietrelcina 113. Sorprende la diffi-
denza di Papa Roncalli, soprattutto nei confronti di un movimen-
to che raccoglieva intorno a padre Pio folle di fedeli.
Nel 1971 il postulatore della causa di beatificazione di Padre
Pio, padre Bernardino da Siena, si rivolse a mons. Capovilla per
conoscere quale era stato il pensiero di Giovanni XXIII su padre
Pio. La risposta fu elusiva 114. Dalla documentazione processuale
della Positio emerge la sostanziale incomprensione da parte di Gio-
vanni XXIII, per la figura spirituale di padre Pio da Pietrelcina 115,
poi beatificato e canonizzato da Giovanni Paolo II.

6. I “vota” dei Padri conciliari

a) Come i “cahiers de doléance” della Rivoluzione francese

Nell’estate del 1959 giunsero, in forma di “vota”, le risposte dei


vescovi, dei superiori degli ordini religiosi e delle università catto-
liche alla richiesta di pareri del card. Tardini. Lo spoglio dell’enor-
me materiale, iniziò nel mese di settembre e si concluse alla fine
del gennaio 1960. Le circa 3.000 lettere pervenute costituiscono la

112
Carlo Maccari (1913-1997), ordinato nel 1936, vescovo di Emmaus nel 1961, arci-
vescovo di Mondovi nel 1963, di Ancona e Numana nel 1968, vescovo di Osimo e
Cingoli nel 1972.
113
Cfr. FRANCOBALDO CHIOCCI, I nemici di Padre Pio, Edizioni Reporter, Roma 1968;
MARCO TOSATTI, Quando la Chiesa perseguitava Padre Pio, Piemme, Casale Monferra-
to 2005. La visita canonica avvenne su richiesta del padre Clemente da Milwaukee,
superiore generale dell’Ordine dei Cappuccini, coinvolto dal fallimento del ban-
chiere Giovanni Battista Giuffré. L’intermediario tra i cappuccini contrari a padre
Pio (che collocarono i microfoni nel parlatorio del convento) e il Sant’Uffizio fu il
sacerdote romano don Umberto Terenzi (1900-1974), dal 1932 rettore del Santuario
del Divino Amore.
114
Cfr. Servi Dei Pii a Pietrelcina Positio, cit., pp. 329-243.
115
Cfr. Ivi, pp. 243-251. Cfr. anche il libro tendenzioso, ma ben documentato di SER-
GIO LUZZATTO, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Einaudi, Torino
2007, pp. 364-387. Contra: FABRIZIO CANNONE, Padre Pio: lettura critica di una lettura
critica, in “Nova Historica”, n. 9 (2010), pp. 152-169.
136 IL CONCILIO VATICANO II

materia di otto volumi degli Acta et documenta concilio Vaticano II


apparando 116.
Un attento esame dei vota permette oggi allo storico, come per-
metteva allora al Papa, alla Curia e alla Commissione preparatoria,
di avere un quadro dei “desiderata” dell’episcopato mondiale alla
vigilia del Concilio.
Le richieste dei futuri Padri conciliari, considerate nel loro in-
sieme, non esprimono il desiderio di una svolta radicale, e tanto-
meno di una “Rivoluzione” all’interno della Chiesa 117. Se le ten-
denze antiromane di alcuni episcopati affiorano nettamente in al-
cune risposte come quelle del card. Alfrink 118, arcivescovo di Utre-
cht, in generale gli auspici dei padri sono quelli di una moderata
“riforma” sulla linea della tradizione. La maggioranza dei vota
chiedeva una condanna dei mali moderni, interni ed esterni alla
Chiesa, soprattutto del comunismo, e nuove definizioni dottrina-
rie, in particolare riguardanti la Beata Vergine Maria. Nei voti del-
l’episcopato britannico, ad esempio, è presente la denuncia dei ma-
li della società contemporanea, ma mancano istanze di radicale
riforma 119; tra gli stessi vescovi francesi, considerati tra i più pro-
gressisti, molti domandavano la condanna del marxismo e del co-
munismo e una consistente minoranza chiedeva la definizione del
dogma della mediazione di Maria 120. Anche per quanto riguarda i

116
La raccolta dei vota è pubblicata in Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II
apparando – Series I (Antepraeparatoria), cit. Sui 2.594 futuri Padri conciliari, risposero
1.988, cioè il 77% (cfr. E. FOUILLOUX, La fase ante-preparatoria (1959-1960), cit., pp. 112-113).
117
Un esame complessivo dei Vota in A la veille du Concile Vatican II, cit., nonché Le
deuxième Concile du Vatican, pp. 101-177. Per i presuli italiani, cfr. MAURO VELATI, I
“consilia et vota” dei vescovi italiani, in A la veille du Concile Vatican II, cit., pp. 83-97;
ROBERTO MOROZZO DELLA ROCCA, I “voti” dei vescovi italiani per il Concilio, in Le deuxiè-
me Concile du Vatican, pp. 119-137.
118
AD, I-II/2, pp. 509-516. Bernard Jan Alfrink (1900-1987), olandese, ordinato nel 1924,
arcivescovo di Utrecht dal 1955, creato cardinale nel 1960, membro della Commissio-
ne preparatoria e del Consiglio dei presidenti. Cfr. FABRIZIO DE SANTIS, Alfrink, il cardi-
nale d’Olanda, Longanesi, Milano 1969; ANTONIUS HENDRIKUS MARIA VAN SCHAIK, Al-
frink. Een biografie, Authos, Amsterdam 1997. Sul suo ruolo al Concilio, cfr. Actes et Ac-
teurs, pp. 522-553.
119
Cfr. SOLANGE DAYRAS, Les voeux de l’épiscopat britannique. Reflets d’une église minori-
taire, in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 139-153.
120
Cfr. YVES-MARIE HILAIRE, Les voeux des évêques français après l’annonce du Concile, in
Le deuxième Concile du Vatican, p. 102 (pp. 101-117).
VERSO IL CONCILIO 137

vescovi belgi, Claude Soetens, che ne ha esaminato i “vota”, sotto-


linea “il carattere assai deludente” delle loro proposte “che erano poco
suscettibili di provocare un vero rinnovamento ecclesiale”, conferman-
do l’impressione di coloro che hanno rilevato la differenza tra le ri-
sposte dei vescovi alla consultazione del 1959 e il loro successivo
atteggiamento durante il Concilio 121.
I vescovi italiani, i più numerosi, avrebbero voluto che il Con-
cilio proclamasse il dogma della “mediazione universale della Bea-
ta Vergine Maria” 122. Il secondo dogma di cui richiedevano la de-
finizione era quello sulla Regalità di Cristo, da opporre al laici-
smo imperante 123. Molti inoltre chiedevano al Concilio la con-
danna degli errori dottrinali: 91 avrebbero voluto vedere reitera-
ta quella del comunismo, 57 si esprimevano contro l’esistenzia-
lismo ateo, 47 contro il relativismo morale, 31 contro il materia-
lismo, 24 contro il modernismo 124. “Nelle migliaia di lettere giunte
a Roma da tutto il mondo – rileva Giovanni Turbanti – il comunismo
appariva come l’errore più grave che il Concilio avrebbe dovuto con-
dannare. Ben 286 vescovi ne parlavano. A questi vanno aggiunti i nu-
merosi riferimenti al socialismo, al materialismo, e all’ateismo” 125. An-
che nel Rapporto sintetico, che riassume nazione per nazione i vo-
ta dei vescovi ed era stato elaborato dalla segreteria generale
delle Commissioni preparatorie, il comunismo figurava come
l’errore che il Concilio avrebbe dovuto condannare prima di
ogni altro 126.
È interessante l’analogia tra i “vota” dei Padri conciliari e i
Cahiers de doléance redatti in Francia, in vista degli Stati Generali

121
Cfr. C. SOETENS, Les “vota” des évêques belges en vue du Concile, in A la veille du Con-
cile Vatican II, cit., p. 49 (pp. 38-52).
122
Cfr. R. MOROZZO DELLA ROCCA, I “vota” dei vescovi italiani, cit., p. 127.
123
Cfr. Ivi.
124
Cfr. Ivi, pp. 119-137.
125
G. TURBANTI, Il problema del comunismo al Concilio Vaticano II, in Vatican II in Mo-
scow, p. 149 (pp. 147-187).
126
Ivi, p. 150. Vanno segnalati i voti delle università cattoliche, come quello dell’A-
teneo De Propaganda Fide di Roma, che presenta un lungo e approfondito studio del
padre stimmatino Cornelio Fabro sulle origini e la natura dell’ateismo contempo-
raneo (Cfr. De atheismo positivo seu constructivo ut irreligiositatis nostri temporis fonda-
menta, AD, I-I/1, pp. 452-463).
138 IL CONCILIO VATICANO II

del 1789. Prima della Rivoluzione francese, nessun “cahier de


doléance” si proponeva di sovvertire le basi dell’Ancien Régime, e in
particolare la Monarchia e la Chiesa. “Nessun cahier – sottolinea lo
storico Armando Saitta – fu redatto come se gli Stati Generali dovesse-
ro avere il compito di annullare ogni potere preesistente e di crearlo o ri-
crearlo ex-novo” 127. Ciò che veniva richiesta era una moderata rifor-
ma delle istituzioni, non il loro sovvertimento, come accadde ina-
spettatamente, quando si riunirono gli Stati generali. Anche nel ca-
so del Vaticano II, conclude padre O’Malley, “in generale le risposte
richiedevano un rafforzamento dello status quo, una condanna dei mali
moderni, sia all’interno che all’esterno della Chiesa, e altre definizioni di
dottrina, in particolare legate alla Vergine Maria” 128.
Il Concilio non esaudì le richieste che emergevano dai “vota”
dei Padri conciliari, ma assecondò le rivendicazioni di una mino-
ranza che, fin dall’inizio, riuscì a porsi alla testa dell’assemblea e
ad orientarne le decisioni. È quanto emerge inconfutabilmente dai
dati storici.

b) Mons. de Proença Sigaud: il Concilio tra Rivoluzione e Contro-Rivo-


luzione

Tra i vota pervenuti a Roma, ve ne è uno che spicca per l’am-


piezza del quadro che presenta, per i mali che denuncia e per i ri-
medi che propone. È quello del vescovo di Jacarezinho, Geraldo de
Proença Sigaud, che nel 1961 sarebbe stato elevato da Giovanni
XXIII ad arcivescovo di Diamantina. Il testo di mons. Sigaud 129 ri-
vela chiaramente l’ispirazione, e forse la mano stessa, di Plinio
Corrêa de Oliveira, di cui era appena apparso, nel 1959, sul nume-
ro 100 della rivista “Catolicismo”, il testo princeps, Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione 130.

127
ARMANDO SAITTA, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale
(1789-1875), Giuffrè, Milano 1975, p. 3.
128
J. W. O’MALLEY s.j., Introduzione a Vatican II. Did anything happen?, cit., p. 4.
129
AD, I-II/7, pp. 180-195.
130
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Revolução e Contra- Revolução, in “Catolicismo”, n. 100
(aprile 1959), pp. 1-12; tr. it. cit.
VERSO IL CONCILIO 139

Mons. de Proença Sigaud utilizzava, nel suo votum, come


Corrêa de Oliveira, i termini di “Rivoluzione” e “Contro-Rivolu-
zione” nel senso preciso che ad essi avevano dato, a partire dalla
Rivoluzione francese, il Magistero Pontificio e quel fecondo filone
di pensiero cattolico che è stato definito contro-rivoluzionario 131:
uno scontro religioso e morale che affondava le sue radici nel de-
clino della cristianità medievale. È in questa prospettiva che il ve-
scovo brasiliano denunciava la penetrazione dei principi e dello
spirito della cosiddetta “Rivoluzione nel clero e nel popolo cristiano”,
scrivendo.

“Come un tempo i principi, le dottrine, lo spirito e l’amore del paganesi-


mo entrarono nella Società del Medioevo, e causarono le pseudo riforme,
molti del clero non vedono ancora gli errori della Rivoluzione, e ancora
non vi si oppongono. Altri tra il Clero amano la Rivoluzione come prin-
cipio ideale, la diffondono, vi collaborano, osteggiano gli avversari della
Rivoluzione, denigrano ed impediscono il loro apostolato. Molti Pastori
tacciono. Altri hanno abbracciato gli errori e lo spirito della Rivoluzione,
e apertamente e occultamente la favoriscono, come hanno fatto i Pastori
del tempo del Giansenismo. Coloro che accusano e rifiutano gli errori so-
no perseguitati dai colleghi, e vengono chiamati ‘Integralisti’. Dai semi-
nari della stessa Roma tornano seminaristi pieni di idee della Rivoluzio-
ne. Si definiscono ‘maritainisti’, sono ‘discepoli di Theilhard de Chardin’,
‘socialisti cattolici’, ‘evoluzionisti’. Raramente un sacerdote che si oppo-
ne alla Rivoluzione viene elevato all’episcopato; frequentemente coloro che
la favoriscono.

Secondo il vescovo di Jacarezinho, la situazione della Chiesa


cattolica, nel 1959, era già drammatica, a causa delle infiltrazioni
neo-moderniste.

(…) Secondo la mia modesta opinione, se il Concilio vuole ottenere effet-


ti salutari, deve in primo luogo considerare lo stato odierno della Chiesa,
che a similitudine di Cristo, vive un nuovo venerdì santo, consegnata ai
suoi nemici senza difesa, come diceva Pio XII ai giovani italiani. Occorre

131
Cfr. R. DE MATTEI, Il crociato del XX secolo, cit., pp. 151-200, con relativa bibliografia.
140 IL CONCILIO VATICANO II

vedere la battaglia mortale che avviene in ogni campo contro la Chiesa, co-
noscere il nemico, distinguere la strategia e la tattica della battaglia, la
sua logica, vederne chiaramente la psicologia e la dinamica, per interpre-
tare in modo sicuro i singoli scontri, e organizzare il contrattacco e gui-
darlo con sicurezza.
Il nostro nemico implacabile della Chiesa e della Società Cattolica, già da
cinque secoli agisce nello scontro e con un mortifero, lento e sistematico
progresso ha sovvertito e distrutto quasi tutto l’ordine cattolico, cioè la
città di Dio, e si sforza di costruire la città dell’uomo al suo posto. Il suo
nome è rivoluzione. Cosa vuole?
Costruire tutta la struttura della vita umana, la Società e l’Umanità sen-
za Dio, senza la Chiesa, senza Cristo, senza la Rivelazione, poggiandosi
solo sopra la Ragione umana, sopra la sensualità, la cupidigia e la super-
bia. A questo fine è necessario sovvertire, distruggere e soppiantare la
Chiesa fin dalle fondamenta.
Questo nemico ai giorni nostri si trova nella massima attività, infatti è si-
curo della sua vittoria nei prossimi anni. Eppure, molti capi dei cattolici
disprezzano ciò che dico come sogni di una fantasia malsana. Si compor-
tano, come si comportavano gli uomini di Costantinopoli negli anni che
precedettero la sconfitta: ciechi, non vollero vedere il pericolo” 132.

Mons. de Proença Sigaud analizzava quindi le forze anticristia-


ne all’opera: comunismo, massoneria e giudaismo internazionale
(pur condividendo la condanna dell’antisemitismo da parte della
Chiesa), soffermandosi sul ruolo delle passioni disordinate nel
processo rivoluzionario.

“Il processo della Rivoluzione comincia alla fine del Medio Evo, progredi-
sce con la Rinascenza pagana, ha fatto grandi progressi durante la pseudo-
Riforma. Durante la Rivoluzione francese ha distrutto la base politica e so-
ciale della Chiesa, durante l’espugnazione dello Stato pontificio ha ritenu-
to di distruggere la Santa Sede, con la secolarizzazione dei beni religiosi e
delle diocesi ha disperso il patrimonio della Chiesa, con il modernismo ha
creato una gravissima crisi interna, e da ultimo col comunismo ha creato
uno strumento decisivo per estromettere il nome cristiano dalla terra.

132
AD, I-II/7, pp. 181-182.
VERSO IL CONCILIO 141

La grandissima forza della Rivoluzione proviene dal sapiente uso delle


passioni umane. Il comunismo ha creato la scienza della Rivoluzione, e le
sue armi basilari sono: le passioni umane sfrenate incitate con metodo.
La Rivoluzione si serve di due vizi come forze distruttive della società cat-
tolica e costruttive della società atea: la sensualità e la superbia. Queste
passioni disordinate e forti sono dirette in un modo scientifico ad un fine
preciso, e si sottomettono alla disciplina ferrea dei loro dirigenti, per di-
struggere fin dalle fondamenta la città di Dio e costruire la città degli uo-
mini. Accolgono anche la dittatura, sopportano la povertà per costruire
l’ordine dell’Anticristo” 133.

Il vescovo brasiliano stabiliva quindi alcuni principi per con-


trastare questo processo.

“a. La condanna delle dottrine perverse è assolutamente necessaria ma


non è sufficiente.
b. È necessaria una battaglia organizzata contro gli errori e contro i fau-
tori e coloro che propagandano errori. Una tale battaglia organizzata, co-
me un esercito ordinato e metodico, oggi riesce facile per il progresso del-
le comunicazioni con la Santa Sede. Tuttavia il Clero, gli Ordini Religio-
si, le nostre scuole, il laicato non si muovono sistematicamente a batta-
glia. Manca una resistenza organizzata contro le idee e contro le persone.
c. Una battaglia organizzata deve colpire anche le forme larvate di Rivo-
luzione e i suoi errori e lo spirito, che la propagano insieme con il suo spi-
rito. Queste forme in genere hanno due caratteristiche:
1. Sono conseguenze logiche di errori, o espressioni psicologiche di un fal-
so principio, applicate ad un campo molto concreto.
2. I contenuti sono presentati in maniera tale che un fedele meno infor-
mato non coglie la malizia della dottrina.
3. Sebbene non percepisca la malizia della dottrina, il fedele conserva in mo-
do latente e attivo il principio perverso nell’anima, e sensibilmente senza ac-
corgersene si imbeve di questo principio, e dello spirito della rivoluzione” 134.

133
AD, I-II/7, pp. 184-185. Anche per Plinio Corrêa de Oliveira la causa più profon-
da del processo rivoluzionario è una esplosione di orgoglio e di sensualità, che ha
ispirato un lungo sistema di cause ed effetti nelle zone più profonde dell’anima e
della cultura occidentale (Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., passim).
134
AD, I-II/7, p. 185.
142 IL CONCILIO VATICANO II

Il vescovo di Jacarenzinho giudicava necessaria una riedizione


del “Sillabo di Pio IX”, includendovi gli errori del socialismo, e
quelli di Marc Sangnier e del “Sillon” 135; “l’intera eresia sociale di
Maritain” 136, “l’idolatria democratica; gli idoli della Democrazia cristia-
na; gli errori del liturgicismo; gli errori del sacerdozio dei laici dell’A-
zione Cattolica. Gli errori riguardo all’obbedienza, ai voti religiosi; gli
errori del comunismo, riguardo alla proprietà, l’evoluzionismo panteisti-
co, universale” 137.
Nella sua ampia trattativa mons. de Proença Sigaud passava
quindi a descrivere la “strategia da cavallo di Troia” del nemico; in-
dividuava alcuni punti caratteristici di cui esso si serviva per dis-
solvere i principi e la morale cattolica: “la dottrina del male minore”;
l’“adattamento ai non cattolici”; “la collaborazione con i non cattolici”;
il mito della “buona fede”; “il ballo”; “la moda”; i “concorsi di bellez-
za”; “il cinema” passionale; la diffusione dei cattivi libri 138.
Mons. Sigaud auspicava una “scienza della Contro-Rivoluzio-
ne” che aiutasse la Chiesa a colpire gli errori interni ed esterni ad
essa.

“La cospirazione della Rivoluzione è unica ed organica. Tale cospira-


zione deve essere combattuta in un modo e con una azione unitaria ed
organica. (…)
A me sembra che debba essere creata una strategia cattolica e un centro del-
la battaglia metodica contro la rivoluzione in tutto il mondo, ed i cattolici

135
Il Sillon, prima espressione storica del democratismo cristiano, fondato da Marc
Sangnier (1873-1950), fu condannato da san Pio X nel 1906 con la lettera Notre Charge
apostolique del 25 agosto 1910 (in AAS, 2 (1910), pp. 607-633). Cfr. EMMANUEL BARBIER,
Les erreurs du Sillon. Histoire documentaire, Lethielleux, Parigi 1906, e in una prospetti-
va “sillonista” JEAN DE FABRÈGUES, Le Sillon de Marc Sangnier. Un tournant majeur du
mouvement social catholique, Perrin, Parigi 1964.
136
AD, I-II/7, p. 186. “[Una] condanna assolutamente necessaria è quella di Jacques Mari-
tain. I suoi errori hanno causato gravissimi mali alla Chiesa, soprattutto in America latina.
Il clero giovane è rovinato da essi. I danni degli errori del partito ‘Democrazia cristiana’ de-
rivano dalle idee di Maritain. Le agitazioni politiche in America si dicono provocate dai suoi
discepoli. I cattolici dicono: ‘Il Vaticano approva Maritain, infatti è stato ambasciatore del-
la Francia presso la Santa Sede”. I vescovi si dicono “maritainisti”. Nelle Università catto-
liche del Brasile dominano le sue dottrine. Roma tuttavia tace” (ivi, p. 189).
137
AD, I-II/7, p. 186.
138
Ivi, pp. 186-189.
VERSO IL CONCILIO 143

devono essere chiamati a questo. Allora vi sarebbe la speranza dell’aurora


di un vero mondo migliore. È giusto che la stessa Santa Sede diriga questa
‘offensiva’. Gli elementi che nel clero e nel laicato sono stati già provati nel-
la battaglia contro-rivoluzionaria, dovrebbero formare il ‘Campidoglio’ di
questo esercito. Dovrebbe essere creata una vera scienza della guerra con-
trorivoluzionaria, come vi è una scienza della Rivoluzione.
La battaglia cattolica contro i nemici della Chiesa spesso mi sembra una
battaglia dei ciechi contro coloro che vedono. Ignoriamo il fine, il metodo,
la dinamica, la strategia e le armi. (…)
La forza della Santa Sede è immensa. Se i fedeli venissero chiamati a rac-
colta e fossero diretti all’azione in modo energico, chiaro, metodico, con
una vera battaglia mondiale, sotto la guida del Romano Pontefice, il cam-
mino trionfale della Rivoluzione verrebbe interrotto e verrebbe fondato il
regno del Sacratissimo Cuore di Gesù. ‘Riassumere tutto in Cristo’. (…)
Presso molti cattolici è forte la tentazione di trattare il comunismo nello
stesso modo in cui nel secolo scorso era trattato dalla Chiesa il liberalismo,
ed ancora viene trattato nel nostro tempo. (…)
La cooperazione col comunismo avrà sempre come esito la rovina della
Chiesa.
La soluzione delle odierne difficoltà non si trova in primo luogo nelle con-
ferenze internazionali, ma nella nuova cristianizzazione dei costumi. Se
Dio e il suo Cristo venissero posti a fondamento della vita individuale, fa-
miliare e nazionale, le stesse forze della natura richiederebbero soluzioni
naturali, che dovrebbero essere aiutate dall’intelletto e della buona volontà
umana. (…)
Se il Concilio ecumenico presentasse un programma positivo di azione
contro-rivoluzionaria e di costruzione della Cristianità, con le sue parti
concrete, e convocasse a tal fine i cattolici, ritengo che ci sarebbe l’aurora
del Regno del Sacro Cuore di Gesù e dell’Immacolato Cuore di Maria” 139.

139
AD, I-II/7, pp. 191-195. “Col liberalismo – spiegava – la coesistenza è possibile. 1) Il
liberalismo non impediva alla Chiesa la predicazione della sua dottrina, e non la obbligava
a predicare la dottrina liberale. 2) Il liberalismo permetteva la condanna dei suoi errori. Tut-
tavia sotto il regime comunista non accade nessuna di queste due cose”. Invece, “l’opposi-
zione del comunismo contro la Chiesa cattolica è essenziale, radicale, continua, totale” (ivi,
p. 192).
144 IL CONCILIO VATICANO II

7. L’Italia “apre” a sinistra

Alla fase “antipreparatoria” seguì la vera e propria fase prepa-


ratoria del Concilio.
Il Papa, con il motu proprio Superno Dei nutu 140 del 5 giugno, af-
fidò il compito di preparare gli “schemi” di lavoro da sottoporre al
Concilio a dieci Commissioni (teologica; dei Vescovi e del Gover-
no delle Diocesi; per la Disciplina del Clero e del Popolo Cristiano;
dei Religiosi; della Disciplina dei Sacramenti; della Sacra Liturgia;
degli Studi e dei Seminari; per le Chiese Orientali; per le Missioni;
dell’Apostolato dei Laici). Queste Commissioni erano corrispon-
denti, eccetto quella sull’apostolato dei laici, alle Congregazioni
della Curia romana. Furono anche istituiti tre segretariati, uno per
i mezzi di comunicazione, uno per gli aspetti economici e sociali e
uno per l’unione dei cristiani. Una Commissione centrale prepara-
toria costituita da cardinali, vescovi e superiori di ordini religiosi,
avrebbe coordinato e valutato il lavoro delle Commissioni. La
Commissione all’inizio contava 74 membri più il segretario, Peri-
cle Felici, ed era presieduta dal Papa. Tredici cardinali furono no-
minati alla testa delle dieci Commissioni e dei tre Segretariati che
dovevano approntare gli schemi. Il card. König, che all’interno del-
la Commissione centrale rappresentava l’episcopato austriaco, ri-
cordava che la grande maggioranza dei membri della Commissio-
ne non aveva velleità riformatrici, ma era orientata a rappresenta-
re in Concilio i grandi temi della teologia tradizionale 141.
Il 1961 fu quasi interamente occupato dai lavori delle Commis-
sioni e dei Segretariati, che si conclusero l’11 giugno del 1962. Il 13
luglio, tre mesi prima dell’apertura del Concilio, Giovanni XXIII
stabilì che i primi sette schemi fossero inviati a tutti i Padri conci-
liari come base della discussione per le Congregazioni generali.
Il 30 luglio 1961 morì il Segretario di Stato Tardini. La sua scom-
parsa è stata definita “come la seconda morte di Pio XII” 142. Giovanni

140
AD, I-I, pp. 93-99.
141
Cfr. F. KÖNIG, Chiesa dove vai? Gianni Licheni interroga il cardinale Franz König, Bor-
la, Roma 1985, p. 20.
142
C. BARTHE, op. cit., p. 94.
VERSO IL CONCILIO 145

XXIII aveva, fin dalla sua elezione, concordato con Tardini ogni
iniziativa e Tardini lo aveva difeso dalle crescenti pressioni dell’e-
piscopato centro-europeo. Ben più scolorita era la figura del cardi-
nale Amleto Cicognani 143, che gli successe. La Segreteria di Stato
venne di fatto guidata da mons. Angelo Dell’Acqua 144, che molti
consideravano il “rappresentante” a Roma del cardinale Montini,
mentre si accresceva il ruolo del “Segretario particolare” del Papa,
il veneto mons. Loris Capovilla. L’ex prete Carlo Falconi, illustran-
do sull’“Espresso” del 4 marzo 1962 i motivi che avevano spinto il
Papa ad accettare l’apertura a sinistra, attribuì a mons. Capovilla
“buona parte della responsabilità dell’atteggiamento di Giovanni XXIII”:
“Capovilla, infatti, per attestazione generale, è l’uomo di punta della si-
nistra, se non addirittura l’alfiere dell’apertura a sinistra, nello Stato del-
la Città del Vaticano. Lo stesso montiniano Angelo Dell’Acqua lo segui-
rebbe a molte lunghezze” 145.
Nel mese di settembre la stampa sovietica (“Tass”, “Pravda” e
“Isveztija”) diede risalto al radiomessaggio del 10 settembre di
Giovanni XXIII sulla pace 146, commentato da Krusciov come il se-
gno di un cambiamento della politica della Santa Sede nei con-
fronti dei Paesi orientali. In questo clima si inserì il messaggio di
auguri di Krusciov a Giovanni XXIII per il suo 80° compleanno:
un messaggio che ebbe risonanza mondiale e che mostrava la vo-
lontà sovietica di creare stabili relazioni diplomatiche con la San-
ta Sede 147. L’iniziativa degli auguri sembra risalisse a un ecclesia-

143
Amleto Giovanni Cicognani (1883-1973), ordinato nel 1905, fu delegato apostoli-
co negli Stati Uniti per 25 anni (1933-1969). Creato cardinale da Giovanni XXIII, fu
Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali dal 1959 al 1961 e nell’ago-
sto di quest’anno, alla morte del card. Tardini, divenne Segretario di Stato.
144
Angelo Dell’Acqua (1903-1972), ordinato nel 1928. Sostituto della Segreteria di
Stato per gli affari ordinari dal 1952 al 1967, creato cardinale nel 1967 e, l’anno suc-
cessivo, Vicario generale di Roma.
145
Cit. in MARIO TEDESCHI, I pericoli del Concilio, Il Borghese, Milano 1962, pp. 93-94.
Il 22 febbraio 1962, “Il Borghese” diretto da Tedeschi sferrò un duro attacco a mons.
Capovilla, in un articolo firmato con lo pseudonimo “Il bussolante”, intitolato Il po-
tente monsignore.
146
Cfr. GIOVANNI XXIII, DMC, vol. III, pp. 662-666.
147
Cfr. R. BURIGANA, Il Partito comunista e la Chiesa, in Vatican II in Moscow, p. 201 (pp.
188-226).
146 IL CONCILIO VATICANO II

stico romano, mons. Giuseppe De Luca 148, che aveva stabilito un


canale informale, ma diretto, tra Togliatti e il Vaticano 149.
Il 7 dicembre 1958, tre giorni dopo la cerimonia dell’Incorona-
zione, Giovanni XXIII aveva ricevuto il cardinale Giuseppe Siri,
esprimendogli il desiderio di procedere in tempi brevi alla sostitu-
zione dei vertici dell’Azione Cattolica, compreso il suo presidente
Luigi Gedda 150, il principale artefice della vittoria anticomunista del
1948. Contemporaneamente, il Papa decideva di riorganizzare la
Conferenza episcopale italiana (CEI), affidandone a Siri la presiden-
za 151. Il giovane Siri era, come ricorda Gianni Baget Bozzo, “il miglior
teologo della giovane generazione in Italia” 152. La sua visione della Chie-
sa e della società era antitetica a quella del cardinale Montini 153, che
non aveva mai condiviso la visione della politica italiana di Pio XII
154
, con cui pure egli aveva collaborato strettamente come Sostituto
alla Segreteria di Stato. Papa Pacelli, che auspicava una rinascita del-
l’Italia cristiana, non approvava la “aconfessionalità” della Dc dega-

148
Giuseppe De Luca (1898-1962), ordinato nel 1921, tra il 1942 e il 1954 svolse una
funzione di mediatore tra esponenti della Curia e il mondo politico italiano. Su di
lui cfr. voce di GABRIELE DE ROSA in DBI, 38, pp. 347-353.
149
R. BURIGANA, Il Partito comunista e la Chiesa, cit., pp. 200-201; LUISA MANGONI, In
partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca, il mondo cattolico e la cultura italiana del No-
vecento, Einaudi, Torino 1989, pp. 397-398.
150
Luigi Gedda (1902-2000), presidente centrale della Gioventù Italiana di Azione
Cattolica dal 1934 al 1946, poi presidente generale di tutta l’associazione dal 1952 al
1959, fu uno dei principali artefici del successo elettorale della Dc nelle elezioni del
1948, grazie ai “Comitati Civili” da lui organizzati.
151
Cfr. A. RICCARDI, La Conferenza episcopale italiana negli anni Cinquanta e Sessanta, in
AA.VV., Chiese italiane e Concilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e
Paolo VI, Marietti, Genova 1988, pp. 35-59; P. GHEDA, La Conferenza episcopale italia-
na e la preparazione del Concilio Vaticano II, in La PUL e la preparazione del Concilio, a
cura di P. CHENAUX, Atti del Convegno internazionale di studi (Città del Vaticano,
27 gennaio 2000), Mursia, Roma 2001, pp. 99-119.
152
GIANNI BAGET BOZZO, Don Camillo Siri, in “Panorama”, 26 settembre 1993, p.
120.
153
Cfr. P. GHEDA, Siri e Montini, in Siri, La Chiesa, l’Italia, cit., pp. 3-95.
154
Cfr. PIETRO SCOPPOLA, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977; cfr.
anche A. RICCARDI, Chiesa di Pio XII o chiese italiane?, in Le chiese di Pio XII, a cura di
ID., Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 21-52; ID., La Chiesa cattolica in Italia nel secondo do-
poguerra, in G. DE ROSA (a cura di), Storia dell’Italia religiosa. L’età contemporanea, La-
terza, Roma 1995, pp. 335-339; ID., Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, La-
terza, Roma-Bari 2003.
VERSO IL CONCILIO 147

speriana 155, mentre Montini concepiva la Dc come un partito acon-


fessionale e ne approvava il nuovo corso politico 156, appoggiando la
sinistra di Amintore Fanfani, che nel Congresso di Firenze dell’ottobre
del 1959, fece prevalere il principio secondo cui la Dc non avrebbe mai
accettato il sostegno dei partiti di destra. L’apertura ai socialisti si pre-
sentava come un passaggio logicamente conseguente 157.
Fin dai primi anni Cinquanta, mons. Montini, allora Pro-segre-
tario di Stato, in una lunga e animata conversazione con l’arcive-
scovo di Genova, aveva sostenuto “(…) che era fatale un’esperienza
socialista in Italia”. Siri lo aveva duramente contrastato con queste
parole: “Naturalmente se Vostra Eccellenza nel posto in cui si trova, con
la posizione che ha, crede possibile una simile idea e la sostiene, certo tro-
verà persone che la seguiranno, e farà in modo che si verifichi. Però ricordi
che mi troverà sempre sulla sponda contraria” 158.
La CEI, guidata da Siri, aveva un’impostazione diversa anche
da quella della Segreteria di Stato, dove mons. Angelo Dell’Acqua,
appoggiava Fanfani 159, ma convergeva con quella degli ambienti
conservatori della Curia. Il 18 maggio 1960 era uscito su “L’Osser-
vatore Romano” un articolo dal significativo titolo Punti fermi, re-
datto dal card. Ottaviani, con l’assenso di Siri, in cui si rivendica-
va alla gerarchia cattolica il diritto-dovere di guidare i fedeli non
solo sul piano delle idee, ma anche su quello dell’azione politica 160.

155
Cfr. DARIO COMPOSTA, I Cattolici di ieri e di oggi di fronte alla morale politica, in AA.
VV., Questione cattolica e questione democristiana, a cura di DANILO CASTELLANO, CE-
DAM, Padova 1987, pp. 1-98.
156
“La radice maritainista del progetto montiniano lo portava a distinguere tra un partito di
ispirazione cristiana e un partito cattolico confessionale: l’ultima ipotesi non poteva essere
accettata” (N. BUONASORTE, Siri. Tradizione e Novecento, cit., p. 176); cfr. anche G. BA-
GET BOZZO, Maritain e la politica dei cattolici in Italia, in “Renovatio”, n. XI/4 (1976),
pp. 539-548.
157
Fra il 1954 e il 1962, secondo Gianni Baget Bozzo, “(…) si consuma la forma esplici-
ta della Dc quale partito cristiano” (ID., Il partito cristiano e l’apertura a sinistra. La Dc di
Fanfani e di Moro 1954-1962, Vallecchi, Firenze 1977, p. 3).
158
Colloquio del card. Siri con Benny Lai del 12 aprile 1985, in B. LAI, Il Papa non elet-
to, cit., p. 98.
159
Cfr. SANDRO MAGISTER, La politica vaticana e l’Italia 1943-1978, Editori Riuniti, Ro-
ma 1979, pp. 203-204.
160
Si veda: GAETANO QUAGLIARIELLO, Il card. Giuseppe Siri e il quadro politico italiano, in
Siri, la Chiesa, l’Italia, cit., pp. 238-253.
148 IL CONCILIO VATICANO II

Le violenze di piazza, scatenate dal Partito comunista a Genova


nel luglio 1960, costrinsero alle dimissioni il Presidente del Consiglio
Fernando Tambroni, abbandonato dal suo stesso partito. Il governo
Fanfani delle “convergenze parallele” inaugurò, il 26 luglio, la
“svolta” politica a sinistra 161. Si creò da allora, come osserva Gianni
Baget Bozzo, un “doppio linguaggio”: la Dc interpretava la Chiesa
come “elettorato cattolico” e la Chiesa interpretava la Dc come “par-
tito cristiano” 162. Nella formula democristiana era tuttavia la Chiesa
ad essere subordinata alla Dc. Questa si poneva come “guida dell’e-
lettorato cattolico” verso la “maturità” della democrazia politica 163.
Moro, come il socialista Pietro Nenni, riteneva di attingere l’i-
dea delle “riforme di struttura” e della “politica di piano” consi-
derate indispensabili per il passaggio al socialismo, all’enciclica di
Giovanni XXIII, Mater et magistra 164, apparsa il 15 maggio 1961, che,
come ricorda Sandro Magister, venne letta “come un implicito lascia-
passare al guado della Dc verso i lidi del centro-sinistra” 165.
Attorno alla metà del 1961 cadde inoltre l’ostilità al centro-sini-
stra da parte degli Stati Uniti 166. Nel giugno 1961 Kennedy assicurò
Fanfani, in visita a Washington, che la Casa Bianca avrebbe segui-
to con “prudente simpatia” la svolta italiana 167. “I tentativi di bloccare
l’operazione fatti dal presidente della CEI, card. Siri, caddero nel vuoto.
Moro si rivolse direttamente al Pontefice, scavalcando l’episcopato italia-
no e ottenendone un assenso di massima” 168. Nel discorso del 27 gen-
naio 1962, Moro teorizzò l’autonomia e la aconfessionalità del par-

161
Cfr. LUCIANO RADI, La Dc da De Gasperi a Fanfani, Rubbettino, Soveria Mannelli
2005, e VINCENZO LA RUSSA, Amintore Fanfani, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.
162
Cfr. G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit. p. 5.
163
Sull’itinerario della DC, cfr. R. DE MATTEI, Il centro che ci portò a sinistra, Fiducia,
Roma 1994.
164
GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra del 15 maggio 1961, in DMC, vol. III,
pp. 687-752.
165
S. MAGISTER, La politica vaticana, cit., p. 261.
166
Cfr. GIUSEPPE TAMBURRANO, Storia e cronaca del centro-sinistra, Rizzoli, Milano
1990, pp. 74-78; R. DE MATTEI, I padrini dell’Italia rossa, in “Cristianità”, n. 14 (1975),
pp. 8-9.
167
Cfr. ARTHUR M. SCHLESINGER jr., I mille giorni di John F. Kennedy alla Casa Bianca, tr.
it. Rizzoli, Milano 1966, pp. 870-872.
168
Sul rapporto tra Moro e l’episcopato italiano, si veda, tra gli altri, AUGUSTO D’AN-
GELO, Moro, i vescovi e l’apertura a sinistra, Studium, Roma 2005.
VERSO IL CONCILIO 149

tito cattolico, stabilendo l’apertura a sinistra, senza precisarne al-


cun programma 169.

8. Il “partito romano” si schiera

a) La “scuola teologica romana”

La strategia di De Gasperi, che aveva avviato lo spostamento po-


litico dell’Italia verso sinistra, era stata duramente contrastata dal
“partito romano”, termine con cui Andrea Riccardi ha indicato la cor-
rente ecclesiastica che negli anni Cinquanta ebbe il suo interprete più
attivo in mons. Roberto Ronca 170. La carriera ecclesiastica di mons.
Ronca si era svolta parallelamente a quella di mons. Giovanni Batti-
sta Montini, di cui egli aveva preso il posto, come assistente della Fu-
ci e, come nel caso di Siri, la sua visione della Chiesa e della società
era antitetica a quella di Montini, da lui accusato di avere una “sen-
sibilità modernista” 171. A soli 32 anni, Ronca era stato nominato al-
l’importante carica di rettore del Pontificio Seminario Maggiore di

169
Cfr. ANDREA TORNIELLI, Paolo VI. L’audacia di un papa, Mondadori, Milano 2009, p.
261. Tornielli cita un appunto vergato da Fanfani sul suo diario il 27 marzo 1962 in
cui sembra che Giovanni XXIII dia “via libera” al centrosinistra.
170
Roberto Ronca (1901-1977), ordinato nel 1928, nel settembre 1929 fu promosso vi-
ce-rettore del Pontificio Seminario Maggiore di Roma e nel settembre 1933, rettore
dello stesso Seminario. Fu quindi fondatore del movimento civico-politico Unione
Nazionale Civiltà Italica (1946-1955) e nel 1949 della Congregazione religiosa degli
Oblati e delle Oblate della Madonna del Rosario. Nel 1948 fu consacrato arcivesco-
vo titolare di Lepanto. Nel febbraio 1962 fu nominato da Giovanni XXIII ispettore ca-
po dei Cappellani delle Carceri italiane. La sua figura è al centro dello studio di A.
RICCARDI, Il “partito romano”, politica italiana, Chiesa cattolica e Curia Romana da Pio XII
a Paolo VI, Morcelliana, Brescia 2007 (1983), ed è oggetto della ricerca di GIUSEPPE
BRIENZA, Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’opera di
mons. Roberto Ronca, D’Ettoris, Crotone 2008, che tratta soprattutto il suo ruolo negli
anni 1940 e 1950. Si veda anche, a cura di G. BRIENZA, l’operetta dello stesso R. RON-
CA, Lavorare e sacrificarsi per la gloria di Maria, Amicizia Cristiana, Chieti 2010.
171
Cfr. A. RICCARDI, Il “partito romano”, cit., p. 254, che racconta di aver incontrato nel
1975 mons. Ronca e di avergli chiesto un giudizio su mons. Montini, divenuto Pa-
pa Paolo VI. “Lui mi rispose duramente: ‘Montini, salva reverentia – era in quel mo-
mento il Papa – è stato sempre un personaggio sinistro’. Gli domandai, meravigliato di un
giudizio così duro di un vescovo nei confronti del papa, in che senso fosse sinistro e mi ri-
spose laconicamente: ‘nel senso di sinistra e sinistro’” (ivi, p. 257).
150 IL CONCILIO VATICANO II

Roma, formando al sacerdozio, nel corso del suo Rettorato (1933-


1948) centinaia di alunni. Aveva poi promosso e diretto per un de-
cennio (1946-1955) l’“Unione Nazionale Civiltà Italica”, un movi-
mento civico-politico cattolico e anti-comunista, distintosi per il con-
tributo di formazione e propaganda fornito prima, durante e dopo la
campagna elettorale del 18 aprile 1948. A seguito della vittoria del 18
aprile, Ronca fu elevato – il 21 giugno 1948 – alla dignità vescovile
con il titolo di arcivescovo di Lepanto. Negli anni Cinquanta il “par-
tito romano” di Ronca era stato l’espressione organizzata della Curia,
o almeno di quella parte di essa più fedele alle indicazioni di Pio XII.
Attorno alla Curia faceva quadrato una corrente teologica di alto
livello, che aveva la sua voce più autorevole nella rivista “Divini-
tas”, diretta da mons. Antonio Piolanti 172, rettore dell’Università La-
teranense 173. Malgrado i suoi rapporti privilegiati con la Lateranen-
se, “Divinitas” accoglieva i contributi dei principali teologi romani
provenienti da diversi ordini religiosi, collegi e università. Molti di
loro erano associati alla Congregazione del Sant’Uffizio e divennero
membri e consultori della Commissione teologica preparatoria del
Concilio 174. Punto di riferimento era per essi la filosofia tomistica 175,
riproposta dalla enciclica Aeterni Patris di Leone XIII e rappresenta-
ta alla Lateranense da docenti di notorietà internazionale, come il

172
Mons. Antonio Piolanti (1911-2001), ordinato nel 1934, fu professore di teologia
nelle Università Urbaniana e Lateranense; di quest’ultima fu rettore dal 1957 al
1969. Vice presidente della Pontificia Accademia S. Tommaso d’Aquino e Postula-
tore della Causa di Beatificazione di Pio IX. Durante la preparazione del Concilio fu
membro della Commissione teologica e successivamente perito conciliare. Cfr. CO-
STANTINO VONA, in PUL, pp. 91-92; ENRICO BINI, Bibliografia degli scritti di mons. An-
tonio Piolanti, in “Divinitas”, n. 34 (2002), pp. I-XXXVI; R. M. SCHMITZ, Prälat Prof.
Dr. Antonio Piolanti (1991-2001). Zu Ehren eines großen Vertreters der Römischen Schu-
le, in “Doctor Angelicus”, n. 2 (2002), pp. 15-24.
173
Poco prima del Concilio, con il motu proprio Cum Inde del 17 maggio 1959, Gio-
vanni XXIII elevò l’Ateneo Lateranense a Pontificia Università. L’Università Late-
ranense, l’“Università del Papa” (cfr. art. 1 del suo Statuto) si avvaleva di due ri-
viste, “Divinitas” (1957) e “Aquinas” (1958), organo comune della Facoltà di Teo-
logia e della Pontificia Accademia Teologica Romana, sotto la direzione di mons.
Antonio Piolanti.
174
Cfr. E. FOUILLOUX, Théologiens romains et Vatican II (1959-1962), in “Cristianesimo
nella storia”, n. 15 (1994), pp. 373-394.
175
“Nessuno che senta cattolicamente può accantonare l’enciclica Aeterni Patris (4 agosto
1879) di Leone XIII. Questa enciclica è intramontabile” (G. SIRI, Ortodossia: cedimenti
compromessi, Lettera pastorale del 7 luglio 1961, in Il primato della verità. Lettere pa-
storali sull’ortodossia, Giardini, Pisa 1984, p. 36).
VERSO IL CONCILIO 151

padre stimmatino Cornelio Fabro 176, e lo stesso Piolanti, promotore


dei congressi internazionali su san Tommaso d’Aquino.
Il numero dei professori del Laterano che prese parte ai lavori
della fase pre-conciliare fu significativo. Lavorarono nella Commis-
sione teologica preparatoria, o in altre Commissioni molti docenti,
tra i quali, oltre al rettore Piolanti e a padre Fabro, mons. Ugo Lat-
tanzi 177, i padri Umberto Betti 178 e Agostino Trapé 179 dell’Istituto Pa-
tristico Medievale, mons. Salvatore Garofalo 180, don Roberto Masi 181,
mons. Francesco Spadafora 182, padre Carlo Boyer ed altri 183.

176
Cornelio Fabro (1911-1995), ordinato nel 1935 nell’ordine degli Stimmatini. Pro-
fessore di filosofia in diverse università, membro della Commissione preparatoria
e peritus al Concilio Vaticano II. Su di lui, si veda, tra l’altro, ROSA GOGLIA, Cornelio
Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti, note di archivio, testimonianze,
Edivi, Roma 2010.
177
Ugo Lattanzi (1899-1971), ordinato nel 1924, incaricato di teologia biblica (1934) e
poi ordinario di teologia dogmatica (1954) all’Università del Laterano, decano del-
la Facoltà di teologia (1963), consultore della Commissione teologica preparatoria,
peritus conciliare.
178
Umberto Betti (1922-2009), francescano, ordinato nel 1946, professore all’Anto-
nianum, Consultore della Commissione teologica preparatoria, peritus del card. Flo-
rit, rettore della Lateranense dal 1991 al 1995.
179
Agostino Trapé (1915-1987), dell’ordine di sant’Agostino, di cui fu priore generale,
ordinato nel 1937, professore di patrologia in diverse università romane. Membro del-
la Commissione teologica preparatoria, venne nominato peritus al Concilio nel 1962.
180
Salvatore Garofalo (1911-1998), ordinato nel 1933, ordinario di esegesi biblica e
poi rettore nella Pontificia Università Urbaniana, peritus conciliare.
181
Roberto Masi (1914-1969), ordinato nel 1930, professore di teologia sacramentaria
alla Lateranense. Peritus conciliare.
182
Francesco Spadafora (1913-1997), ordinato nel 1935, professore di Sacra Scrittura
al Marianum e, dal 1956, alla Pontificia Università Lateranense. Fu Segretario del-
l’Associazione Biblica italiana e fondò e diresse per cinque anni la “Rivista biblica”.
Partecipò al Concilio Vaticano II, quale membro della Commissione preparatoria
degli Studi e dei Seminari. Su di lui, cfr. In memoria di mons. Francesco Spadafora, in
“Sì sì no no”, n. 5 (2007), pp. 1-2.
183
FÉRMINA ÁLVAREZ ALONSO, La posizione del Laterano sui problemi ecclesiologici nella fa-
se preparatoria del Concilio, in L’Università del Laterano e la preparazione del Concilio Va-
ticano II, a cura di P. CHENAUX, PUL-Mursia 2001, pp. 78-79. L’Istituto patristico-me-
dievale della Lateranense annoverava docenti come mons. Andrea Combes e i pa-
dri Carlo Baliç o.f.m., Umberto Betti o.f.m., Carlo Boyer s.j., Cornelio Fabro c.s.s.,
Ludovico Gillon o.p., Bonaventura Mariani o.f.m., Michel Guérard des Lauriers
o.p., Gabriele Maria Roschini o.s.m., Paolo Siwek s.j., Agostino Trapé o.s.a., Alberto
Vaccari s.j. Alcuni di questi docenti collaborarono con la “Cattedra San Tommaso”,
inaugurata il 10 marzo 1963 con l’apporto di altri illustri studiosi, quali il padre Phi-
lippe de la Trinité o.c.d, preside della Facoltà teologica carmelitana, Etienne Gilson,
accademico di Francia, Nicola Petruzzellis, dell’Università di Napoli e il domenica-
no Santiago Ramírez della Pontificia Università di Salamanca.
152 IL CONCILIO VATICANO II

Tra gli atenei, le università cattoliche e le facoltà ecclesiastiche a


cui era stata estesa la consultazione per la preparazione del Conci-
lio, il votum dell’Università Lateranense spiccava, oltre che per la
qualità, per l’ampiezza (273 pagine) e per il numero di coloro che
contribuirono a redigerlo (ben 27 professori appartenenti alle fa-
coltà di Teologia, Diritto Canonico e Filosofia) 184. La rivista “Divi-
nitas”, diretta dallo stesso Piolanti, curò inoltre due numeri straor-
dinari dedicati all’imminente Concilio; il primo apparso nel 1961
col titolo Magisterium et theologia ribadiva il ruolo del Magistero
della Chiesa; il secondo, intitolato Symposium theologicum de Eccle-
sia Christi, pubblicato nel 1962, si proponeva “di respingere le aber-
razioni circolanti, anche nell’ambito della teologia cattolica, e di illumi-
nare il cammino verso una soluzione giusta” 185.
Nella settimana dell’Università Lateranense in preparazione del
Concilio, mons. Antonio Piolanti propose un Concilio di condanna
degli errori del mondo moderno, sulla stessa linea di quanto aveva
fatto, il 6 dicembre 1959, il padre Gabriele Maria Roschini 186, preside
della Facoltà Teologica “Marianum”, trasmettendo a mons. Felici un
articolato studio dal significativo titolo Silloge degli errori teologici
contemporanei 187, in cui esprimeva l’auspicio che il Concilio facesse
una riedizione del Sillabo contro i principali errori della nostra epoca 188.

184
AD, I-IV/1, pp. 171-442.
185
Cfr. F. ÁLVAREZ ALONSO, op. cit., pp. 67-80.
186
Gabriele Maria Roschini (1900-1977) dei Servi di Maria, che Stefano De Fiores de-
finisce “il più famoso mariologo manualista nel nostro secolo” (Maria Madre di Gesù,
Dehoniane, Bologna 1993, p. 376), fu maestro in Sacra Teologia nell’Ordine, consul-
tore della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, fondatore della rivista “Maria-
num” (1939), promotore e primo preside della Facoltà Marianum di Roma. Tra le
sue opere una Mariologia (in lingua latina) in 4 voll., Roma 1941-1948; La Madonna
secondo la fede e la teologia, 4 voll., F. Ferrari, Roma 1953-54; Maria Santissima nella sto-
ria della salvezza. Trattato completo di mariologia alla luce del Concilio Vaticano II, Pisani
Editore, Isola del Liri 1969, 4 voll. Una bibliografia non esaustiva in GIUSEPPE MA-
RIA BESUTTI, Bibliografia di P. Gabriele M. Roschini o.s.m., in “Marianum”, n. 41 (1979),
pp. 1-63. Il numero della rivista, di 587 pagine, raccoglie gli studi offerti alla sua me-
moria. Si veda anche Atto accademico nel venticinquesimo della morte di Fra Gabriele M.
Roschini o.s.m., primo preside della Facoltà († Roma, 12 settembre 1971), in “Marianum”,
n. 64 (2002), pp. 547-606; PIETRO PARROTTA, La cooperazione di Maria alla redenzione in
Gabriele Maria Roschini, Eupress, Pregassona 2002.
187
G. MARIA ROSCHINI o.s.m., Silloge degli errori teologici contemporanei. Con appendice
sul “Magistero ecclesiastico”, Facoltà Teologica “Marianum”, Roma 1959.
188
Roschini a Felici, 6 dicembre 1959, in ASV, Conc. Vat. II, busta 259, fasc. 15, f. 1.
VERSO IL CONCILIO 153

La Lateranense raccoglieva l’eredità della gloriosa “scuola


teologica romana”, nata sotto i pontificati di Gregorio XVI (1831-
1846) e Pio IX (1846-1878) e illustrata da grandi teologi come Gio-
vanni Perrone 189, che può esserne considerato il fondatore, e
Louis Billot, che ne fu il maggior continuatore tra il XIX e il XX
secolo, con il suo insegnamento di 42 anni alla Gregoriana 190. Nel
campo del Diritto Pubblico, il rappresentante più eminente era
stato nell’Ottocento il card. Camillo Tarquini 191, la cui opera prin-
cipale Juris publici ecclesiastici institutiones aveva avuto oltre tren-
ta edizioni. Dalla sua scuola discendevano il card. Felice Cava-
gnis 192, il padre Felice Maria Cappello 193 e il card. Alfredo Otta-
viani. Si diceva allora a Roma “Tarquini genuit Cavagnis autem ge-
nuit Cappello et Ottaviani” 194.

189
Giovanni Perrone (1794-1876), ordinato nel 1827 nella Compagnia di Gesù, pro-
fessore al Collegio Romano. La sua opera principale Praelectiones theologicae, I-IX,
Typis Collegi Urbani, Romae 1835-1842, con le sue 30 edizioni è un classico della
teologia.
190
Alla “scuola romana” in senso lato vanno ascritti anche i padri Carlo Passaglia
(1812-1887), Clemente Schrader (1820-1875), Giovanni Battista Franzelin (1816-
1886) della Compagnia di Gesù, illustri domenicani come i padri Tommaso Maria
Zigliara (1833-1883), Zefirino Gonzales (1831-1894), Alberto Lepidi (1838-1922), Re-
ginald Garrigou-Lagrange, e teologi che non insegnarono mai a Roma, ma che ne
assorbirono lo spirito, come Matthias Scheeben (1835-1888), Hugo Adalbert Hurter
(1832-1914), Heinrich Denzinger (1819-1883), Joseph Hergenröther (1824-1890), pri-
mo cardinale-prefetto degli Archivi Vaticani; cfr. HERIBERT SCHAUF, Carlo Passaglia
und Clemens Schrader. Beitrag zur Theologiegeschichte des neunzehnten Jahrhunderts,
Pontificia Università Gregoriana, Roma 1938; W. KASPER, Die Lehre von der Tradition
in der Römischen Schule, Herder, Freiburg 1962; K. H. NEUFELD, “Römische Schule”.
Beobachtungen und Uberlegungen zur genaueren Bestimmung, in “Gregorianum”, nn.
63/64 (1982), pp. 677-699; B. GHERARDINI, Quod et tradidi vobis. La tradizione vita e gio-
vinezza, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 2010.
191
Camillo Tarquini (1810-1874), ordinato nel 1833, membro della Compagnia di Ge-
sù nel 1837, professore per 20 anni di Diritto canonico al Collegio Romano, creato
cardinale nel 1873 da Pio IX. Di lui, cfr. le celebri Iuris Ecclesiastici publici institutio-
nes (Roma 1862).
192
Felice Cavagnis (1841-1906), ordinato nel 1863, Pro-segretario della Curia Roma-
na nel 1893, creato cardinale nel 1901. Fu anche eminente filologo e archeologo.
193
Felice Maria Cappello (1879-1962), teologo e canonista della Compagnia di Gesù,
ordinato nel 1902, professore di Diritto Canonico alla Gregoriana dal 1920 al 1959.
Ne è stata introdotta la causa di beatificazione (1998). Di lui, cfr. la Summa Iuris pu-
blicis ecclesiastici (Roma 1923). Si veda il profilo biografico di D. MONDRONE, Il con-
fessore di Roma: padre Felice M. Cappello, “La Civiltà Cattolica”, Roma 1962.
194
G. MARTINA, Il contesto storico, cit., p. 75.
154 IL CONCILIO VATICANO II

Pochi giorni dopo la scomparsa di Tardini, il 3 agosto, era mor-


to il card. Nicola Canali, il più fedele erede del pontificato di san
Pio X, uomo forte del “Pentagono” vaticano, destinato ormai ad
essere rappresentato dal solo card. Ottaviani, che nel 1935 aveva
sostituito Canali come assessore al Sant’Uffizio, per poi divenirne
Segretario. Il “partito romano” trovava ora in lui il suo più qualifi-
cato esponente 195.

b) La “Professione di fede” della Commissione teologica

La Commissione teologica 196, presieduta dal card. Alfredo Otta-


viani era la più importante delle Commissioni conciliari per la sua
esclusiva competenza nelle materie dottrinali. Segretario della
Congregazione del Sant’Uffizio, conosciuta come “la Suprema”
per il ruolo preminente che essa svolgeva in difesa della purezza e
dell’integrità della fede, Ottaviani, figlio di un fornaio di Trasteve-
re, era, come il suo compagno di studi Tardini, un autentico “ro-
mano di Roma”. La sua immagine pubblica era quella di inflessi-
bile custode della dottrina della Fede, ma la fermezza dottrinale
era in lui inscindibile da una calda umanità, ben conosciuta dai
giovani del Rione Borgo e del quartiere Aurelio, che egli assisteva
da anni con zelo e generosità.
Segretario della Commissione teologica era il gesuita olandese
Sebastiaan Tromp 197, professore alla Gregoriana, che era stato visi-
tatore dell’Università cattolica di Nimega e dei seminari olandesi,
e che nei Paesi Bassi era guardato con diffidenza per la sua “roma-
nità”. Egli aveva a sua volta un eccellente collaboratore nel padre

195
Cfr. A. RICCARDI, Il “partito romano”, cit., pp. 45-46 e passim.
196
Cfr. anche R. BURIGANA, Progetto dogmatico del Vaticano II: la Commissione teologica pre-
paratoria, in Verso il Concilio Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazio-
ne conciliare, a cura di G. ALBERIGO-A. MELLONI, Marietti, Genova 1993, pp. 141-206.
197
Sebastiaan Tromp (1889-1975), gesuita olandese, ordinato nel 1922, professore di
teologia alla Gregoriana dal 1929 al 1967, membro della Accademia Pontificia di
Teologia (1956), autore di molte opere, tra cui, fondamentale, Corpus Christi quod est
Ecclesia, 4 volumi, Roma 1937-1972. Segretario della Commissione teologica prepa-
ratoria e poi della Commissione dottrinale. Peritus conciliare. Cfr. G. BARJEN, Tromp,
in DHCJ, pp. 3842-3843.
VERSO IL CONCILIO 155

Heribert Schauf 198. Alla Commissione teologica papa Giovanni


aveva affidato il compito di investigare “quaestiones ad Scripturam
sacram, sacram Traditionem, fidem moresque spectantes” 199. Ad essa
collaboravano, come membri, i migliori teologi romani: Philippe
de la Trinité 200, Luigi Ciappi, Marie-Rosaire Gagnebet 201, Franz Xa-
vier Hürth 202.
La Commissione teologica ritenne necessario aprire il Concilio
con una Formula nova professionis fidei, una nuova formula di fede
che combinasse la professione tridentina con il giuramento antimo-
dernista 203. Il testo, approvato dal Santo Padre, fu inviato dal card.
Ottaviani alla Commissione preparatoria centrale, l’8 novembre
1961 204. Esso constava di 18 punti in cui si riaffermavano le tradi-
zionali verità cattoliche, condannando una serie di errori, come il
laicismo, il rifiuto della Chiesa cattolica come unica Chiesa, il rifiu-
to della differenza tra il sacerdozio universale e quello gerarchico, il
minimalismo in mariologia, l’abbandono della dottrina sull’infer-
no. La Formula fidei non piacque però alla Commissione centrale,
che la considerò eccessivamente “difensiva”, e la accantonò. Vale la
pena oggi rileggere almeno gli ultimi punti della Formula fidei, per
apprezzarne la limpida chiarezza e l’impressionante attualità.

198
Heribert Schauf (1910-1988), tedesco, ordinato nel 1935, professore di Diritto Ca-
nonico ad Aachen, membro della Commissione teologica preparatoria, perito conci-
liare. Cfr. Geist und Kirche. Studien zur Theologie im Umfeld der beiden Vatikanischen
Konzilien. Gedenkschrift für Heribert Schauf, a cura di HERBERT HAMMANS-HERMANN-JO-
SEF REUDENBACH-HEINO SONNEMANS, Verlag Ferdinand Schöningh, Paderborn 1991.
199
J. A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, in SCV, vol. I, pp.
242-250 (pp. 177-380).
200
Philippe de la Trinité (1908-1977), francese, carmelitano scalzo, ordinato nel 1934.
Entrò nel Sant’Uffizio nel 1952 e dall’anno seguente presiedette anche la facoltà di
teologia del suo ordine.
201
Marie-Rosaire Gagnebet (1904-1983), domenicano francese, professore di teologia
all’Angelicum (1935), poi consultore del Sant’Uffizio (1964), membro della Com-
missione teologica preparatoria, peritus conciliare.
202
Franz Hürth (1880-1963) gesuita tedesco, ordinato nel 1950. Professore alla Gre-
goriana, poi peritus nel 1962.
203
Cfr. Formula Nova Professionis Fidei (Secunda Congregatio: 9 novembre 1961), in AD,
II-II/1, pp. 495-497. ANTONINO INDELICATO, La “Formula nova professionis fidei” nella
preparazione de Vaticano II, in “Cristianesimo nella storia”, n. 7 (1986), pp. 305-340.
204
Cfr. A. INDELICATO, Difendere la dottrina o annunciare l’Evangelo. Il dibattito nella
Commissione centrale preparatoria del Vaticano II, Marietti, Genova 1992.
156 IL CONCILIO VATICANO II

“Ammetto con fede sincera il peccato originale, per il quale tutti gli uo-
mini hanno peccato nel progenitore Adamo, (come) il peccato propria-
mente detto, trasmesso per generazione e proprio di ciascuno.
– Riconosco come segni certissimi le prove esterne della rivelazione, e pri-
ma di tutto i miracoli e le profezie, attraverso le quali senza alcun dubbio
si dimostra che la religione cristiana ha origine divina, e ritengo che essa
anche oggi sia adatta all’intelligenza umana. Ritengo anche che la stessa
Chiesa, considerata in se stessa, per la sua unità universale, per l’eccelsa
santità e l’inesausta fecondità in tutti i beni, per la mirabile diffusione e
la invincibile stabilità sia un motivo perpetuo di credibilità e una testi-
monianza irrefragabile della sua eredità divina.
– Accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa dagli apostoli per
il tramite dei Padri ortodossi fino a noi con lo stesso senso e con le stesse
espressioni. Per cui, anche se cresce nella Chiesa la comprensione della ve-
rità rivelata, tuttavia respingo come eretico il parere della evoluzione dei
dogmi che col trascorrere del tempo passano ad un significato diverso da
quello che la Chiesa ha insegnato una volta per tutte.
– Ritengo che il deposito della fede, ovvero la parola di Dio scritta o tra-
mandata dagli Apostoli, sia completo. Ritengo fermamente che la Sacra
Scrittura, immune da qualsivoglia errore, debba essere spiegata con la
guida del Magistero della fede, secondo la norma della Tradizione e se-
condo l’analogia della fede.
– Professo che la fede non è solo un oscuro sentimento religioso o solo un
sentimento dell’animo, ma un vero assenso dell’intelletto alla verità, rice-
vuto dal di fuori con l’ascolto, per il quale crediamo ciò che è stato rivela-
to e testimoniato da un Dio personale a causa dell’autorità di Dio som-
mamente verace, credendo al quale prestiamo il pieno ossequio dell’intel-
letto e della volontà, con l’ispirazione e l’aiuto della grazia di Dio.
– Professo senza alcun dubbio tutti gli altri punti definiti e proclamati dai
Concili Ecumenici e soprattutto dal Sacrosanto Concilio di Trento e dal
Concilio Ecumenico Vaticano I, particolarmente riguardo al primato di
giurisdizione del Romano Pontefice e del suo magistero infallibile, e così
condanno e rifiuto ciò che è stato condannato e rifiutato negli stessi Con-
cili e nelle Lettere Encicliche, soprattutto Pascendi e Humani generis.
– Questa vera fede cattolica, fuori della quale nessuno può essere salvo,
professo spontaneamente ora e sinceramente la mantengo, e mi adoprerò
perché da me e da coloro che mi sono sottoposti sia conservata integra ed
VERSO IL CONCILIO 157

inviolata fino all’ultimo respiro della vita, nella maniera più ferma, con
assoluta costanza, con l’aiuto di Dio. Così io stesso N. davanti a Dio e a
Gesù Cristo, che mi giudicherà per la vita o per la pena eterna prometto,
faccio voto e giuro” 205.

La rilevanza del ruolo attribuito alla Commissione teologica, pre-


sieduta dal cardinale Ottaviani, era chiara a tutti. Nessuno invece
diede grande importanza alla creazione del Segretariato per l’Unità
dei Cristiani, un nuovo organismo presentato come semplice “servi-
zio”, come quelli, di nuova istituzione, della stampa e amministrati-
vo. In realtà questo Segretariato, affidato al cardinale Agostino Bea,
era destinato a divenire il più forte motore della opposizione alla
Commissione teologica e alla linea dottrinale della Curia romana.

9. L’entrata in scena del cardinale Bea

a) Il Segretariato per l’Unità dei Cristiani

Tra gli otto cardinali nominati da Giovanni XXIII nel concistoro


del 14 dicembre 1959 c’era il padre Agostino Bea, ormai ottanten-
ne, già confessore di Pio XII e rettore del Pontificio Istituto Biblico
di Roma. Quando Roncalli lo creò cardinale, Agostino Bea era già
“vecchio, con le spalle curve, la faccia lunga, piena di grinze e di rughe,
chinata un po’ in avanti”, come lo descrisse Benny Lai 206, e la sua vi-
ta, secondo il suo biografo, sembrava avviata verso un “tranquillo
tramonto” 207. Nel novembre 1959, mons. Lorenzo Jäger 208, arcive-
scovo di Paderborn, aveva presentato al nuovo cardinale il proget-
to di creazione di una “Pontificia Commissione per promuovere
l’unità dei cristiani” 209. Bea, l’11 marzo 1960, presentò a sua volta

205
A. INDELICATO, Formula nova professiosis fidei, cit., p. 497.
206
Cfr. B. LAI, Vaticano Aperto, Longanesi, Milano 1968, pp. 178-179.
207
SCHMIDT, Bea, pp. 309-318.
208
Lorenzo Jäger (1892-1975), tedesco, ordinato nel 1922. Arcivescovo di Paderborn
dal 1941 al 1973, creato cardinale nel 1965. Membro del Segretariato per l’Unità dei
Cristiani.
209
Cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 342-348.
158 IL CONCILIO VATICANO II

una supplica al Papa, che l’accolse in maniera sorprendentemente


rapida, ricevendolo in udienza due giorni dopo. Giovanni XXIII
manifestò il suo accordo di massima, limitandosi a modificare il
nome del nuovo organismo. “Le Commissioni – disse a Bea – hanno
la loro tradizione. Chiamiamo il nuovo organismo Segretariato, così non
siete legati ad alcuna tradizione, siete più liberi” 210.
Il 5 giugno 1960, il Papa nominò Bea presidente del neonato Se-
gretariato per l’Unità dei Cristiani, carica che il porporato tedesco
ricoprì fino alla morte e che lo rese una figura chiave nello svilup-
po dell’ecumenismo nella Chiesa cattolica. La nomina segnò una
svolta non solo nella vita del cardinale, che recuperò inaspettata-
mente forza e salute, ma soprattutto nella storia della Chiesa. Essa
può essere considerata, dopo quella del cardinale Montini, la no-
mina più importante del pontificato di Giovanni XXIII.
Il 23 settembre 1960, il Segretariato aprì la sua sede, in via dei Cor-
ridori 64. Segretario dell’organismo fu nominato l’olandese Johannes
Willebrands 211. Di trent’anni più giovane di Bea, Willebrands era il
suo più stretto collaboratore e fu continuamente al suo fianco, fino al-
la morte del gesuita tedesco, il 16 novembre 1968. Lo “spiritus rector”
del Segretariato, come osserva Hans Küng sarà, dietro Bea, proprio
Willebrands 212. Nasceva così, anche formalmente, il “duo” Bea-Wille-
brands, presidente e segretario del neo-organismo ecumenico 213.
Il primo passo del Segretariato fu un incontro, avvenuto in
grande segretezza presso il Centro San Fedele di Milano, tra Bea e
Visser’t Hooft, Segretario generale del Consiglio Mondiale delle
Chiese, fondato nel 1949, per fissare le linee di una collaborazione
tra le due organizzazioni. Willebrands, presidente dell’Associazio-
ne St. Willibrord e consigliere personale dell’arcivescovo di Utre-

210
Ivi, p. 348.
211
Johannes Willebrands (1909-2006), olandese, ordinato nel 1934, Segretario del Se-
gretariato per l’Unità dei Cristiani, peritus conciliare e poi vescovo titolare di Mau-
riana (1964). Creato cardinale il 28 aprile 1969, successe al card. Bea come presi-
dente del Segretariato e al cardinale Alfrink come arcivescovo di Utrecht dal 1975
al 1983.
212
Cfr. KÜNG, La mia battaglia, p. 222.
213
Cfr. SALVATORE CAMPO, I cardinali Bea e Willebrands: il loro ruolo “ecumenico” nel Va-
ticano II, in “Istituto Paolo VI”, n. 52 (2006), pp. 60-68. Willebrands era assistito da
due collaboratori: il francese Jean-François Arrighi e l’americano Thomas Stransky.
VERSO IL CONCILIO 159

cht per le questioni ecumeniche, era da tempo legato a Willem Vis-


ser’t Hooft, anch’egli olandese. Riguardo al progetto di tale incon-
tro, Bea raccontava di aver chiesto in precedenza a Giovanni XXIII
se riteneva opportuno prendere contatto con il Consiglio Ecume-
nico delle Chiese. “La cosa non mi sembra matura” rispose il Papa.
“Da parte mia – afferma il cardinale – trassi la conclusione che biso-
gnava dunque farla maturare” 214.
La creazione del nuovo organismo costituì un’autentica svolta,
perché sottraeva al Sant’Uffizio la competenza sui rapporti tra i
cattolici e gli altri cristiani e soprattutto perché capovolse il tradi-
zionale atteggiamento romano verso eretici e scismatici 215. Attorno
a Bea e a Willebrands si formò una équipe affiatata che durante il
periodo preparatorio del Concilio tenne varie riunioni nella casa
religiosa della Pia Società San Paolo nei Castelli Romani. “Durante
le giornate di intenso lavoro – ricorda mons. Jean-François Arrighi 216,
uno dei giovani collaboratori – si formava uno spirito di fratellanza
che fu una delle maggiori caratteristiche del Segretariato per l’Unione” 217.
Bea e i suoi collaboratori avevano idee ambiziose, che andavano
ben al di là del compito sostanzialmente “informativo” affidato da
Giovanni XXIII al Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Il principale
mezzo con il quale il Segretariato cercò di incidere sul lavoro prepa-
ratorio fu la trasmissione alle altre Commissioni di documenti che
sottolineavano le conseguenze negative che gli schemi in prepara-
zione avrebbero potuto avere sull’ecumenismo. Il Segretariato fu
dunque una cripto-Commissione trasversale che si arrogò una com-
petenza direttamente teologica, articolandosi in sotto-Commissioni
su molti temi di fondo quali il rapporto dei battezzati non cattolici
con la Chiesa; la struttura gerarchica della Chiesa; il sacerdozio di
tutti i credenti; il laicato; la libertà religiosa; la parola di Dio nella

214
SCHMIDT, Bea, p. 361.
215
Cfr. G. ALBERIGO, Il pontificato di Giovanni XXIII, cit., pp. 27-28; S. SCHMIDT, Gio-
vanni XXIII e il Segretariato per l’unione dei cristiani, in “Cristianesimo nella storia”,
n. 8 (1987), pp. 95-117; M. VELATI, “Un’udienza a Roma”. La nascita del Segretario per
l’Unità dei Cristiani (1959-1960), in Il Vaticano II fra attesa e celebrazione, pp. 74-118.
216
Jean-François Mathieu Arrighi (1918-1998), francese, ordinato nel 1948, vice pre-
sidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e vescovo di Vico Equense nel 1985.
217
Cit. in CAPRILE, vol. V, p. 716.
160 IL CONCILIO VATICANO II

Chiesa; le questioni liturgiche; i matrimoni misti; il movimento ecu-


menico. Su punti cruciali, come il problema della libertà religiosa, i
testi della Commissione teologica e quelli, di opposto orientamento,
del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, arrivarono insieme alla
Commissione centrale, provocando forti polemiche e discussioni al
suo interno: un caso tipico fu quello della libertà religiosa.

b) Bea e Ottaviani di fronte

Il 19 giugno 1962, penultimo giorno dell’ultima sessione, i car-


dinali Ottaviani e Bea si scontrarono frontalmente. Due schemi
erano di fronte quello della Commissione teologica e quello del Se-
gretariato per l’Unità dei Cristiani. Bea, presentando il suo schema,
affermò che esso riguardava principalmente i non cattolici e ri-
spondeva all’“aggiornamento” delle condizioni attuali di vita vo-
luto dal Pontefice 218. Ottaviani replicò con vigore che il Segretaria-
to non aveva diritto ad occuparsi della questione, di competenza
della Commissione teologica.
Mons. Marcel Lefebvre 219 ricorda quest’episodio di cui fu testi-
mone:

“Devo raccontarvi un piccolo incidente accaduto nel 1962, quando ero


membro della Commissione centrale preparatoria del Concilio. Noi tene-

Cfr. AD, II-IV, p. 689.


218

Marcel Lefebvre (1905-1991), della Congregazione dello Spirito Santo. Ordinato nel
219

1929, vescovo titolare di Antedonia (1947); vicario Apostolico di Dakar (1948-1955);


arcivescovo titolare di Arcadiopoli in Europa (1948); delegato apostolico per l’Africa
francese (1948-1959); arcivescovo di Dakar (1955-1962); vescovo di Tulle (1962), poi di
Sinnada in Frigia (1962-1970); superiore generale della Congregazione dello Spirito
Santo (1962-1969). Nel 1970, costituì la Fraternità Sacerdotale San Pio X nella diocesi
di Friburgo in Svizzera, con l’approvazione di mons. François Charrière, ordinario
del luogo. A partire dal 1974 iniziò il contenzioso con la Santa Sede che doveva por-
tarlo alla sospensione a divinis, conseguente alle ordinazioni sacerdotali del 29 giugno
1976, e alla scomunica latae sententiae, dopo la consacrazione di quattro vescovi, il 30
giugno 1988 (AAS, 80 (1988) pp. 1495-1498). La scomunica ai quattro vescovi venne
revocata da Benedetto XVI il 10 marzo 2009.). Su di lui cfr. tra l’altro BERNARD TISSIER
DE MALLERAIS, Mons. Marcel Lefebvre. Una vita, tr. it. Tabula Fati, Chieti 2005; CRISTINA
SICCARDI, Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della Verità, Sugarco, Milano 2010.
VERSO IL CONCILIO 161

vamo le nostre riunioni in Vaticano, ma l’ultima fu drammatica. Nei fa-


scicoli dati alla Commissione centrale ve ne erano due sullo stesso sogget-
to: uno veniva dal cardinale Bea, presidente della Commissione per l’Unità
e l’altro dal cardinale Ottaviani, presidente della Commissione teologica.
Quando li abbiamo letti, quando io stesso ho letto i due schemi, ho detto: ‘è
molto strano, sono due punti di vista sullo stesso soggetto completamente
diversi, ossia la libertà religiosa o l’attitudine della Chiesa di fronte alle al-
tre religioni’. Quello del cardinale Bea era intitolato De libertate religio-
sa; quello del cardinale Ottaviani De tolerantia religiosa. Vedete la diffe-
renza, la profonda differenza? Cosa accadeva? Per qual motivo due schemi
completamente diversi sullo stesso soggetto? Al momento della riunione,
il cardinale Ottaviani si alza e, segnalandolo col dito, dice al cardinale Bea:
‘Eminenza, lei non aveva il diritto di fare questo schema, non aveva il di-
ritto di farlo perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della
Commissione di Teologia’. E il cardinale Bea alzandosi dice: ‘Scusi, avevo
il diritto di fare questo schema come presidente della Commissione dell’U-
nità: se c’è una cosa che interessa l’unità è proprio la libertà religiosa’, e
aggiunse rivolto al cardinale Ottaviani: ‘Mi oppongo radicalmente a quan-
to dite nel vostro schema De Tolerantia religiosa’. (…) Fu l’ultima se-
duta della Commissione centrale e chiaramente potemmo avvertire, alla vi-
gilia del Concilio, prospettarsi davanti a noi, tutta la lotta che si sarebbe
svolta durante il Concilio. Ciò vuol dire che queste cose erano preparate già
prima del Concilio. Il cardinale Bea non ha certo fatto il suo schema de li-
bertate religiosa senza essersi accordato con altri cardinali” 220.

Per aggirare gli ostacoli dottrinali, il Segretariato proponeva un


nuovo modo “para-diplomatico” di espressione della fede, consi-
stente nel mettere all’ordine del giorno temi di carattere dogmati-
co senza affrontarli da un punto di vista dogmatico, ma lasciando-
li nell’indeterminatezza in nome del primato della pastorale 221.
Il Segretario per l’Unità dei Cristiani aumentò inoltre il suo ruo-
lo attraverso l’influenza esercitata sulle “Commissioni miste”. La
maggior parte delle Commissioni ricalcavano infatti i dicasteri di
Curia ed erano composte da vescovi fedeli a Roma. Mentre la Com-

220
M. LEFEBVRE, Il colpo da maestro di Satana, tr. it. Il Falco, Milano 1978, pp. 12-15.
221
Cfr. C. BARTHE, op. cit., pp. 97-98.
162 IL CONCILIO VATICANO II

missione teologica rifiutò ogni interferenza del Segretariato di Bea


sulla redazione degli schemi, altre Commissioni accettarono di for-
mare “Commissioni miste” con il Segretariato per l’Unità dei Cri-
stiani, come quella per la disciplina dei sacramenti. La migliore col-
laborazione avvenne con la Commissione liturgica, il cui Segretario
era il padre Annibale Bugnini. Il Segretariato di Bea chiese, nel feb-
braio 1961, un “uso più largo possibile della lingua volgare” 222. In apri-
le intervenne lo stesso Bea: “Bisogna insistere con forza contro l’idea
che la liturgia latina sia un segno di unità. Più che un segno di unità essa
è un segno di uniformità” 223.
Il 22 ottobre, undici giorni dopo l’apertura del Concilio, Gio-
vanni XXIIII elevò il Segretariato per l’Unità dei Cristiani al rango
di Commissione. Il nuovo statuto dell’organismo gli dava il diritto
di presentare schemi, e di correggerli, all’Assemblea generale. Il
suo ruolo sarebbe stato decisivo.

10. La controversia biblica

a) Il grido di allarme di mons. Romeo

Il Pontificio Istituto Biblico, diretto da padre Bea, era divenuto


uno dei principali centri di disseminazione della nuova esegesi ra-
zionalista. Di fatto, come rileva lo storico Mauro Pesce, tra gli anni
Trenta e gli anni Sessanta, sotto l’impulso di Bea, l’esegesi storica
era riuscita ad ottenere “profonde modificazioni del pensiero teologico
cattolico senza puntare mai direttamente a una riforma della teologia in
quanto tale” 224. L’opera di Bea era stata continuata dal padre Ernest
Vogt 225 che, nel 1949, gli successe alla testa dell’Istituto Biblico 226.

222
J. A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, cit., p. 234.
223
Ivi, p. 235.
224
M. PESCE, Da Leone XIII a Pio XII, cit., p. 86.
225
Ernest Vogt (1903-1984), gesuita svizzero, ordinato nel 1933. Rettore dell’Istituto
Biblico dal 1949 al 1963. Nominato consultore della Commissione teologica prepa-
ratoria all’inizio del 1961.
226
Cfr. F. SPADAFORA, La nuova esegesi. Il trionfo del modernismo sull’Esegesi Cattolica,
Editions Les Amis de saint François de Sales, Sion 1996, pp. 63-70. Cfr. anche ID., Ra-
zionalismo. Esegesi cattolica e Magistero, Istituto padano di Arti Grafiche, Rovigo 1961.
VERSO IL CONCILIO 163

Mons. Francesco Spadafora ricorda come nel Biblico si fosse allora


formato un clima “misterico”, in cui i cultori delle “novità” si rite-
nevano depositari di verità ignote ad altri, che occorreva però
diffondere con ogni mezzo. La parola d’ordine era la contrapposi-
zione dialettica tra una scuola biblica retrograda o “stretta” e una
scuola moderna o “larga” che l’enciclica di Pio XII, Divino afflante
spiritu (1943), avrebbe “canonizzato”. Manifesto della “nuova via”
apparve l’articolo del gesuita Luis Alonso Schökel 227, Dove va l’ese-
gesi cattolica?, pubblicato sulla “Civiltà Cattolica” del 27 agosto
1960 228, in cui l’autore descriveva l’esistenza di una scuola “stretta”
da considerare superata e di una scuola “larga” ormai predomi-
nante nel campo degli studi esegetici. Secondo i novatori, l’encicli-
ca di Pio XII rappresentava un momento di discontinuità con l’en-
ciclica Providentissimus di Leone XIII, di cui celebrava il cinquan-
tennio, e avrebbe riaperto “una nuova e ampia via” 229 negli studi bi-
blici. Schökel riproponeva le tesi del suo confratello del Biblico,
Stanislas Lyonnet 230, che era stato professore a Fourvière dal 1938
al 1943 ed era legato alla “nouvelle théologie”. Egli vanificava il pec-
cato originale, riprendendo l’esegesi razionalista secondo cui il te-
sto paolino “tutti muoiono perché tutti han peccato” (Rm 5,12) deve
intendersi non del peccato originale, bensì dei peccati personali di
ciascuno. Mons. Spadafora, in un circostanziato articolo sulla rivi-
sta “Divinitas” 231, dimostrò che Lyonnet, oltre ad addurre argo-
menti filologici inconsistenti, non teneva in alcun conto il Magiste-

227
Luis Alonso Schökel (1920-1998), gesuita spagnolo, professore di Sacra Scrittura
al Biblico dal 1957.
228
Cfr. L. A. SCHÖKEL s.j., Dove va l’esegesi cattolica?, in “Civiltà Cattolica”, q. 2645
(1960), pp. 449-460.
229
Ivi, pp. 465-456.
230
Stanislas Lyonnet (1902-1986), gesuita francese, ordinato nel 1934. Professore di
Sacra Scrittura a Fourvière (1938) poi di esegesi all’Istituto Biblico. Dovette inter-
rompere l’insegnamento, su richiesta del Sant’Uffizio, dal 1962 al 1964. Cfr. ALBERT
VANHOYE, In memoriam, in “Rivista Biblica”, n. 68 (1987), pp. 141-142. Di lui, cfr. Le
péché originel et l’exégèse de Rom. 5,12-14, in “Recherches des Sciences Religieuses”,
n. 44 (1956), pp. 63-84; L’attualità della Lettera di San Paolo ai Romani e il problema ecu-
menico, in “Civiltà Cattolica”, q. 2596 (1958), pp. 365-377.
231
Cfr. F. SPADAFORA, Rm. 5,12: esegesi e riflessi dogmatici, in “Divinitas”, n. 4 (1960),
pp. 289-298. Si veda anche B. MARIANI o.f.m., La persona di Adamo e il suo peccato ori-
ginale secondo San Paolo 5, 12-21, in “Divinitas”, n. 2 (1958), pp. 486-519.
164 IL CONCILIO VATICANO II

ro infallibile della Chiesa. Queste critiche vennero giudicate ecces-


sive, ma non è un caso che tra gli allievi di Lyonnet, il gesuita olan-
dese Piet Schoonenberg 232 fu autore, nel 1968, di uno studio sul
peccato originale, in cui metteva a frutto le tesi secolarizzanti del
maestro 233, proprio nel senso indicato da Spadafora. I voti pre-
sentati a nome del Pontificio Istituto Biblico dal rettore Ernest
Vogt, il 24 aprile 1960, alla Commissione antipreparatoria, mette-
vano d’altra parte in discussione la storicità e l’inerranza dei Van-
geli 234 e si ponevano su una linea ben diversa da quella indicata
dal Magistero.
All’inizio di gennaio 1960, mons. Antonino Romeo 235, della Sa-
cra Congregazione dei Seminari e delle Università, sferrò su “Di-
vinitas” un attacco a fondo contro l’Istituto Biblico 236. Mons. Ro-
meo era un prelato energico e segaligno, che dagli anni Trenta
collaborava alla Congregazione di cui il card. Ruffini era stato Se-
gretario. Il suo articolo denunciava, per la prima volta, l’esisten-
za di una cospirazione articolata da parte dei settori neo-moder-
nisti che operavano all’interno della Chiesa 237. Mons. Romeo lo
definiva

232
Piet Schoonenberg (1911-1999), gesuita olandese, ordinato nel 1939, allievo dell’I-
stituto Biblico, professore di teologia dogmatica all’Università di Nimega (1964-
1979). Su di lui, Nouvelle théologie, pp. 126-138.
233
Cfr. P. SCHOONENBERG, Der Mensch in der Sünde, in Mysterium Salutis. Grundriß heil-
sgeschichtlicher Dogmatik, a cura di J. FEINER-M. LÖHRER, vol. II, Die Heilgeschichte vor
Christus, Benziger, Einsiedeln-Zurigo-Colonia 1967, pp. 845-941.
234
Cfr. AD, I-IV/1, pp. 125-136. Sulla vicenda, cfr. F. SPADAFORA, La nuova esegesi, cit.,
pp. 91-115.
235
Antonino Romeo (1902-1979), ordinato nel 1924, dal 1938 al 1972 fu a Roma, aiu-
tante di studio presso la Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università. È au-
tore, tra l’altro, di numerose voci dell’Enciclopedia Cattolica e del Dizionario biblico di-
retto da mons. Francesco Spadafora. Su di lui cfr. ANDREA DALLEDONNE, La morte di
mons. Antonino Romeo: una grave perdita per la Chiesa cattolica, in Implicazioni del to-
mismo originario, Quadrivium, Genova 1981, pp. 67-71. Sulla questione, cfr. R. BURI-
GANA, La querelle tra il Laterano e l’Istituto Biblico, in L’Università del Laterano, cit., pp.
50-66.
236
Cfr. A. ROMEO, L’Enciclica “Divino Afflante Spiritu” e le “opiniones novae”, in “Divi-
nitas”, n. 4 (1960), pp. 385-456.
237
Una documentata ricostruzione della polemica in ANTHONY DUPONT e KARIM
SCHELKENS, Katholische Exegese vor dem Zweiten Vatikanischen Konzil (1960-1961), in
“Zeitschrift für katholische Theologie”, n. 1 (2010), pp. 1-24.
VERSO IL CONCILIO 165

“un gruppo che infaticabilmente si agita per aprire sempre più larghe
brecce nell’edificio sovrumano della fede cattolica, col pretesto che oggi de-
ve interessare unicamente la novità, giacché il Vangelo da ammettersi non
è quello del passato, ma è quello del futuro, la Chiesa a cui dobbiamo ob-
bedire non è quella che conosciamo, ma è quella del futuro”. 238

“(…) Si è così arrivati oggi alla «teologia nuova» ispirata agli slogans del
momento, alla morale ‘nuova’ che vuol soddisfare le passioni umane e aboli-
re la nozione e il senso del peccato, alla ‘storia nuova’ che consacra lo stori-
cismo o il trionfo del fatto, al ‘diritto nuovo’ che proclama la libertà del ma-
le e di quelli che sono abbastanza potenti per potersi tutto permettere, alla
‘psicologia nuova’ basata sulla psicanalisi pansessuale, alla ‘pedagogia nuo-
va’ che soddisfa tutti gli istinti, all’‘arte sacra nuova’ che esalta il surreali-
smo e il concettualismo dei ciarlatani. Il vocabolo, una volta tanto in uso,
‘principii’, sta scomparendo dalla circolazione (...). Fondandosi sul doppio
mito della libertà umana e del progresso umano, doppio postulato gnostico
che divinizza la labile contingenza del nostro valore individuale e del nostro
eterno fluire collettivo verso un futuro ignoto, facendone il surrogato del-
l’Assoluto, i progressisti odierni trasformano la religione e la scienza in una
continua ricerca, senza determinarne la finalità, l’oggetto e le ‘costanti’ che
ogni fede e ogni scienza deve pur prefiggersi. Si verifica così il trionfo del-
l’indeterminatezza, cioè del relativismo e, in fondo, della negazione” 239.

Si deve ricordare che mons. Romeo non era solo un insigne bi-
blista, ma anche un profondo conoscitore del “mysterium iniquita-
tis”. A lui si devono, tra l’altro, le voci Anticristo e Satanismo della
Enciclopedia cattolica in cui dimostrava una penetrante conoscenza
teologica delle forze del male che operano nella storia. Le righe che
abbiamo citato e quelle che seguono attirarono su di lui l’accusa di
essere un “visionario”, ma oggi ci appaiono non prive di forza pro-
fetica. Così egli continuava:

“Tutto un incessante lavorio di termiti agitantisi nell’ombra, a Roma e in


tutte le parti del mondo, costringe ad intuire la presenza attiva di un pia-

238
A. ROMEO, L’enciclica “Divino Afflante spiritu, cit., p. 444.
239
Ivi, p. 447, 449.
166 IL CONCILIO VATICANO II

no completo di aggiramento e di sgretolamento delle dottrine di cui si for-


ma e si alimenta la fede cattolica. Sempre più numerosi indizi, da varie
parti, attestano il graduale svolgersi di un’ampia progressiva manovra,
diretta da abilissimi capi apparentemente piissimi, tendente a togliere di
mezzo il Cristianesimo finora insegnato e vissuto per 19 secoli, per sosti-
tuirgli il Cristianesimo ‘dei tempi nuovi’.
La religione predicata da Gesù e dagli Apostoli, intensamente attuata
da S. Agostino, da S. Benedetto, da S. Domenico, da S. Francesco, da
S. Ignazio di Loyola, viene febbrilmente corrosa perché scompaia, onde
in sua vece si imponga una nuova religione, la religione vagheggiata
dagli gnostici di tutti i tempi, che già viene chiamata qui o là ‘il Cri-
stianesimo adattato ai tempi nuovi’. Il Cristianesimo dei ‘tempi nuovi’
sarà basato sulla divinità cosmica e sui diritti dell’uomo; avrà per dog-
mi del suo ‘Credo’ il monismo evoluzionista col progresso indefinito, la
libertà umana senza limiti e la uguaglianza universale, con venature di
‘fede’ scientista, teosofica e occultista che varieranno a seconda degli
ambienti. Avrà per morale obbligatoria l’‘adattamento’ cioè il ‘confor-
mismo’, con la proibizione di ogni ‘frustrazione’ e il dovere di soddi-
sfare tutti gli istinti e gli impulsi; la finalità ultima della vita eterna
verrà rimossa e ad essa si sostituiranno le ‘realtà terrestri’ che l’oscu-
rantismo dei 19 secoli aveva relegato in quarantena e che oggi sono sta-
te con molto zelo ‘riabilitate’. In questo Cristianesimo ‘nuovo’ Gesù, gli
apostoli, le definizioni e direttive del Magistero della Chiesa dei 19 se-
coli, rimarranno solo come ricordi, con valore unicamente ‘storico e
apologetico’: anelli dell’evoluzione indefettibile che si fermerà soltanto
quando l’uomo, divenuto l’Essere perfettissimo, si riassorbirà nella in-
finità del Tutto” 240.

Il pessimismo di mons. Romeo era condiviso da un teologo con


cui aveva stabilito un’immediata intesa; mons. Joseph Fenton, il di-
rettore di “The American Ecclesiastical Review, chiamato dal car-
dinale Ottaviani a far parte della Commissione teologica. Fenton
era tra quelli che più lucidamente intravedevano la gravità della si-
tuazione. “Umanamente parlando – annota egli nel suo Diario, il 24

240
Ivi, pp. 468-69.
VERSO IL CONCILIO 167

dicembre 1960 – non c’è nessuna possibilità di convertire alcuno di co-


loro che ci si oppongono” 241.

b) Il cardinale Ruffini scende in campo

La controversia sugli studi biblici continuò nei mesi successivi,


fino a che intervenne il Sant’Uffizio che, sentite le due parti, con-
dannò il gesuita Stanislao Lyonnet e il suo confratello Max
Zerwick 242, allontanandoli da Roma e dall’insegnamento 243. Il 20
giugno 1961 fu pubblicato un Monitum del Sant’Uffizio che, con-
statando la diffusione di “sentenze e opinioni” che comprometteva-
no l’autentica verità storica e oggettiva della Sacra Scrittura am-
moniva gli esegeti a trattare sempre con la debita prudenza i Libri
Sacri 244. Qualche giorno dopo, il 28 giugno, veniva condannata al-
l’Indice la Vita di Gesù del sacerdote francese Jean Steinmann. Il 24
agosto, il card. Ruffini criticò il richiamo ai generi letterari nell’in-
terpretazione della Bibbia con un articolo su “L’Osservatore Ro-
mano” 245 che il card. Pizzardo inviò ai rettori di tutti i seminari dio-
cesani di Italia, chiedendo loro di attirarvi l’attenzione dei loro
professori.
Scriveva il cardinale Ruffini:

241
FENTON, Diario, p. 17. Nell’ottobre 1962 mons. Fenton pubblicò un articolo inti-
tolato The Virtue of Prudence and the Success of the Second Ecumenical Vatican Coun-
cil in cui affermava tra l’altro: “È possibile che il Concilio agisca in altro modo rispet-
to alla pienezza della prudenza soprannaturale. È possibile che, visto in questa prospetti-
va, non abbia successo” (in “The American Ecclesiastical Review”, n. 4 (1962), p. 265
(pp. 255-265).
242
Max Zerwick (1901-1975), tedesco, ordinato nella Compagnia di Gesù nel 1931,
professore di esegesi all’Istituto Biblico dal 1953. Cfr. CARLO MARIA MARTINI, In me-
moria di P. Max Zerwick, in “Rivista Biblica”, n. 56 (1976), pp. 444-445.
243
Nel 1963 Paolo VI, appena eletto, li richiamò a Roma e li reintegrò nell’insegna-
mento al Pontificio Istituto Biblico.
244
Cfr. AAS, 9 (1961), p. 507.
245
Cfr. ERNESTO RUFFINI, Generi letterari e ipotesi di lavoro nei recenti studi biblici, in
“L’Osservatore Romano”, 24 agosto 1961; poi in ID., Conferenze bibliche, Ancora, Ro-
ma 1966, pp. 222-224. Mons. Fenton fece pubblicare l’articolo del card. Ruffini, tra-
dotto come Literary Genres and Working Hypothesis in Recent Biblical Studies, in “The
American Ecclesiastical Review”, n. 146 (1961), pp. 362-365.
168 IL CONCILIO VATICANO II

“È tutto un brulichio di pubblicazioni di conferenze, di adunanze nelle


quali spesse volte prevalgono giudizi azzardati e interpretazioni assai
sconcertanti. Uno degli argomenti più trattati e più discussi è quello dei
generi letterari, ovvero – come si dice oggi per il Nuovo Testamento con
frase tradotta dalla lingua tedesca – il ‘metodo della storia delle forme’.
Non è oggi il principio che per sapere quale sia il senso letterale d’uno
scritto è necessario aver chiaro in anticipo quale sia la forma o genere del
dire che lo scrittore ha voluto adoperare. Tutti capiscono che un libro sa-
pienziale è ben diverso da un testo legislativo, che un libro apocalittico,
scritto dopo gli eventi, è molto differente da una raccolta di profezie pro-
priamente dette, e che una poesia non va letta come un brano di storia.
(…) La febbre che negli ultimi anni si è accesa di giorno in giorno intor-
no al genere letterario dei vari libri spirati da Dio, non esclusi i Vangeli,
è causata in parte da confronti con i documenti, sempre scarsi, delle anti-
che letterature orientali, ma soprattutto da uno spirito ipercritico, che pre-
scinde completamente dall’insegnamento tradizionale della Chiesa e dal
senso dei credenti cattolici, che ne è l’eco fedele. Così si arriva, più o me-
no esplicitamente, da alcuni – purtroppo anche ecclesiastici – a eliminare
dal piano storico racconti importantissimi quali sono per esempio le nar-
razioni dei primi capitoli della Genesi e dei Vangeli. (…) L’indole d’un ar-
ticolo non ci permette di dilungarci. A questi novelli esegeti, che dicono e
pretendono di essere cattolici, chiediamo: come potete supporre che la
Chiesa, Madre e Maestra, alla quale spetta giudicare del vero senso del-
la Sacra Scrittura – (lo abbiamo giurato tante volte dinanzi all’altare) –
(cfr. Professio catholicae Fidei [all’inizio del Codice di Diritto Cano-
nico], e la Formula del Giuramento antimodernistico, in Acta Apo-
st. Sedis. [1910] 669-672), abbia per diciannove secoli presentato ai suoi
figli il Volume divino senza conoscere il genere letterario, che è la chiave
della esatta interpretazione? Tale assurdità aumenta di grado quando si
tenga presente che non pochi dei suddetti ipercritici non solo avanzano
nuove applicazioni della teoria dei generi letterari ai libri ispirati, ma ne
rimettono all’avvenire la definitiva chiarificazione, quando cioè si cono-
sceranno meglio – attraverso la storia, l’archeologia, l’etnologia e le altre
scienze, le maniere di parlare e di scrivere presso gli antichi, specialmen-
te Orientali. Qualcuno, avvedendosi dell’enorme difficoltà di poter conci-
liare tale dottrina, che chiameremmo rivoluzionaria, con i richiami della
coscienza e gli ammonimenti dell’Autorità ecclesiastica, ha cominciato ad
VERSO IL CONCILIO 169

appellarsi al metodo usato legittimamente nelle scienze fisiche e naturali:


l’ipotesi di lavoro.
È risaputo che le scienze sperimentali sono in continuo sviluppo: molti
aspetti sono tuttora ignorati e parecchi fenomeni non ancora spiegati. I
dotti indagatori nell’intento di spianare la via che conduce allo scopri-
mento della verità, formulano delle ipotesi, che per essere provvisorie –
quasi stazioni intermedie – sogliono chiamarsi ipotesi di lavoro, cioè
ipotesi che consentono di prendere le mosse verso ulteriori ricerche. Ma
parlare di ipotesi di lavoro, che nel caso nostro sono palliate negazioni del-
la storicità, a riguardo per esempio dell’Annunciazione dell’Arcangelo
Gabriele a Maria Santissima (Luca 1, 26-28) e della promessa del prima-
to a San Pietro (Matteo 16, 17-19), fatte derivare da imitazioni di prece-
denti esemplari o da maturazioni posteriori del pensiero cristiano, è capo-
volgere l’esegesi cattolica e un attentato ereticale contro verità ritenute
sempre – a cominciare dai primi Padri della Chiesa – corrispondenti a
realtà storiche.
Non avremmo mai pensato che si potesse giungere a tanto! San Girolamo
disse dei suoi tempi che il mondo cristiano si destò e si trovò ariano (ere-
sia allora assai diffusa). Che direbbe S. Pio X – che condannò energica-
mente il modernismo – di fronte a errori che lo fanno rivivere e lo rendo-
no ancor più temibile perché accreditato da uomini per tanti motivi degni
di particolare considerazione?” 246.

Scrivendo al card. Ottaviani il 9 maggio dello stesso anno, Ruf-


fini si esprimeva senza mezzi termini: “L’ho detto altre volte e lo ri-
peto: il modernismo, condannato da S. Pio X, oggi viene diffuso libera-
mente in aspetti ancor più gravi e più deleteri di quanto non fosse allo-
ra!” 247. “Eminenza Reverendissima – continuava l’arcivescovo di Pa-
lermo – guardandomi attorno sono preso talvolta da profondo scoraggia-
mento e se riesco a risollevarmi è perché confido nell’assistenza che Gesù
promise alla sua Chiesa: ‘io sarò con voi fino alla fine dei secoli’. Auspico
che il prossimo Concilio Ecumenico definisca una volta per sempre che co-
sa si intenda per ispirazione, per inerenza biblica, per storia biblica; e sta-

“L’Osservatore Romano”, 24 agosto 1961.


246

Lettera di Ruffini al card. Ottaviani del 9 maggio 1961, in F.M. STABILE, op. cit., p.
247

115.
170 IL CONCILIO VATICANO II

bilisca fino a che punto l’interpretazione scientifica della Sacra Scrittura


possa allontanarsi da quella tradizionale” 248.
Il card. Ernesto Ruffini, di origine mantovana, aveva 72 anni, ma
la figura prestante, la vivacità di spirito e l’energia che metteva in
tutte le cose facevano prevedere in lui un protagonista del dibattito
conciliare 249. La sua carriera era cominciata dalla cattedra, quando
era stato nominato professore di Scienze Bibliche all’Università La-
teranense da Papa Pio X nel 1913, a soli 25 anni. Nel 1928, nomina-
to da Pio XI Segretario della Santa Congregazione dei Seminari e
delle Università, aveva preparato quella riforma degli studi eccle-
siastici che culminò nella costituzione apostolica Deus scientiarum
Dominus 250, emanata dal Papa nella Pentecoste del 1931. Lo stesso
Pio XI lo volle rettore dell’Ateneo Lateranense e Pio XII lo aveva no-
minato arcivescovo di Palermo nel 1945 e creato cardinale nel 1946.
Per la sua erudizione e solidità teologica il card. Ruffini rappresen-
tava uno dei principali punti di riferimento nel difficile momento di
trapasso dal pontificato di Pio XII a quello di Papa Roncalli.
Giovanni XXIII mantenne da parte sua un atteggiamento ambi-
valente sulla controversia. Da una parte sembrò esprimere fiducia
nei confronti del Biblico, nominando il suo rettore Ernest Vogt nel-
la Commissione teologica; dall’altra, proprio alla vigilia dell’assise
conciliare, in un discorso tenuto alla riunione dell’Associazione Bi-
blica Italiana, indetta da mons. Romeo, il Papa ribadì il diritto del-
la Chiesa a sorvegliare il lavoro dei biblisti, nello studio e nella tra-
smissione della verità rivelata 251.

248
Ivi, p. 116. In una conferenza tenuta ad Assisi il 30 dicembre 1961, il card. Ottavia-
ni ribadiva da parte sua le sue speranze nell’imminente Concilio Ecumenico: “Un
grande faro da cui si sprigionerà luce e calore sta per accendersi per le prossime assisi mon-
diali di verità e di giustizia che stanno per aprirsi sul colle Vaticano, presso la tomba del prin-
cipe degli Apostoli” (A. OTTAVIANI, La parola della Croce alla vigilia del Concilio Ecumeni-
co, in Discorsi di sua em.za il cardinale Alfredo Ottaviani, Segretario della Suprema S. Con-
gregazione del S. Uffizio, Gruppo studi sociali Luigi Sturzo, Bastia Umbra 1962, p. 26).
249
Cfr. il profilo di S. NEGRO, in Vaticano minore e altri scritti, Neri Pozza, Vicenza
1963, pp. 344-348.
250
PIO XI, Lettera Deus scientiarum Dominus del 14 maggio 1931, in AAS, 23 (1931),
pp. 241-262.
251
“Si comprende quindi l’animo trepido della Chiesa nei confronti degli studi biblici. Essa
infatti, mentre ha fiducia serena nella serietà di indagine dei suoi figli, non può acconten-
tarsi di raccogliere i frutti, ma deve guidarne i passi, come pure le spetta di ratificare le con-
VERSO IL CONCILIO 171

11. Il “tour” ecumenico del cardinale Bea

a) Il dialogo con i “fratelli separati”

Le tendenze ecclesiologiche progressiste si sviluppavano in-


tanto all’interno del nuovo quadro “ecumenico”. Domenica 22
gennaio 1961, il card. Bea tenne nell’aula dell’Angelicum una
conferenza sul tema “La grande chiamata all’ovile di Cristo”, in cui
disse tra l’altro:

“È vero che lo scisma e l’eresia come tali separano dal Corpo Mistico di
Cristo che è la Chiesa, cioè dalla piena partecipazione di quella vita che
Cristo comunica alla Chiesa. Ma questo vale di coloro che personalmente
e consapevolmente si staccano dalla Chiesa, non senz’altro di coloro che
in buona fede si trovano separati in seguito all’eredità ricevuta dai loro
antenati. Inoltre tutti i cristiani non cattolici vengono dalla Chiesa consi-
derati come ‘fratelli’, come ‘figli’, come oggetto del proprio amore mater-
no; in altre parole, essa li considera come propri soggetti e membri, ben-
ché non nel pieno senso” 252.

Lo stesso giorno, commentando la visita a Roma del Primate


della chiesa anglicana, dr. Geoffrey Francis Fisher, in un’intervista
al padre Antoine Wenger 253 su “La Croix”, Bea affermava: “Questa
visita costituisce un episodio importante nel quadro della grande opera
dell’unità di tutti i battezzati che lo Spirito Santo prepara lentamente, ma
irresistibilmente, dagli ultimi decenni” 254.

clusioni” (Discorso all’Associazione Biblica del 23 settembre 1962, in DMC, vol. IV,
p. 542 (pp. 540-545). Cfr. anche J. A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la pre-
parazione, cit., pp. 300-301.
252
“L’Osservatore Romano”, 27 gennaio 1961.
253
Antoine Wenger (1919-2009), assunzionista francese, ordinato nel 1943. Dal 1957
al 1973 diresse il giornale “La Croix”, continuando ad insegnare teologia cattolica a
Strasburgo. Fu grande amico del card. Giovanni Villot intrattenendosi con lui tutte
le domeniche alle quattro del pomeriggio, dal 1973 fino alla morte di quest’ultimo
(gennaio 1979) (A. WENGER, Vatican II, Centurion, Parigi 1964-1966, 4 voll.). Su di
lui, PHILIPPE LEVILLAIN, Il patrologo che scriveva la storia del tempo presente. Ricordo di
padre Antoine Wenger, in “L’Osservatore Romano”, 27 maggio 2009.
254
“La Croix”, 24 gennaio 1961. Cfr. anche ROBERTO TUCCI s.j., La visita di cortesia del
dott. Fisher a S. Giovanni XXIII, in “Civiltà Cattolica”, q. 2650 (1960), pp. 337-353.
172 IL CONCILIO VATICANO II

Malgrado l’età avanzata, il cardinale Bea si sottopose a un rit-


mo frenetico di viaggi e contatti 255. Nel mese di gennaio 1961 fu a
Berna, Basilea, Strasburgo e Parigi; tra febbraio e marzo ad Hei-
delberg, Tubinga, Essen, Berlino Ovest ed Est. Quindi a Liverpool
e a Londra dove, per la prima volta nella storia, portò la porpora
romana nel Palazzo Lambeth, il “Vaticano anglicano”, accolto dal
Primate Ramsey, appena reduce da Mosca 256.
Dal 26 al 28 settembre 1960 alcuni vescovi cattolici e dei pastori
di diverse confessioni protestanti si erano riuniti a Taizé in Francia
“al fine di condividere insieme le sollecitudini dell’evangelizzazione” 257.
Verso la fine di ottobre il pastore Roger Schutz e il pastore Max Thu-
rian della Comunità di Taizé vennero a Roma e furono ricevuti dal
Santo Padre 258. Il 4 agosto del 1961, in una intervista a “France
Catholique”, Bea affermava di seguire col più grande interesse lo
sviluppo di centri ecumenici come Taizé. “I protestanti che non sono
responsabili della scissione della Chiesa – dichiarava – possono aspirare
alla salvezza al pari dei cattolici. In qualche maniera essi sono anche uni-
ti alla Chiesa” 259.
Uno dei principali obiettivi della attività ecumenica del card.
Bea fu, fin dall’inizio, il rapporto con il patriarcato di Mosca, chie-
sa di Stato in quegli anni notoriamente nelle mani del Cremlino.
“Patriarca di Mosca e di tutte le Russie” era allora il metropolita Ales-
sio, succeduto nel 1944 al patriarca Sergio, di cui condivideva la vi-
sione politico-religiosa: Mosca, la “terza Roma”, sarebbe dovuta
diventare, allo stesso tempo, capitale mondiale del proletariato e
capitale universale del Cristianesimo 260. Fin dal 31 gennaio 1959,
Yuri Zhukov, presidente del Comitato statale per i rapporti cultu-
rali con l’estero del Consiglio dei Ministri dell’Urss, aveva prepa-
rato una nota per il Comitato Centrale sull’imminente Concilio.

255
Cfr. C. FALCONI, Perché Bea viaggia tanto, in “L’Espresso”, 26 agosto 1962.
256
Cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 370-372.
257
“La Croix”, 26 ottobre 1960.
258
CAPRILE, vol. I/2, p. 2.
259
Ivi, vol. I/2, p. 166.
260
Su Alessio I (1929-2008) cfr. Jean G.H. HOFFMANN, Alexeij Patriarche de Moscou et de
toutes les Russies, in Résistances en Union Soviétique, Les Cahiers de “Tant qu’il fait
jour”, Parigi 1971, pp. 56-81.
VERSO IL CONCILIO 173

Nella sua proposta al Partito, egli suggerì 1) di organizzare incon-


tri multiconfessionali “per la pace”; 2) di fare entrare nel Consiglio
Ecumenico delle Chiese (WCC) tutte le chiese soggette all’Urss, a
partire dal patriarcato di Mosca; 3) di disporre infine che l’orto-
dossia russa premesse per la Convocazione, entro il 1961, di un
concilio panortodosso 261. Il timore di Zhukov era che il Vaticano
potesse instaurare un rapporto diretto con il patriarcato di Costan-
tinopoli isolando politicamente il Cremlino. Si trattava invece di
“scavalcare” Costantinopoli per permettere a Mosca di stabilire un
legame privilegiato con il Vaticano di Giovanni XXIII.
L’operazione suggerita da Zhukov si svolse secondo il pro-
gramma prestabilito. Nel corso del “pre-Sinodo” del mondo orto-
dosso svoltosi a Rodi dal 24 settembre al 1° ottobre 1961, i due pa-
triarcati ortodossi, di Costantinopoli e di Mosca, trovarono una ba-
se unitaria e insieme decisero di istituire “amichevoli relazioni” con
la Chiesa cattolica e le altre chiese cristiane. Dal 18 novembre al 5
dicembre dello stesso anno si svolse a Nuova Delhi la terza riu-
nione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, in cui i rappresentan-
ti del patriarca moscovita Alessio, dopo essere stati rimessi in cir-
colazione nel “circuito” cristiano, ritrovarono diritto di cittadinan-
za. Ciò facilitava l’avvio di colloqui finalizzati al loro invito al Con-
cilio, sotto forma di “osservatori” 262. Grazie all’ingresso del pa-
triarcato di Mosca nel Consiglio Ecumenico delle Chiese, il gover-
no sovietico poteva ora infiltrare i suoi informatori in una privile-
giata assemblea religiosa internazionale. In occasione del suo no-
vantesimo anniversario, il patriarca Alessio ricevette la “Bandiera
rossa del lavoro”, come ricompensa per il suo “straordinario contribu-
to alla difesa della pace”.
Va ricordato inoltre che nel 1961 era stato innalzato il Muro di
Berlino e, nello stesso anno, era stato pubblicato in Unione Sovie-

261
Cfr. A. MELLONI, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II (1959-
1965), Il Mulino, Bologna 2000; ALFREDO ROCCUCCI, Russian observers at Vatican II.
The “Council for Russian Orthodox Church Affair” and the Moscow patriarchate between
Anti-religious Policy and International strategies, in Vatican II in Moscow, pp. 50-51 (pp.
45-69); M. VELATI, La Chiesa ortodossa russa tra Ginevra e Roma negli anni del Concilio
Vaticano II, ivi, pp. 90-110.
262
Cfr. M. TEDESCHI, op. cit., pp. 47-57.
174 IL CONCILIO VATICANO II

tica il famoso rapporto Ilitchev in cui l’ideologo comunista dettava


disposizioni dettagliate per condurre una lotta efficace contro la re-
ligione e per diffondere l’ateismo militante 263. Questo documento,
che vincolava gli Stati a regime comunista, era confermato dalle in-
dicazioni contenute nel programma del Partito comunista del-
l’Urss adottato nel XXII Congresso il 31 ottobre 1961 264.
Tra febbraio e luglio 1962 il Segretario dell’Unità dei Cristiani
Willebrands intraprese numerosi viaggi per assicurare al Concilio
una “presenza ecumenica”. Non vi furono problemi con le comu-
nità protestanti, a cominciare dalla chiesa anglicana, né con le chie-
se “non-Calcedoniesi”, come la chiesa copta d’Egitto, la chiesa or-
todossa siriana, la chiesa ortodossa etiope e la chiesa armena. Le
difficoltà maggiori si ebbero invece con le altre chiese ortodosse. Il
card. Bea si rivolse al patriarca di Costantinopoli Atenagora 265, pro-
ponendogli di inviare una delegazione che rappresentasse anche i
patriarcati di Mosca, Sofia, Bucarest e Belgrado e pregandolo di fa-
re da tramite con gli altri patriarcati. Quando però Atenagora tra-
smise l’invito al Concilio al patriarcato di Mosca, questo oppose un
solenne Non possumus verso quello che considerava un evento in-
terno alla Chiesa cattolica 266.

b) L’incontro di Metz

Ciò nonostante, nell’agosto 1962, si tenne a Metz 267 un incontro


segreto tra il card. Tisserant e il nuovo arcivescovo ortodosso di Ya-

263
Cfr. LEONID ILITCHEV, L’educazione atea. Rapporto alla Commissione ideologica del
P.C.U.S., ICAS, Roma 1964.
264
Cfr. GIOVANNI CODEVILLA, Le comunità religiose nell’URSS. La nuova legislazione so-
vietica, Jaca Book, Milano 1978, pp. 11-12.
265
Atenagora (1886-1972), patriarca ecumenico dal 1948 alla morte. Su di lui, cfr. VA-
LERIA MARTANO, Athenagoras il patriarca (1886-1972). Un cristiano fra crisi della coali-
zione e utopia ecumenica, Il Mulino, Bologna 1996.
266
L’articolo dal titolo Non possumus apparve sulla rivista del patriarcato di Mosca,
“Zurnal Moskovskoj Patriarchii”, il 6 giugno 1961, tr. fr. su “Istina”, n. 10 (1964), pp.
503-506. Cfr. JOSÉ OSCAR BEOZZO, Il clima esterno, in SCV, vol. I, p. 427 (pp. 381-428); A.
WENGER, Les trois Rome. L’Eglise des années Soixante, Desclée de Brouwer, Parigi 1991, p. 80.
267
Cfr. J. MADIRAN, L’accord de Metz ou pourquoi notre Mère fut muette, Via Romana,
Versailles 2006.
VERSO IL CONCILIO 175

roslavl, Nikodim 268. Venne stipulato in quell’occasione un accordo,


in forza del quale il patriarcato di Mosca avrebbe accolto l’invito
pontificio, mentre il Papa garantiva che il Concilio si sarebbe aste-
nuto dal condannare il comunismo.
L’incontro di Metz è stato ignorato o messo in dubbio da alcu-
ni storici, ma Serge Bolshkoff, nei suoi ricordi inediti sul cardinale
Tisserant 269, e dom Emmanuel Lanne 270, che ad essi ha attinto, ne
hanno offerto una documentata ricostruzione 271.
Il Comitato centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese
(COE) si era riunito a Parigi ai primi di agosto 1962. Il Vaticano era
rappresentato da mons. Willebrands, che l’11 agosto incontrò
Nikodim, che rappresentava la chiesa ortodossa russa appena en-
trata nel COE l’anno precedente a Nuova Delhi. Nikodim affrontò
immediatamente con Willebrands il problema della partecipazione
di osservatori ortodossi al Concilio e lo invitò con insistenza a trat-
tare direttamente del problema a Mosca 272. Nel frattempo Bol-
shkoff, uno scrittore legato al monastero di Chevetogne, organizzò

268
Nikodim, al secolo Boris Georgievic Rotov (1929-1978), arcivescovo di Yaroslavl
(1960-1963), metropolita di Minsk (1963), poi di Leningrado (1963-1967) e Novgo-
rod (1967-1978), quindi esarca dell’Europa Occidentale (1974-1978). Morì d’infarto
in Vaticano, il 5 settembre 1978, mentre era ricevuto in udienza da Giovanni Paolo
II. È stato documentato, sulla base di ricerche di archivio, che il Consiglio Ecume-
nico delle Chiese era un organismo abbondantemente infiltrato da agenti del Crem-
lino e che il metropolita Nikodim, che riuscì a divenirne uno dei presidenti, fosse
un funzionario del KGB (cfr. GERHARD BESIER-ARMIN BOYENS-GERHARD LINDEMANN,
Nationaler Protestantismus und Ökumenische Bewegung. Kirchliches Handeln im kalten
Krieg (1945-1990), Duncker und Humblot, Berlino 1999).
269
Cfr. SERGE BOLSHKOFF, Le cardinal Tisserant (1884-1974), edizione dattiloscritta,
Hauterive 1984, pp. 15-17.
270
Cfr. EMMANUEL LANNE o.s.b., La perception en Occident de la participation du patriar-
cat de Moscou à Vatican II, in Vatican II in Moscow, pp. 111-117. Cfr. anche Le “non pos-
sumus” du patriarcat de Moscou, in “Istina”, cit.
271
Il riscontro documentale è presente anche nell’archivio del card. Tisserant, dove
esiste una lettera, datata 22 agosto 1962, nella quale il porporato francese scrive a
Serge Bolshkoff, informandolo dell’incontro con Nikodim (Tisserant a Bolshkoff, 22
agosto 1962, archivio dell’Associazione Amis Card. Tisserant, “Bolshkoff Serge”,
doc. V 3, cit. in A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 303). Sulla vicenda si veda anche TOM-
MASO RICCI, Chiesa e comunismo. Quella “svista” del Concilio, in “30 Giorni”, nn. 8-9
(1989), pp. 56-63, e ID., Il mistero del patto Roma-Mosca, in “30 Giorni”, n. 10 (1989),
pp. 275-280.
272
J. WILLEBRANDS, La rencontre entre Rome et Moscou. Souvenirs, in Vatican II in Mo-
scow, pp. 333-335.
176 IL CONCILIO VATICANO II

per il 18 agosto un incontro a Metz, in Alsazia, a cui parteciparono,


con Nikodim, il card. Tisserant e mons. Basile Krivochéine 273, arci-
vescovo ortodosso di Bruxelles.
Si svilupparono intanto, mediante l’ambasciatore sovietico ad
Ankara, i contatti tra il Cremlino e il delegato apostolico in Turchia,
mons. Francesco Lardone 274, per ottenere il benestare del governo di
Mosca alla partecipazione dei vescovi cattolici russi al Concilio 275.
Mons. Willebrands compì un viaggio segreto a Mosca dal 27 settem-
bre al 2 ottobre 1962 per dissipare le preoccupazioni del Cremlino
sull’atteggiamento del Concilio nei confronti del comunismo 276. Al
suo ritorno a Roma, il card. Bea spedì l’invito ufficiale al patriarcato.
Il 10 ottobre, vigilia dell’apertura del Concilio, il patriarca Alexis e il
suo sinodo inviarono un telegramma ufficiale di accettazione e gli os-
servatori russi, l’arciprete Vitalij Borovoij e l’archimandrita Vladimir
Kotlyarov, giunsero a Roma nel pomeriggio del 12 ottobre.
A Costantinopoli intanto, il patriarca Atenagora, all’oscuro del-
le trattative segrete e convinto che la chiesa russa non avrebbe in-
viato osservatori, riunì il suo sinodo e, pur personalmente favore-
vole ad accogliere l’invito del Papa, per non ferire l’unità pan-orto-
dossa, dichiarò impossibile l’invio di osservatori a Roma 277. Il pa-
triarcato di Mosca aveva dunque abilmente scavalcato quello di Co-
stantinopoli nella nuova rete di rapporti con il Vaticano. “Seguirono
– ricorda il biografo di Bea – penose recriminazioni tra gli ortodossi e
anche contro il Segretariato, quasi avesse voluto dividere l’ortodossia” 278.

273
Basile Krivochéine (1900-1985), arcivescovo ortodosso di Bruxelles.
274
Francesco Lardone (1887-1980), ordinato nel 1910, arcivescovo di Rize (1949) e
nunzio apostolico ad Haiti e presso la Repubblica Dominicana (1949-1953), poi in
Perù (1953-1959), mentre la Turchia sarà la sua ultima destinazione come Internun-
zio apostolico (1959-1966). Sulla sua figura, cfr. GIUSEPPE TUNINETTI, Monsignor Fran-
cesco Lardone (1887-1980). Il Nunzio Apostolico precursore della Ost-Politik, L’Artistica
Savigliano, Savigliano 1997.
275
A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca 1940-1990, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 232-238.
276
Cfr. il Rapporto della visita a Mosca, del 7 ottobre 1962, cit. in P. CHENEAUX, L’E-
glise catholique et le communisme en Europe (1917-1989). De Lénine à Jean Paul II, Cerf,
Parigi 2009, pp. 256-257; J. WILLEBRANDS, La rencontre, cit., pp. 336-338.
277
Cfr. J. O. BEOZZO, Il clima esterno, cit., p. 428.
278
SCHMIDT, Bea, p. 382. Il metropolita greco-ortodosso Jakovos (1911-2005) delle due
Americhe arrivò ad accusare il Vaticano di avere utilizzato il Concilio per dividere
e indebolire l’ortodossia (A. WENGER, Vatican II, cit., Première Session, pp. 222-265).
VERSO IL CONCILIO 177

Di fatto, solo l’incontro tra Paolo VI e Atenagora, nel gennaio 1964,


riuscì a sbloccare la situazione e a rendere possibile la partecipazio-
ne di osservatori delle chiese ortodosse a partire dal terzo periodo
del Concilio. “La decisione di invitare i non-cattolici come osservatori fu
– sottolinea Komonchak – una delle più importanti tra quelle prese du-
rante la fase preparatoria, con conseguenze, per il carattere che il concilio
avrebbe assunto e il lavoro che avrebbe compiuto, che superarono di gran
lunga anche le più ottimistiche attese. Per molti aspetti la loro presenza al
concilio segnò ‘la fine della Controriforma’” 279.

c) Il comunismo al Concilio

Il Magistero della Chiesa cattolica si era espresso ripetutamen-


te contro il comunismo con parole di chiara condanna, in partico-
lare nell’enciclica di Pio XI, Divini Redemptoris, il 19 marzo 1937 280,
e nell’enciclica di Pio XII, Ad Apostolorum Principum del 29 giugno
1958 281. Un decreto del Sant’Uffizio, nell’aprile del 1959, aveva ri-
badito la validità della scomunica del 7 gennaio 1949 contro ogni
sorta di collaborazione con il comunismo 282. Giovanni XXIII tutta-
via non condivideva il documento del 1949, come confidò a vari in-
terlocutori, tra cui mons. Parente (“in fondo i comunisti cercano la
giustizia e sono gente che sta male”) 283.
Nei vota dei vescovi giunti a Roma per il Concilio, il comuni-
smo appariva come l’errore più grave da condannare 284. Nella fase

279
J. A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, cit., p. 349. Cfr.
anche Y. CONGAR o.p., Le rôle des “Observateurs” dans l’avancée oecuménique, in Le
Concile Vatican II. Son Eglise, Peuple de Dieu et Corps du Christ, Beauchesne, Parigi
1984, pp. 90-98.
280
AAS, 29 (1937), pp. 65-106.
281
AAS, 50 (1958), pp. 601-614.
282
AAS, 41 (1949), p. 34.
283
Cit. in A. RICCARDI, Dalla Chiesa di Pio XII alla Chiesa giovannea, in ALBERIGO, Papa
Giovanni, p. 151 (pp. 135-174).
284
Sui rapporti tra Chiesa e comunismo durante il Concilio cfr. WILTGEN, pp. 269-274;
A. WENGER, Vatican II, cit., vol. I, pp. 187-346; vol. II, pp. 297-316; P. LEVILLAIN, La mé-
canique politique, cit., pp. 361-439; VINCENZO CARBONE, Schemi e discussioni sull’atei-
smo e sul marxismo nel Concilio Vaticano II. Documentazione, in “Rivista di Storia del-
la Chiesa in Italia”, vol. XLIV (1990), pp. 10-68; A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit.,
178 IL CONCILIO VATICANO II

antipreparatoria del Concilio, ben 378 vescovi avevano chiesto che


esso trattasse dell’ateismo moderno e, in particolare, del comuni-
smo, indicando i rimedi per fronteggiare il pericolo 285. L’arcivesco-
vo vietnamita di Hué, Ngô-Dinh-Thuc 286, ad esempio, definiva il
comunismo come “il problema dei problemi” 287, la massima questio-
ne del momento. Mons. Ngô-Dinh-Thuc, intervenendo in Com-
missione sul tema del comunismo aveva dichiarato:

“La nostra Commissione centrale preparatoria fino ad ora ha esaminato


molti problemi, ma il comunismo mi sembra essere il problema dei pro-
blemi; infatti riguarda la stessa esistenza del Cristianesimo, che pone nel
più grande pericolo. Discutere sugli altri problemi senza che il primo po-
sto venga dato alla soluzione dei problemi nati dal comunismo sarebbe se-
guire l’esempio dei teologi di Costantinopoli che discutevano aspramente
sul sesso degli angeli mentre l’esercito dei maomettani minacciava le stes-
se mura della città. La dolorosa condizione della Chiesa in Cina proviene
forse dalla nostra impreparazione. Tuttavia relativamente alle nazioni che
al momento presente sono in mano ai comunisti, ad esempio il Laos e il
Vietnam, mi sembra che i cattolici, e soprattutto i vescovi del mondo cat-
tolico, non debbano limitare la loro sollecitudine ad offrire qualche pre-
ghiera, ma possono offrire un aiuto validissimo nel sollevare l’opinione
pubblica dei loro connazionali a favore della nazione oppressa. Tutti noi
siamo stupefatti per il silenzio del mondo cattolico davanti all’agonia del-
l’infelicissimo popolo laotiano e alla passione del popolo vietnamita, men-
tre intanto si sente dovunque la voce dei comunisti e dei loro complici che
vivono nelle nazioni democratiche, dei quali alcuni sono cattolici, che pre-
feriscono latrare con i lupi: La voce, dico, di chi condanna le vittime ed
esalta i carnefici” 288.

pp. 217-304; GIOVANNI TURBANTI, Il problema del comunismo al Concilio, in Vatican II in


Moscow, pp. 147-187; P. CHENAUX, L’Eglise catholique et le communisme en Europe, cit.,
pp. 239-267.
285
Cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni sull’ateismo e sul marxismo, cit., pp. 11-12.
286
Pierre Martin Ngô-Dinh-Thuc (1897-1984), vietnamita, ordinato nel 1925. Arcive-
scovo di Hué (Vietnam) dal 1960 al 1968. Membro della Commissione delle Missio-
ni durante la prima sessione. Dopo il Concilio, ordinò alcuni vescovi di propria ini-
ziativa e venne scomunicato da Paolo VI.
287
AD, II-II/3, pp. 774-776.
288
AD, II-II/3, p. 775.
VERSO IL CONCILIO 179

Nella successiva fase preparatoria, il tema del comunismo ven-


ne assegnato alla Commissione dottrinale con questa formulazio-
ne: “Sia esposta integralmente la dottrina cattolica, respinti i principali
errori odierni, cioè il naturalismo, il materialismo, il comunismo, il lai-
cismo” 289. La Commissione teologica però non affrontò l’argomen-
to. Ne trattarono invece, sotto l’aspetto pastorale, tre altre Com-
missioni: la Commissione dei Vescovi e del Governo delle Dioce-
si 290, che accettò un testo di condanna del comunismo (con tre vo-
ti contrari, tra cui quello del cardinale Tisserant) 291; la Commissio-
ne della Disciplina del Clero e del Popolo Cristiano, che fu elusi-
va, sostituendo il nome di “comunismo” con quello più generico
di “materialismo”; la Commissione per l’Apostolato dei Laici, che
approvò anch’essa un testo generico ed ambiguo. Anche nei lavo-
ri della Commissione centrale, che vagliava le proposte giunte
dalle Commissioni preparatorie, il tema non ebbe grande atten-
zione. Il card. Montini, ad esempio, usò parole molto caute, chie-
dendosi se la ragione dell’espansione del comunismo non fosse da
ricercare negli errori della stessa Chiesa, e il card. Alfrink chiese di
distinguere nel comunismo i fini dai mezzi, perché in qualche mi-
sura i fini potevano essere considerati giusti 292. Durante la prima
sessione del Concilio, il card. Tisserant, che presiedeva la sotto-
commissione mista responsabile dello schema De cura animarum,
insisté perché dal progetto venisse eliminata la parola communi-
smus e probabilmente, secondo Giovanni Turbanti, intervenne an-
che perché venissero cancellati i paragrafi di denuncia delle per-
secuzioni nei Paesi comunisti 293.
Il 2 novembre 1962, Plinio Corrêa de Oliveira incontrò il card.
Tisserant che trovò, malgrado i suoi 80 anni, “lucido, calmo, vivo” 294.
Questi gli confidò di aver partecipato alle negoziazioni con gli sci-
smatici ortodossi russi: “Mosca esigette che non si parlasse contro il co-
munismo nel Concilio, e Roma accettò”, disse, aggiungendo che rite-

289
AD, II-II/1, p. 408.
290
AD, II-II/3, pp. 761-842.
291
AD, II-II/3, pp. 777-790.
292
Cfr. G. TURBANTI, Il problema del comunismo al Concilio, in Vatican II in Moscow, p. 155.
293
Ivi, p. 159.
294
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 2 novembre 1962.
180 IL CONCILIO VATICANO II

neva “possibile parlare contro il materialismo e l’ateismo senza menzio-


nare il comunismo; in tal modo, il Concilio, che tratta solo di religione,
potrebbe svolgere perfettamente la sua missione”; inoltre, affermò, “chi
potrebbe parlare contro il fatto di prender soldi dai ricchi per darli ai po-
veri?”. Per questo, a suo dire, la Santa Sede aveva accettato le con-
dizioni del Cremlino. Nel corso della conversazione, tenuta in
francese, Tisserant elogiò il card. Stefan Wyszyński, definì il card.
Mindszenty un “pauvre imbécile” e dichiarò che era più difficile
convertire un monarchico scismatico che un comunista ateo, per-
ché “il primo accetta solo lo Zar come suo capo, mentre il secondo non
nutre preconcetti antiromani” 295.
Il card. Mindszenty era rimasto l’unico simbolo della resi-
stenza ecclesiastica al comunismo, dopo la morte del card. Aloj-
zije Stepìnac, scomparso, per avvelenamento, il 10 febbraio 1962.
La posizione dei due principi della Chiesa era fino ad allora
coincisa con le indicazioni provenienti dalla Santa Sede. Agli ini-
zi degli anni Sessanta, però il quadro internazionale, ed anche
ecclesiastico, appariva già modificato 296.

295
Ivi. L’incontro, riportato da Murillo Maranhão Galliez, fu più volte confermato da
Plinio Corrêa de Oliveira (A-IPCO, Riunione del 28 settembre 1980).
296
Cfr. A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., pp. 151-158. Il 3 ottobre 1956 Stepìnac
scriveva al padre Sakač: “Si conduce una lotta per la vita e per la morte e non è possibile
ritirarsi, se non vogliamo tradire Iddio. Anche il sanguinario comunismo sa bene che sarà
distrutto sin nelle radici non appena se ne presenti l’occasione al popolo. Non vi è più forza
al mondo che sia in grado di riabilitare il comunismo agli occhi delle masse, talmente si è re-
so, infatti, odioso con le sue sanguinose violenze, i saccheggi, le menzogne, gli imbrogli e at-
ti inumani, che non trovano riscontro nella storia del mondo. Una vera e viva immagine del-
l’inferno! Ho già detto varie volte: se l’inferno per tutta l’eternità non fosse nient’altro che
ciò che stiamo sperimentando noi oggi, sarebbe una cosa orribile e insopportabile. Eppure vi
sono ancora in Occidente degli uomini ingenui, che scherzano col fuoco e nella loro inge-
nuità credono nella possibilità di una coesistenza con il comunismo sanguinario. Non san-
no che esso è la viva immagine dell’inferno, un vero “mendacium incarnatum”. Il nostro
capo dello Stato in un’occasione ha definito il comunismo come una democrazia di tipo su-
periore. Io confermo ciò, ad una condizione però, che si inserisca una sillaba nella parola de-
mocrazia, in maniera che si possa leggere ‘demonocrazia’, giacché solamente il demonio, in
quanto essere superiore, ha potuto inventare tante torture per l’infelice umanità, e non un
normale cervello umano” (A. STEPINAC, Lettera del 3 ottobre 1956 al padre Stjepan
Sakač s.j., in Positio, cit., vol. III, p. 1257).
VERSO IL CONCILIO 181

12. La battaglia sulla liturgia

a) Latino lingua della Chiesa

Se la Commissione teologica rappresentava il bastione della tra-


dizione, l’avanguardia del progressismo era concentrata nella
Commissione liturgica. La Commissione era presieduta dal prefet-
to della Congregazione dei Riti, Gaetano Cicognani, e aveva come
Segretario padre Annibale Bugnini, autori, entrambi, della riforma
dei libri liturgici avviata da Pio XII 297. Ad essa partecipavano mol-
te delle figure più importanti del movimento liturgico: padre Ci-
priano Vagaggini 298, dom Bernard Capelle 299, dom Bernard Botte,
l’abbé Antoine Chavasse 300, l’abbé Pierre Jounel 301, il canonico
Aimé-George Martimort, padre Josef Andreas Jungmann, don Ro-
mano Guardini. Lo schema liturgico preparatorio era coerente con
le istanze che il movimento liturgico portava avanti fin dagli anni
Trenta. Esso attribuiva un primato assoluto alla dimensione “pa-
storale” e auspicava un rinnovamento della liturgia centrato sulla
“partecipazione attiva” dei fedeli 302.
Tra gli obiettivi del movimento liturgico vi era sempre stato
quello di sostituire il latino con il volgare. Non a caso il primo
aspetto che la Commissione iniziò ad affrontare fu proprio l’uso

297
Sui lavori della Commissione preparatoria, cfr. tra l’altro, B. BOTTE, Il movimento
liturgico, cit., pp. 167-189, e A. BUGNINI, La riforma liturgica, cit., pp. 26-39.
298
Cipriano Vagaggini (1909-1999), monaco della Congregazione camaldolese del-
l’Ordine di S. Benedetto. Ordinato nel 1934, studiò presso il Pontificio Istituto
Sant’Anselmo del quale divenne Decano.
299
Bernard Capelle (1884-1961), belga, monaco di Maredsous, direttore della “Revue
Bénédictine”, dal 1928 abate di Mont César. Cfr. F. VANDERBROVCK, Dom Bernard Ca-
pelle (1884-1961), in “Ephemerides Liturgicae”, n. 76 (1962), pp. 43-49.
300
Antoine Chavasse (1909-1983), francese, ordinato nel 1934. Professore alla Facoltà
di teologia cattolica di Strasburgo. Liturgista, fu nominato membro della Commis-
sione preparatoria della liturgia, poi esperto al Concilio.
301
Pierre Jounel (1914-2004), sacerdote francese, professore all’Institut Catholique di
Parigi. Cfr. N. GIAMPIETRO, In memoriam: Mons. Pierre Jounel 1914-2004, in “Epheme-
rides Liturgicae”, n. 119 (2005), pp. 83-86; PIERRE JOUNEL, L’élaboration du missel de
Vatican II. Souvenirs personnels, ivi, pp. 87-113.
302
Cfr. MARIA PAIANO, Il dibattito sui riflessi dell’antisemitismo nella liturgia cattolica, in
“Studi storici”, n. 41 (2000), pp. 134-135.
182 IL CONCILIO VATICANO II

del latino nella liturgia e negli studi ecclesiastici. Si trattava di una


“riforma” però a cui il nuovo Papa non era molto sensibile.
Il 25 marzo 1961, “L’Osservatore romano” pubblicò in prima
pagina un articolo firmato con tre stelle, Latino, lingua della Chiesa,
che difendeva vigorosamente la necessità per la Chiesa di una lin-
gua “universale, immutabile e non volgare”. L’articolo sviluppava in
modo ampio e articolato l’affermazione di san Pio X, secondo cui
“la lingua latina a buon diritto vien detta ed è la lingua propria della
Chiesa” 303 e il passo di Pio XI nella Epistola Officiarum omnium del
1 agosto 1922, secondo cui la Chiesa “esige per la sua stessa natura
una lingua che sia universale, immutabile, non volgare” 304. Vale la pena
riportare le tesi di fondo dell’articolo a cui mai fu data convincen-
te risposta:

“Il primo requisito della lingua della Chiesa, insegna il Pontefice, è che sia
universale. Essa deve servire nell’ordine dell’istituzione ecclesiastica a
mettere il centro della Chiesa in contatto pronto, sicuro, uguale, con tut-
ti i raggi che al centro si dirigono. Se in discorsi rivolti in solenni occa-
sioni a questo o quel popolo i Pontefici usano volentieri le rispettive lin-
gue nazionali, appena però debbano rivolgersi alla famiglia cattolica uni-
versale, l’uso di questa o quella lingua moderna, propria di una singola
comunità, risulterebbe un favoreggiamento di quella particolare comu-
nità, a danno delle altre. La Chiesa, che con le parole di Paolo proclama:
“ubi non est gentilis et iudaeus… barbarus et Scyta, servus et liber”
(Col. 3, 11; Gal. 3; Rom. 10, 12), non getterà mai sul piatto della bilancia,
per favorire degli interessi terreni di un popolo a svantaggio di altri, il pe-
so dei valori eterni di cui essa è custode. Né mai costringerà i popoli di mi-
nor potenza politica o culturale a chinarsi verso i più forti, come i covoni
nel sogno profetico di Giuseppe (Gen. 37, 6 ss.). Quindi l’uso del latino
che non è lingua propria di nessun popolo, non favorisce né sfavorisce
parzialmente nessuno; e con ciò adempie a un’essenziale condizione che
deve avere, nell’ordine cristiano, una lingua universale.
L’uso del latino da parte della Chiesa non si limita alla funzione negativa
di eliminare parzialità e risentimenti. La facilità che esso produce ai sa-

303
PIO X, Lettera Vehementer sane. Ad episcop. universos, 1 luglio 1908, in ENCH. CLE. p 470.
304
PIO XI, Lettera Officiarum Omnium, 1 agosto 1922, in AAS, 14 (1922), pp. 449-458.
VERSO IL CONCILIO 183

cerdoti di tutto il mondo di percepire prontamente con precisione e unifor-


mità gli atti di magistero, di legislazione, di esortazione del Sommo Pon-
tefice; il poter seguire sugli Acta Apostolicae Sedis le disposizioni dei
dicasteri romani: il poter accedere direttamente nel tempo degli studi e do-
po, alle opere dei Padri e dei grandi maestri; l’uso di una terminologia
esatta, immutabile, universale; quella diffusa capacità che è il fondamen-
to della scienza di poter adire le fonti originali; la rapida comprensione dei
testi liturgici, e infine, la comunanza di una supercultura che arricchisce
e non menoma le culture nazionali, tutto ciò costituisce un fascio di lega-
mi che contribuisce a rinsaldare l’unità di tutti i membri della Chiesa, del-
l’ordine sacerdotale in primo luogo, e mediante esso anche di tutti i fede-
li. Pio XI (Epistola Officiorum omnium, 1 agosto 1922): ‘È disposi-
zione provvidenziale che il latino fornisca ai più colti fra i cristiani
di ogni nazione un potente vincolo di unità permettendo loro di
conoscere più profondamente ciò che si riferisce alla Madre Chie-
sa e di poter, col Capo di casa, mantenersi in una più intima coe-
sione’. E Pio XII riassumeva e conformava: ‘La liturgia latina è un vin-
colo prezioso della Chiesa Cattolica’.
Oltre al requisito dell’attitudine alla universalità etnica e geografica, la
lingua della Chiesa, dice il Sommo Pontefice, deve possedere l’attributo
dell’immutabilità: ‘La Chiesa, che è per durare fino alla fine dei se-
coli, esige, per la sua stessa natura, una lingua che sia immutabile’.
È un fatto che le lingue vive sono in continua mutazione; e quanto più i
popoli che le parlano partecipano ai movimenti della storia, tanto più le
loro lingue si alterano. Nei periodi più intensi, bastano durate dell’ordine
del decennio per cambiare il volto di una lingua. E tanto maggiore, natu-
ralmente, è l’alterazione se si tratta di secoli. Quale delle moderne nazio-
ni di grande cultura non ha bisogno di glossari per leggere i propri clas-
sici di quattro, cinque, seicento anni fa? Ora, se la Chiesa dovesse im-
mettere il deposito delle sue verità nello stampo mutevole delle lingue mo-
derne, di parecchie o molte lingue moderne, senza che una abbia maggior
autorità sulle altre, ne risulterebbe necessariamente che la formulazione di
esse verrebbe sottoposta a travisamento di provenienza multipla e di effi-
cacia disuguale. Né ci sarebbe più una misura unica e inalterabile nella
quale le misure singole potrebbero chiedere la norma. Questi sono fatti ov-
vi, che la moderna linguistica, mettendo in rilievo la dimensione diacro-
nica nella vita delle lingue, ha copiosamente rilevato e precisato. Invece il
184 IL CONCILIO VATICANO II

latino, essendo sottratto alle alterazioni causate dall’uso quotidiano di


una collettività in pieno tumulto storico, vive in una sfera di cristallina
nitidezza e definitezza. Le modificazioni semantiche che esso ha subito, in
quanto lingua popolarmente viva, sono definitivamente cessate; le modi-
ficazioni di sensi dovute a sviluppi dottrinali, a polemiche e controversie,
sono ormai nettamente identificate e non hanno influsso perturbatore sul-
le definizioni della retta dottrina.
Il terzo requisito della lingua della Chiesa, continua il Sommo Pontefice,
esige che essa non sia volgare. Nessuno penserà che la Chiesa, la quale pre-
ga il Signore che ‘riguardi propizia le tribolazioni della plebi, i peri-
coli dei popoli, i gemiti dei prigionieri, la miseria degli orfani, le pri-
vazioni degli esuli, l’abbandono dei deboli, le disperazioni degli
ammalati, il decadere dei vecchi, gli aneliti dei giovani, i voti delle
vergini, i lamenti delle vedove’ (Breviario Romano, Preparatio ad
missam, feria quarta), e che questa commossa umanità attinge dalle paro-
le del Suo Divino Fondatore: ‘Voi siete tutti fratelli’ e dal commento di
Paolo: ‘In Cristo non v’è più né barbaro né Sciita, né schiavo né li-
bero’, nessuno penserà che la Chiesa si lasci prendere da un oraziano di-
segno verso il ‘profanum vulnus’. Il ‘vulnus’ sono le masse immerse nel-
la vita quotidiana, con i loro interessi e le loro passioni. E la Chiesa, se da
un lato apprende e usa anche l’oscuro dialetto di una piccola tribù del Con-
go e della Amazzoni, per evangelizzare questi figli che Cristo le ha affida-
ti, d’altro lato sente la necessità e il dovere di affidare il deposito sacro del-
le sue verità a una lingua che né si identifichi con questa o quella di un sin-
golo popolo, né che sia genericamente al livello delle passioni e degli inte-
ressi parziali. Anche questi requisisti di altezza essa ritrova nel latino, che
perciò è delle verità eterne ed immutabili ‘uno scrigno di incomparabi-
le eccellenza’ (Pio XII, discorso Magis quam). Se il latino non le fosse
stato offerto dalla Provvidenza all’inizio della sua lunga storia, essa avreb-
be dovuto cercare una lingua che possedesse i tre requisiti che Papa Pio XI
ha specificato. ‘Dal momento che il latino, conclude il Pontefice, rea-
lizza in pieno la triplice esigenza, riteniamo sia stato disposto dalla
divina Provvidenza che esso venisse a porsi mirabilmente a servi-
zio della Chiesa docente’ (Epist. Apost. Officium omnium).
Il nerbo e la sostanza delle ragioni per cui la Chiesa si attiene al latino so-
no dunque essenzialmente religiosi. Essa, come istituzione universale nel-
lo spazio e indefettibile nel tempo, ha bisogno di un mezzo linguistico che
VERSO IL CONCILIO 185

metta in comunicazione centro e raggi, passato, presente e avvenire: una


lingua che esprime la verità nitidamente, sia incorruttibile nel variar dei
tempi, inaccessibile agli intorbidamenti delle passioni” 305.

b) Giovanni XXIII rimuove i vertici della Commissione liturgica

Più significativa ancora fu la lettera apostolica che il 7 dicem-


bre dello stesso anno Giovanni XXIII inviò al più forte difensore
del latino all’interno della Commissione liturgica, mons. Higini
Anglès 306, direttore del Pontificio Istituto per la Musica Sacra. Il
Papa lodava l’opera in difesa della musica sacra dell’Istituto, af-
fermando che “nella liturgia solenne, sia nei templi che si distinguono
per eccellenza, sia nelle piccole chiese delle cittadine, sarà sempre lecito
tenere vivo lo scettro regale e il nobile impero della lingua latina” 307.
Consapevole delle opposizioni, Bugnini formò un gruppo di
dieci periti, che si riunì segretamente alla Domus Mariae dall’11 al
13 ottobre 1961, per accelerare la redazione dello schema 308. Il 22
febbraio 1962, però, il Papa firmò la costituzione apostolica Veterum
sapientia 309, che costituiva una ferma e inaspettata risposta ai fauto-
ri dell’introduzione del volgare nella liturgia. In questo documento
Giovanni XXIII sottolineava l’importanza dell’uso del latino, “lin-

305
“L’Osservatore Romano”, 25 marzo 1961.
306
Cfr. HIGINI ANGLÈS, Il prossimo Concilio Ecumenico e la Musica sacra, in “Bollettino
degli Amici del Pontificio Istituto di Musica Sacra”, n. 11 (1959). Mons. Higini An-
glès (1888-1969), spagnolo, in riconoscimento dei suoi meriti di insigne musicologo
fu nominato da Pio XII, nel 1948, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra in
Roma, nonché Prelato Domestico di Sua Santità e Consultore della Sacra Congre-
gazione dei Riti. Cfr. Sub tuum Praesidium confugimus. Scritti in memoria di mons. Hi-
gini Anglès, Pontificio Istituto di Musica Sacra, Roma 2002.
307
AAS, 53 (1961), p. 812.
308
Cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica, cit., pp. 34-35.
309
Cfr. AAS, 54 (1962), pp. 129-135. Cfr. G. M. ROSCHINI o.s.m., La Chiesa e la lingua la-
tina. Considerazioni sulla costituzione apostolica “Veterum Sapientia” di S.S. Giovanni
XXIII, s.e., Roma 1962; ALFONS M. STICKLER, A 25 anni della costituzione apostolica “Ve-
terum Sapientia” di Giovanni XXIII. Rievocazione storica e prospettive, in “Salesianum”,
n. 2 (1988), pp. 367-377. A. MELLONI, Tensioni e timori nella preparazione del Vaticano II.
La Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (22 febbraio 1962), in “Cristianesimo nella
storia”, n. 11 (1990), pp. 275-307. ID., Contesti, fatti e reazioni attorno alla Veterum Sa-
pientia di Giovanni XXIII, in “Rivista liturgica”, n. 89/3 (2002), pp. 391-407.
186 IL CONCILIO VATICANO II

gua viva della Chiesa”, raccomandava che le più importanti discipli-


ne ecclesiastiche dovessero essere insegnate in latino (n. 5) e che gli
aspiranti al sacerdozio, prima di intraprendere gli studi ecclesiasti-
ci, fossero “istruiti nella lingua latina con somma cura e con metodo ra-
zionale da maestri, assai esperti, per un conveniente periodo di tempo” (n.
3). Il Papa imponeva a tutti i ministri della Chiesa Cattolica, del cle-
ro sia secolare che regolare, “lo studio e l’uso della lingua latina: inten-
diamo con ferma volontà che lo studio e l’uso di questa lingua, restituita
alla sua dignità, venga sempre più promosso e attuato (…) e dove fosse ca-
duto quasi in abbandono, sia assolutamente ristabilito”.
Quello stesso giorno il Papa nominò presidente della Commis-
sione preparatoria il nuovo prefetto della Congregazione dei Riti,
card. Arcadio M. Larraona 310, in sostituzione del cardinale Cico-
gnani, morto il 5 febbraio. Se la scelta di Larraona, insigne canoni-
sta spagnolo profondamente attaccato alla Sede Romana, era si-
gnificativa, ancor più lo fu, nell’ottobre 1962, alla vigilia dell’aper-
tura del Concilio, la sostituzione dello stesso Bugnini con il padre
Ferdinando Antonelli 311. Tra tutti i segretari delle commissioni pre-
paratorie, il solo Bugnini non fu confermato segretario e gli fu tol-
ta la cattedra di Scienze Liturgiche dell’Università del Laterano 312.
Con questi provvedimenti Giovanni XXIII si mostrava chiara-
mente scontento dell’indirizzo preso dalla Commissione liturgica.
Tuttavia, malgrado le disposizioni tassative della Veterum Sapientia
la costituzione fu ignorata. L’ordine di rimozione graduale dei pro-

310
Arcadio Larraona (1887-1973), spagnolo, della Congregazione dei Missionari Fi-
gli del Cuore Immacolato di Maria Vergine (Claretiani), ordinato nel 1911. Profes-
sore di Diritto nelle Università Lateranense e Urbaniana, Segretario nel 1950 della
Congregazione dei Religiosi. Creato cardinale nel 1959, venne nominato Prefetto
della Sacra Congregazione dei Riti il 12 febbraio 1962, e consacrato vescovo il 19
aprile dello stesso anno. La biografia di BASILIO FRISÓN, Cardenal Larraona, Istituto
teológico de Vida Religiosa, Madrid 1979, è sorprendentemente evasiva sul ruolo di
Larraona in Concilio. Si veda invece: Il cardinal Arcadio Maria Larraona (1887-1973),
a cura di FERMINA ÁLVAREZ ALONSO, in Centro Vaticano II, “Ricerche e documenti”, a. I,
n. O (gennaio 2000), pp. 28-41.
311
Ferdinando Antonelli (1896-1993), francescano, ordinato nel 1922. Segretario del-
la Commissione della Liturgia ed esperto al Concilio, poi Segretario della Congre-
gazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti dal 1965 al 1969. Venne
creato cardinale nel 1973.
312
Cfr. R. KACZYNSKI, Verso la riforma liturgica, in SCV, vol. III, pp. 256-257 (pp. 209-276).
VERSO IL CONCILIO 187

fessori che non fossero in grado di parlare il latino ne è una prova:


i docenti delle università pontificie minacciarono, infatti, di dimet-
tersi in massa, mettendo in grande imbarazzo gli organi direttivi
delle stesse, che non avrebbero mai potuto sostituirli immediata-
mente con altri 313.

13. I proclami di guerra dei progressisti

Tra il 1961 e il 1962 molti teologi romani, quali il padre Rai-


mondo Spiazzi 314, domenicano dell’Angelicum, e il padre Seba-
stiaan Tromp 315 della Gregoriana, scesero in campo per rettificare le
false interpretazioni che correvano del Concilio.
Il padre Luigi Ciappi 316, Maestro del Sacro Palazzo Apostolico,
in un articolo sulla rivista “Divinitas” dal titolo Le attese della teolo-
gia di fronte al Concilio Vaticano II, ricordando i molteplici errori con-
dannati da Pio XII (ateismo, agnosticismo religioso e morale, laici-
smo ateo, progressismo, falso umanesimo, immanentismo, relati-
vismo dogmatico, evoluzionismo, etc.), scriveva:

“Ebbene, dovranno i Padri del Concilio considerare ormai morti e seppel-


liti gli errori, per non dire le eresie, denunziati da Pio XII? Non è forse
auspicabile un intervento solenne dell’intero corpo della Chiesa docente,
che confermi e completi le condanne degli errori che serpeggiano tuttora,
quale perniciosa zizzania, nella Vigna di Cristo, pur risparmiando gli er-

313
Cfr. MAURO GAGLIARDI, Introduzione al Mistero Eucaristico. Dottrina, liturgia, De-
vozione, Edizioni San Clemente, Salerno 2007, pp. 352-353. In esecuzione della co-
stituzione apostolica Veterum Sapientia, venne fondato il 22 febbraio 1962 il Pon-
tificium Institutum Altioris Latinitatis presso la Pontificia Università Salesiana di
Roma.
314
Cfr. RAIMONDO SPIAZZI o.p., Il senso del Concilio, in “L’Osservatore Romano”, 21
maggio 1959. Raimondo Spiazzi (1918-2002), teologo, domenicano, ordinato nel
1944, insegnava all’Anglicanum e alla Lateranense.
315
Cfr. S. TROMP s.j., De futuro Concilio Vaticano II, in “Gregorianum”, n. 43 (1962),
pp. 5-11.
316
Mario Luigi Ciappi (1909-1996), teologo domenicano, ordinato nel 1932, Maestro
del Sacro Palazzo (1955), consultore alla Congregazione del Sant’Uffizio, membro
della Commissione teologica preparatoria, nominato esperto nel 1962. Fu creato
cardinale nel 1977. Cfr. il profilo biografico in PUL, pp. 279-279.
188 IL CONCILIO VATICANO II

ranti, moltiplicando anzi i paterni inviti, a fine di ricondurli su retto sen-


tiero? Questo, penso, è il voto di molti teologi” 317.

Se la maggioranza dei Padri conciliari vedeva il Concilio come


un’occasione per rinnovare la Chiesa e dare nuovo impulso alle
sue attività, una minoranza di essi volle cogliere nell’evento conci-
liare la possibilità di una radicale trasformazione delle strutture ec-
clesiastiche. Tale era la tesi del volume del giovane teologo tede-
sco, Hans Küng, apparso nel 1960 a Friburgo con il titolo Konzil
und Wiedervereinigung. Erneuerung als Ruf in die Einheit 318. Il volu-
me, che recava una prefazione del card. König 319, fu tradotto, nel
1961, in inglese, francese e olandese. L’edizione francese, che ebbe
una tiratura di 10.000 copie, ottenne una seconda prefazione da
parte del card. Liénart 320, arcivescovo di Lille. L’8 giugno del 1962
il “Time Magazine”, con il titolo Una seconda Riforma per i cattolici e
i protestanti, pubblicava un articolo sul libro, corredato da tre foto
con Hans Küng tra Lutero e papa Giovanni 321.
Küng, che aveva poco più di trent’anni, dopo gli studi alla Gre-
goriana era stato assistente a Münster del prof. Hermann Volk 322,
poi vescovo di Magonza. Il suo volume teorizzava la confluenza
del movimento biblico-liturgico, con quello ecumenico, per “rin-
novare” la Chiesa dal suo interno, trasformandone le strutture. Il

317
L. CIAPPI o.p., Le attese della teologia di fronte al Concilio Vaticano II, in “Divinitas”,
n. 2 (1961), p. 499 (pp. 494-502).
318
Cfr. H. KÜNG, Konzil und Wiedervereinigung. Erneuerung als Ruf in die Einheit. Mit
einem geleitwort von Kardinal Franz König, Herder, Vienna 1960. “Nell’esporre queste
idee – scriveva di Küng padre Roberto Tucci sulla rassegna stampa della “Civiltà
Cattolica” – un sincero amore alla Chiesa lo anima, ed egli espone molto schiettamente i
suoi punti di vista” (CAPRILE, vol. I/2, p. 43).
319
Franz König (1905-2004), austriaco, ordinato nel 1933, vescovo coadiutore di Sankt
Pölten (1952), arcivescovo di Vienna dal 1956 al 1985. Membro della Commissione
preparatoria e della Commissione dottrinale. Creato cardinale nel 1985, presidente
del Segretariato per i non credenti nel 1965. Cfr. GROOTAERS, I protagonisti, pp. 145-157.
320
Achille Liénart (1884-1973), francese, ordinato nel 1907, vescovo di Lille dal 1928
al 1968. Creato cardinale da Pio XI nel 1930. Cfr. JEAN VINATIER, Le cardinal Liénart,
Le Centurion, Parigi 1978.
321
KÜNG, La mia battaglia, pp. 312-313.
322
Hermann Volk (1903-1988), tedesco, ordinato nel 1927. Professore di dogmatica a
Münster, vescovo di Magonza dal marzo 1962 al 1982, creato cardinale nel 1973.
VERSO IL CONCILIO 189

domenicano Yves Congar, principale esponente del movimento


ecumenico, aveva ben chiara la strategia da seguire: il coinvolgi-
mento dell’opinione pubblica era necessario per fare avanzare le
richieste più audaci espresse da Küng:

“Siamo in molti ad avere subito visto nel Concilio una possibilità per la
causa non solo dell’unionismo, ma anche dell’ecclesiologia. Vi abbiamo
intravisto un’occasione da sfruttare al massimo per accelerare il recupero
di valori come episcopato ed Ecclesia in ecclesiologia, e per fare progressi
sostanziali sul piano ecumenico. Personalmente mi sono impegnato a
smuovere l’opinione pubblica perché si aspetti e chieda molto. Ho ripetu-
to di continuo dappertutto: forse otterremo il 5% di quanto chiediamo.
Una ragione di più per chiedere molto. È necessario che la pressione del-
l’opinione pubblica cristiana spinga il Concilio a esistere veramente e a
concludere qualcosa” 323.

In una conferenza alle giornate di studi di Informations catholi-


ques internationales del 1961, il confratello e maestro di Congar, Ma-
rie-Dominique Chenu, annunciava da parte sua, come obiettivo
dell’imminente Concilio, “la fine dell’epoca costantiniana” 324 – una
formula, spiegava – “quasi provocatoria nella sua forza evocatoria e
nella sua stessa indeterminazione” che, “un po’ dappertutto, in Germa-
nia e in Italia più ancora che in Francia (…) comincia a circolare, propo-
sta spesso da menti insigni, perfino da autorità della Chiesa” 325. Congar
individuava un parallelo tra la filosofia della storia di Chenu, fon-
data sull’idea di progresso e la cosmologia di Teilhard de Chardin,
incentrata sull’idea di evoluzione. Secondo Congar “quanto
Teilhard de Chardin intuì per l’insieme del cosmo e della totalità della sua
storia, Chenu l’ha intuito per la dimensione storica e sociale della vita
umana” 326. Nella prospettiva di Chenu e di Teilhard, avrebbe do-
vuto essere il mondo a impregnare del suo spirito la Chiesa e non
la Chiesa a santificare il mondo.

323
CONGAR, Diario, vol. I, p. 66.
324
Pubblicata in Un Concile pour notre temps, Cerf, Parigi 1961, pp. 59-87.
325
Ivi, p. 59.
326
Y. CONGAR o.p., Marie-Dominique Chenu, in Bilancio della teologia del XX secolo, a cu-
ra di R. VANDER GUCHT, Città Nuova, Roma 1972, vol. IV, p. 120 (pp. 103-122).
190 IL CONCILIO VATICANO II

Teilhard de Chardin era morto a New York nel 1955. Il 15 no-


vembre 1957 una lettera del Sant’Uffizio aveva ordinato che le sue
opere fossero ritirate dalle librerie cattoliche. Il 30 giugno 1962, al-
la vigilia dell’apertura del Concilio, un Monitum del Sant’Uffizio
ne aveva condannato ulteriormente le opere. Ma nello stesso anno
era stato pubblicato un libro del padre de Lubac su La pensée reli-
gieuse du Père Teilhard de Chardin 327, ed era apparso un articolo del
padre Daniélou dal titolo Signification de Teilhard de Chardin 328, in
cui si esaltava l’“umanesimo integrale” di Teilhard 329. Il suo nome
aleggiava sul Concilio imminente e ne avrebbe costituito una chia-
ve interpretativa.

a) I vescovi centro-europei si organizzano

Sotto l’influenza del movimento biblico-liturgico e di quello


ecumenico, nel decennio 1948-1958 aveva preso forma nel Centro-
Europa una nuova “teologia dell’episcopato” 330. Questa tendenza
“episcopalista” venne fatta propria in Belgio dal cardinale Primate
Jozef-Ernest Van Roey 331 e in Olanda dal cardinale Primate Bernard
Jan Alfrink. Una figura che bene incarnava questa tendenza era
mons. André-Marie Charue 332, vescovo di Namur dal 1942, che
esprimendo il suo omaggio al card. Van Roey, nel giugno 1957, sot-

327
Cfr. H. DE LUBAC s.j., La pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, Aubier, Parigi
1962. Il libro fu seguito da molti altri dedicati a Teilhard: La prière du P. Teilhard de
Chardin (1964); Teilhard missionnaire et apologiste (1966); Teilhard et notre temps (1968);
Teilhard postume (1977).
328
Cfr. JEAN DANIÉLOU s.j., Signification de Teilhard de Chardin, in “Etudes”, n. 312
(1962), pp. 145-161.
329
Il carmelitano Philippe de la Trinité, vi rispose con un denso studio su Teilhard et
Teilhardisme (Pontificia Università Lateranense, Roma 1962).
330
Actes et Acteurs, pp. 339-357.
331
Jozef-Ernest Van Roey (1874-1961), belga, ordinato nel 1897, consacrato vescovo
nel 1926. Arcivescovo di Malines (1926-1961), venne creato cardinale nel 1927.
332
André-Marie Charue (1898-1977), belga, ordinato nel 1922, vescovo di Namur dal
1942 al 1974, membro della Commissione dottrinale di cui fu eletto vice-presidente
il 2 dicembre 1963. Cfr. J. COPPENS, In memoriam de son excellence Mgr André-Marie
Charue 1898-1977, in “Ephemerides Theologicae Lovanienses”, n. 54 (1978), pp. 221-
235; Actes et Acteurs, pp. 367-368 e l’introduzione di Claude Troisfontaines a CHA-
RUE, Carnets Conciliares, pp. 5-25.
VERSO IL CONCILIO 191

tolineava l’esistenza di “un’unione dell’episcopato come quella degli


Apostoli nel Collegio dei Dodici” 333. La formula del “governo dei Do-
dici” avrebbe avuto gran successo in Concilio.
La posizione che avrebbe assunto il card. Alfrink si poteva fa-
cilmente desumere da tre “tappe” del suo atteggiamento: i vota da
lui presentati, a nome dell’episcopato olandese, il 22 dicembre
1959; la lettera pastorale dello stesso episcopato, pubblicata a Na-
tale 1960 e dedicata al “senso del Concilio” 334; il suo intervento alla
Commissione centrale preparatoria del maggio 1962 sul ruolo dei
vescovi nella Chiesa, in cui il Primate di Olanda criticò severa-
mente lo schema preparatorio De Ecclesia.
Nella Lettera pastorale del dicembre 1960, sottoscritta dai ve-
scovi olandesi, venivano formalmente proposte due tesi di discus-
sione per la prossima assise conciliare: il ruolo dei laici e quello
dell’episcopato. Un passaggio della pastorale affermava che “la
prematura interruzione del Concilio Vaticano I ha creato l’impressione
che la isolata definizione dell’infallibilità pontificia sia una verità comple-
ta e a sé stante. Di fatto questa infallibilità personale si trova inserita nel-
l’infallibilità ufficiale dell’episcopato mondiale, fondata a sua volta sul-
l’infallibilità di tutta la comunità”. Mons. Felici giudicò prudente far
ritirare dalle librerie cattoliche la traduzione italiana del testo del
Primate d’Olanda 335, che non desisteva tuttavia dalla sua linea epi-
scopalista: nell’inverno del 1961 Alfrink dichiarò alla televisione
olandese che il primato della infallibilità pontificia era “entrato dal-
la finestra, a causa della presenza delle truppe italiane” che premevano
sullo Stato pontificio 336.
In Belgio, centri propulsori del progressismo erano l’Università di
Lovanio e il monastero benedettino di Chevetogne fondato da dom
Beauduin. Fin dall’annuncio del Concilio, nel 1959, Chevetogne de-
cise di dedicare i suoi colloqui annuali alla preparazione del Concilio

333
Cit. in Actes et Acteurs, p. 346.
334
Le sens du Concile. Une réforme intérieure de la vie catholique. Lettre pastorale de l’épi-
scopat hollandais, Desclée de Brouwer, Bruges 1961.
335
Cfr. RENZO TRIONFERA, Il monsignore in doppiopetto, in “L’Europeo”, 22 luglio 1962,
p. 40.
336
Cfr. LO SVIZZERO, La Pira e la via cattolica al comunismo, Edizioni de “Il Borghese”,
Milano 1964, p. 97.
192 IL CONCILIO VATICANO II

scegliendo come temi: nel 1959 la nozione di Concilio, nel 1960 il te-
ma della Chiesa locale e nel 1961 “l’infallibilità della Chiesa” 337.
Il 19 marzo 1962 mons. Léon-Joseph Suenens 338, nuovo arcivesco-
vo di Malines-Bruxelles, divenne cardinale e fu ricevuto da Giovan-
ni XXXIII, che gli chiese di preparargli una nota per il Concilio. Il do-
cumento fu presentato al Papa in un’udienza del 10 maggio 1962 339.
Il giorno successivo il neo-cardinale, di cui si parlava a Roma come
di un “papabile” 340 ebbe un lungo incontro con il card. Montini 341.
Nel mese di giugno 1962 Suenens riunì un gruppo di cardinali
a Roma, al Collegio belga, per discutere un “piano” per il prossi-
mo Concilio 342. Alla riunione parteciparono i card. Döpfner, Lié-
nart, Montini e Siri. Suenens racconta di aver discusso con loro un
documento “confidenziale” in cui criticava gli schemi predisposti
dalle Commissioni preparatorie e suggeriva al Papa di creare, “a
suo uso personale e privato”, una commissione ristretta di pochi
membri, “una sorta di brain trust” per rispondere ai grandi proble-
mi di attualità pastorale, evitando il “pericolo di immobilismo” 343.

337
Cfr. O. ROUSSEAU, Les journées oecuméniques de Chevetogne (1942-1967), in Au servi-
ce de la parole de Dieu, Mélanges A. M. Charue, Grembloux 1969, pp. 451-485. Allo
stesso Rousseau si deve un articolo su La vraie valeur de l’épiscopat dans l’Eglise, in
“Irenikon”, n. 29 (1956), pp. 121-250, che ebbe eco, non solo in Belgio, ma anche in
Olanda e Germania.
338
Léon-Joseph Suenens (1904-1996), belga, ordinato nel 1927. Arcivescovo di Mali-
nes-Bruxelles dal 1961 al 1979, creato cardinale nel 1962, fu uno dei quattro Mode-
ratori del Concilio nominati nel settembre 1963. J. GROOTAERS, Von Johannes XXIII zu
Johannes Paul II. Ein Gespräch mit Leo-Joseph Kardinal Suenens, in “Herder-Korrespon-
denz”, n. 34 (1980), pp. 176-182; ID., in I protagonisti, pp. 229-243; Actes et Acteurs, pp.
316-319; LEO DECLERCK-TOON OSAER, Les relations entre le Cardinal Montini-Paul VI
(1897-1978) et le Cardinal Suenens (1904-1996) pendant le Concile Vatican II, in “Istituto
Paolo VI”, n. 51 (2006), p. 54 (pp. 47-80); M. LAMBERIGTS - L. DECLERCK, The Role of Car-
dinal Léon-Joseph Suenens at Vatican II, in The Belgian Contribution, pp. 61-218.
339
Cfr. M. LAMBERIGTS - L. DECLERCK, The Role of Cardinal Suenens, cit., pp. 67-68.
340
POSWICK, Journal, p. 109.
341
Cfr. GISELDA ADORNATO, Cronologia dell’episcopato di G. R. Montini a Milano, 4 gen-
naio 1955-22 gennaio 1963, Istituto Paolo VI, Brescia 2002, p. 866.
342
L. J. SUENENS, Aux Origines du Concile Vatican II, in “Nouvelle Revue Théologi-
que”, n. 107 (1985), p. 4 (pp. 3-21); ID., Souvenirs et espérances, pp. 65-80.
343
In una conversazione con Benny Lai, il card. Siri ha ricordato l’episodio in questi
termini: “Suenens ha sostenuto che solo il card. Döpfner si mostrò contrario alla sua pro-
posta, ma che poi accettò l’opinione di Liénart, Montini e Siri. È una falsità, non accettai
proprio nulla. Suenens è uno a cui è sempre piaciuto fare il protagonista” (B. LAI, Il Papa
non eletto, p. 183, nota 13.
VERSO IL CONCILIO 193

“Lo sforzo di rinnovamento pastorale non si è fatto sentire con la stessa


intensità nei diversi Paesi. C’è il rischio che i vescovi che hanno maggio-
re esperienza in questo ambito non siano abbastanza numerosi da far pre-
valere i loro voti nel Concilio. L’esperienza di quanto avviene nella Com-
missione centrale mostra che esiste una forte corrente integralista che si
oppone a ogni rinnovamento pastorale di una certa levatura. Possa lo Spi-
rito Santo illuminare Sua Santità il Papa affinché la tendenza immobili-
sta, benché si riveli numericamente la più forte, non possa in ultima ana-
lisi prevalere” 344.

Il cardinale Primate del Belgio lanciava infine nel suo docu-


mento la parola d’ordine del “Concilio pastorale”.

“Se fosse possibile, alla fine di questa nota, vorrei esprimere un augurio:
che il Concilio sia, per eccellenza, un Concilio pastorale, cioè apostolico.
Che beneficio immenso sarebbe per la Chiesa se esso potesse definire, a
grandi linee, come tutta la Chiesa deve essere in missione, e questo a tut-
ti i livelli: laici, religiosi, clero, vescovi e Congregazioni romane! Che ma-
gnifica grazia di Pentecoste sarebbe per la Chiesa, come sperava, con tan-
to cuore e speranza cristiana, il nostro amatissimo Capo!” 345.

Giovanni XXIII seguì la linea tracciata da Suenens nel discorso


che tenne l’11 settembre 1962, un mese prima dell’apertura del
Concilio, mettendo in circolazione la distinzione tra Chiesa ad intra
e ad extra. L’atteggiamento della Chiesa ad extra riguardava il suo
rapporto con il mondo. Era questa la principale novità del Conci-
lio imminente.
Alla vigilia della Rivoluzione francese, il “partito liberale” ave-
va già i suoi comitati locali, logge, accademie, sale di lettura, asso-
ciazioni filosofiche e patriottiche che creavano una fitta rete orga-
nizzativa 346. Anche il Vaticano II conobbe una “vigilia organizzati-
va” ricca di riunioni, conferenze, pubblicazioni, incontri pubblici e
privati in cui si definì una “strategia”, come emergeva dalle frene-

344
L. J. SUENENS, Aux Origines du Concile Vatican II, cit., p. 8.
345
Ivi.
346
Cfr. PIERRE GAXOTTE, La Rivoluzione francese, tr. it. Rizzoli, Milano 1949, p. 106.
194 IL CONCILIO VATICANO II

tiche riunioni che si succedevano nei giorni immediatamente pre-


cedenti l’apertura del Concilio 347.
Di questa strategia il Primate del Belgio fu uno dei grandi pro-
tagonisti. “La messa in prospettiva del Concilio – scrive Grootaers – è
dovuta in gran parte a un solo uomo e quest’uomo fu il cardinale Sue-
nens” 348. La “tendenza collegiale della Chiesa del Belgio” 349 impressa dai
suoi predecessori, Mercier e Van Roey, lo aveva preparato a svol-
gere questo ruolo.
Nel mese di agosto giunse al Papa anche una supplica del car-
dinale canadese Paul-Emile Léger 350, arcivescovo sulpiziano di
Montréal. La lettera era firmata dai cardinali Liénart, Döpfner,
Alfrink, König e Suenens. Il documento criticava apertamente i
sette primi schemi che avrebbero dovuto essere discussi dall’as-
semblea, affermando che essi non si accordavano con l’orienta-
mento che Giovanni XXIII intendeva dare al Concilio 351. “Non sia-
mo più ai tempi del liberalismo dottrinale del 1860, né del socialismo
che si ergeva contro la Chiesa. Non dobbiamo rinchiuderci in un ghet-
to. Né accontentarci di gettare sassi ai comunisti (…)”, diceva anima-
tamente il card. Léger a Chenu il 10 ottobre 352. L’arcivescovo di
Montréal aveva stabilito un legame privilegiato con il teologo
belga Charles Moeller, da lui conosciuto in Canada nel 1959. Fu
grazie a Léger che Moeller, inizialmente presente al Concilio solo
come giornalista, ottenne la qualifica di “esperto”, come suo con-
sigliere privato.
Per le correnti progressiste, il Concilio rappresentava una straor-
dinaria opportunità. La natura assembleare dell’evento avrebbe

347
Cfr. CHENU, Diario, pp. 57-69.
348
Actes et Acteurs, p. 316.
349
SUENENS, Souvenirs et espérances, pp. 61-63.
350
Paul-Emile Léger (1904-1991), ordinato nel 1929, arcivescovo di Montréal (1950-
1968), creato cardinale nel 1953, membro della Commissione centrale preparatoria
e della Commissione dottrinale.
351
Cfr. Lettre inédite du Cardinal Paul-Emile Léger au Pape Jean XXIII en août 1962, in
Mémoires de Vatican II, éd. G. Routhier, Montréal 1997, pp. 93-113; per una sua va-
lutazione, G. ROUTHIER, Les réactions du cardinal Léger à la préparation de Vatican II,
in “Revue d’Histoire de l’Eglise de France”, n. 80 (1994), pp. 281-302 e L’itinéraire
d’un père conciliaire. Le cardinal Léger, in “Cristianesimo nella storia”, n. 19 (1998),
pp. 89-147.
352
CHENU, Diario, p. 69.
VERSO IL CONCILIO 195

permesso alle diverse tendenze di confrontarsi su di un piano di


parità ideologica e di affidare alle regole del gioco parlamentare la
prevalenza nei dibattiti. Il Concilio si sarebbe inoltre rivelato un’oc-
casione di incontro tra teologi eterodossi, fino ad allora dispersi ed
emarginati all’interno dei propri istituti religiosi.
Un gruppo di vescovi nord-europei, coadiuvati dai loro “esper-
ti”, già prima del Concilio si erano dati una struttura organizzata
per scambiare le informazioni, coordinare le iniziative “e all’occor-
renza le pressioni da esercitare sull’assemblea” 353. Il card. Heenan, allo-
ra arcivescovo di Liverpool, scrive nella sua autobiografia che “i
vescovi di lingua inglese erano piuttosto impreparati per il tipo di Conci-
lio che gli altri nord-europei stavano pianificando” 354. “Guardando indie-
tro – aggiunse – è facile vedere quanti di noi vescovi fossimo psicologi-
camente impreparati per ciò che avvenne durante la prima sessione. Mol-
ti di noi arrivarono a Roma nell’ottobre 1962 senza alcuna idea dell’at-
teggiamento anti-italiano di molti europei” 355.
Il 10 ottobre, alla vigilia dell’apertura del Concilio, il presiden-
te della Conferenza episcopale italiana, Giuseppe Siri appuntò sul
suo Diario: “La croce, se così si può dire, verrà come di solito dalle aree
francesi-tedesche e rispettivo sottobosco, perché non hanno mai eliminato
del tutto la pressione protestantica e la Prammatica Sanzione; bravissima
gente, ma non sanno di essere i portatori di una storia sbagliata” 356.
Il Papa non condivideva le voci di allarme che a lui proveniva-
no non solo dagli ambienti romani. L’ottimismo era la nota domi-
nante del suo temperamento. I sintomi della malattia però aveva-
no già iniziato a manifestarsi e, l’8 ottobre 1961, egli si autodefini-
va come “un mortale di 80 anni e di 103 chili di peso” 357.
Forse presago della sua fine, Giovanni XXIII sembrava aver
fretta di chiudere senza problemi l’assemblea da lui convocata.
Nel luglio del 1962 ricevette in udienza mons. Pericle Felici, che

353
R. AUBERT, Organizzazione e funzionamento dell’assemblea, in SC, La Chiesa del Vati-
cano II, vol. XXV/I, p. 177.
354
Ivi, p. 339.
355
JOHN C. HEENAN, A Crown of Thorns. An Autobiography 1951-1963, Hodder and
Stoughton, Londra 1974, p. 343.
356
SIRI, Diario, p. 356.
357
GIOVANNI XXIII, Pater Amabilis. Agende del Pontefice, p. 267.
196 IL CONCILIO VATICANO II

gli presentò gli schemi conciliari rivisti ed approvati. “Il Concilio è


fatto – esclamò con entusiasmo Papa Roncalli – a Natale possiamo
concludere!” 358.

358
Cit. in MICHELE MACCARRONE, Paolo VI e il Concilio: testimonianze, in “Rivista di
Storia della Chiesa in Italia”, n. 43 (1989), p. 101 (pp. 101-122).
III

1962: LA PRIMA SESSIONE

1. L’apertura del Concilio Vaticano II

a) La cerimonia dell’11 ottobre

Il ventunesimo Concilio ecumenico della storia della Chiesa si


aprì il giovedì 11 ottobre 1962. La pioggia, caduta insistentemente
fino alle prime ore del mattino, era cessata e si annunciava una
giornata di sole.
Il lungo corteo dei Padri conciliari uscì dalla Porta di Bronzo,
traversò in linea obliqua piazza San Pietro, salì la scala e avanzò
lentamente all’interno della Basilica stracolma. In testa i superiori
di ordini religiosi, gli abati generali e i prelati nullius; quindi i ve-
scovi, gli arcivescovi, i patriarchi, i cardinali, e per ultimo, in sedia
gestatoria, tra gli applausi della folla, Giovanni XXIII. Mentre il
corteo dei Padri incedeva con solennità, i cantori intonarono il Cre-
do e poi il Magnificat. Ogni Padre, entrando in chiesa, si toglieva la
mitra bianca, procedeva fino all’altare centrale, si inchinava da-
vanti alla Croce in un breve cenno di omaggio e raggiungeva il suo
posto. Il corteo era lungo complessivamente circa 4 chilometri; vi
partecipavano quasi tremila dignitari della Chiesa.
La presenza del Vicario di Cristo e dei successori degli Aposto-
li, nel quadro incomparabile della Basilica di San Pietro, fecero di
quella cerimonia uno spettacolo unico al mondo. Mai come in que-
sto momento la Chiesa cattolica manifestò il suo carattere univer-
sale e gerarchico. La Chiesa realizzava in questo evento il divino
mandato di annunciare il Vangelo a tutte le genti (Mt 28,19). La so-
198 IL CONCILIO VATICANO II

lenne cerimonia fu seguita, grazie alla televisione italiana, da mi-


lioni di persone in ogni angolo della terra.
I Padri conciliari presenti erano 2.381. Il più anziano, mons.
Alfonso Carinci 1 aveva partecipato da bambino al coro del Vatica-
no I e festeggiò il secolo di vita durante il Concilio. Il più giovane,
il peruviano Alcides Mendoza Castro 2, aveva solo 34 anni. I vesco-
vi europei erano soltanto un terzo, anche se gli oltre 500 Padri pro-
venienti dall’Africa e dall’Asia erano in maggior parte d’origine
europea 3 e di questi un terzo italiani. Dal mondo comunista euro-
peo sarebbero dovuti giungere 146 vescovi; ce n’erano meno di 50.
Dei vescovi cinesi ne sarebbero dovuti venire 144; erano presenti
solo i 44 espulsi. Nessun Padre conciliare della Corea e del Viet-
nam del Nord era presente; mancavano illustri testimoni della fe-
de come il card. Mindszenty e il metropolita degli Ucraini mons.
Slipyi. I mass media tacevano su queste clamorose assenze.
L’Ordo Concilii Oecumenici Vaticani II celebrandi, approvato con il
motu proprio Appropinquante Concilio del 6 agosto 1962 e promulga-
to il 7 ottobre dello stesso anno, ricalcava quello del Concilio Vatica-
no I 4. Come nella precedente assise le adunanze plenarie dei padri,
chiamate Congregazioni generali, erano il solenne momento in cui si
sarebbero discussi e votati gli schemi. I progetti approvati sarebbero
stati esaminati capitolo per capitolo. I membri avrebbero votato pla-
cet per esprimere la loro approvazione, non placet per manifestare il
voto contrario, placet iuxta modum nel caso di un consenso di massi-
ma, con emendamenti da motivare per iscritto. Il testo emendato tor-
nava quindi all’esame dell’assemblea generale, dove veniva votato,
prima per capitoli, poi nel suo insieme. Per l’approvazione definitiva
erano necessari i due terzi dei voti dei presenti. Le sedute plenarie,
aperte dalla celebrazione della Santa Messa, si sarebbero svolte al
mattino nella Basilica di San Pietro, appositamente attrezzata per
ospitare gli oltre 2.000 padri. L’unica lingua ammessa era il latino.
1
Alfonso Carinci (1862-1963), ordinato nel 1885, arcivescovo titolare, Segretario del-
la Congregazione dei Riti dal 1945 al 1959.
2
Alcide Mendoza Castro (1928-2003), ordinato nel 1951, vescovo ausiliare di Aban-
cay (Perù), ne fu vescovo dal dicembre 1962 al 1967.
3
Sul Terzo mondo come attore al Vaticano II, cfr. HENRI TEISSIER, Vatican II et le Tiers
Monde, in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 756-759 (pp. 755-767).
4
Il testo del Motu proprio in GIOVANNI XXIII, DMC, vol. IV, pp. 939-941. Cfr. S. GÓ-
MEZ DE ARTECHE Y CATALINA, op. cit., vol. I, pp. 35-53.
1962: LA PRIMA SESSIONE 199

b) Giovanni XXIII critica i “profeti di sventura”

L’allocuzione inaugurale del Papa, Gaudet mater ecclesia 5, pro-


nunciata in latino e immediatamente rilanciata dai mass-media di
tutto il mondo fu – osserva il padre Wenger – la chiave per com-
prendere il Concilio. “Il discorso dell’11 ottobre era la vera carta del
Concilio. Più che un ordine del giorno, esso definiva uno spirito; più che
un programma, dava un orientamento” 6. La novità più che nella dot-
trina era nella nuova disposizione psicologica ottimistica con cui si
impostavano i rapporti tra la Chiesa e il mondo: simpatia e “aper-
tura”. Coloro che mettevano in dubbio questo spirito irenico e ot-
timistico venivano definiti dal Papa “profeti di sventura” 7.
Giovanni XXIII ribadiva di avere concepito il Concilio “nella
mente quasi all’improvviso” (n. 3.1) e di aver poi fatto svolgere un
intenso lavoro di preparazione nella convinzione che, “illuminata
dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di
ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà
con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emenda-
menti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chie-
sa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le
menti alle realtà soprannaturali”. Il Papa criticava a questo punto
quelli che definiva i “profeti di sventura”. Egli affermava di aver ri-
cevuto voci

“di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fat-
ti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio.
Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vede-
re altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confron-
tano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al
punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia,
che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto pro-

5
Cfr. GIOVANNI XXIII, Allocutio Gaudet Mater Ecclesiae dell’11 ottobre 1962, in AS,
I/1, pp. 166-175, su cui cfr. A. MELLONI, Sinossi critica dell’allocuzione di apertura del
Concilio Vaticano II Gaudet Mater Ecclesiae di Giovanni XXIII, in AA.VV., Fede Tradizio-
ne Profezia. Studi su Giovanni XXIII e sul Vaticano II, Paideia, Brescia 1984, pp. 241-
283, e la severa critica che ne svolge PAOLO PASQUALUCCI in Giovanni XXIII e il Con-
cilio Ecumenico Vaticano II, Ichthys, Albano Laziale (Roma) 2008, passim.
6
A. WENGER, Vatican II, cit., vol. I, pp. 38-39.
7
GIOVANNI XXIII, Gaudet Mater Ecclesiae, cit., p. 169.
200 IL CONCILIO VATICANO II

cedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta
libertà della Chiesa.
A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sven-
tura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra en-
trare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi pia-
ni della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attra-
verso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sa-
pienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene del-
la Chiesa”.

Per Giovanni XXIII, compito principale del Concilio era quel-


lo di custodire il Magistero della Chiesa e insegnarlo “in forma più
efficace”.

“Il ventunesimo Concilio Ecumenico (…) vuole trasmettere integra, non


sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e
controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. (…) Ma il no-
stro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere al-
cuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più
dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno in-
segnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma im-
presso nelle vostre menti. (…)
Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un
Concilio Ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tem-
pi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame,
con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accu-
rata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti
dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esa-
minata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente
imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori
della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina cer-
ta ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia ap-
profondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è
infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra
veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate,
sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande im-
1962: LA PRIMA SESSIONE 201

portanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si do-


vrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magi-
stero, la cui indole è prevalentemente pastorale. (…)

Nei confronti degli errori condannati in ogni tempo dalla Chie-


sa, anche con la massima severità, il Papa annunciava un nuovo at-
teggiamento pastorale:

“Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medici-


na della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si
debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente
il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. (…) Così
stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumeni-
co innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amore-
volissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà
verso i figli da lei separati” 8.

Il Concilio era stato indetto, non per condannare errori o for-


mulare nuovi dogmi, ma per proporre, con linguaggio adatto ai
tempi nuovi, il perenne insegnamento della Chiesa. La forma pa-
storale, con Giovanni XXIII, diventava la forma del Magistero per
eccellenza 9. Questa prospettiva era destinata, secondo Alberigo, a
fare del Concilio un evento, piuttosto che una sede di elaborazione
e di produzione di norme 10. L’identità principale del Vaticano II
appariva come quella dell’“aggiornamento” 11, inteso come il “rin-
giovanimento della vita cristiana e della Chiesa” 12 e la “disponibilità e at-

8
GIOVANNI XXIII, Gaudet Mater Ecclesiae, cit., pp. 171-172. Cfr. G. ALBERIGO, Dal ba-
stone alla misericordia. Il magistero nel cattolicesimo contemporaneo (1830-1980), in
“Cristianesimo nella storia”, n. 2 (1981), pp. 487-521, in particolare pp. 507-511.
Questo annuncio del principio della misericordia, contrapposto a quello della se-
verità – commenta Romano Amerio – sorvola il fatto che nella mente della Chie-
sa “la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia” (R. AMERIO, Iota Unum, cit.,
p. 84).
9
Cfr. G. RUGGIERI, Appunti per una teologia in Papa Roncalli, in ALBERIGO, Papa Gio-
vanni, p. 265 (pp. 245-271).
10
Cfr. G. ALBERIGO, Giovanni XXIII e il Vaticano II, in ALBERIGO, Papa Giovanni, p. 219
(pp. 211-244).
11
G. ALBERIGO, Transizione epocale, cit., p. 769.
12
Ivi.
202 IL CONCILIO VATICANO II

titudine alla ricerca di una rinnovata inculturazione del messaggio cri-


stiano nelle nuove culture” 13.
Ciò non significa tuttavia che Papa Giovanni fosse, come ritie-
ne Alberigo, deliberatamente consapevole della portata “epocale”
dell’assemblea da lui convocata. Egli non immaginava infatti né la
lunghezza dei tempi, né la natura della discussione, né tantomeno
le conseguenze dell’assise che aveva convocato.
Molti padri rimasero sconcertati dal tono inusuale dell’allocu-
zione di Giovanni XXIII. “Ho capito poco del discorso del Papa: in quel
poco ho subito avuto modo di fare un grande atto di obbedienza mentale”,
scrive sul suo Diario il card. Siri 14.

c) Gli osservatori della chiesa “ortodossa russa”

Nel pomeriggio del 12 ottobre giunsero a Roma gli osservatori


della chiesa ortodossa russa: l’arciprete Vitalij Borovoij e l’archi-
mandrita Vladimir Kotlyarov, “ovviamente approvati e controllati –
come ammette Alberto Melloni – da organi politici e polizieschi” 15.
Furono entrambi più che soddisfatti delle parole di Giovanni XXIII
che confermavano le assicurazioni date al patriarcato di Mosca dal
card. Tisserant e da mons. Willebrands.

“La preoccupazione maggiore del Papa – ricorda Borovoij – fu l’insi-


stente desiderio dei circoli politici e clericali conservatori di usare la Chie-
sa ed il Concilio per condannare i comunisti (…). Il Papa, cercando l’u-
nità e la pace di tutti gli uomini respinse queste rivendicazioni, pronun-
ciandosi in modo diretto nel suo discorso inaugurale al Concilio in cui
enuncia il suo “dissenso” dai profeti di sventura e l’adesione, invece, al
disegno della bontà divina che prepara il bene della Chiesa” 16.

13
Ivi, p. 771.
14
SIRI, Diario, p. 357.
15
A. MELLONI, Chiese sorelle, diplomazie nemiche. Il Vaticano II a Mosca fra propaganda,
Ostpolitik ed ecumenismo, in Vatican II in Moscow, p. 8 (pp. 1-14).
16
VITALIJ BOROVOIJ, Il significato del Concilio Vaticano II per la Chiesa ortodossa russa, in
Vatican II in Moscow, p. 77 (pp. 73-89).
1962: LA PRIMA SESSIONE 203

Borovoij esprime quindi la sua riconoscenza verso il Segretariato


del cardinale Bea, confermando implicitamente con le sue parole gli
strettissimi legami esistenti tra il patriarcato di Mosca e il Cremlino:
“Il Segretariato per l’Unità e i vertici del Concilio – attesta – furono sem-
pre a difendere gli osservatori e la dignità della chiesa ortodossa russa nei
casi di azioni gravemente antimoscovite, antirusse o antisovietiche, nonché
nei casi di manovre organizzate da parte delle forze ultra-conservatrici od
ultra nazional-scioviniste, sia all’interno che a margine del Concilio” 17.
Anche i giornalisti furono un canale privilegiato di contatti tra
il Cremlino e il Vaticano 18. Tra questi, in primis, Anatolij Krassikov,
ufficialmente accreditato in Vaticano per conto dell’agenzia sovie-
tica “Tass”. La sua prima corrispondenza, dal tono inaspettata-
mente favorevole verso il Vaticano, venne pubblicata dall’organo
sovietico l’11 ottobre e fu ripresa il giorno successivo dalla “Izve-
stiya”, diretta dal genero di Krusciov, Adjubei 19.

2. La rottura della legalità conciliare: la seduta del 13 ottobre

La prima Congregazione generale del Concilio Vaticano II si


aprì sabato 13 ottobre sotto una pioggia torrenziale. L’ordine del
giorno prevedeva che l’assemblea eleggesse i suoi rappresentanti
(sedici su ventiquattro) nelle dieci Commissioni deputate a esami-
nare gli schemi redatti dalla Commissione preparatoria. I Padri
conciliari avevano ricevuto tre schede, preparate dal Segretariato
generale. La prima conteneva una lista completa dei Padri, che era-
no tutti eleggibili, a meno che non occupassero già altre funzioni.

17
Ivi, p. 79. In Italia “L’Unità” diede alla presenza dei due osservatori russi un am-
pio spazio, “giustificato dal valore politico che il Pci attribuiva alla loro partecipazione:
un esplicito riconoscimento dell’importanza attribuita al Concilio anche dal PCUS, sen-
za l’autorizzazione del quale i due non sarebbero potuti arrivare a Roma, e l’implicito ac-
cordo raggiunto tra le due chiese che il Concilio non si sarebbe pronunciato contro il co-
munismo” (R. BURIGANA, Il Partito comunista italiano e la Chiesa, in Vatican II in Mo-
scow, p. 205.
18
Cfr. NICOLAIJ A. KOVALSKIJ, Vatican II and its Role in the History of the Twentieth Cen-
tury, in Vatican II in Moscow, pp. 309-310.
19
Cfr. ANATOLIJ KRASSIKOV, The Second Vatican Council in the context of Relations
between the USSR and the Holy See, in Vatican II in Moscow, p. 314 (pp. 313-330).
204 IL CONCILIO VATICANO II

La seconda scheda recava i nomi di coloro che avevano preso par-


te alle deliberazioni delle diverse Commissioni del Concilio; la ter-
za era costituita da dieci pagine, ognuna delle quali aveva sedici
spazi bianchi numerati. I Padri conciliari avrebbero potuto scrive-
re i nomi dei rappresentanti prescelti per un totale di 160 nomi.
In apertura di seduta avvenne però un inaspettato colpo di sce-
na: il card. Achille Liénart, vescovo di Lille, uno dei nove presi-
denti dell’assemblea, si rivolse a bassa voce al cardinale Tisserant,
che presiedeva i lavori, con queste parole: “Eminenza, è veramente
impossibile votare così, senza sapere niente sui candidati più qualificati.
Se permette chiedo di prendere la parola”: “È impossibile – replicò Tis-
serant. – L’ordine del giorno non prevede alcun dibattito. Siamo riuniti
semplicemente per votare, non posso darvi la parola” 20.
La risposta del card. Tisserant era conforme al regolamento,
giacché la Congregazione era convocata per votare e non per deci-
dere se votare o no. Ma l’arcivescovo di Lille, non soddisfatto, af-
ferrò il microfono e lesse un testo in cui si affermava che i padri
non conoscevano ancora i candidati possibili e che occorreva con-
sultare le conferenze nazionali prima di poter votare per le Com-
missioni. “Dal momento che nel mondo vi sono 42 conferenze episcopa-
li, che sono annoverate nell’Annuario Pontificio, chiediamo che i presi-
denti di queste commissioni convochino i membri della conferenza e chie-
dano loro i nomi dei loro colleghi, che raccomandino come più adatti al la-
voro delle commissioni” 21.
Mentre dall’assemblea si levava qualche applauso, dallo stesso
banco di presidenza si alzò il card. Frings 22, il quale, affermando
di parlare anche a nome dei cardinali Döpfner 23 e König, manife-

20
A. LIÉNART, Vatican II, Facultés Catholiques, Lille 1976, p. 67; WILTGEN, pp. 16-17.
21
AS, I/1, p. 207.
22
AS, I/1, p. 208. Josef Frings (1887-1978), tedesco, ordinato nel 1910, arcivescovo di
Colonia dal 1942 al 1969. Fu creato cardinale da Pio XII nel 1946. Membro della
Commissione centrale preparatoria e del Consiglio di Presidenza. Cfr. NORBERT
TRIPPEN, Josef Kardinal Frings, vol. I: Sein Wirken für das Erzbistum Köln und für die Kir-
che in Deutschland, F. Schöningh, Paderborn-Monaco 2003; vol. II: Sein Wirken für die
Weltkirche und seine letzten Bischofsjahre, ivi, 2005.
23
Julius Döpfner (1913-1976), tedesco, ordinato nel 1939. Creato cardinale nel 1958,
arcivescovo di Monaco e Frisinga dal 1961 al 1976. Su di lui, cfr. GROOTAERS, I pro-
tagonisti, pp. 103-114.
1962: LA PRIMA SESSIONE 205

stò il suo deciso appoggio alla richiesta del collega francese. Gli
applausi aumentarono e il card. Tisserant propose di chiudere la
seduta e di riferire sull’accaduto al Santo Padre. Il card. Suenens
sottolinea nei suoi ricordi la portata rivoluzionaria dell’accaduto.
“Felice colpo di scena e audace violazione del regolamento! (…) In buo-
na parte le sorti del Concilio vennero decise in quel momento. Giovanni
XXIII ne fu lieto” 24.
Il “Blitzkrieg” 25 era stato accuratamente concordato. Nella notte
tra il 12 e il 13 ottobre, al Seminario francese di Santa Chiara, mons.
Garrone 26 e mons. Ancel 27 avevano preparato un testo, che era sta-
to poi consegnato al card. Joseph-Charles Lefebvre 28, arcivescovo
di Bourges, perché a sua volta lo rimettesse al card. Liénart, per
leggerlo all’inizio della Congregazione generale 29. Il card. Lefebvre
lo aveva consegnato a Liénart la mattina stessa del 13, all’ingresso
della Basilica di San Pietro 30.
La prima seduta del Concilio Vaticano II era durata meno di 50
minuti. Mons. Luigi Borromeo 31 scrive nel suo Diario: “E così si sco-
modarono tremila persone sotto la pioggia, per andare in San Pietro a sen-
tirsi dire che i tremila vescovi non si conoscono tra di loro e che devono tor-
nare a casa per vedere di conoscersi un po’” 32. “È difficile rendersi conto del-

24
SUENENS, Souvenirs et espérances, p. 58.
25
Così lo definisce M. DAVIES in Pope John’s Council, Augustine Publishing Company,
Devon 1977, pp. 23-32.
26
Gabriel-Marie Garrone (1901-1994), francese, ordinato nel 1925. Arcivescovo di
Tolosa dal 1956 al 1966, creato cardinale nel 1967, pro-prefetto e poi prefetto della
Congregazione dei Seminari e delle Università (diventata Congregazione per l’E-
ducazione Cattolica nel 1967) dal 1966 al 1990 e presidente del Pontificio Consiglio
per la cultura dal 1982 al 1988. Cfr. GROOTAERS, I protagonisti, pp. 133-144.
27
Alfred Ancel (1898-1984), francese, ordinato nel 1923, vescovo ausiliario di Lione
dal 1947 al 1973. Cfr. OLIVIER DE BERRANGER, Un homme pour l’Evangile: Alfred Ancel
1898-1984, Le Centurion, Parigi 1988.
28
Joseph-Charles Lefebvre (1892-1973), francese, ordinato nel 1921, dal 1936 al 1938
vicario generale di Poitiers, nominato arcivescovo di Bourges nel 1943, poi cardina-
le nel 1960. Da non confondere con il cugino mons. Marcel Lefebvre.
29
Cfr. A. RICCARDI, La tumultuosa apertura dei lavori, in SCV, vol. II, pp. 52-53 (pp. 21-
86); P. LEVILLAIN, La mécanique politique, cit., pp. 188-189.
30
A. LIÉNART, Vatican II, cit., pp. 66-67.
31
Luigi Carlo Borromeo (1893-1975), ordinato nel 1918. Vescovo di Pesaro dal 1952
al 1975. Membro della Commissione dei Religiosi.
32
BORROMEO, Diario, 13 ottobre 1962, p. 120.
206 IL CONCILIO VATICANO II

lo stupore e del disagio creato da questa vicenda”, registra da parte sua il


card. Siri 33. Uscendo dall’aula conciliare, un vescovo olandese si ri-
volse ad un sacerdote amico con queste parole: “È la nostra prima vit-
toria!” 34. Il Concilio si aprì dunque con un atto di forza. Tutti gli os-
servatori vi riconoscono il punto di svolta dell’assise conciliare 35.

3. Una nuova forma organizzativa: le conferenze episcopali

Un’immediata conseguenza del gesto del card. Liénart fu l’in-


troduzione di una nuova forma organizzativa, che si sarebbe rive-
lata cruciale nel proseguo dei lavori: l’ingresso delle conferenze epi-
scopali nelle dinamiche conciliari 36. Esse, come aveva chiesto Lié-
nart nella sua mozione, furono chiamate a indicare alla segreteria
generale, entro il 15 ottobre, le liste dei nuovi nominativi per le
Commissioni. Il loro ruolo nel Concilio venne così ufficialmente
sancito. Una delle prime conferenze episcopali, modello delle altre,
era stata, all’inizio degli anni Cinquanta, quella brasiliana (CNBB),
nata per iniziativa di mons. Helder Câmara 37, con l’appoggio del
nunzio Armando Lombardi 38 e di mons. Montini, allora alla Segre-
teria di Stato. Essa aveva costituito il modello per il CELAM, il Con-
siglio episcopale latinoamericano, che si riuniva annualmente per
discutere dei problemi comuni di quel continente.
Alcune conferenze, come quelle di Italia, Spagna, Portogallo e,
in parte, Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Australia, si mantene-
vano più fedeli alla Tradizione; quelle del Centro-Europa (Germa-
nia, Francia, Olanda e Belgio) formavano invece un blocco schiera-

33
SIRI, Diario, p. 360.
34
WILTGEN, p. 17.
35
Così ad esempio WILDE, pp. 18-19: “L’importanza del gesto di Liénart non può essere sot-
tovalutata” (p. 18). Minimizza invece la portata dell’episodio G. CAPRILE, La seconda
giornata del Vaticano II 25 anni dopo, in “Civiltà Cattolica”, q. 3293 (1987), pp. 382-390.
36
WILDE, p. 19; A. RICCARDI, La tumultuosa apertura dei lavori, cit., pp. 53-55.
37
Helder Pessoa Câmara (1909-1999), brasiliano, ordinato nel 1931. Vescovo ausilia-
re di Rio de Janeiro dal 1952 al 1964, poi arcivescovo di Olinda e Recife. Prima di
approdare a posizioni ultraprogressiste era stato segretario, negli anni Trenta, del
movimento integralista Plinio Salgado (1895-1975).
38
Armando Lombardi (1905-1964), ordinato nel 1928, arcivescovo titolare di Cesarea
di Filippi (1950) e nunzio apostolico in Venezuela (1950-1954) e Brasile (1954-1964).
1962: LA PRIMA SESSIONE 207

to su posizioni progressiste, con l’apporto determinante dei vesco-


vi francesi 39, che, con 171 padri, costituivano il gruppo più nume-
roso dopo l’episcopato italiano (367) e americano (216). Alla testa
dei Padri conciliari francesi era un gruppo di cardinali “democra-
tici” nominati vescovi da Pio XI per mutare la tendenza “integra-
le” impressa da san Pio X dopo la separazione tra Chiesa e Stato 40:
il card. Feltin 41, vescovo nel 1927, il card. Liénart, vescovo nel 1928,
il card. Gerlier 42, vescovo nel 1929. I tre presuli, insieme, avevano
fatto un viaggio a Roma nel 1953 per perorare la causa dei “preti
operai” 43. Tra i più progressisti vescovi francesi c’era il coadiutore
di Strasburgo, Léon-Arthur Elchinger 44, che si adoperò per stabili-
re una stretta cooperazione con l’episcopato tedesco.
Le conferenze centro-europee furono le prime a svolgere il nuo-
vo ruolo ad esse assegnato, collegandosi con quelle dell’America
Latina e dei Paesi “missionari” dell’Africa e dell’Asia.
“Benché molti proclamassero che la decisione di Liénart di interveni-
re in quel primo giorno di Concilio fosse un gesto di impulso, mosso dal-
lo Spirito Santo, in realtà – secondo Melissa Wilde – si trattava sem-
plicemente del primo atto pubblico di un più vasto piano per impedire le
nomine della Curia al Concilio. La seconda parte del piano, forse anche
più importante, era l’avvenuta alleanza tra i leader francesi e i principali
vescovi latinoamericani, Manuel Larraín ed Helder Câmara, entrambi vi-
ce presidenti del CELAM” 45.

39
Cfr. ALAIN MICHEL, L’épiscopat français au deuxième Concile du Vatican, in Le deuxiè-
me Concile du Vatican, pp. 281-296.
40
Cfr. C. BARTHE, op. cit., p. 37. Si veda anche MARC MINIER, L’épiscopat français du rallie-
ment à Vatican II, Antonio Milani, Padova 1982; YVES-MARIE HILAIRE, Le renouvellement
de l’épiscopat, in GÉRARD CHOLVY-Y. M. HILAIRE, Histoire religieuse de la France contempo-
raine (1930-1988), Privat, Tolosa 1988, pp. 19-23; MARCEL ALBERT, Die Katholische Kirche
in Frankreich in der Vierten und Fünften Republik, Herder, Friburgo in Brisgovia 1999.
41
Maurice Feltin (1883-1975), francese, ordinato nel 1909. Arcivescovo di Parigi dal
1949 al 1966, creato cardinale nel 1953.
42
Pierre-Marie Gerlier (1880-1965), francese, ordinato nel 1921. Vescovo di Tarbes e
Lourdes nel 1929, poi arcivescovo di Lione dal 1937 fino alla morte. Creato cardi-
nale nel 1937.
43
Cfr. J. VINATIER, Le cardinal Liénart, cit., p. 150 e sgg.
44
Léon-Arthur Elchinger (1908-1998), francese, ordinato nel 1931. Vescovo ausiliare
di Strasburgo (1957-1967), poi vescovo della stessa città dal 1967 al 1984. BERNARD
XIBAUT, Mgr Léon-Arthur Elchinger. Un évêque français au Concile, Cerf, Parigi 2009.
45
WILDE, p. 19.
208 IL CONCILIO VATICANO II

In un clima convulso furono approvate 34 liste elettorali, ma


quella del Centro-Europa appariva come la più organizzata e
rappresentativa. Il 16 ottobre, aprendosi la seconda Congrega-
zione generale, il card. Ottaviani propose una modifica proce-
durale che avrebbe potuto sventare il colpo 46, ma trovò tra i suoi
oppositori il card. Ruffini 47, con cui non si era concertato in pre-
cedenza. In compenso la macchina progressista, accuratamente
organizzata, raggiunse in pieno il suo obiettivo: non un trionfo
numerico, ma la fine della supremazia della Curia nell’assise
conciliare 48.
Una seconda novità procedurale si ebbe il 20 ottobre, nel corso
della terza Congregazione generale quando, in apertura di sessio-
ne, il Segretario generale annunziò che il Papa, su proposta della
Presidenza del Concilio, aveva sospeso l’applicazione dell’articolo
39 dell’Ordo Concilii, che esigeva la maggioranza assoluta per due
scrutini e la relativa per il terzo. I sedici Padri conciliari che aves-
sero ricevuto il maggior numero di voti per le diverse Commissio-
ni sarebbero stati eletti 49.
A questo punto era scontato il successo. I risultati delle elezioni
furono enormemente soddisfacenti per la lista “internazionale”,
che il corrispondente di “Le Monde”, Henri Fesquet, definiva
“Mercato Comune” 50 e il padre verbita Ralph Wiltgen “Alleanza
europea”: sui 109 candidati che essa aveva presentato, ne furono
eletti 79. Il Reno, come osserva Wiltgen, con un’espressione desti-
nata a entrare nella storia, “cominciava a gettarsi nel Tevere” 51. I fran-
cesi e i tedeschi, annotava preoccupato il card. Siri, si presentarono
“con aria da padroni. (…) La nostra lista è stata bocciata, quella della Ger-
mania e Francia, che aveva l’aiuto della Segreteria di Stato, ha vinto” 52.

46
AS, I/1, pp. 211-212.
47
Ivi, p. 213.
48
Cfr. C. BARTHE, op. cit., pp. 106-107.
49
Cfr. AS, I/1, p. 223.
50
FESQUET, Diario, p. 37.
51
WILTGEN, p. 19. Cfr. S. GÓMEZ DE ARTECHE Y CATALINA, op. cit., vol. I, lib. II, t. II, pp.
309-315.
52
Colloquio del card. Siri con Benny Lai del 17 maggio 1988, in B. LAI, Il Papa non
eletto, cit., p. 187.
1962: LA PRIMA SESSIONE 209

Il 28 ottobre “L’Espresso” pubblicò un articolo, a firma di Carlo


Falconi, dal titolo Verso la nuova teologia. Prevalgono i Padri conciliari
favorevoli al rinnovamento con le foto dei cardinali Liénart e Frings,
presentati come due “eroi” del rinnovamento conciliare 53. Liénart,
che aveva allora 78 anni, era il presidente della Conferenza episco-
pale francese, Frings, 75 anni, il capo della Conferenza dei vescovi
tedeschi. Fesquet, su “Le Monde”, indicava i nomi dei cardinali che
“ricorrevano più spesso nelle conversazioni come quelli di uomini capaci
di dare con la loro personalità impronta all’intero Concilio: König, arcive-
scovo di Vienna; Frings, arcivescovo di Colonia; Döpfner, arcivescovo di
Monaco; Alfrink, arcivescovo di Utrecht; Léger, arcivescovo di Montréal;
Montini, arcivescovo di Milano; Bea, presidente del Segretariato per l’U-
nità dei Cristiani; Suenens, arcivescovo di Malines, Primate del Belgio;
Liénart, vescovo di Lille” 54. La coalizione franco-tedesca, a geometria
leggermente variabile, ricorda Gilles Routhier 55, includeva di solito
i vescovi Suenens, Liénart, Alfrink, Montini, Lercaro, Frings, Döpf-
ner, Frings. A questo gruppo bisognava aggiungere i cardinali Lé-
ger, il solo nordamericano, Bea come esponente della Curia e Maxi-
mos IV 56 come rappresentante degli orientali.
Sull’onda del successo, i cardinali Suenens e Döpfner si spinse-
ro ancora più avanti: chiesero al Papa di permettere ai vescovi di
partecipare alle Congregazioni generali con abiti meno impegnati-
vi delle vesti prelatizie e di annullare la celebrazione della Messa
all’inizio delle sedute, per ampliare il tempo della discussione. Le

53
Cfr. FRANCIS X. MURPHY, che ne era l’autore, sotto pseudonimo, ora in Letters from
Vatican City: Vatican Council II (First session): Background and Debates, Faber & Faber,
Londra 1963, pp. 60-94. Una settimana prima, il 20 ottobre, era apparso un articolo
sulla stessa linea sul “New Yorker” dal titolo Letter from Vatican City.
54
FESQUET, Diario, p. 36.
55
Cfr. G. ROUTHIER, Portare a termine l’opera iniziata: la faticosa esperienza del quarto pe-
riodo, in SCV, vol. V, p. 145 (pp. 73-196).
56
Maximos IV Saigh (1878-1967), siriano, ordinato nel 1905. Patriarca melchita di
Antiochia. Cfr. Discorsi di Massimo IV al Concilio. Discorsi e note del patriarca Mas-
simo IV e dei vescovi della sua Chiesa al Concilio Vaticano II, Edizioni Dehoniane, Bo-
logna 1968; GROOTAERS, I protagonisti, pp. 171-183; O. ROUSSEAU, Le patriarche
Maximos IV (1878-1967), in “Revue Nouvelle”, n. 47 (1968), pp. 64-70; M. VILLAIN,
Un prophète: le Patriarche Maximos IV, in “Nouvelle Revue Théologique”, n. 90
(1968), pp. 50-65; EMILIOS INGLESSIS, Maximos IV. L’Orient conteste l’Occident, Cerf,
Parigi 1969.
210 IL CONCILIO VATICANO II

richieste centro-europee furono appoggiate dal card. Montini, che


l’ambasciatore Poswick definisce “uno dei rari cardinali italiani incli-
ni a sostenere l’ala liberale del Concilio” 57, ma Giovanni XXIII questa
volta si irrigidì e preferì seguire i consigli del card. Siri il quale, sol-
lecitato dal Pontefice ad esprimere un parere, si dichiarò contrario
sia per quanto riguardava l’abbandono degli abiti che per la ri-
nuncia alla Messa, dato che il Concilio – disse – aveva “bisogno for-
se più di preghiere che di pensare” 58.
In quei giorni mons. Borromeo, vescovo di Pesaro, rilevava “l’a-
credine di quasi tutti i cardinali stranieri contro la liturgia del rito roma-
no e la sua lingua, e la fiacchezza degli italiani che quasi non reagiscono
od almeno non hanno ancora incominciato a reagire” 59.

4. Il “messaggio al mondo”

All’inizio della terza Congregazione generale del 20 ottobre un


“Messaggio al mondo”, la cui prima versione era stata redatta dal
padre Chenu, fu approvato per levata di mano 60. Pur non essendo
propriamente un atto del Concilio, esso fu la prima manifestazione
pubblica dei Padri conciliari. “Nello svolgimento dei nostri lavori – es-
si proclamavano – terremo in gran conto tutto quello che compete alla di-
gnità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli” 61.
Tra le poche voci contrarie vi fu quella del card Heenan 62, arci-
vescovo di Liverpool:

“Ritengo – disse – che non è ancora il tempo di mandare un messaggio


a tutti gli uomini, e mi sembrerebbe cosa triste che il primo messaggio

57
POSWICK, Journal, p. 263.
58
Deposizione del card. Siri in Ioannis XXIII. Positio, vol. II/1, p. 1131; cfr. anche B.
LAI, Il Papa non eletto, cit., pp. 188-189.
59
BORROMEO, Diario, 24 ottobre 1962, p. 129.
60
AS, I/1, pp. 230-232; il testo approvato: ivi, pp. 254-256, tr. it. in CAPRILE, vol. II,
pp. 49-51. Il messaggio fu pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 21 e 22-23 ot-
tobre 1962.
61
CAPRILE, vol. II, p. 50.
62
John Heenan (1905-1975), inglese, ordinato nel 1930. Arcivescovo di Liverpool dal
1957 al 1963, poi di Westminster dal 1963 alla morte. Creato cardinale nel 1965.
Membro del Segretariato per l’Unità dei Cristiani.
1962: LA PRIMA SESSIONE 211

fosse così vago e prolisso. È certo che i giornali non pubblicheranno qua-
si nulla di questo messaggio. Ritengo che sarebbe meglio attendere un
po’, fin quando, dopo le discussioni, vi sia qualcosa di veramente inte-
ressante da dire a tutti gli uomini, che allora potrebbe attrarre l’atten-
zione del mondo. Infatti il mondo aspetta da noi una piccola parola di
compassione e di speranza, per confortare le anime che sono piene di an-
sia per il timore di una guerra nucleare, e dobbiamo dire qualcosa in no-
me di quei Padri che non sono con noi, per la persecuzione, e una paro-
la di compassione per i popoli cristiani che si trovano sotto il comuni-
smo, ed anche ad essi dobbiamo mandare una parola per il sollievo delle
anime” 63.

Il messaggio non ebbe risonanza sulla stampa, come aveva pre-


visto Heenan, ma indicò una direzione. L’agenzia sovietica “Tass”
ne riportò, senza commenti, il brano in cui si diceva che non vi è
uomo “che non detesti la guerra e che non tenda verso la pace con ar-
dente desiderio” e la frase nella quale si diceva che il Concilio ecu-
menico avrebbe tenuto particolarmente conto nel suo lavoro “di
tutto quello che compete alla dignità dell’uomo e quello che contribuisce
alla vera fraternità dei popoli” 64.
Quindici vescovi cattolici di rito orientale in esilio, i cosiddetti
uniati, che con l’unione di Brest del 1596 si erano ricongiunti a Ro-
ma, rifiutarono invece di associarsi perché il messaggio non riflet-
teva la drammatica situazione imposta dal comunismo alla Chiesa
nei Paesi dell’Est 65. Il 23 novembre essi divulgarono il testo di una
dichiarazione in cui si richiamava l’attenzione del mondo sulla as-
senza dal Concilio del loro metropolita Josef Slipyi 66, deportato in

63
AS, I/1, p. 237.
64
FESQUET, Diario, pp. 41-42.
65
Tra questi Ivan Bucko (1891-1974), ucraino, ordinato nel 1915, consacrato ve-
scovo da mons. Andrea Alexander Szeptyckyi (1865-1944) nel 1929, poi emigra-
to negli Stati Uniti. Vescovo ausiliare di Philadelphia degli Ucraini cattolici
(1940-1945), poi arcivescovo titolare di Leucas, lavorava a Roma in Curia dal
1953.
66
Josef Slipyi (1892-1984), dell’arcidiocesi di Leopoli (Ucraina). Ordinato nel 1917,
arcivescovo titolare di Serre (1939), successe nel 1944 a mons. Andrea Szepticky co-
me arcivescovo metropolita di Leopoli. Arrestato nel 1945, fu deportato ai lavori
forzati in Siberia, dove passò 18 anni (1945-1963). Fu creato cardinale da Paolo VI il
22 febbraio 1965. Sulle vicende della Chiesa ucraina-rutena, cfr. ALBERTO GALTER, Li-
212 IL CONCILIO VATICANO II

Siberia da oltre diciassette anni, unico sopravvissuto di undici ve-


scovi ucraini inviati nei gulag, mentre alla assise conciliare parteci-
pavano due osservatori del patriarcato di Mosca, definiti “stru-
mento docile ed utile nelle mani del governo sovietico” 67. Due giorni do-
po la pubblicazione di questo documento, il 23 novembre, mons.
Willebrands, per conto del Segretariato per l’Unione dei Cristiani,
nel corso di una conferenza stampa, difese gli osservatori russi, che
avevano “manifestato uno spirito sinceramente religioso ed ecumenico”,
dolendosi per il comunicato dei vescovi ucraini 68. Il 9 febbraio del-
l’anno seguente, il card. Slipyi fu scarcerato all’improvviso e giun-
se a Roma.
Negli stessi giorni in cui il Concilio rivolgeva il suo “Messag-
gio al Mondo” scoppiò una crisi internazionale che portò l’uma-
nità sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Le ricognizioni foto-
grafiche degli “aerei spia” americani sull’isola di Cuba verifica-
rono l’esistenza di missili a medio raggio, installati dal Cremli-
no, capaci di colpire larga parte del territorio americano. Il pre-
sidente Kennedy, il 22 ottobre, rese operativo un blocco navale
attorno all’isola. Il giorno successivo una flotta sovietica era
schierata nelle acque cubane in posizione d’attacco. Dopo uno
scambio di messaggi tra Kennedy e Krusciov, la crisi venne ri-
solta con un compromesso: ritiro dei missili da parte russa e ga-
ranzie per l’indipendenza cubana da parte degli USA che leva-
rono il blocco 69.

bro rosso della Chiesa perseguitata, tr. it. Ancora, Milano 1956, e Cristiani d’Ucraina. Un
popolo dilaniato ma indomabile, Aiuto alla Chiesa che soffre, Roma 1983; D. PAVLO VY-
SHKOVSKYY o.m.i., Il martirio della Chiesa cattolica in Ucraina, Luci sull’Est, Roma 2007.
Sul card. Slipyi, si veda mons. IVAN CHOMA, Josyf Slipyj “Vinctus Christi” et “Defen-
sor Unitatis”, Universitas Catholica Ucrainorum S. Clementis Papae, Roma 1997; ID.,
Josyf Slipyj. Padre e confessore della Chiesa Ucraina martire, Aiuto alla Chiesa che sof-
fre, Roma 1990; del cardinale, si veda il Testamento, tr. it. in “Quaderni di Cristia-
nità”, n. I/2 (1985), pp. 26-44.
67
G. F. SVIDERCOSCHI, Storia del Concilio, cit., pp. 164-165.
68
Testo del comunicato in CAPRILE, vol. II, p. 202. Cfr. anche “L’Osservatore Roma-
no”, 24 novembre 1962.
69
Cfr. MICHEL TATU, Power in the Kremlin: from Khrushchev to Kosygin, Penguin, New
York 1974, pp. 230-297; MICHAEL R. BESCHLOSS, The Crisis Years. Kennedy and Khrush-
chev, 1960-1963, Harper & Collins, New York 1991.
1962: LA PRIMA SESSIONE 213

5. I progressisti al Concilio

a) Il partito dei teologi

Il modello assembleare che si andava delineando nelle prime


settimane non era quello del Vaticano I, ma del Concilio di Costan-
za del 1414-1418, che costituisce forse, come ricorda Alois Dempf, la
prima esperienza parlamentare della storia attuata all’interno della
Chiesa 70. In aula si delineavano tendenze e “partiti” secondo crite-
ri di carattere dottrinale, ma anche nazionale. Per dare maggior pe-
so ai loro interventi i Padri conciliari parlavano infatti a nome di
gruppi della medesima area geografica e linguistica.
I lavori dei vescovi si svolgevano in due diversi ambiti: nella
Congregazione generale e nelle Commissioni. Il mattino dei giorni
feriali le Congregazioni generali riunivano tutti i Padri nella basi-
lica di San Pietro. Ci si iscriveva a parlare in ordine di dignità: pri-
ma i cardinali, poi i patriarchi, gli arcivescovi e infine i vescovi e,
all’interno di queste categorie, in ordine di anzianità. Nel pome-
riggio, il lavoro dei Padri si svolgeva nelle Commissioni, che com-
prendevano però solo un terzo del totale dei vescovi. Sempre nel
pomeriggio si svolgevano inoltre incontri e riunioni informali in
cui ai vescovi si aggiungevano i loro collaboratori.
I Padri conciliari erano affiancati da “esperti”: quelli ufficiali, o
“periti”, che assistevano alle Congregazioni generali, senza dirit-
to di voto, e quelli privati, invitati da alcuni vescovi come consi-
glieri 71. I periti ufficiali potevano, naturalmente a titolo privato,
affiancare ed assistere uno o più vescovi che ne richiedevano il
consiglio. Essi erano incaricati di redigere e rielaborare gli schemi
e, spesso, di preparare gli interventi dei Padri. Spesso gli “esper-
ti” non si limitavano a questo ruolo, ma cercavano di influenzare
il lavoro delle Commissioni, attraverso articoli, conferenze e testi
diffusi all’esterno dell’assemblea. Alla vigilia dell’apertura del

70
Cfr. ALOIS DEMPF, Sacrum Imperium, tr. it. Le Lettere, Firenze 1988 (1933), p. 105.
Anche lo storico LUDWIG VON PASTOR ammette questa parlamentarizzazione, descri-
vendo i diversi “partiti” formatisi all’interno del Concilio di Costanza (Storia dei Pa-
pi dalla fine del Medioevo, Desclée & C., Roma 1926-1963 (16 voll.), vol. I, p. 207).
71
Cfr. R. AUBERT, Organizzazione e funzionamento dell’assemblea, cit., pp. 179-180.
214 IL CONCILIO VATICANO II

Concilio, Giovanni XXIII aveva nominato 201 periti; alla fine del
Concilio, contando anche gli esperti privati, si arrivò a superare i
500. Molti di questi teologi erano stati sospettati di eterodossia
durante il pontificato di Pio XII, come i padri Congar, Daniélou,
de Lubac, Häring 72, Küng, Rahner, Schillebeeckx. Tutti avrebbero
svolto un grande influsso negli anni del Concilio e del post-Con-
cilio. È lo stesso Congar ad annotarlo nel suo diario il 21 ottobre:
“Sono da molti giorni colpito dal ruolo che svolgono i teologi. Al Conci-
lio Vaticano I non avevano avuto alcun ruolo” 73.
Non è difficile comprendere come il nemico per eccellenza dei
teologi progressisti fosse la Curia Romana e in particolare il
Sant’Uffizio, fonte delle loro condanne. Essi stabilirono un’al-
leanza strategica con i Padri conciliari per demolire la Congrega-
zione presieduta dal card. Ottaviani, che rappresentava il bastio-
ne dell’ortodossia. “La collaborazione tra vescovi e teologi – ammet-
te Alberigo – permise di strappare con la forza il Concilio al controllo
di Ottaviani” 74.
Nell’“ala marciante” del progressismo si distingueva una
pattuglia di teologi tedeschi 75, guidati dal padre Karl Rahner 76,

72
Bernard Häring (1912-1998), redentorista tedesco, ordinato nel 1933, professore di
teologia morale all’Alphonsianum (1949-1987), consultore della Commissione teo-
logica preparatoria, peritus conciliare.
73
CONGAR, Diario, vol. I, p. 168. Cfr. JOHN F. KOBLER c. p., Were theologians the engineers
of Vatican II?, in “Gregorianum”, n. 70/2 (1989), pp. 233-250; E. FOUILLOUX, Théolo-
giens romains et Vatican II, cit.; ID., Comment devient-on expert à Vatican II? Le cas du
père Yves Congar, in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 307-331; JARED WICKS, I teolo-
gi al Vaticano II. Momenti e modalità del loro contributo al Concilio, in “Humanitas”, n.
59 (2004), pp. 1012-1038.
74
GERALD FOGARTY, L’avvio dell’assemblea, in SCV, vol. II, p. 104 (pp. 87-128).
75
Cfr. NIKLAUS PFLÜGER, L’influence des théologiens allemands sur le Concile Vatican II, in
Eglise et Contre-Eglise au Concile Vatican II. Actes du II Congrès théologique de Sì sì no no,
janvier 1996, Publications du Courrier de Rome, Versailles 1996, pp. 367-402; FRANZ
SCHMIDBERGER, L’apport des théologiens allemands dans le ralliement du Concile à la pen-
sée moderne, in Penser Vatican II quarante ans après, Actes du VIème Congrès Théologi-
que de “Si si no no” (Roma, gennaio 2004), Publications du Courrier de Rome, Ver-
sailles 2004. Il card. Siri registra che all’interno del Concilio “si va delineando una con-
duzione vaga della Chiesa rappresentata dal gruppo di lingua tedesca e affini o vicini. Ciò an-
che aliquatenus organizzato (…) che si parla di una Theologia nova e che il concetto di
questa, nonché lo scopo, appaiono assai oscuri e forse pericolosi” (SIRI, Diario, p. 383).
76
Karl Rahner (1904-1984), teologo tedesco della Compagnia di Gesù, ordinato
nel 1932. Professore di teologia dogmatica a Innsbruck (1948-1964). Consultore
1962: LA PRIMA SESSIONE 215

della Compagnia di Gesù, e dai più giovani Hans Küng e Josef


Ratzinger 77. Rahner era consigliere del cardinale di Vienna Kö-
nig, Küng di mons. Leiprecht 78, vescovo di Rottenberg, Ratzin-
ger del card. Frings, arcivescovo di Colonia. Ad essi si aggiun-
geva il padre Otto Semmelroth 79, teologo di mons. Hermann
Volk, vescovo di Magonza, a sua volta strettamente legato al pa-
dre Rahner. Essi criticavano la “teologia concettuale” romana,
spregiativamente definita come “teologia del Denzinger” e auspi-
cavano una nuova “teologia dell’esistenza”, in cui conoscenza e
vita avrebbero dovuto fondersi in un unico atto di esperienza di
fede.
Rahner, nato nel 1904, era entrato nel 1922 nella Compagnia di
Gesù e nel 1934 era stato inviato dai suoi superiori a Friburgo, per
addottorarsi in filosofia. Il professore con cui avrebbe dovuto lau-
rearsi, Martin Honecker, rifiutò però il suo studio, che fu pubblica-
to nel 1939, con il titolo di Geist in Welt 80 (Spirito nel mondo). L’allie-
vo, che leggeva san Tommaso attraverso il confratello belga Joseph
Maréchal, si avvicinò a Heidegger, che in quegli stessi anni inse-
gnava a Friburgo, e ne fu profondamente influenzato 81.

della Commissione preparatoria della Disciplina dei Sacramenti, fu nominato


esperto al Vaticano II nel 1962. Su di lui cfr. gli studi critici di C. FABRO, La svolta
antropologica di K. Rahner, Rusconi, Milano 1974; DAVID BERGER, Abschied von ei-
nem gefährlichen Mythos – Neue Studien zu Karl Rahner, in “Divinitas”, n. 156
(2003), pp. 68-89; G. CAVALCOLI, Karl Rahner, cit. e gli atti del Convegno di studi
a cura del padre SERAFINO LANZETTA, sotto il titolo Karl Rahner, un’analisi critica.
La figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984), Cantagalli, Sie-
na 2008.
77
Josef Alois Ratzinger-Benedetto XVI, nato nel 1927, tedesco, ordinato nel 1951.
Consigliere del card. Frings, divenne perito al Concilio a partire dalla seconda ses-
sione, professore a Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona. Arcivescovo di Monaco e
Frisinga nel 1977 e cardinale nello stesso anno. Prefetto della Congregazione della
Dottrina della Fede dal 1981 al 2005. È stato eletto Papa con il nome di Benedetto
XVI il 19 aprile 2005. Cfr. La mia vita: ricordi 1927-1977, San Paolo, Cinisello Balsamo
1997. Nel 2008 è iniziata la pubblicazione della sua Opera omnia.
78
Joseph Karl Leiprecht (1903-1981), tedesco, ordinato nel 1928. Vescovo di Rotten-
burg nel 1949. Si dimise dalla carica nel 1974.
79
Otto Semmelroth (1912-1979), gesuita tedesco, professore a Francoforte, peritus
conciliare.
80
K. RAHNER, Geist in Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von
Aquin, Rauch, Innsbruck 1939.
81
Cfr. K. RAHNER, La fatica di credere, tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo 1986, p. 49.
216 IL CONCILIO VATICANO II

Il gesuita tedesco si era reso noto per aver messo in dubbio la


verginità di Maria 82. La sua Mariologia non aveva ottenuto il per-
messo di pubblicazione da parte della Compagnia a cui apparte-
neva e la sua posizione a favore della concelebrazione nell’opu-
scolo Le molte messe e l’unico sacrificio era stata criticata da Pio XII 83.
La “censura preventiva”, a cui Rahner era stato sottoposto dal
Sant’Uffizio per le sue tesi eterodosse, aveva però suscitato la pro-
testa dei cardinali Döpfner, Frings e König. La nunziatura di Vien-
na lo presentava a Roma come “il miglior teologo in Austria” 84 e il
cardinale König, Presidente della Conferenza episcopale austria-
ca, aveva chiesto a Rahner di seguirlo al Concilio come esperto
teologico 85.
Hans Küng, professore trentaquattrenne di teologia dogmatica
all’Università di Tubinga, vedeva in Rahner, oltre che un maestro,
un sodale. Con lui – ricorda – “escogitavamo insieme piani sul modo
in cui aggirare la strategia curiale sul Concilio” 86. Se Küng portava al-
le logiche conseguenze le tesi di Rahner, Josef Ratzinger 87, allievo
di Gottlieb Söhngen 88, si rifaceva piuttosto alla ecclesiologia del pa-
dre de Lubac e del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, usci-
to dalla Compagnia di Gesù nel 1950 89. “Balthasar – notava invece
con sufficienza Küng – è propriamente più un letterato, mentre Rahner
è il vero teologo” 90.

82
Cfr. KARL HUGO NEUFELD, Mariologie in der Sicht K. Rahners, in “Ephemerides Ma-
riologicae”, n. 50 (2000), pp. 285-297.
83
Cfr. KLAUS WITTSTADT, Alla vigilia del Concilio, in SCV, vol. I, p. 476 (pp. 474-477).
84
ASV, Conc. Vat. II, Busta 261, Prot. 362/60.
85
Cfr. H. VORGRIMLER, Karl Rahner Verstehen. Eine Einführung in sein Leben und
Denken, Herder, Friburgo in Brisgovia 1985, pp. 172-178.
86
KÜNG, La mia battaglia, p. 297.
87
Cfr. J. WICKS, Six texts by prof. Joseph Ratzinger as Peritus before and during Vatican
Council II, in “Gregorianum”, n. 89 (2008).
88
Gottlieb Söhngen (1892-1971), ordinato nel 1917, professore di Teologia Fonda-
mentale all’Università di Monaco di Baviera. Sotto la guida di Söhngen, don Rat-
zinger discusse la sua tesi di abilitazione sulla idea di storia di salvezza in san Bo-
naventura. Il lavoro non piacque al correlatore, il teologo Michael Schmaus (1897-
1993) che obbligò il giovane Ratzinger a rivederlo (GIANNI VALENTE, Ratzinger pro-
fessore. Gli anni dello studio e dell’insegnamento nel ricordo dei colleghi e degli allievi
(1946-1977), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, pp. 50-55).
89
Cfr. ALFRED LÄPPLE, Benedetto XVI e le sue radici, tr. it. Marcianum Press, Venezia 2006.
90
KÜNG, La mia battaglia, p. 297.
1962: LA PRIMA SESSIONE 217

Negli anni successivi al Concilio, le strade dei due giovani teolo-


gi si divaricarono: Küng assunse posizioni sempre più eterodosse, fi-
no a fuoriuscire dalla Chiesa, mentre Ratzinger seguì un percorso in-
tellettuale opposto che lo portò a ritrovare il ruolo della Tradizione e
delle istituzioni romane 91. Rahner, il comune maestro, da parte sua
volle dimostrare di poter riuscire dove il modernismo aveva fallito,
assumendo l’ambizioso compito di modificare la dottrina della Chie-
sa, rimanendo all’interno di essa. Egli, come sottolinea Alberigo, “sa-
rebbe diventato una delle guide teologiche determinanti del Vaticano II” 92.
Altrettanto organizzato e aggressivo del gruppo tedesco era
quello francese, composto dagli esponenti di punta della “nouvelle
théologie” condannata da Pio XII, in primis, i domenicani Congar e
Chenu e i gesuiti Daniélou e de Lubac.
Congar e de Lubac furono nominati da Giovanni XXIII consul-
tori della Commissione preparatoria. I loro nomi, a quanto sembra,
vennero suggeriti da alcuni conservatori, come il padre Franz
Hürth, “ut pluribus opponentibs os clauderet” 93, destando sorpresa tra
molti, come mons. Marcel Lefebvre, che scriveva al card. Ottavia-
ni: “I nomi dei Padri de Lubac e Congar sono a giusto titolo nomi che evo-
cano opposizioni al pensiero della Chiesa e in particolare alla Humani
generis. Come possono essere stati designati questi teologi di spirito mo-
dernista? Ce lo chiediamo” 94.
Daniélou, anch’egli perito conciliare, coadiuvò l’opera del ve-
scovo di Tolosa, Garrone. Chenu, a differenza dei teologi preceden-
ti, non ebbe incarichi ufficiali durante il Concilio (fu chiamato come
“esperto” da un vescovo del Madagascar che era stato suo allievo),
ma esercitò su di esso, come e più degli altri, un forte influsso.

91
Con Balthasar, de Lubac e altri teologi, Ratzinger diede vita nel 1972 a “Commu-
nio”, una federazione di riviste teologiche pubblicate in diverse lingue e Paesi (in
Italia, fin dall’inizio, dall’editoriale Jaca Book) che si oppose alla rivista progressi-
sta “Concilium”.
92
K. WITTSTADT, Alla vigilia del Concilio, cit., p. 477. Secondo Ignazio Sanna “forse, nes-
sun altro teologo ha esercitato una così profonda e radicale influenza sulla teologia cattolica
dell’ultimo quarto di secolo, come Karl Rahner” (Karl Rahner, Morcelliana, Brescia 2000,
p. 21); cfr. ID. (a cura di), L’eredità teologica di Karl Rahner, Lateran University Press,
Roma 2005.
93
Lettera di Franz Hürth a Tromp del 30 giugno 1960, in TROMP, Diarium, p. 803.
94
TROMP, Diarium, p. 815.
218 IL CONCILIO VATICANO II

Ai periti francofoni si aggiungeva un teologo belga di lingua


fiamminga, il domenicano Edward Schillebeeckx 95, docente di teo-
logia prima a Lovanio, poi a Nimega. Schillebeeckx, che aveva stu-
diato in Belgio e in Francia ed era stato allievo di Chenu, fu, come
è stato osservato, “una perfetta illustrazione della diffusione della nou-
velle théologie dalla Francia, via Belgio, all’Olanda” e dell’incontro
della “nouvelle théologie” francese con la “Verkündigungs theologie”
tedesca 96. Pur non essendo nominato ufficialmente perito, egli fu
consigliere del cardinale Alfrink ed esercitò una forte influenza so-
prattutto sull’episcopato olandese.

b) La “rete di relazioni”

Vescovi e teologi progressisti consolidarono nei primi giorni


della sessione conciliare la rete di relazioni che già avevano stabi-
lito nei due anni precedenti. Se tra i teologi il nucleo più attivo era
quello franco-tedesco, tra i vescovi l’asse portante era quello belga-
brasiliano.
Il 29 ottobre, parlando alla Domus Mariae ai vescovi brasilia-
ni, Küng racconta di aver domandato a un suo collega luterano a
Tubinga: “Se Lutero vivesse oggi, sentirebbe il bisogno di uscire dalla
Chiesa cattolica per promuovere la riforma o tenterebbe la riforma del-
l’interno della Chiesa?”. Mons. Helder Câmara, che riporta l’episo-
dio, è naturalmente entusiasta del progetto di protestantizzazio-
ne della Chiesa che affiora da queste parole 97. Fin dalla prima set-
timana Câmara stabilì un’intensa cooperazione con il card. Sue-
nens, che nella sua corrispondenza chiama con il nome cifrato di

95
Edward Schillebeeckx (1914-2009), domenicano belga, ordinato nel 1941, professo-
re di teologia all’Università Cattolica di Nimega (1957-1982), consigliere teologico
del card. Alfrink, fu tra i fondatori della rivista “Concilium”. Su di lui, cfr. Nouvelle
théologie, pp. 118-125; JOHN STEPHEN BOWDEN, Edward Schillebeeckx. Portrait of a Theo-
logian, Canterbury Press, Londra 1983; PHILIPPE KENNEDY, E. Schillebeeckx, postfazio-
ne e bibliografia di Franco Giulio Brambilla, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997; F. G.
BRAMBILLA, Edward Schillebeeckx, Morcelliana, Brescia 2001; ERIK BORGMAN, Edward
Schillebeeckx: A Theologian in his History, Continuum, Londra-New York 2003.
96
Cfr. Nouvelle théologie, pp. 117-118.
97
Cfr. CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, pp. 65-66.
1962: LA PRIMA SESSIONE 219

“Padre Miguel” 98. Il vescovo brasiliano racconta come all’inizio


della prima sessione andò a incontrare Suenens per chiedergli di
mettersi alla testa del fronte progressista, che stava organizzando
in maniera riservata un gruppo, poi chiamato “Ecumenico”. Sue-
nens gli chiese: “Tutti quanti conoscono la sua amicizia con Montini:
perché pensa a me e non a lui per questo dialogo e per la leaderanza del
Concilio?”. Câmara rispose senza esitazione: “Mi sento ‘aux an-
ges’ con Papa Giovanni. Ma sento che egli vedrà la fine del Concilio dal
cielo. Dobbiamo riservarci Montini per succedere a Giovanni”. Sue-
nens, aggiunge, fu “pienamente d’accordo” 99 con lui.
“La nostra amicizia – ha ricordato da parte sua il card. Suenens
riferendosi a mons. Câmara – è nata sin dai primi giorni del Concilio.
Quest’uomo svolse un ruolo fondamentale dietro le quinte, anche se non
prese mai la parola durante le sessioni conciliari” 100. Da allora, il tan-
dem Câmara-Suenens costituirà uno dei motori “occulti” dell’as-
semblea conciliare.
Tra i vescovi latinoamericani presenti al Concilio si erano di-
stinti, per le loro posizioni estreme, oltre a Câmara, il card. Raul
Silva Henríquez 101, arcivescovo di Santiago del Cile e mons. Ma-
nuel Larraín Errazuriz 102, vescovo di Talca (Cile), che dal 1963 era
presidente del CELAM 103, il Consiglio episcopale latinoamericano.
Essi erano in stretto contatto con il Centro Intercultural de Docu-
mentación (CIDOC) aperto da don Ivan Illich 104 a Cuernavaca nel

98
BEOZZO, A Igreja do Brasil no Concílio Vaticano II (1959-1965), Paulinas, San Paolo 2005,
p. 196. È curioso come l’esistenza di questa stretta collaborazione sia ignorata, o ri-
mossa, da uno dei principali conoscitori dell’opera del card. Suenens, Ian Grootaers.
99
Cfr. CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 657.
100
SUENENS, Souvenirs et espérances, p. 177.
101
Raul Silva Henríquez (1907-1999), salesiano cileno, ordinato nel 1938. Arcivesco-
vo di Santiago del Cile dal 1961 al 1983; creato cardinale nel marzo 1962.
102
Manuel Larraín Errazuriz (1900-1966), cileno, ordinato nel 1927 e consacrato ve-
scovo nel 1938. Vescovo titolare di Talca, in Cile, dal 1928 alla morte.
103
Cfr. MARCOS G. MCGRATH, La creazione della coscienza di un popolo latinoamericano.
Il CELAM e il Concilio Vaticano II, in L’evento e le decisioni, pp. 135-142; SILVIA SCATE-
NA, In populo pauperum. La Chiesa latinoamericana dal Concilio a Medellín (1962-1968),
con prefazione di Gustavo Gutiérrez, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 25-43 e passim.
104
Ivan Illich (1962-2002), austriaco, di padre croato e di madre sefardita, ordinato
nel 1951, nel 1956 fu nominato vice-rettore dell’Università Cattolica di Porto Rico e
nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernevaca in
Messico (cfr. JESÚS GARCÍA, La Iglesia mexicana desde 1962, in Historia general de la Igle-
220 IL CONCILIO VATICANO II

1961, sotto la protezione del vescovo Sergio Méndez Arceo 105 e con
il sostegno finanziario del card. Francis Spellman 106, arcivescovo di
New York, diocesi presso cui Illich era incardinato. Il centro di
Cuernavaca divenne un “laboratorio ideologico” dove fu studiata
una strategia per l’imminente Concilio, e Illich fu il promotore di
intensi contatti tra i vescovi europei e quelli sudamericani 107.
Nel 1959 don Illich aveva abbozzato un articolo, poi pubblica-
to nel 1967 sulla rivista di Chicago “The Critic”, sul tema Il clero:
una specie in via di estinzione 108, in cui suggeriva di “dare il benvenu-
to, con un senso di profonda gioia, alla scomparsa degli aspetti burocra-
tici e istituzionali della Chiesa” 109, augurandosi la riduzione del cle-
ro e una sua radicale secolarizzazione. Fin dal 1961, Câmara e Lar-
raín avevano organizzato, con la partecipazione del teologo au-
stro-americano, un incontro ristretto a Rio de Janeiro per discute-
re un programma di azione comune 110. Il sacerdote belga François
Houtart 111, professore all’Università di Lovanio, in una lettera al

sia en América Latina, V, México, Ediciones Sígueme, Salamanca 1984, pp. 361-493).
Nel 1967-1968 si creò il “caso Illich” quando il sacerdote sostenne che gli uomini e
il denaro inviati nel Terzo Mondo a scopi missionari contribuivano a perpetuare le
ingiustizie. Dopo le censure ecclesiastiche e lo scioglimento del Centro, Illich ri-
nunciò all’esercizio del sacerdozio. Si veda GIANCARLO ZIZOLA-ALBERTO BARBERO, La
riforma del Sant’Uffizio e il caso Illich, Gribaudi, Torino 1969; MAURIZIO DI GIACOMO,
Ivan Illich. Una voce fuori dal coro, Ancora, Milano 2006. Di lui, cfr. Pervertimento del
Cristianesimo. Conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa e modernità, Verba-
rium-Quodlibet, Firenze 2008.
105
Sergio Méndez Arceo (1907-1992), messicano, ordinato nel 1934, vescovo di Cuer-
navaca dal 1952 alla fine del 1982. Su di lui, cfr. l’enfatico Don Sergio Méndez Arceo,
patriarca de la solidaridad liberadora, a cura di LETICIA RENTERÍA CHÁVEZ-GIULIO GI-
RARDI, Ediciones Dabar, Città del Messico 2000.
106
Francis Spellman (1889-1967), americano, ordinato nel 1916. Arcivescovo di New
York dal 1939 fino alla morte. Creato cardinale nel 1946.
107
Cfr. G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2005, pp.
78-79.
108
Ora in I. ILLICH, Rovesciare le istituzioni. Un “messaggio” o una “sfida”, Presentazio-
ne di Erich Fromm, tr. it. Armando Editore, Roma 1973.
109
Ivi, p. 83.
110
S. SCATENA, In populo pauperum, cit., p. 31.
111
François Houtart (1925), belga, ordinato nel 1949. Direttore del Centro di ricerche
socio-religiose di Bruxelles e docente all’Università Cattolica di Lovanio a partire
dal 1958. All’inizio degli anni Sessanta, organizzò un network rivoluzionario, la Fe-
deración Internacional de Investigación Social (FERES), con un ramo a Bogotá e
uno a Rio de Janeiro.
1962: LA PRIMA SESSIONE 221

padre José Oscar Boezzo, ha dettagliatamente ricostruito la rete di


contatti tra vescovi e teologi europei e latinoamericani creata da
mons. Câmara.

“Il réseau che era stato stabilito da dom Helder e alla cui costituzione
avevo contribuito comprendeva vescovi non solo dell’America Latina,
ma anche di pressoché tutti i Paesi europei, in ogni caso, il Belgio, i Pae-
si Bassi, la Francia, la Germania, così come certi Paesi dell’Europa del-
l’Est, specialmente la Polonia, con mons. Karol Wojtyla 112 e l’Asia, con
mons. Binh 113, arcivescovo di Saigon e mons. Fernándes 114, arcivescovo
di nuova Delhi. Comprendeva anche un certo numero di teologi, quali
Schillebeeckx, Congar, de Lubac e Daniélou” 115.

Beozzo dedica un ampio capitolo alle “reti di relazioni del Conci-


lio: conferenze nazionali, famiglie religiose, gruppi nazionali e linguisti-
ci” 116, ma soprattutto alle reti ideologiche: alcune di esse preesiste-
vano al Concilio, come la Jeunesse Ouvrière Chrétienne, con sede
a Bruxelles, e la JEC (Jeunesse Etudiante Chrétienne), con sede a
Parigi.
Il motore dell’alleanza progressista fu un raggruppamento di
vescovi centro-europei e americani conosciuto sotto il nome di
gruppo della Domus Mariae 117, ma anche sotto altri nomi: Confe-
renza dei delegati o Conferenza dei ventidue, perché vi partecipa-
vano i delegati di 22 conferenze episcopali, o anche gruppo “Ecu-

112
Karol Józef Wojtyla - Giovanni Paolo II (1920-2005), polacco, ordinato nel 1946,
vescovo ausiliare di Cracovia e vescovo titolare di Ombi nel 1958, poi arcivescovo
di Cracovia nel 1964. Creato cardinale nel 1967, eletto Papa il 16 ottobre 1978. È in
corso la sua causa di beatificazione.
113
Paul Nguyen van Binh (1910-1995), vietnamita, ordinato nel 1937, vescovo di Can
Tho (1954-1960), arcivescovo di Saigon (poi Ho-Chi Minh City) dal 1955 al 1995.
114
Angelo Fernándes (1913-2000), indiano, ordinato nel 1937. Arcivescovo coadiuto-
re di Delhi dal 1959 al 1967. Membro della Commissione dei Vescovi.
115
J. O. BEOZZO, op. cit., p. 300.
116
Ivi, pp. 178-194.
117
Ivi, pp. 185-186; J. GROOTAERS, Une forme de concertation épiscopale au concile Vatican
II. La Conférence des vingt-deux (1962-1963), in “Revue d’histoire ecclésiastique”, n. 1,
vol. 91 (1996), pp. 66-112; poi in Actes et Acteurs, pp. 133-165. Il gruppo fu anche det-
to “gruppo del martedì”, dal giorno in cui si riuniva, ma dall’ottobre 1963, il giorno
di incontro fu spostato al venerdì.
222 IL CONCILIO VATICANO II

menico”, secondo il gergo di mons. Câmara. Caratteristica del


gruppo della Domus Mariae era la doppia composizione: di rap-
presentanti delle conferenze episcopali e di membri delle Com-
missioni conciliari. Questa dualità, osserva Pierre Noël, conferiva
al gruppo una particolare autorità e rappresentatività 118.
Il ruolo della Domus Mariae fu decisivo per l’inizio del dibatti-
to sullo schema De fontibus contro cui fu organizzata una efficace
opposizione 119.
Jan Grootaers, sulla base degli archivi del card. Etchegaray, ha
tracciato un quadro del gruppo della Domus Mariae. Esso era
composto dal Consiglio degli episcopati latino-americani (CE-
LAM); dalla Conferenza Cattolica Canadese (CCC) e da giovani
presuli francesi che svolsero un fondamentale ruolo organizzativo:
mons. Pierre Veuillot 120, arcivescovo coordinatore di Parigi e mons.
Roger Etchegaray 121, Segretario aggiunto dell’assemblea dei cardi-
nali e arcivescovi francesi. Etchegaray, che si trovava a Roma come
collaboratore dell’episcopato francese, divenne rapidamente
“l’homme pivot” della Domus Mariae e l’opinione conciliare, secon-
do Grootaers, era incline a identificare l’uomo con il gruppo che
animava 122.
Un ruolo non minore fu svolto però da mons. Câmara, a cui fa-
cevano capo altri gruppi, semi-segreti, come l’Opus Angeli 123, e la
Chiesa dei Poveri. È ancora Beozzo a ricordarlo:

118
PIERRE NOËL, Gli incontri delle conferenze episcopali durante il Concilio. Il “gruppo del-
la Domus Mariae”, in L’evento e le decisioni, p. 99 (pp. 95-134).
119
J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, cit., p. 126.
120
Pierre Veuillot (1913-1968), ordinato nel 1939, lavorò alla Segreteria di Stato fino
al 1959, quando divenne vescovo di Angers e, nel 1963, arcivescovo di Parigi. Fu
creato cardinale nel 1968.
121
Roger Etchegaray (1922), francese, ordinato nel 1947, direttore del segretariato pa-
storale dell’episcopato francese dal 1961 al 1966, perito conciliare, poi vescovo au-
siliare di Parigi (1969) e arcivescovo di Marsiglia (1970), presidente della Conferen-
za episcopale francese (1975). Creato cardinale nel 1979 da Giovanni Paolo II.
122
J. GROOTAERS, Une forme de concertation épiscopale, cit., pp. 136-137.
123
L’Opus Angeli di mons. Câmara non è da confondere con l’Opus Angelorum, un
movimento cattolico che promuove la devozione agli angeli fondato dall’austriaca
Gabrielle Bitterlich (1896-1978) e collegato all’ordine dei Canonici regolari della S.
Croce.
1962: LA PRIMA SESSIONE 223

“Câmara, con l’amico Manuel Larraín, all’inizio del Concilio Vice Presi-
dente del CELAM che aveva dietro di sé 600 vescovi latino-americani, sta-
vano a loro volta nel cuore e nella radice dell’Ecumenico, l’articolazione
di conferenze episcopali di cinque continenti per influire sulla marcia del
Concilio; del gruppo della Chiesa dei Poveri, integrato da una piccola ma
agguerrita equipe del Brasile; della organizzazione dei periti nell’Opus
Angeli, tre dei più importanti ed efficaci gruppi di pressione del Concilio.
La Domus Mariae, dove risiedevano i vescovi brasiliani, finì col funziona-
re come luogo di riunione e quartier generale di queste articolazioni” 123.

c) L’“officina bolognese”

Il gruppo di Padri e periti conciliari della “Chiesa dei Poveri”


iniziò a riunirsi regolarmente presso il Collegio belga di Roma per
iniziativa di don Paul Gauthier 124, noto per la sua esperienza di
“prete-operaio”. La prima riunione si svolse il 26 ottobre su invito
del vescovo di Tournai, mons. Himmer 125. Presieduti dal card. Pier-
re-Marie Gerlier 126, arcivescovo di Lione, i 12 vescovi presenti di-
scussero sul testo approntato da Gauthier. Al gruppo partecipava-
no il cardinale-arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro e il suo
“teologo privato”, don Giuseppe (“Pippo”) Dossetti 127, con il qua-
le collaborava strettamente Giuseppe (“Pino”) Alberigo, in colle-
gamento con la curia romana attraverso il card. Montini. “Entram-
bi, Alberigo e Dossetti – commenta de Lubac nel suo Diario – quando

124
J. O. BEOZZO, op. cit., p. 531.
125
Paul Gauthier (1914-2002), francese, ordinato a Digione, abbandonò il sacerdozio
dopo il Concilio sposandosi e aderì alla teologia della liberazione. Di lui sono i vo-
lumi: La Chiesa dei poveri e il Concilio, tr. it. Vallecchi, Firenze 1965; Gesù di Nazareth il
carpentiere, tr. it. Morcelliana, Brescia 1970. Cfr. DENIS PELLETIER, Une marginalité en-
gagée: le groupe “Jésus, l’Eglise et les pauvres”, in Les Commissions conciliaires, pp. 63-90.
126
Charles-Marie Himmer (1902-1994), belga, ordinato nel 1926. Vescovo di Tournai
dal 1948 al 1977.
127
Giuseppe Dossetti (1919-1996), docente universitario di Diritto canonico, leader
della Democrazia cristiana dal 1945, deputato dell’Assemblea Costituente, ordina-
to nel 1959. Al Concilio fu consigliere teologico del card. Lercaro e peritus a partire
dalla terza sessione. Cfr. Giuseppe Dossetti. Prime prospettive e ipotesi di ricerca, a cura
di G. ALBERIGO, Il Mulino, Bologna 1968; Giuseppe Dossetti: la fede e la storia. Studi nel
decennale della morte, a cura di A. MELLONI, Il Mulino, Bologna 2007.
224 IL CONCILIO VATICANO II

studiavano a Roma hanno conosciuto bene mons. Montini e gli sono ri-
masti legati” 128.
Durante il Concilio, la “tana” di Dossetti e degli altri bolognesi
fu l’abitazione delle sorelle Portoghesi in via della Chiesa Nuova
14, che divenne un andirivieni dei Padri e teologi più progressisti
del Concilio 129. Il ruolo di Dossetti nei lavori conciliari fu altrettan-
to decisivo di quello di Rahner, anche se meno rilevante fu la sua
influenza sul post-Concilio. Se Rahner dettava le linee teologiche,
Dossetti, sulla base della sua formazione di giurista e della sua
esperienza parlamentare, suggeriva la strategia procedurale. Sono
state sottolineate le molte analogie fra il lavoro di Dossetti alla as-
semblea costituente italiana del 1946 e la sua attività di perito con-
ciliare 130. Il 10 novembre 1962, padre Chenu annota questa frase di
Dossetti: “La battaglia efficace si gioca sulla procedura. È sempre per
questa via che ho vinto” 131.
Il 10 novembre 1962 Chenu tenne con Dossetti “un’appassionan-
te conversazione sullo stato dell’episcopato italiano” 132. Il sacerdote bo-
lognese confidò che, a parte quattro o cinque vescovi (Lercaro,
Montini, Guano 133, Bartoletti 134), esso era completamente dominato
dal card. Siri, presidente della Conferenza episcopale 135. Mons.
Ronca confidava invece a Mons. de Castro Mayer che chi coman-
dava nella Conferenza episcopale erano, non Siri, ma Montini, Ur-
bani, Lercaro 136.

128
LUBAC, Quaderni, vol. I, p. 320.
DE
129
Cfr. G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit., p. 50.
130
Cfr. PAOLO POMBENI, La dialettica evento. Decisioni nella ricostruzione delle grandi
assemblee. I parlamenti e le assemblee costituenti, in L’evento e le decisioni, p. 46 (pp.
17-49).
131
CHENU, Diario, p.101. Sul ruolo avuto da Dossetti nella ristesura dei Regolamenti
del Vaticano II, cfr. G. ALBERIGO, Dinamiche e procedure nel Vaticano II. Verso la revi-
sione del Regolamento del Concilio (1962-63), in “Cristianesimo nella storia”, n. 13
(1992), pp. 115-164.
132
CHENU, Diario, pp. 98-99.
133
Emilio Guano (1900-1970), ordinato nel 1922. Vescovo di Livorno dal 1962 fino al-
la morte.
134
Enrico Bartoletti (1916-1976), ordinato nel 1939, nominato vescovo ausiliare
(1958), poi arcivescovo di Lucca (1973), Segretario generale della Conferenza epi-
scopale italiana dal 1972.
135
CHENU, Diario, pp. 99-100.
136
Cfr. MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 16 ottobre 1962.
1962: LA PRIMA SESSIONE 225

Dossetti e Alberigo chiesero a Chenu e a Congar un aiuto per


“convertire” al progressismo i recalcitranti vescovi italiani 137, i qua-
li sottovalutavano la forza e l’organizzazione del gruppo franco-te-
desco. Dossetti informò Chenu che gli italiani si erano riuniti il 13
novembre, ridicolizzando “i modernisti” centro-europei, come se
le idee di questi fossero una specie di “fantasia romantica” 138.
Il 9 dicembre 1962 Congar scrive nel suo diario: “Ritengo che
quanto sarà fatto per convertire l’Italia dall’ultramontanismo politico,
ecclesiologico e devozionale al Vangelo, sarà un guadagno anche per la
Chiesa universale. Così, in questo periodo, ho accettato numerosi impe-
gni in questo senso” 139. Incontrando, il 19 e 20 gennaio 1963, il sin-
daco di Firenze Giorgio La Pira 140 e i giovani che collaboravano
con lui attorno alla rivista “Testimonianze”, Congar osservava:
“Si sta preparando una generazione di laici che trasformerà il cattolice-
simo italiano” 141. Il 14 maggio il domenicano francese si recò a Bo-
logna a visitare il Centro di Documentazione di Alberigo. Duran-
te il pranzo e dopo ebbe una lunga conversazione con Dossetti,
che insisté sulle tesi della “giurisdizione universale” dei vescovi,
suggerendo di proporlo in Concilio come tesi “tradizionale” 142.
Il partito dei teologi definì presto, uno per uno, i propri nemi-
ci. Il padre Congar li indica nominativamente nel suo Diario:
mons. Pietro Parente, assessore al Sant’Uffizio, “l’uomo della con-
danna di padre Chenu, il fascista, il monofisita” 143; padre Sebastiaan
Tromp, Segretario della Commissione teologica che, pur avendo
la capacità di sapere ridurre il problema ai suoi elementi essen-
ziali, “ha un temperamento fascista” 144; il confratello Luigi Ciappi

137
L’«officina bolognese» 1953-2003, a cura di G. ALBERIGO, EDB, Bologna 2004, ma an-
che ID., P. Congar, Dossetti e l’officina bolognese, cit.
138
CHENU, Diario, p. 112.
139
CONGAR, Diario, vol. I, p. 308.
140
Giorgio La Pira (1904-1977), professore di Diritto Romano, deputato nel 1946 al-
l’Assemblea Costituente, fu sindaco di Firenze per due mandati: 1951-1958 e 1961-
1965. Cfr. Il laboratorio di Firenze: La Pira, don Milani padre Balducci. Il laboratorio di Fi-
renze nelle scelte pubbliche dei cattolici dal fascismo a fine Novecento, a cura di PIETRO DE
MARCO, Magna Carta, Roma 2009.
141
CONGAR, Diario, vol. I, p. 308.
142
Ivi, vol. I, pp. 342-343.
143
CONGAR, Diario, vol. I, p. 67.
144
Ivi, p. 115.
226 IL CONCILIO VATICANO II

(futuro cardinale), “mente povera e ristretta” 145, “ultraprudente, ul-


tracuriale, ultrapapista” 146; il card. Pizzardo, “miserabile mezza car-
tuccia, ultramediocre, privo di cultura, senza orizzonti e senza uma-
nità” 147, colpevole di essere stato “uno degli oppositori di Montini,
uno di quelli che lo fecero andare via da Roma” 148. “La Congregazione
degli Studi con quell’imbecille di Pizzardo, Staffa 149 e Romeo, è il tipico
concentrato di cretini” 150.
“L’ultramontanismo esiste veramente (…). I collegi, le università e le
scuole di Roma distillano tutto ciò in dosi diverse: la dose più alta, quasi
mortale, è quella che attualmente si dà alla Lateranense” 151; “miserabile
ecclesiologia ultramontana”, annota ancora Congar il 5 febbraio 152.
Egli considerava come una “missione” la sua lotta contro i teologi
della “scuola romana”.

“Il mio lavoro è sgradito a loro perché, e loro lo sanno, ha lo scopo di ri-
mettere in circolazione alcune idee che da quattrocento anni, ma soprat-
tutto negli ultimi cento, hanno cercato in ogni modo di eliminare. Ma
questa è la mia vocazione e il mio servizio, in nome del Vangelo e della
Tradizione” 153.

Il Concilio si svolgeva anche fuori dalle aule, nei dibattiti sui


giornali e nelle conferenze dei “periti” e degli “esperti”, senza di-
menticare il ruolo degli osservatori protestanti al Concilio che, co-
me osserva il sociologo John Coleman, non si limitarono semplice-

145
Ivi, p. 308.
146
Ivi, p. 341.
147
Ivi, p. 357.
148
Ivi, vol. II, p. 26.
149
Dino Staffa (1906-1977), ordinato nel 1929. Arcivescovo titolare di Cesarea, Segre-
tario della Congregazione, cardinale nel 1967. Membro della Commissione ante-
preparatoria, durante la prima sessione fu nominato membro (e poi vice presiden-
te) della Commissione dei Seminari, degli Studi e dell’Educazione cattolica. Cfr. il
profilo di LUIGI DE MAGISTRIs in PUL, pp. 226-227.
150
CONGAR, Diario, vol. II, p. 67. Il medesimo giudizio ripeteva nel 1966, a Concilio
chiuso, ricordando “questa Congregazione così influente dove regnano imbecilli come Piz-
zardo, Staffa e Romeo” (vol. II, p. 243).
151
Ivi, vol. I, p. 201.
152
Ivi, vol. II, p. 20.
153
Ivi, p. 278.
1962: LA PRIMA SESSIONE 227

mente a “osservare” 154. “Si trattava di incontri informali – ricorda Kö-


nig – ma che costituirono la vera ossatura del Concilio” 155. Tra gli os-
servatori protestanti vi erano i due frères di Taizé, Roger Schutz e
Max Thurian. Quando essi, in occasione di una cena, chiesero ad
Hans Küng che cosa dovessero fare in quel frangente storico, il teo-
logo Tubinga rispose loro: “va benissimo restare protestanti”. Una ri-
sposta, ricorda, che a loro non piacque del tutto 156.
Dietro le quinte del Concilio cominciarono intanto a circolare
documenti ciclostilati che trattavano i più vari argomenti. Fesquet
giudicava “di gran lunga il più interessante” quello su “La Chiesa e la
psicanalisi”, secondo cui “teologi e psicologi già psicanalizzati dovreb-
bero introdurre la psicanalisi nella Chiesa” 157.
I media contribuirono da parte loro a creare un “magistero pa-
rallelo”, espresso attraverso articoli, libri, conferenze, riunioni 158. I
conferenzieri di punta erano i padri Rahner o Küng per l’area te-
desca, Chenu, Congar, de Lubac, Daniélou per i Paesi francofoni,
Schillebeeckx per l’area inglese. Eppure l’esistenza di una battaglia
in atto era ancora evidente a pochi. Tra questi era uno dei migliori
collaboratori del card. Ottaviani, mons. Joseph Clifford Fenton, che
il 20 ottobre 1962 annotò nel suo diario: “A mio avviso, la Chiesa sarà
duramente colpita dal Concilio. L’opposizione tra i liberali e i fedeli cat-
tolici sarà portata alla luce” 159.

6. Il “Piccolo Comitato” dei padri conservatori

Nella prima sessione del Concilio, mentre il partito antiromano


si muoveva a ranghi serrati attorno a linee strategiche accurata-
mente definite, i conservatori erano privi di collegamento e di stra-

154
Cfr. JOHN A. COLEMAN, Vatican II as a social movement in The Belgian contribution, p.
24 (pp. 5-28). Cfr. anche ROBERT MCAFEE BROWN, Observer in Rome. A Protestant Re-
port on the Vatican Council, Doubleday, New York 1964.
155
F. KÖNIG, Chiesa dove vai?, cit., p. 25.
156
KÜNG, La mia battaglia, p. 328.1
157
FESQUET, Diario, pp. 68-69.
158
Yves Chiron ha parlato di un “peri-concilio”. Cfr. Paul VI et le péri-concile, in La Pa-
pauté contemporaine, Collège Erasme, Louvain-la-Neuve 2009, pp. 585-603.
159
FENTON, Diario, p. 16.
228 IL CONCILIO VATICANO II

tegia, con l’eccezione di un gruppo che si autodefinì il “Piccolo Co-


mitato”. Da questo gruppo, tra la seconda e la terza sessione, nac-
que il Coetus Internationalis Patrum.
Fin dal mese di ottobre, il leader brasiliano Plinio Corrêa de Oli-
veira aveva installato a Roma un segretariato, comprensivo di
quattordici persone 160 che, seguendo attivamente i lavori dell’as-
semblea, offriva un efficace servizio ai due vescovi a lui più vicini:
mons. Geraldo de Proença Sigaud, arcivescovo di Diamantina, al-
loggiato presso la Casa del Verbo Divino, e mons. Antonio de Ca-
stro Mayer, vescovo di Campos, ospitato nella Domus Mariae. I
due vescovi brasiliani, con l’appoggio organizzativo e i suggeri-
menti strategici del prof. de Oliveira, ebbero una fitta serie di con-
tatti con gli ambienti conservatori romani. Il primo incontro fu il 15
ottobre, con il card. Aloisi Masella, già nunzio in Brasile, che nel
colloquio confidò loro che il punto capitale del Concilio stava nel
tentativo di diminuire il potere romano. “La corrente favorevole alla
Curia solo ora si sta strutturando, mentre l’altra è già strutturata da mol-
to tempo” 161.
Altrettanto significativi furono gli incontri con i due esponenti
principali del “partito romano”: mons. Roberto Ronca 162 e mons.
Antonio Piolanti 163. Quest’ultimo consigliò di contattare mons. An-
tonino Romeo per stabilire relazioni con i professori della Latera-

160
Plinio Corrêa de Oliveira decise di impiegare ingenti risorse umane e finanziarie
per la consapevolezza che aveva, alla vigilia del Concilio, dell’importanza della po-
sta in gioco. Le sue preoccupazioni sono espresse da una lettera che scrive in quei
giorni alla madre: “Questo viaggio è frutto di lunghe riflessioni (…) Nel mio stato di stan-
chezza attuale, rimarrei qui di buon grado, senza sovraccaricarmi di tutte le occupazioni e
preoccupazioni che avrei a Roma. Ma se non andassi adesso a Roma, avrei la coscienza più
sporca di quanto lo sarebbe se fossi un soldato disertore. E, mettendo il dovere al di sopra di
tutto – soprattutto il dovere nei confronti della Chiesa – ho deciso di partire. (…) Da una
parte, l’assedio dei nemici esterni della Chiesa non fu mai così forte e l’azione dei suoi ne-
mici interni mai tanto generale, tanto articolata e tanto audace. D’altra parte, so bene che
posso prestare servizi molto utili per aiutare a sostenere l’edificio della Cristianità. Voi ben
comprendete, carissima, che non potrei mai, in alcun modo, rinunciare a prestare alla Chie-
sa, alla quale ho dedicato tutta la mia vita, questo servizio in un momento storico così triste
quasi quanto quello della Morte di Nostro Signore” (cfr. JOÃO SCOGNAMIGLIO CLÁ DIAS,
Dona Lucilia, Artpress, San Paolo 1995, vol. III, p. 117).
161
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 15 ottobre 1962.
162
Ivi, 16 ottobre, 19 ottobre 1962.
163
Ivi, 18 ottobre 1962.
1962: LA PRIMA SESSIONE 229

nense, tra i quali mons. Francesco Spadafora. Oltre a Romeo 164, i


brasiliani incontrarono altri teologi di spicco del mondo “ultra-
montano” o “integralista”, tra i quali mons. Fenton 165 e l’abbé Ray-
mond Dulac.
Uno degli incontri più importanti che ebbero i due vescovi bra-
siliani fu quello con mons. Marcel Lefebvre 166 che partecipava al
Concilio nella sua duplice qualità di Arcivescovo titolare di Syn-
nada in Frigia e di superiore generale della Congregazione dello
Spirito Santo. Lefebvre aveva sessantatre anni e poteva essere con-
siderato un “prelato esemplare” al tramonto della sua carriera eccle-
siastica 167, eppure, come molti altri personaggi del Vaticano II, an-
ch’egli avrebbe svolto un ruolo di protagonista nella Chiesa del XX
secolo. Egli era accompagnato dall’abbé Victor Alain Berto 168, suo
teologo personale, scelto per lo spirito profondamente “romano”
che lo distingueva.
Tra i più attivi teologi del “Piccolo Comitato” si distingueva
l’abbé Raymond Dulac 169, venuto a Roma, come egli spiegò loro,

164
Ivi, 18 ottobre 1962.
165
Ivi, 16 ottobre 1962.1
166
Ivi, 19 ottobre, 7 dicembre 1962.
167
Cfr. LUC PERRIN, Il caso Lefebvre, a cura di DANIELE MENOZZI, tr. it. Marietti, Geno-
va 1991, pp. 42-44.
168
Victor-Alain Berto (1900-1968) studiò al Seminario Francese (1904-1927), fu ordi-
nato nel 1926, svolse il suo ministero in Bretagna e fu tra i fondatori, nel 1946, del-
la rivista “La Pensée Catholique”, dove pubblicò numerosi saggi. Una sintetica bio-
grafia è contenuta in Notre Dame de Joie. Correspondance de l’Abbé V.A. Berto prêtre.
1900-1968, Editions du Cèdre, Parigi 1989, pp. 11-48; più ampiamente N. BUONA-
SORTE, Per la “pura, piena, integra fede cattolica”: il p. Victor Alain Berto al Concilio Vati-
cano II, in “Cristianesimo nella storia”, n. 22 (2001), pp. 111-151. Brevi accenni in L.
PERRIN, Il Coetus Internationalis Patrum e la minoranza conciliare, in L’evento e le deci-
sioni, pp. 173-187. I suoi contributi a “La Pensée Catholique” e ai lavori conciliari so-
no riuniti in Pour la Sainte Eglise Romaine. Textes et documents de V.A. Berto prêtre.
1900-1968, Editions du Cèdre, Parigi 1976; si veda inoltre di lui V. A. BERTO, Le cé-
nacle et le jardin, DMM, Bouère 2000, raccolta di scritti sul sacerdozio.
169
Raymond Dulac (1903-1987), formatosi al Seminario francese di Roma (1920-
1926) e ordinato nel 1926, collaborò, tra il 1928 e il 1933 alla “Revue internationale
des sociétés secrètes” di mons. Ernest Jouin (1844-1932). Collaborò poi a “La Pen-
sée Catholique”, soprattutto negli anni 1950-1953 e durante il Concilio, al “Courrier
de Rome” e a “Itinéraires”. Su “La Pensée Catholique” fu autore di una serie di stu-
di dedicati al Sodalitium Pianum di mons. Benigni di cui poteva essere considerato
uno dei discepoli negli anni Cinquanta (cfr. Simple note sur le Sodalitium Pianum, in
230 IL CONCILIO VATICANO II

“per coordinare i vescovi integristi che sono ingenui e mal preparati” 170.
Dulac era un uomo di grande scienza teologica, canonica e storica,
a cui si devono tra l’altro una serie di importanti articoli sul pote-
re pontificio e la collegialità episcopale apparse negli anni del Con-
cilio. Egli apparteneva, come l’abbé Berto e come lo stesso mons.
Lefebvre, al gruppo di sacerdoti che si erano formati, negli anni
Venti, al Seminario francese di Roma 171, diretto fino al 1927 dal pa-
dre Henri Le Floch 172.
Mons. Lefebvre ricorderà sempre il suo soggiorno di sei anni al
Seminario di Santa Chiara a Roma, e soprattutto i tre anni tra il
1923 e il 1926, qui vissuti con il padre Le Floch:

“Non ringrazierò mai abbastanza il Buon Dio per avermi fatto conosce-
re quest’uomo veramente straordinario. È lui che ci ha insegnato cosa
erano i Papi nel mondo e nella Chiesa e cosa essi hanno insegnato in un
secolo e mezzo: l’antiliberalismo, l’antimodernismo, l’anticomunismo,
tutta la dottrina della Chiesa su questi temi. (…) Il padre Le Floch ci ha
fatti entrare e vivere nella storia della Chiesa, nella lotta che le forze per-
verse conducevano contro Nostro Signore. Ciò ci ha spronato contro il
funesto liberalismo, contro la Rivoluzione e le potenze del male in azio-
ne per distruggere la Chiesa, il regno di Nostro Signore, gli Stati catto-
lici, la cristianità intera. Abbiamo dovuto scegliere: o lasciare il Semina-

“La Pensée Catholique”, n. 23 (1952), pp. 68-93; Eloge de l’intégrisme, ivi, n. 21 (1952),
pp. 7-25). Passò gli ultimi anni della sua vita vicino al Carmelo di Draguignan di cui
cercò di difendere l’autonomia. Di lui si veda La collegialité épiscopale au deuxième
Concile du Vatican, Editions du Cèdre, Parigi 1979, che raccoglie nove articoli ap-
parsi su “La Pensée catholique” tra il 1959 e 1965. Su di lui cfr. M. A. LE CERF, In me-
moriam. L’Abbé Raymond Dulac, in “La Pensée Catholique”, n. 228 (1987), pp. 38-41.
170
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 16 ottobre 1962. Gli incontri con l’abbé Dulac furono
numerosi (cfr. ID., Diario, 16, 18, 19, 24 ottobre 1962).
171
Sul Seminario francese di Roma, cfr. PHILIPPE LEVILLAIN-PHILIPPE BOUTRY-YVES
MARIE FRADET, 150 ans au cœur de Rome: le Séminaire français 1853-2003, Karthala,
Parigi 2004.
172
Henri Le Floch (1862-1950), della Congregazione dello Spirito Santo di cui fu su-
periore generale (1923-1927), ordinato nel 1886, consultore del Sant’Uffizio, resse il
Seminario Francese di Roma per oltre vent’anni, fino al 1927, quando, in seguito al-
la condanna dell’Action Française, di cui era simpatizzante, gli fu imposto da Pio XI
di allontanarsi da Roma. Un suo profilo in V. A. BERTO, Pour la Sainte Eglise Romai-
ne, cit., pp. 113-144. Cfr. anche D. MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Ei-
naudi, Torino 1993, pp. 211-215.
1962: LA PRIMA SESSIONE 231

rio se non fossimo stati d’accordo o entrare nel combattimento e andare


avanti” 173.

Tra gli incontri più importanti dei due vescovi brasiliani vi fu


anche quello con il card. Ruffini 174 che parlò loro molto franca-
mente, confermando di avere egli suggerito l’idea del Concilio per
arrivare a una condanna del modernismo. L’arcivescovo di Paler-
mo definì “gravissima” la situazione della Chiesa, che si stava “di-
sfacendo”, anche per l’eccessiva apertura alle novità di Pio XII, la
cui enciclica Divino Afflante Spiritu aveva provocato una certa con-
fusione nel campo dell’esegesi. Ruffini aggiunse che mentre san
Pio X aveva fatto molta attenzione nel selezionare i docenti delle
facoltà ecclesiastiche, Pio XI, nella scelta dei professori, aveva im-
pregnato Roma di spirito modernista. Pio XII era stato influenzato
da cattivi consiglieri e ora, nell’ambiente ecclesiastico romano, l’U-
niversità del Laterano costituiva un’eccezione grazie a mons. Pio-
lanti, che per questo era così attaccato 175.
Piolanti incontrò il 9 novembre il prof. Corrêa de Oliveira e gli
confermò gli attacchi che stava subendo, anche a causa di qualche
imprudenza di amici come mons. Romeo e mons. Spadafora. Il ret-
tore della Lateranense ripeté al professore brasiliano quanto già gli
aveva detto mons. Ronca: si stava preparando la candidatura del
card. Montini per il Conclave: se fosse stato eletto “sarebbe la fine di
tutto” 176.
Il 14 novembre mons. Lefebvre accettò di far parte del Piccolo
Comitato 177 che iniziò a riunirsi in Corso Italia, presso la Procura

173
M. LEFEBVRE, Le Concile ou le triomphe du libéralisme, in “Fideliter”, n. 59 (1987), p.
32 (pp. 32-42). Al gruppo di condiscepoli di mons. Lefebvre del Seminario francese
di Roma appartenevano, oltre agli abbés Berto e Dulac, anche i teologi Lucien (Luc)
Lefevre (1895-1987), Henri Lusseau (1896-1973) e Alphonse Roul (1901-1969), che
costituirono anch’essi l’“équipe” de “La Pensée Catholique”. Cfr. PAUL AIRIAU, Les
hommes de la Pensée Catholique, in “Catholica”, n. 60 (1998), pp. 59-74 e, più ampia-
mente, La pensée catholique 1946-1956. Romanité à la française ou intégrisme, tesi di
D.E.A., Istituto di Studi Politici, Parigi 1995.
174
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 6 novembre 1962.
175
Ivi.
176
Ivi, 9 novembre 1962.
177
Ivi, 14 novembre 1962.
232 IL CONCILIO VATICANO II

dei Padri dello Spirito Santo. Il 17 novembre vi fu una nuova riu-


nione del gruppo: erano presenti, oltre a mons. Mayer e mons. Si-
gaud, mons. Lefebvre e mons. Ronca, i vescovi Marcelino Olae-
chea 178 di Valencia, Giuseppe Carraro 179 di Verona e il nunzio Egi-
dio Vagnozzi 180. All’ultima parte dell’incontro intervenne il card.
Ruffini 181 che sollevò l’attenzione sulla questione biblica in di-
scussione quei giorni in aula. Il 1° dicembre, alla successiva riu-
nione, comparvero i vescovi Ngô-Dinh-Thuc, Tortolo 182, Rupp 183,
Ronca 184. Il 22 novembre, il Piccolo Comitato organizzò una con-
ferenza di mons. Garofalo nella casa del Verbo Divino, alla pre-
senza di un buon numero di vescovi. Il successo dell’iniziativa
spinse ad organizzarne una più importante del card. Ruffini, il 30
novembre, alla Domus Mariae. L’arcivescovo di Palermo ribadì in
quella occasione come le fonti della Rivelazione fossero non una,
ma due, Scrittura e Tradizione, e di queste la Tradizione aveva un
ruolo preminente, negato dai modernisti 185.
Il 28 novembre in un incontro con Ronca, mons. Sigaud e
mons. de Castro Mayer decisero la formazione di un segretariato
per studiare e diffondere spiegazioni sopra i prossimi schemi, nel
periodo di intersessione. Il Comitato sarebbe stato presieduto da
Sigaud e Mayer e avrebbe funzionato a Roma con il supporto di
periti del Concilio. All’ultima parte della riunione partecipò

178
Marcellino Olaechea Loizaga (1889-1972), benedettino spagnolo, ordinato nel
1915. Arcivescovo di Valencia dal 1946 al 1966. Membro della Commissione dei Se-
minari, degli Studi e dell’Educazione Cattolica.
179
Giuseppe Carraro (1899-1980), ordinato nel 1923. Vescovo di Verona dal 1958 al
1978. Membro della Commissione dei Seminari.
180
Egidio Vagnozzi (1906-1980), ordinato nel 1928. Arcivescovo titolare, delegato
apostolico negli Stati Uniti dal 1958 al 1967, creato cardinale nel 1967. Prefetto de-
gli Affari economici della Santa Sede dal 1968 fino alla morte.
181
Cfr. MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 17 novembre 1962.
182
Adolfo Servando Tortolo (1911-1986), argentino, ordinato nel 1934, vescovo ausi-
liare di Paranà (1956), poi vescovo di Catamarca (1960) e arcivescovo di Paranà
(1963). Nel 1970 successe al card. Antonio Caggiano come presidente della Confe-
renza episcopale argentina. Nel 1975 fu nominato da Paolo VI Vicario Castrense per
le Forze Armate.
183
Jean Rupp (1905-1983), francese, ordinato nel 1953. Vescovo del Principato di Mo-
naco da giugno 1962 al 1974.
184
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 1 dicembre 1962.
185
Ivi, 30 novembre 1962.
1962: LA PRIMA SESSIONE 233

mons. Vagnozzi, che approvò l’idea e assicurò l’aiuto per le tra-


duzioni in inglese 186. Ronca, che per primo aveva suggerito ai due
vescovi brasiliani la creazione di un punto di incontro per i ve-
scovi “integristi”, si assunse il compito organizzativo, assicuran-
do la collaborazione di una sua “équipe” 187.
Il Piccolo Comitato si era proposto di organizzare la resisten-
za antiprogressista, riunendo tutte le forze allora in campo e cer-
cando di saldare i vescovi “ultramontani”, come de Castro
Mayer, Sigaud e Lefebvre, con l’ala più conservatrice dei Padri
della Curia, rappresentata da una parte dai cardinali di Curia, co-
me Ottaviani e Ruffini, dall’altra dai vescovi italiani guidati da
Giuseppe Siri. L’unico dei tre porporati che affiancò, anche se in
maniera discreta, il Piccolo Comitato fu l’arcivescovo di Palermo
Ruffini. Mancò invece il sostegno di Ottaviani e soprattutto quel-
lo di Siri. Se il mancato impegno di Ottaviani si può spiegare con
il ruolo istituzionale che egli svolgeva a capo della Commissione
teologica, più difficile è comprendere l’assenza di Siri, che nean-
che nelle sessioni successive avrebbe fatto parte del Coetus Inter-
nationalis Patrum 188.
Siri era il più giovane cardinale di tutto il Sacro Collegio, e uno
dei più qualificati per la preparazione teologica e l’esperienza epi-
scopale. L’Università Gregoriana, dove aveva studiato, lo conside-
rava come una “stella” dell’istituzione e quando nel 1957 aveva ce-
lebrato il suo quarto centenario, gli aveva affidato il compito del
discorso celebrativo. Egli avrebbe potuto dare ai conservatori un
apporto decisivo, non solo per la sua autorità teologica, ma perché
avrebbe potuto condurre dietro di sé un largo numero di Padri
conciliari italiani, dando al Piccolo Comitato anche una maggiore
consistenza numerica. La Conferenza episcopale italiana, da lui
presieduta, era infatti quella più strettamente legata alla scuola
teologica romana e contava presuli di valore come mons. Raffaele

186
Ivi, 28 novembre 1962.
187
Ivi, 19 ottobre 1962.
188
Sulla partecipazione di Siri al Vaticano II, cfr. il suo Diario, dal 10 ottobre 1962 al
20 novembre 1964, pubblicato nel 1993 in appendice a B. LAI, Il Papa non eletto, cit.,
e PAOLO GHEDA, Il Card. Siri e la Conferenza episcopale italiana durante il Concilio Vati-
cano II, in “Synaxis”, n. 3 (2005), pp. 109-144.
234 IL CONCILIO VATICANO II

Calabria 189, arcivescovo di Benevento, mons. Luigi Maria Carli 190,


vescovo di Segni, mons. Giovanni Battista Peruzzo 191, vescovo di
Agrigento, mons. Luigi Carlo Borromeo, vescovo di Pesaro.
Il cardinale di Genova guidava con forte autorità la Conferenza
episcopale ed era convinto che l’unità dei vescovi riuniti attorno al
Papa fosse un bene altrettanto importante dell’unità politica dei
cattolici nella Democrazia cristiana attorno alla CEI. Egli riteneva
che l’autorità della Chiesa non dovesse essere incrinata da alcuna
controversia interna. Il corpo visibile della Chiesa, come la comu-
nità politica dei cattolici, era però, all’inizio degli anni Sessanta, or-
mai oggettivamente frantumato, percorso da spinte centrifughe, e
la vera unità da preservare, prima di quella istituzionale, era l’u-
nità dottrinale. Alla fine di dicembre 1962, Siri cercò di organizza-
re una struttura che nel periodo di intersessione, tenesse relazioni
con gli altri gruppi, promuovesse al suo interno un “gruppo studi”
e costituisse una centrale di sorveglianza, ma l’iniziativa rimase
sempre interna alla CEI 192. Il mancato collegamento tra vescovi ita-
liani e “ultramontani” fu una delle ragioni della debolezza del
fronte conservatore che si andava costituendo.
I vescovi più numerosi tra i progressisti erano quelli francesi
(122) e tedeschi (58), in tutto 180, un numero molto minore dell’e-
piscopato italiano, che contava 271 vescovi residenziali, ma il bloc-
co franco-tedesco svolse un ruolo molto più incisivo. I francesi, ri-
leva Roger Aubert, intervennero 210 volte in seduta pubblica, os-
sia, in proporzione, due volte più degli italiani, anche se in realtà
solo una ventina di presuli francesi furono molto attivi, in partico-
lare Ancel, Elchinger, Garrone, Veuillot, Gerlier e Feltin, che allog-

189
Raffaele Calabria (1906-1962), ordinato nel 1929, arcivescovo di Benevento dal
1962 fino alla morte.
190
Luigi Maria Carli (1914-1986), ordinato nel 1937, vescovo di Segni (1957-1973), poi
arcivescovo di Gaeta fino alla morte. Cfr. A. D’ANGELO, Luigi Maria Carli, in DSM-
CI, Aggiornamento, 1980-1995, pp. 264-265.
191
Giovanni Battista Peruzzo (1878-1963), passionista, ordinato nel 1901, fu superio-
re del Santuario di Basella di Urgnano, ausiliare a Mantova dal 1924, vescovo a Op-
pido Mamertino dal 1928 e di Agrigento a partire dal 1932, poi arcivescovo dal 1952
fino alla morte. Su di lui, cfr. DOMENICO DE GREGORIO, Mons. G.B. Peruzzo. Vescovo di
Agrigento, Cartograf, Trapani 1972.
192
Cfr. N. BUONASORTE, Siri. Tradizione e Novecento, cit., pp. 291-292.
1962: LA PRIMA SESSIONE 235

giavano generalmente alla procura di San Sulpizio, mentre i Padri


più conservatori risiedevano al Seminario francese 193. Il blocco cen-
tro-europeo era simboleggiato dal Reno, che in questo caso univa,
e non divideva, le sponde franco-tedesche, ma le tendenze ideolo-
giche costituivano il vero collante, più delle affinità geografiche e
nazionali.

7. Il ribaltamento degli “schemata”

Una volta occupate le posizioni con l’inserimento dei propri


candidati nelle Commissioni, l’Alleanza centro-europea poteva
procedere al secondo passo: il ribaltamento degli schemata appro-
vati dalle Commissioni e dal Papa stesso. Il testo contenente i pri-
mi sette schemi era stato inviato il 10 luglio 1962 a Giovanni XXIII
che li studiò con attenzione postillandoli, come ricorda mons. Fa-
giolo, con commenti autografi: “Su tutti gli schemi a lato ci sono que-
ste espressioni spesso ripetute: “Bene”, “Optime”. Su uno solo, quello
sulla liturgia, che nel volume figura al quinto posto alle pp. 157-199, qua
e là è scritto sempre di pugno del Papa qualche punto interrogativo in
senso di meraviglia e non approvazione” 194.
Ora si voleva buttare a mare il lavoro monumentale svolto du-
rante i tre anni precedenti e raccolto nei 16 volumi della “antipre-
paratoria”: più di 2.000 pagine contenenti gli schemi di 54 decreti
e 15 costituzioni dogmatiche.
Il 4 settembre 1962, prima dell’apertura del Concilio, Chenu scri-
ve a Rahner di aver appena preso conoscenza degli schemata prepa-
ratori e di avere provato “afflizione e rammarico” per la loro prospet-
tiva “strettamente intellettualistica”. Egli accusava in particolare le pri-
me due “Costituzioni”, provenienti dalla Commissione teologica, di
limitarsi a denunciare degli “errori intra-teologici”, “senza accennare al-
le drammatiche domande che gli uomini si pongono, siano essi cristiani o
meno, a causa di un mutamento della condizione umana, esteriore e inte-

Cfr. R. AUBERT, Organizzazione e funzionamento dell’assemblea, cit., pp. 164-165.


193

VINCENZO FAGIOLO (1918-2000), Il cardinale Amleto Cicognani e mons. Pericle Felici,


194

in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 234-235 (pp. 229-242).


236 IL CONCILIO VATICANO II

riore, quale la storia non ha mai registrato (…). Il Concilio diventa un’ope-
razione di pulizia intellettuale nelle mura della scolastica” 195.
Rahner, che Henri Fesquet presentava su “Le Monde” come
“uno dei migliori teologi del Concilio” 196, il 12 ottobre espose a mons.
Volk e al suo teologo Semmelroth le linee generali della sua strate-
gia, che era quella di “sostituire con un nuovo schema gli schemi at-
tuali della Commissione teologica” 197.
Il 19 ottobre, alla vigilia della riunione della terza Congrega-
zione generale si incontrarono alla Mater Dei, in via delle Mura
Angeliche, alcuni vescovi e teologi tedeschi e francesi, scelti da
mons. Volk, vescovo di Magonza. “Oggetto dell’incontro – annota
Congar nel suo diario – discutere e decidere una tattica per gli schemi
teologici” 198. Venticinque i presenti, tra cui, oltre a Volk e al suo au-
siliare Joseph Reuss 199, l’arcivescovo di Berlino Alfred Bengsch 200,
i vescovi Ancel (ausiliare di Lione), Gabriel-Marie Garrone (Tolo-
sa), Emile Guerry 201 (Cambrai), Paul Schmitt 202 (Metz), Jean Julien
Weber 203 (Strasburgo), con il suo coadiutore Léon-Arthur Elchin-
ger, e i teologi Congar, Chenu, Daniélou, de Lubac, Küng, Philips,
Rahner, Ratzinger, Schillebeeckx e Semmelroth.
L’importanza della riunione è sottolineata dai diari di Chenu,
Congar e de Lubac 204. Lo scopo era quello di discutere una tattica

195
CHENU, Diario, p. 57. Gli stessi giudizi sugli schemi dottrinali espresse il card.
Léger, che incontrando Chenu il 9 ottobre, li definì “tesi speculative che si limitano
a ripetere il Vaticano I e non rispondono ai bisogni e alle richieste di quest’epoca” (ivi,
p. 69).
196
FESQUET, Diario, p. 71.
197
Così annota Semmelroth nel suo diario del 12 ottobre 1962. Cfr. G. FOGARTY, L’av-
vio dell’assemblea, cit.
198
CONGAR, Diario, p. 159.
199
Joseph Reuss (1906-1985), tedesco, ordinato nel 1930. Vescovo ausiliare di Ma-
gonza dal 1954 al 1978.
200
Alfred Bengsch (1921-1979), tedesco, ordinato nel 1950. Vescovo di Berlino nel
1961, creato cardinale nel 1962.
201
Emile Guerry (1891-1969), francese, ordinato nel 1923. Arcivescovo di Cambrai
dal 1952 al 1966.
202
Paul Schmitt (1911-1987), francese, ordinato nel 1935. Vescovo di Metz dal 1958 al
1987.
203
Jean Julien Weber (1888-1981) sulpiziano francese, ordinato nel 1912. Vescovo di
Strasburgo dal 1945, arcivescovo della stessa città dal 1962 al 1966.
204
Cfr. CHENU, Diario, pp. 76-79; CONGAR, Diario, vol. I, pp. 158-160; DE LUBAC, Qua-
derni, pp. 120-121.
1962: LA PRIMA SESSIONE 237

per smantellare gli schemi teologici. La discussione fu animata e


durò oltre tre ore. Rahner insisteva per una redazione complemen-
tare nuova del testo. I francesi più prudenti invitavano a “non pro-
cedere per opposizione perché questo provocherebbe una reazione contra-
ria”. Alla fine venne affidato a un ristretto gruppo di teologi, tra cui
Rahner, Daniélou e Congar, l’incarico di studiare il progetto di
massima.
Fin da questa riunione si delinearono due correnti: una “giaco-
bina”, capeggiata da Rahner e Küng, che intendeva rigettare total-
mente gli schemi della Commissione teologica; l’altra “girondina”,
sostenuta dai vescovi e teologi francesi, che intendeva invece rifor-
mare gli schemi attraverso gli interventi in aula.
Küng propose di convocare a Roma una riunione internaziona-
le di teologi, per influenzare i Padri conciliari. Congar sconsigliò
l’iniziativa, per non suscitare l’impressione che si stesse tramando
un complotto. “Quando ci si muove – annota sul suo Diario – bisogna
sempre pensare alla reazione che si rischia di provocare” 205. “Giacobino”
nelle pagine del suo diario, ma “girondino” nei suoi rapporti con i
Padri conciliari, ai quali consegnava riservatamente testi e proget-
ti, Congar ammoniva “sul pericolo e sull’opportunità di dare l’impres-
sione di un para-concilio di teologi intenzionati a influenzare il vero Con-
cilio dei Vescovi” 206. Occorreva evitare l’impressione “che alcuni teo-
logi vogliono imporre la linea del Concilio. Questo ricorderebbe fastidio-
samente Döllinger 207; che si stia tramando un complotto” 208. Il teologo
domenicano definiva Küng “un esigente di tipo rivoluzionario” 209,
troppo impaziente nelle sue rivendicazioni: “Io credo profondamen-
te, invece, all’attesa, alla necessità di procedere per tappe” 210.
Il 18 novembre mons. Volk convocò una nuova riunione alla
Mater Dei. De Lubac dà un ampio resoconto dell’incontro 211, a cui

205
CONGAR, Diario, vol. I, p. 142.
206
Ivi.
207
Johann Joseph Ignaz von Döllinger (1799-1890), teologo e storico tedesco, ordina-
to nel 1822, professore di Storia della Chiesa e di Diritto canonico al liceo di Aschaf-
fenburg nel 1823 e professore di teologia a Monaco nel 1826.
208
Ivi.
209
Ivi, p. 424.
210
Ivi, p. 425.
211
Cfr. DE LUBAC, Quaderni, vol. I, pp. 279-286.
238 IL CONCILIO VATICANO II

parteciparono sei vescovi tedeschi, quattro francesi e teologi del


Centro-Europa.
Il maggior cambiamento introdotto, più che nel contenuto, fu
nel linguaggio degli schemi. Fu adottato infatti, ricorda il card. Si-
ri, il criterio discorsivo “e fu escluso il metodo delle proposizioni sem-
plici, stringate per l’affermazione delle verità o per la netta condanna de-
gli errori” 212. La scelta del metodo discorsivo ebbe come principale
conseguenza la mancanza di chiarezza, causa a sua volta di quel-
l’ambiguità che fu la nota dominante dei testi conciliari.

8. Il dibattito sulla liturgia

a) L’unico schema “progressista”

Il bilancio dell’Alleanza centro-europea era più che soddisfa-


cente: rimaneggiamento delle dieci Commissioni conciliari ed eli-
minazione di tutto il lavoro preparatorio, per cui degli schemi pre-
disposti era destinato a sopravvivere solo il De liturgia 213, quello
che piaceva meno a Papa Giovanni, ma l’unico che soddisfaceva i
progressisti, definito dal domenicano Edward Schillebeeckx “un
vero capolavoro” 214. Gli olandesi insistettero perché lo schema, che fi-
gurava come il quinto nell’ordine dei lavori, fosse il primo ad es-
sere discusso 215. Si trattò, come sottolinea Wiltgen, di una nuova
vittoria del fronte centro-europeo 216. Lo schema era infatti il frutto
del lavoro dell’unica Commissione dominata dai progressisti,
quella liturgica, formata soprattutto da esponenti del movimento
liturgico centro-europeo 217.

212
G. SIRI, Il post-concilium, cit., p. 178.
213
AS, I/1, pp. 262-303.
214
WILTGEN, p. 23.
215
“Gli schemi che il Papa aveva personalmente giudicati ben fatti, ad eccezione di quello sulla
liturgia, che non riteneva ben fatto, furono respinti e soltanto quello sulla liturgia fu ritenuto
degno d’essere sottoposto alla discussione dei Patres conciliari” (V. FAGIOLO, op. cit., p. 235).
216
WILTGEN, p. 24.
217
Nella Commissione liturgica preparatoria erano presenti i belgi Bernard Capelle,
abate di Mont-César e Bernard Botte, direttore dell’Istituto Superiore di Liturgia di
Parigi.
1962: LA PRIMA SESSIONE 239

Il card. Ottaviani manifestò per iscritto al card. Tisserant il suo


disappunto per “la decisione, comunicata all’improvviso, di cominciare
la discussione in Concilio intorno alla Liturgia e non intorno alla dottri-
na della fede, invertendo l’ordine già stabilito nel volume degli schemi in
possesso dei Padri” 218, pur senza rendersi probabilmente conto della
reale portata della decisione. Lo schieramento progressista scende-
va in campo nell’aula conciliare, manifestando la sua forza non per
bocciare un documento, ma per approvarlo. La sua prima vittoria
avrebbe reso più facile quelle successive.
Il dibattito iniziò il lunedì 22 ottobre, quarta Congregazione ge-
nerale, e si protrasse fino al 7 dicembre 1962, nel corso di 21 Con-
gregazioni, nel corso delle quali furono rielaborati il proemio e il
primo capitolo dello schema De liturgia 219.
I punti che maggiormente occuparono i padri furono quelli del-
la lingua (latina o volgare); della concelebrazione; della comunio-
ne sotto le due specie; della riforma del breviario, del messale e del
rituale.
Lo schema, articolato in un proemio e otto capitoli, fu presenta-
to dal card. Larraona, presidente della Commissione, e dal padre
Ferdinando Antonelli, che aveva sostituito padre Bugnini come
segretario 220.
Alla vigilia della discussione era circolato un documento redat-
to dal vescovo di Linz, mons. Zauner 221, un rappresentante della
“Alleanza europea” all’interno della Commissione liturgica. Pur
approvando il testo nel suo insieme, il presule austriaco sottoli-
neava la necessità di modificarne “in meglio” alcuni passaggi ri-
guardanti la lingua liturgica e la concelebrazione. Sul primo punto
mons. Zauner chiedeva che fossero autorizzate le conferenze epi-
scopali a stabilire le condizioni per l’introduzione della lingua ver-

218
ASV, Conc. Vat. II, Busta 757, n. 8, Epistolae Em.mi Praesidis ad varios Patres conci-
liares, Fotocopia (18 ottobre 1962), ff. 2.
219
Cfr. M. LAMBERIGTS, Il dibattito sulla liturgia, in SCV, vol. II, pp. 132-133 (pp. 130-
192); HERMAN SCHMIDT, La costituzione sulla Sacra liturgia. Testo. Genesi. Commento.
Documentazione, Herder, Roma 1966; A. BUGNINI, La riforma liturgica, cit.
220
AS, I/1, pp. 304-309.
221
Franz Zauner (1904-1994), austriaco, ordinato nel 1913. Vescovo di Linz dal 1956
al 1980.
240 IL CONCILIO VATICANO II

nacolare; sul secondo punto egli proponeva che fosse allargata la


possibilità della concelebrazione, che lo schema conciliare limitava
a due specifici casi: la consacrazione degli oli santi il Giovedì San-
to e l’occasione di vaste riunioni di sacerdoti. Queste indicazioni
furono puntualmente sviluppate in aula dai primi oratori che pre-
sero la parola, tutti decisi a mettersi in luce, fin dal primo momen-
to, come i leader dello schieramento progressista.
Il cardinale Frings aprì il dibattito elogiando lo schema “per il
suo stile letterario moderno e veramente pastorale, pieno dello spirito del-
la Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa” 222. Anche il card. Lercaro e
il card. Döpfner 223 sottolinearono l’aspetto “pastorale” del testo.
Lercaro, nel suo primo intervento in aula 224, sollecitò i vescovi dei
Paesi “socialisti” e quelli delle chiese del terzo mondo a interveni-
re attivamente nel dibattito, per manifestare la necessità di un rin-
novamento della liturgia. Il 31 ottobre egli prese nuovamente la
parola, sostenendo l’irrinunciabilità della partecipazione alla litur-
gia della parola 225.
Altrettanto significativo, il 22 ottobre, fu l’intervento del cardi-
nale di Milano Giovanni Battista Montini, che svolse un interven-
to di “mediazione” 226 tra i due schieramenti, anche se appariva
chiaro, e lo avrebbe successivamente dimostrato, dove batteva il
suo cuore 227. Se il latino – egli affermava – andava conservato nel-
le parti sacramentali e propriamente sacerdotali, in quelle didatti-
che occorreva eliminare ogni diaframma che impedisse al popolo
di comprendere le letture e di esprimere con locuzioni intellegibili
le preghiere. Perciò conveniva abbandonare con prudenza, ma
senza indugi, una lingua capita da pochi e che ostacolava la vera

222
AS, I/1, pp. 309-310.
223
Ivi, pp. 319-322.
224
Ivi, pp. 311-313. Testo italiano in G. LERCARO, Per la forza dello spirito. Discorsi con-
ciliari del card. Giacomo Lercaro, Edizioni Dehoniane, Bologna 1984, pp. 73-78. Sulla
partecipazione di Lercaro al Concilio, cfr. anche MATTEO DONATI, Il sogno di una Chie-
sa. Gli interventi al Concilio Vaticano II del cardinale Giacomo Lercaro, Cittadella Editri-
ce, Assisi 2010.
225
AS, I/2, pp. 56-58.
226
AS, I/1, pp. 313-316.
227
Cfr. A. G. MARTIMORT, Le rôle de Paul VI dans la réforme liturgique, in AA.VV., Le rôle
de G. B. Montini – Paul VI dans la réforme liturgique, Studium, Brescia 1987, p. 59 sgg.
1962: LA PRIMA SESSIONE 241

partecipazione al culto. In questo intervento Montini rivelò quan-


ta importanza attribuiva al tema del rinnovamento liturgico, che
aveva costituito, fin dalla sua giovinezza, una costante della sua
concezione ecclesiastica.
Il patriarca melchita di Antiochia Maximos IV Saigh, “l’artiglie-
ria pesante del Concilio”, come venne definito 228, parlando in lingua
francese, il 23 ottobre, rivendicò il ruolo delle conferenze episco-
pali nello stabilire, se e secondo quali modalità, dovessero essere
introdotte le lingue volgari nella liturgia 229. “Decine di prelati corro-
no a stringere la mano al patriarca e lo ringraziano per avere osato dire
quello che molti liturgisti pensavano” 230, annotava mons. Edelby.
L’obiettivo principale dei progressisti era espropriare delle sue
competenze la Congregazione dei Riti, attraverso la costituzione,
in ogni Paese, di commissioni liturgiche nazionali, legate alle con-
ferenze episcopali, e la creazione a Roma di una “commissione in-
ternazionale” di esperti 231. Sulla stampa iniziò intanto a svolgersi
un dibattito parallelo a quello che si svolgeva in aula, condizio-
nandolo pesantemente.
Il solo membro asiatico della Commissione liturgica era il ve-
scovo di Ruteng (Indonesia), mons. Willem Van Bekkum 232, olan-
dese di nascita, la cui candidatura era stata fortemente appoggia-
ta dal gruppo centro-europeo, anche perché egli si era formato in
Germania ed Austria, alla scuola del movimento liturgico 233. Il 23
ottobre, giorno successivo all’inizio della discussione sulla litur-
gia, mons. Van Bekkum tenne un’affollata conferenza stampa sul-
l’adattamento della liturgia alla cultura indonesiana. Il vescovo
olandese difese la spontaneità delle lingue nazionali e tribali ed
auspicò che le lingue asiatiche ed africane potessero sostituirsi al

228
EDELBY, Diario, p. 269.
229
AS, I/1, pp. 377-380. Il 13 ottobre 1963 fu installata nella Basilica di San Pietro la
traduzione simultanea in cinque lingue. Mons. Helder Câmara ricorda l’episodio
come “sconfitta del latino come lingua vivente e come lingua ufficiale della Chiesa” (Cir-
colare del 13 ottobre 1963, in Lettres Conciliaires, vol. I, p. 217).
230
EDELBY, Diario, p. 76.
231
FESQUET, Diario, p. 49.
232
Willem Van Bekkum (1910-1998), verbita olandese, ordinato nel 1935. Vescovo di
Ruteng (Indonesia) dal 1961 al 1972.
233
WILTGEN, p. 35.
242 IL CONCILIO VATICANO II

latino come “lingue rituali” nella Messa, contribuendo ad un ar-


ricchimento e ad una rivitalizzazione della liturgia. Un’ora più
tardi la radio italiana e le agenzie di stampa internazionali diffon-
devano in tutto il mondo le idee “rivoluzionarie” di mons. van
Bekkum 234. Le stesse tesi furono esposte ai giornalisti nei giorni se-
guenti da mons. Eugenio D’Souza 235, arcivescovo di Nagpur in In-
dia e da mons. Lorenzo Nagae 236, vescovo di Urawa in Giappone.

b) La questione del latino

Nel corso della discussione sui primi quattro capitoli, la que-


stione del latino fu al centro del dibattito. De Lubac ricorda 237 due
oppositori particolarmente critici dello schema: mons. Vagnozzi 238,
delegato apostolico negli Stati Uniti, e mons. Dante 239, arcivescovo
titolare di Carpasia, Segretario della Congregazione dei Riti, che
“demolì” lo schema con un intervento articolato in 12 punti 240.
Mons. Vagnozzi sottolineò, da parte sua, i seguenti aspetti:

“1. Non si deve indulgere eccessivamente allo spirito di innovazione, per-


ché la Liturgia, come è ora, è una sacra e venerabile testimonianza della
fede della Chiesa cattolica, sia nei riti occidentali che in quelli orientali.
2. Gli schemi di questa sezione liturgica spesso appaiono prolissi, compo-
sti in una lingua poetica ed ascetica, piuttosto che strettamente teologica,
e sembra più un trattato di liturgia che uno schema conciliare.
3. Il linguaggio teologico appare spesso vago e talvolta inesatto; ritengo
umilmente che i principi dottrinali della liturgia enunciati meglio e con

234
Ivi.
235
Eugenio D’Souza (1917-2003), indiano, missionario di san Francesco di Sales, or-
dinato nel 1944. Vescovo poi arcivescovo di Nagpur (India) dal 1951 al 1963, poi ar-
civescovo di Bhopal dal 1963 al 1994.
236
Laurent Satoshi Lagae (1913-1998), giapponese, ordinato nel 1938. Vescovo di
Urawa (Giappone) dal 1957 al 1979.
237
DE LUBAC, Quaderni, vol. I, p. 129.
238
AS, I/1, pp. 325-326.
239
Ivi, pp. 330-331. Enrico Dante (1884-1967), ordinato nel 1910. Segretario della Con-
gregazione dei Riti dal 1960, arcivescovo titolare, creato cardinale nel 1965.
240
DE LUBAC, Quaderni, vol. I, p. 129.
1962: LA PRIMA SESSIONE 243

una formula più stringata dal Sommo Pontefice Pio XII nell’Enciclica
Mediator Dei possano essere ripresi parola per parola dai Padri del Con-
cilio, piuttosto che gli schemi che ci sono stati proposti. (…)
Secondo il mio giudizio prima di tutto e di un solo colpo bisognerebbe
enunciare e stabilire questi principi:
1. In primo luogo, la Sacra Liturgia si basa, come suo fondamento, sul-
l’opera di Redenzione compiuta da Cristo.
2. In secondo luogo, la Sacra Liturgia costituisce il culto pubblico mani-
festato dal Corpo di Cristo.
3. In terzo luogo, la Sacra Liturgia attua la santificazione dell’uomo che è
ottenuta attraverso l’opera e l’esercizio del Sacerdozio di Cristo” 241.

In difesa della liturgia latina intervennero anche, il 24 ottobre,


il card. Antonio Bacci 242, considerato il più eminente latinista del-
la Chiesa, mons. Pietro Parente 243, consultore della Congregazio-
ne dei Riti, e mons. Dino Staffa 244, Segretario della Congregazio-
ne dei Seminari e delle Università. Il latino – essi ribadivano – do-
veva continuare ad essere la sola lingua liturgica e le lingue vol-
gari non dovevano essere utilizzate che per le istruzioni ed alcu-
ne preghiere.
Il card. americano McIntyre 245, appoggiato dal cardinale Spell-
man, ricordò che mutare la liturgia significa mutare i dogmi:

“L’attacco contro la lingua latina della sacra Liturgia è un attacco in ma-


niera indiretta, ma reale, alla stabilità dei dogmi sacri, perché la sacra Li-
turgia porta necessariamente con sé dei dogmi. (…) Tutti noi che siamo
in questo Sacro Concilio possiamo ricordare cambiamenti fondamentali
del significato delle parole in lingua volgare di comune uso odierno. Ne
consegue che se la sacra Liturgia fosse in lingua volgare, sarebbe in peri-
colo l’immutabilità della dottrina. Se vengono introdotte le lingue volga-

241
AS, I/1, pp. 325-326.
242
Ivi, pp. 408-411. Antonio Bacci (1885-1971), ordinato nel 1909. Segretario dei Bre-
vi ai Principi dal 1931 al 1960. Creato cardinale nel 1960. Arcivescovo titolare di Co-
lonia in Cappadocia nel 1962.
243
AS, I/1, pp. 423-427.
244
Ivi, pp. 429-430.
245
James Louis McIntyre (1886-1979), americano, ordinato nel 1921. Arcivescovo di
Los Angeles dal 1948 al 1970. Creato cardinale nel 1953.
244 IL CONCILIO VATICANO II

ri, prevediamo innumerevoli interpretazioni dei sacri dogmi. Perché ven-


ga espressa l’eterna verità della dottrina, i sacri dogmi mantengano in
maniera immutabile il significato e la forma primitiva! L’introduzione
della lingua volgare deve essere separata dall’azione della sacra Messa. La
sacra Messa deve rimanere com’è. Profondi cambiamenti nella liturgia
provocano profondi cambiamenti nei dogmi” 246.

Il padre Benedikt Reetz 247, Superiore Generale della Congrega-


zione benedettina di Beuron, confutò la tesi di chi sosteneva che bi-
sogna usare le lingue vernacolari, perché è nella liturgia che ognu-
no deve capire tutto:

“Rispondo: si deve dire che i fedeli non devono comprendere tutto – noi
stessi sacerdoti non comprendiamo tutto! – ma basta che comprendano
globalmente e non tutti i particolari. La partecipazione attiva dei fedeli
non consiste tanto nel canto e nella preghiera, ma anche nel seguire con
la vista le cose che vengono fatte sull’altare. San Tommaso già parla di co-
loro che nella Chiesa non comprendono il significato dei canti, e dice in II
– II, q. 91, art. 2, 5 parole bellissime: “Sebbene talvolta non comprendono
ciò che viene cantato, tuttavia comprendono perché viene cantato, cioè a
lode di Dio, e ciò basta a suscitare la devozione”” 248.

Il 30 ottobre chiese la parola il card. Ottaviani che in un appas-


sionato intervento criticò le proposte che erano state fatte di modi-
ficare il rito della Messa, vedendovi una vera e propria Rivoluzio-
ne liturgica:

“L’Ordo Missae è stabilito da molti secoli; la Messa è il centro di tutto il


culto liturgico; è una materia sommamente sacra, ben conosciuta dai sin-
goli fedeli, che soprattutto per il lavoro pastorale liturgico, ne conoscono
bene le singole parti, e vi è il pericolo che da eccessivi mutamenti vi sia
qualche reazione di stupore, se non di scandalo. Si tratta di una materia
estremamente santa, che non può essere cambiata a proprio piacimento ad

246
AS, I/1, pp. 370-371 (pp. 369-371).
247
Benedikt Reetz, o.s.b. (1897-1964), abate dell’Ordine di San Benedetto, Superiore
Generale della Congregazione benedettina di Beuron.
248
AS, I/1, p. 470 (pp. 469-470).
1962: LA PRIMA SESSIONE 245

ogni generazione; di una materia sacra al sommo grado che deve essere af-
frontata con sacro rispetto e venerazione, e non deve essere toccata se non
con dei limiti. Ora vengono in mente le parole rivolte da Dio a Mosé,
quando si avvicinava al rogo ardente: ‘Sciogli i lacci dei tuoi calzari, in-
fatti il luogo in cui stai è santo’. Siamo quindi cauti nel proporre di rifor-
mare il rito della Messa” 249.

Quando il card. Ottaviani superò i dieci minuti di tempo, il


card. Alfrink, che presiedeva la seduta, agitò il campanello, ma
l’oratore continuò a parlare. Alfrink diede allora ordine di stac-
care il microfono e ad Ottaviani fu tolta la parola 250. Per il pre-
fetto della “Suprema” si trattò di una inaspettata umiliazione di
fronte a tutta la assemblea conciliare. Parte dell’assemblea ap-
plaudì. Mons. Helder Câmara vide affiorare nell’applauso “lo
spirito del Concilio” 251. Mons. Borromeo che nel suo Diario descri-
ve l’episodio come “disgustoso”, rilevò che “l’applauso partì da set-
tori ben individuati della parte sinistra, contrassegnata cioè con una
lettera S, che è poi l’ala destra di chi entra dalla parte principale della
Basilica” 252.
L’irritualità dell’episodio fu sottolineata sul “Corriere della Se-
ra” da Indro Montanelli che alla figura ieratica del card. Ottaviani
contrappose quella “moderna” del card. Alfrink: “Alto, atletico,
sportivo, più giovane dei sessant’anni, non si cura nemmeno di nascon-
dere dietro paraventi teologici i suoi sentimenti antiromani” 253.

c) L’intervento di mons. Peruzzo

Grande rilievo ebbero anche i temi della comunione sotto le


due specie e della concelebrazione. Mons. Dante ribadiva che

249
AS, I/2, p. 18 (pp. 18-20).
250
Il racconto dell’episodio nella versione di Alfrink, in TON OOSTVEEN, Bernard Al-
frink vescovo cattolico, Cittadella editrice, Assisi 1973, pp. 76-77.
251
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 69.
252
BORROMEO, Diario, 30 ottobre 1962.
253
I. MONTANELLI, Sottile ma anche concitato il dialogo tra Curia romana e vescovi stranie-
ri, in “Corriere della Sera”, 26 novembre 1962.
246 IL CONCILIO VATICANO II

“1. La Comunione sotto le due specie deve essere assolutamente rifiutata.


Lo richiedono le ragioni che da molti secoli hanno fatto abbandonare que-
st’uso, i pericoli insiti in questa forma di amministrazione del Sacramen-
to, e motivi di igiene.
2. Anche la concelebrazione non sembra ammissibile, soprattutto se si
tratta di Messe private. Se si tratta di una concelebrazione che deve esse-
re svolta con il vescovo, in casi particolari, l’opportunità e la concessione
di questa concelebrazione ed anche il numero dei concelebranti sia riser-
vato soltanto al giudizio della Santa Sede” 254.

Secondo il card. Alfrink, appoggiato dal card. Bea 255, la comu-


nione sotto le due specie era una pratica biblica, rispettata dalla
Chiesa primitiva, dato che il mangiare e il bere appartengono alla
vera essenza della cena 256. Il card. Ruffini ammonì però che se il
Concilio avesse acconsentito alla richiesta della comunione sotto le
due specie sarebbe andato contro i decreti del Concilio di Costan-
za e del Concilio di Trento 257.
Il tema della concelebrazione fu affrontato dal card. Léger all’i-
nizio della seduta del 29 ottobre; tra i favorevoli fu il vescovo bel-
ga di Inongo (Zaire), mons. Jan Van Cauwelaert 258 che, a nome di
262 vescovi, affermò che nelle culture in cui la comunità era un
aspetto importante, la concelebrazione era assai stimata come con-
creta espressione di unità 259.
Quello stesso 29 ottobre, il vescovo di Agrigento, mons. Gio-
vanni Battista Peruzzo, ricordò come il movimento antiliturgico
era sorto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo negli ambienti
dell’umanesimo pagano 260. L’intervento di mons. Peruzzo, che fu
irriso dai progressisti, merita di essere riportato per intero, per la
saggezza e la preveggenza che lo caratterizzano.
Nelle sue parole echeggiano gli ammonimenti di dom Guéran-
ger che nel XIV capitolo delle Institutions Liturgiques denunciò con

254
AS, I/1, p. 331.
255
Ivi, pp. 22-26.
256
AS, I/2, pp. 16-17.
257
AS, I/1, pp. 600-601.
258
Francis van Cauwelaert (1906-1986), benedettino belga, ordinato nel 1931.
259
AS, I/2, pp. 94-95.
260
AS, I/3, pp. 594-595.
1962: LA PRIMA SESSIONE 247

vigore i principi che stanno dietro all’eresia antiliturgica, il cui pri-


mo carattere, scriveva, “è l’odio della tradizione, delle formule, del cul-
to divino” 261.

“Sono l’ultimo (a parlare) ma sono vecchio, il più vecchio in mezzo a voi, e


forse ho capito poche cose; perciò perdonatemi se qualche precisazione non vi
dovesse piacere. Ho ascoltato molte osservazioni e proposte contro la Santa
Tradizione che deve essere tenuta riguardo all’uso della lingua latina nella
sacra Liturgia, e molte parole sono state per me causa di ansia e timore, co-
sa che vi espongo brevemente, parlando non su basi teologiche, ma storiche.
Il movimento antiliturgico non mi piace a causa delle sue origini. È sem-
pre di grande importanza prestare attenzione alle origini delle famiglie,
delle istituzioni, delle realtà, delle dottrine: chi è il padre, chi la madre, chi
la guida. Se la fonte (l’origine) all’inizio fu sana, sarà facilmente sana nel
corso del tempo. Se la fonte è inquinata, difficilmente diventerà pura. Ba-
sandomi su questi principi, ho davanti agli occhi l’origine del movimento
antiliturgico: quali i padri, quali le guide.
Questo moto ha avuto inizio alla fine del secolo XV e all’inizio del secolo
XVI. I primi antiliturgici furono gli umanisti, veri e propri pagani in Ita-
lia, migliori in Francia e nelle terre nordiche, sotto la guida di Erasmo, ma
tutti vacillanti nella fede. Li hanno seguiti a gara molti nostri Fratelli che
poi si sono separati dalla Chiesa cattolica. Da qui sono venuti i gianseni-
sti, in Italia i seguaci del Sinodo di Pistoia, ed infine i modernisti: questa
è la compagnia con la quale molti uniformano il loro modo di parlare.
Al contrario, nel promuovere questo movimento, non trovo nessun santo
vescovo. Essi, da san Carlo Borromeo a sant’(Antonio Maria) Claret, da
s. Francesco di Sales a s. Alfonso, antichi e moderni, tutti hanno aderito
alla tradizione latina. Questo fatto ci deve rendere cauti nel presentare no-
vità. Facilmente si lascia la “via vecchia” che è sicura; ma i nuovi sentie-
ri quale voragine ci potrebbero preparare e provocare!
Erasmo, nella prefazione del vangelo di san Matteo scriveva così: ‘Sem-
bra cosa indecorosa e ridicola, che la gente semplice e le donnette,
come pappagalli, ripetano sussurrando i salmi e le preghiere do-
menicali, mentre loro stessi non ne capiscono il significato’. L’uni-

261
P. GUÉRANGER, De l’hérésie antiliturgique et de la réforme protestante du XVIe siècle,
considérée dans ses rapports avec la liturgie, tr. it. L’eresia liturgica e la riforma protestan-
te, Amicizia cristiana, Chieti 2008, p. 27.
248 IL CONCILIO VATICANO II

versità di Parigi condannò questo giudizio, che sembra semplice e giusto,


come empio, erroneo e fautore di nuovi errori; leggete Duplessy.
La sentenza ci sembra eccessiva, ma fu profetica. Tutti coloro che hanno
chiesto almeno una riduzione della lingua latina nella Liturgia, sempre in
passato come oggi, espongono le stesse ragioni: per istruire meglio il po-
polo e spingerlo ad una fede ed amore di Dio maggiore.
Nella Confessio Augustana (Augsburg) non fu chiesto nient’altro se non
un canto popolare in lingua corrente, durante la celebrazione della Messa.
Ma cosa avvenne? La sostituzione della lingua volgare nella Messa, gene-
ralmente, fu il primo atto di separazione dalla Santa Madre Chiesa. Questa
pesante affermazione non è mia, ma dell’abate dom Guéranger, che è vera-
mente il padre del rinnovamento liturgico. Ecco le sue parole: ‘La separa-
zione dalla lingua liturgica per un motivo inspiegabile, che non co-
nosciamo, quasi sempre, anche ottenuta la dispensa dal Sommo
Pontefice, ha condotto allo scisma e alla piena separazione dalla
Chiesa cattolica’. Egli prova questa affermazione, come potrete leggere nel
III volume delle sue Institutions Liturgiques. Queste parole, questi fatti ci
devono rendere estremamente cauti in questa materia tanto importante.
Esporrò brevemente una terza ragione: la fedeltà che i vescovi devono
sempre avere, più di tutti gli altri, verso il Sommo Pontefice: è evidente.
Da quasi cinque secoli i Sommi Pontefici hanno resistito saldamente a
preghiere, sollecitazioni e minacce, per difendere la lingua latina nella sa-
cra Liturgia. Nei tempi più recenti, da Leone XIII fino al Sommo Ponte-
fice regnante, unanimamente hanno raccomandato la necessità della lin-
gua latina nella sacra Liturgia con varie Lettere Apostoliche.
Cari Fratelli, queste disposizioni sono soltanto consigli oppure con le loro
parole danno un ordine? Le discussioni contrarie sono libere; ma a me
sembra giusto che vengano fatte sottovoce e sottomessi all’obbedienza al
Sommo Pontefice. Tutti chiedono che i Cristiani oggi divengano migliori.
Impegniamoci tutti per ottenere questo scopo; la storia infatti ci insegna
che la santificazione delle anime può essere unita alla Liturgia, ma che esi-
ge soprattutto la nostra santità, la forza della nostra fede, l’eroismo del-
l’apostolato, lo spirito di preghiera, di penitenza, ed anche quella grande
devozione esterna che conduce il popolo a Dio. Perdonate la mia audacia
e pregate anche per me!” 262.

262
AS, I/3, pp. 594-595.
1962: LA PRIMA SESSIONE 249

d) Una Messa ecumenica?

Quando, il 5 novembre, riprese il dibattito conciliare, uno dei 24


oratori che presero la parola, mons. Duschak 263, vescovo titolare di
Abbida e vicario apostolico di Calapan nelle Filippine, ma tedesco
di nascita, sostenne la necessità di una “Messa ecumenica”, rical-
cata sull’Ultima Cena 264.

“Cristo ha celebrato la prima Messa davanti agli Apostoli – rivolto al po-


polo, secondo la consuetudine allora vigente per le cene. Cristo ha parla-
to ad alta voce, cosicché tutti, per così dire, udissero il Canone di questa
prima Messa. Cristo si è servito della lingua parlata, perché tutti senza al-
cuna difficoltà comprendessero lui e le sue parole. Nelle parole ‘fate que-
sto’, secondo il loro completo significato, sembra essere contenuto il pre-
cetto di celebrare la Messa come una cena, di fronte, o almeno ad alta vo-
ce, ed in una lingua che i commensali comprendano.

Mons. Duschak invitò quindi

“a collaborare, con l’aiuto degli esperti di tutti i riti e delle Chiese che con-
servano la fede eucaristica, per comporre una Messa che veramente si po-
trebbe chiamare ecumenica o ‘Messa del mondo’, e con essa l’unità tanto
desiderata, almeno nella memoria eucaristica del Signore. Il popolo di Dio
poi godrebbe della partecipazione perfetta ed intima della quale gli Apo-
stoli hanno goduto nell’ultima Cena” 265.

Nel pomeriggio mons. Duschak illustrò il suo intervento ai gior-


nalisti, spiegando che la sua idea era quella di “introdurre una Mes-
sa ecumenica, spogliata in tutta la misura del possibile dalle sovrastruttu-
re storiche, basata sull’essenza stessa del Santo Sacrificio e fermamente ra-
dicata nella Sacra Scrittura” 266. Il presule arrivava al punto di voler

263
Wilhelm Josef Duschak (1903-1997), tedesco, della Società del Verbo Divino, ordi-
nato nel 1930, vescovo di Abidda (1951) e vicario apostolico di Calapan (Filippine)
dal 1951 al 1973.
264
AS, I/1, pp. 109-112.
265
Ivi, pp. 111-112.
266
WILTGEN, p. 37.
250 IL CONCILIO VATICANO II

cambiare le parole tradizionali del Canone: “Se gli uomini dei secoli
passati poterono scegliere e inventare i riti della Messa, perché il più gran-
de di tutti i Concili non potrebbe fare altrettanto? Perché non sarebbe pos-
sibile decretare che una nuova formula della Messa sia elaborata con tutta
la riverenza, per rispondere ai desideri, ed essere adattata alla mentalità
dell’uomo moderno?” 267. Tutta la Messa, insisteva mons. Duschak,
avrebbe dovuto essere celebrata a voce alta, in lingua volgare e ver-
so il popolo. Queste proposte apparvero allora radicali, ma sareb-
bero state messe in pratica già prima della conclusione del Concilio.
Le repliche tuttavia non mancarono. Al card. Döpfner, che ave-
va affermato che bisognava introdurre il volgare anche perché i
candidati al sacerdozio, formati nelle scuole pubbliche, non cono-
scevano più il latino 268, mons. Carli ribatté, ad esempio, che quegli
stessi candidati non conoscevano neppure la filosofia cristiana e la
teologia e nessuno pensava di ordinarli prima che avessero com-
pletato i loro studi in queste materie 269.
Lo scontro in atto si rivelava come quello tra la Curia romana e
alcune conferenze episcopali, soprattutto quella francese e tedesca,
appoggiata da alcuni vescovi dei Paesi del Terzo Mondo, come
mons. D’Souza, che nei suoi interventi del 27 ottobre e del 7 no-
vembre 1962 270, chiese di attribuire alle conferenze episcopali non
solo il diritto di scegliere la lingua in cui svolgere il rito, ma anche
quello “di adattare la liturgia dei Sacramenti” 271, e mons. Bekkers 272,
che affermò che solo “il nucleo sacramentale fondamentale di tutti i sa-
cramenti” avrebbe dovuto essere “universale”, “ma per una celebra-
zione più evoluta ed ampia di questo nucleo sacramentale venga concessa
una amplissima libertà, sul cui limite in maniera esperta può giudicare

267
Ivi, p. 38.
268
AS, I/2, pp. 398-399.
269
Ivi, pp. 463-464.
270
AS, I/1, pp. 497-499 e AS, I/2, pp. 317-319.
271
AS I/2, p. 318. “Se il potere si estendesse a tutto il rito e all’uso della lingua parlata, sa-
rebbe cosa ottima. Questo è ciò che ci aspettiamo dal Concilio, perché è realmente necessario
alla sua attuazione” (ivi).
272
Wilhelm Marinus Bekkers (1908-1966), olandese, ordinato nel 1933, vescovo coa-
diutore nel 1956 e poi vescovo di Bois-le-Duc fino alla morte. I suoi funerali furono
una sorta di manifestazione pubblica della corrente ultraprogressista olandese (Ac-
tes et Acteurs, p. 372).
1962: LA PRIMA SESSIONE 251

soltanto la Conferenza dei vescovi di tali popoli, purché gli atti siano ap-
provati dalla Santa Sede” 273.
Il latino era considerato dal partito antiromano come lo strumen-
to di cui si serviva la Curia per esercitare il suo potere. Finché il lati-
no rimaneva come l’unica lingua della Chiesa, Roma avrebbe avuto
la competenza per controllare e verificare i riti. Ma se centinaia di lin-
gue e costumi locali fossero stati introdotti nella liturgia, la Curia
avrebbe perso automaticamente le sue prerogative e le conferenze
episcopali sarebbero divenute giudici in materia. “Era precisamente su
questo punto che insisteva la maggioranza che si profilava: essa – sottolinea
Wiltgen – voleva che le conferenze episcopali fossero autorizzate a prendere
certe importanti decisioni in materia di usi liturgici” 274.
L’Alleanza progressista ricevette in aula l’appoggio di un nutri-
to gruppo di vescovi dell’America Latina, capeggiati dal card. Sil-
va Henríquez, arcivescovo di Santiago del Cile. Questi padri, come
ricorda Wiltgen, manifestavano la loro riconoscenza per il podero-
so aiuto finanziario che avevano ricevuto, nel corso degli ultimi
anni, dal cardinale di Colonia Frings, attraverso le associazioni
“Misereror” e “Adveniat”. “Un buon numero di coloro che approfitta-
rono dell’occasione del Concilio per rendere visita al cardinale Frings e
ringraziarlo di persona, si trovarono coinvolti nell’Alleanza” 275.

e) La liquidazione del Breviario

Il 7 novembre il card. Léger propose di liquidare il Breviario


proponendo che la preghiera dei sacerdoti si limitasse alle parti es-
senziali della officiatura: le Lodi da recitarsi al mattino, il Vespro la
sera e la Lettura divina quando fa più comodo nella giornata 276. Il
card. Urbani 277, nel suo Diario, definisce l’intervento “penoso”:

273
AS I/1, pp. 313-314.
274
WILTGEN, p. 42.
275
Ivi, p. 53.
276
AS, I/2, pp. 334-336.
277
Giovanni Urbani (1900-1969), ordinato nel 1922, vescovo titolare di Axomis, assi-
stente nazionale della Azione Cattolica nel 1946; vescovo di Verona nel 1955, suc-
cesse nel 1958 a Roncalli come patriarca di Venezia e vi rimase fino alla morte. Crea-
to cardinale da Giovanni XXIII nel 1958.
252 IL CONCILIO VATICANO II

“Francamente non capisco questi Vescovi – scrive –: parlano di ascetica


e la ripropongono tutta nella lettura vernacola del breviario. Aggiungono
– recitazione privata. Già. Quando uno sarà fatto canonico dovrà fare l’e-
same di latino? Mi pare che sotto ci sia tutta una sorda lotta alla Vete-
rum Sapientia” 278. “La claque franco-americana ha applaudito”, anno-
ta mons. Borromeo, osservando che il card. Léger “decisamente vuol
essere uomo di punta” e “ha una discreta claque nel Concilio” 279.
Dello stesso tenore, due giorni dopo, fu l’intervento del card.
Döpfner, secondo cui “i sacerdoti di oggi hanno troppo da fare, non pos-
sono recitare un ufficio divino congegnato in tempi lontani e da religiosi
che non avevano altra preoccupazione che di riempire di preghiere la loro
giornata” 280.
“Questi Vescovi e Cardinali in calzoni lunghi che non sanno stare
cinque minuti senza sigaro o sigarette in bocca, che si infischiano di tut-
te le proibizioni (“on est prié de ne pas fumer!”) che passano sopra a tut-
te le riluttanze dei latini (vanno al bar od all’Albergo con tanto di inse-
gne accompagnati da Signore!), sembra che abbiano ben altro da fare che
pregare”, osservava con amarezza il vescovo di Pesaro 281.
Le repliche in difesa del Breviario si allargarono anche alla di-
fesa della lingua latina. Così, a Léger, rispose il card. Wyszyński 282:

“Il Breviario Romano (…) costituisce un vincolo validissimo della Chie-


sa orante, di tutto il Corpo Mistico di Cristo, del Supremo Pastore, dei ve-
scovi, dei sacerdoti e dei fedeli. È stato fonte di consolazione per tutti co-
loro che hanno sopportato la persecuzione nelle carceri e nei campi che co-
munemente vengono detti “di concentramento”. Ciò che questi uomini
sanno raccontare della dolce preghiera del Breviario Romano è espresso,
almeno in parte, dall’atto eroico di quel Santo Martire apostolo della Mo-
ravia, della Boemia e dell’Ungheria, messo in catene, che, dal momento
che non poteva volgere le pagine del Breviario con le mani macchiate di

278
URBANI, Diario, p. 135.
279
BORROMEO, Diario, 7 novembre 1962.
280
AS, I/2, pp. 398-403.
281
BORROMEO, Diario, 9 novembre 1962.
282
Stefan Wyszyński (1901-1981), cardinale arcivescovo di Varsavia e Gniezno, Pri-
mate di Polonia. Membro della Commissione preparatoria centrale. Su di lui cfr., tra
l’altro, Actes et Acteurs, pp. 326-336; GROOTAERS, I protagonisti, pp. 245-260.
1962: LA PRIMA SESSIONE 253

sangue, lo fece con l’aiuto della lingua. Vorrei quasi tralasciare le obiezio-
ni di coloro che dicono di non avere tempo sufficiente per la recita del San-
to Ufficio. Mi sembra un argomento debole e ingiurioso al massimo gra-
do per dei pii e buoni sacerdoti. Con quanta fortezza e pietà e in che mo-
do eccezionale, gli apostoli hanno rifiutato questo pensiero, comprenden-
do che la preghiera è un grandissimo dono. Il modo di sentire di noi, che
siamo a capo della Chiesa dei nostri giorni, non deve essere diverso. Rite-
niamo che ci sia bisogno piuttosto di una preghiera il più possibile assi-
dua, costante e profonda. Molti sono i testi nel Breviario Romano che pro-
vengono da tempi antichissimi, come le preghiere, che in nessun modo si
possono volgere in lingua corrente senza pericolo che perdano il signifi-
cato teologico, espresso in modo sintetico, sancito in tanti secoli. Basta
portare ad esempio molte versioni del Messale Romano nelle lingue mo-
derne, che sono piene di difetti e di errori. Il Breviario Romano, qualora
fosse tradotto in lingua moderna, non spingerebbe più gli alunni nei se-
minari ad imparare quella latina, il cui studio sta tanto a cuore al Sommo
Pontefice. Tutti questi cambiamenti allontanerebbero troppo l’animo e il
sentimento dal Messale Romano, dalla Volgata, dagli scritti dei Padri. I
sacerdoti di rito latino, infine, perderebbero la capacità di usare la lingua
latina, vincolo validissimo di unità. Questa lingua serve moltissimo a noi,
radunati in questo Concilio” 283.

In termini altrettanto chiari si espresse l’arcivescovo di West-


minster, Guglielmo Godfrey 284:

“Ho fatto la mia esperienza in una parrocchia molto grande per due an-
ni, e ho seguito per molti anni le parrocchie in due grandi diocesi. Non
ho udito mai, mai¸ sacerdoti che dicessero che non bastava il tempo per
recitare l’Ufficio divino. Riconosco certo che possa esistere una difficoltà
in alcune regioni, ma sarebbe cosa meno accorta, se non sbaglio, stabili-
re regole universali per tutto il clero in questo Concilio Vaticano. Talvol-
ta si dice che c’è il pericolo di cadere in quella che si chiama: “eresia del-
le buone azioni”, cioè l’esaltazione dell’attività pastorale più della pre-

AS, I/2, pp. 393-394.


283

William Godfrey (1889-1963), inglese, ordinato nel 1916. Arcivescovo di West-


284

minster dal 1956 fino alla morte, creato cardinale nel 1958.
254 IL CONCILIO VATICANO II

ghiera, quasi che la preghiera fosse un fatto subordinato all’attività pa-


storale. A mio modesto giudizio, questo è un vero pericolo. L’Ufficio di-
vino è già stato abbastanza abbreviato. Possiamo trovare il tempo per va-
ri affari di minore importanza. Non dobbiamo forse conservare l’Ufficio
divino come un nutrimento e sostegno essenziale della fatica, un bastone
pastorale sia della nostra giovinezza che della nostra vecchiaia? Prego i
venerabili Padri di non abbandonare facilmente tradizioni preziose. Non
sembri, o venerabili fratelli, che noi ci affatichiamo per il ‘complesso’ del-
la novità, come se non venisse fatto nulla in questo Concilio se non si
rinnovasse tutto” 285.

Nella prima votazione, tenuta il 14 novembre, lo schema sulla


liturgia fu approvato di principio con 2162 placet, 46 non placet e
7 schede nulle. “Di fatto – osserva il padre O’Malley – questa vota-
zione annullava l’articolo 1257 del codice canonico, che attribuiva esclu-
sivamente alla Santa Sede tutte le decisioni in materia di liturgia” 286. Il
testo riveduto della Sacrosanctum Concilium sarebbe stato promul-
gato l’anno successivo.
Il giorno precedente la votazione, il card. Cicognani annunciò
che il Papa, su richiesta di molti padri, aveva deciso di introdurre
il nome di san Giuseppe nella preghiera eucaristica immediata-
mente dopo il nome di Maria. La decisione non piacque ai liturgi-
sti e ai fautori del dialogo ecumenico 287.

9. L’attacco allo schema sulle fonti della Rivelazione

a) Scrittura e Tradizione

Il dibattito in aula si era fatto sempre più animato, mostrando


con chiarezza l’esistenza di due minoranze contrapposte, una
progressista e una conservatrice, che si contendevano il consenso
della “palude”. In questo clima, il 14 novembre, dopo la votazio-

285
AS, I/2, pp. 472-473.
286
J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, cit., p. 141.
287
Cfr. M. LAMBERIGTS, Il dibattito sulla liturgia, cit., pp. 172-173.
1962: LA PRIMA SESSIONE 255

ne sullo schema della liturgia, iniziò la discussione sul tema cru-


ciale dei rapporti tra Scrittura e Tradizione nella Rivelazione cri-
stiana 288. Un dibattito, osserva Riccardo Burigana, che costituì “la
porta attraverso la quale si introduceva nel Vaticano II una nuova pras-
si nella formulazione della dottrina della Chiesa di Roma” 289, ovvero
“il passaggio da una teologia fondata essenzialmente sul Magistero
pontificio a una riflessione nella quale centrale era l’approfondimento
della parola di Dio” 290.
Il Magistero aveva sempre insegnato che due sono le fonti del-
la Rivelazione, la Sacra Scrittura e la Tradizione: la prima è ispira-
ta, la seconda divinamente assistita 291. La Tradizione è la regola in-
fallibile della fede cattolica, che nella Chiesa precede la Scrittura: vi
fu un tempo infatti in cui nulla si sapeva di una Sacra Scrittura del
Nuovo Testamento, ma non vi fu mai epoca priva di una Tradizio-
ne orale risalente a Gesù stesso e ai primi apostoli. Quest’unico de-
posito della Rivelazione divina è affidato all’autorità della Chiesa
che custodisce la regola seconda (o prossima) di fede per tutti i cre-
denti. Come ben spiega il card. Billot, “la Tradizione è la regola di fe-
de che precede la Scrittura in ragione del tempo, della conoscenza e del-
l’estensione. Dalla Scrittura essa si distingue (…) perché è una regola
non solo remota, ma prossima e immediata” 292. Il deposito della Rive-
lazione è interamente contenuto non nella Scrittura, ma nella Tra-

288
Per una ricostruzione complessiva del dibattito, cfr. R. BURIGANA, La Bibbia nel
Concilio. La redazione della costituzione “Dei Verbum” del Vaticano II, Il Mulino, Bolo-
gna 1998; G. RUGGIERI, Il primo conflitto dottrinale, in SCV, vol. II, pp. 259-294. Si ve-
da anche UMBERTO BETTI, Storia della costituzione dogmatica “Dei Verbum”, in AA.VV.,
La costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, LDC, Torino 1967, pp. 11-68; G.
RUIZ, Historia de la constitución “Dei Verbum” sobre la divina revelación, La Editorial
Católica, Madrid 1969, pp. 33-99. Una serrata analisi critica in EMMANUEL-MARIE
o.p., Les quarante ans de la Constitution conciliaire Dei Verbum, in “Le Sel de la Terre”,
n. 55 (2005-2006), pp. 16-38.
289
R. BURIGANA, La Bibbia nel Concilio, cit., p. 15.
290
Ivi, p. 17.
291
Cfr. B. GHERARDINI, “Quod et tradidi vobis”, cit., p. 300. Per quanto riguarda la con-
tinuità dell’insegnamento cattolico, dai padri della Chiesa al Vaticano I, si veda l’e-
sauriente saggio di mons. (ora card.) W. BRANDMÜLLER, L’insegnamento dei Concili
sulla corretta interpretazione della Sacra Scrittura fino al Concilio Vaticano I, in Walter
Brandmüller. Scripta manent, cit., pp. 89-135.
292
L. BILLOT s.j., Tradition et modernisme, tr. fr. a cura dell’abbé JEAN-MICHEL GLEIZE,
Courrier de Rome, Versailles 2007, p. 32.
256 IL CONCILIO VATICANO II

dizione, stabilita da Cristo stesso come l’organo fondamentale per


trasmettere nei secoli la sua dottrina 293.
Il biblicismo ha rappresentato, nel corso dei secoli, la bandiera
di tutte le correnti che hanno voluto negare, in nome della Sacra
Scrittura, l’autorità della Chiesa. Al Magistero, regola cattolica del-
la fede, il protestantesimo oppose la sola “Parola di Dio”, come
unica regula fidei, norma assoluta con la quale va misurata ogni
dottrina e ogni azione. John Wyclif e Ian Hus, prima di Lutero, teo-
rizzavano un integrale biblicismo 294.
I novatori del Concilio Vaticano II, pur non negando la Tradizio-
ne, ne diminuivano il ruolo o ne stravolgevano il significato. Essi non
riconoscevano la Tradizione come costitutiva, ma solo come “inter-
pretativa” della Rivelazione, contenuta unicamente nella Scrittura.
Interprete della Scrittura, e quindi della Tradizione, non sarebbe sta-
to il Magistero della Chiesa, ma quello degli esegeti e dei teologi che
proponevano di assorbire la dualità delle Fonti (Scrittura e Tradizio-
ne) nell’unicità della Rivelazione 295. Le loro questioni erano riassunte
in alcuni documenti, alternativi a quello della Commissione teologi-
ca: una Disquisitio brevis de schemata de fontibus Revelationis, redatta dal
padre Rahner 296; un documento dovuto al domenicano belga Schille-
beeckx di Animadversiones in prima series schematum, in cui il De Fon-
tibus era fortemente criticato per la sua “chiusura” nei confronti del
metodo della “storia delle forme” e per l’eccessivo rilievo dato alla Vul-
gata 297; e uno schema del padre Congar, De Traditione et Scriptura, che
circolava, accanto ai precedenti, tra i Padri conciliari.
Nel pomeriggio del 26 ottobre 1962 Congar presentava la posi-
zione progressista sulla Tradizione in una conferenza al Seminario
francese che mons. Charue definiva “incomparabile”, riassumendo-
la in una riga: “Non vi sono due fonti, ma una sola, il Vangelo prove-

293
Ivi, p. 37.
294
Cfr. RICARDO GARCÍA VILLOSLADA s.j., Radici storiche del Luteranesimo, tr. it. Morcel-
liana, Brescia 1979, pp. 100-118.
295
Cfr. ad esempio K. RAHNER, Sacra Scrittura e Tradizione, in Nuovi Saggi, Paoline, Ro-
ma 1968.
296
Cfr. WENGER, Vatican II, cit., Première session, pp. 103-104.
297
R. BURIGANA, La Bibbia nel Concilio, cit., pp. 92-93; G. RUGGIERI, Il primo conflitto dot-
trinale, cit.
1962: LA PRIMA SESSIONE 257

niente da due vie” 298. Tuttavia, come osserva Giuseppe Ruggieri, l’ar-
gomento principe durante il dibattito sul De Fontibus non fu tanto
quello dei rapporti tra Scrittura e Tradizione, quanto il problema
della “pastoralità” della Chiesa 299.

b) Le critiche progressiste allo schema

Lo schema sulle fonti della Rivelazione fu presentato dal card.


Ottaviani. Era la prima volta che il porporato riappariva in aula,
dopo essere stato ridotto brutalmente al silenzio due settimane
prima dal card. Alfrink. Ottaviani elogiò il valore pastorale dello
schema e cedette la parola a mons. Garofalo, Segretario della
Commissione, per illustrarlo 300. Garofalo parlò brevemente, affer-
mando che lo schema era dogmatico, ma aveva anche un valore
pastorale, per la chiara esposizione che faceva della dottrina. Si
scatenò immediatamente la reazione, accuratamente organizzata
dei Padri conciliari progressisti. Il primo ad aprire il fuoco fu il
card. Liénart 301, il più anziano dei cardinali che aprì il suo inter-
vento con la frase “Hoc schema, mihi non placet”, definendo il pro-
getto incompleto, gravemente deficiente e troppo scolastico. “Fu
come una bomba nella navata di San Pietro: ci si aspettava un Concilio
senza storia, e la storia era cominciata!” 302. A lui seguirono Frings 303,
Léger 304, König 305, Alfrink 306, Suenens 307, Ritter 308, Bea 309, e il pa-

298
CHARUE, Carnets conciliaires, p. 40.
299
Cfr. G. RUGGIERI, La discussione sullo schema Constitutionis dogmaticae De Fontibus
Revelationis durante la prima sessione del Concilio Vaticano I, in Vatican II commence…
Approches Francophones, a cura di E. FOUILLOUX, Peeters, Lovanio 1993, pp. 314-328.
300
AS, I/3, pp. 27-32.
301
Ivi, pp. 31-32.
302
MARCEL GRELOT, Il rinnovamento biblico nel ventesimo secolo. Memorie di un protagonista,
con prefazione di Gianfranco Ravasi, tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 172.
303
AS, I/3, pp. 34-36.
304
Ivi, pp. 41-42.
305
Ivi, pp. 42-43.
306
Ivi, pp. 43-45.
307
Ivi, pp. 45-47.
308
Ivi, pp. 47-48.
309
Ivi, pp. 48-51.
258 IL CONCILIO VATICANO II

triarca Maximos IV Saigh 310, che si dissero tutti categoricamente


contrari allo schema della Commissione teologica, definendolo
“troppo scolastico” (Liénart), “offensivo verso i fratelli separati”
(Frings), “contrastante con lo spirito di rinnovamento di Giovanni
XXIII” (Léger), “sofferente di spirito negativo e di pessimismo” (Rit-
ter), “mancante di carattere pastorale” (Bea). I cardinali Ruffini 311 e
Siri 312 difesero invece con decisione il documento presentato da
Ottaviani, ricordando l’importanza costitutiva della Tradizione
nella fede cattolica. Siri sostenne la necessità di confermare solen-
nemente la materia come era stata sistemata da san Pio X, dato che
gli errori del modernismo serpeggiavano ancora nella Chiesa 313.
Due scuole teologiche erano di fronte.
Mons. Soegijapranata 314, arcivescovo di Semarang e presidente
della conferenza episcopale di Indonesia, parlando a nome dei ve-
scovi del suo Paese, attaccò non solo lo schema sulle fonti della Ri-
velazione, ma anche le tre altre costituzioni dogmatiche. Wiltgen ri-
corda che la larga maggioranza dei vescovi indonesiani erano olan-
desi di nascita e che olandese era il loro consigliere teologico, il pa-
dre gesuita Pieter Smulders 315, noto per la sua violenta opposizione
alle quattro costituzioni dogmatiche 316. I Padri conciliari dei Paesi
Bassi sostenevano che il testo era troppo negativo e intollerante, e
soprattutto che riconosceva non una fonte della Rivelazione, ma
due. Il padre Schillebeeckx esercitava su di essi un’influenza altret-
tanto forte di quella del padre Rahner sui vescovi tedeschi. Le os-
servazioni critiche di Schillebeeckx e Smulders furono abbondante-
mente utilizzate fin dai primi dibattiti 317. Le critiche dei due teologi
erano in linea con quelle del Segretariato per l’Unità dei Cristiani

310
Ivi, pp. 53-55.
311
Ivi, pp. 37-38.
312
Ivi, pp. 38-39.
313
Ivi.
314
Ivi, pp. 58-59. Albert Soegijapranata (1895-1963), gesuita indonesiano ordinato nel
1931. Arcivescovo di Semarang (Indonesia) dal 1961 alla morte.
315
Pieter Smulders (1911-2000), gesuita olandese, ordinato nel 1939, professore nel
Collegio gesuita di Maastricht (1943-1967), consigliere dell’episcopato indonesiano
al Vaticano II, peritus conciliare.
316
WILTGEN, p. 47.
317
G. RUGGIERI, Il primo conflitto dottrinale, cit., p. 267.
1962: LA PRIMA SESSIONE 259

che, nelle riunioni del 9 e del 16 novembre 1962 tenute presso l’Ho-
tel Columbus, aveva disegnato la propria strategia di azione, nella
convinzione, come affermava padre Feiner 318, “di costituire quasi il
punto di equilibrio dottrinale attorno a cui poteva e doveva coagularsi la
teologia del Vaticano II” 319.
Il dibattito si sviluppò nelle successive Congregazioni generali
con interventi in difesa del documento della Commissione da parte
dei cardinali Ottaviani 320, Bacci 321, Santos 322, Florit 323, Ruffini 324, Brow-
ne 325 e, sul fronte opposto, di Tisserant 326, Döpfner 327, Frings 328, Silva
Henríquez 329, e del vescovo di Bruges, mons. Emile De Smedt 330, che
mons. Borromeo definisce “solennemente balbuziente ed emotivamente
incespicante” 331, ma aiutato da “una bella potenza di voce” e dalla “gran
voglia di apparire forte oratore”. De Smedt, prendendo la parola a nome
del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, il 19 novembre, ribadì che
lo schema mancava notevolmente di “spirito ecumenico” e costituiva
un ostacolo al dialogo, anche perché era troppo intessuto di formule
scolastiche, incomprensibili ai fratelli “ortodossi” e a molti altri non

318
Joseph Feiner (1909-1985), svizzero, professore di teologia al Seminario diocesa-
no di Coira (1938-1962). Consultore del Segretariato per l’Unità dei Cristiani.
319
G. RUGGIERI, Il primo conflitto dottrinale, cit., pp. 268-269.
320
AS, I/3, pp. 131-132.
321
Ivi, pp. 127-128.
322
Ivi, pp. 76-79.
323
Ivi, pp. 101-104. Ermenegildo Florit (1901-1985), ordinato nel 1925, vice rettore e
decano della Facoltà teologica dell’Università del Laterano dal 1951 al 1954. Ve-
scovo coadiutore nel 1954 e arcivescovo di Firenze dal 1962 al 1977. Creato cardi-
nale nel 1965. Su di lui, si veda NICOLA CIOLA, Il padre Umberto Betti e il card. Erme-
negildo Florit: due servitori della Chiesa al concilio Vaticano II, in “Lateranum”, n. 70
(2004), pp. 181-194. Cfr. R. BURIGANA, Sul magistero episcopale tra Roma e Firenze. La
partecipazione di Ermenegildo Florit al Vaticano II, in “Vivens Homo”, n. 11/1 (2000),
pp. 263-300.
324
AS, I/3, pp. 249-251.
325
Ivi, pp. 82-84.
326
Ivi, p. 66; pp. 248-249.
327
Ivi, pp. 124-126.
328
Ivi, p. 137.
329
Ivi, pp. 81-82.
330
AS, I/3, pp. 184-186. Emile-Joseph De Smedt (1909-1995), ordinato nel 1933, ve-
scovo di Bruges dal 1952 al 1984, membro del Segretariato per l’Unità dei Cristiani
a partire dall’ottobre 1960.
331
BORROMEO, Diario, 19 novembre 1962.
260 IL CONCILIO VATICANO II

cattolici. Il suo intervento, che riprendeva quello di Bea del 14 no-


vembre 332, era stato concordato nella riunione svoltosi tre giorni pri-
ma al Columbus e venne applaudito dalla “solita claque francese” 333. Il
padre Schauf riferiva di una riunione dei teologi tedeschi tenutasi il
pomeriggio del 14 novembre in questi termini: “Si tratta di una cospi-
razione e di una riunione politica più che di una discussione teologica” 334.
Bea era in quel momento la “vedette” dei novatori 335. Nel suo
intervento sul De Fontibus revelationis, come il suo collega Frings,
accusò lo schema di non aderire alla intera tradizione della Chiesa
e, soprattutto di essere in contrasto con lo spirito che invece domi-
nava l’allocuzione pontificia di apertura del Concilio 336.
La risposta più articolata dei conservatori venne da mons. Ge-
raldo de Proença Sigaud, il quale affermò che i gravissimi errori
condannati da Pio XII, nell’enciclica Humani generis, erano ancora
vivi e, con il loro veleno, contaminavano la Chiesa 337. Il suo discor-
so fu pronunciato però in un’atmosfera di mormorio e di confu-
sione, di maniera che l’attenzione di molti Padri andò perduta 338.
Le sue parole vanno ricordate:

“Non ci è lecito, Padri del Concilio, ignorare o negare ciò, senza venir me-
no gravemente al nostro compito (...). Si tratta di questione di vita o di
morte della Chiesa Cattolica, e persino della stessa cristianità. Questi er-
rori ancora serpeggiano nella Chiesa; in particolar modo serpeggiano, ol-
tre agli errori in materia sociale e morale, gli errori riguardanti la Sacra
Scrittura e la Tradizione, ovvero la duplice fonte della Rivelazione.
In realtà, in campo biblico, si tratta, presso molti cattolici, della negazione
pratica del valore storico di quasi tutta la Sacra Scrittura. Si nega il valo-
re storico di tutto il Pentateuco, che, così dicono, in nessun modo ha Mo-

332
AS, I/3, pp. 48-51.
333
BORROMEO, Diario, 19 novembre 1962.
334
Cit. in G. RUGGIERI, Il primo conflitto dottrinale, cit., p. 280.
335
CONGAR, Diario, vol. I, p. 260. Il 22 novembre il Pontificio Istituto Biblico, in occa-
sione della tesi di dottorato di N. Lohfink, organizzò una manifestazione di soste-
gno in suo onore, che Congar interpretò sul suo diario come “una nuova vittoria del
cardinale Bea” (ivi, p. 258).
336
AS, I/3, pp. 48-51.
337
Ivi, AS, I/3, pp. 224-227.
338
MARANHÃO GALLIEZ, Diario, 20 novembre 1962.
1962: LA PRIMA SESSIONE 261

sé come autore. La creazione dell’uomo, il peccato nel paradiso terrestre, la


chiamata di Abramo, il diluvio vengono ridotti alla stregua di favole e leg-
gende. Le vicende del popolo ebraico nel deserto, dei patriarchi, di Mosé,
dei giudici, vengono considerate semplici epopee, del genere letterario che
viene chiamato ‘chansons de gestes’ e sono paragonate ad altre saghe, co-
me i ‘Nibelungenlied’, la ‘Chanson de Roland’, o il ‘Cid el Campeador’.
David è una figura dello stesso tipo quasi come Sigfried. (…) Le storie di
Giuditta, di Esther, di Ruth, di Tobia, vengono ridotte, con un senso di
commiserazione, al genere delle novelle pie e fantastiche, senza tenere in
nessun conto il magistero della Chiesa, dei Santi Padri e della Tradizione.
La storia del profeta Giona viene relegata tra le favole. Nei profeti non si
riconosce più nulla di storico. In questo immenso naufragio forse si salva-
no, come narrazioni storiche, solo la cronaca di Salomone e di Neemia.
Se si tratta del Nuovo Testamento, anche in questo non rimane quasi nul-
la di storico. I capitoli di San Luca sulla visione di Zaccaria, sull’An-
nunciazione, sulla Visitazione, sulla Natività di Cristo sono chiamati par-
ti poetiche ispirate da pietà e immaginazione. L’angelo Gabriele non sa-
rebbe mai stato fisicamente presente nella casa di Maria nella città di Na-
zareth. Si tratterebbe di pie narrazioni. Quello che san Matteo racconta
sul concepimento di Cristo e sui Magi non ottiene una sorte migliore. I
Magi non sono mai venuti a Bethlehem dall’Oriente e non hanno trovato
il Bambino con Maria, sua Madre. La famosa scena assolutamente fonda-
mentale per la fede cattolica della confessione di san Pietro a Cesarea di
Filippo in tutte le sue parti è stata creata per motivare il primato di Pie-
tro. Si dice che la resurrezione di Cristo deve essere considerata come una
apoteosi ellenistica.
Questi principi non vengono insegnati soltanto dagli studiosi non catto-
lici. Essi vengono predicati alle nostre monache nelle conferenze e nei con-
vegni. Essi vengono trasmessi ai nostri seminaristi come vera esegesi. Es-
si vengono presentati fedelmente nei periodici cattolici. Essi, in questa
stessa augusta città di Roma, vengono presentati con autorità a noi ve-
scovi, come gli ultimi frutti della vera ermeneutica.
Si tratta di una realtà che non ci è lecito ignorare. Tutto ciò dimostra l’ur-
gente necessità di un qualche atto magisteriale del Concilio che ponga fi-
ne a una così vasta e nefasta confusione della dottrina e delle anime” 339.

339
AS, I/3, pp. 225-226.
262 IL CONCILIO VATICANO II

Quella sera, padre Congar fu invitato a parlare al Collegio Ca-


pranica, dove alloggiava anche mons. Calabria, arcivescovo di Be-
nevento, che intervenne animatamente nel dibattito, accusando di
modernismo l’oratore. I giovani seminaristi applaudirono freneti-
camente Congar, ma i superiori del Collegio annullarono pruden-
temente la successiva conferenza, in cui avevano invitato Rahner 340.

c) “Il fattaccio” del 20 novembre

Quando si giunse al voto, il 20 novembre, avvenne quello che


mons. Borromeo definisce “il fattaccio” 341. Il Consiglio di Presidenza
decise di porre ai voti questa domanda: “Si deve interrompere la di-
scussione dello Schema dogmatico de fontibus Revelationis?” 342. La
confusione derivava dal fatto che chi era favorevole allo schema
avrebbe dovuto votare “non placet”, per continuare la discussione;
chi fosse stato contrario avrebbe dovuto votare “placet” per fare ri-
tirare il documento e archiviarlo. Molti di coloro che erano favore-
voli allo schema non avendo compreso il meccanismo, votarono
“placet”, non rendendosi conto, in tal modo, di esprimersi in senso
contrario. “Penso che chi leggerà queste notizie fra qualche anno – scri-
ve sul suo Diario mons. Borromeo – stenterà a credere che in un Con-
cilio ecumenico si sia ricorso a questi mezzucci, da parte di una fazione te-
nace e decisa a imporre il suo punto di vista con tutti i mezzi” 343. Nel-
l’assemblea c’era grande animazione. I cardinali lasciavano perfino
il loro posto e li si vedeva discutere con animosità 344. Malgrado il
tentativo di forzare la situazione, il risultato fu che su un totale di
2.209 padri, 1.368 di essi si pronunciarono a favore di una sospen-
sione, 822 (o 868) furono contrari, e 19 le schede nulle. Poiché si vo-
tava sul rinvio per far saltare lo schema occorreva la maggioranza
dei due terzi e ai progressisti mancavano 105 voti per raggiungerla.
In assenza di tale maggioranza secondo il regolamento, lo schema

340
Cfr. M. GUASCO, Una giornata di Vaticano II, cit., pp. 455-460.
341
BORROMEO, Diario, 20 novembre 1962.
342
AS, I/3, pp. 220-222.
343
BORROMEO, Diario, 20 novembre 1962.
344
Cfr. EDELBY, Diario, p. 114.
1962: LA PRIMA SESSIONE 263

doveva considerarsi approvato. Ancora una volta però, il regola-


mento fu forzato per mantenere la rotta prefissata.
Questa volta l’intervento decisivo fu di Giovanni XXIII. Il 21
novembre mons. Felici chiese di prendere la parola e annunciò ai
Padri conciliari che il Papa aveva deciso di far ritirare lo schema
De fontibus Revelationis e di farlo rielaborare da una Commissione
ad hoc, composta da membri di differenti tendenze, prima della ri-
presa del dibattito. Il segretario del card. Bea, padre Stjepan Sch-
midt, attesta come il Papa aveva incaricato Bea di “sondare” alcu-
ni cardinali e Bea, dopo averne parlato con Liénart e Frings, ave-
va consigliato al Papa il rinvio dello schema 345. Malgrado le per-
plessità del card. Cicognani, Giovanni XXIII volle manifestare con
questa decisione la fiducia che riponeva nel card. Bea e nel Segre-
tariato 346. Il Papa, commenta il padre Martina, “prendeva atto della
situazione imprevista che si era creata, rinunziava all’ingenua speranza
di chiudere l’assemblea entro Natale, si adattava al gioco, lasciava che le
forze innovatrici avessero libero svolgimento” 347. Si trattava comunque
di una decisione procedurale che violava apertamente il Regola-
mento del Concilio e che imprimeva ai lavori una direzione “ob-
bligata”. Essa aveva un’importante conseguenza psicologica: ve-
niva sancita dal Papa stesso la possibilità per i Padri conciliari di
respingere un schema proposto dalle Commissioni romane 348. “È
praticamente impossibile – osserva padre O’Malley – esagerare l’im-
portanza del voto del 20 novembre e dell’intervento papale del 21” 349. “Si
può affermare – secondo Robert Roquette – che con questo voto del 20
novembre si chiude l’epoca della controriforma e si apre un’epoca nuova,
imprevedibile nelle sue conseguenze, per la cristianità” 350. “Alla Salva-

345
Cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 458-459.
346
Cfr. S. SCHMIDT, Giovanni XXIII e il Segretario per l’Unione dei cristiani, cit., pp. 109-113.
347
G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Edizioni Studium, Roma
1977, p. 90.
348
WILDE, p. 22.
349
J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Concilio Vaticano II, cit. p. 153. Secondo lo
storico francese Etienne Fouilloux, questa data segnò “definitivamente la fine della fa-
se di reazione antimodernista” (Une Eglise en quête de liberté, cit., p. 310). “Il trionfo ot-
tenuto dalla maggioranza, grazie all’intervento pontificio, determinò l’orientamento del
Concilio e del suo futuro” (P. LEVILLAIN, La mécanique politique, cit., p. 260).
350
ROBERT ROQUETTE, La fin d’une chrétienté, Chroniques I, Cerf, Parigi 1968, p. 259.
264 IL CONCILIO VATICANO II

tor Mundi – l’istituto dove alloggiava un nutrito gruppo di Padri


conciliari – tutti sono nella gioia – annotava mons. Edelby – perché
bisogna dire che in questa pensione siamo tutti progressisti d’avanguar-
dia: americani, tedeschi, africani e orientali” 351.
L’effetto psicologico della “svolta” del 21 novembre fu enorme.
I progressisti, forti dell’appoggio del Papa, , pur costituendo una
minoranza, si sentirono per la prima volta “maggioranza” 352. Quel-
la sera, l’editore olandese Paul Brand si recò a trovare alla Grego-
riana Karl Rahner per proporgli la creazione di una rivista inter-
nazionale progressista. Il giorno dopo, Brand si assicurò l’appog-
gio di Küng e Schillebeeckx. Il “trio teologico” Rahner-Küng-Schil-
lebeeckx avrebbe costituito il nucleo della rivista “Concilium”, ap-
parsa a partire dal 1965 353.
Quattro giorni dopo, “L’Osservatore Romano” annunciò “una
Commissione mista” per la revisione dello schema (intitolato non
più sulle fonti della Rivelazione, ma sulla Rivelazione divina) che
sarebbe stata composta da membri della Commissione teologica,
del Segretariato per l’unità e da altri Padri e cardinali 354. Con ciò
veniva riconosciuta e istituzionalizzata la necessità di tener con-
to delle richieste ecumeniche anche in mancanza di una maggio-
ranza dei voti. La Commissione aveva due presidenti di opposte
tendenze: Ottaviani e Bea; 4 membri progressisti, i cardinali Lié-
nart, Frings, Meyer e Lefebvre e 2 conservatori, Ruffini e Browne.
La soluzione della Commisione mista aveva “il marchio di fabbrica
di Bea” 355.
Il 24 novembre, 19 cardinali, tra i quali Antoniutti, Bacci, Ma-
rella, Ottaviani, Ruffini, Siri, Traglia, manifestarono al Papa la loro
preoccupazione con una lettera in cui si chiedeva di “garantire la
Fede cattolica contro gli errori e le deviazioni sparsi un po’ dovunque” 356.

351
EDELBY, Diario, p. 117.
352
“Il risultato dello schema sulle fonti della rivelazione incoraggiò i progressisti e solidificò, tra
i partecipanti del Concilio, l’impressione che un cambiamento era possibile” (WILDE, p. 22).
353
KÜNG, La mia battaglia, pp. 354-355.
354
G. RUGGIERI, Il primo conflitto dottrinale, cit., pp. 290-291.
355
J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Concilio Vaticano II, cit., p. 152.
356
F. STABILE, Il cardinal Ruffini e il Vaticano II, cit., pp. 124-126.
1962: LA PRIMA SESSIONE 265

La sera del 27 novembre, nel corso della consueta riunione del-


l’Episcopato italiano alla Domus Mariae, il card. Siri si confidò
con mons. Borromeo. “Sono tre – disse, sollevando le mani con le
tre prime dita spiegate e le altre raccolte, come il Papa quando be-
nedice – sono tre, al massimo quattro, le persone che fanno il bello e il
brutto tempo al Concilio, con l’aiuto di una clientela e di una organiz-
zazione che purtroppo noi non abbiamo. Però io sto attento: parlo poco
in aula, ma in altre sedi parlo molto e mi faccio sentire, statene certi!” 357.
La voce del card Siri sarebbe stata purtroppo subissata da quella
dei teologi e dei Padri conciliari progressisti, amplificata dai
mass-media.
La Rassegna stampa internazionale dell’Ufficio stampa della San-
ta Sede (n. 561, 23 novembre 1962) riportava le ripercussioni dei
giornali di tutto il mondo sui dibattiti conciliari, rilevando alcuni
titoli come quelli del “Times” (I modernisti in azione al Concilio Vati-
cano) e del “New York Herald Tribune” (Il Vaticano II diviso sulla
teologia) del 15 novembre. Il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del
16 novembre parlava addirittura dei “dolori del parto” nei quali il
Concilio stava trovando la sua forma, mentre per il “Suddeutsche
Zeitung” dello stesso giorno si stavano avverando le previsioni se-
condo cui il Concilio avrebbe rappresentato un progresso decisivo
per la Chiesa.

10. Si discute sulla costituzione della Chiesa

a) I diversi schemi portati in aula

Il 23 novembre, giorno di apertura della XXV Congregazione


generale, fu una data decisiva. Quel giorno furono infatti distri-
buiti ai Padri conciliari tre diversi schemi, trattanti soggetti simili:
un corposo schema sulla Chiesa, preparato dalla Commissione
teologica, con in appendice un progetto di costituzione sulla Beata
Vergine Maria, uno schema contenente un capitolo intitolato De oe-

357
BORROMEO, Diario, 27 novembre 1962.
266 IL CONCILIO VATICANO II

cumenismo e uno schema sull’ecumenismo cattolico preparato dal


Segretariato per l’Unità dei Cristiani.
Lo schema della Commissione teologica, illustrato da mons.
Primo Principi 358, fu attaccato dalla maggior parte degli oratori in-
tervenuti, i quali proposero che i tre documenti fossero fusi in un
unico schema. I fautori del dialogo ecumenico erano in completo
disaccordo con il capitolo sull’ecumenismo preparato dalla Com-
missione teologica e per ottenerne la modifica, chiedevano che fos-
se integrato agli altri due schemi. La manovra riuscì. Nella venti-
settesima Congregazione generale, tenutasi il 26 novembre, il Se-
gretario generale annunciò che si sarebbero discussi di seguito lo
schema De unitate Ecclesiae, il De Ecclesia e quello De Beata Maria
Vergine 359, nella prospettiva di fondere i tre documenti in un unico
schema. La formazione di un gruppo includente il card. Ottaviani,
il card. Bea, presidente del Segretariato per l’Unità dei Cristiani e il
card Cicognani, per formulare un nuovo testo comune, avrebbe
inevitabilmente portato, come poi avvenne, a un compromesso, ri-
ducendo notevolmente l’impostazione del testo elaborato dalla
Commissione teologica 360.
Sotto la presidenza del card. Tisserant si iniziò a discutere sullo
schema De unitate ecclesiae, su cui vi erano opinioni discordanti. Le
ultime sei sedute, a partire dal 1° dicembre 1962, furono dedicate
alla discussione del progetto sulla Chiesa, redatto da una sotto-
commissione nel 1961 e trasmesso alla Commissione teologica cen-
trale nel 1962 361. Lo schema si componeva di 11 fitti capitoli: la na-
tura della Chiesa militante; i suoi membri e la sua necessità in or-
dine alla salvezza; l’episcopato come supremo grado del sacra-
mento dell’ordine; i vescovi residenziali; gli stati di perfezione
evangelica; i laici; il magistero ecclesiastico; l’autorità e l’obbe-
dienza nella Chiesa; le relazioni tra Chiesa e Stato; la necessità di
annunciare il Vangelo in tutto il mondo; l’ecumenismo.

358
AS, I/3, pp. 621-622. Primo Principi (1894-1975), ordinato nel 1918, arcivesco-
vo titolare di Tyana, economo e Segretario della Fabbrica di San Pietro dal 1952
al 1969.
359
AS, I/3, pp. 501-502.
360
WILTGEN, p. 53.
361
Cfr. A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit.
1962: LA PRIMA SESSIONE 267

Fin dal 15 ottobre, il card. Suenens aveva chiesto al teologo Gé-


rard Philips 362 di redigere un nuovo testo del De Ecclesia. Philips vi
aveva lavorato in segreto con la collaborazione di qualche teologo
di sua fiducia come Congar, Colombo 363, Rahner, Ratzinger, Sem-
melroth, McGrath 364, all’insaputa della Commissione teologica pre-
paratoria 365, ma il testo era giunto nelle mani del Segretario della
Commissione teologica Tromp, suscitandone l’irritazione. Era de-
cisamente sleale che un teologo lavorasse segretamente su un testo
alternativo a quello della stessa Commissione di cui egli era mem-
bro e consulente 366. Philips era consapevole della scorrettezza del-
l’iniziativa. “Il lavoro – annota – è per così dire segreto (…). Prevedo
che a un certo punto la faccenda si diffonderà e che sarò in una situazio-
ne molto scomoda. Ma non posso rifiutare questo servizio richiesto dal-
l’episcopato belga” 367.

362
Gérard Philips (1899-1972), sacerdote belga, professore di Dogmatica alla Facoltà
di Teologia di Lovanio, consulente della Commissione teologica preparatoria, no-
minato perito conciliare nel 1962, divenne Segretario aggiunto della Commissione
dottrinale del Concilio nel 1963. Su di lui, cfr. Actes et Acteurs, pp. 382-419; J. GROO-
TAERS, Le rôle de Mgr Philips à Vatican II. Quelques réflexions pour contribuer à l’étude du
dernier Concile, in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta. Mélanges théologiques. Hommage à
Gerard Philips, a cura di ALBERT DESCAMPS, Duculot, Gembloux 1970, pp. 343-380;
CESARE ANTONELLI, Le rôle de Mgr Gérard Philips dans la rédaction du chapitre VIII de
“Lumen Gentium”, in “Marianum”, n. 55 (1993), pp. 17-97.
363
Carlo Colombo (1909-1991), ordinato nel 1931, membro della Commissione teo-
logica preparatoria, perito del card. Montini (1962-1963), il 7 marzo 1964, partecipò
alle ultime due sessioni (1964-1965) come padre conciliare. Nel 1962 divenne pre-
side della Pontificia Facoltà teologica di Milano. Dal 1964 al 1985 fu vescovo ausi-
liare di Milano. Su di lui, GROOTAERS, I protagonisti, pp. 83-102; Actes et Acteurs, pp.
287-300; F. G. BRAMBILLA, Carlo Colombo e G.B. Montini alle sorgenti del concilio, in “La
Scuola Cattolica”, n. 130 (2002), pp. 221-260. Si veda anche ANTONIO RIMOLDI,
Mons. Carlo Colombo (1909-1991). Bibliografia, in “La Scuola Cattolica”, n. 119 (1991),
pp. 283-300.
364
Marcos Gregorio McGrath (1924-2000), americano, ordinato nel 1949, vescovo au-
siliare di Panama (1961), vescovo di Santiago de Veraguas (1964), arcivescovo di Pa-
nama dal 1969 al 1994. Membro della Commissione dottrinale. Cfr. GROOTAERS, I
protagonisti, pp. 185-194.
365
L. DECLERCK, Introduction à PHILIPS, Carnets conciliaires, pp. IX-X; Actes et Acteurs,
p. 382.
366
PHILIPS, Carnets conciliaires, pp. 82-86.
367
Ivi, p. 82.
268 IL CONCILIO VATICANO II

b) L’attacco a fondo contro lo schema della Commissione teologica

Quando, il 1° dicembre, il card. Ottaviani nella sua qualità di


presidente della Commissione teologica illustrò il documento in
aula, spiegò che era stato redatto da 36 esperti, a cui erano stati ag-
giunti 36 consultori, appartenenti a 15 diverse nazioni, per la mag-
gior parte professori di università o insegnanti nelle grandi istitu-
zioni ecclesiastiche internazionali. Per prevenire le critiche Otta-
viani dichiarò nel suo intervento: “La preoccupazione dei redattori
dello schema è stata di preparare un testo che fosse pastorale e biblico il
più possibile, non accademico, e scritto in una forma a tutti comprensibi-
le. Dico questo perché mi aspetto di sentire le solite litanie dei Padri con-
ciliari: è scolastico, non è ecumenico, non è pastorale, è negativo, e altre
cose simili. Anzi debbo farvi una rivelazione: prima che questo schema
fosse distribuito, udite, udite, prima che fosse reso pubblico, già veniva
diffuso uno schema sostitutivo! Quindi è già stato giudicato ante prae-
via merita. Non resta quindi che tacere perché la Scrittura insegna: ‘Ubi
non est auditus, noli effundere sermonem’” 368.
Fu quello che puntualmente accadde. “Il card. Liénart 369 – ricor-
da Edelby – ha sparato il primo colpo di cannone. Lo schema – dice – non
concepisce la Chiesa che come un’istituzione umana, mentre questa è un
mistero e il sacramento di tutte le nazioni. In particolare, ha chiesto che
non vengano identificate la Chiesa romana e il corpo mistico di Cristo. Al-
meno in cielo – dice – il corpo mistico e la Chiesa romana non si identifi-
cano fortunatamente” 370. Altri oratori rimproverarono al testo della
Commissione il carattere unilaterale, apologetico, giuridico, scola-
stico, non ecumenico, non sufficientemente “pastorale” 371. Il più
violento fu mons. De Smedt, che, “con voce e piglio tribunizio” 372, ac-
cusò lo schema di tre gravi colpe: trionfalismo romano, clericali-
smo, giuridicismo 373. “Di trionfalismo perché la Chiesa, in un punto, è
detta agmen, esercito; di clericalismo perché prima vi si parla dei Vesco-

368
AS, I/4, p. 121.
369
Ivi, pp. 126-127.
370
EDELBY, Diario, p. 131.
371
A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 154-166.
372
BORROMEO, Diario, 1 dicembre 1962.
373
AS, I/4, pp. 142-144.
1962: LA PRIMA SESSIONE 269

vi, poi dei Sacerdoti e poi dei laici; di giuridicismo non so più il perché –
riporta mons. Borromeo – so che è stata una cosa miserevole e che nep-
pure i francesi questa volta ebbero il coraggio di applaudire il focoso ora-
tore che invano si indugiò a raccogliere i fogli in attesa di una espulsione
che non venne” 374. “Non ci si sarebbe attesi di vedere attaccato il clerica-
lismo in un Concilio di vescovi!”, annota a sua volta Edelby 375.
Le accuse di mons. De Smedt riassumevano le parole d’ordine
contro la Curia romana destinate a riecheggiare innumerevoli vol-
te dentro e fuori l’aula conciliare. Dietro il vescovo belga, con toni
apparentemente più moderati, ma non meno decisi nella sostanza,
si mossero i cardinali Döpfner 376 e Léger 377, appoggiati dai cardina-
li Suenens 378, Frings 379, Bea 380 e Montini 381. Frings arrivò a sostene-
re che il testo non era “cattolico”, perché non citava i padri della
Chiesa e i teologi medievali, ma solo la teologia post-tridentina.
Anche se padre Tromp calcolò che il numero degli interventi in au-
la contrari allo schema fu inferiore a quello degli interventi favore-
voli (40 contro 55), il destino dello schema era ormai segnato 382.
Il 4 dicembre il card. Suenens presentò i principali temi di un
progetto alternativo, formulato negli ambienti dell’Università di
Lovanio e discusso da alcuni cardinali in un incontro ristretto al
Collegio belga di Roma. Il documento era articolato in due parti: la
prima, Ecclesia ad intra, doveva parlare della realtà interna della
Chiesa; la seconda, Ecclesia ad extra, del dialogo tra la Chiesa e il
mondo moderno. Il padre John F. Kobler ricorda come l’Università
di Lovanio fosse imbevuta, fin dagli anni Trenta, delle idee feno-
menologiche di Husserl e Heidegger e il progetto di Suenens, ret-
tore dal 1940 al 1945 di quella università, riecheggiava quelle idee
nella distinzione ad intra/ad extra, “che si riferisce non tanto alle cose
interne della mente nelle loro relazioni con le cose nel mondo esterno,

374
BORROMEO, Diario, 1 dicembre 1962.
375
EDELBY, Diario, p. 132.
376
AS, I/4, pp. 183-186.
377
Ivi, pp. 182-183.
378
Ivi, pp. 222-225.
379
Ivi, pp. 218-220.
380
Ivi, pp. 227-230.
381
Ivi, pp. 291-294.
382
A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., p. 159.
270 IL CONCILIO VATICANO II

quanto al modo in cui le idee si collocano nelle nostre coscienze” 383. Il


suggerimento di Suenens era destinato a divenire la base della co-
stituzione Lumen Gentium.
Il 5 dicembre il card. Montini fece il suo secondo intervento
conciliare per esprimere un pieno appoggio al progetto di Sue-
nens 384. Il punto più importante di questo discorso è il passaggio
in cui il cardinale di Milano domandava lo sviluppo di una nuo-
va teologia del corpo episcopale, riecheggiando temi cari al card.
Alfrink 385 e segnalandosi di fatto allo schieramento progressista
come “papabile” 386. “Io con tutto il mio gruppo, Suenens, Döpfner,
Liénart, Frings – ricorda il cardinale König – incontravamo spesso
l’arcivescovo di Milano, per uno scambio ed approfondimenti di idee: egli
era del tutto dalla nostra parte” 387.

11. Verso una nuova leadership del Concilio

Proseguiva intanto il lavoro di don Jedin e don Dossetti per mo-


dificare il regolamento del Concilio, al fine di indebolire il potere
della Curia romana. Il 25 novembre Giuseppe Alberigo, stretto col-
laboratore di Dossetti, portò a de Lubac il testo “Provvedimenti in
vista dell’intervento tra la prima e la seconda sessione del Concilio”. Il
progetto, che prevedeva la limitazione dei poteri dei presidenti di
commissione e l’istituzione di un organismo di coordinamento, nel
periodo tra una sessione e l’altra, fu presentato dal card. Döpfner
al Papa ai primi di dicembre. Fin da questi giorni si profilò la nuo-
va leadership del Concilio, che Grootaers chiama “i dicembristi”,
per aver essi preso la parola, sulla stessa linea d’onda, ai primi di
dicembre 1962: Montini, Suenens, Léger, Lercaro, Döpfner 388. Il 6
dicembre Giovanni XXIII dispose l’istituzione di una Commissio-

383
J. F. KOBLER, C.P. Where theologians the Engineers of Vatican II?, cit., p. 238.
384
AS, I/4, pp. 291-294. Su questo intervento, cfr. Actes et Acteurs, pp. 46-50.
385
Actes et Acteurs, pp. 48-49.
386
KÜNG, La mia battaglia, p. 355.
387
F. KÖNIG, Chiesa dove vai?, cit., pp. 24-25.
388
Actes et Acteurs, p. 304.
1962: LA PRIMA SESSIONE 271

ne incaricata di coordinare e dirigere i lavori del Concilio. Ne face-


vano parte i cardinali Confalonieri 389, Döpfner, Liénart, Spellman,
Suenens e Urbani; il cardinale Segretario di Stato Cicognani ebbe
la presidenza e mons. Felici la Segreteria. L’“Alleanza europea”,
sottolinea Wiltgen, vi era rappresentata da tre membri autorevoli
(Liénart, Döpfner, Suenens) che detenevano dunque il 50 per cen-
to dei voti. Un solo conservatore, ma moderato, Spellman, vi era
presente. Urbani e Confalonieri appartenevano al “Terzo Partito”.
Cicognani e Felici, conservatori moderati anch’essi, seguivano fe-
delmente le indicazioni pontificie. Döpfner e Suenens furono gli
unici a far parte di questo organo direttivo e strategico dall’inizio
alla fine del Concilio.
Oltre alla creazione della Commissione, Giovanni XXIII ap-
provò alcune norme che avrebbero dovuto regolare il Concilio tra
le due prime sessioni. La prima di queste norme stabiliva che in ta-
li periodi tutti gli schemi sarebbero stati “ancora una volta esamina-
ti e migliorati” dalle Commissioni conciliari.
Il nuovo regolamento entrò in vigore solo con Paolo VI, il 13
settembre 1963. In questo modo veniva ridimensionato il ruolo
delle Commissioni preparatorie e veniva creato un organismo che
interpretava più direttamente gli orientamenti che Papa Giovanni
intendeva imprimere al Concilio. Si trattava di una nuova sconfit-
ta della Curia 390.
Quello stesso 6 dicembre il card. Lercaro, in un discorso “pro-
grammatico”, affermò che il Vaticano II avrebbe dovuto essere so-
prattutto il Concilio della “Chiesa dei poveri”. “Questa è l’ora dei po-
veri – affermò l’arcivescovo di Bologna – dei milioni di poveri che so-
no su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della Chiesa madre dei po-
veri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nei poveri (…). Non
si tratta di qualunque tema, ma in un certo senso dell’unico tema di tut-

389
Carlo Confalonieri (1893-1986), ordinato nel 1916, vescovo dell’Aquila nel 1941,
era giunto a Roma come segretario personale di Pio XI. Creato cardinale nel 1958,
dal marzo 1961 sarà poi Segretario della Concistoriale. Su di lui, cfr. S. GAROFALO, Il
cardinale Carlo Confalonieri (1893-1986), Studium, Roma 1993.
390
WILTGEN, pp. 57-58.
272 IL CONCILIO VATICANO II

to il Vaticano” 391. Il tema della “Chiesa dei poveri”, destinato a tra-


sformarsi nella “opzione preferenziale” per i poveri, era ufficial-
mente lanciato.

12. Il ruolo dei mezzi di comunicazione sociale

Il Concilio Vaticano II fu, fin dal primo giorno, un “evento me-


diatico” 392. La televisione di Stato italiana ne diffuse le immagini,
che furono ritrasmesse dalle principali emittenti televisive dell’Eu-
ropa e del mondo. L’impatto di queste immagini sull’opinione
pubblica fu fortissimo. Osserva uno storico contemporaneo:

“Opinione pubblica è, filologicamente parlando, l’opinione dei filosofi e


dei colti che pensano in pubblico. E si può allora negare che questa non
abbia costituito un asse portante in un Concilio che è stato, come si può
desumere con prove inconfutabili da questi tomi, in larga parte un Con-
cilio di teologi, di periti, di Commissioni che hanno lavorato imponendo-
si non di rado ad una Assemblea assente, distratta, infine anche piuttosto
stanca nel senso più banale della parola? Oltre che nei documenti, la ri-
voluzione del Concilio è avvenuta su questo piano e ad essa hanno con-
corso, come era inevitabile, tanto coloro che l’auspicavano quanto coloro
che la combattevano. Con l’evento medesimo, che è incancellabile, si era
entrati in questa nuova fase e rispetto a questo evento rivoluzionario i do-
cumenti prodotti hanno la portata di tutte le leggi, che sono le statuizio-
ni più manipolabili, relativizzabili e trasformabili che esistano” 393.

Qualcosa di storico stava accadendo a Roma ed era necessario


esserne informati. Gli organi di stampa di tutto il mondo inviaro-
no i loro corrispondenti nella Città Eterna. Mons. Lefebvre raccon-
ta che quando egli chiese un giorno al card. Garrone come un

391
AS, I/4, pp. 327-300; testo italiano in G. LERCARO, Per la forza dello spirito, cit., pp.
114-115.
392
Così ad esempio, E. POULAT, La modernité à l’heure du Vatican II, in Le deuxième Con-
cile du Vatican, p. 821 (pp. 809-826).
393
P. POMBENI, Sulla “rivoluzione” del Vaticano II, in “Cristianesimo nella storia”, n. 23
(2002), p. 821 (pp. 813-822).
1962: LA PRIMA SESSIONE 273

“buon” concilio avesse potuto produrre frutti così cattivi, egli gli
rispose: “Non è il Concilio, sono i mezzi di comunicazione sociale” 394.
Il problema dell’informazione era stato affrontato dalla Santa
Sede nella fase preparatoria del Concilio. Il 30 ottobre 1959, nel cor-
so di una conferenza stampa alla quale assistettero più di cento
giornalisti, il card. Tardini annunciò che sarebbe stato creato un Uf-
ficio Stampa per fornire ai giornalisti “informazioni precise e di at-
tualità sulle diverse fasi del Concilio”. L’Ufficio fu inaugurato il 18
aprile 1961 e iniziò a svolgere il ruolo di organo della Commissio-
ne centrale preconciliare. Il 5 ottobre dell’anno successivo, sei gior-
ni prima dell’apertura dei lavori, il card. Cicognani, Segretario di
Stato, benediceva la nuova Sala Stampa del Concilio. Il 12 ottobre
fu annunciata la nomina di un prelato italiano, mons. Fausto Val-
lainc 395, a responsabile dell’Ufficio. Nel corso delle quattro sessio-
ni, vennero diffusi 176 bollettini di informazione e 141 monografie
in dieci lingue 396.
Il primo problema sul tappeto fu quello del segreto. Pio IX, nel
1869, aveva ordinato ai partecipanti al Concilio Vaticano I di os-
servare il più assoluto segreto sui lavori dell’assemblea. Nel Con-
cilio Vaticano II la questione del segreto fu trattata in tre articoli del
Regolamento interno del Concilio approvato dal Papa due mesi
prima della sua apertura. L’art. 26 imponeva il segreto ai Padri
conciliari, l’art. 27 lo estendeva agli esperti, ai funzionari e a tutti
coloro che lavoravano in Concilio, l’art. 18 agli osservatori non cat-
tolici delle chiese cristiane. Il segreto a cui erano tenuti i parteci-
panti al Concilio non era mantenuto però dalla Sala Stampa vati-
cana che nei suoi bollettini, ma soprattutto negli incontri informa-
li con i giornalisti, lasciava filtrare abbondanti informazioni sul-
l’andamento dei lavori.
Le gerarchie ecclesiastiche dei diversi Paesi organizzarono pre-
sto centri di informazione e di documentazione per i propri vesco-
vi. Jan Grootaers ha documentato il ruolo delle “Rencontres Inter-

394
Conversazione del 13 febbraio 1975, cit. in M. LEFEBVRE, Lo hanno detronizzato. Dal li-
beralismo all’apostasia. La tragedia conciliare, tr. it. Amicizia Cristiana, Chieti 2009, p. 9.
395
Angelo Fausto Vallainc (1916-1986), ordinato nel 1940, vescovo di Frigento nel
1970 e di Alba nel 1975.
396
WILTGEN, p. 30.
274 IL CONCILIO VATICANO II

nationales d’Informations Religieuses” (RIIR) 397, un “réseau” infor-


male di giornalisti nato nel 1961 a Parigi. Le RIIR svolsero un ruo-
lo non solo di “informazione”, ma di “cinghia di trasmissione” per tra-
smettere ai vertici ecclesiastici i “desiderata” delle strutture di base
e per “rassicurare” la periferia su quanto accadeva al “centro” 398.
L’attenzione verso i mezzi di comunicazione sociale era favo-
rita dal giovane Segretario di Giovanni XXIII, don Loris Capo-
villa. Direttore del giornale diocesano di Vicenza e corrispon-
dente di giornali cattolici, Capovilla contribuì alla creazione del-
l’immagine mediatica del “Papa buono”. Persuase il Papa e il Se-
gretario di Stato a far entrare le telecamere nell’appartamento
pontificio per narrare attraverso le immagini come Giovanni
XXIII trascorresse le sue giornate. L’innovazione suscitò forti
perplessità in Curia, ma rivelò anche il ruolo esercitato da Ca-
povilla, che aveva assunto l’inedita qualifica di “Segretario par-
ticolare” del Papa 399.
I giornali offrirono lo strumento ad alcuni corrispondenti di in-
fluenzare con le loro cronache l’andamento dei lavori e di condi-
zionare poi l’interpretazione storica dell’evento con i volumi che
raccolsero le loro cronache: il padre Antoine Wenger su “La Croix”,
Raniero La Valle 400 su “Avvenire d’Italia”, Henri Fesquet 401 su “Le
Monde”, il reverendo René Laurentin 402 su “Le Figaro”, il redento-
rista americano Francis X. Murphy, con lo pseudonimo di Xavier

397
Cfr. Actes et Acteurs, pp. 116-182.
398
Ivi, pp. 179-180.
399
Cfr. B. LAI, I segreti del Vaticano da Pio XII a papa Wojtyla, Laterza, Bari 1984, pp. 50-51.
400
Raniero La Valle (1931), fu direttore de “Il Popolo” fino a quando venne chiama-
to a dirigere il quotidiano cattolico bolognese “L’Avvenire d’Italia” (1961-1967). Do-
po essersi impegnato a favore dell’introduzione del divorzio in Italia, divenne, nel
1976, senatore della sinistra indipendente. Di lui cfr. Il coraggio del Concilio, Morcel-
liana, Brescia 1964 (2° periodo); Fedeltà al Concilio, Morcelliana, Brescia 1965 (3° pe-
riodo); Il Concilio nelle nostre mani, Morcelliana, Brescia 1966 (4° periodo).
401
Henri Fesquet (1916-1982), giornalista francese, inviato del quotidiano “Le Monde”.
402
René Laurentin (1917), teologo francese, ordinato nel 1946, professore all’Univer-
sità Cattolica di Angers e vice presidente della Società di Studi Francesi su Maria
(1962). Editorialista e corrispondente da Roma di “Le Figaro” durante il Concilio.
Di lui, cfr. L’enjeu du Concile, 5 voll., Seuil, Parigi 1962-1966, e Mémoires. Chemin vers
la Lumière, Fayard, Parigi 2005, in cui al Concilio sono dedicate le pagine 377-452, e
al post-Concilio le pagine 453-556.
1962: LA PRIMA SESSIONE 275

Rynne 403, sul “New Yorker Magazine”. Giancarlo Zizola racconta


come durante il Concilio “alcune persone forse nella stessa Segreteria
di Stato – monsignor Dell’Acqua, ad esempio, che agiva in alleanza con
monsignor Capovilla – operavano discretamente per favorire l’informa-
zione” 404. Fu grazie a questo discreto aiuto che Zizola, durante la
prima sessione, riuscì a costituire un’informazione alternativa a
quella ufficiale per la rete dei giornali cattolici italiani e per “Il
Messaggero” di Roma. Ogni giorno egli aveva appuntamento, nel-
le prime ore del pomeriggio, con mons. Giuseppe Carraro, vesco-
vo di Verona, il quale, grazie alle sue relazioni personali con il card.
Montini e con mons. Dell’Acqua, gli rilasciava ogni informazione
utile alla ricostruzione delle sedute. Con lo stesso metodo seguito
da mons. Carraro con Zizola, mons. Jean Villot 405, futuro Segretario
di Stato di Paolo VI, aveva ogni pomeriggio un incontro con i re-
dattori del giornale “La Croix”, Antoine Wenger e Jean Pélissier, ai
quali trasmetteva informazioni di prima mano anche su quanto ac-
cadeva nelle più riservate Commissioni 406. All’inizio della seconda
sessione, Paolo VI autorizzò Wenger ad assistere alle sedute del
Concilio, senza vincolarlo al segreto 407.
Tra coloro che esercitarono una maggiore influenza sul Concilio
va ricordato Henri Fesquet, corrispondente di “Le Monde”, che
fornì un’informazione pressoché quotidiana. “Molti – ricorda il pa-
dre Beozzo – preferivano la tribuna di “Le Monde” alla tribuna dell’Au-
la conciliare per trasmettere le loro idee, preoccupazioni o sogni” 408. Mons.

403
Xavier Rynne fu lo pseudonimo del redentorista Francis X. Murphy (1914-2001),
giornalista e docente all’Accademia alfonsiana, dove insegnò patristica e missiolo-
gia. Si veda XAVIER RYNNE, Letters from Vatican City, 5 voll., Farrar-Straus and Com-
pany, New York 1963-1965.
404
G. ZIZOLA, La Chiesa nei media, SEI, Torino 1996, p. 675.
405
Jean Villot (1905-1979), ordinato nel 1930, Segretario generale dell’episcopato
francese (1950) e vescovo ausiliare di Parigi (1954), arcivescovo coadiutore con di-
ritto di successione di Lione (1959). Partecipò al Concilio Vaticano II nelle funzioni
di Sottosegretario. Fu poi promosso arcivescovo di Lione e creato cardinale da Pao-
lo VI nel 1965. Nel 1969 divenne Segretario di Stato e l’anno successivo camerlengo
di Santa Romana Chiesa.
406
Cfr. A. WENGER, Le cardinal Villot (1905-1979), Desclée de Brouwer, Parigi 1989, pp.
37-38, pp. 41-42; G. ZIZOLA, La Chiesa nei media, cit., p. 676.
407
Cfr. R. AUBERT, Organizzazione e funzionamento dell’assemblea, cit., p. 226.
408
J. O. BEOZZO, op. cit., p. 135.
276 IL CONCILIO VATICANO II

Câmara, che lo considerava uno stretto amico, se ne serviva per


propagare le sue idee. “Gli racconto ciò che voglio che dica su “Le Mon-
de” – affermava –. Ci sono indiscrezioni che aiutano il Concilio. Talvolta
per aprire certe brecce basta una “manchette” nella stampa (…)” 409.
La grande stampa e le reti televisive informavano con tempe-
stività non solo il grande pubblico, ma anche molti membri del
Concilio, offrendo frequentemente, come osserva Alberigo, “una
chiave di lettura sul significato delle singole sedute, che spesso sfuggiva a
molti degli stessi Padri” 410. “E non a caso – ricorda Melloni – uno dei
primi atti del “moderatore” Lercaro sarà chiedere e ottenere dalla Segre-
teria di Stato che “L’Avvenire d’Italia”, il quotidiano bolognese diretto da
Raniero La Valle, venga inviato a tutti i Padri, abbonati d’ufficio a spese
delle casse vaticane per l’intero periodo” 411.
Il Concilio entrò, anche istituzionalmente, nel circuito del-
l’informazione, dopo la nomina, da parte di Paolo VI, di un “Co-
mitato stampa” 412. “Il Vaticano II – scrive Laurentin – aveva destato
l’informazione religiosa a uno stile nuovo, mentre apriva la Chiesa a una
relazione nuova con il mondo” 413.

13. “Dell’aria fresca nella Chiesa”

Giovanni XXIII celebrò il suo 81esimo anniversario il sabato 25


novembre 1962, al Collegio urbano di Propaganda Fide, celebran-
do la Messa per i 320 studenti che vi si erano riuniti da tutte le par-
ti del mondo. Nella sua allocuzione Papa Roncalli ribadì di essere
convinto che Dio guidava il Concilio.
Il mese di novembre era stato per lui particolarmente faticoso.
Oltre agli impegni ordinari, aveva dovuto ricevere in udienza tren-

409
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 877.
410
G. ALBERIGO, Transizione epocale, cit., p. 799.
411
A. MELLONI, L’inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesiologico, in SCV, vol.
III, p. 49 (pp. 19-132); NORMAN TANNER, La Chiesa nella società: Ecclesia ad extra, ivi,
vol. IV, p. 356 (pp. 355-357).
412
Cfr. ANNIBALE ZAMBARBIERI, I Concili del Vaticano, San Paolo, Cinisello Balsamo
1995, p. 260.
413
R. LAURENTIN, L’information au Concile, in Le deuxième Concile du Vatican, p. 363 (pp.
359-378).
1962: LA PRIMA SESSIONE 277

tasette conferenze episcopali, ovvero due al giorno, eccettuate le


domeniche. Pochi sapevano che egli era da tempo sotto stretto con-
trollo medico, a causa di frequenti emorragie. La notte successiva
al suo compleanno ebbe una nuova perdita di sangue che lo co-
strinse ad annullare le sue udienze. Restò a letto per otto giorni, ma
si rialzò per presiedere le cerimonie di chiusura della prima ses-
sione, l’8 dicembre.
Fin dall’ottobre 1962, si era tenuto in gran segreto in Vaticano
un consulto collegiale dei quattro maggiori chirurghi italiani, Pie-
tro Valdoni, Achille Dogliotti, Ettore Ruggieri e Paride Stefanini,
che dopo aver visitato il Papa avevano diagnosticato un cancro al-
lo stomaco e consigliato un’operazione 414. Ma il Papa rinviò l’in-
tervento chirurgico, continuando ad assistere alle cerimonie e a se-
guire i lavori delle Commissioni.
Il 5 dicembre a mezzogiorno, Giovanni XXIII apparve alla fine-
stra per recitare l’Angelus e numerosi padri lasciarono l’aula conci-
liare per poterlo vedere. Il Papa, affaticato, parlò brevemente e die-
de la benedizione.
Chenu, racconta che gli osservatori non cattolici, compresi
quelli di Mosca, nel corso di una conversazione a quattr’occhi,
avrebbero domandato a Giovanni XXIII che cosa si aspettasse dal
Concilio. Il Papa avrebbe allora aperto la finestra, dicendo: “Que-
sto, dell’aria fresca nella Chiesa” 415. L’episodio, che risale al mese di
ottobre, fu riferito anche da Hans Küng, quando, ai primi di di-
cembre, venne invitato a prendere la parola all’U.S.Bishops’ Press
Panel. Nel corso dell’incontro, senza fare il nome degli ospiti del
Papa, egli raccontò che, rivolgendosi a qualcuno che gli chiedeva
perché avesse convocato il Concilio, Giovanni XXIII sarebbe anda-
to alla finestra del suo appartamento, l’avrebbe aperta e avrebbe
detto: “Facciamo entrare un po’ di aria pura nella Chiesa”. Il teologo
Küng, non nascondendo il suo giubilo, affermò che ciò che fino ad
allora era stato il sogno di un piccolo gruppo di avanguardia, “si
era diffuso e, grazie al concilio, aveva penetrato tutta l’atmosfera della
Chiesa”. “Forse – aggiunse – il risultato più decisivo della prima sessio-

414
Cfr. B. LAI, I segreti del Vaticano, cit., pp. 68-74.
415
CHENU, Diario, p. 73.
278 IL CONCILIO VATICANO II

ne è il fatto che i vescovi hanno preso coscienza di essere essi, e non solo
la Curia romana, a costituire la Chiesa” 416.
Lo slogan della “ventata d’aria fresca” entrò da allora in circola-
zione, come simbolo dell’“aggiornamento” e “ringiovanimento” ne-
cessario della Chiesa. Per Giovanni XXIII, evidentemente, commen-
ta mons. Gherardini, fresca non era l’aria che, fin alla vigilia del Va-
ticano II, circolava nella Chiesa. “Si potrebbe addirittura pensare che per
lui – e certamente non solo per lui – fosse appesantita e irrespirabile” 417.

14. Bilancio della prima sessione

La prima sessione fu di gran lunga la più importante del Con-


cilio, perché impresse ad esso la direzione che avrebbe mantenuto
fino alla conclusione dei lavori. “Nelle prime tumultuose settimane –
osserva Melissa Wilde – mediante una combinazione di eventi-protesta
e di voti ottenuti a fatica, i progressisti riuscirono a cambiare il corso del
Concilio e a costruire una struttura organizzativa che sarebbe servita lo-
ro negli anni successivi” 418.
Il bilancio che il cardinal Siri tracciava dei lavori del primo pe-
riodo era inquietante:

“Il Concilio ha rivelato:


che si va delineando una conduzione vaga della Chiesa, rappresentata dal
gruppo di lingua tedesca e affini o vicini. Ciò anche aliquatenus orga-
nizzato. Ciò è un tentativo parzialissimo e del quale non si può affermare
con certezza che qualcuno l’abbia in mente come un piano chiaro e volu-
to, ma è nei fatti;
che ci sono rabbie contro la ragione, la teologia e il diritto. Si vede il fine
del kerigmalismo, che è spesso quello di eliminare Tradizione, Ecclesia etc.
Ciò è più inconscio che conscio, ma è aiutato dalla mancanza di intuizio-
ne di coloro che vogliono assolutamente adattare tutto il più possibile ai
protestanti, agli ortodossi etc.

416
WILTGEN, pp. 58-59.
417
B. GHERARDINI, Concilio Vaticano II, cit., p. 31.
418
WILDE, p. 17.
1962: LA PRIMA SESSIONE 279

che in moltissimi casi prevale la letteratura sulla teologia. Molte disserta-


zioni belle e anche vere appartengono alle considerazioni letterarie sul
dogma, non per sé al medesimo;
che si parla di una Theologia nova e che il concetto di questa, nonché lo
scopo, appaiono assai oscuri e forse pericolosi. Il termine Theologia no-
va è stato coniato da un vescovo belga in Concilio” 419.

Il clima che caratterizzò questa prima fase del dibattito è stato


definito da Melissa Wilde come di “effervescenza collettiva” 420. Con
questo termine il sociologo Durkheim definisce “lo stato in cui gli
uomini si trovano quando… credono di essere stati trasportati in un mon-
do completamente diverso da quello che avevano davanti ai loro occhi” 421.
Tale stato d’animo, in una prospettiva sociologica, è frutto delle re-
lazioni interpersonali di un vasto gruppo di persone che si trova-
no insieme per la prima volta e, in un clima di euforia, attribuisco-
no un senso, al loro “stare insieme”. “È uno stato euforico – spiega
ancora la Wilde –, il risultato di individui che si radunano insieme, in
questo caso, per venerare, discutere e impegnarsi a cambiare un’istituzio-
ne antica nella quale tutti credono ferventemente” 422.
Il fenomeno è ben conosciuto dagli storici. Ronald A. Knox ha
tracciato una penetrante storia dell’“entusiasmo religioso” 423 dimo-

419
SIRI, Diario, p. 383. Gli elementi di preoccupazione rilevati dal card. Siri in una lette-
ra a mons. Alberto Castelli, Segretario della Conferenza episcopale italiana, erano i se-
guenti: “1. Antipatia se non addirittura odio contro la Teologia. 2. Proposta di una teologia
nuova. 3. Proposta di un metodo nuovo per la teologia. 4. Prevalenza della dissertazione orato-
ria e letteraria paragonabile alle variazioni musicali del tema sopra la seria e razionale afferma-
zione e deduzione teologica. 5. L’innamoramento estatico per parole nuove e paradigmi nuovi
di ‘parole’ molto comuni ed antiche, ma assunte a rivelare qualcosa che viene anche ritenuto
‘nuovo’ e ‘migliore’. 6. La ‘collegialità’ nella Chiesa: sospetto che si miri a ridurre il primato e a
far scivolare nella costituzione sulla Chiesa gerarchica un principio democratico. 7. Il cogu-
bernium nella Chiesa. 8. Il solo magistero solenne. 9. La azione carismatica dello Spirito San-
to. 10. La Divina Tradizione sfuma. 11. La subordinazione della esegesi biblica ai dati o ai po-
stulati della critica razionalistica. 12. Tutto deve subordinarsi alla ‘pastorale’. 13. Tutto deve su-
bordinarsi al fine ‘ecumenico’. 14. Si deve rispondere alle aspettative del mondo” (Siri a Ca-
stelli, 1 gennaio 196[3], cit., in N. BUONASORTE, Siri. Tradizione e Novecento, cit., p. 291).
420
WILDE, pp. 22-26; J. A. COLEMAN, Vatican II as a social movement, cit., pp. 12-19.
421
WILDE, p. 24.
422
Ivi.
423
RONALD A. KNOX, Illuminati e carismatici. Una storia dell’entusiasmo religioso, tr. it. Il
Mulino, Bologna 1970.
280 IL CONCILIO VATICANO II

strando che il modello dell’“entusiasmo carismatico” è un modello ri-


corrente, fin dai tempi dell’eresia montanista. Le lettere di mons.
Helder Câmara sembrano offrire un tipico esempio di questo clima
di auto-esaltazione che, con poco discernimento spirituale, venne at-
tribuito all’intervento dello “Spirito Santo” 424. Non sorprende che
molti vescovi, intervistati dal padre Rocco Caporale durante il Con-
cilio, riconducessero allo “Spirito Santo” l’esperienza personale del-
la prima sessione 425. Fu in questa sessione che lo “spirito del Conci-
lio” iniziò a diventare un “luogo teologico”.

15. Maggioranza e minoranza in Concilio

Se ci si limitasse a una storia “ufficiale”, basata sui risultati dal-


le votazioni, si dovrebbe negare l’esistenza di una lotta interna al
Concilio tra opposti schieramenti, visto che i documenti conciliari
furono tutti approvati da una schiacciante maggioranza. In realtà,
nessun Concilio conobbe, più del Vaticano II, tensioni e conflitti tra
gruppi contrapposti. Gli storici pur non negando quest’evidenza,
la riconducono al contrasto tra una “maggioranza” progressista e
una “minoranza” conservatrice, destinata ad essere sconfitta.
In realtà lo scontro avvenne tra due minoranze che nel 1963 il
teologo di Lovanio Gerard Philips descriveva come due “tenden-
ze” contrapposte della filosofia e della teologia del ventesimo se-
colo 426: l’una più preoccupata di essere fedele agli enunciati tradi-
zionali, l’altra più attenta alla diffusione del messaggio presso l’uo-
mo contemporaneo 427.

424
Si veda anche MATTHEW P. LAWSON, The Holy Spirit as Conscience Collective, in “So-
ciology of Religion”, n. 4 (1999), pp. 341-361.
425
Il vescovo Miguel Miranda y Gomez, rappresentante del gruppo di mons. Câma-
ra per il Messico, confidava ad esempio a padre Caporale di essere convinto di non
essere l’unico a sentire la profonda presenza dello Spirito Santo.
426
Cfr. G. PHILIPS, Deux tendances de la philosophie contemporaine. En marge du II Conci-
le du Vatican, in “Nouvelle Revue Théologique”, n. 85, 3 (1963), pp. 225-238. Il pa-
dre Tromp scriveva a Philips nel maggio 1963: “Onestamente, trovo che questo (l’arti-
colo pubblicato nel marzo del 1963) non è che una caricatura a buon mercato, che mi ha
fatto una pessima impressione” (Lettera di Tromp, negli Archivi di mons. Philips, tra-
dotta dall’olandese da J. GROOTAERS, in Actes et Acteurs, p. 387).
427
G. PHILIPS, Deux tendances, cit., p. 9.
1962: LA PRIMA SESSIONE 281

La prima “tendenza” era però la posizione ufficiale del Magi-


stero della Chiesa, sempre ribadita fino al pontificato di Pio XII; la
seconda “tendenza” era quella eterodossa, ripetutamente censura-
ta e condannata dallo stesso Magistero ecclesiastico. Nell’articolo
di Philips, del quale, come osserva Melloni, sarebbe difficile sotto-
valutare l’importanza 428, le due posizioni venivano poste sullo
stesso piano con una netta preferenza dell’autore verso la seconda.
Esisteva inoltre un rapporto di forze, sostanzialmente pariteti-
co, delineato da alcune votazioni, come la prima sul De fontibus Re-
velationis. A partire da quel momento, contando su di una leggera
superiorità numerica, i progressisti iniziarono, però, ad indicare i
loro avversari come “minoranza”, fino a convincerli di esser tali.
Nel momento in cui i Padri conciliari “moderati”, che costituivano
la maggioranza, accettarono questa presentazione del contrasto in
atto, segnarono la propria sconfitta.
Prima dell’ultima sessione del Concilio, in una lettera a mons.
Carli, l’abbé Berto scriveva:

“Più studio ciò che è avvenuto nelle prime tre sessioni, più penso che nel
Concilio non vi sia una “maggioranza” convinta, ma una “maggioranza”
trascinata. Vi sono due “minoranze”, una romana e tomista in cui Sua
Eccellenza ha un rango eminente, l’altra antiromana e antitomista, non
molto più numerosa della prima, e qualitativamente di valore ben inferio-
re, ma per un doloroso permesso divino (quam incomprensibilia sunt
iudicia Eius!), è quella che trascina la “maggioranza” mediante i poten-
ti mezzi umani, la stampa importante, la radio, le influenze politiche e di-
plomatiche, il denaro” 429.

Secondo Melissa Wilde, il successo dei progressisti può essere


spiegato da un semplice fatto sociologico: “Poiché i progressisti co-
struirono un’organizzazione molto più ampia e flessibile delle loro con-
troparti conservatrici, riuscirono a sviluppare posizioni di compromesso
che la vasta maggioranza dei vescovi poteva sostenere” 430. La minoran-

428
Cfr. A. MELLONI, L’inizio del secondo periodo, cit., p. 80.
429
Lettera dell’abbé Berto a mons. Carli del 29 giugno 1965, in N. BUONASORTE, Per la
“pura, piena, integra fede cattolica”, cit., p. 141.
430
WILDE, p. 57.
282 IL CONCILIO VATICANO II

za progressista prevalse certamente grazie alla maggior forza del-


la propria organizzazione, ma questa derivava a sua volta dalla
maggior forza delle proprie convinzioni.

“Il successo di una minoranza – scrive uno studioso delle leggi delle
Rivoluzioni – risulta da una composizione di forze in virtù della quale i
più avveduti e più decisi riescono ad ottenere l’adesione dei meno fattivi e
della maggioranza. In un caso simile, i più appassionati hanno la meglio
sui meno appassionati, i più decisi sui meno arditi, gli audaci sui timidi,
gli energici sui deboli, i più perseveranti e i più tenaci su quelli che diva-
gano e tergiversano e in generale quelli che sanno ciò che vogliono e lo vo-
gliono fortemente su quelli che dubitano, cambiano idea, esitano e si ri-
prendono” 431.

La storia è sempre fatta da minoranze e ciò che prevale, nello


scontro, non è il numero ma la determinazione e l’intensità con cui
queste minoranze combattono le loro battaglie. La tendenza dei
moderati è sempre quella di cedere di fronte alle correnti estreme
della Rivoluzione, come accadde con i sostenitori di Kerensky nel-
la Rivoluzione russa e con i girondini in quella francese. “Messi di
fronte alla Rivoluzione e alla Contro-Rivoluzione, i rivoluzionari mode-
rati ondeggiano, in generale, cercando di ottenere conciliazioni assurde.
Ma, infine, favoriscono sistematicamente la prima contro la seconda” 432.
Le minoranze, quando si organizzano, lo fanno sempre nelle di-
screzione, e talvolta nel segreto. Non è improprio parlare, in questo
senso, di conciliaboli e cospirazioni. Oggi, per sminuire un’opera
storica, la si accusa di inclinare alla “teoria del complotto”. Ammette-
re l’esistenza di cospirazioni significa solo ammettere che la storia è
fatta dalla libertà degli uomini e non è frutto di uno Spirito, o di una
Ragione ad essa immanente, di cui gli uomini non sono che stru-
menti. In realtà non c’è grande evento storico, a cominciare dalle
due grandi Rivoluzioni dell’epoca moderna, la francese e la russa,
che non sia iniziata da “complotti”, più o meno riusciti. James H.

431
ANDRÉ JOUSSAIN, La loi des révolutions, Flammarion, Parigi 1950, p. 173.
432
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Una osservazione di San Giovanni Bosco illumina la causa del-
la Rivoluzione, in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 289 (pp. 285-292).
1962: LA PRIMA SESSIONE 283

Billington 433, che ha studiato le origini della “fede” rivoluzionaria


ha documentato le origini cospirative e occulte dei principali movi-
menti politici dell’Ottocento e del Novecento. Il Concilio Vaticano
II non sfuggì a questa legge storica, che ricollegava in maniera sot-
terranea il progressismo dei novatori al modernismo degli inizi del
secolo.
Il 3 dicembre mons. Borromeo annotava nel suo Diario:

“Siamo in pieno modernismo. Non il modernismo ingenuo, aperto, ag-


gressivo e battagliero dei tempi di Pio X, no. Il Modernismo d’oggi è più
sottile, più camuffato, più penetrante e più ipocrita. Non vuol sollevare
un’altra tempesta, vuole che tutta la Chiesa si ritrovi modernista senza
che se ne accorga. (…) La tradizione è ammessa anche dal novello moder-
nismo, ma conseguente alla Scrittura, originata dalla Scrittura e dal ma-
gistero, che in origine ebbe per oggetto solo la Scrittura. Il Cristo si salva
nel modernismo ma non è Cristo storico; è un Cristo che la coscienza re-
ligiosa ha elaborato perché una figura umana, ben delineata e concreta, fa-
cesse da supporto ad esperienze religiose che non potevano essere espres-
se nella loro ricchezza e intensità per via di puri concetti razionali ed
astratti. (…) Così il Modernismo d’oggi salva tutto il Cristianesimo, i
suoi dogmi e la sua organizzazione, ma lo svuota tutto e lo capovolge.
Non più una Religione che venga da Dio, ma una Religione che viene di-
rettamente dall’uomo e indirettamente dal divino che è nell’uomo” 434.

433
Cfr. JAMES H. BILLINGTON, Con il fuoco nella mente. Le origini della fede rivoluzionaria,
tr. it. Il Mulino, Bologna 1986.
434
BORROMEO, Diario, 3 dicembre 1962.
IV

1963: LA SECONDA SESSIONE

1. Da Giovanni XXIII a Paolo VI

a) Un bilancio del Concilio con padre Tucci

Il 6 gennaio 1963, festa dell’Epifania, Giovanni XXIII scrisse


una lunga lettera a tutti i Padri conciliari, ricordando loro che il
periodo compreso tra il 6 gennaio e l’8 settembre, data della ri-
presa dell’assise, doveva essere considerato come vera e propria
continuazione del lavoro che il Concilio avrebbe dovuto compie-
re. I Padri avevano dunque il sacro dovere non solo di essere pre-
senti alle prossime sedute nella Basilica Vaticana, ma di rimanere,
in questi otto mesi, strettamente uniti in spirito con i loro confra-
telli nell’episcopato.
L’attività delle Commissioni e delle sottocommissioni fu inten-
sa nel corso dei primi mesi del 1963. La Commissione di coordina-
mento che supervisionava e coordinava l’attività di tutte le Com-
missioni si riunì in Vaticano dal 21 al 27 gennaio, sotto la presi-
denza del Segretario di Stato, per dibattere il progetto di riorga-
nizzare lo schema De ecclesia del card. Suenens 1. La questione ec-
clesiologica era, secondo le parole del card. Döpfner, “la prima e la
più essenziale di tutto il Concilio” 2. Il 28 gennaio il Papa ricevette in
udienza i membri della Commissione, esprimendo loro la sua con-
vinzione che il Concilio, dopo avere avuto un così buono avvio, sa-

1
Cfr. AS, V/1, pp. 90-96.
2
Ivi, p. 100.
286 IL CONCILIO VATICANO II

rebbe stato rapidamente in grado di raggiungere tutti i propri


obiettivi.
Il 9 febbraio 1963 Giovanni XXIII, ricevette in udienza, per oltre
un’ora e mezza, il padre Roberto Tucci 3, un gesuita napoletano,
quarantenne, direttore dal 1959 della “Civiltà Cattolica”. Il collo-
quio, annotato dal padre Tucci nel suo diario, è rivelatore: il Papa
si mostra decisamente schierato contro gli ambienti curiali e quan-
do dice “che hanno la mentalità piccina, ristretta, perché non sono stati
mai fuori di Roma, fuori della ‘Ciociaria’”, l’allusione a Ottaviani è
evidente. Vale la pena riportare il lungo passo perché offre un bi-
lancio del Concilio tracciato da Giovanni XXIII pochi mesi prima
della morte.

“Mi dice che gli sembra essere ora la Civiltà Cattolica sulla buona strada,
più che nel passato, anche se non specifica le sue critiche per quel che ri-
guarda quel passato.
Mi parla dei suoi rapporti con i fratelli separati improntati a benignità
unita a prudenza e senza illusioni: non serve a nulla urtarli con afferma-
zioni di ritorno, anche se è vero che quella è l’unica via; con Fisher che in-
sisteva a parlargli di unione e di unità egli fece intendere di non seguire e
girò il discorso sull’imitazione di Cristo e temi simili, ed il presule angli-
cano se ne andò soddisfatto; così ieri con il presule metodista; a proposito
di quest’ultimo mi dice: ieri mi hanno dichiarato santo un’altra volta!
Ad esemplificare i buoni frutti del suo atteggiamento di semplicità e di
bontà che smonta gli avversari, mi comunica in via riservata la notizia
della scarcerazione del metropolita degli Ucraini: mons. Willebrands si è
recato in Russia a prelevarlo; è atteso a Roma in serata e risiederà per ora
nel monastero di Grottaferrata. Ci tiene a sottolineare che certi atteggia-
menti nazionalisti tipo quello dei vescovi ucraini al Concilio e special-
mente di mons. Bucko, non fanno che irritare; invece i buoni rapporti con
Krusciov hanno ottenuto questo passo distensivo; egli non ritiene che
Krusciov sia quel cinico che si dice; ha le sue gravi difficoltà interne ed è
animato da buoni propositi, anche se restando fermo su principi del tutto

3
Roberto Tucci (1921), gesuita, ordinato nel 1950, redattore (1959), poi direttore (1959-
1973) della “Civiltà Cattolica”, peritus conciliare, creato cardinale da Giovanni Paolo II
nel 2001. Pur avendo ricevuto la porpora, non fu mai consacrato vescovo.
1963: LA SECONDA SESSIONE 287

opposti ai nostri. Mi narra che dopo lo scambio di messaggi ed altri atti di


cortesia, un giornalista americano, che aveva avuto modo di discorrere a
lungo con Krusciov, gli aveva portato gli auguri personali suoi per Nata-
le e che Egli, per lo stesso tramite, aveva inviato i suoi, aggiungendo la ri-
chiesta di lasciare libero il metropolita. Il giornalista aveva raccontato di
aver sentito da Krusciov come egli fosse stato educato in una famiglia re-
ligiosa, ma poi si era alienato del tutto dalla religione perché, volendo la-
vorare per un rinnovamento sociale, aveva visto che i “popi” erano tutti
schiavi del regime zarista e dei ricchi. Alla proposta di migliorare i rap-
porti ufficiali con la S. Sede, il S. Padre aveva fatto rispondere che non vi
erano difficoltà purché si riconoscessero i diritti fondamentali della perso-
na umana e quindi anche quello della libertà religiosa. Da quel che ho ca-
pito alla cosa non è stato estraneo Kennedy, del quale il S. Padre dice di
comprendere la cautela di non mostrarsi troppo favorevole alla Chiesa cat-
tolica per non perdere l’appoggio dei protestanti; però i membri della sua
famiglia sono venuti dal Papa, ecc.
Per quanto riguarda il Concilio, egli dice di esserne pienamente soddi-
sfatto: il Concilio è veramente entrato in pieno nel suo lavoro soltanto nel-
le ultime settimane quando ha cominciato a comprendere le implicazioni
del messaggio di settembre e del discorso inaugurale dell’11 ottobre. Si è
lamentato però del fatto che il S. Ufficio crede di comandare lui; ha detto
di averli dovuto metter a posto; pur lodando le buone disposizioni d’ani-
mo del card. Ottaviani, di mons. Parente e di altri, dice che ancora non
hanno capito e che certi modi di agire non può assolutamente approvarli.
Critica fortemente il P. Tromp, che crede di dover insegnare ai vescovi e
si esprime con poca stima di essi; osserva che purtroppo alcuni eminen-
ti Padri conciliari, perché hanno insegnato la teologia, credono di dover
fare dei testi conciliari dei manuali di teologia; riafferma che non si trat-
ta di dirimere questioni dottrinali poiché non gli pare vengano oggi agi-
tate questioni la cui soluzione è necessaria per evitare gravi danni alla
fede della Chiesa. Fa una forte critica anche dell’intervento di Vagnoz-
zi, bravo giovane, ma di cui già gli era nota l’improntitudine, poiché es-
so era fuori posto e per il contenuto e soprattutto per la maniera: egli sa
che però in quel caso non era farina del suo sacco, poiché glielo avevano
preparato.
Nella prima sessione egli ha preferito non intervenire ai dibattiti per la-
sciare ai Padri la libertà di discussione e la possibilità di trovare la giusta
288 IL CONCILIO VATICANO II

via da sé; d’altra parte egli, non avendo la necessaria competenza nelle va-
rie questioni, poteva con qualche suo intervento creare più disturbo che
aiuto; i vescovi dovevano imparare da sé e lo hanno fatto.
Per quanto riguarda la lettera recente ai vescovi 4, si è mostrato fiero di
averla scritta tutta lui stesso; avendogli chiesto se intendeva colpire il mo-
vimento liturgico quando parla di novae praecationes ecc. ha detto che
questo era del tutto assente dalla sua mente; egli pensava alle buone suo-
re che vogliono diffondere nuove forme di preghiere, alle Madonne di qual-
che luogo la cui devozione si vuole estendere in tutta la Chiesa e simili. A
proposito degli ambienti curiali, dice che hanno la mentalità piccina, ri-
stretta, perché non sono stati mai fuori di Roma, fuori della ‘Ciociaria’:
non riescono a veder le cose della Chiesa in una prospettiva veramente
universale.
Mi chiede poi se ho qualcosa da comunicare o da osservare sull’atteggia-
mento del Papa, su quello che si dice (si rende conto che anche nella mia
comunità ci saranno alcuni che non condividono la sua linea...!). parlo
allora del problema di una più abbondante informazione sul Concilio per
aiutare i giornalisti, per non confermare il complesso di inferiorità dei
giornali cattolici ecc. Mi domanda se Vallainc non va bene: gli dico che
non dipende da lui, ma da mons. Felici. Al che egli osserva che mons. Fe-
lici è un gran bravuomo, ma che ha la mentalità ristretta; sa il latino ed
anche l’italiano e più o meno è tutto; è vero che non si è messo lui a quel
posto poiché fu proposto da Tardini senza che egli sapesse nulla; è obbe-
diente e buon lavoratore. Ma il Papa lo ha salvato (con aggiungergli i
cinque sottosegretari) e mons. Felici lo sa e gliene è grato. Comprende il
problema, ma non entra nei dettagli. Dice solo che per contenere la stam-
pa cattiva bisognerebbe che Manzini 5 su “L’Osservatore Romano” la
mettesse subito alla gogna quando dà interpretazioni maligne ecc.: così
ognuno va a finire in quella rubrica se sgarra. Ne ha già parlato con
Manzini” 6.

4
Cfr. Docum. intersessione 1963, n. 2: copia consegnata da S.E. mons. Dell’Acqua di-
versi giorni prima della sua pubblicazione su “L’Osservatore Romano”.
5
Raimondo Manzini (1901-1988), giornalista italiano, membro del consiglio nazio-
nale della Democrazia cristiana; diresse l’“Avvenire d’Italia” (1927-1959) e “L’Os-
servatore Romano” (1960-1978). Tra i suoi libri: Fedeli infedeli (1979); L’unità dei cat-
tolici (1982); I sentieri dell’assoluto (1986).
6
TUCCI, Diario, 9 febbraio 1963, pp. 44-47.
1963: LA SECONDA SESSIONE 289

Giovanni XXIII che, da qualche settimana, si trovava in “eserci-


zio di pazienza col fratello corpo”, il 24 gennaio ricevette i cardinali
Suenens e Döpfner: “due belle e forti colonne della S. Chiesa” 7, annotò
sulla sua agenda.

b) Gli ultimi mesi di vita di Giovanni XXIII

Il 1° marzo 1963 la Fondazione internazionale Balzan, grazie


anche all’appoggio dei membri sovietici, decise di assegnare a
Giovanni XXIII il “Premio per la Pace”. Qualche giorno più tardi,
il 7 marzo, il Papa concesse un’udienza personale ad Alexej Adju-
bei, direttore dell’“Izvestia”, ma soprattutto genero di Krusciov e
suo privato ambasciatore. Questo incontro non portò ad alcuna
conclusione sostanziale, ma ebbe un forte impatto mediatico in
Italia e nel mondo. Pochi giorni dopo l’udienza, il segretario del
Pci, Palmiro Togliatti, in piena campagna elettorale, tenne a Ber-
gamo un discorso in cui propose ufficialmente una collaborazio-
ne tra cattolici e comunisti, attaccando il card. Ottaviani come
uno “sconfitto” del Concilio. Nello stesso discorso, Togliatti pro-
clamò “la certezza che la trasformazione socialista della società, per cui
combattiamo, non è soltanto una necessità, ma un compito che impegna,
con la certezza del successo, la parte migliore dell’umanità”, e riven-
dicò perfino la “dittatura del proletariato” come “blocco di tutte le
classi lavoratrici, del braccio, della mente”, a cui “spetta dirigere tutta
la vita sociale” 8.
Il 9 aprile 1963 Giovanni XXIII firmò la sua ottava ed ultima en-
ciclica, Pacem in Terris 9. I temi di fondo erano l’ascesa delle classi la-
voratrici, il riconoscimento del ruolo della donna nella società con-
temporanea, la centralità della pace nel Magistero della Chiesa.

7
GIOVANNI XXIII, Pater Amabilis. Agende del Pontefice, p. 490.
8
Cfr. “Rinascita”, n. 13 (1963), ora in PALMIRO TOGLIATTI, Opere (1956-1964), vol. VI,
a cura di LUCIANO GRUPPI, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 698 (pp. 697-707).
9
Testo in AAS, 55 (1963), pp. 257-304. Per una ricostruzione della sua genesi, cfr. A.
MELLONI, Pacem in terris. Storia dell’ultima enciclica di Papa Giovanni, Laterza, Roma-
Bari 2010 (in particolare sul ruolo di mons. Pietro Pavan nella sua elaborazione,
pp. 41-52).
290 IL CONCILIO VATICANO II

Nei paragrafi 83-85 dell’enciclica erano enunciati tre principi di


fondo:
1) Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, anche
quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità
in campo morale-religioso; 2) non si possono identificare false dot-
trine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e
dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali,
culturali e politiche, anche se questi movimenti sono originati da
quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazio-
ne; 3) può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordi-
ne pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece
lo sia o lo possa divenire domani.
Questi tre principi costituiranno la chiave interpretativa di tut-
to quel fenomeno politico-diplomatico noto come l’Ostpolitik della
Santa Sede 10 e, più in generale, dell’“apertura” al comunismo.
L’enciclica, apparsa l’11 aprile 1963, fu presentata all’opinione
pubblica come base per una futura collaborazione tra movimenti
di ispirazione cristiana e movimenti di ispirazione socialista. Ad
essa si richiameranno molti teorici della convergenza tra cattolici e
comunisti, dal filosofo francese Roger Garaudy all’ispiratore del
“compromesso storico” italiano Franco Rodano 11.
In Italia, le elezioni del 28 aprile 1963 videro un consistente au-
mento del Partito comunista e un altrettanto significativo regresso
della Democrazia cristiana. La mattina del 1° maggio alcune centi-
naia di comunisti, reduci dall’infiammato comizio di piazza San
Giovanni, in cui si era celebrata, con la “festa del lavoro”, la vitto-
ria elettorale, si spinsero fino a piazza San Pietro, agitando ban-
diere rosse e levando braccia col pugno chiuso. Rivolgendosi ver-
so le finestre del Palazzo Apostolico gridavano a gran voce: “Viva
Giovanni XXIII! Viva il Papa della pace!”.

10
GIOVANNI BARBERINI, L’Ostpolitik della Santa Sede. Un dialogo lungo e faticoso, Il Mu-
lino, Bologna 2007, p. 73.
11
Su Roger Garaudy (1913), cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Garaudy esboça nova aproxi-
mação e A manobra Garaudy, in “Folha de S. Paulo” (8 e 15 marzo 1970), tr. it. L’insi-
dia neocomunista di Roger Garaudy, in “Cristianità”, n. 2 (1973), pp. 9-12; su Franco
Rodano (1920-1983), cfr. A. DEL NOCE, Il cattolico comunista, Rusconi, Milano 1981.
1963: LA SECONDA SESSIONE 291

Per i comunisti, Papa Giovanni era il “Papa buono” e il Vatica-


no II era identificato con il “Concilio della pace” 12. Fin dal 1960, il
Cremlino aveva lanciato la dottrina della “coesistenza pacifica”, co-
me piano strategico per tutto il periodo di transizione su scala mon-
diale dal capitalismo al socialismo 13. In realtà, come affermava Kru-
sciov in un celebre discorso del 1° gennaio 1961, la politica di coe-
sistenza pacifica, per quanto riguardava il suo contenuto sociale,
era una forma di intensa lotta economica, politica ed ideologica del
proletariato contro le forze aggressive dell’imperialismo in campo
internazionale. Il comunismo operava attraverso il binomio paura-
simpatia, facendo leva sull’aspirazione universale alla pace. Senza
rinunziare alla sua azione intimidatoria e al proselitismo esplicito,
utilizzava nuove tecniche di persuasione implicita, attraverso l’uso
di espressioni come “pace”, “coesistenza pacifica”, “dialogo” 14.
La salute del Papa, intanto, andava deteriorandosi rapida-
mente. Il 10 e l’11 maggio, il Premio Balzan fu solennemente con-
ferito al Papa in Vaticano e al Quirinale. Giovanni XXIII le ricor-
da nelle sue agende come “due giornate storiche e benefiche nella vi-
cenda della mia vita e del servizio della S. Sede e dell’Italia” 15. Due
giorni dopo, a New York, il cardinale Suenens consegnò al Segre-
tario generale delle Nazioni Unite, U-Thant, una copia della Pa-
cem in Terris firmata di proprio pugno dal Pontefice. Il Cremlino,
con un’iniziativa senza precedenti, fece pubblicare la traduzione
dell’enciclica in russo, con la firma del Papa in cirillico 16. Il 20
maggio Giovanni XXIII scrisse un’altra lunga lettera a tutti i ve-
scovi del mondo, annunciando loro che avrebbe fatto gli esercizi
spirituali tra il 25 maggio e il 2 giugno, durante la novena della
Pentecoste. Sopravvenne invece, in quei giorni, la fine. Il 28 mag-

12
R. BURIGANA, Il Pci. La Chiesa negli anni del Concilio Vaticano II, in Vatican in Moscow,
pp. 202-212.
13
RICHARD W. ALLEN, Pace o coesistenza pacifica?, tr. it. Il Borghese, Milano 1966, pp.
118 e sgg. Si veda anche GIORGIO CAREDDA, Le politiche della distensione. 1959-1972,
Carocci, Roma 2008.
14
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Baldeação ideológica inarvertida e diálogo, in “Catolici-
smo”, nn. 178-179 (1965), pp. 2-12 (tr. it. Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, Ed.
L’Alfiere, Napoli 1970).
15
GIOVANNI XXIII, Pater Amabilis. Agende del Pontefice, p. 519.
16
A. MELLONI, Pacem in terris. Storia dell’ultima enciclica di Papa Giovanni, cit., p. 85.
292 IL CONCILIO VATICANO II

gio, “L’Osservatore Romano” uscì con un titolo a tutta pagina su


tre righe: “Il Papa invita a pregare perché si adempia il volere di Dio,
sia esso il sacrificio come il prolungamento della sua vita, per il felice
esito del Concilio, per la Chiesa santa e per la pace”. Nella notte tra
giovedì 30 e venerdì 31 maggio le condizioni del Pontefice si ag-
gravarono. Il venerdì, mons. Capovilla annunciò al Papa: “Santo
Padre, mantengo la parola: devo fare per voi quello che voi avete fatto
per monsignor Radini alla fine della sua vita. L’ora è giunta. Il Signore
vi chiama” 17.
La sera di lunedì 3 giugno 1963, alle 19,45, Giovanni XXIII morì,
dopo quattro anni e sette mesi di Pontificato.
Le ultime ore del Papa furono seguite dai notiziari radiofonici
e i suoi funerali, il 6 giugno, furono trasmessi per televisione in tut-
to il mondo. Il 7 giugno Giovanni XXIII venne tumulato con una
cerimonia notturna nelle Grotte vaticane. Fu quindi stabilito che i
“Novendiali”, le solenni cerimonie funebri che durano 9 giorni, sa-
rebbero dovuti terminare il 17 giugno in modo tale da poter con-
vocare gli ottanta cardinali che avrebbero eletto il nuovo Pontefice.
I mass-media contribuirono a creare quell’immagine del “Papa buo-
no”, “profeta disarmato” della “nuova Pentecoste” 18, che la pubblica-
zione delle agende di Giovanni XXIII ha in parte sfatato. Giovanni
XXIII non fu l’uomo “semplice” descritto da alcuni agiografi, ma
una personalità complessa, talvolta, come osserva il padre Roquet-
te, “sconcertante” 19. Roquette, che per primo ha parlato di un “mi-
stero Roncalli”, sostiene che nella sua “saggezza contadina” egli con-
ducesse una “politica di equilibrio”. Un giorno a Parigi, fumando un
sigaro dopo un pasto, definì in questi termini la sua politica allo

17
L. F. CAPOVILLA, Ite Missa est, Edizioni Messaggero, Padova 1983, p. 218.
18
Cfr. ID., Giovanni XXIII: profeta della nuova Pentecoste, in Il Vaticano II nella Chiesa ita-
liana, Memoria e Profezia, Assisi 1985; JULES GRITTI, in Jean XXIII dans l’opinion pu-
blique, Editions du Centurion, Parigi 1967, riporta i titoli iperbolici riservati dalla
stampa francese a Giovanni XXIII all’indomani della sua morte: Le Pape du siècle
(“France soir”, 5 giugno), Le Pape le plus humain peut-être de l’histoire (“Le Figaro”, 4
giugno), La plus grande transformation accomplie dans le catholicisme depuis le Concile de
Trente (“Express”, 30 maggio). Sul tema del “Papa buono”, si veda l’articolo di I.
COLOSIO o.p., Discussioni sulla “bontà” del Papa Giovanni XXIII, in “Rassegna di Asce-
tica e Mistica”, n. 3 (1975), pp. 235-248.
19
ROBERT ROQUETTE, Le mystère Roncalli, in “Etudes”, n. 318 (1963), pp. 4-18.
1963: LA SECONDA SESSIONE 293

stesso Roquette: “Eh! Comme vous dites en français: demi-tour à droi-


te, demi-tour à gauche” 20.
La figura di Giovanni XXIII entrava comunque nella storia co-
me indissolubilmente legata al Concilio Vaticano II, che aveva pen-
sato, aperto e guidato, nella prima sessione, quella che si sarebbe
rivelata come la decisiva.

2. Giovanni Battista Montini sul soglio pontificio

a) Il Conclave del 1963

Le grandi manovre iniziarono immediatamente, nei corridoi va-


ticani e nelle cancellerie europee. Nei giorni immediatamente prece-
denti il Conclave, ricorda Giulio Andreotti, su invito del cardinale
Frings, si tenne in una villa di Grottaferrata una riunione a cui par-
teciparono numerosi cardinali 21. La villa apparteneva all’avvocato
Umberto Ortolani, stretto collaboratore del card. Giacomo Lercaro,
successivamente coinvolto nelle vicende della loggia massonica P2
e nel fallimento del Banco Ambrosiano. Lo stesso Ortolani, in un’in-
tervista ad Andrea Tornielli, confermò l’incontro, svoltosi il 18 giu-
gno, tra numerosi e illustri cardinali, tra cui i cardinali Frings, Sue-
nens, König, Alfrink, Léger e Liénart. Non c’erano dubbi, a detta di
Ortolani, su chi fosse il candidato emergente: “L’arcivescovo di Mila-
no, Giovanni Battista Montini, anche se alcuni avrebbero preferito che ve-
nisse eletto l’organizzatore dell’incontro, cioè il cardinale Lercaro (…)” 22.
La riunione di Grottaferrata era stata promossa dal card. Lerca-
ro, che si presentava come l’erede dello spirito “giovanneo”. Quel-
lo stesso 18 giugno egli scriveva alla sua “famiglia”, il gruppo di
ragazzi bisognosi che aiutava: “Io spero ardentemente e ritengo con
probabilità di tornare tra voi; con un po’ minore probabilità di quello che

20
Ivi, pp. 12-13.
21
GIULIO ANDREOTTI, A ogni morte di Papa. I Papi che ho conosciuto, Rizzoli, Milano
1980, p. 106.
22
Colazioni a casa Ortolani, intervista di A. TORNIELLI con Umberto Ortolani, in “30
Giorni”, n. 3 (1993), pp. 41-42.
294 IL CONCILIO VATICANO II

non pensassi partendo da Bologna. Vedo che voi pure avete avvertito il gi-
ro che vanno prendendo le voci” 23. In realtà, l’incontro permise a Mon-
tini di assicurarsi l’appoggio del blocco centro-europeo 24 e dello
stesso Lercaro, che incontrò a quattr’occhi al convento di Santa Pri-
scilla, stabilendo con lui una convergenza di intenti 25. Il 19 giugno,
giorno dell’apertura del Conclave, il “Corriere della Sera” affidava
ad Indro Montanelli un ritratto del cardinale di Milano dal signifi-
cativo titolo: “Montini figura centrale del conclave”.
La sera del 19 giugno 1963, ottanta cardinali entrarono in Con-
clave. Mancavano all’appello l’ungherese Mindszenty, sempre
chiuso nell’ambasciata americana a Budapest, e il novantenne
ecuadoriano Carlos María de la Torre 26. Per essere eletti occorreva-
no cinquantaquattro voti. Il Conclave durò dalla sera del 19 giugno
alla tarda mattinata del 21 giugno. König ricorda le parole rassicu-
ranti che Montini gli rivolse in quei giorni: “Chiunque sarà il Papa,
non potrà non continuare sulla strada di Giovanni” 27.
Lo scontro in Conclave, secondo il card. Testa 28, fu intenso 29. Il
card. Ottaviani si batté fino all’ultimo contro Montini, puntando sul
card. Ildebrando Antoniutti 30, un friulano di 64 anni dalla grande
esperienza diplomatica, che avrebbe rappresentato una interruzione
della linea “giovannea”. Le testimonianze sfuggite al segreto parlano
anche di un rifiuto di Siri a rendersi disponibile per l’elezione, spo-

23
Cit. in A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., pp. 326-327.
24
Cfr. G. ZIZOLA, Il Conclave, cit., p. 235; B. LAI, Il Papa non eletto, cit., p. 201.
25
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 327.
26
Carlos María Javier de la Torre (1873-1968), ecuadoriano, ordinato nel 1896, ve-
scovo di Loja nel 1912, di Bolivar nel 1919 e Guayaquil nel 1926, arcivescovo di Qui-
to dal 1933 al 1967, creato cardinale nel 1953.
27
F. KÖNIG, Chiesa dove vai?, cit., pp. 27-81.
28
Gustavo Testa (1886-1969), ordinato nel 1910, arcivescovo titolare di Amasea nel
1934, creato cardinale nel 1959, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orienta-
li nel 1967.
29
Cfr. A. RICCARDI, Il “partito romano”. Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana
da Pio XII a Paolo VI, Morcelliana, Brescia 2007, p. 297; G. ZIZOLA, Il Conclave, cit., p.
240, che attribuisce al card. Testa la frase: “C’è stata lotta. Sono successe cose orrende.
Sento il bisogno di chiedere il permesso al Papa per liberarmene” (ivi).
30
Ildebrando Antoniutti (1898-1974), ordinato nel 1920, arcivescovo titolare di Sin-
nada (1937), fu incaricato di Affari presso il Governo Nazionale presieduto dal ge-
nerale Franco, e poi nunzio in Spagna dal 1953 al 1962. Creato cardinale nel marzo
1962, prefetto per la Congregazione dei Religiosi nel 1963.
1963: LA SECONDA SESSIONE 295

stando così i consensi per la sua persona verso l’arcivescovo di Mila-


no: “Non volli oppormi a Montini per il bene della Chiesa”, confidò l’arci-
vescovo di Genova a Benny Lai 31. Da parte loro i cardinali progressi-
sti cercarono di concentrare i loro suffragi su di un unico candidato,
e quando i voti di Lercaro iniziarono a confluire su Montini, furono
gli stessi conservatori a cedere, nella speranza di condizionare il nuo-
vo Papa. Secondo una ricostruzione del “Corriere della Sera”, sareb-
be stato il cardinale Vicario di Roma, Clemente Micara, a tranquilliz-
zare alcuni elettori di parte conservatrice, ponendosi alla testa dei
“montiniani” 32. Al sesto scrutinio la mattina del 21 giugno, i cardina-
li salutarono con un lungo applauso la lettura del nome di Giovanni
Battista Montini sulla cinquantaquattresima scheda scrutinata. L’ele-
zione avvenne, sembra, di stretta misura con 57 voti contro 22 tenaci
oppositori 33. Toccò al cardinale protodiacono Alfredo Ottaviani pro-
clamare dalla loggia esterna di San Pietro il nome del nuovo eletto.
L’arcivescovo di Milano assunse il nome di Paolo VI, un nome,
come disse nel suo primo messaggio e ribadì il 30 giugno 1963,
giorno della sua incoronazione, che costituiva un programma per il
suo pontificato 34. Lo stesso giorno dell’elezione, il nuovo Papa con-
fermò il card. Amleto Cicognani nella carica di Segretario di Stato.
Se il cancelliere tedesco Adenauer, in un colloquio con un di-
plomatico francese, aveva paventato l’elezione di Montini come
“un vero pericolo per l’Europa” 35, la sua ascesa al pontificato fu salu-

31
B. LAI, Siri, il culto della verità, in “Il Giornale”, 3 maggio 1989. Benny Lai ricorda
anche una conversazione di Siri con il suo confessore, il padre Damaso da Celle, in
cui il cardinale di Genova avrebbe ammesso la sua rinuncia a concorrere al soglio
di Pietro con un illuminante commento: “Adesso però mi comporterei diversamente” (B.
LAI, Dal diario di Padre Damaso, “Mneme Ammentos”, vol. I, n. 1 (2005), pp. 126 ss., cit.
in P. GHEDA, Siri e Montini, cit., pp. 76-77).
32
Cfr. FABRIZIO DE SANTIS, Come elessero Montini, in “Corriere della Sera”, 18 giugno
1978.
33
Cfr. G. ZIZOLA, Il Conclave, cit., p. 241.
34
PAOLO VI, Messaggi alla famiglia umana del 22 giugno 1963, in Insegnamenti, vol.
I, pp. 11-12; Discorso In die coronationis Papae del 30 giugno 1963, ivi, pp. 24-25.
35
Cit. in A. MELLONI, Chiese sorelle, diplomazie nemiche. Il Vaticano II a Mosca fra propa-
ganda, Ostpolitik ed ecumenismo, in Vatican II in Moscow, p. 12. Il generale de Gaulle
aveva espresso invece le sue speranze e assicurato l’appoggio per l’elezione di
Montini (cfr. A. WENGER, Les trois Rome. L’Eglise des années Soixante, Desclée de
Brouwer, Parigi 1991, pp. 125-127).
296 IL CONCILIO VATICANO II

tata con soddisfazione dai comunisti italiani ed europei 36, che la in-
terpretarono come segno della volontà dei cardinali di continuare
l’azione di Papa Giovanni. Lo stesso segretario del Pci Togliatti in-
tervenne su “Rinascita” per mostrare gli elementi di continuità tra
Paolo VI e Giovanni XXIII 37. Anche il Cremlino, secondo lo storico
russo Victor Gaiduk che ha lavorato sui documenti di archivio so-
vietici, attendeva con preoccupazione la scelta del successore di
Giovanni XXIII e auspicava l’elezione di un “uomo del dialogo” co-
me Montini 38.
Nella elezione di Paolo VI un ruolo decisivo fu giocato dal so-
stituto mons. Angelo Dell’Acqua. Mons. Loris Capovilla, che ne
ha spesso parlato, lo confermò ad Andrea Tornielli. “Il sostituto si
trovava in una posizione privilegiata, poteva avvicinare tutti i cardina-
li. Ha convinto gli spagnoli dicendo loro che il cardinale Montini era un
amico della Spagna, al contrario di come lo avevano dipinto. Ha tran-
quillizzato quanti ritenevano che l’arcivescovo di Milano fosse un “fran-
cese”, imbevuto esclusivamente della cultura di quel grande paese. Ha
contribuito ad abbattere alcuni pregiudizi che erano stati costruiti sulla
figura di Montini, il quale durante gli anni milanesi è stato costante-
mente e duramente attaccato da certa stampa che lo presentava come un
prelato di sinistra” 39.

b) L’elezione di Paolo VI

Giovanni Battista Montini veniva da una famiglia della bor-


ghesia di Brescia. Il padre, Giorgio, era stato direttore del quoti-
diano cattolico locale e deputato del partito Popolare 40. Battista si
era formato, negli anni del liceo, alla scuola degli Oratoriani di S.

36
Cfr. R. BURIGANA, Il Partito comunista italiano e la Chiesa negli anni del Concilio Vati-
cano II, in Vatican II in Moscow, pp. 213-214.
37
Cfr. P. TOGLIATTI, Da Giovanni a Paolo, in “Rinascita”, n. 26 (1963), pp. 1-2; ora in P.
TOGLIATTI, Opere (1956-1964), vol. VI, cit., pp. 715-718.
38
Cfr. V. GAIDUK, op. cit., pp. 28-29.
39
Cit. in A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 333.
40
Cfr. N. VIAN, Le radici bresciane di G. B. Montini, in Paul VI et la modernité, cit., pp.
16-31.
1963: LA SECONDA SESSIONE 297

Maria della Pace, dove due figure incisero soprattutto nella sua vi-
ta, i padri Giulio Bevilacqua e Paolo Caresana. Quest’ultimo fu,
dal 1913, suo direttore di coscienza e confessore. Il 19 maggio
1920, il giovane Montini ricevette l’ordinazione sacerdotale, ad
appena ventidue anni, senza aver seguito gli studi teologici in se-
minario, ma da studente esterno, a causa delle sue fragili condi-
zioni di salute. Venuto a Roma, fu chiamato presso la Segreteria di
Stato e nominato assistente ecclesiastico della Fuci (Federazione
Universitaria Cattolici Italiani), un’attività che lo impegnò inten-
samente, ma da cui fu rimosso per l’impostazione data alla for-
mazione dei giovani, in particolare per la sua “innovativa” conce-
zione liturgica e per una spiccata tendenza alla “politicizzazione”
dei giovani 41. La politica rimase, fino alla morte, la grande passio-
ne di Montini, legato fin da giovane al Partito Popolare e poi alla
Democrazia cristiana, di cui seguiva attentamente le vicende. Al-
loggiava allora in un appartamento all’Aventino, dove ospitò il
suo maestro, padre Giulio Bevilacqua, “esiliato” da Brescia per i
continui contrasti con il fascismo locale 42. Fu questo, probabil-
mente, un momento di particolare importanza nella biografia
montiniana per il diretto contatto con la forte personalità del reli-
gioso oratoriano 43.
Grazie all’appoggio del Segretario di Stato Pacelli, nel dicem-
bre 1937 Montini venne promosso Sostituto della Segreteria di
Stato, succedendo a mons. Tardini, che lo stesso giorno venne no-
minato Segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiasti-
ci. Non aveva avuto esperienza diplomatica, salvo un breve pe-
riodo di sei mesi passato alla nunziatura di Varsavia, ma lavorò
pressoché ininterrottamente alla Segreteria di Stato, fino al 1954,
quando Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano, ma senza il cap-
pello cardinalizio.

41
Si veda la lettera riservata inviata il 19 marzo 1933 al vescovo di Brescia, mons.
Gaggia, in cui mons. Montini si giustifica dalle accuse a lui rivolte, in A. FAPPANI-
FRANCO MOLINARI, Giovanni Battista Montini giovane, Marietti, Casale Monferrato
1979, pp. 285-291.
42
Cfr. A. FAPPANI, Padre Giulio Bevilacqua, cit., pp. 171-193.
43
RENATO MORO, Giovanni Battista Montini e il fascismo, in Paul VI et la modernité, cit.,
p. 51 (pp. 41-65).
298 IL CONCILIO VATICANO II

La promozione fu di fatto una “rimozione” di cui non sono


ancora chiari i motivi 44. Per alcuni mons. Montini fu coinvolto nel
tradimento di padre Alighiero Tondi 45. Secondo il card. Siri, fu in-
viato a Milano in seguito al giudizio negativo di una Commissio-
ne segreta istituita da Pio XII che aveva perso la fiducia nel So-
stituto, a causa della sua protezione al presidente della Gioventù
di Azione Cattolica, Mario Rossi, che si batteva per una Chiesa
impegnata a sinistra 46. Il cardinale Casaroli confidò a sua volta ad
Andrea Tornielli che i rapporti del Papa con il suo principale col-
laboratore “vennero a deteriorarsi sostanzialmente per contatti avuti
da Montini con ambienti della sinistra politica italiana all’insaputa di
Pio XII” 47. Dall’epistolario di mons. Montini con don Giuseppe
De Luca, si può evincere, d’altra parte, che il Sostituto, attraver-
so il sacerdote romano, teneva rapporti con i cattolici comunisti e
alcuni settori del Pci 48. Andrea Riccardi ricorda invece che alcune
nomine di vescovi in Lituania, avvenute “in maniera se non miste-
riosa almeno fumosa”, avevano dato adito a voci su una infedeltà
di Montini nelle questioni sovietiche 49. Queste voci risalgono a
un “rapporto segreto” del colonnello francese Claude Arnould,
cattolico ed anticomunista, a cui era stato chiesto di indagare sul
passaggio di informazioni riservate dalla Segreteria di Stato ai
governi comunisti dell’Est. Arnould aveva rintracciato le respon-
sabilità della fuga di notizie in mons. Montini e nel suo entoura-
ge, mettendo in allarme il Vaticano. Andrea Tornielli ha portato
alla luce alcuni documenti che sembrano provare l’attendibilità
di Arnould, il quale godeva della totale amicizia e fiducia del

44
Cfr. A. RICCARDI, Il potere del Papa da Pio XII a Paolo VI, Laterza, Bari 1988, pp. 68-
75; Y. CHIRON, Paul VI. Le Pape écartelé, Perrin, Parigi, pp. 142 e sgg; A. TORNIELLI,
Paolo VI, cit., pp. 169-183.
45
Alighiero Tondi (1908-1984), gesuita, lasciò la Compagnia di Gesù nel 1952 per
aderire al Partito comunista. Sposò civilmente la dirigente comunista Carmen Zan-
ti e lavorò nella Germania comunista ma, dopo una nuova crisi di coscienza, alla
morte della moglie nel 1978, fu reintegrato nel sacerdozio.
46
B. LAY, Il Papa non eletto, cit., p. 100.
47
A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 172.
48
Cfr. GIUSEPPE DE LUCA-G. B. MONTINI, Carteggio (1930-1962), a cura di PAOLO VIAN,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1992, pp. 183-184.
49
Cfr. A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., p. 195; ID., Il “partito romano”, cit., pp. 287-
288. Sulla rimozione di Montini, cfr. ivi, pp. 282-293.
1963: LA SECONDA SESSIONE 299

card. Tisserant ed era introdotto ai massimi livelli dello Stato e


della Chiesa francese 50.
Di certo, il nuovo Papa era stato imbevuto della cultura france-
se 51 e nutriva simpatia verso le nuove correnti progressiste, in par-
ticolare per l’opera di Jacques Maritain 52. Che Montini “cercasse
nuovi varchi sulle frontiere dell’Est, magari solo come ipotesi di lavoro”,
ha osservato Riccardi, “appare probabile”, perché “la lettura maritai-
niana del comunismo e le condizioni dei cattolici dell’Est, lo spingevano
a provare” 53. Nella fase preparatoria del Concilio, l’arcivescovo
Montini aveva partecipato alla Commissione centrale preparatoria
schierandosi sempre con i progressisti, ma in forma moderata.
Nella prefazione che fece nel 1954 al libro di mons. Pierre Veuil-
lot, Notre Sacerdoce, l’arcivescovo di Milano dipinge, come è stato
notato, se stesso 54. Il sacerdote – scriveva mons. Montini – “dev’es-
sere immensamente abile”: “un artista, un operaio specializzato, un me-
dico indispensabile, un iniziato alle sottili e profonde fenomenologie dello
spirito: uomo di studio, uomo di parola, uomo di gusto, uomo di tatto, di
sensibilità, di finezza, di forza. Quanto lavoro su se stesso deve il Sacer-
dote esercitare per abilitarsi a lavorare su gli altri! (…) Bisogna ch’egli in-
tenda le sirene che vengono dalle officine, i templi della tecnica di cui vi-
ve e palpita il mondo moderno; tocca a lui a rifarsi missionario se vuole
che il cristianesimo resti e ritorni ad essere fermento vivo della civiltà” 55.

50
L’attendibilità di Arnould è stata negata, tra gli altri, da padre Robert Graham (G.
B. Montini substitute secretary of State, cit., pp. 81-82), ma Tornielli cita alcuni passi di
un carteggio intercorso tra il card. Tisserant e il colonnello, contenuto nell’archivio
dell’Associazione Amis Card. Tisserant, da cui “appare in tutta evidenza che Arnould
era introdotto ai livelli più alti dello Stato francese (accompagna Tisserant a una colazione
all’Eliseo dal presidente Auriol) e della Chiesa” (A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., pp. 174-177
e p. 643). I primi a parlare del “rapporto Arnould” sono stati GEORGE ROCHE e PHI-
LIPPE DE SAINT-GERMAIN (Pie XII devant l’histoire, Laffont, Parigi 1992, p. 440). Mons.
Roche, come il colonnello Arnould, era strettamente legato al card. Tisserant.
51
Cfr. JACQUES PRÉVOTAT, Les sources françaises dans la formation intellectuelle de G. B.
Montini (1919-1963), in Paul VI et la modernité, cit., pp. 101-127. Prévotat, che ha com-
piuto uno spoglio della biblioteca privata del futuro Papa a Brescia, conferma una
schiacciante presenza di libri francesi tra le opere consultate da Montini.
52
Cfr. P. CHENAUX, Paul VI et Maritain, cit.; AA.VV., Montini e Maritain tra religione e
cultura, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000.
53
A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., p. 160.
54
Y. CHIRON, Paul VI, cit., pp. 150-151.
55
G. B. MONTINI, Lettera-prefazione a P. VEUILLOT, Notre sacerdoce. Documents pontifi-
caux de Pie X à nos jours, Fleurus, Parigi 1954, pp. XIV, VIII.
300 IL CONCILIO VATICANO II

Roncalli era un uomo accorto, ma pur avendo passato la mag-


gior parte della sua vita in diplomazia, non aveva mai acquisito le
finezze del diplomatico. Montini, al contrario, pur avendo viag-
giato molto poco, era un diplomatico o, ancor di più, un politico di
natura. La politica, prima ancora che in Segreteria di Stato, l’aveva
respirata in famiglia ed era rimasta la sua grande passione. Carlo
Falconi divulgò l’idea dell’“amletismo” di Montini, ma l’amleti-
smo non era irrisoluzione: si trattava di una ambivalenza che
avrebbe permesso al cardinale di Milano asceso al pontificato di
meglio raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva.
Il 22 giugno Paolo VI rivolse il suo primo radiomessaggio
all’“intera famiglia umana” 56 e annunciò che la parte preminente
del proprio pontificato sarebbe stata dedicata alla continuazione
del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il giorno successivo, domeni-
ca, il Papa recitò l’Angelus in piazza San Pietro e, appena termi-
nata la preghiera, chiamò accanto a lui, alla finestra del Palazzo
apostolico, il card. Suenens, presentandolo alla folla 57. Si trattava
di un privilegio senza precedenti che confermava lo stretto rap-
porto che da tempo esisteva tra il Pontefice neo-eletto e il Primate
del Belgio 58.
Durante quella settimana Paolo VI volle prendere visione del
testo del segreto di Fatima, custodito in Vaticano e, non trovando-
lo, si fece spiegare da mons. Capovilla, Segretario di Giovanni
XXIII, dove fosse conservato. La busta conteneva una nota nella
quale si affermava che Giovanni XXIII aveva visto il testo e lascia-
va ad altri l’incombenza di pubblicarlo. “Il 28 giugno – ricorda
mons. Capovilla – papa Paolo mi chiama e mi chiede chi ha dettato le ri-
ghe sulla busta. Spiego che è stato il Papa stesso a voler segnalare le per-
sone che hanno conosciuto il testo. “Papa Giovanni non le ha detto al-
tro?” mi domanda Paolo VI, “No, Santo Padre, ha lasciato ad altri la de-

56
Messaggio del 22 giugno 1963, in PAOLO VI, Insegnamenti, vol. I (1963), pp. 3-12.
57
Cfr. “L’Osservatore Romano”, 24-25 giugno e 29 giugno 1963. Il Papa era assistito
da due segretari particolari, don Pasquale Macchi, che lo aveva seguito dall’arcive-
scovado di Milano, e l’irlandese John Magee, che rivedeva anche i discorsi del Pa-
pa in lingua inglese.
58
Cfr. L. DECLERCK-T. OSAER, Les relations entre le cardinal Montini-Paul VI et le cardi-
nal Suenens, cit.
1963: LA SECONDA SESSIONE 301

cisione”. “Anch’io farò altrettanto”, risponde papa Montini. Si richiude


la busta e non se ne è più parlato” 59.
La cerimonia dell’incoronazione di Paolo VI avvenne sul sagra-
to di San Pietro, il 30 giugno 1963. Quando il Papa, dopo la Messa
Pontificale, depose la mitra e assunse la tiara, risuonò, per l’ultima
volta dopo molti secoli, la formula solenne: “Ricevi la tiara adorna di
tre corone, e sappi di essere il padre dei principi e dei re, il reggitore del
mondo, il Vicario in terra del Salvatore Nostro Gesù Cristo, al quale sia
onore e gloria nei secoli dei secoli”. Tra le prime decisioni di Paolo VI
fu quella di abolire, con la tiara, la stessa cerimonia dell’incorona-
zione Pontificia, che era anteriore al IX secolo, come risulta dal-
l’Ordo Romanus IX dell’epoca di Leone III (795-816). La cerimonia
aveva inizio con un solenne corteo che dal Palazzo Apostolico ac-
compagnava il neo-eletto, seduto sulla sedia gestatoria, fino all’Al-
tare della Confessione di San Pietro. Lungo il percorso della Basi-
lica, un cerimoniere pontificio andava a inginocchiarsi per tre vol-
te davanti al Papa, portando un bastone d’argento, sulla cui cima
ardeva un batuffolo di stoppa, recitando le parole “Sancte Pater, sic
transit gloria mundi”, pronunciate la prima volta a voce bassa, poi a
voce più forte ed infine ad alta voce. Mentre il coro cantava l’anti-
co inno Corona aurea super caput eius, il cardinale protodiacono im-
poneva al Papa il triregno, pronunciando in latino la formula del-
l’incoronazione. Nel 1978 con i flabelli, il baldacchino e la sedia ge-
statoria, scomparve anche la tiara, al posto della quale il cardinale
protodiacono imporrà al neo-eletto il sacro pallio.

c) La svolta a sinistra della politica italiana

Poche settimane prima di morire, Papa Roncalli aveva inviato


mons. Casaroli a Budapest e a Praga, in missione esplorativa. Pao-
lo VI, il 16 luglio 1963, convocò una riunione della Congregazione
per gli Affari Ecclesiastici Straordinari per discutere se, “nonostan-
te le molteplici e gravissime difficoltà, confermate dai contatti iniziali,

59
Intervista in video di G. De Carli con mons. L. Capovilla, cit. in A. TORNIELLI, Pao-
lo VI, cit., p. 343.
302 IL CONCILIO VATICANO II

convenga nell’interesse della Chiesa e delle anime proseguire nelle tratta-


tive riservatamente incominciate” 60. Il parere favorevole unanime dei
cardinali membri della Commissione confermò l’orientamento di
Paolo VI, e mons. Casaroli incontrò, nella più assoluta segretezza,
gli ambasciatori slovacco e ungherese accreditandoli presso il go-
verno italiano il 6 e 12 settembre e l’1 e 5 ottobre.
Anche per quanto riguarda la politica italiana, di cui conosceva
personalmente i protagonisti fin dagli anni della gioventù, Papa
Montini volle che la “cabina di regia” rimanesse nelle mani della Se-
greteria di Stato 61. Il presidente americano Kennedy, che il 2 luglio
1963, in visita a Roma, era stato ricevuto in udienza dal Papa, inco-
raggiò la “apertura a sinistra”. Un documento della CIA di quello
stesso mese di luglio affermava che “non esistono alternative” all’al-
leanza tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista, condotta da
Aldo Moro, che aveva, oltretutto, la benedizione pontificia: “Il nuo-
vo papa, Montini, è un liberal che dovrebbe spalleggiare Moro” 62.
Il 23 novembre 1963 Moro formò il primo governo di centro-si-
nistra. Poche ore prima, a Dallas, era stato assassinato il presiden-
te Kennedy. Per ben due volte, tra gli anni 1963 e 1964, durante il
Concilio, sarà proprio l’azione specifica di Papa Montini, attraver-
so due interventi mirati su “L’Osservatore Romano”, a salvare, in
extremis, l’unità della Dc, consentendo a Moro di proseguire nello
sviluppo della sua strategia politica 63.
La “svolta a sinistra” della Democrazia cristiana chiude, e in
certo senso rovescia, l’epoca aperta dalle elezioni del 18 aprile
1948. Se quelle elezioni avevano rappresentato il netto rifiuto del
comunismo da parte dell’Italia cattolica, l’apertura a sinistra avviò
un processo di “cooperazione” con i comunisti, che avrebbe pro-
gressivamente condotto al progetto, poi fallito, di “compromesso
storico”. La fine dell’anticomunismo democristiano e l’avvio dei

60
G. BARBERINI, L’Ostpolitik della Santa Sede, cit., p. 96.
61
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 350.
62
ENNIO CARRETTO, La Cia: anche il papa per il centrosinistra, in “Corriere della Sera”,
19 settembre 2003.
63
Cfr. PIER PAOLO SALERI, Moro e la trasfigurazione del dossettismo, in G. BAGET BOZZO,
P. P. SALERI, Giuseppe Dossetti. La costituzione come ideologia politica, Edizioni Ares, Mi-
lano 2009, p. 155.
1963: LA SECONDA SESSIONE 303

governi di centro-sinistra non fu però un fatto solamente politico


ma anche culturale, perché segnò un nuovo modo di considerare i
rapporti fra il Cristianesimo e il mondo moderno, sotto la spinta
delle ideologie secolarizzatrici che si andavano diffondendo in
quegli anni 64. Paolo VI volle incoraggiare questa “svolta”, fin dal-
l’inizio del suo pontificato.

3. L’intersessione del 1963

a) La conferenza di Fulda e padre Rahner

Le conferenze episcopali nazionali rappresentavano i luoghi or-


ganizzati in cui ci si preparava al dibattito sugli schemi conciliari.
Negli Stati Uniti circa 125 vescovi si riunirono a Chicago agli
inizi del mese di agosto del 1963. Nello stesso periodo si riunirono
a Buenos Aires i vescovi argentini. La Conferenza episcopale ita-
liana si riunì a Roma il 27-28 agosto, quella spagnola a Madrid a
metà settembre.
I vescovi di lingua tedesca e i loro teologi si riunirono da parte
loro a Monaco di Baviera il 5 e il 6 febbraio, per esaminare in par-
ticolare lo schema De ecclesia. Ma la riunione che suscitò la mag-
giore attenzione fu quella che si tenne a Fulda, in Germania, dal 26
al 29 agosto 65, per iniziativa dei tre cardinali di lingua tedesca
Döpfner, Frings e König. Il 9 luglio Döpfner inviò a tutti i vescovi
di Germania e di Austria una lettera di invito all’assemblea, conte-
nente un programma di discussione sui dodici schemi approvati
da Giovanni XXIII il 22 aprile. L’invito era esteso ai Padri concilia-
ri della Svizzera e dei Paesi scandinavi.
L’incontro, presieduto dal card. Frings, si aprì il 26 agosto alla
presenza di 4 cardinali e di 70 arcivescovi e vescovi rappresentan-
ti dieci Paesi. Oltre ad Austria, Germania, Svizzera e Paesi scandi-

64
Cfr. R. DE MATTEI, Il centro che ci portò a sinistra, Edizioni Fiducia, Roma 1994; MAR-
CO INVERNIZZI, Il 18 aprile 1948: un voto dimenticato. Le conseguenze di un’anomalia, in
Dal “centrismo al Sessantotto”, a cura di M. INVERNIZZI-PAOLO MARTINUCCI, Ares, Mi-
lano 2007, pp. 13-33; A. D’ANGELO, Moro, i vescovi e l’apertura a sinistra, cit.
65
Cfr. WILTGEN, pp. 78-84.
304 IL CONCILIO VATICANO II

navi, anche la Francia, il Belgio e l’Olanda avevano inviato rap-


presentanti. Il card. Alfrink era venuto di persona per rappresen-
tare l’Olanda.
Wiltgen osserva: “Poiché la posizione dei vescovi di lingua tedesca
era regolarmente fatta propria dall’‘Alleanza europea’, e dato che la posi-
zione dell’‘Alleanza’ era a sua volta generalmente adottata dal Concilio,
bastava che un solo teologo facesse adottare le proprie idee dai vescovi di
lingua tedesca perché il Concilio le facesse sue. Questo teologo esisteva:
era il padre Karl Rahner della Compagnia di Gesù” 66.
Non si potrebbe riassumere più efficacemente l’influenza deci-
siva esercitata sui Padri conciliari da Rahner, definito, nel corso di
una conversazione privata dal card. Frings, “il più grande teologo di
questo secolo” 67. Sul ruolo di Rahner puntavano anche gli altri
“esperti”, come Chenu, che gli scriveva: “che la vostra influenza con-
tribuisca a dare a questo Concilio il suo volto e i suoi fini” 68. Il 14 di-
cembre 1962 il settimanale “Time”, nella rubrica “religione”, aveva
dedicato un articolo al gesuita tedesco, con foto e titolo: A holy bold-
ness (Una santa audacia). Per molti, si leggeva nell’articolo, il luogo
più vitale del Concilio non è San Pietro, ma una camera del terzo
piano del Collegio germanico, occupata da padre Rahner, conside-
rato come il più profondo teologo contemporaneo 69.
Teoricamente Rahner era solo il teologo del card. König. Di
fatto, come rileva Wiltgen, egli fu “la testa pensante della conferen-
za di Fulda” 70. Era stato Rahner, con l’aiuto di don Josef Ratzin-
ger, e dei padri gesuiti Grillmeier 71 e Semmelroth a esaminare i
tre schemi in discussione alla Commissione teologica: sulla Ri-
velazione, sulla Beata Vergine Maria e sulla Chiesa. Il 26 e 27
agosto la conferenza esaminò questi documenti, adottando le

66
Ivi, p. 79.
67
Ivi.
68
Ivi, p. 58.
69
Il padre de Lubac lo riporta nel suo Diario, commentando: “L’articolo è abbastanza
ben documentato” (DE LUBAC, Quaderni, p. 439).
70
WILTGEN, p. 79.
71
Aloys Grillmeier (1910-1998), gesuita tedesco, ordinato nel 1937. Professore di teo-
logia fondamentale e di dogmatica allo scolasticato gesuita di Sankt-Georgen (Fran-
coforte) dal 1950 al 1978. Creato cardinale nel 1994. Al Concilio fu esperto di
Wilhelm Kempf, vescovo di Limburg, e peritus nella seconda sessione.
1963: LA SECONDA SESSIONE 305

proposte di emendamento di Rahner. Il card. Döpfner portò


quindi i nuovi testi rivisti a Roma, consegnandoli al Segretaria-
to generale a nome dei Padri conciliari di lingua tedesca e della
Conferenza episcopale dei Paesi scandinavi. L’incontro non era
sfuggito alla stampa, che aveva parlato di “cospirazione contro la
Curia romana”.
Il 2 settembre, il card. Döpfner si recò a visitare Paolo VI, a Ca-
stelgandolfo, per rassicurarlo. “Fu per me un grande sollievo – di-
chiarò successivamente – che Sua Santità non avesse preso sul serio
quanto la stampa italiana aveva scritto sulla riunione di Fulda” 72. Un ar-
ticolo di messa a punto, concordato con il Segretario del Concilio
mons. Felici, apparve quindi su “L’Osservatore Romano” del 4 set-
tembre 1963. Il 7 settembre Döpfner scrisse ai vescovi che avevano
partecipato all’incontro di Fulda, informandoli dell’udienza ponti-
ficia, dell’articolo su “L’Osservatore Romano” e dell’ordine con cui
sarebbero stati trattati gli schemi nella imminente sessione del
Concilio: 1) La Chiesa; 2) La Beata Vergine Maria; 3) i vescovi; 4) il
laicato; 5) l’ecumenismo.
Il 12 settembre 1963 Paolo VI annunziava la creazione di un Se-
gretariato per le religioni non cristiane. L’iniziativa era partita otto
mesi prima dal card. Tien 73, arcivescovo di Taipei e da un vescovo
olandese, mons. Thijssen 74, vescovo di Larantuka in Indonesia. In
una dichiarazione alla stampa, l’8 aprile, il cardinale Tien aveva di-
chiarato essere “molto importante che la Chiesa cattolica giunga a co-
noscere meglio le grandi religioni non cristiane del mondo e che le reli-
gioni non cristiane imparino a conoscere meglio la Chiesa cattolica” 75. La
proposta aveva avuto l’appoggio dei cardinali Bea, Frings, Liénart,
König. Quest’ultimo era stato proposto come presidente del nuovo
organismo.

72
WILTGEN, p. 81.
73
Joseph Cheng Tien-Siang o.p. (1922-1990), ordinato nel 1952, vescovo di Kaoh-
siung (Taiwan) nel 1961, arcivescovo di Kaohsiung nel 1979.
74
Antoine Hubert Thijssen s.v.d. (1906-1982), ordinato nel 1932, vicario apostolico di
Endeh (Indonesia) e vescovo titolare di Nilopolis nel 1951, vescovo di Larantuka
nel 1961, vescovo titolare di Eguga nel 1973.
75
WILTGEN, p. 75.
306 IL CONCILIO VATICANO II

b) I “Moderatori” del Concilio

Fin dall’indomani dell’elezione di Paolo VI, il card. Suenens gli


aveva suggerito di creare un “brain trust” per dirigere il Concilio e
dargli l’impulso necessario 76. Nell’estate del 1963, Suenens, Döpfner
e Lercaro elaborarono un progetto di rifacimento del regolamento
conciliare, imperniato sulla creazione di un organo di direzione uni-
taria dell’assemblea 77. Il Papa adottò il progetto e, il 13 settembre,
annunciò l’istituzione di quattro cardinali “Moderatori” del Conci-
lio con il compito di dirigere con mandato esecutivo le assemblee
conciliari. I cardinali designati erano proprio Döpfner, Suenens e
Lercaro, a cui il Papa volle aggiungere Agagianian 78, un cardinale di
Curia, che negli ultimi due conclavi era stato candidato dai conser-
vatori, ma che si era fatto notare per il suo silenzio in aula.
Lercaro aveva inoltre designato il suo consigliere e ispiratore,
don Giuseppe Dossetti, a Segretario del Collegio. L’opera di Dos-
setti non si limitò a quella di teologo del card. Lercaro, bensì fu as-
sai intensa per la preparazione di un nuovo progetto di Regola-
mento, in stretta collaborazione con lo storico Hubert Jedin 79. Con
questa decisione Paolo VI sembrava voler dare al Vaticano II una
direzione collegiale. Mons. Michele Maccarrone 80 ricorda che chi
conduceva il Collegio dei Moderatori (e attraverso il Collegio il
Concilio) era don Dossetti, il quale preparava i testi da proporre ai
Padri in Concilio 81. Dossetti si serviva del giornale “L’Avvenire d’I-
talia”, diretto da Raniero La Valle, a lui fedele, che pubblicava an-
che notizie riservate. Il caso più clamoroso fu la pubblicazione, in

76
Cfr. POSWICK, Journal, pp. 363-364.
77
Cfr. A. MELLONI, L’inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesiastico, in SCV,
vol. III, pp. 26-29 (pp. 19-132).
78
AS, II/1, pp. 9-13.
79
M. MACCARRONE, Paolo VI e il Concilio, cit., p. 105.
80
Michele Maccarrone (1913-1993), professore di Storia Ecclesiastica all’Università
del Laterano, Segretario dal 1954 e dal 1963 Presidente del Pontificio Comitato di
Scienze Storiche, membro del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, perito concilia-
re. Cfr. FERMINA ÁLVAREZ ALONSO, Primato e collegialità alla luce del “Fondo Maccarro-
ne”, in “CVII. Centro Vaticano II. Ricerche e documenti”, n. III/1 (2003), pp. 11-59;
MARIO SENSI, Monsignor Maccarrone e l’apporto della scuola Lateranense al Vaticano II,
in “CVII. Centro Vaticano II. Ricerche e Documenti”, n. V/2 (2005), pp. 51-69.
81
Cfr. M. MACCARRONE, Paolo VI e il Concilio, cit., p. 108.
1963: LA SECONDA SESSIONE 307

prima pagina, il mercoledì 16 ottobre 1963, del testo dei quattro


quesiti dei Moderatori sulla collegialità e il diaconato. “Non era sta-
to ancora distribuito ai Padri e già veniva vistosamente reso noto!”, com-
menta mons. Maccarrone 82, che ricorda come Paolo VI, al momen-
to della pubblicazione, profondamente irritato, diede ordine alla
Segreteria generale di bruciare le 3.000 copie che erano state stam-
pate su richiesta del card. Lercaro. Dossetti fu quindi rimosso per
il modo disinvolto e impositivo con cui pretendeva esercitare l’uf-
ficio di “Segretario” dei Moderatori.
Come fece subito notare il card. Ruffini, ai Moderatori era rico-
nosciuta un’autorità di cui fino ad allora non aveva mai goduto la
Presidenza 83. Le scelte di Paolo VI mostravano comunque come
egli intendesse continuare la linea del suo predecessore. Le nomi-
ne pontificie diedero all’“Alleanza europea” nuovo potere e in-
fluenza. “Essa – sottolinea Wiltgen – controllava già il 30% della Pre-
sidenza del concilio, il 50% della Commissione di coordinamento e ora il
75% del gruppo dei cardinali moderatori” 84.

c) La riforma della Curia romana

Il discorso di Paolo VI del 21 settembre ai membri della Curia


romana 85 ebbe un significato programmatico. Mellifluo nel tono,
ma duro nella sostanza, Paolo VI spronava la Curia a non oppor-
re alcuna resistenza alle decisioni pontificie: “Siamo certi – affer-
mava – che mai dalla Curia romana trapelerà qualche esitazione in or-
dine ai sommi voleri del Pontefice; che mai sarà sospettata qualche di-
sparità di giudizio o di sentimento a riguardo del giudizio o del senti-
mento del Papa” 86, richiamandola a una “identità di vedute” e
“uniformità di volere” con i desideri dello stesso Pontefice. Egli an-
nunziava “varie riforme”, tra cui una “più lunga visione sopranazio-

82
Ivi.
83
Sulla figura dei Moderatori, cfr. R. LA VALLE, Il coraggio del Concilio, cit., pp. 5-95;
sul ruolo di Lercaro e di Dossetti cfr. LERCARO, Lettere, pp. 157-167.
84
WILTGEN, p. 82.
85
AS, II/1, pp. 49-56; CAPRILE, vol. III, pp. 7-12.
86
Ivi, p. 51.
308 IL CONCILIO VATICANO II

nale” e una “più accurata preparazione ecumenica”. Tali riforme, spie-


gava, “saranno certamente ponderate, saranno allineate secondo le ve-
nerabili e ragionevoli tradizioni da un lato, secondo i bisogni dei tempi,
dall’altro. E saranno certamente funzionali e benefiche, perché non
avranno altra mira che quella di lasciar cadere ciò ch’è caduco o super-
fluo, nelle forme e nelle norme, che regolano la Curia Romana, e di met-
tere in essere ciò ch’è vitale e provvido per il suo più efficace e appro-
priato funzionamento. Saranno dalla Curia stessa formulate e promul-
gate! Non avrà perciò timore, ad esempio, la Curia Romana, d’essere re-
clutata con più larga visione sopranazionale, né d’essere educata da più
accurata preparazione ecumenica” 87.
Il giovane teologo Josef Ratzinger ben comprendeva che cosa
significavano le parole del Papa in quel frangente storico: “Si può
dire senza esagerare – ricorda Ratzinger – che questo discorso non co-
stituì semplicemente un episodio nella storia della Curia e del papato, ma
fu anche parte della storia conciliare” 88. “Quello che stava succedendo era
che la solidarietà tradizionale tra il Papa e la Curia stava ora diventando
una nuova solidarietà senza precedenti tra il Papa e il Concilio” 89.

4. L’apertura della seconda sessione

La seconda sessione del Concilio iniziò il 29 settembre 1963.


Durante la Messa fu intronizzato solennemente il Vangelo, come
omaggio che Paolo VI voleva attribuire alla Sacra Scrittura. Nella
sua allocuzione inaugurale 90, che fu il preludio non solo della ses-
sione conciliare, ma del nuovo pontificato, il tema portante fu
quello di una riforma strutturale della Chiesa, per determinare na-
tura e ruolo dell’episcopato. Paolo VI elencò quattro obiettivi del
Concilio: “una più meditata definizione” 91 sull’essenza e la costitu-
zione della Chiesa; il rinnovamento della Chiesa inteso come “un
primaverile risveglio di immense energie spirituali e morali, quasi laten-

87
Ivi, p. 54.
88
J. RATZINGER, Theological highlights of Vatican II, Paulist Press, New York 1966, p. 58.
89
Ivi, p. 59.
90
AS, II/1, pp. 183-199.
91
Ivi, p. 189.
1963: LA SECONDA SESSIONE 309

ti nel seno della Chiesa” 92; la promozione dell’unità tra i cristiani; il


dialogo con gli uomini contemporanei “oltre i confini dell’orizzonte
cristiano” 93.
“Sembra sia venuto ora il tempo – aggiunse – nel quale si debba più
profondamente esaminare, riordinare, esprimere la verità sulla Chiesa di
Cristo, forse non con quei solenni enunciati che sono detti definizioni
dogmatiche, ma piuttosto facendo uso di dichiarazioni in cui, con un ma-
gistero più chiaro e autorevole, la Chiesa si pronuncia su ciò che pensa di
sé stessa” 94.
Colpivano le parole sul dialogo con il mondo: “Sappia con cer-
tezza il mondo che è visto amorevolmente dalla Chiesa, che nutre per es-
so una sincera ammirazione ed è mossa dallo schietto proposito non di do-
minarlo, ma di servirlo, non di disprezzarlo ma di accrescerne la dignità,
non di condannarlo ma di offrirgli conforto e salvezza” 95.
Sul piano ecumenico il Papa sembrava quasi spingersi oltre
Giovanni XXIII, ammettendo passati errori commessi dalla Chiesa.
Rivolgendosi ai rappresentanti delle confessioni cristiane separate
dalla Chiesa cattolica, egli affermò: “Se alcuna colpa fosse a noi im-
putabile per tale separazione, noi ne chiediamo a Dio umilmente perdono
e domandiamo venia altresì ai Fratelli che si sentissero da noi offesi” 96.
Venti giorni più tardi, il 17 ottobre, Paolo VI, ricevendo nella bi-
blioteca privata gli osservatori delegati al Concilio, definì quello
del reciproco “perdono” “il metodo migliore” per volgersi “verso una
novità da far nascere, un sogno da realizzare” 97. Fu forse questo il pri-
mo di una sconcertante serie di atti di “pentimento” e di perdono
inconsueti nella storia della Chiesa 98. Il Corpo Mistico di Cristo è,
infatti, in se stesso indefettibile, per divina promessa del suo fon-
datore. Errori e colpe possono essere commessi dai suoi membri,
ma la responsabilità di questi è personale e non ricade mai sulla

92
Ivi, p. 191.
93
Ivi, p. 198.
94
Ivi, p. 190.
95
Ivi, p. 197.
96
Ivi, p. 194.
97
CAPRILE, vol. III, p. 149.
98
Cfr. LUIGI ACCATTOLI, Quando il Papa chiede perdono. Tutti i mea culpa di Giovanni Pao-
lo II, Mondadori, Milano 1997.
310 IL CONCILIO VATICANO II

Chiesa, che non può “pentirsi” retroattivamente a loro nome. La


distinzione tra la Chiesa e i suoi membri non era d’altronde chiara
nel “noi” utilizzato da Paolo VI in riferimento all’ammissione di
colpe e alla richiesta di perdono. Lo stile e il linguaggio di Paolo VI
apparivano molto lontani da quelli di Pio XII e dello stesso Gio-
vanni XXIII. Il padre Kobler sottolinea in particolare l’uso, da par-
te di Papa Montini, di concetti e termini mutuati dalla fenomeno-
logia e dal tomismo “trascendentale”, come quelli di “coscienza” ed
“esperienza” 99, destinati a riemergere con forza nell’enciclica Eccle-
siam Suam del 6 agosto 1964.

5. Chiesa pellegrinante e Chiesa militante

La prima Congregazione generale, 37ª del Concilio, si aprì il 30


settembre 1964. Il primo schema che figurava all’ordine del giorno
era il nuovo progetto sulla Chiesa 100, rielaborato dal teologo Phili-
ps, su incarico del card. Suenens. Lo schema iniziava con le parole
Lumen Gentium, riferite però non alla Chiesa, ma a Cristo: Lumen
gentium cum sit Christus. Da oltre due anni Philips si era consacrato
anima e corpo alla riuscita di questo schema, con la collaborazione
di una équipe internazionale di “esperti”. Nel febbraio del 1963 la
Commissione di coordinamento aveva imposto alla Commissione
dottrinale di preparare un nuovo testo De Ecclesia per l’inizio della
seconda sessione. Fu quindi creata una sotto-commissione presie-
duta dal card. Browne 101 e composta da 7 vescovi, ognuno dei qua-
li designò un teologo per lavorare. Dei “sette” solo due (Gagnebet
per Browne e Balić per Parente) appartenevano ai conservatori; ben

99
J. F. KOBLER, Where theologians the Engineers of Vatican II?, cit., pp. 239-242.
100
Sulla Lumen Gentium, si veda La Chiesa del Vaticano II. Studi e commenti intorno al-
la costituzione dommatica “Lumen Gentium”, a cura di GUILHERME BARAÚNA, o.f.m.,
Vallecchi, Firenze 1965. Per le diverse riscritture del documento, cfr. G. ALBERIGO-
FRANCA MAGISTRETTI, Synopsis historica constitutionis dogmaticae, Lumen gentium, Isti-
tuto per le Scienze Religiose, Bologna 1975.
101
Michael Browne (1887-1971), domenicano irlandese, ordinato nel 1910, professo-
re e poi rettore dell’Angelicum dal 1923 al 1941, Maestro del Sacro Palazzo (1951),
Maestro generale dell’Ordine dei domenicani dal 1955 al 1962, membro della Com-
missione preparatoria dei vescovi. Creato cardinale nel 1962.
1963: LA SECONDA SESSIONE 311

5 erano i progressisti (Lafortune 102 per Léger; Rahner per König;


Philips per Charue; Congar per Garrone; Thils 103 per Schröffer 104).
I cardinali Ottaviani e Browne, presidente e vicepresidente della
Commissione dottrinale, fecero una stringata introduzione al testo,
di cui erano palesemente insoddisfatti 105. Quando si aprì la discus-
sione, i due primi interventi, quelli dei cardinali Frings 106 e Siri 107,
confermarono la profonda divergenza di vedute esistente all’interno
dell’assemblea. Da una parte vi era la concezione della Nouvelle
Théologie, in particolare di Congar, che contrapponeva alla “Chiesa
del Diritto” quella pneumatica dell’Amore 108; dall’altra la visione
tradizionale, che si rifaceva alla dottrina di san Roberto Bellarmino,
letta alla luce della Mystici Corporis 109. Il contrasto fu confermato il
giorno successivo dai discorsi contrapposti del cardinale di Santia-
go del Cile, Raul Silva Henríquez, e del cardinale di Palermo, Erne-
sto Ruffini. Silva Henríquez sostenne che la Chiesa deve essere con-
siderata come una comunione di chiese locali, nello stesso senso in
cui san Paolo si rivolgeva alla “Chiesa di Corinto” e alla “Chiesa di
Efeso” 110. Ruffini, in polemica anche con Frings, criticò il concetto di
Chiesa-sacramento, già usato dall’eretico Tyrrell, e contestò la base
scritturistica della collegialità, ricordando che Cristo disse solo a Pie-
tro: “Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa” 111.

102
Albini Lafortune (1893-1950), ordinato nel 1917, vescovo di Nicolet (Québec) nel
1938.
103
Gustave Thils (1909-2000), belga, ordinato nel 1931, professore di teologia all’U-
niversità Cattolica di Lovanio (1947-1979), membro del Segretariato per l’Unità dei
Cristiani.
104
Joseph Schröffer (1903-1983), ordinato nel 1928, vescovo di Eichstätt dal 1948 al
1967, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica dal 1967 al 1976.
Creato cardinale nel 1976.
105
AS, II/1, pp. 337-342.
106
Ivi, pp. 343-346.
107
Ivi, pp. 366-368.
108
Cfr. A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 30-105.
109
“Le centinaia di tentativi per trovare una definizione adeguata della Chiesa, una formula
più estesa di quella offerta da san Roberto Bellarmino, trovano una soluzione nella Mystici
Corporis”, aveva scritto mons. Fenton, concludendo la sua ampia trattazione sulla
ecclesiologia tradizionale (Scholastic Definitions of the catholic Church, cit., p. 227).
110
AS, II/1, pp. 366-367.
111
Ivi, pp. 391-394. Frings riprendeva le tesi di K. RAHNER, Kirche und Sakramente,
Herder, Friburgo in Brisgovia 1960 e E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell’incon-
tro con Dio, tr. it. Paoline, Roma 1962 (ed. orig. 1957).
312 IL CONCILIO VATICANO II

La discussione sull’ecclesiologia, che fu al centro del dibattito


della seconda sessione, proseguì sui quattro capitoli dello schema:
1) il mistero della Chiesa nell’economia della salvezza; 2) la costi-
tuzione gerarchica della Chiesa; 3) il popolo di Dio e i laici; 4) la
chiamata universale alla santità.
All’interno dell’aula si scontravano due tendenze: la prima ri-
proponeva la classica concezione della Chiesa come società visibi-
le e invisibile al tempo stesso; la seconda tendeva a enfatizzare la
dimensione invisibile e carismatica, a scapito di quella giuridica e
visibile.
Il 12 ottobre 1963, mons. Franić 112, vescovo di Spalato, propose
che all’art. 7 fosse aggiunto al titolo di Chiesa “pellegrinante”, pre-
sente nello schema, quello tradizionale di “Chiesa militante” 113.

“La ragione della proposta – disse mons. Franić – non è certo il deside-
rio di provocazione, dal quale siamo distanti soprattutto noi che deside-
riamo il prezioso tesoro della pace religiosa. Ma mi sembra, venerabili Pa-
dri, che questa osservazione sia in qualche modo fondamentale per tutto il
Concilio. Infatti la Pace è il sommo bene: lo stesso Cristo è chiamato no-
stra pace, ma, ahimé, non possiamo raggiungere e conservare la pace né
nella nostra anima, né nella Chiesa, senza una difficile e continua batta-
glia quotidiana, certo non una battaglia con le bombe atomiche o con qua-
lunque tipo di armi classiche, ma con armi spirituali. Se non mostrassi-
mo in maniera chiara la Chiesa con una tale immagine e in tale stato, al-
lora realmente si potrebbe verificare quella condizione detta comunemen-
te del disarmo psicologico. In questo caso presenteremmo la Chiesa ai fe-
deli e al mondo come sostanzialmente difettosa. E ciò non solo sarebbe di
danno per i nostri fedeli, ma rappresenterebbe un danno spirituale per il
mondo intero (…). Come possiamo combattere come buoni soldati di Cri-
sto, secondo l’insegnamento di San Paolo, se oltre alla carità e alle altre
virtù non coltiviamo in noi, nei nostri sacerdoti e nei nostri fedeli anche
la virtù della resistenza nei confronti del mondo maligno ed ateo! Quindi
per l’amore verso il mondo, ed anche verso il mondo ateo, dobbiamo non

112
Frane Franić (1912-2007), vescovo ausiliare (1950), poi vescovo di Spalato-Maka-
raska (1960-1988), membro della Commissione teologica preparatoria e della Com-
missione dottrinale.
113
AS, II/1, pp. 442-444.
1963: LA SECONDA SESSIONE 313

solo chiamare, ma rendere militante la Chiesa. Credo fermamente che nes-


sun uomo ragionevole, e nemmeno gli stessi marxisti, possano sentirsi of-
fesi da questa parola: Chiesa militante. Altrimenti comincerebbero a di-
sprezzarci gli stessi atei, che si definiscono militanti” 114.

Il vescovo di Spalato ricordava una verità elementare: la Chie-


sa non finirà mai di avere di fronte nemici, che non sono astratte
idee, ma uomini e gruppi organizzati al fine di combattere e, se
possibile, distruggere la Chiesa. La natura militante della Chiesa
era stata spesso ricordata da Pio XII, secondo cui “vi è in atto una
lotta che ingrandisce quasi ogni giorno di proporzione e di violenza, ed è
quindi necessario che tutti i cristiani, ma specialmente tutti i militanti
cattolici”, ‘stiano in piedi e combattano sino alla morte, se è necessario,
per la Chiesa madre loro, con le armi che sono consentite’ (S.Bern., Ep.
221, n. 3)” 115. Mons. Franić non apparteneva alla linea intransigen-
te che aveva caratterizzato il suo predecessore Stepìnac. Ma la sua
richiesta sembrò troppo forte al card. Wyszyński 116, che il giorno
successivo rifiutò il concetto di Chiesa militante, in quanto – disse
– “gli uomini del nostro tempo sono contrari ad ogni lotta, perché per lo
più, per non dire di solito, sono sconfitti in questa battaglia”.
Così si espresse l’arcivescovo di Varsavia:

“La nozione di Chiesa militante è un concetto di certo teologico ed indica,


senza dubbio, i grandissimi meriti di questa Chiesa nella universale fami-
glia umana. Non vogliamo ignorare che cosa insegni la teologia dogmati-
ca fondamentale o il diritto pubblico della Chiesa, ma non possiamo omet-
tere la reale situazione nella quale si trovano molte centinaia di migliaia di
figli della Chiesa di Dio. (…) Temiamo che la nozione di Chiesa militante,
mantenendo sempre la definizione tradizionale, per il particolare momen-
to psicologico, finisca per soppiantare la nozione più essenziale della Chie-
sa, e cioè della Chiesa vivificante (vita – luce degli uomini) e della Chiesa
santificante (siate santi). Gli uomini dei nostri tempi, godendo del dono

114
Ivi, p. 443.
115
PIO XII, Discorso dell’8 dicembre 1953 all’azione Cattolica Italiana, in DRM, vol.
XV, p. 506 (pp. 501-509).
116
AS, II/2, pp. 574-577.
314 IL CONCILIO VATICANO II

della fede, sono contrari ad ogni lotta, perché per lo più, per non dire di so-
lito, sono sconfitti in queste battaglie. Essi tuttavia preferiscono confidare
nella Chiesa, che dà la vita e la santità, che difende i diritti naturali degli
uomini, che spinge e forma gli animi a sostenere e difendere l’ordine natu-
rale, morale e sociale, e soprattutto soprannaturale nel mondo” 117.

Il cardinale polacco, pur molto fermo nella difesa della liturgia


e dei principi morali, confermava, con queste parole, di rappre-
sentare una linea “accomodante” nei confronti del comunismo,
ben diversa da quella impersonata negli stessi anni dal card. Mind-
szenty. È lo stesso Franić a ricordarlo nelle sue memorie: “Si dove-
va seguire una nuova linea al Concilio: non fare provocazioni né condan-
ne di chicchessia, ma pronunciare unicamente discorsi pacifici (…)” 118.

6. La questione mariana

a) “Massimalisti” e “minimalisti” in Concilio

Un nuovo contrasto esplose, ai primi di ottobre, non appena si


trattò di decidere se lo schema sulla Beata Vergine avrebbe dovuto
essere discusso a sé o inserito in quello sulla Chiesa 119. La discus-
sione rivelò l’opposizione di due tendenze, massimalista e mini-
malista. I “massimalisti” erano i continuatori del grande movi-

117
Ivi, pp. 575-576.
118
F. FRANIĆ, L’Eglise, colonne de la vérité. Mémoires de mes activités doctrinales au Con-
cile Œcuménique Vatican II, Knjizevni Krug, Spalato 1998, pp. 138-139.
119
Cfr. R. LAURENTIN, La Vierge au Concile: présentation, texte et traduction du chapitre
VIIIe de la Constitution dogmatique Lumen Gentium consacré à la Vierge Marie dans le
mystère de l’Eglise, Lethielleux, Parigi 1965 (tr. it. La Madonna nel Vaticano II, Centro
Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Bergamo 1965); G. M. BESUTTI o.s.m., Note di cro-
naca sul Concilio Vaticano II e lo Schema “De Beata Maria Virgine”, in “Marianum”, n.
26 (1964), pp. 1-42; ID., Lo schema mariano al Concilio Vaticano II. Documentazione e no-
te di cronaca, in “Marianum”, n. 28 (1966), pp. 1-203; CANDIDO POZO, La doctrina ma-
riológica del Concilio Vaticano II, in María en la obra de la salvación, BAC, Madrid 1974,
pp. 19-56; ERMANNO M. TONIOLO, La Beata Vergine Maria nel Concilio Vaticano II. Cro-
nistoria del capitolo VIII della costituzione dogmatica “Lumen Gentium” e sinossi di tutte
le relazioni, Centro di Cultura Mariana Madre della Chiesa, Roma 2004; C. ANTO-
NELLI, Il dibattito su Maria nel Concilio Vaticano II, Edizioni Messaggero, Padova 2009.
1963: LA SECONDA SESSIONE 315

mento mariano del XX secolo 120 che, dopo la definizione del dog-
ma dell’Assunzione, auspicava la proclamazione da parte del Pa-
pa e dei vescovi riuniti in Concilio di un nuovo dogma: quello di
Maria Mediatrice di tutte le grazie 121.
Nessun teologo cattolico dubitava allora del fatto che Maria
esercitasse un influsso in certo modo immediato ed attuale nella ap-
plicazione della Redenzione, ossia nella distribuzione di tutte le
grazie a tutti i singoli uomini. Nel congresso mariano di Lourdes
del 1958 122, erano emerse però, tra i mariologi, due tendenze, una
massimalista, che faceva discendere tutti i privilegi di Maria dalla
sua divina Maternità, all’interno dell’ordine ipostatico 123, e l’altra
minimalista, secondo cui la mariologia avrebbe il suo fondamento
nel parallelismo tra Maria e la Chiesa 124. La prima tendenza era de-
finita “cristotipica” perché sottolineava l’intima congiunzione di
Cristo e di sua Madre nell’unica azione di salvezza. Da questa unio-
ne discendevano la corredenzione e la mediazione di Maria. La se-
conda tendenza affermava invece che il ruolo di Maria era subordi-
nato a quello della Chiesa, alla quale spettava il primo posto dopo
Cristo e di cui Maria era solo un membro. I suoi privilegi andava-
no compresi all’interno della comunità cristiana, di cui Ella era “ti-
po” e modello. Era per questa ragione chiamata “ecclesiotipica”.

120
I germi del “movimento mariano”, nella sua fase moderna, risalivano all’aposto-
lato di san Luigi Maria Grignion de Monfort (1673-1716), col suo trattato Della vera
devozione alla Santa Vergine (edito per la prima volta nel 1842) e di sant’Alfonso Ma-
ria de Liguori (1696-1787) con le sue Glorie di Maria (1750).
121
Sulla mediazione di Maria si veda lo studio del padre ALESSANDRO M. APOLLONIO
f.i., Maria Santissima Mediatrice di tutte le grazie. La natura dell’influsso della Beata Ver-
gine nell’applicazione della Redenzione, in “Immaculata Mediatrix”, n. VII/2 (2007),
pp. 157-181.
122
Gli atti sono stati editi dalla ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, con il titolo Ma-
ria et Ecclesia. Acta Congressus Mariologici – mariani civitate Lourdes, anno 1958 cele-
brati, in 16 volumi (Roma 1959-1962). In quest’occasione, il padre Gabriele Maria
Roschini o.s.m. aveva presentato uno studio fondamentale sulla mediazione di Ma-
ria: De natura influxus B. M. Virginis in applicazione redemptionis, ivi, vol. II, De mune-
re et loco quem tenet Beata Virgo Maria in corpore Christi mistico (1959), pp. 223-295.
123
Cfr. M.J. NICOLAS, L’appartenance de la Mère de Dieu à l’ordre hypostatique, in “Etu-
des Mariales”, n. 3 (1937), pp. 145-181.
124
Cfr. F. COURTH, Heinrich Maria Köster (1911-1993). Forscher und Künder Mariens, in
“Marianum”, n. 55 (1993), pp. 429-459; MANFRED HAUKE, Introduzione alla mariologia,
Eupress FTL, Lugano 2008, pp. 92-93; C. POZO, la doctrina mariológica, cit.
316 IL CONCILIO VATICANO II

I “massimalisti” erano rappresentati, tra i periti conciliari, da


due forti personalità: il padre Carlo Balić 125, presidente, dal 1960,
della Pontificia Accademia Mariana Internazionale e il padre Ga-
briele Maria Roschini, preside del Marianum di Roma.
Carlo Balić, nato in Croazia nel 1899, portava nel dibattito il ca-
rattere roccioso della sua terra. Viveva a Roma dal 1933, quando era
stato chiamato a insegnare all’Antonianum dove svolgeva un’atti-
vità multiforme di studioso, editore e, soprattutto, organizzatore di
Congressi Mariologici tra i quali quello svolto in occasione del cen-
tenario di Lourdes (1958) che fu una specie di “prova generale” del-
lo scontro conciliare tra “massimalisti” e “minimalisti”. Padre Con-
gar, che non sopportava la sua appassionata mariologia, lo defini-
sce con sprezzo, nel suo Diario, “un eloquente imbonitore” 126, “vendi-
tore ambulante dalmata” 127, “giocoliere da fiera” 128, “banditore da fiera” 129.
Mons. Antonio Piolanti ricorda, al contrario, Balić come un “uo-
mo titanico, quasi costruito sull’abisso dei contrasti di una grande anima
dagli orizzonti sconfinati e dai desideri immensi. Era facile rilevare nella
vigorosa fisionomia spirituale di questo degno figlio della forte e gentile
Croazia una specie di coincidentia oppositorum: cuore di fanciullo e
impeto geronimiano, tenerezza di madre e imperiosità del condottiero, in-
telligenza acuta e penetrante e volontà infuocata e decisa, espansione ge-
nerosa e sdegni danteschi” 130.
Roschini, sacerdote di Viterbo dei Servi di Maria, era un uo-
mo di studio e di fede e aveva al suo attivo, come Balić, un’am-

125
Carlo Balić (1899-1977), croato, dell’ordine dei Frati Minori. Ordinato nel 1927, fu
professore e rettore magnifico del Pontificio Ateneo Antonianum, presidente della
Commissione per l’edizione critica delle opere di Duns Scoto, fondatore e presi-
dente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, consultore del Sant’Uffi-
zio, perito conciliare. Su di lui, cfr. J.A. DE ALDAMA s.j., Semblanza del P. Carlos Balić
ofm (1899-1977), in “Antonianum”, n. 52 (1977), pp. 702-707; P. Carlo Balić o.f.m. Pro-
filo, impressioni, ricordi, a cura di P. PAOLO MELADA o.f.m.-P. DINKO ARAČIČ, Pontificia
Accademia Mariana Internazionale, Roma 1978; D. ARAČIČ, La dottrina mariologica
negli scritti di Carlo Balić, Pontificia Accademia Mariana Internazionale, Roma 1980.
126
CONGAR, Diario, vol. I, p. 111.
127
Ivi, p. 112.
128
Ivi, vol. II, p. 76.
129
Ivi, p. 147.
130
A. PIOLANTI, Abisso dei contrasti, in P. Carlo Balić o.f.m. Profilo, impressioni, ricordi,
cit., p. 192.
1963: LA SECONDA SESSIONE 317

plissima bibliografia, comprendente poderosi trattati e un intero


Dizionario di Mariologia 131, pubblicato nel 1960, in cui esplorava il
mistero di Maria in tutti i suoi aspetti. Al suo impegno si dove-
va la fondazione della Pontificia Facoltà teologica Marianum,
avvenuta l’8 dicembre del 1950. La sua straordinaria attività
scientifica, organizzativa e divulgativa, è ancora da studiare nel-
la sua interezza 132.
Il sogno di Balić e di Roschini di far proclamare la mediazione
di Maria si infranse nelle aule conciliari. Rievocando con Piolanti
la strenua battaglia condotta in Concilio in difesa dei privilegi ma-
riani, con gli occhi lucidi e quasi affranto, il padre Balić gli disse un
giorno: “È proprio là che tutta la mia opera ha naufragato!” 133.
La maggioranza dei Padri conciliari, come i vota avevano mes-
so in rilievo, coltivava una viva devozione mariana e propendeva
per le tesi dei “massimalisti”. La minoranza centro-europea si ca-
ratterizzava invece per la sua avversione a quello che il padre Yves
Congar definiva il “mariano-cristianesimo” 134. La sera del 22 settem-
bre 1961, Congar annota: “Mi rendo conto del dramma che accompa-
gna tutta la mia vita: la necessità di lottare, in nome del Vangelo e della
fede apostolica, contro lo sviluppo, la proliferazione mediterranea e irlan-
dese di una mariologia che non procede dalla Rivelazione, ma che ha l’ap-
poggio dei testi pontifici” 135.
Congar aveva l’appoggio di Rahner, ma anche del giovane ma-
riologo René Laurentin, il più valido esponente dei “minimalisti”,
al quale attribuì il merito di aprire “la battaglia antimassimalista” in
Concilio 136. “Ci diciamo l’un l’altro che non dobbiamo fare un’opposizio-
ne ECCESSIVA, per non correre il rischio di qualcosa di peggio di quello
che vogliamo evitare” 137.

131
Cfr. G.M. ROSCHINI o.s.m., Dizionario di Mariologia, Studium, Roma 1960.
132
Sul suo ruolo in Concilio, cfr. P. PARROTTA, op. cit., pp. 54-62.
133
A. PIOLANTI, P. Carlo Balić o.f.m. Profilo, impressioni, ricordi, cit., pp. 191-192.
134
Lettera al marista Maurice Villain del 23 novembre 1950, E. FOUILLAUX, La fase an-
tepreparatoria (1959-1960). Il lento avvio dell’uscita dall’inerzia, in SCV, vol. I, p. 97.
135
CONGAR, Diario, vol. I, p. 113.
136
Ivi.
137
Ivi.
318 IL CONCILIO VATICANO II

b) Si apre l’offensiva anti-massimalista

Il segnale dell’offensiva antimassimalista fu la pubblicazione,


nell’imminenza della seconda sessione, del volume dello stesso
Laurentin, La question mariale 138, in cui il “movimento mariano” era
presentato come “un problema”. “Senza dubbio il movimento mariano è
fecondo, fervente, prospero – scriveva Laurentin –. Ma la sua abbondan-
za non è eccessiva? La sua intensità non è febbricitante? Il suo sviluppo
specializzato non è in parte patologico?” 139. La mariologia contempora-
nea, caratterizzata da “un’eccessiva abbondanza di scritti” 140, avrebbe
presentato, secondo Laurentin, una tendenza “aprioristica”, per il
suo impegno nella esaltazione incondizionata della Madonna 141.
Occorreva “purificare” questa tendenza per renderla compatibile
con le esigenze dell’ecumenismo e della nuova teologia.
La linea minimalista che il mariologo francese suggeriva di se-
guire era quella, tipicamente ipocrita, del “Terzo Partito”: né “un
cristianesimo della Vergine nel quale san Paolo non si riconoscerebbe”, né
“un cristianesimo senza la Vergine, che non sarebbe più cattolico” 142.
Questa impostazione trovava la simpatia dei moderati e soprattut-
to il sostegno dei media, di cui Laurentin, teologo-giornalista, co-
nosceva bene i meccanismi.
Il volume di Laurentin fu minuziosamente confutato da un
grande mariologo, il padre de Aldama 143, su sollecitazione del pa-
dre Balić e del padre Roschini, che intervenne a sua volta nella po-
lemica con un volumetto su La cosiddetta “questione mariana” 144.
Il padre de Aldama ricordava, come caratteristica della grande
rinascita mariana del XX secolo, le numerose Congregazioni reli-

138
Cfr. R. LAURENTIN, La question mariale, Ed. du Seuil, Parigi 1963.
139
Ivi, p. 37.
140
Ivi.
141
Ivi, p. 24.
142
“È lasciandosi scivolare su questi due pendii che si giungerebbe da un lato a un cristia-
nesimo della Vergine, nel quale san Paolo non si riconoscerebbe, e dall’altro a un cristiane-
simo senza la Vergine che non sarebbe più cattolico” (ivi, p. 81).
143
J. A. DE ALDAMA s.j., De quaestioni mariali in hodierna vita Ecclesiae, Pontificia Acca-
demia Mariana Internazionale, Roma 1964.
144
G.M. ROSCHINI o.s.m., La cosiddetta “questione mariana”, Tip. S. Giuseppe, Vicenza
1963.
1963: LA SECONDA SESSIONE 319

giose, maschili e femminili, sorte col nome di Maria; le ripetute ap-


parizioni mariane di Parigi (nel 1830 a Santa Caterina Labouré), di
La Salette (1846), di Lourdes (1858), di Philippsdorf (1858), di Pont-
main (1871), di Fatima (1917), di Beauraing (1932) e di Banneux
(1933), coi loro relativi santuari, pellegrinaggi e devozioni; i con-
gressi, le società, le riviste, le cattedre dedicate a Maria; gli innu-
merevoli pronunciamenti dei Romani Pontefici, veri promotori del
movimento mariano 145. Pio XII, in particolare, vedeva nella devo-
zione sempre crescente dei fedeli verso la Vergine “il più incorag-
giante segno dei tempi” 146 e “una pietra di paragone infallibile per di-
stinguere i veri dai falsi cristiani” 147. Si trattava dunque di prosegui-
re su una strada già tracciata.
Roschini, nel suo studio, paragonava i tentativi di “ridurre” lo
slancio del movimento mariano ai Monita salutaria (1673) del giu-
reconsulto tedesco Adam Widenfeld (1645-1680) che, tre secoli pri-
ma, aveva attaccato la devozione mariana del suo tempo. “La sto-
ria ha i suoi ricorsi. Dopo circa tre secoli, ecco una nuova reazione, in-
dubbiamente esagerata contro il movimento mariano, contro la Mariolo-
gia d’oggi e contro il culto mariano (…)”. Non si poteva parlare, a suo
avviso, di una tendenza massimalista; “si può parlare invece, con rea-
le fondamento, di una tendenza minimalista, la quale, prescindendo
completamente dagli insegnamenti del Magistero ordinario della Chiesa,
non solo nega o mette in dubbio verità assolute, ma si è spinta sino al
punto di preferire la fede alla Maternità divina, fino a identificare Maria
SS. con la Chiesa, abbassandola al livello di tutti gli altri membri del mi-
stico Corpo di Cristo, come prima inter pares” 148.
I “minimalisti” godevano dell’appoggio di Giovanni XXIII che,
nel 1954, sei mesi prima dell’enciclica di Pio XII Ad Coeli Reginam
che istituiva la festa della regalità di Maria, aveva manifestato la
“notevole irresoluzione” del suo spirito, di fronte a una nuova festa
della Regalità di Maria, “nel timore di un grave pregiudizio circa l’ef-
ficacia apostolica impiegata a ricondurre l’unità della Santa Chiesa catto-

145
Cfr. J. A. DE ALDAMA s.j., De quaestioni mariali, cit., pp. 2-35.
146
PIO XII, Discorso Una ben intima gioia del 10 marzo 1948, in AAS, 40 (1948), p. 120.
147
PIO XII, Discorso La Pentecôte del 29 maggio 1950, in AAS, 42 (1950), p. 483.
148
G. M. ROSCHINI o.s.m., La cosiddetta “questione mariana”, cit., p. 63.
320 IL CONCILIO VATICANO II

lica nel mondo” 149. Ciò spiega come Papa Roncalli fosse disposto ad
accogliere le istanze dei “minimalisti”, che accusavano i “massi-
malisti” di pregiudicare l’ecumenismo. La stessa linea minimalista
sarà condivisa da Paolo VI. Il suo ultimo intervento durante i la-
vori della Commissione preparatoria era stato il 20 giugno 1962,
quando si era schierato con il cardinale Liénart, contro la proposta
di conferire alla Vergine il titolo di “Mediatrice” 150, che aveva defi-
nito “inopportuna e perfino dannosa”. Padre Bevilacqua confidò a
mons. Helder Câmara: “Attiro l’attenzione del Papa ogni volta che ve-
do un buon libro come la Question mariale di René Laurentin, o anche
i libri sul Concilio scritti da Hans Küng. Egli ama molto Rahner e Hä-
ring. E io pure” 151. “La cittadella della reazione – annotava da parte sua
mons. Helder Câmara – a poco a poco si trasforma” 152.
Nel gennaio 1963, dopo la chiusura della prima sessione, la
Commissione di coordinamento del Concilio decise che lo schema
sulla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, sarebbe stato tratta-
to indipendentemente dallo schema De Ecclesia. “Non c’è dubbio –
ammette Komonchak – che lo schema De Beata Maria Virgine, anche
nella parte sul ruolo di Mediatrice, veniva incontro alle attese e ai deside-
ri di un gran numero di vescovi, secondo i loro vota antipreparatori” 153.
Lo Schema constitutionis dogmaticae de Maria Ecclesiae fu spedito
ai Padri durante il mese di maggio. Né la decisione, né il testo ap-
provato dalla Commissione, piacquero a padre Rahner, che in uno
scritto indirizzato a tutti i partecipanti della conferenza di Fulda
dell’agosto 1963, espresse nei riguardi del documento le sue vive
preoccupazioni, condivise – assicurava – dai padri Grillmeier e

149
A. RONCALLI, Lettera del 22 aprile 1954 al Segretariato del Movimento Pro Rega-
litate Mariae, in ANGELINA e G. ALBERIGO, Giovanni XXIII. Profezia nella fedeltà, Que-
riniana, Brescia 1978, p. 489. “Gesù morente – continuava il patriarca di Venezia – ha
detto a Giovanni: Ecco la tua madre – questo basta alla fede e alla liturgia. Il resto può es-
sere e lo è in gran parte, edificante, e, per parecchie anime devote e pie, commovente: ma per
molte, moltissime altre, pure bene inclinate per la Chiesa cattolica, irritante – e come si di-
ce ora – controproducente” (ivi).
150
AD, II-II/4, p. 777.
151
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 583.
152
Ivi, vol. I, p. 342.
153
J. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, cit., p. 277. Cfr. anche
SALVATORE PERRELLA, I “vota” e i “consilia” dei vescovi italiani sulla mariologia e sulla cor-
redenzione nella fase antipreparatoria del Concilio Vaticano II, Ed. Marianum, Roma 1994.
1963: LA SECONDA SESSIONE 321

Semmelroth. Se il testo fosse stato adottato, affermava “ne derive-


rebbe un male inimmaginabile dal punto di vista ecumenico, sia per quan-
to riguardava gli Orientali, che i protestanti” 154. Certo, aggiungeva
Rahner, non si poteva pretendere di bocciare lo schema, come si
era fatto per quello sulle fonti della Rivelazione. Per ridurne il pe-
so, si trattava allora di premere, con tutta l’insistenza possibile, af-
finché lo schema divenisse un capitolo, o l’epilogo, dello schema
della Chiesa. Questo, a suo avviso, sarebbe stato “il mezzo più faci-
le di sopprimere dallo schema delle affermazioni che, teologicamente, non
sono sufficientemente sviluppate e che non potrebbero fare altro che un
male incalcolabile dal punto di vista ecumenico. Così si sarebbero inoltre
evitate aspre discussioni” 155.
Il punto che Rahner attaccava con maggior forza era l’insegna-
mento dello schema sulla mediazione della Beata Vergine Maria e
più precisamente il titolo, che le veniva attribuito, di “Mediatrice
di tutte le grazie”. Questo insegnamento, proposto nello schema
non come un dogma di fede, ma come dottrina comune della Chie-
sa, era respinto da Rahner, per le conseguenze negative che a suo
parere avrebbe potuto avere sulla mariologia e sulla devozione dei
fedeli verso Maria. I protestanti negavano infatti qualsiasi formale
cooperazione di Maria alla Redenzione e abolivano i termini di
“Mediatrice” e ancor più di “Corredentrice”. Egli concludeva af-
fermando che i vescovi di Austria, Germania e Svizzera dovevano
considerarsi obbligati ad impegnarsi in un aperto rifiuto dello
schema nella sua formulazione attuale 156.
La conferenza di Fulda adottò i suggerimenti di Rahner, ma sul
punto della mediazione di Maria, si limitò a criticare l’espressione
di “Mediatrice di tutte le grazie”. La proposta, ufficialmente sotto-
posta dai Padri di Fulda al Segretariato generale del Concilio, cita-
va anche fonti protestanti, ricordando come il vescovo luterano te-
desco Dibelius, nel 1962, aveva dichiarato che l’insegnamento del-
la Chiesa cattolica su Maria era uno dei maggiori ostacoli all’unio-

154
WILTGEN, p. 90.
155
Ivi, p. 91.
156
WILTGEN, p. 91. Cfr. anche ANTONIO ESCUDERO CABELLO, La cuestión de la mediación
mariana en la preparación del Vaticano II. Elementos para una evaluación de los trabajos
preconciliares, LAS, Roma 1997.
322 IL CONCILIO VATICANO II

ne ecumenica. Secondo altri autori protestanti tedeschi, i Padri


conciliari dovevano ricordare che, approvando uno schema su Ma-
ria, avrebbero alzato un nuovo muro di divisione; essi avrebbero
dunque dovuto mantenere il silenzio sul tema o richiamare all’or-
dine coloro che si rendevano colpevoli di eccessi.

c) Il successo dei “minimalisti”

Il giorno dell’apertura del dibattito, il 30 settembre 1963, i “mini-


malisti” chiesero subito, per bocca del card. Frings 157, di assorbire nel-
lo schema della Chiesa tutto ciò che riguardava la Beata Vergine Ma-
ria, al fine di facilitare il dialogo ecumenico con i fratelli separati. Il
giorno successivo anche il card. Silva Henríquez 158 sostenne che in
America Latina la devozione alla Vergine Maria superava i limiti del-
la devozione cristiana e che l’approvazione di uno schema sulla Ma-
donna avrebbe aggravato la situazione. Egli appoggiava di conse-
guenza, a nome di 44 vescovi dei paesi latino-americani, la proposta
del card. Frings. Analoga dichiarazione venne fatta quella stessa mat-
tina da mons. Garrone 159, arcivescovo di Tolosa, a nome di “numerosi
vescovi francesi”, da mons. Elchinger 160 e da mons. Méndez Arceo 161.
A favore della proposta di Frings intervenne, il 4 ottobre, la ge-
rarchia d’Inghilterra e dei Paesi del Galles, mentre, quello stesso
giorno, veniva distribuito ai Padri un testo redatto dai Padri Serviti
in cui si suggeriva che, accanto al titolo di “Mediatrice”, venisse usa-
to per Maria anche quello di “Corredentrice”. Il padre Balić, esperto
della Commissione teologica, diffondeva a sua volta un documento
in cui esponeva le ragioni per cui si doveva mantenere separato da
quello sulla Chiesa lo schema sulla Beata Vergine Maria. Anche il
card. Arriba y Castro 162, arcivescovo di Tarragona, prendendo la pa-

157
AS, II/1, pp. 343-346.
158
Ivi, pp. 366-368.
159
Ivi, pp. 374-375.
160
Ivi, pp. 378-380.
161
Ivi, pp. 385-386.
162
Benjamín de Arriba y Castro (1886-1973), spagnolo, ordinato nel 1912. Arcivesco-
vo di Tarragona dal 1949 al 1970, creato cardinale nel 1953.
1963: LA SECONDA SESSIONE 323

rola a nome di 60 vescovi spagnoli, dichiarava che, data l’importan-


za della Madre di Dio nell’economia della Redenzione, contraria-
mente a quanto era stato fino ad allora sostenuto, sarebbe stato pre-
feribile adottare uno schema separato sulla Beata Vergine Maria 163.
La discussione continuò con interventi di opposte tendenze. Il
24 ottobre i cardinali Moderatori annunciarono che, visto il gran
numero di Padri che aveva chiesto l’inclusione dello schema sulla
Beata Vergine Maria in quello sulla Chiesa, il Santo Padre aveva in-
caricato la Commissione dottrinale di scegliere due dei suoi mem-
bri per esporre le diverse posizioni. La Commissione designò il
card. Rufino Santos 164, di Manila, come avvocato dello schema se-
parato e il card. Franz König, di Vienna, come fautore della incor-
porazione. I due Padri conciliari esposero in aula le loro tesi con-
trapposte il 24 ottobre 165.
L’arcivescovo di Manila enunciò 10 argomenti a favore dello
schema separato, affermando che la Madonna è il primo e princi-
pale membro della Chiesa, ma nello stesso tempo è sopra la Chie-
sa e, secondo la sentenza di san Bernardo, “stat intra Christum et Ec-
clesia”. I fedeli – aggiungeva – avrebbero letto l’incorporazione del
De Beata nel De Ecclesia come il segno di una riduzione della devo-
zione mariana. König affermò, al contrario, che i fedeli dovevano
“purificare” la loro devozione mariana per evitare il loro attacca-
mento a ciò che è secondario e accidentale e, soprattutto, per non
danneggiare la causa dell’ecumenismo. I testi delle relazioni dei
due cardinali vennero distribuiti il 25 ottobre. La concezione “ec-
clesiotipica” dei “minimalisti” puntava a relativizzare il ruolo del-
la Beata Vergine, considerandola in rapporto non con il suo divin
Figlio, ma con i comuni fedeli della Chiesa 166. Essi capovolgevano
la concezione tradizionale che ha sempre considerato Maria non
come la figura, ma come l’esemplare della Chiesa. Infatti, “la figu-

163
AS, II/2, pp. 14-16.
164
Rufino J. Santos (1908-1973), filippino, ordinato nel 1931. Vescovo ausiliare (1947),
poi arcivescovo di Manila dal 1953 alla sua morte. Creato cardinale nel 1960. Mem-
bro della Commissione centrale preparatoria e della Commissione dottrinale.
165
AS, II/3, pp. 338-342 e pp. 342-345.
166
Cfr. FRANÇOIS-MARIE o.f.m., La nouvelle mariologie dans le chapitre 8 de Lumen Gen-
tium, in L’unité spirituelle du genre humain, pp. 272-273 (pp. 269-288).
324 IL CONCILIO VATICANO II

ra è inferiore al figurato, di cui costituisce l’effetto, mentre l’esemplare è


superiore alla sua immagine e ne costituisce la causa. Dunque è piuttosto
la Chiesa che è immagine e figura della Vergine” 167.
Il 29 fu messa ai voti la questione seguente: “Piace ai Padri con-
ciliari che lo schema sulla Santissima Vergine Maria, Madre della Chie-
sa, sia rivisto in modo da divenire il VI capitolo dello schema sulla Chie-
sa?” 168. I risultati del voto furono 1.114 a favore, 1.074 contrari. L’as-
semblea si trovava per la prima volta spaccata in due, con uno
scarto di soli 40 voti; la divisione corrispondeva a quella di due vi-
sioni teologiche contrapposte e segnava, sia pure di misura, la vit-
toria dei “minimalisti” 169.
Il successo dei progressisti, più che alla loro forza, fu dovuto, se-
condo Melissa Wilde, alla debolezza dei conservatori, che non ave-
vano ancora trovato una forma organizzativa. Malgrado gli sforzi
individuali di qualcuno di essi, come il padre Balić che di sua ini-
ziativa volantinò un suo scritto ai Padri conciliari, mancò un’azio-
ne coordinata e sistematica. “Poiché il Concilio stava votando su Ma-
ria, i leader del CIP (Coetus Internationalis Patrum) stavano appena ini-
ziando a corrispondere e non avevano ancora costituito seriamente la loro
organizzazione. Fu infatti la sconfitta sullo schema mariano, insieme ai
voti “disastrosi” sulla collegialità il giorno seguente, a spingere probabil-
mente i conservatori a organizzarsi (…). L’evidenza dimostra che essi
avrebbero potuto fare molto di più riguardo allo schema mariano se si fos-
sero organizzati meglio e anticipatamente nel Concilio” 170.

7. Il partito antiromano nella seconda sessione

a) Giacobini e girondini

La rapidità del successo dell’“Alleanza” progressista europea,


diventata ormai “mondiale”, portò anche a una divergenza di vi-

167
Ivi, p. 282.
168
AS, II/3, p. 627; CAPRILE, vol. III, pp. 160-163.
169
Per una descrizione globale delle due concezioni, cfr. LAURENTIN, La Vierge au Con-
cile, cit., p. 138.
170
WILDE, p. 108.
1963: LA SECONDA SESSIONE 325

sioni strategiche nelle sue fila. Si aprì dunque, all’interno dello


schieramento progressista, una spaccatura tra giacobini e girondini
o, come li definisce Grootaers, tra “possibilisti” e “massimalisti”.
“Questi ultimi difendevano posizioni di principio, denunciando come tra-
dimento ogni concessione sul piano dottrinale; i primi invece, invocavano
la situazione concreta del momento e la necessità di ricavare una solida
maggioranza” 171. I teologi tedeschi e un gruppo italiano capeggiato
dal card. Lercaro aderirono all’impostazione giacobina, mentre il
card. Suenens divenne il leader dei Padri conciliari “girondini” o
“possibilisti”. Helder Câmara, all’inizio della seconda sessione, de-
finisce Suenens “l’uomo chiave del Concilio, certo della fiducia diretta e
personale del Santo Padre” 172 e il 27 ottobre, sottolineando il cammino
fatto dalla prima sessione, scrive che non a torto il cardinale belga
viene designato come “capo mondiale del progressismo” 173.
I due si incontravano ogni giorno, spartendosi le parti, Suenens
nell’aula conciliare, Câmara nei corridoi extra-conciliari, conce-
dendo interviste sempre affollatissime, in italiano, inglese e fran-
cese. “Durante le quattro sessioni del Concilio – ricordano i suoi bio-
grafi –, dom Hélder non farà alcun intervento nelle assemblee plenarie,
ma svolgerà un vero lavoro da “eminenza grigia” nell’architettare quello
che egli stesso chiamava “sacro complotto” per introdurre nell’agenda dei
lavori conciliari il problema della miseria nel mondo e quello dei paesi sot-
tosviluppati, e per incentivare un processo di riforma interna della Chie-
sa cattolica” 174.
Fin dalla seconda sessione del Concilio, Suenens e Câmara, co-
me rivela quest’ultimo, si posero alcuni obiettivi:

171
Cfr. J. GROOTAERS, Protagonisti del Concilio, in SC, La Chiesa del Vaticano II, vol.
XXV/I, p. 392; ID., Diversité des tendances à l’intérieur de la majorité conciliaire, in The
Belgian contribution, pp. 529-562.
172
Circolare del 4 ottobre 1963, in CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 198.
173
Ivi, p. 273. Il 28 gennaio 1963 mons. Câmara aveva inviato da Rio de Janeiro al card.
Suenens una lettera in cui gli allegava lo statuto della Conferenza episcopale brasi-
liana e quello del CELAM, suggerendogli di redigere: “a) Uno statuto per conferenze
episcopali considerate come organismi della collegialità episcopale su scala nazionale; b) Uno
statuto per Consigli tipo il CELAM considerati come organismi della collegialità episcopale su
scala continentale” (PRIGNON, Card. Suenens; correspondance, in CLG, n. 281).
174
NELSON PILETTI-WALTER PRAXEDES, Dom Helder Câmara. Tra potere e profezia, tr. it.
Queriniana, Brescia 1999, pp. 436-437.
326 IL CONCILIO VATICANO II

1) Sostituire i presidenti delle Commissioni conciliari legati alla


Curia.
2) Preparare la riforma della Curia romana.
3) Concertare la collegialità episcopale sul piano nazionale e inter-
nazionale 175.

b) La “via media” belga

Il card. Suenens era coadiuvato dal suo teologo Gérard Philips,


professore all’Università di Lovanio, scelto dal Primate belga per-
ché “incarnava nella sua persona una sorta di via media che non faceva
paura né al cardinale Ottaviani, né al segretario, padre Tromp (olande-
se)” 176. La “via media” si sarebbe rivelata come la strada più effi-
cace per assicurare il successo del partito antiromano. Philips, che
aveva avuto un’esperienza parlamentare, dal 1953 al 1968, come
membro del Senato belga, era abituato alle manovre politiche. Nei
suoi “carnets” egli utilizza i termini di “destra” e di “sinistra” per
indicare le due correnti, tradizionale e progressista, che si com-
battevano in Concilio. I termini non erano del tutto impropri. Lo
storico dei Concili, Hefele, scrive che a Nicea i vescovi ortodossi
formavano con Atanasio e i suoi seguaci la destra, Ario e i suoi
partigiani la sinistra, mentre il centro-sinistra era occupato da Eu-
sebio di Nicomedia e il centro-destra da Eusebio di Cesarea 177.
Philips era un uomo di “sinistra” che cercava di farsi considerare
di “centro” per raggiungere i suoi obiettivi e discordava per que-
sto dall’atteggiamento massimalista di alcuni suoi compagni di
strada. “Mi sono sempre sforzato di pervenire ad un accordo – scrive –.
Si preferisce il combattimento: è un peccato” 178.
La tattica di Philips nel dibattito sulla Chiesa si dimostrò, se-
condo Giuseppe Ruggieri, “fin dal principio abilissima” 179. Il teologo

175
Circolare del 5 ottobre 1963, in CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, pp. 200-201.
176
SUENENS, Souvenirs et espérances, p. 114.
177
Cfr. J. HEFELE, op. cit., vol. I, p. 431.
178
Cfr. PHILIPS, Carnets conciliaires, 2 dicembre 1963, p. 116.
179
G. RUGGIERI, Il difficile abbandono dell’ecclesiologia controversista, in SCV, vol. II, p.
325 (pp. 309-384).
1963: LA SECONDA SESSIONE 327

di Lovanio propose come “ipotesi di lavoro” un nuovo testo, con


leggere modifiche di dizioni e pochi mutamenti, ma sostanziali,
come l’abbandono del concetto che per salvarsi fosse necessario
appartenere alla Chiesa 180. Schillebeeckx e Rahner rifiutavano in-
vece ogni tentativo di “mediazione” per attaccare frontalmente lo
schema, soprattutto sul punto della collegialità.
“Di questo concilio è stato detto Primum Concilium Lovaniense,
Romae habitum. È abbastanza vero, almeno per la teologia”, osserva
Congar il 13 marzo 1964 181, spiegando come i belgi, pur non essen-
do numerosi (5 o 6) “sono dappertutto”. Charles Moeller 182, ad esem-
pio, “è dappertutto nei momenti e nei luoghi decisivi!” 183. Vengono tut-
ti da Lovanio o fanno riferimento a Lovanio. “Quando una questio-
ne sta per essere proposta e si crea un centro di lavoro, si avvisano a vi-
cenda, si fanno inviare o inviano, si comunicano un parere sulle questio-
ni nevralgiche. E ciò che uno passa a un altro o prepara per un altro vie-
ne utilizzato. Si organizzano, si vedono, si incontrano. Con il risultato
che se c’è uno ci sono tutti” 184.
Il Collegio belga, in via del Quirinale, fu l’avamposto strategi-
co di una manovra a largo raggio che aveva come protagonisti: il
card. Suenens, membro della Commissione di coordinamento e
poi “Moderatore” del Concilio; mons. Philips, Segretario aggiun-
to della stessa Commissione e “cheville ouvrière des textes impor-

180
Ivi, pp. 330-332.
181
Cfr. CONGAR, Diario, vol. II, p. 44 e pp. 44-47.
182
Charles Moeller (1912-1986), belga, ordinato nel 1937. Professore di teologia a
Lovanio (1949), critico letterario (autore di una Littérature du XX siècle et christiani-
sme, in 6 volumi). Peritus conciliare dal 1963 al 1965, Sotto-segretario della Con-
gregazione per la Dottrina della Fede. Cfr. CLAUDE SOETENS, La contribution de Char-
les Moeller au Concile Vatican d’après ses papiers conciliaires, in The Belgian contribu-
tion, pp. 495-528.
183
CONGAR, Diario, vol. II, p. 45. Cfr. anche C. SOETENS, La “squadra belga” au Conci-
le Vatican II, in Foi, gestes et institutions religieuses au XIXe et XXe siècle, a cura di
LUC COURTOIS-JEAN PIROTTE, Centre d’Histoire des Religions, Louvain-la-Neuve
1991, pp. 159-169 (ora in L’evento e le decisioni, pp. 143-172); L. DECLERCK, Le rôle
joué par les évêques et periti belges au Concile Vatican II: Deux exemples, in “Epheme-
rides Theologicae Lovanienses”, n. 76 (2000), pp. 445-464 e, più ampiamente i
molteplici contributi del Convegno di Lovanio del 2005 ora in The Belgian contri-
bution, passim.
184
CONGAR, Diario, vol. II, p. 45.
328 IL CONCILIO VATICANO II

tants” 185; mons. Charue, membro e poi vice presidente della Com-
missione dottrinale.
Congar sottolinea l’efficacia del sistema, ammettendo che si è
costretti a rivolgersi a loro quando si vuol far passare una cosa o
un’altra. “Il Collegio belga, durante la seconda sessione, è stato il luogo
dove venivano Tucci, Dossetti, Medina 186, Rahner” 187. “Il centro teologico
è mons. Philips. Egli riunisce un dono straordinario di qualità medie” 188.
Philips, “con arte consumata”, “sa proporre una questione in modo che,
dissolvendo i motivi di prevenzione, neutralizzando in anticipo le obiezio-
ni, orienta gli altri, senza che se ne rendano conto, verso la soluzione da
lui voluta” 189. Il Centro di coordinamento faceva capo invece a mons.
Albert Prignon 190, rettore del Collegio belga di Roma, che secondo
l’ambasciatore Poswick fu, dietro le quinte, il vero coordinatore
pratico e il collaboratore più attivo del card. Suenens 191.
In una lettera a Suenens dell’8 marzo 1963, Prignon fa una det-
tagliata relazione delle manovre in corso nel dibattito De Ecclesia in
Commissione 192, sottolineando il ruolo in Concilio dei vescovi e de-
gli esperti belgi. “Si può dire, senza esagerazione – scrive –, che per

185
Actes et Acteurs, p. 391. Tra gli esperti belgi che svolsero un ruolo importante van-
no ricordati inoltre: Lucien Cerfaux (1883-1968), Philippe Delhaye (1912-1990), Al-
bert Dondeyne (1901-1985), Pierre Durmont (1901-1970), Victor Heylen (1906-1981),
Guillaume Onclin (1905-1989), sui quali, cfr. The Belgian contribution, passim.
186
Jorge Arturo Augustin Medina Estévez (1926), ordinato nel 1954, vescovo ausilia-
re di Rancagua e vescovo titolare di Thibilis nel 1984, vescovo di Valparaíso nel 1993,
pro-prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
nel 1996, creato cardinale nel 1998. Seguì la linea del card. Ratzinger - Benedetto XVI.
187
CONGAR, Diario, vol. II, p. 45.
188
Ivi.
189
Ivi, p. 46.
190
Albert Prignon (1919-2000), sacerdote della diocesi di Liegi, ordinato nel 1942.
Rettore del Pontificio Collegio belga a Roma dal 1962 al 1972, peritus conciliare.
191
POSWICK, Journal, p. 390. Il barone Prosper Poswick (1906-1992), ambasciatore del
Belgio presso la Santa Sede (1957-1968), come emerge dal suo Diario, attingeva qua-
si letteralmente ai documenti confidenziali di Prignon, per redigere i rapporti che
poi trasmetteva al suo Governo.
192
“Su richiesta di tutti, ho invitato domani a pranzo al collegio il cardinale Léger, mons. Gar-
rone, mons. McGrath (che allo stesso tempo mi darà le informazioni per lo schema XVII),
mons. Schröffer e i periti abituali, affinché possano mettersi d’accordo per la tattica da segui-
re. Tutti hanno accettato con entusiasmo. Il cardinale Léger aveva telefonato anche stamatti-
na per chiedere se Lei non poteva venire. Sinceramente, Eminenza, avendo appreso il parere
dei vescovi, credo che, da un punto di vista tattico, il vostro arrivo sarebbe al momento pre-
maturo. Non è arrivato nessuno degli altri membri della Commissione di coordinamento e
1963: LA SECONDA SESSIONE 329

quanto riguarda De Revelatione e il De Ecclesia, è la Chiesa del Belgio


che dirige il Concilio e che ne è l’ala trainante” 193.
L’abilità diplomatica dei belgi suppliva all’irruenza dei tedeschi
e alla logica troppo “cartesiana” dei francesi. Congar osserva am-
mirato che mentre i francesi si accontentano di proporre timida-
mente correzioni di dettaglio, accettando il testo così com’è, i belgi
“modificano il testo” 194. “Tutto il movimento del Concilio, nella sua Com-
missione teologica, – conclude – è stato quello di passare dai collegi ro-
mani ai centri teologici fuori di Roma. Ma, tra queste Università, solo Lo-
vanio è stata efficace” 195.
Non meno importante di quello di Philips fu però il ruolo di
mons. Carlo Colombo, “trait d’union” teologico tra il card. Suenens
e Paolo VI 196. “Voglio portarlo in Brasile nel periodo tra la seconda e la
terza sessione”, annota Helder Câmara. “Il caro p. Dossetti e mons.
Guano ci aiuteranno nella conquista di mons. Colombo” 197.
Ogni venerdì, inoltre, si riuniva presso i redentoristi il gruppo
di “strategia conciliare”, promosso da mons. Elchinger. Ne faceva-
no parte mons. Volk (e il suo ausiliare Reuss), Guano, Garrone,
Philips, Rahner, Häring, Laurentin, Ratzinger, Semmelroth, Danié-
lou, Congar 198.
Il giacobino Küng era tra quelli che si muovevano di prefe-
renza al di fuori delle aule conciliari. “Ci devono essere alcuni che
restano dentro e altri che agiscono da fuori – dice all’amico belga
Moeller –. Entrambi dobbiamo cercare di ottenere per il Concilio quel

l’altro partito vi accuserebbe di voler fare pressione” (Lettera di Prignon a Suenens dell’8
marzo 1963, in Fonds Prignon, Card. Suenens: correspondance, in CLG, n. 288).
193
“Dopo la partenza dei vescovi, alloggiano al collegio il canonico Moeller e, su sua richie-
sta, il padre Congar. Lavorano continuamente con mons. Philips. La loro presenza sul posto
fa guadagnare molto tempo. D’altra parte, che il padre Congar chieda di lasciare il Semina-
rio francese per il Collegio belga è un fatto che mostra evidentemente il ruolo straordinario
svolto dai nostri vescovi e dai nostri periti in seno a questa Commissione. Il cardinale Léger
non fa più niente senza venirne a parlare con uno dei nostri. Si può dire, senza esagerazio-
ne, che per quanto riguarda il De Revelatione e il De Ecclesia, è la Chiesa del Belgio che
dirige il Concilio e che ne è l’ala trainante” (ivi).
194
CONGAR, Diario, vol. II, p. 46.
195
Ivi, p. 47.
196
Circolare del 24 ottobre 1963, in CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 259.
197
Ivi.
198
Cfr. A. MELLONI, L’inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesiologico, in SCV,
vol. III, p. 79 (pp. 19-132).
330 IL CONCILIO VATICANO II

che possiamo” 199. Le tesi giacobine furono esposte, la sera del 5 no-
vembre, su invito di Helder Câmara, alla Domus Mariae dal do-
menicano Christophe Jean Dumont 200, direttore di un Centro
Ecumenico in Francia. Il religioso affermò che il grande peccato
della Chiesa di Roma era quello di essere rimasta prigioniera
della scolastica, del giuridicismo e del latino e di non aver com-
preso la ricchezza teologica e spirituale dell’ortodossia. Errori
terribili erano stati la creazione del Sacro Romano Impero e le
crociate. Ora però, con il Concilio, la possibilità di un miracolo si
delineava 201.

8. La nascita del Coetus Internationalis patrum

Se il partito progressista anti-romano costituiva un blocco orga-


nizzato, i vescovi fedeli alla linea conservatrice “romana” offriro-
no fin dall’inizio l’immagine di un fronte ampio ma disarticolato,
di cui facevano parte i principali esponenti della Curia e un nutri-
to gruppo di cardinali stranieri. Essi cominciarono ad organizzarsi
solo nella seconda sessione.
Il “leader” naturale di questo schieramento era il card. Alfredo Ot-
taviani, che in un’intervista alla radio bavarese, trasmessa il 16 di-
cembre 1962, non rifiutava di essere considerato “esponente di un
gruppo dichiaratamente conservatore dei Padri conciliari” 202. Accanto a lui
spiccavano il card. Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, e il card.
Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova. Ruffini pronunciò in aula al-
meno trentasei discorsi, imponendosi per la forza e la coerenza dei
suoi interventi. La sua voce si levò all’inizio di ogni dibattito ed egli
divenne colui che “apriva il fuoco” 203. Il cardinale di Palermo fece del

199
KÜNG, La mia battaglia, p. 417.
200
Christophe Jean Dumont (1898-1991), domenicano francese, animò il centro ecu-
menico di studi “Istina” dal 1927 al 1967. Cfr. HYACINTHE DESTIVELLE, Souvenirs d’un
pionner. Les Mémoires inédites du Père Christophe-Jean Dumont, in “Istina”, n. 3 (2009),
pp. 279-297.
201
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, pp. 307-309.
202
CAPRILE, vol. II, p. 291.
203
GROOTAERS, I protagonisti, p. 221.
1963: LA SECONDA SESSIONE 331

suo appartamento alla Domus Mariae un’officina in cui preparava


con accuratezza i suoi interventi. Trascorreva lunghe serate, talora si-
no a mezzanotte, nelle biblioteche del Pontificio Istituto Biblico e del-
l’Università Gregoriana, per documentarsi e poi annotava con scru-
polosa diligenza gli schemi conciliari, aggiungendovi le sue osserva-
zioni, sempre lucide e puntuali. I suoi interventi pubblici erano ca-
ratterizzati da una straordinaria chiarezza e capacità di sintesi e da
una forma esemplare in una scorrevole e corretta lingua latina 204.
Accanto a Ruffini vanno ricordati il claretiano spagnolo, Arca-
dio Larraona, e il domenicano irlandese Michael Browne, che ave-
vano passato a Roma tutta la loro vita, ricoprendo importanti in-
carichi ed erano profondamente impregnati di spirito romano.
Giovanni XXIII li aveva elevati alla porpora, il primo nel 1959 e il
secondo nel 1962. Su posizioni analoghe si riconoscevano alcuni
cardinali, meno brillanti, come gli italiani Pizzardo, Marella, Aloi-
si Masella, il filippino Santos, gli americani Spellman (New York)
e McIntyre (Los Angeles), molti presuli spagnoli e un gruppo di
vescovi dalmati guidati dall’arcivescovo di Spalato, Frane Franić.
Il card. Siri confidò a Benny Lai che la realtà del Concilio era
stata “(…) la lotta fra Orazi e Curiazi. Quelli erano tre e tre, in Conci-
lio quattro e quattro. Dalla parte di là: Frings, Liénart, Suenens, Lerca-
ro. Dalla parte di qua: Ottaviani, Ruffini, Browne e io. Dietro ai quattro
una dozzina di vescovi e dietro costoro altri venti o trenta Padri conci-
liari” 205. Siri, in realtà, non svolse mai un ruolo di punta. Egli si
rendeva conto, con costernazione, che i teologi dell’Europa cen-
trale avevano l’appoggio di Paolo VI, la cui longa manus era mons.
Carlo Colombo 206.
Il sostegno di Papa Montini all’ala progressista provocò un
profondo abbattimento nell’arcivescovo di Genova, formatosi in
uno spirito di incondizionata obbedienza al Romano Pontefice. Il

204
Cfr. GIUSEPPE PETRALIA, Il padre conciliare, in Il pastore sulla breccia. Ernesto card. Ruf-
fini, a cura di EMANUELE GAMBINO, Editrice Ancora, Roma 1967, pp. 115-21; A. RO-
MANO, Ernesto Ruffini, cit., pp. 489-590.
205
Colloquio del 28 novembre 1985, in B. LAI, Il Papa non eletto, cit., p. 233.
206
“Appare evidente la posizione preminente in campo dottrinale che ha mons. Carlo Co-
lombo presso il Papa. Il prelato è tutto coi transalpini e non ha mai manifestato interesse ad
avere contatti con noi” (SIRI, Diario, p. 385).
332 IL CONCILIO VATICANO II

20 aprile 1964 Congar annota nel suo diario: “Il cardinale Siri è ma-
lato. Secondo il cardinale Lercaro, non è solo malattia fisica, ma vede le
sue idee praticamente respinte anche dal Papa e si trova senza appog-
gio” 207. Di Paolo VI, scriveva in quei giorni Congar, che “(…) si è
espresso in modo sorprendentemente forte e ardito sul bisogno di supe-
rare una tradizione sclerotizzata: bisogna ricominciare tutto come se
fossimo ai primi secoli della Chiesa” 208.
Si era appena tenuta, dal 14 al 16 aprile, l’Assemblea generale
della CEI, alla quale invece di Siri, ufficialmente assente per ragio-
ni di salute, era intervenuto Paolo VI, con un discorso che traccia-
va la nuova linea dell’organo episcopale. Il 12 agosto successivo, il
Papa sostituì Siri con il cardinale Luigi Traglia 209, pro-vicario gene-
rale di Roma, come pro-presidente ad interim della CEI.
Il card. Siri non si schierò mai apertamente in Concilio, tranne
rare eccezioni, nella convinzione che la CEI da lui rappresentata
avrebbe dovuto svolgere un ruolo moderatore tra gli opposti grup-
pi conciliari. Anche dopo la sua rimozione dalla CEI, la linea stra-
tegica del “partito romano” fu quella di cercare fino all’ultimo di
contrastare la logica dei blocchi contrapposti, nella convinzione
che la propria funzione non fosse quella di un “gruppo”, ma della
guida centrale nel Concilio 210. Questa posizione fu la principale
causa della sconfitta dei vescovi conservatori. Essi infatti soprav-
valutavano le proprie posizioni e non si rendevano conto che, non
avendo il sostegno né di Giovanni XXIII né di Paolo VI, avrebbero
potuto prevalere solo a condizione di saldare le loro forze con
quelle dei vescovi “ultramontani” di tutto il mondo.

207
CONGAR, Diario, vol. II, p. 52. “I sintomi segnalati da Siri, tra cui attacchi di labirinti-
te, erano evidentemente collegati alla forte preoccupazione per l’evoluzione del Concilio”
(N. BUONASORTE, Siri. Tradizione e Novecento, cit., p. 306).
208
CONGAR, Diario, vol. II, p. 65.
209
Luigi Traglia (1895-1977), ordinato nel 1917, consacrato vescovo nel 1937 e creato
cardinale nel 1960. Pro-vicario generale di Roma dal 1960 a marzo 1965, poi vicario
generale di Roma fino al 1968, nominato pro-presidente ad interim della CEI nel 1964.
210
Cfr. A. RICCARDI, La tumultuosa apertura dei lavori, cit., pp. 80-81. “I maggiori diri-
genti della curia, o quelli ad essi collegati, insomma i romani, non sentono di dover scende-
re sul piano della lotta fra “correnti”: c’è in loro una fiducia nella propria autorità e nel ri-
chiamo alla forza della tradizione. Non sarebbe bastata l’autorità del Sant’Uffizio per orien-
tare i padri nelle loro scelte, soprattutto quelle di carattere teologico?” (ivi, p. 81).
1963: LA SECONDA SESSIONE 333

Durante la prima sessione del Concilio, gli “ultramontani”, rac-


colti attorno ai due vescovi brasiliani de Castro Mayer e de
Proença Sigaud avevano promosso un “Piccolo Comitato” per
coordinare la loro azione. Nella seconda sessione essi cercarono di
organizzare meglio le proprie forze, costituendo un vero e proprio
gruppo di Padri conciliari conservatori. Mons. Gerardo de Proença
Sigaud, divenuto arcivescovo di Diamantina, il 18 aprile del 1963
scrisse dal Brasile a mons. Lefebvre per invitarlo a far parte di un
gruppo nascente, di cui lo stesso mons. Sigaud sarebbe stato Se-
gretario 211. L’arcivescovo francese acconsentì con prudente riserva,
il 4 maggio, assicurandosi la collaborazione dei Padri dell’Abbazia
di Solesmes e l’aiuto, come teologo, del suo condiscepolo di Santa
Chiara, don Victor-Alain Berto 212.
Il 22 ottobre del 1963, presso la Curia degli Agostiniani in via del
S. Uffizio, si tenne la prima riunione del gruppo che, solo successi-
vamente, assumerà il nome di Coetus Internationalis Patrum 213. Se-
gretario venne nominato mons. Geraldo de Proença Sigaud, a sua
volta assistito dall’efficiente ufficio di segreteria messo a disposi-
zione dai membri dell’associazione Tradizione, Famiglia e Pro-
prietà (TFP) presenti a Roma 214. Mons. Sigaud, operando sempre in
intima collaborazione con mons. de Castro Mayer, fu il vero moto-
re del Coetus, mentre mons. Lefebvre ne fu il volto più visibile 215.

211
Lettera di mons. de Proença Sigaud a mons. Lefebvre del 18 aprile 1963, in A-Ecô-
ne, 02-09 A.
212
Cfr. B. TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., p. 333.
213
Sul Coetus Internationalis patrum idem in re teologica ac pastorali sententium:
WILTGEN, pp. 147-148; R. LAURENTIN, Bilan de la troisième session, in L’enjeu du Concile,
cit., vol. III, p. 291; R. AUBERT, Organizzazione e funzionamento dell’assemblea, cit., pp. 177-
179; V. A. BERTO, Notre-Dame de joie, cit., pp. 290-295; L. PERRIN, Il Coetus internationalis,
cit., pp. 173-187. S. GÓMEZ DE ARTECHE Y CATALINA, op. cit., vol. II, lib. II, pp. 240-265;
vol. III, lib. III, pp. 290-295, 326-333. Cfr. anche N. BUONASORTE, Tra Roma e Lefebvre. Il
tradizionalismo cattolico italiano e il concilio Vaticano II, Studium, Roma 2003, pp. 73-86.
214
Mons. Lefebvre ricorda che “dei brasiliani, membri della TFP, ci hanno aiutato con una
dedizione inaudita, ciclostilando di notte i lavori che noi avevamo redatto in cinque o sei ve-
scovi, cioè il comitato direttivo del Coetus Internationalis Patrum, che io avevo fondato
con monsignor Carli, vescovo di Segni e monsignor de Proença Sigaud, arcivescovo di Dia-
mantina in Brasile” (M. LEFEBVRE, Lo hanno detronizzato, cit., p. 176). “Dobbiamo rico-
noscere – disse ancora – che è stata la TFP a salvare il Brasile dal comunismo” (cit. in B.
TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., p. 333).
334 IL CONCILIO VATICANO II

Essi assunsero quel ruolo di guida che i Padri conciliari italiani, con
qualche eccezione, rinunciavano ad esercitare.
Nell’ottobre del 1963, si aggiunse al gruppo mons. Luigi Carli,
vescovo della diocesi di Segni. Carli era uno dei migliori teologi
del Concilio, particolarmente temuto dal partito antiromano. Invi-
tato dal gruppo dei Padri conservatori che si riuniva presso la Ca-
sa dei Verbiti accettò di unirsi a loro, pur mantenendo in alcuni ca-
si la sua indipendenza. Così, spiegherà mons. Lefebvre: “L’anima
del Coetus era monsignor de Proença Sigaud nella funzione di Segretario:
io stesso, in qualità di ex Delegato Apostolico e di Superiore generale del-
la Congregazione, ero la copertura, col ruolo di presidente; mons. de Ca-
stro Mayer era il vicepresidente e il pensatore, mentre monsignor Carli
era la penna, con la sua competenza, il suo spirito vivace e l’abilità pro-
pria degli italiani” 216.
Lo stesso abbé Berto spiegava in una lettera come il principale
lavoro svolto dal Coetus fosse “la preparazione dei Modi per i Placet
iuxta modum”.

“Quando si vota iuxta modum, bisogna fornire sul campo il modus che
si desidera e la ragione per la quale si propone il modus. Su duemila Padri,
non ve ne sono duecento che possano svolgere questo lavoro, per mancanza
di gusto e di tempo, ma molti, se il modus e la Ratio modi vengono loro
forniti già pronti, non chiedono di meglio che di utilizzarli, poiché in fondo
non sono contenti dei testi che vengono presentati loro in Aula. Il nostro
lavoro (al nostro piccolo collegio di teologi) consiste quindi nel passare al se-
taccio il testo, nel determinare i passaggi inaccettabili, nel preparare il mo-
dus e la Ratio modi, nel redigere l’uno e l’altra con la massima densità e
brevità – il che non è poco! – Ma, poiché i Segretari sono ancora meno dei
teologi, bisogna anche svolgere il loro lavoro materiale: ciclostile, archivia-
zione di fogli, graffare, suddivisione tra i Padri. (…) Tutto questo lavoro è
efficace? Potrebbe esserlo di più; lo è già molto. Finora sul voto più impor-
tante della sessione vi sono stati 574 Placet iuxta modum. Su questi 574,

215
Cfr. J. O. BEOZZO, op. cit., p. 531; H. RAGUER, Fisionomia iniziale dell’assemblea, cit.,
pp. 222-224.
216
Le Coetus Internationalis Patrum, un combat qui aurait pû être victorieux, in “Fide-
liter”, n. 59 (1987), pp. 43-44.
1963: LA SECONDA SESSIONE 335

ve ne sono stati almeno 540 che hanno utilizzato dei moda proposti da noi.
Ne abbiamo distribuiti 600, per mancanza di tempo per distribuirne di più.
Come potete vedere, non è stato del lavoro inutile.
Tutto questo non impedisce di agire in altri modi, durante gli incontri e
le conversazioni. Esiste un solo metodo al quale nessuno di noi pensa, è
l’intrigo e la manovra. La distribuzione dei moda è accessibile alle varie
conferenze episcopali, le nostre riunioni di lavoro del martedi sono pub-
bliche. Filii lucis sumus” 217.

Non si può non collegare alla preoccupazione per la nascita del


Coetus la visita che Paolo VI fece, il 31 ottobre 1963, all’Università La-
teranense, bastione della resistenza antiprogressista, per l’inaugura-
zione dell’anno accademico. Il Papa concluse il suo discorso affer-
mando che la Lateranense aveva il dovere di fare un lavoro positivo,
abbandonando per sempre tutto ciò che era negativo e critico. “Gli
studenti – annotava Congar – hanno accolto queste parole con applausi
scroscianti. Avevano capito che questo significava la sconfessione dello spi-
rito di mons. Piolanti e la fine degli attacchi contro il Biblicum” 218.

9. Tra primato di Pietro e collegialità

a) Le radici del dibattito

La discussione sul capitolo della collegialità dei vescovi costituì


il cuore del dibattito conciliare su cui i padri avrebbero discusso
per 9 Congregazioni generali 219. Il Concilio chiedeva, in ultima

217
Lettera del 12 ottobre 1964, in Notre Dame de Joie, cit., pp. 290-291. “Potete vedere
dai giornali – scriveva l’abbé Berto il 12 novembre 1963 alle Domenicane del Santo
Spirito – che tutta l’enorme macchina che ruota attorno al Concilio (poiché non voglio dire
niente del Concilio in quanto tale) va a scontrarsi con la romanità teologica (…). Noi (in-
tendo i teologi romani) non abbiamo accesso da nessuna parte; siamo banditi nella nostra
stessa patria. Resistiamo al fiume, siamo lontani dal poter capovolgere il suo corso” (Lette-
ra del 12 novembre 1963, ivi, p. 277).
218
CONGAR, Diario, vol. I, p. 412. Anche de Lubac annota: “Alla Gregoriana (e suppon-
go al Biblico) si esulta” (DE LUBAC, Quaderni, p. 469).
219
Cfr. AS, II/2, pp. 82-124 e pp. 222-914. Cfr. anche A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit.,
pp. 271 sgg; PIERO CODA, La Chiesa Corpo di Cristo e l’ordinazione universale al popolo
336 IL CONCILIO VATICANO II

analisi, ai vescovi di definire la loro autorità nei confronti del Ro-


mano Pontefice. Essi erano giudici e parti in causa del problema
dottrinale che veniva loro proposto.
Nella Chiesa la potestà di giurisdizione compete, iure divino, al
Papa e ai vescovi. La pienezza del potere di giurisdizione risiede
tuttavia solo nel Papa su cui è fondato tutto l’edificio ecclesiastico.
Il Romano Pontefice è l’autorità sovrana di tutta la Chiesa e, in
virtù del suo primato di governo universale, ne resta il legislatore
supremo 220.
La dottrina cattolica sul primato di Pietro e sulla giurisdizio-
ne del Romano Pontefice, già esposta nel II Concilio di Lione del
1274 221, nel Concilio di Firenze del 1439 222 e nella Professio Fidei tri-
dentina 223, fu solennemente definita nel Concilio Vaticano I, con
la costituzione dogmatica Pastor Aeternus (18 luglio 1870) 224 che
riaffermava il primato non solo di onore, ma di vera e propria
giurisdizione del Romano Pontefice sulla Chiesa universale. Se-
condo tale definizione, il Romano Pontefice può nella Chiesa tut-
to, lo può sopra tutti, lo può senza essere limitato da nessuno. Ciò
esclude la possibilità di una concezione “collegiale” o “democra-
tica”, secondo cui il Collegio dei vescovi, con o senza il Papa al
suo interno, possa avere una qualsiasi autorità indipendente dal-
la sua. La definizione del Vaticano I aveva eretto un bastione in-
sormontabile contro le tendenze anti-papiste serpeggianti anche
all’interno della Chiesa cattolica. La parola d’ordine dei “novato-
ri” fu quella di “riequilibrare” il dogma del Vaticano I, affiancan-
do ad esso il principio della “collegialità” di governo.

di Dio. Rileggendo la “Lumen gentium”, in “Lateranum”, n. 68 (2002), pp. 267-278;


CLAUDIO DELPERO, La Chiesa del Concilio. L’ecclesiologia nei documenti del Vaticano II
(Ricerca e teologia, 2), Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2005; LAURENT VILLEMIN,
Pouvoir d’ordre et pouvoir de juridiction. Histoire théologique de leur distinction, Cerf, Pa-
rigi 2003. Si veda anche M. WILDE, How Culture Mattered Vatican II: Collegiality Trum-
ps Authority in the Council’s Social Movement Organizations, in “American Sociologi-
cal Review”, n. 69 (2004), pp. 576-602.
220
Cfr. JOËL-BENOÎT D’ONORIO, Le Pape et le gouvernement de l’Eglise, Fleurus-Tardy,
Parigi 1992, p. 100.
221
DENZ-H, n. 861.
222
Ivi, n. 1307.
223
Ivi, nn. 1868-1869.
224
Ivi, nn. 3050-3075.
1963: LA SECONDA SESSIONE 337

I progressisti sostenevano che Gesù Cristo non aveva affidato


il governo della Chiesa solo a Pietro, ma ai “Dodici”, vale a dire
ad un collegio apostolico di cui Pietro faceva parte in qualità di ca-
po. Essi ritenevano che se il Concilio Vaticano I aveva riaffermato
il primato del Romano Pontefice, il Vaticano II avrebbe dovuto ri-
conoscere l’esistenza di un collegio episcopale erede del collegio
apostolico 225.
La prima ragione di questa rivendicazione era di ordine “ecu-
menico”. Il dogma del primato costituiva la principale pietra di in-
ciampo nel dialogo ecumenico e, per favorire tale dialogo, occorre-
va attenuarne la portata, mettendo in luce la dimensione “collegia-
le” del governo della Chiesa. La “riscoperta” del ruolo dell’episco-
pato affiancato (e implicitamente contrapposto) a quello del Ponte-
fice, era nata, per impulso di dom Beauduin 226, negli ambienti del
monastero di Chevetogne, gravitanti attorno alla rivista “Irenikon”.
Il neologismo “collegialità” era stato coniato, nel 1951 sulla rivista
di Chevetogne, dal padre Congar, per tradurre il termine russo “so-
bornost” 227. Esso voleva indicare l’attribuzione ai vescovi che gover-
nano le varie diocesi del mondo di un potere di governo nel loro in-
sieme, come “collegio” erede del collegio apostolico dei Dodici.
Nel 1960, quattro professori dell’Istituto ortodosso San Sergio
di Parigi avevano pubblicato un libro dedicato a Il primato di Pie-
tro 228, in cui opponevano all’ecclesiologia cattolica, fondata sulla
nozione giuridica di “potere”, un’ecclesiologia “collegiale”, fon-
data sul primato dell’amore. Dom Olivier Rousseau, monaco di
Chevetogne, legato all’Istituto San Sergio, ma anche molto vicino
al vescovo di Namur mons. Charue, vice presidente della Com-

225
Cfr. LIÉNART, Vatican II, p. 98.
226
Cfr. C. MOELLER, Il fermento delle idee nella elaborazione della costituzione, in La Chie-
sa del Vaticano II, cit., pp. 155-159.
227
Cfr. Y. CONGAR, Le peuple fidèle et la fonction prophétique de l’Eglise, in “Irenikon”, n.
24 (1951), p. 446 (pp. 440-466). Cfr. NICOLAS AFANASIEFF, Le Concile dans la théologie
orthodoxe russe, in “Irenikon”, n. 35 (1962), pp. 316-317; O. ROUSSEAU o.s.b., I movi-
menti rinnovatori degli ultimi decenni, in La Chiesa del Vaticano II, cit., pp. 119-120; A.
CAVAZZA, L’idea di Sobornost, cit., pp. 129-144.
228
N. AFANASIEFF-NICOLAS KOULOMZINE-JEAN MEYENDORFF-ALEXANDRE SCHMEMANN,
La primauté de Pierre, Delacroix et Niestlée, Neuchâtel 1960. Il volume apparve in te-
desco (1961) e in inglese (1963).
338 IL CONCILIO VATICANO II

missione teologica del Concilio, aveva contribuito a mettere in cir-


colazione queste idee 229.
Una seconda ragione che fondava le rivendicazioni episcopali
era di carattere teologico: all’interno della Chiesa riaffioravano le
tendenze del conciliarismo del XV secolo, del febronianesimo del
XVIII secolo e dell’anti-infallibilismo del XIX secolo, che avevano
cercato di limitare in tempi e modi diversi l’autorità e l’influenza
del Papato. A Costanza, in particolare, nella quinta sessione del 6
aprile 1418, il Concilio aveva approvato, con la votazione per na-
zioni, il decreto Haec Sancta 230, in cui si diceva che “il Concilio di Co-
stanza, legittimamente riunito nello Spirito Santo, formante un Concilio
ecumenico e rappresentante la Chiesa militante, derivava la sua potestà
immediatamente da Dio e tutti, compreso il Papa, erano obbligati a obbe-
dirgli per quanto riguardava la fede e l’estinzione dello scisma” 231.
Questa formulazione era stata ripetutamente condannata 232, ma
nel 1959 erano apparsi una serie di saggi del benedettino Paul De
Vooght, nei quali si proponeva una revisione del tradizionale giu-
dizio teologico sul decreto di Costanza, sulla base di una distin-
zione tra conciliarismo moderato, dai medievali al Concilio di Co-
stanza, e conciliarismo radicale, da Marsilio di Padova al Concilio
(eterodosso) di Basilea 233.
C’era infine una terza ragione di carattere più politico. Negli
ambienti progressisti, soprattutto francesi, il modello della Chiesa
come “monarchia assoluta” sembrava stridere con le istanze “de-

229
Cfr. E. LANNE, La perception en Occident, cit., pp. 122-123.
230
Cfr. MANSI, vol. XXIX, coll. 21-22.
231
Sul Concilio di Costanza, cfr. la voce di LÉON CRISTIANI, Constance, in DDC, IV
(1949), pp. 390-424.
232
A Firenze, il 4 settembre 1439, Eugenio IV definì solennemente, contro la Haec
Sancta, il primato del Romano Pontefice (DENZ-H, n. 1307). Lo stesso fece Pio II con
la bolla Execrabilis del 18 gennaio 1460 (DENZ-H, n. 1376).
233
Cfr. PAUL DE VOOGHT, Les controverses sur les pouvoirs du Concile et l’autorité du Pa-
pe au Concile de Constance, in “Revue théologique de Louvain”, n. 1 (1970), pp. 47-
75; Le conciliarisme aux conciles de Constance et de Bâle, in Le concile et les conciles, Cerf,
Parigi 1960, pp. 143-181; Le concile œcuménique de Constance et le conciliarisme, in “Isti-
na”, n. 9 (1963), pp. 57-86; Le conciliarisme aux conciles de Constance et de Bâle. Com-
pléments et précisions, in “Irékon”, n. 36 (1963), pp. 61-75 e, infine, Les pouvoirs du con-
cile et l’autorité du Pape au Concile de Constance, Cerf, Parigi 1965. Sulla stessa linea si
trovava lo studio di BRIAN TIERNEY, Foundations of the conciliar theory, Cambridge
University Press, Cambridge 1955.
1963: LA SECONDA SESSIONE 339

mocratiche” della società moderna. I progressisti vedevano il Con-


cilio come una assemblea rappresentativa analoga a quelle politi-
che e nei vescovi i mandatari della “volontà del Popolo di Dio”.
In alcuni teologi, come Congar e Küng, le tre motivazioni con-
fluivano e si esprimevano in un netto rifiuto della supremazia del
Papato. “Per mille anni da noi si è visto e costruito tutto nell’ottica del
Papato e non in quella dell’episcopato e della sua collegialità. Ora occor-
re fare questa storia, questa teologia, questo diritto canonico” annotava
il teologo domenicano nel suo Diario, il 25 settembre 1964 234.
Per ampliare il ruolo dell’episcopato, il partito antiromano enfa-
tizzava il potere di ordine dei vescovi, conferito attraverso la con-
sacrazione episcopale, rispetto al potere di giurisdizione, conferito
per via di mandato. A questa enfatizzazione della natura sacra-
mentale dell’episcopato, si accompagnava quella del ruolo eminen-
temente episcopale del Papa, ridotto a primus inter pares all’interno
del collegio dei vescovi. Alla dottrina tradizionale, sbrigativamente
qualificata come “giuridista” 235, veniva contrapposta la tesi secondo
cui la Chiesa è retta da un potere apostolico di struttura sacramen-
tale e collegiale. La parola d’ordine era quella di liberare la Chiesa
dall’involucro giuridico che la soffoca e di trasformarla da struttu-
ra di vertice in struttura democratica ed egualitaria.

b) La discussione in aula

Quando il dibattito si aprì, il 4 ottobre, a favore della collegia-


lità si espressero i cardinali Meyer 236, Léger 237, König 238, Alfrink 239
e mons. De Smedt 240 (Bruges). Per contro, in favore del primato
petrino, intervennero i cardinali Siri 241 e Ruffini 242, mons. Dino

234
CONGAR, Diario, vol. II, 136.
235
A. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 94 e sgg.
236
AS, II/2, pp. 230-232.
237
Ivi, pp. 223-225.
238
Ivi, pp. 225-227.
239
Ivi, pp. 232-233.
240
Ivi, pp. 263-266.
241
Ivi, pp. 222-223.
242
Ivi, pp. 84-87.
340 IL CONCILIO VATICANO II

Staffa 243 e mons. de Proença Sigaud 244. Quest’ultimo, il 9 ottobre,


affermò in aula che uno studio comparato degli articoli 12, 13, 16,
dello schema dava l’impressione che si insegnasse una nuova
dottrina. Ritornato al suo posto, ricevette un biglietto di mons.
Luigi Carli, che si congratulava con lui. Era l’inizio di una stretta
collaborazione.
Il 10 ottobre, in una intervista al “Divine World Service”, mons.
Sigaud si disse convinto che il rafforzamento delle conferenze epi-
scopali nazionali avrebbe ristretto sia i poteri dei vescovi locali che
quelli del Papa 245. Il potere di comandare la Chiesa universale, ag-
giunse, “fu dato a Pietro da solo come un potere personale e fu trasmes-
so da Pietro ai suoi successori nel Papato. Nemmeno il Pontefice stesso –
concluse il prelato – potrebbe modificare questa struttura fondata da
Cristo e cominciare a reggere la Chiesa per mezzo di una specie di Conci-
lio permanente” 246.
L’11 ottobre prese la parola il nuovo vescovo ausiliare di Bolo-
gna, mons. Luigi Bettazzi 247, il più giovane Padre conciliare, desti-
nato a divenire famoso per il suo appoggio al “compromesso sto-
rico” tra cattolici e comunisti 248. Il suo intervento in aula, basato su
un appunto preparato da Alberigo e Dossetti, definiva novatores gli
avversari della collegialità, sostenendo che la giurisdizione eccle-
siale del collegio dei vescovi era in continuità con la tradizione teo-
logica del XVIII-XIX secolo 249. “Ha respinto le posizioni di Ruffini e Si-
ri, che ha definito – o derisione! – novatores” 250, commentava com-

243
Ivi, pp. 323-324.
244
Ivi, pp. 366-369.
245
“Divine World Service”, 10 ottobre 1963.
246
Ivi.
247
Luigi Bettazzi (1923), ordinato nel 1946. Vescovo ausiliare di Bologna dall’agosto
1963 al 1966, poi vescovo di Ivrea. Di lui cfr. Non spegnere lo spirito. Continuità e di-
scontinuità del Concilio Vaticano II, Queriniana, Brescia 2006; In dialogo con i luterani:
memorie e riflessioni di un vescovo un po’ laico, Aliberti, Reggio Emilia 2008.
248
Cfr. la lettera aperta inviata dal Segretario generale del Partito comunista italiano a
Enrico Berlinguer (Comunisti e cattolici: chiarezza di principi e basi di un’intesa, in “Rina-
scita”, n. 40 (1977), pp. 3-5), in risposta ad un’analoga lettera di mons. Bettazzi (Lette-
ra aperta all’on. Berlinguer, in “Il Risveglio popolare”, 8 luglio 1976). Sul “caso” si ve-
da G. CANTONI, La “Lezione italiana”. Premesse, manovre e riflessi della politica di “com-
promesso storico” sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, pp. 167-176.
249
AS, II/2, pp. 484-487.
250
CHENU, Diario, p. 146.
1963: LA SECONDA SESSIONE 341

piaciuto Chenu nel suo Diario, mentre “L’Avvenire d’Italia” appa-


riva con un titolo trionfante: “Applausi al Concilio a scena aperta per
il più giovane vescovo italiano” 251. Il 15 ottobre replicarono Siri, Wy-
szyński, Jubany 252 e Browne 253. Mons. Marcel Lefebvre, conferman-
do le tesi di Sigaud con la sua esperienza missionaria (aveva fon-
dato quattro conferenze episcopali nel Madagascar, nel Congo, ex
francese, nel Camerun e a Dakar, nell’Africa occidentale francese),
dichiarò che lo strapotere delle conferenze episcopali avrebbe mi-
nacciato non solo il Papato, ma anche i poteri pastorali e docenti
dei singoli vescovi 254.
Negli stessi giorni si affrontò il tema del diaconato e quello del
laicato. Contro il principio di un diaconato come struttura perma-
nente della Chiesa intervennero i cardinali Bacci 255 e Spellman 256, a
cui risposero Döpfner 257 e Suenens 258. Mons. Alvim Pereira 259, arci-
vescovo di Lourenço Marques (Mozambico), parlò a nome di 38
vescovi portoghesi, affermando che se il candidato non aveva la
scienza che ci si attendeva da un sacerdote e non era celibe, non era
qualificato per il diaconato; se al contrario possedeva questa scien-
za ed era celibe, avrebbe dovuto essere ordinato sacerdote 260.
Il 22 ottobre, il card. Suenens propose che il capitolo III che trat-
tava del “popolo di Dio” precedesse il capitolo II, che parlava del-
la gerarchia della Chiesa. Non si trattava di un semplice sposta-
mento di capitoli, ma del passaggio dalla teologia tradizionale del
Corpo Mistico alla nuova ecclesiologia del “popolo di Dio” 261. Sue-
nens aveva chiesto ad Hans Küng di preparargli il discorso, che fu

251
“L’Avvenire d’Italia”, 12 ottobre 1963.
252
Narciso Jubany Arnau (1913-1996), spagnolo, ordinato nel 1939, vescovo ausilia-
re di Barcellona nel 1955, consacrato vescovo di Ortosia di Fenicia nel 1956, vesco-
vo di Gerona nel 1964, arcivescovo di Barcellona nel 1971, creato cardinale nel 1973.
253
AS, II/2, pp. 572-573; 574-577; 580-586; 600-601.
254
Ivi, pp. 471-472.
255
Ivi, pp. 87-89.
256
Ivi, pp. 82-83.
257
Ivi, pp. 227-230.
258
Ivi, pp. 317-320.
259
Custodio Alvim Pereira (1915-2006), portoghese, ordinato nel 1937, arcivescovo
di Lourenço Marques (Mozambico) dal 1962 al 1974.
260
AS, II/2, pp. 500-501.
261
Cfr. l’editoriale Dalla teologia del “Corpo Mistico” all’ecclesiologia del “popolo di Dio”,
in “Civiltà Cattolica”, q. 3231 (1985), pp. 209-221. Il padre Congar, redattore princi-
342 IL CONCILIO VATICANO II

tutto impostato sull’aspetto “carismatico” e “profetico” della Chie-


sa 262. I carismi – disse il Primate del Belgio – sono un aspetto cen-
trale e non periferico della costituzione della Chiesa, in cui lo Spi-
rito Santo è sempre presente, con tutti i suoi doni che si riversano
su tutti i cristiani, senza eccezione. La Chiesa non è “giuridica” ma
essenzialmente “pneumatica”, costruita non solo sugli Apostoli,
ma anche sui profeti.
La discussione si protrasse per tutto il mese di ottobre senza che
si raggiungesse un accordo, ma con una forte tendenza a svilup-
pare una nuova concezione della Chiesa come communio.
All’interno della Commissione teologica fu allora formata una
sottocommissione, detta De Collegialitate, per discutere il proble-
ma della collegialità episcopale contenuta nello schema De Eccle-
sia. Ne facevano parte i teologi Maccarrone, Rahner, Ratzinger e
Salaverri 263. Maccarrone e Salaverri avrebbero voluto introdurre
nel III capitolo dello schema De Ecclesia l’esplicita citazione del
Vaticano I sulla potestà papale, ma la proposta fu bloccata dai col-
leghi periti Rahner e Ratzinger 264.

c) La battaglia dei Dodici è stata vinta!

Le votazioni del 29 e del 30 ottobre sulla collegialità, alla fine


della 48a Congregazione generale, segnarono il punto culminante
della seconda sessione. Il 29, dopo la votazione sullo schema De

pale di quello che sarà il n. 9 della Lumen Gentium, proporrà l’appellativo di “popo-
lo messianico” (cfr. Y. CONGAR, Un popolo messianico, tr. it. Queriniana, Brescia 1975).
262
KÜNG, La mia battaglia, pp. 422-423; J. GROOTAERS, Diversité des tendances, in The Bel-
gian contribution, p. 560. “È evidente – commentò Grootaers – che Suenens, con questo
intervento al Vaticano II, è stato l’avanguardia dei movimenti carismatici che, venti anni
più tardi, invaderanno il proscenio di Giovanni Paolo II e diverranno una caratteristica de-
terminante del pontificato woytiliano” (ivi, p. 561).
263
Joaquín Salaverri de la Torre (1892-1979), teologo spagnolo della Compagnia di
Gesù, ordinato nel 1925, professore di Ecclesiologia alla Pontificia Università Co-
millas fino al 1972. Consultore della Commissione preparatoria del Concilio (1960-
1962) e perito teologo (1962-1965). Cfr. la voce di J. ESCALERA, in DHCJ, p. 3648.
264
M. SENSI, Monsignor Michele Maccarrone, cit., pp. 18-19; F. ÁLVAREZ ALONSO, Prima-
to e collegialità, cit.
1963: LA SECONDA SESSIONE 343

Beata Maria Virgine, furono proposte ai Padri conciliari una serie di


questioni, così graduate:

“Se piace ai Padri che il Concilio affermi: 1. Che la consacrazione episco-


pale costituisca il grado supremo del Sacramento dell’Ordine. 2. Che cia-
scun vescovo legittimamente consacrato in comunione con i vescovi e con
il Papa, loro capo e principio di unità, divenga membro del Collegio epi-
scopale. 3. Che questo Corpo, Collegio dei Vescovi succede al Collegio de-
gli Apostoli nella missione di evangelizzare, santificare e governare, e che
questo collegio dei Vescovi, unito con il suo capo, il Romano Pontefice, e
mai senza il suo capo – essendo bene inteso che il diritto primaziale in
questo capo resti salvo e intero – goda di un potere supremo e plenario nel-
la Chiesa universale. 4. Che questo potere appartenga, per diritto divino,
al Collegio Episcopale unito al suo capo. 5. Che sia opportuno il ripristi-
no del diaconato come grado distinto e stabile del ministero sacro”.

I fautori della collegialità non potevano che essere soddisfatti


dal modo in cui le questioni erano enunciate e dai conseguenti ri-
sultati del voto. Alla prima questione 2.123 sì e 34 no; alla seconda
2.049 sì, 104 no e una scheda nulla; alla terza 1.808 sì, 336 no e 4
schede nulle; alla quarta 1.717 sì, 408 no e 13 schede nulle. Alla
quinta, 1.588 sì e 525 no. Il terzo quesito era quello chiave perché
istituiva un soggetto di diritto ignoto alla tradizione della Chiesa:
il collegio episcopale nel suo insieme, a cui veniva attribuito il su-
premo potere nella Chiesa. Le prime due questioni costituivano il
presupposto della terza: l’insieme dei vescovi poteva assumere il
supremo potere solo a condizione che essi assumessero il grado
sommo dell’ordine sacro nella consacrazione (ciò che il Concilio di
Trento aveva implicitamente negato) e che, attraverso la consacra-
zione, e non per nomina papale, il vescovo entrasse a far parte del
collegio episcopale. Il quarto quesito sanciva ciò che era stato pre-
cedentemente stabilito. Oltre quattrocento vescovi rifiutavano
dunque l’affermazione secondo cui il potere supremo e plenario
sulla Chiesa universale appartenesse per diritto divino al Collegio
episcopale. La maggioranza dei due terzi era però acquisita e i
giornali di tutto il mondo annunciarono che si voltava pagina nel
governo della Chiesa. La votazione, ricorda Küng, venne definita
344 IL CONCILIO VATICANO II

come “la pacifica ‘Rivoluzione d’ottobre’ della Chiesa cattolica” 265. La


Chiesa sembrava voler sostituire alla sua struttura giuridica mo-
narchica una struttura giuridica democratica guidata non dal Pa-
pa, ma dall’insieme dei vescovi. A Bruxelles, il card. Suenens can-
tava vittoria affermando che “il 30 ottobre è una data decisiva nella
storia della Chiesa. La battaglia dei Dodici è stata vinta” 266. Con parole
analoghe, Paolo VI aveva accolto i tre Moderatori “progressisti”
del Concilio (Döpfner, Lercaro, Suenens) all’indomani della gior-
nata “storica” del 30 ottobre: “Dunque abbiamo vinto!” 267.
Il testo votato era tuttavia indicativo e non definitivo. Era evi-
dentemente pretestuoso immaginare che il voto del 30 ottobre, non
ratificato dal Papa, potesse divenire un voto determinante. Fu di-
rettamente a Paolo VI che si rivolsero gli oppositori della collegia-
lità, con l’appoggio del Segretario Felici il quale, secondo König,
“nelle sue visite quotidiane al Papa non si esimeva certo dall’esporre i la-
ti pericolosi del nuovo statuto che il Concilio intendeva introdurre” 268.
Il 31 ottobre venne distribuita la relazione della Commissio-
ne, che aveva elaborato lo schema riguardante i vescovi e il go-
verno delle diocesi. Il bersaglio dei progressisti era ora la Curia ro-
mana. Il 5 novembre il card. Marella 269 presentò lo schema di de-
creto De episcopis ac de diocesium regimine, elaborato dalla Com-
missione da lui presieduta 270. Dopo l’esposizione dell’origine, lo
sviluppo e il contenuto dello schema da parte di mons. Carli 271,
intervennero in difesa del decreto i cardinali Ruffini 272, Browne 273
e Ottaviani 274, denunciando il pericolo che le conferenze episco-
pali nazionali usurpassero l’autorità della Santa Sede. Il primo

265
KÜNG, La mia battaglia, p. 426.
266
“Informations catholiques internationales”, 1 novembre 1963, p. 3.
267
CHENU, Diario, p. 148.
268
KÖNIG, Chiesa dove vai?, cit., p. 29.
269
Paolo Marella (1895-1984), ordinato nel 1918, arcivescovo di Doclea nel 1933,
creato cardinale nel 1959, presidente del Segretariato per i non Cristiani dal 1964
al 1973.
270
AS, II/4, pp. 435-438. Il dibattito in AS, II/4, pp. 393-748; AS, II/5, pp. 9-411.
271
Ivi, pp. 439-445.
272
Ivi, pp. 476-478.
273
Ivi, p. 486 e pp. 626-627.
274
Ivi, pp. 624-625.
1963: LA SECONDA SESSIONE 345

attacco contro la Curia fu lanciato dal card. Richaud 275, arcive-


scovo di Bordeaux, a cui seguì mons. Gargitter 276, vescovo di
Bressanone. Entrambi reclamarono una riorganizzazione e mag-
giore “internazionalizzazione” della Curia. Il giorno successivo,
il card. Alfrink, parlando a nome dei vescovi olandesi, sottolineò
che se la collegialità era di diritto divino, ne conseguiva che il
collegio dei Vescovi aveva la preminenza sulla Curia e che que-
sta non aveva il diritto di interporsi tra il Papa e i vescovi. Al-
frink auspicò l’istituzione di un organismo centrale della Chiesa
comprendente vescovi di ogni parte del mondo, che avrebbe
rappresentato “come un segno del regime collegiale (…) e insieme
strumento con cui si sarebbe potuto, in certo qual modo, porre in eser-
cizio tale regime collegiale della Chiesa” 277.
Il 6 novembre Maximos IV Saigh tenne un discorso, come sempre
in lingua francese, “incendiario” 278, a dire di Jedin, contro la Curia ro-
mana e il Collegio dei cardinali, che a suo avviso bisognava sostitui-
re mediante un “sacro collegio della Chiesa universale” costituito dai pa-
triarchi apostolici, cardinali-arcivescovi o vescovi residenziali e dai
vescovi scelti all’interno delle conferenze episcopali di ogni Paese 279.
Il card. König aveva appena fatto una proposta simile, suggerendo
che una volta o due per anno il Pontefice avrebbe potuto convocare i
presidenti delle conferenze episcopali e altri vescovi per sentire la lo-
ro opinione su materie riguardanti la Chiesa universale 280. König in-
vocò per il governo della Chiesa il principio di sussidiarietà e, in una
dichiarazione al “Divine World Service”, si disse favorevole ad am-
pliare il ruolo delle conferenze episcopali 281. Quel giorno l’abbé Ber-
to scriveva un’accorata lettera a mons. Carli, mostrando come l’amo-
re che si deve al Papa è di natura filiale, rivolto a una concreta per-
sona, “in carne et ossibus”, che possiede il Papato. La collegialità, spie-

275
AS, II/4, pp. 450-452. Paul-Marie Richaud (1887-1968), francese, ordinato nel
1913, creato cardinale nel 1958. Arcivescovo di Bordeaux dal 1950 fino alla morte.
276
AS, II/4, pp. 453-455. Joseph Gargitter (1917-1991), ordinato nel 1942. Vescovo di
Bressanone dal 1952 al 1986.
277
AS, II/4, p. 480 (pp. 479-481).
278
H. JEDIN, op. cit., p. 313.
279
AS, II/4, pp. 516-519.
280
Ivi, pp. 478-479.
281
“Divine World Service”, 7 novembre 1963.
346 IL CONCILIO VATICANO II

ga Berto, “è mortale per l’‘amore del Papa’, perché distrugge la sua pater-
nità” 282. “La relazione paternità-filiazione è una relazione tra due persone fi-
siche immediatamente congiunte. Se il Papa è il Capo della Chiesa, soltanto
perché è il Capo del Collegio Episcoporum, allora il vero Sovrano della
Chiesa è questo collegio, cioè una persona morale (…). Mi dicano i ‘colle-
giatari’: chi mai amerebbe una persona morale? Chi mai amerebbe filial-
mente un Collegio pensando nel cuore: il Collegio è mio Padre e io sono suo
figlio? (…) E chi mai potrebbe credere che la paternità di Dio “ex quo om-
nis paternitas in coelo et in terra nominatur” sia rappresentata, figura-
ta, partecipata, da un Ente collegiale, proprio nel più alto ordine delle cose
create, cioè nella sua Chiesa?” 283.
In difesa della Curia intervennero, il 7 novembre, mons. Ma-
son 284, vicario apostolico di El Obeid in Sudan, il patriarca arme-
no di Cilicia, Ignace Pierre XVI Batanian 285, e mons. Aurelio Del
Pino Gómez 286, vescovo di Lerida, in Spagna. Quest’ultimo af-
fermò che la Curia Romana ha avuto uomini eccellenti in santità,
saggezza, prudenza e carità, tra i quali molti furono in seguito
elevati all’ufficio del supremo pontificato. La Curia Romana è
formata da uomini “scelti da tutte le nazioni”, aggiunse il vescovo
spagnolo, sottolineando che, “poiché le Sacre Congregazioni sono lo
strumento che il Papa usa per governare la Chiesa, dobbiamo renderci
conto che qualsiasi cosa si dica contro la Sacra Curia romana è detta, in
qualche modo, anche contro lo stesso Pontefice di Roma” 287.

d) L’attacco al Sant’Uffizio

L’attacco a fondo contro la Curia era fissato per l’8 novembre.


Lo sferrò il cardinale di Colonia Frings. Nel suo intervento egli at-

282
V. A. BERTO, Lettera a mons. Carli del 6 novembre 1963, in N. BUONASORTE, Per la “pu-
ra, piena, integra fede cattolica”, cit., p. 124.
283
Ivi.
284
AS, II/4, pp. 606-607.
285
AS, II/4, pp. 558-559. Ignace Pierre XVI Batanian (1899-1979), nato in Turchia, or-
dinato sacerdote nel 1921. Patriarca armeno di Cilicia (Libano) dal settembre 1962
al 1976. Membro della Commissione per le Chiese Orientali.
286
AS, II/4, pp. 596-599.
287
Ivi, p. 597.
1963: LA SECONDA SESSIONE 347

taccò direttamente il Sant’Uffizio, diretto da Ottaviani, affermando


che la sua procedura “non si addice più alla nostra epoca, nuoce alla
Chiesa ed è un oggetto di scandalo per molti”. La difesa della fede è un
compito estremamente difficile – aggiunse – ma “nessuno dovrebbe
essere giudicato e condannato senza essere stato ascoltato e senza avere
avuto la possibilità di correggere la sua opera e la sua azione” 288. Dal fon-
do della Basilica, un gruppo di giovani vescovi progressisti lo ap-
plaudì freneticamente 289.
Il cardinale Ottaviani, che quel giorno era iscritto a parlare, andò
al microfono e replicò immediatamente con un vibrante intervento:

“Protesto – disse –. Mi sento tenuto a levare un’altissima protesta contro


ciò che è stato detto contro la suprema Congregazione del Sant’Uffizio, di
cui è prefetto il Sommo Pontefice. Le parole che sono state pronunciate di-
mostrano una grave ignoranza – mi astengo, per riverenza, dall’utilizzare
un altro termine – su quella che è la procedura del Sant’Uffizio” 290.

Il clima si fece tesissimo. Il card. Lercaro cercò di calmare gli


spiriti con un abile intervento, che fingendo moderazione, spinge-
va a fondo l’attacco contro Ottaviani 291. Nei giorni successivi cir-
colò tra i Padri conciliari un anonimo Memorandum sulle Commis-
sioni conciliari, in cui il presidente della Commissione dottrinale
Ottaviani veniva denunciato per la sua incompetenza (in materia
di esegesi, di storia, di teologia contemporanea), per la sua incapa-
cità fisica a dirigere i lavori, per la concezione autoritaria che egli
attribuiva alla propria funzione 292. Il documento chiedeva al Papa

288
Ivi, pp. 616-618.
289
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 314.
290
AS, II/4, p. 624 (pp. 624-626). Cfr. anche WILTGEN, p. 115. Sullo scontro tra i due
cardinali cfr. J. FAMERÉE, Vescovi e diocesi (5-15 novembre 1968), in SCV, vol. III, pp.
143-149 (pp. 133-208).
291
AS, II/4, pp. 618-621.
292
Cfr. J. GROOTAERS, Sinergia e conflitti nel Vaticano II. Due versanti d’azione degli “av-
versari” del rinnovamento (ottobre 1962-ottobre 1964), in L’evento e le decisioni, pp. 376-
377; C. SOETENS, L’impegno ecumenico nella Chiesa cattolica, in SCV, vol. III, pp. 324-
325 (pp. 277-366). Un copia di questo memorandum si trova nelle carte di mons. Phi-
lips, che vi ha aggiunto a mano “Cile”. Soetens ne attribuisce l’origine al cardinale
cileno Silva Henríquez (ivi, p. 324).
348 IL CONCILIO VATICANO II

di rimuovere Ottaviani e di procedere a nuove elezioni delle Com-


missioni conciliari prima della fine della seconda sessione.
Lo scontro tra Frings e Ottaviani fu, secondo Jedin, “una delle
scene più emozionanti di tutto il Concilio” 293 ed ebbe larga eco sulla
stampa. Dieci giorni dopo mons. Dino Luigi Romoli 294, vescovo do-
menicano di Pescia, che aveva passato otto anni al Sant’Uffizio, ri-
lasciò al “Divine World Service” di padre Wiltgen un’intervista,
autorizzata dal cardinale Ottaviani, in cui spiegava con dettagli le
procedure del Sant’Uffizio 295.
“Se un membro della Chiesa accusa un altro di un delitto su cui la Sa-
cra Congregazione Suprema è il tribunale competente, allora all’accusato
viene data completa udienza e ogni possibile occasione per difendersi. Può
anche essere assistito da un avvocato, accetto al Tribunale. Le precauzio-
ni prese per salvaguardare l’accusato sono in questo caso così ampie e mi-
nuziose da poter sembrare talvolta eccessive”. Diverso è il caso della
condanna di scritti pubblici, “perché si tratta di teorie che, considerate
in sé stesse, rischiano di nuocere all’integrità della dottrina della Chiesa e
alla salvezza delle anime”. In questo genere di condanne, il Sant’Uf-
fizio non ascolta la parte interessata, prima di pronunciare il suo
verdetto, perché non sono messe in questione o condannate le in-
tenzioni dell’autore, ma le dottrine considerate in sé stesse. Tutta-
via “prima di condannare un’opera pubblicata o di diffondere a suo cari-
co un solenne Monitum, il Sant’Uffizio conduce una lunga inchiesta,
scrupolosa e serrata, consultando esperti altamente qualificati apparte-
nenti a gruppi linguistici e nazionali diversi, affinché il suo giudizio sia
incontestabilmente certo e oggettivo” 296. Va ricordato inoltre che la
Congregazione del Sant’Uffizio costituiva un organismo che, a dif-
ferenza delle altre Congregazioni romane, non poteva prendere al-
cuna decisione perché il capo del dicastero, il “prefetto”, non era
un cardinale, bensì il Papa stesso, mentre il più anziano dei cardi-
nali membri aveva soltanto il titolo di “Segretario”. Lo stesso card.
Bea, che ne era stato consultore, ricordava, oltre alla serietà del me-

293
H. JEDIN, op. cit., p. 314.
294
Dino Luigi Romoli o.p. (1900-1985), ordinato nel 1924, consacrato vescovo di Pe-
scia nel 1951.
295
“Divine World Service”, 22 novembre 1963.
296
WILTGEN, pp. 117-118. Cfr. anche A. WENGER, Vatican II, cit., II Session, pp. 149-153.
1963: LA SECONDA SESSIONE 349

todo di lavoro, la libertà che regnava al Sant’Uffizio, dove tra car-


dinali come tra consiglieri, correva la frase: “Qui siamo al Sant’Uffi-
zio, possiamo dire tutto quello che vogliamo, senza paura di difendere per-
sone o di incappare in condanne” 297.
I progressisti denunciavano il potere repressivo del Sant’Uffizio,
erede della Santa Inquisizione romana, ma il potere censorio che es-
si esercitavano attraverso il nuovo tribunale mediatico era ancor
più invadente. I custodi dell’ortodossia erano dipinti dalla stampa
come arcigni, obsoleti e intolleranti, mentre tutto ciò che era etero-
dosso era presentato come “aperto”, “stimolante”, “costruttivo”. Lo
scontro ormai si svolgeva sui giornali più ancora che in aula.
La situazione fu riequilibrata da un forte intervento di mons.
Luigi Carli che, il 13 novembre 298, criticò a fondo il principio della
cosiddetta “collegialità episcopale di diritto divino”, in nome del
quale alcuni oratori pretendevano dar vita alle conferenze episco-
pali nazionali. L’intervento merita di essere riportato nella sua par-
te centrale, per l’eco che ebbe.

“Anche nell’ipotesi che l’asserita collegialità episcopale di diritto divino sia


definita dal Sommo Pontefice con l’approvazione del sacro Concilio, non si
potrebbe mai legittimamente, almeno secondo la mia opinione, fondare su
di essa l’istituzione delle conferenze episcopali per i seguenti motivi:
a. Ragione teologica – Anche se si dice che le conferenze sono delle forme
di quella collegialità, in esse però non si trovano i tre elementi che sem-
brano essere essenziali di quella collegialità, cioè l’unione di tutti i vesco-
vi, la partecipazione dotata di potere, ed anche formale, del capo del colle-
gio, cioè del Romano Pontefice, i temi riguardanti tutta la Chiesa. Quin-
di se, come è evidente, questi tre elementi mancano nelle conferenze na-
zionali, invano si dice che le conferenze dipendono dalla collegialità epi-
scopale di diritto divino, come le specie dal proprio genere.
b. Ragione giuridica – Nella ipotesi che abbiamo detto, l’autorità propria,
ordinaria ed immediata di ogni vescovo nella sua diocesi – autorità che fin
dai tempi antichi è stata ritenuta come ‘monarchica’ – in realtà sarebbe li-
mitata, ed inoltre per diritto divino, oltre che dal Sommo Pontefice (il che

297
SCHMIDT, Bea, p. 143.
298
AS, II/5, pp. 72-75.
350 IL CONCILIO VATICANO II

certamente è giusto) anche dagli altri vescovi della stessa nazione. Cosa che
certamente nessun vescovo è pronto ad ammettere nella propria sede, nep-
pure coloro che abbiamo sentito parlare con tanta facondia sulla collegia-
lità nelle sedi altrui (…) Anche coloro che non hanno esitato ad ammette-
re quasi due capi, in possesso di un pieno e supremo potere, nel governo
della Chiesa universale, questi stessi dichiarano che ogni ombra, anche la
più piccola, di diarchia deve essere tenuta lontana dalla loro diocesi.
c. Ragione storica – Nel tracciare lo schema sulle conferenze assoluta-
mente nessuno dei colleghi della Commissione preparatoria fu sfiorato dal
pensiero del fondamento della collegialità di diritto divino. Ma, quello che
è ancora più importante, neppure i Romani Pontefici nel raccomandare,
sollecitare e dotare di statuto le conferenze nazionali non hanno mai par-
lato del fondamento della collegialità di diritto divino, ma sempre e sol-
tanto di motivi di carattere pastorale” 299.

Tornando dall’aula, mons. Lefebvre definì l’intervento di


mons. Carli “il punto di svolta del Concilio” 300. Gli storici, aggiunse
l’abbé Berto scrivendo qualche settimana dopo a Carli, dovranno
registrare che il suo intervento “ha cambiato l’atmosfera” della ses-
sione 301. In una successiva lettera al vescovo di Segni, l’abbé Berto
scrive: “Credo veramente che molti Padri che avevano votato Placet ai
punti 3 e 4 del 30 ottobre senza accorgersi dove si voleva trascinarli,
l’hanno capito soltanto grazie al suo memorabile intervento” 302.

10. Dall’alleanza europea all’alleanza progressista mondiale

Il 15 novembre, alla presenza degli altri tre Moderatori, della


Commissione e della Presidenza del Concilio, il card. Lercaro lesse
al Papa un primo rapporto sull’attività della seconda sessione. Il
Concilio, disse, avrebbe potuto avanzare più rapidamente “se i Mo-
deratori avessero potuto utilizzare il metodo adottato in occasione del di-

299
Ivi, pp. 73-74.
300
Lettera dell’abbé Berto a mons. Carli del 13 novembre 1963, in N. BUONASORTE, Per
la “pura, piena, integra fede cattolica”, cit., p. 126.
301
Ivi, p. 128.
302
Lettera del 13 marzo 1964, ivi, p. 133.
1963: LA SECONDA SESSIONE 351

battito sul II capitolo dello schema della Chiesa” 303. La richiesta mirava
ad affidare ai Moderatori il potere di decidere le questioni più im-
portanti sulla base dell’orientamento maggioritario dell’assem-
blea, attribuendo loro un ruolo ben diverso da quello originaria-
mente a loro affidato. L’autorizzazione pontificia non venne: Pao-
lo VI si rese conto che in questo caso avrebbe perso il controllo del-
l’assemblea, che egli aveva l’intenzione di guidare fermamente. Il
partito antiromano però non si arrese e rivendicò allora un mag-
gior potere all’interno delle Commissioni “dominate dalla Curia”. Il
21 novembre il Segretario generale annunciò che il Papa aveva au-
torizzato a portare il numero dei membri delle Commissioni da
venticinque a trenta, “per accelerare e rendere più efficiente lo sviluppo
dei lavori” 304. Quattro dei cinque nuovi membri – aggiunse – sareb-
bero stati nominati dai Padri conciliari, il quinto direttamente dal
Papa, che autorizzava ogni Commissione a scegliere al suo interno
un vice-presidente supplementare e un Segretario supplementare
tra gli esperti. Era suggerito inoltre alle conferenze episcopali di
“raggrupparsi e presentare liste combinate”. Si trattava, osserva Wilt-
gen, di un regalo fatto all’Alleanza progressista, l’unico gruppo or-
ganizzato, in grado di redigere, in tempi brevi, una lista interna-
zionale imbattibile 305.
Il partito antiromano consolidò in quest’occasione il passaggio
dalla Alleanza europea alla “Alleanza mondiale”. “Durante la pri-
ma sessione – ricorda Wiltgen – l’Alleanza mondiale era stata costitui-
ta da un gruppo quasi clandestino di sei arcivescovi e vescovi, rappresen-
tanti di conferenze episcopali nazionali, regionali o continentali, che si
riunivano periodicamente. A partire dall’inizio della seconda sessione, es-
si si ritennero sufficientemente forti per agire in maniera più aperta: ogni
venerdì sera si riunivano alla Domus Mariae e il loro numero passò a 24
arcivescovi e vescovi, rappresentanti circa 65 conferenze episcopali. Ogni
volta che era a Roma, mons. Veuillot, coadiutore dell’arcivescovo di Pari-
gi, presiedeva le sedute” 306.

303
WILTGEN, p. 126.
304
AS, II/5, pp. 635-636.
305
WILTGEN, pp. 127-128.
306
IVI, p. 128.
352 IL CONCILIO VATICANO II

I segretari delle conferenze episcopali aderenti all’Alleanza do-


po intense riunioni si accordarono per una lista comune. Il mecca-
nismo era perfettamente organizzato. Le elezioni, svoltesi il 28 no-
vembre, confermarono la assoluta preponderanza del nuovo bloc-
co antiromano su scala mondiale 307. Tutti i 43 eletti facevano parte
della lista internazionale. Il Papa completò la lista, con altre 8 no-
mine, l’8 gennaio 1964. L’attacco a fondo fu portato soprattutto
verso la Commissione dottrinale dove due “novatori” belgi, mons.
Charue e il peritus Philips, vennero nominati rispettivamente vice-
presidente e segretario aggiunto.
Tuttavia, proprio il 28 novembre, i progressisti subirono la pri-
ma sconfitta quando l’Unione Romana dei Superiori Religiosi 308 e
il Segretariato dei Vescovi raccolsero sul voto sulla vita religiosa
679 consensi tra i Padri conciliari. Paolo VI fece sapere a mons. Pe-
rantoni 309 che nel corso della terza sessione, nello schema sulla
Chiesa, sarebbe stato inserito un nuovo capitolo intitolato Dei reli-
giosi, come chiedeva l’Unione Romana, contraria all’aggiornamen-
to della vita religiosa voluto dai teologi centro-europei. La reazio-
ne antiprogressista cominciava, sia pur tardivamente, ad ottenere i
primi successi.

11. Il dibattito sull’ecumenismo

Il dibattito, che si aprì in aula il 18 novembre 1963, fu definito


dal padre Wenger su “La Croix”, L’ora della verità 310. Dalla seconda

307
La lista ufficiale dei risultati fu pubblicata l’11 gennaio 1964 da “L’Osservatore
Romano”.
308
L’organizzazione fu riconosciuta ufficialmente dalla Congregazione dei Religiosi,
nel marzo 1955, con il titolo di Unione Romana dei Superiori Generali. Sia prima
che durante il Concilio ci furono diversi incontri dei Superiori Generali per studia-
re i diversi documenti proposti e per aiutare nella preparazione degli emendamen-
ti ai testi, come pure nella preparazione degli interventi di quei Superiori Generali
che partecipavano al Concilio. Questa attività fu particolarmente intensa in riferi-
mento ai due documenti Perfectae Caritatis e Ad Gentes.
309
Luigi Perantoni (1895-1982), ordinato nel 1920, vescovo di Gerace nel 1952, arci-
vescovo di Lanciano e Ortona nel 1962, poi arcivescovo emerito nel 1982.
310
“La Croix”, 20 novembre 1963.
1963: LA SECONDA SESSIONE 353

metà di novembre fino all’inizio di dicembre si discusse dello sche-


ma sull’ecumenismo redatto dal Segretariato per l’Unità dei Cri-
stiani, in collaborazione con la Commissione per le Chiese Orien-
tali 311. Il documento, giunto in aula il 18 novembre, constava di cin-
que capitoli, che illustravano: i princìpi cattolici sul problema; il
modo di concretizzarli nella vita ecclesiale; le Chiese e le comunità
separate; le relazioni dei cattolici con i non cristiani e in particola-
re con gli ebrei; la libertà religiosa. Il cardinale Cicognani, presi-
dente della Commissione di coordinamento, svolse la relazione ge-
nerale, mentre i primi tre capitoli furono illustrati dall’arcivescovo
Joseph-Marie Martin 312 di Rouen, il quarto dal card. Bea 313 e il quin-
to da mons. De Smedt 314.
Quando prese la parola il card. Ruffini 315 si fece un totale silen-
zio nell’assemblea. Il cardinale di Palermo illustrò, con il consueto
rigore logico, i suoi motivi di preoccupazione:
1) Il termine “ecumenismo”, introdotto nella teologia dai prote-
stanti, è equivoco, perché è inteso in modo diverso dai protestanti
e dai cattolici. Se lo si conserva nel documento, occorre definire con
chiarezza il significato.
2) Lo schema dovrebbe mostrare più chiaramente che la prossimità
dei cattolici con gli orientali è molto maggiore di quella con i pro-
testanti, che hanno riconosciuto ben poche cose dell’antica fede
cattolica al di fuori della Scrittura e del Battesimo.
3) Se si aggiunge un capitolo particolare per gli ebrei, perché non
parlare all’interno di esso di coloro che aderiscono alle altre reli-
gioni? E perché l’ecumenismo trascura gli innumerevoli cattolici
che si interessano al marxismo, che diffonde l’ateismo nel mondo?
Sulla linea di Ruffini si pronunciarono due cardinali spagnoli:
l’arcivescovo di Tarragona, de Arriba y Castro 316, e l’arcivescovo di

311
Per l’insieme del dibattito: AS, II/5, pp. 405-495, 527-574, 597-637, 661-700, 744-
833; AS, II/6 pp. 9-91, 97-367, 375-401. Cfr. anche CAPRILE, vol. III, passim.
312
AS, II/5, pp. 472-479. Joseph-Marie Martin (1891-1976), francese, ordinato nel
1920. Arcivescovo di Rouen dal 1948 al 1968. Creato cardinale nel febbraio 1965.
Membro del Segretariato per l’Unità.
313
AS, II/5, pp. 481-485.
314
Ivi, pp. 485-495.
315
Ivi, pp. 528-530.
316
Ivi, pp. 530-531.
354 IL CONCILIO VATICANO II

Siviglia José Maria Bueno y Monreal 317. “Non si dovrebbe dimentica-


re – affermò il primo – che l’insegnamento di Cristo fu affidato all’uni-
ca Chiesa cattolica che ha il diritto e il dovere di predicare il Vangelo al
mondo intero” 318. La posizione “ecumenista” fu contrapposta nella
stessa giornata dal cardinale americano Ritter, portavoce di 91 dei
120 vescovi americani 319. Ritter lodò lo schema sull’ecumenismo
che, a suo parere, segnava la fine dell’età della controriforma, e af-
fermò che non si poteva giungere all’esercizio dell’ecumenismo,
senza prima stabilire il principio della libertà religiosa. Anche il
card. Léger fece un elogio vibrante dell’ecumenismo 320. Mons. Gar-
rone lo definì, con queste parole, come uno spirito generale di tut-
to il cristianesimo, una nota del mistero di Dio e della Chiesa: “L’e-
cumenismo è un evento provvidenziale per rovesciare le barriere secolari
e dissipare la notte che si estende sul mondo. Poiché la notte è venuta, Dio
ci rivela delle stelle che non avevamo intravisto fino ad ora per dirigere i
nostri passi fino all’alba del giorno, quando egli si sarà rivelato al mondo
attraverso l’unione di tutti i cristiani” 321.
Mentre in aula si chiedeva una profonda riforma dell’atteggia-
mento cattolico nei confronti della verità rivelata, il 22 novembre,
mons. Corrado Mingo 322, arcivescovo di Monreale, parlò sulla ne-
cessità di conservare integra la fede, senza mutilazioni, perché il
male viene dal rifiuto della verità.

“Certamente si richiede la nostra opera per attuare l’unità della Chie-


sa; i mezzi umani sono necessari, ma con i patteggiamenti, gli incon-
tri, le discussioni ed altri mezzi si avanza poco; piuttosto dobbiamo spe-
rare nella grazia divina: l’unità è un dono di Dio, che soprattutto pos-
siamo ottenere con la preghiera e col digiuno. Noi, come Giovanni Bat-
tista, possiamo preparare le vie dell’unità e rimuovere gli ostacoli. Par-
lando schiettamente, ancora molte e grandi difficoltà rimangono per ot-

317
AS, II/5, pp. 532-534. José Maria Bueno y Monreal (1904-1987), spagnolo, ordina-
to nel 1927. Arcivescovo di Siviglia dal 1957 al 1982. Creato cardinale nel 1958.
318
AS, II/5, p. 531.
319
Ivi, pp. 536-538.
320
Ivi, pp. 550-552.
321
Ivi, p. 562 (pp. 561-562). Cfr. anche A. WENGER, Vatican II, cit., II Session, p. 189.
322
Corrado Mingo (1901-1980), ordinato nel 1925, arcivescovo di Monreale dal 1961
al 1978.
1963: LA SECONDA SESSIONE 355

tenere l’unità; ad esempio tra i fratelli protestanti alcuni ministri non


solo negano il primato e l’infallibilità del Romano Pontefice, la presen-
za reale nella Santissima Eucarestia, ma anche altri precetti naturali
riguardo al matrimonio e non ammettono la divinità del nostro Signo-
re Gesù Cristo; qualcuno anche si dichiara indifferente relativamente
all’esistenza di Dio come persona. Rimane una grande distanza tra noi
e quei fratelli.
Ma mi dolgo del fatto che nello schema non si dica nulla di Maria Vergi-
ne e della sua materna intercessione. La Madre è sempre colei che richia-
ma i suoi figli alla casa del Padre. Maria è la Mediatrice di tutte le grazie.
So che molti Padri conciliari hanno la stessa convinzione riguardo a que-
sto argomento. Venerabili Padri, noi che siamo membra del Corpo misti-
co di Cristo abbiamo due Madri: la Chiesa e la Beata Vergine Maria. San
Cipriano, strenuo assertore dell’unità della Chiesa, era solito dire: non
può avere Dio come Padre, chi non ha la Chiesa per Madre; ma noi, aven-
do davanti agli occhi la tradizione patristica e teologica, il senso del po-
polo cristiano, cose tutte che hanno il loro fondamento nella Sacra Scrit-
tura, possiamo dire che non può avere Dio come Padre, chi non ha come
Madri Maria e la Chiesa. Ritengo che le venerande comunità orientali,
anche se separate, hanno conservato il proprio patrimonio religioso per de-
vozione verso Maria Vergine, mentre i fratelli protestanti hanno perso
molto, perché si sono dimenticati della Beata Maria Vergine, anche se nei
nostri tempi alcuni di essi sono tornati al culto della stessa Vergine. Ve-
nerabili fratelli, l’ardente desiderio di Cristo, ‘che essi siano una cosa so-
la’ non può essere vano, perché Cristo viene sempre esaudito dal Padre;
verrà quest’ora nel mondo, e verrà per mezzo di Maria; e parlando ai fra-
telli separati possiamo dire, ancora con le parole di San Cipriano, ‘torna-
te alla Madre dalla quale siete partiti’. Allora vi sarà un solo ovile e un
solo pastore” 323.

Mons. Zoghby 324, diretto collaboratore del patriarca dei Melchi-


ti, Massimo IV, osservò da parte sua che lo scisma d’Oriente fu in
qualche modo una “felix culpa”, perché permise di conservare cer-
te tradizioni e certi valori delle chiese orientali che sarebbero stati

323
AS, II/6, pp. 159-160.
324
AS, II/6, p. 142.
356 IL CONCILIO VATICANO II

altrimenti “latinizzati”. L’unità attuale, secondo mons. Zoghby,


non sarebbe stata totale, ma “latina”: l’unità piena si farà quando
l’Oriente con la sua autentica tradizione si unirà alla Chiesa catto-
lica, nella varietà, non nell’uniformità.
La discussione continuò e vide il 2 dicembre un nuovo inter-
vento del cardinale Ruffini 325, che ribadì che Gesù Cristo ha fon-
dato una sola Chiesa, che è la Chiesa cattolica romana, infallibi-
le e indefettibile, di cui il Papa è il capo; non si possono attribui-
re colpe alla Chiesa in quanto tale, ma solo ai suoi membri; ab-
bandonarla perché i suoi membri sono peccatori è a sua volta un
peccato.
Nelle sue conclusioni Bea giudicò che il dibattito delle due set-
timane trascorse era stato fruttuoso, anche se lo schema necessita-
va di ulteriori miglioramenti 326.
Il 1° dicembre l’“Avvenire d’Italia” pubblicava integralmente la
conferenza che il card. Suenens, Moderatore del Concilio, aveva te-
nuto il 29 novembre all’Università di Firenze sul tema La Chiesa di
fronte all’evoluzione del mondo contemporaneo. Suenens proponeva la
creazione di un nuovo organo di governo della Chiesa, “il cosiddet-
to Consiglio Apostolico, rappresentanza ristretta dell’intero episcopato,
con funzioni consultive e deliberative per i supremi problemi della Chie-
sa universale” 327.

12. La costituzione Sacrosanctum Concilium

Nel discorso di apertura del secondo periodo, il 29 settembre


1963, Paolo VI indicava nella liturgia uno dei principali campi di
lavoro del Concilio 328. Negli anni in cui era stato assistente genera-
le della Fuci (dal 1925 al 1933), Giovanni Battista Montini aveva
dedicato una particolare attenzione all’“educazione liturgica” de-
gli universitari, suscitando nel cardinale Vicario di Roma, France-

325
AS, II/6, pp. 339-340.
326
Ivi, pp. 364-367.
327
Testo della conferenza in R. LA VALLE, Il Coraggio del Concilio, cit., pp. 547-560, cfr.
p. 559.
328
AS, II/1, p. 193.
1963: LA SECONDA SESSIONE 357

sco Marchetti Selvaggiani, il sospetto di “liturgismo” 329. Montini,


che aveva ricevuto la sua formazione liturgica dal padre Giulio Be-
vilacqua, formatosi a sua volta in Belgio alla scuola di dom Beau-
duin 330, designò il suo maestro oratoriano come membro della
Commissione conciliare per la liturgia, continuando a subirne l’in-
flusso. Lo schema della costituzione liturgica reca anche l’impron-
ta del religioso di Brescia, futuro cardinale.
Fin dall’autunno del 1963, su incoraggiamento di Paolo VI, un
gruppo di liturgisti lavoravano “per preparare al Santo Padre le inno-
vazioni liturgiche possibili a farsi subito” 331. “Gli ultimi tre mesi del 1963
– ricorda mons. Piero Marini, discepolo di mons. Bugnini – riman-
gono uno dei periodi più sconosciuti nella storia dell’attuazione liturgica
del Concilio Vaticano II. I nomi delle persone che lavorarono insieme, i te-
sti e i progetti che vennero preparati rimasero riservati. Del lavoro allora
compiuto non rimase traccia in nessun documento ufficiale” 332. Gli uo-
mini che agirono nell’ombra, su mandato di Paolo VI, furono – ri-
corda lo stesso mons. Marini – il cardinale Lercaro e padre Bugni-
ni. Gli incontri riservati, a cui parteciparono alcuni dei più “auda-
ci” riformatori liturgici, quali il padre Joseph Jungmann, il canoni-
co Aimé Georges Martimort, responsabile della revisione del Bre-
viario, e mons. Johannes Wagner, responsabile della revisione del
Messale romano, si svolsero presso le Suore benedettine di Priscil-
la, sulla via Salaria, dove risiedeva il cardinale di Bologna. “Fu al-
lora che si stabilì tra il Papa, Lercaro e Bugnini quella intesa che, in mez-
zo a tante difficoltà, avrebbe portato avanti la riforma” 333.
Si è voluto fare di Bugnini l’“artefice” della Riforma liturgica,
contro la volontà di Paolo VI. In realtà, come testimonia Bugnini
stesso, la riforma liturgica nacque da una stretta collaborazione tra
il religioso lazzarista e Paolo VI. “Quante ore serali – ricorda Bugni-
ni – ho passato con lui studiando insieme i numerosi, spesso voluminosi

329
Cfr. VIRGILIO PONTIGGIA, L’interesse per la liturgia in G.B. Montini: gli anni giovanili e
alla Fuci, in Liturgia: temi e autori, cit., pp. 36-40 (pp. 35-81).
330
S. MARSILI, Storia del movimento liturgico, cit., pp. 324-325.
331
R. KACZYNSKI, Verso la riforma liturgica, cit., p. 259.
332
PIERO MARINI, Le premesse della grande riforma liturgica, in Costituzione liturgica, cit.,
p. 94 (pp. 69-101).
333
Ivi, p. 88.
358 IL CONCILIO VATICANO II

dossiers che facevano pila sul suo tavolo! Leggeva e considerava riga per
riga, parola per parola, tutto annotando in nero, rosso e blu, criticando al-
l’occorrenza, con quella sua dialettica che riusciva a formulare dieci in-
terrogativi su uno stesso punto” 334.
Il proemio e il capitolo I dello schema liturgico avevano una ste-
sura sostanzialmente definitiva. Al termine della Congregazione
generale del 3 ottobre, mons. Felici annunciò le proposte di emen-
damento al capitolo II, relativo alla Messa, e fissò le votazioni per
l’8 ottobre. Quel giorno il card. Lercaro presentò la sua Relatio gene-
ralis 335. Quando, il 10 ottobre, il II capitolo venne messo ai voti, l’e-
sito della votazione fu di soli 1.417 placet, 36 non placet, 781 placet
iuxta modum e 8 voti nulli. Analogo esito ebbero, il 18 ottobre, le vo-
tazioni sul capitolo III: 1.130 votarono placet, 30 non placet e ben
1.054 placet iuxta modum. Neanche il capitolo III poteva dunque es-
sere approvato. Venne invece approvato in via definitiva, il 24 otto-
bre, il IV capitolo dedicato all’ufficio divino, il 29 ottobre il V capi-
tolo sull’anno liturgico, il 30 ottobre il VI sulla musica sacra, il 31 ot-
tobre il VII sull’arte sacra. Il 18, 20 e 21 novembre furono approva-
ti i testi emendati dei primi tre capitoli dello schema De sacra litur-
gia. Mons. Zauner, vescovo di Linz e membro della Commissione li-
turgica, illustrò in un’intervista il modo con cui la costituzione con-
ciliare sarebbe stata applicata. “Il Culto divino – disse – deve essere
un’azione comunitaria. Il popolo che segue la Messa, per esempio, come il
sacerdote, deve prendere parte con la preghiera, con il canto e i movimen-
ti”. “Infatti – aggiunse – il fine di tutta la costituzione è che il sacerdote
esegua ogni cosa con la partecipazione attiva del popolo e mai da solo” 336.
Nella sessione pubblica del 4 dicembre 1963, alla presenza di
Paolo VI, ci fu la definitiva approvazione e promulgazione del de-
creto Inter Mirifica sugli strumenti della comunicazione sociale 337 e
della costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium 338. Il

334
A. BUGNINI, op. cit., p. 15. Cfr. anche Le rôle de G.B. Montini, Paul VI dans la réforme
liturgique, giornata di studio a Louvain-la-Neuve del 17 ottobre 1984, Pubblicazioni
dell’Istituto Paolo VI, Brescia 1984.
335
AS, II/2, pp. 276-279.
336
“Divine World Service”, 26 novembre 1963.
337
Testo in AS, II/6, pp. 497-504. Cfr. anche COD, pp. 843-848.
338
Testo in AS, II/6, pp. 409-439. Cfr. anche COD, pp. 820-843.
1963: LA SECONDA SESSIONE 359

risultato per la Inter Mirifica fu di 1.960 voti favorevoli e 164 con-


trari, il più alto numero di voti negativi tra i documenti conciliari,
mentre una quasi unanimità accolse la Sacrosanctum Concilium, con
2.147 voti favorevoli e 4 contrari. Il card. Noé ricorda che esatta-
mente quattrocento anni prima, il 4 dicembre 1563, il Concilio di
Trento arrivava al suo termine, dopo aver demandato la riforma
della liturgia al Papa. “Ora con la costituzione liturgica finiva, in cer-
to senso, la storia della liturgia tridentina e si apriva la nuova fase della
riforma o “innovatio” liturgica” 339. Il canonico Aimé-Georges Marti-
mort interpretava la simbolica coincidenza come “la fine dell’età del-
la Contro-Riforma” 340. Il Segretario generale Felici precisò che la co-
stituzione liturgica, come il decreto sui media Inter mirifica, non es-
sendo un testo di natura dottrinale, trattava “tantum de re discipli-
nari” 341, ma molti liturgisti, come Martimort, vi videro l’espressio-
ne di una “nuova ecclesiologia” 342. Ciò che più caratterizzava il do-
cumento, secondo Martimort, era il nuovo linguaggio e la preoc-
cupazione pastorale.
La costituzione Sacrosanctum Concilium era una “legge quadro”
che implicava però, come ha notato Jean Vaquié, una trasforma-
zione fondamentale della liturgia cattolica 343. In particolare essa
annunciava la revisione del rituale della Messa (n. 50), un nuovo
rito di concelebrazione (n. 58), la revisione dei riti del Battesimo (n.
66), della Cresima (n. 71), della Penitenza (n. 72), delle Ordinazio-
ni (n. 76), del Matrimonio (n. 77).
Quella sera il Papa incontrò a cena Jean Guitton, invitato da
Giovanni XXIII a sedere tra gli “osservatori” del Concilio. Con lo-

339
VIRGILIO NOÉ, Storia della costituzione liturgica. Punti di riferimento, in Costituzione
liturgica “Sacrosanctum Concilium”. Studi, a cura della CONGREGAZIONE PER IL CULTO
DIVINO, Edizioni Liturgiche, Roma 1986, p. 15 (pp. 9-24). Cfr. anche EMIL JOSEPH LEN-
GELING, Zum 20. Jahrestag der Liturgie Konstitution, in “Liturgisches Jahrbuch”, n. 34
(1984), p. 114 (pp. 114-124).
340
A. G. MARTIMORT, La Constitution liturgique et sa place dans l’œuvre de Vatican II, in
Le Deuxième Concile, pp. 501-502 (pp. 497-509).
341
Cfr. C. SOETENS, L’impegno ecumenico, cit., p. 344.
342
A. G. MARTIMORT, La Constitution liturgique et sa place dans l’œuvre de Vatican II, cit.,
pp. 505-509.
343
Cfr. JEAN VAQUIÉ, La Révolution liturgique, Diffusion de la Pensée Française, Parigi
1971, p. 39.
360 IL CONCILIO VATICANO II

ro era il padre Giulio Bevilacqua che durante il pasto si intratten-


ne su Sartre, Simone de Beauvoir, Camus, tutti autori “alla mo-
da”, intrisi di anticristianesimo 344. Guitton, da parte sua, conside-
rava Helder Câmara “un profeta” tanto da affidargli il testo del di-
scorso che avrebbe dovuto pronunciare in aula chiedendogli di
rivederlo e correggerlo 345. Câmara giudicava a sua volta “profeta”
il padre de Lubac 346 e “un santo” il protestante Frère Roger, prio-
re di Taizé 347.
La mattina del 3 gennaio 1964, il padre Bugnini fu chiamato dal
cardinale Cicognani, Segretario di Stato, il quale gli comunicò che
il Santo Padre lo aveva nominato Segretario del Consilium ad exse-
quendam Costitutionem de sacra Liturgia, il nuovo organismo incari-
cato di dare attuazione alla costituzione liturgica sotto la presiden-
za del card. Lercaro 348. “Nella primavera del 1964 – scrive Alberigo –
il Consilium appare come il “modello” degli organismi che avrebbero do-
vuto coordinare le attività post-conciliari (…) il prototipo di un’alterna-
tiva-ombra alle Congregazioni della Curia romana” 349.
Il Consilium funzionò dal 29 febbraio 1964, data della sua istitu-
zione ufficiale, al 1969, come un organismo dipendente diretta-
mente dal Pontefice, spossessando la Sacra Congregazione dei Ri-
ti dai suoi poteri.

13. Appelli contro il comunismo

Proprio all’inizio della seconda sessione, si pose per la prima


volta in aula la questione del comunismo.
Nell’anno che va dall’epilogo della crisi di Cuba, nell’ottobre
1962, alla morte del presidente americano John F. Kennedy, nel no-
vembre 1963, un nuovo spirito di distensione aleggiò nel mondo.

344
Cfr. J. GUITTON, Paul VI secret, cit., p. 57.
345
Cfr. CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 395.
346
Ivi, p. 397.
347
Ivi, p. 221.
348
CAPRILE, vol. III, pp. 373-376; A. BUGNINI, op. cit., p. 63. Il motu proprio Sacram Li-
turgiam del 25 gennaio 1964 è pubblicato in AAS, 56 (1964), pp. 139-169.
349
G. ALBERIGO, La nuova fisionomia del Concilio, in SCV, vol. III, p. 529 (pp. 513-535).
1963: LA SECONDA SESSIONE 361

È in questo periodo che si delineò un nuovo clima di “disgelo” tra


realtà già definite dal Magistero come antitetiche 350.
L’influenza delle encicliche di Giovanni XXIII e di Paolo VI sul
Concilio si rivelò determinante 351. Esse diedero l’impressione di
voler capovolgere la posizione della Chiesa nei confronti del co-
munismo, rimuovendo, di fatto, ogni condanna, anche solo verba-
le. È in questo periodo che nacque la Ostpolitik, la politica di aper-
tura del Vaticano ai paesi comunisti dell’Est 352 e che ebbe il suo
simbolo nell’allora mons. Agostino Casaroli 353.
L’atteggiamento dei governi comunisti nei confronti della Chiesa
e delle altre religioni andava evolvendo dalla persecuzione aperta a
una tolleranza limitata che permetteva una ristretta libertà di culto e
di parola. Il Cremlino manifestava inoltre grande interesse per quan-
to stava accadendo a Roma negli anni del Concilio. Il 21 novembre
1963 il settimanale “Il Borghese” pubblicava un articolo dal titolo Un
Concilio pieno di spie, in cui si avanzavano forti sospetti su alcuni ve-

350
“Abbiamo ragione di non avere paura davanti al comunismo. Abbiamo ragione di non
avere di che tremare davanti alle prospettive dell’anno 2000. Abbiamo ragione di aiutare a
de-europeizzare la Chiesa slegandola dal passato e gettandola in avanti verso l’avvenire”
(CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 110).
351
P. CHENAUX, L’Eglise catholique et le communisme, cit., p. 260.
352
Sulla Ostpolitik, le cui premesse risalgono agli anni Venti (A. WENGER, Rome et Mo-
scou 1900-1950, Desclée de Brouwer, Parigi 1987), cfr. ALESSIO ULISSE FLORIDI, Mosca
e il Vaticano, La Casa di Matriona, Milano 1976; DENNIS J. DUNN, Détente and Papal-
Communist relation, 1962-1978, Westview Press, Boulder (Colorado) 1979; MIREILLE
MAQUA, Rome-Moscou. L’Ostpolitik du Vatican, Cabay, Louvain-la-Neuve 1984; G. ZI-
ZOLA, Giovanni XXIII. La fede e la politica, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 55-211; A. RIC-
CARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., pp. 217-264; SERGIO GROSSU, L’Eglise persecutée. Entre
Goulag et société opulente, L’Age d’Homme, Losanna 2002; Il filo sottile. L’Ostpolitik
vaticana di Agostino Casaroli, a cura di A. MELLONI, Il Mulino, Bologna 2006; L’Ost-
politik della Santa Sede. Un dialogo lungo e faticoso, a cura di G. BARBERINI, Il Mulino,
Bologna 2007; ID., La politica del dialogo. Le carte Casaroli sull’Ostpolitik vaticana, Il Mu-
lino, Bologna 2008; AGOSTINO GIOVAGNOLI, Ostpolitik: un bilancio storiografico, in L’O-
stpolitik di Agostino Casaroli (1963-1989), EDB, Bologna 2009, pp. 103-131; P. CHE-
NAUX, L’Eglise catholique et le communisme, cit., pp. 269-295.
353
Agostino Casaroli (1914-1998), ordinato nel 1937, nel 1940 entrò al servizio della
Segreteria di Stato, dove svolse tutta la sua carriera ecclesiastica. Giovanni Paolo II
lo nominò nel 1979 cardinale, prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici e suo Se-
gretario di Stato, carica che mantenne fino al 1 dicembre 1990. Di lui cfr. le memorie
postume, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i Paesi comunisti (1963-1989), Introd.
di mons. Achille Silvestrini, Einaudi, Torino 2000, e, oltre le opere citate, ALCESTE
SANTINI, Casaroli, l’uomo del dialogo, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.
362 IL CONCILIO VATICANO II

scovi polacchi presenti a Roma, apertamente accusati di spionaggio


a favore del regime comunista del loro Paese. Il card. Wyszyński, Pri-
mate di Polonia, il 22 novembre rivolse una vibrata protesta al Mini-
stro degli Esteri Attilio Piccioni, assicurando che “giammai il regime
della Polonia ha imposto simili condizioni ad alcuno dei vescovi polacchi” 354.
Lo storico Viktor Gaiduk ricorda però come la strategia di “collabo-
razione” con i cattolici aveva funzionato in Polonia “grazie alla politi-
ca di solidarietà nazionale del cardinale Wyszyński”, ma non in Ungheria,
per l’opposizione di Mindszenty 355.
Ad est e ad ovest della Cortina di ferro due linee si contrappo-
nevano: molti Padri ritenevano che non fosse lecito ai cattolici l’ac-
cordo con il regime comunista, neppure a prezzo della concessio-
ne di una certa libertà di culto; altri si dimostravano possibilisti.
Plinio Corrêa de Oliveira pubblicò allora uno studio, che apparve
nell’agosto del 1963 con il titolo La libertà della Chiesa nello Stato co-
munista 356. Nell’opera, dedicata al problema della liceità della “coe-
sistenza pacifica” tra la Chiesa e il regime comunista, l’autore di-
mostrava che i cattolici non possono accettare con il comunismo al-
cun modus vivendi che implichi la rinuncia a difendere i loro diritti
naturali, tra i quali quello di proprietà privata, sancito dal settimo
e dal decimo Comandamento, ma negato dal comunismo. Il sag-
gio, tradotto in spagnolo, francese ed italiano, fu distribuito ai
2.200 Padri conciliari e ai 450 giornalisti di tutto il mondo presenti
in Roma, sollevando un’eco che arrivò oltrecortina 357. Il 4 gennaio
1964, una versione integrale del testo apparve sul quotidiano ro-

354
Wyszyński all’on. Attilio Piccioni, lettera del 22 novembre 1963, in ASV, Conc.
Vat. II, Busta 332, n. 2, 3 ff.
355
Cfr. V. GAIDUK, Vaticano e Cremlino, cit., pp. 22-23.
356
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, A liberdade da Igreja no Estado comunista, in “Catolici-
smo”, n. 152 (1963); ibid., n. 161 (1964); poi con il titolo Acordo com o regime comuni-
sta: para a Igreja, esperança ou autodemolição?, Editora Vera Cruz, San Paolo 1974 (tr.
it. La libertà della Chiesa nello Stato comunista, Cristianità, Piacenza 1978). Il saggio fu
pubblicato in 40 giornali e in 5 lingue diverse.
357
Lo studio fu violentemente attaccato in Polonia dal movimento catto-comunista
“Pax” sulle sue pubblicazioni “Kierunki” (n. 8 del 3 gennaio 1964) e “Zycie i Mysl” (n.
1-2 del 1964). Anche la rivista “Wiez” di Varsavia si allineò con “Pax”. In Francia,
“L’Homme Nouveau” (5 marzo 1964) difese l’opera che invece venne attaccata dalla
pubblicazione progressista “Témoignage Chrétien” (n. 1035 del 1964). Sull’“anomalia”
polacca, ossia su quel singolare modello storico di convivenza tra Chiesa cattolica e
1963: LA SECONDA SESSIONE 363

mano “Il Tempo”, suscitando l’attenzione dell’opinione pubblica


della Città Eterna 358. Il 9 gennaio 1964, un Padre conciliare, mons.
Cicuttini 359, vescovo di Città di Castello, scrisse al Papa: “Posso di-
chiarare che è atteso e sarebbe provvidenziale uno schema conciliare sul
comunismo; a mio umile parere, il Concilio in questo momento non può
ignorare un pericolo ed un complesso di negazioni così gravi” 360.
La distribuzione della Libertà della Chiesa nello Stato comunista si
collegò ad altre due importanti iniziative, suggerite dal pensatore
brasiliano. La prima riguardava il problema del comunismo. Alla
vigilia della seconda sessione, mons. Geraldo de Proença Sigaud e
mons. Antonio de Castro Mayer consultarono per lettera molti Pa-
dri, per sapere se ravvisavano l’opportunità che il Concilio si pro-
nunziasse sul comunismo in modo chiaro e solenne. Dalle 243 ri-
sposte ricevute, 218 furono affermative. Il 29 novembre 1963 essi
inviarono le petizioni al card. Amleto Cicognani, Segretario di Sta-
to, pregandolo di presentarle al Papa. Sul testo della lettera il card.
Cicognani annotò: “Riferito in Udienza 9-XII-63. Aliquid deve dirsi:
breve, solenne, chiaro. Nel De praesentia Ecclesiae” 361.
Di fronte ai crescenti sforzi di espansione e dominio del marxi-
smo e del comunismo e considerando gli errori e gli stati d’animo
serpeggianti tra molti cattolici, rendendoli propensi ad accogliere
la dottrina marxista e la struttura sociale del comunismo, i firma-
tari dell’appello, appartenenti a varie nazioni (tra essi ben 54 Padri
brasiliani, 29 italiani, ma solo 5 francesi), ritenevano che il Conci-
lio fosse un’ottima occasione per trattare del comunismo, proble-
ma tanto importante per il bene della Chiesa e la salvezza delle

Stato comunista in Polonia, cfr. G. BARBERINI, Stato socialista e Chiesa cattolica in Polonia,
CSEO, Bologna 1983; NORBERT A. ZMIJEWSKI, The Catholic-marxist ideological dialogue in
Poland, 1945-1980, Darmouth Publishing Company, Aldershot (England) 1991.
358
Il libro ebbe nel mondo numerose edizioni in varie lingue e ottenne una lettera di
approvazione firmata dal card. Giuseppe Pizzardo, Prefetto della S. Congregazione
dei Seminari, e da mons. Dino Staffa, Segretario del medesimo dicastero. In questa
lettera si augurava “la più larga diffusione al denso opuscolo, che è un’eco fedelissima dei
Documenti del Supremo Magistero della Chiesa”.
359
Luigi Cicuttini (1906-1973), ordinato nel 1933, vescovo ausiliare di Udine e vesco-
vo titolare di Amizone nel 1953, vescovo di Città di Castello e di Lamfua nel 1956.
360
Cit. in V. CARBONE, Ateismo e marxismo, cit., p. 21.
361
ASV, Conc. Vat. II., Busta 140, Petitiones.
364 IL CONCILIO VATICANO II

anime. Chiedevano quindi al Santo Padre di disporre la elabora-


zione e lo studio di uno schema di costituzione conciliare dove:

“1. Si esponga con grande chiarezza la dottrina sociale cattolica, e si de-


nuncino gli errori del marxismo, del socialismo e del comunismo, dal pun-
to di vista filosofico, sociologico ed economico.
2. Siano fugati quegli errori e quella mentalità che preparano lo spirito dei
cattolici alla accettazione del socialismo e del comunismo, e che li renda-
no propensi ad essi” 362.

La Segreteria di Stato, il 18 dicembre 1963, inviò la petizione a


mons. Felici perché la trasmettesse alla Commissione mista inca-
ricata della redazione dello schema sulla Chiesa nel mondo con-
temporaneo. Iniziava per essa un travagliato cammino.
La seconda iniziativa la mise in atto mons. Geraldo de Proença
Sigaud, il quale, il 3 febbraio 1964, consegnò personalmente a Pao-
lo VI un’altra petizione sottoscritta da 510 presuli di 78 Paesi, in cui
si implorava che il Pontefice, in unione con tutti i vescovi, consa-
crasse il mondo, e in maniera esplicita la Russia, al Cuore Imma-
colato di Maria 363. Si trattava di un punto connesso al precedente e
altrettanto scottante.
Il padre Congar scriveva da parte sua: “Faccio il massimo della cam-
pagna possibile contro una consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di
Maria perché vedo il pericolo che si formi un movimento in questo senso” 364.
Le petizioni presentate dai due vescovi brasiliani e il libro del
prof. Corrêa de Oliveira costituivano, come quest’ultimo faceva no-
tare sulla rivista “Catolicismo”, un tutto coerente ed organico. “Nel
loro insieme, i tre documenti costituiscono, ciascuno a suo modo, tre episodi
d’inconfondibile importanza, nella lotta contemporanea contro il maggior
avversario del Santo Padre, della Chiesa Cattolica e della Cristianità” 365.

362
Cfr. il testo di questa petizione in “Catolicismo”, n. 157 (1964), tr. it. in “Cristia-
nità”, 19-20 (1976). Fu Plinio Corrêa de Oliveira a redigere la petizione contro il co-
munismo firmata dai Padri conciliari. Cfr. A-IPCO, Riunione del 26 agosto 1989.
363
Il testo del documento in “Catolicismo”, n. 159 (1964).
364
CONGAR, Diario, vol. II, p. 120.
365
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, A margem de três documentos providenciais, in “Catolicismo”,
n. 159 (1964), p. 3.
1963: LA SECONDA SESSIONE 365

14. Il viaggio di Paolo VI in Palestina

La seconda sessione si chiuse ufficialmente il 4 dicembre 1963 e


iniziò l’intenso lavoro delle Commissioni e delle sotto-commissio-
ni. Mentre i vescovi erano ormai tornati nelle loro diocesi, all’alba
del 4 gennaio 1964, in una gelida giornata di tramontana, Paolo VI
lasciava il Vaticano per recarsi in Palestina. Era la prima volta che
un Papa intraprendeva volontariamente un viaggio fuori dall’Ita-
lia, recandosi non solo nei Luoghi Santi, ma anche in un territorio
aspramente conteso fra arabi e israeliani. Molti supponevano che
l’iniziativa avesse l’intento di distogliere l’attenzione dell’opinione
pubblica dai deludenti risultati conciliari; altri la vedevano nata
dalla volontà di riaffermare, davanti all’opinione pubblica mon-
diale, il primato papale. L’interesse dei mass-media per il viaggio
di Paolo VI fu comunque straordinario 366. Il momento cruciale del-
la visita fu, il 6 gennaio, l’incontro con il patriarca ecumenico Ate-
nagora che dette l’avvio al dialogo ecumenico tra il mondo cattoli-
co e il mondo ortodosso 367. In Terra Santa, scriveva François Mau-
riac “noi abbiamo visto l’accelerazione della Storia diventare, sotto i no-
stri occhi, l’accelerazione della Grazia” 368.

366
Per avere un’idea dell’impatto mediatico del viaggio di Paolo VI, cfr. il settima-
nale italiano “Epoca” che dislocò l’intera redazione di giornalisti in Palestina per
realizzare il più grande servizio fino ad allora realizzato della pubblicazione (Il Pa-
pa pellegrino, in “Epoca”, n. 694 (12 gennaio 1964), pp. 20-83).
367
B. LAI, Il lungo abbraccio fra Paolo VI e Atenagora, in “Il Giornale”, 4 gennaio 1985.
368
FRANÇOIS MAURIAC, Pietro ha spezzato le catene della Chiesa, in “Epoca”, n. 694, cit.,
p. 76.
V

1964: LA TERZA SESSIONE

1. L’apertura della terza sessione

Il 14 settembre 1964, Paolo VI, attorniato da ventiquattro Padri


conciliari, aprì con una concelebrazione la terza sessione del Conci-
lio. La cerimonia, la prima di questo genere svoltasi nell’assemblea
conciliare, apparve come l’espressione liturgica del nuovo principio
della collegialità 1. “La solitudine del Papa – commentava il corri-
spondente di “Le Monde” – è scomparsa di fronte al coro di 25 prelati
– fra i quali era il vescovo di Roma – che celebravano insieme, allo stesso
livello, a una voce sola e quasi con gli stessi gesti” 2. La Messa era inol-
tre interamente dialogata e, come sottolineava mons. Câmara, dava
l’impressione di una “enorme distanza dalla Messa di apertura, cantata
dall’inizio alla fine dal Coro della Cappella Sistina” 3. Poco dopo l’inizio

1
Il 26 giugno 1964 Paolo VI aveva autorizzato i primi esperimenti in 6 monasteri be-
nedettini: S. Anselmo, Montserrat, En-Calcat, Maredsous, Maria Laach, Collegevil-
le e nel convento domenicano di Le Saulchoir. Il Giovedì Santo del 15 aprile 1965 la
concelebrazione sarebbe divenuta un rito normale della Chiesa d’Occidente. L’in-
segnamento della Chiesa, ribadito fino a Pio XII, è che nella concelebrazione il Sa-
crificio della Messa è unico e non si moltiplica secondo il numero dei celebranti (cfr.
PIO XII, Allocuzione del 2 novembre 1954, in AAS, 46 (1954), p. 669; ID., Udienza del
22 settembre 1956 all’occasione del II Congresso internazionale di liturgia pastora-
le, in AAS, 48 (1956), p. 717). Sul tema della concelebrazione, cfr. l’ottimo studio di
JOSEPH DE SAINTE-MARIE o.c.d., L’eucharistie, salut du monde. Etudes sur le Saint Sacri-
fice de la messe, sa célébration, sa concélébration, Editions du Cèdre, Parigi 1982, e quel-
lo di mons. R. M. SCHMITZ, Zur Theologie der Konzelebration, in “Theologisches”, n.
139 (1981), pp. 4323-4334 (ampliato ora in La concelebrazione eucaristica, in
http://www.haerentanimo.net, 8 settembre 2009).
2
FESQUET, Diario, p. 401.
3
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 505.
368 IL CONCILIO VATICANO II

del terzo periodo, i delegati delle conferenze episcopali chiesero di


concelebrare in cappelle o chiese adeguate, seguendo l’esempio del
Papa, e da allora le concelebrazioni iniziarono a moltiplicarsi 4.
L’allocuzione 5 con cui Paolo VI aprì i lavori dell’assise conciliare
parve anch’essa una esaltazione della collegialità, ma il Papa sotto-
lineò anche l’importanza di una “guida centrale” della Chiesa, qua-
si a voler tranquillizzare chi temeva una riduzione del Primato pon-
tificio. Al di là delle apparenze, Paolo VI dirigeva in maniera discre-
ta, ma ferma, i lavori attraverso la Commissione di coordinamento e
i quattro Moderatori (Agagianian, Döpfner, Lercaro e Suenens), a lui
strettamente legati. La terza sessione fu quella in cui più forte si ma-
nifestò la conduzione dei lavori conciliari da parte del Papa.
Il 29 settembre Alberigo incontrò padre de Lubac, invitandolo a
Bologna, e gli confidò le sue preoccupazioni che il teologo gesuita
così riferisce: “Il Papa, mi dice [Alberigo], non vuole rompere con la cu-
ria; lui, Dossetti, altri loro amici comuni, non lo vedono quasi più. Teme
che Paolo VI non continui a lungo sulla linea di Giovanni XXIII. Deplo-
ra la potenza di Felici che, secondo lui, è un curiale puro. La grande vit-
toria di Tardini su Montini è Felici” 6.
Nuovi gruppi di partecipanti si aggiunsero in questo periodo
alla già vasta assemblea: cinque “osservatori” provenienti dal
mondo ortodosso, 8 laici scelti tra gli “uditori”, 8 religiose e 7 lai-
che nella nuova categoria delle “uditrici”; infine 38 parroci giunti
da 15 Paesi del mondo. La decisione del patriarca di Costantino-
poli Atenagora, di inviare degli osservatori al Concilio fu conside-
rata un nuovo passo nel cammino dell’ecumenismo.
La mole di questioni sul tappeto era tale che, nel gennaio 1964, la
Commissione di coordinamento aveva stabilito di restringere il di-
battito ai temi essenziali: la Chiesa, i vescovi, l’ecumenismo, la Rive-
lazione, l’apostolato dei laici e la Chiesa nel mondo moderno, ovve-
ro 6 dei 13 schemi previsti dal calendario. Per quanto riguardava gli
altri sette, essi erano ridotti a “proposte” e “suggerimenti” all’assem-
blea, redatti dalle diverse Commissioni che li stavano esaminando.

4
Ivi, pp. 694-695; J. A. KOMONCHAK, L’ecclesiologia di comunione, in SCV, vol. IV, p. 27
(pp.19-118).
5
AS, III/1, pp. 140-151.
6
DE LUBAC, Quaderni, p. 605.
1964: LA TERZA SESSIONE 369

In giugno, la Commissione adottò nuove misure per accelerare i


lavori conciliari. Nel giorno stesso della sua incoronazione, il 30 giu-
gno 1963, Paolo VI aveva ricevuto in udienza l’Arcivescovo di Mo-
naco, commissionandogli un piano per condurre a termine il Conci-
lio 7. Döpfner presentò un progetto alla fine di dicembre e riunì ad
Innsbruck, dal 19 al 22 maggio 1964, i vescovi di Germania, Austria,
Lussemburgo, Svizzera e Paesi scandinavi, nonché gli osservatori
che avevano partecipato alle conferenze di Monaco e di Fulda, per
approfondire i temi che sarebbero stati discussi e messi ai voti nella
terza sessione. Secondo il “piano Döpfner”, chiunque avesse voluto
prendere la parola nell’aula avrebbe dovuto comunicare una sintesi
del suo intervento almeno cinque giorni prima della discussione al
Segretario generale. Ciò rendeva praticamente impossibile alla mi-
noranza di opporsi agli schemi, visto che il Regolamento aggiunge-
va che, nel caso di rifiuto di un documento, la dichiarazione contra-
ria avrebbe dovuto essere presentata da ben settanta firmatari. L’o-
biettivo era chiaramente quello di scoraggiare l’iniziativa di tutti co-
loro che non appartenevano a un gruppo ben organizzato.

2. L’Enciclica Ecclesiam Suam

La prima enciclica di Paolo VI, l’Ecclesiam suam, annunciata il 26


giugno 1964, fu pubblicata il 6 agosto successivo 8. Nel documento,

7
Cfr. WILTGEN, p. 146; EVANGELISTA VILANOVA, L’intersessione (1963-64), in SCV, vol.
III, pp. 372-379 (pp. 367-512); R. AUBERT, Lo svolgimento del Concilio, in SC, La Chiesa
del Vaticano II, vol. XXV/I, pp. 271-273; J. GROOTAERS, Sinergie e conflitti, cit., in L’e-
vento e le decisioni, pp. 386-413.
8
Testo in PAOLO VI, Insegnamenti, vol. X, Encicliche (1971), p. 12 (pp. 9-53). Cfr. E. VI-
LANOVA, L’intersessione, cit., pp. 470-478; G. COLOMBO, Genesi, storia e significato dell’En-
ciclica “Ecclesiam suam”, in “Ecclesiam suam”. Première lettre encyclique de Paul VI, Con-
vegno Internazionale, Roma 24-26 ottobre 1980, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia
1982, pp. 131-160. L’abbé de Nantes pubblicò una critica teologica dell’enciclica nelle
“Lettres à mes amis”, n. 180 e 181, del 20 e 28 agosto 1964. “Paolo VI – scriveva – è per-
sonalmente convinto del principio stesso del riformismo congariano. È una data nella storia
della Chiesa” (“Lettre”, n. 180). Una interpretazione conservatrice pro bono fu invece
quella del padre P. DE LA TRINITÉ o.c.d., Dialogue avec le marxisme? “Ecclesiam Suam” et
Vatican II, Editions du Cèdre, Parigi 1966, dove svolse una ferma critica al libro del
domenicano DOMINIQUE DUBARLE, Pour un dialogue avec le marxisme, Cerf, Parigi 1964.
370 IL CONCILIO VATICANO II

il Papa affrontò il tema che gli era più caro, quello dell’ecclesiolo-
gia, precisando di non voler dare di esso una trattazione dottrina-
le e dogmatica, ma di proporre semplicemente “un messaggio fra-
terno e familiare”, una “semplice conversazione epistolare” 9.
Paolo VI sviluppava i punti che già aveva trattato nell’allocu-
zione del 29 settembre 1963: la necessità della Chiesa di “approfon-
dire la coscienza di sé stessa” 10 e le “relazioni che oggi la Chiesa deve sta-
bilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e lavora” 11. Il Papa
mostrava di credere che fosse possibile per essa “adattarsi alle forme
di pensiero e di costume che l’ambiente temporale le offre e le impone” 12,
senza lasciarsi condizionare da esse, adattandosi ai sentimenti e ai
costumi mondani. Egli denunciava i pericoli del “naturalismo”, che
“minaccia di vanificare la concezione originale del Cristianesimo”, e del
“relativismo, che tutto giustifica e qualifica di pari valore” 13, ma ribadi-
va il concetto giovanneo di “aggiornamento”, una parola che “sarà
da Noi sempre tenuta presente come indirizzo programmatico” 14.
Il “dialogo” era la ricetta indicata per sviluppare i rapporti tra la
Chiesa e il mondo. “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si
trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa
si fa colloquio” 15, perché “ancor prima di convertirlo, anzi per conver-
tirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli” 16. Il dialogo avrebbe do-
vuto svilupparsi secondo “tre cerchi”: il primo avrebbe dovuto
comprendere “tutto ciò che è umano” 17; il secondo estendersi a tutti
i credenti in Dio, compresi “i seguaci delle grandi religioni afro-asiati-
che” 18; il terzo concerneva i “fratelli separati”, un settore “vario ed
estesissimo”, “tutto pervaso da fermenti spirituali che sembrano prelude-
re a futuri consolanti sviluppi per la causa della loro ricomposizione nel-
l’unica Chiesa di Cristo” 19. L’ultimo dialogo necessario era infine

9
PAOLO VI, Enciclica Ecclesiam Suam, cit., pp. 10-11.
10
Ivi, p. 11.
11
Ivi, p. 12.
12
Ivi, p. 25.
13
Ivi, p. 28.
14
Ivi, p. 29.
15
Ivi, p. 35.
16
Ivi, p. 36.
17
Ivi, pp. 44-45.
18
Ivi, pp. 48-49.
19
Ivi, pp. 50-51.
1964: LA TERZA SESSIONE 371

quello interno alla Chiesa cattolica, che il Papa vedeva già in atto:
“la Chiesa è viva oggi, più che mai!” 20.
Ecclesiam Suam è stata definita “l’enciclica del dialogo”, un ter-
mine che – ha contato il vescovo americano Fulton Sheen – è sta-
to “usato cinquantasette volte!” 21. “Effettivamente – commenta mons.
Giuseppe Colombo – le tre parti dell’enciclica sono pensate in rigoro-
sa successione logica, così che dalla prima – la presa di coscienza della
Chiesa – ‘deriva’ o deve derivare la seconda – il rinnovamento della Chie-
sa – ed entrambe confluiscono o generano la terza parte, il dialogo. Il fi-
ne, ultimo nella esecuzione, è il primo nell’intenzione” 22. Il “dialogo” è
il problema “delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo
che la circonda e in cui essa vive e lavora”. “Non può essa rimanere im-
mobile e indifferente davanti ai mutamenti del mondo circostante. Per
mille vie questo influisce e mette condizioni sul comportamento pratico
della Chiesa. Essa, come ognuno sa, non è separata dal mondo, ma vive
in esso” 23.
L’adozione del dialogo come strumento di linguaggio non era
solo una scelta strategica ma, come nota padre O’Malley, l’espres-
sione esterna di un sistema di valori interiore 24. Lo stile pastorale,
che qualche volta viene preso per semplice rivestimento esterno di
un pensiero, è in realtà l’espressione ultima e vera del suo signifi-
cato. Il “dialogo” era un metodo che implicava una concezione del
mondo e della storia.

3. I conservatori al contrattacco

a) Nasce ufficialmente il Coetus Internationalis Patrum

La composizione dell’assemblea conciliare era intanto cambia-


ta ancora una volta. Circa 250 padri (più del 10%) partecipavano
per la prima volta ai lavori della terza sessione.

20
Ivi, p. 53.
21
“Utitur quinquagies septies!”. AS, III/1, p. 773 (pp. 773-775).
22
G. COLOMBO, Genesi, storia e significato dell’“Ecclesiam suam”, cit., pp. 135-136.
23
PAOLO VI, Enciclica Ecclesiam Suam, cit., p. 24.
24
Cfr. J. W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, pp. 312-313.
372 IL CONCILIO VATICANO II

Tra le correzioni più preoccupanti apportate al testo sulla colle-


gialità che giungeva in aula, vi era quella che sostituiva l’espres-
sione “Haec igitur Ecclesia (…) est Ecclesia catholica, a Romano Ponti-
fice et Episcopis in eius communione directa” con la nuova formula
verbale: “Haec Ecclesia (…) subsistit in Ecclesia catholica, a successore
Petri et Episcopis in eius communione gubernata” 25. Con ciò sembrava
escludersi la piena identificazione tra la Chiesa di Cristo e la Chie-
sa cattolica, ammettendo la presenza di elementi ecclesiali anche al
di fuori della stessa Chiesa.
Dall’11 al 14 gennaio 1964, mons. Lefebvre, mons. de Proença
Sigaud e dom Prou, abate generale della Congregazione di Sole-
smes, si riunirono a Solesmes, con un gruppo di teologi, per un
programma di cinque giorni di lavoro comune 26. “L’idea direttrice –
scriveva l’abbé Berto a mons. Carli il 10 febbraio – è stata quella di
seguire strettamente le intenzioni del Santo Padre, e cioè di concepire il
Vaticano II, come continuantem, non adversantem il Vaticano I” 27.
L’8 febbraio, mons. Lefebvre inviò ai vescovi a lui collegati il do-
cumento redatto a Solesmes, chiedendo loro di sottoscriverlo. Lo
stesso documento fu inviato al Segretario generale del Concilio 28.

25
Schema Constitutionis De Ecclesia, in AS, III/1, p. 167 (pp. 158-168).
26
I quattro teologi erano dom Frénaud e dom Nau di Solesmes, mons. Lunaut, de-
cano della Facoltà di teologia di Angers, e il canonico Berto, tutti dottori in filosofia
e teologia dell’Università Gregoriana.
27
Lettera dell’abbé Berto a mons. Carli del 10 febbraio 1964, in N. BUONASORTE, Per
la “pura, piena, integra fede cattolica”, cit., pp. 129-130.
28
“Eccellenza Reverendissima, voglia scusare il ritardo con il quale Le perviene questo lavo-
ro. Le potrà sembrare un po’ ardito, ma siamo stati incoraggiati dai pensieri che lo stesso San-
to Padre ha avuto la bontà di espormi su tale argomento durante la mia udienza il 6 dicem-
bre 1963. Le allusioni del Sommo Pontefice nel discorso di chiusura della seconda sessione ci
hanno anche suggerito di proporre un solo schema generale, che è stato studiato da teologi di
valore, quattro teologi francesi: dom Frénaud e dom Nau de Solesmes, Monsignor Lunaut,
decano della facoltà di teologia di Angers, dottore in Sacra Scrittura, il canonico Berto, tutti
dottori in filosofia e teologia dell’Università Gregoriana. Sua Eccellenza Monsignor Sigaud,
arcivescovo di Diamantina, il Reverendissimo dom Prou, Abato generale della Congregazio-
ne di Solesmes, e me medesimo, abbiamo orientato e diretto i lavori, che devono del resto es-
sere sviluppati e saranno trasmessi non appena saranno redatti. È con grande umiltà che sot-
toponiamo questo lavoro alla Commissione di coordinamento e alla Commissione teologica
del Concilio, sperando che la precisione delle nozioni dogmatiche faciliti la comprensione dei
temi affrontati dai Padri del Concilio, durante la prossima sessione. Voglia Sua Eccellenza
gradire i sentimenti del mio rispetto e della mia devozione in Nostro Signore” (Lettera di
mons. Lefebvre a mons. Felici dell’8 febbraio 1964, in A-Ecône, 02-09 A).
1964: LA TERZA SESSIONE 373

I Padri conciliari conservatori avevano affidato a mons. Lefeb-


vre il compito di riorganizzare le loro fila. Mons. Sigaud, il 15 lu-
glio, scriveva a mons. Lefebvre:

“Qui in Brasile, non abbiamo nessuna notizia dell’andamento dei lavori


e, pertanto, non possiamo organizzare niente in vista della terza sessione.
Spero che abbiate più fortuna di me e che possiate preparare i lavori e
prendere contatti che saranno utili in futuro. Vedo nella stampa che si
considera sicura l’approvazione di proposte abbastanza rivoluzionarie.
Avremo quindi molto lavoro da fare. Mi rallegro pensando alla gioia di ri-
vedervi a Roma” 29.

Il 29 settembre 1964, a sessione iniziata, il card. Santos, arcive-


scovo di Manila, accettava di farsi portaparola dei conservatori in
seno al Sacro Collegio. Il 6 ottobre 1964, mons. de Proença Sigaud
annunciò, con una lettera inviata ai Padri conciliari, che il gruppo
avrebbe organizzato ogni martedì sera, presso la Curia generalizia
degli Agostiniani, una serie di incontri aperti a tutti i Padri conci-
liari. “Scopo di tali adunanze è lo studio comune, con il concorso di teo-
logi, degli schemi sottoposti alla discussione dei Padri alla luce della dot-
trina tradizionale della Chiesa e secondo l’insegnamento dei Sommi Pon-
tefici”. “Questi studi – precisava la lettera – si fanno secondo lo spiri-
to degli interventi fatti in Aula Conciliare dalle LL. EE. RR.me i Signo-
ri Cardinali Ruffini, Siri, Santos, Browne ed altri” 30. La prima confe-
renza in programma 31, il 13 ottobre, era del card. Ernesto Ruffini
sul 13° schema De Ecclesia in mundo huius temporis; la seconda, il 27
ottobre, del padre Ermenegildo Lio 32, sullo schema De Matrimonii
Sacramento. Nel novembre il raggruppamento scelse il nome defi-
nitivo di Coetus Internationalis Patrum, “gruppo internazionale
di padri”.

29
Lettera di mons. de Proença Sigaud a mons. Marcel Lefebvre del 15 luglio 1964, in
A-Ecône, 02.10.007.
30
A-Ecône, 02.10.004, f. 63.
31
A-Ecône, 02.10.004, f. 66.
32
Ermenegildo Lio (1920-1992), frate minore francescano, professore di teologia mo-
rale all’Università del Laterano. Di lui, cfr. L’ordine morale cristiano, Pontificia Uni-
versità Lateranense, Roma 1972.
374 IL CONCILIO VATICANO II

b) La “nota riservata” del card. Larraona

Nel corso del 1964, dalle riunioni del Coetus uscirono diversi
documenti, tra cui una Nota personalmente riservata al Santo Padre
sullo schema Constitutionis De Ecclesia (11-12 settembre 1964) 33, pre-
sentata al Santo Padre dal card. Larraona il 13 settembre, alla vigi-
lia della terza sessione, e firmata da 25 cardinali e 13 superiori di
ordini religiosi, tra i quali i superiori dei domenicani, Aniceto
Fernández, e dei gesuiti, Giovanni B. Janssens 34. Il card. Larraona
chiese anche al cardinale Ottaviani di sottoscrivere il documento,
ma il Segretario del S. Uffizio scrisse a Larraona che, pur condivi-
dendo molte apprensioni, era nell’impossibilità di accogliere l’in-
vito a firmare il testo, a causa della sua posizione di presidente del-
la Commissione che presentava lo schema in Concilio 35.
L’importanza della nota del cardinale Larraona non può essere
sottovalutata ed è confermata dal padre Caprile, che l’ha integral-
mente pubblicata all’interno di una raccolta di oltre 50 documenti
che attestano la discussione che si ebbe sul capitolo III De Ecclesia,
soprattutto tra i mesi di settembre e novembre 1964.
I firmatari del documento giudicavano il capitolo in questi
termini:

“Pur riconoscendo tutto ciò che di buono esso contiene, non possiamo non
manifestare le nostre assai gravi riserve sull’insieme del Capitolo; cre-
dendo lealmente quanto stiamo per dire, pensiamo ‘in Domino’ di avere il
diritto, e non solo il diritto – ma anche il dovere irrinunciabile – di espor-
re a Chi di dovere le nostre apprensioni e opinioni in merito. Infatti – do-

33
Quidam Patres Cardinales, Nota personalmente riservata al Santo Padre sullo schema
Constitutionis De Ecclesia, in AS, VI/3, pp. 322-328; adnexa, pp. 330-338. Il docu-
mento è riportato in G. CAPRILE, Contributo alla storia della “Nota explicativa praevia”,
in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, pp. 596-603; testo integrale della nota
anche in M. LEFEBVRE, Accuso il Concilio, tr. it. Il Borghese, Roma 1977, pp. 88-99. Sul-
la vicenda, cfr. anche J. A. KOMONCHAK, L’ecclesiologia di comunione, cit., pp. 90-96.
34
Jean-Baptiste Janssens (1889-1964), gesuita belga, ordinato nel 1919. Preposito ge-
nerale della Compagnia di Gesù dal 1946 fino alla morte. Membro della Commis-
sione conciliare dei Religiosi.
35
ASV, Conc. Vat. II, Busta 781, De Ecclesia: Epistola et alia (1964). Ottaviani a Larrao-
na, Roma, 10 settembre 1964, f. 1; Larraona a Ottaviani, 13 settembre 1964, f. 1, n. 365.
1964: LA TERZA SESSIONE 375

po attento studio – pensiamo di dover dire in coscienza e davanti a Dio


che il capitolo III: 1. Per riguardo alla dottrine ci offre: a) dottrine ed opi-
nioni nuove; b) non soltanto non certe, ma neppure più probabili o soli-
damente probabili; c) frequentemente vaghe o non perfettamente chiarite
nei loro termini, nel loro vero senso, nei loro scopi” 36.

Riguardo alle argomentazioni, lo schema veniva definito: “a)


assai debole e fallace, tanto storicamente quanto dottrinalmente; (…); b)
stranamente non curante dei principi basilari anche se provenienti da
Concili precedenti o da definirsi solenni; c) tale che da esso traspare una
dubbia e documentabile parzialità (…); d) poco preciso, poco logico, po-
co coerente e quindi tale da offrire ansa – qualora venisse approvato – a
discussioni senza fine, a crisi, dolorose follie, e ad attentati pericolosi al-
la unità, alle discipline e al governo della Chiesa” 37.
La dottrina sul Primato del Pontefice e la collegialità degli Apo-
stoli contenuta nello schema, secondo il documento presentato dal
card. Larraona:

“1° È una dottrina nuova, la quale fino al 1958, anzi fino al 1962, non
rappresentava altro che le opinioni di alcuni teologi; ma queste opinio-
ni erano ‘meno comuni’ e ‘meno probabili’. La dottrina contraria era
quella ‘comune’ ed era ‘confortata’ dal Magistero anche recente della
Chiesa.
2° La dottrina ‘comune’, ricevuta nella Chiesa come solida e più probabi-
le fino al 1962, era ‘alla base della disciplina costituzionale e interessava
anche la validità essenziale degli atti’, e questo sia nel campo dei Concili
(Ecumenici, Plenari, Provinciali) sia nel campo del governo (in tutti i
suoi gradi: Pontificio, Regionale, Provinciale, Missionario, ecc.).
3° La dottrina nuova non è divenuta né certa, né oggettivamente più pro-
babile di prima in seguito alla campagna sconcertante di blocchi di forze
che hanno deplorevolmente politicizzato il Concilio e sconcertato alcuni
Episcopati; né è divenuta tale in seguito alla azione di molti Periti auda-
ci, ma non fedeli al loro vero ufficio, i quali hanno fatto propaganda par-

36
Nota personalmente riservata, cit. in G. CAPRILE, Contributo alla storia della “Nota ex-
plicativa praevia”, cit., p. 596.
37
Ivi.
376 IL CONCILIO VATICANO II

ziale anziché illuminare in modo oggettivo i Vescovi facendo loro cono-


scere lo “status quaestionis”; né infine è divenuta probabile in seguito a
ciò che è stato diffuso dalla stampa, la quale, con i metodi che le sono pro-
pri – ed utilizzata da parte progressista – ha creato una atmosfera che ren-
de difficile la serena discussione, ostacola e impedisce la vera libertà fa-
cendo sì che chi non si dimostra favorevole viene messo subito in ridicolo
e reso impopolare. In tale atmosfera le argomentazioni scientifiche prati-
camente non possono più esercitare il loro legittimo influsso e non ven-
gono neppure ascoltate”.

La dottrina dello schema De Ecclesia, per i firmatari del docu-


mento, non era “assolutamente matura” né per una discussione, né
tanto meno per una “approvazione conciliare” 38. “Se la dottrina propo-
sta nello schema fosse vera – si leggeva nel documento – la Chiesa
avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino; da
ciò seguirebbe che, durante quei secoli, i suoi organi supremi, ‘infallibili’,
non sarebbero stati tali, avendo essi insegnato ed agito in opposizione al
diritto divino. Gli ortodossi e in parte i protestanti avrebbero dunque avu-
to ragione nei loro attacchi contro il primato” 39.
La Nota riservata dei cardinali esplose come una bomba, per
l’autorevolezza dei firmatari e per la gravità dei problemi solleva-
ti. Il 20 settembre, gli autori del documento si rivolsero al Papa, con
una nuova lettera, firmata dal card. Larraona, in cui si affermava:
“La approvazione da parte del Sommo Pontefice di un simile schema – an-
che se vi fosse la maggioranza voluta – ci sembrerebbe impossibile. La dot-
trina in essa contenuta – pur con tutte le riserve che si è cercato di porvi
– non può fare altro che sconcertare profondamente e causare delle tre-
mende crisi in seno alla parte più solida e più fida sia dei teologi che del
popolo, specie nei Paesi di tradizione cattolica; non ci si può nascondere
come già si affacci alla mente di molti il tremendo dubbio; se la Chiesa
giungesse ad ammettere la dottrina proposta, essa rinnegherà il suo pas-
sato e la dottrina finora tenuta si autoaccuserebbe di aver fallito e di aver
agito per secoli contro il diritto divino” 40.

38
Ivi, pp. 597-598.
39
Ivi, p. 600.
40
Cfr. G. CAPRILE, Contributo alla storia della “Nota explicativa praevia”, cit., p. 620.
1964: LA TERZA SESSIONE 377

Avendo ricevuto la lettera attraverso il card. Larraona 41, Paolo VI


inviò il 18 ottobre al porporato spagnolo una risposta di ben otto pa-
gine, scritte di suo pugno, in cui manifestava “sorpresa e turbamento:
per il numero e la dignità dei firmatari, per la gravità delle contestazioni
sollevate circa le dottrine dello schema stesso e con asserzioni radicalmente
contrarie e, a nostro avviso privato, sostenute con argomenti discutibili; per
il momento in cui la ‘Nota’ ci perveniva, nella notte cioè antecedente l’a-
pertura della terza sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, quando
non era più possibile sottoporre lo schema a nuovo esame; per le gravissime
e rovinose ripercussioni ben facili a prevedersi sull’esito del Concilio, e per-
ciò sulla Chiesa intera, su quella romana, specialmente, qualora fossero po-
sti in esecuzione i suggerimenti a noi dati nella ‘Nota’ stessa” 42.
Il 24 ottobre, il card. Larraona mostrò a Siri la lunga risposta au-
tografa del Papa, chiedendogli consiglio su come rispondere: se li-
mitarsi a ringraziare o rincalzare gli argomenti. Siri, che giudicava
il card. Larraona “uno dei migliori e più costanti servitori della Chiesa
e del Papa” 43, annota: “È stato da me a lungo e mi ha lasciato il docu-
mento [la lettera del Papa]. L’ho esaminato e trovo che il cardinale ha
ragione di essere dubbioso: il documento, cortesissimo nella forma, è du-
ro nella sostanza e non cela che il contenuto della lettera dei 22 cardinali
è dispiaciuto. Ho trovato che c’è modo di rispondere senza fermarsi al so-
lo ringraziamento e ho redatto subito un pro-memoria per il cardinale” 44.
Il 28 ottobre Larraona, seguendo le indicazioni di Siri, rispose al
Santo Padre con una lettera cortese ma ferma, in cui, pur espri-
mendo “sincero rincrescimento” per aver recato “turbamento e pena”
all’Augusta persona del Papa, ribadiva che “se alcune formule non
vengono ritoccate, in molte questioni disputate fra i teologi si viene a
prendere una posizione contraria alla opinione finora più comune, avva-

41
Cfr. il testo della lettera di accompagnamento del card. Larraona, in G. CAPRILE,
Contributo alla storia della “Nota explicativa praevia”, cit., pp. 619-621. A questa lette-
ra, del 20 novembre, il porporato spagnolo ne aggiungeva un’altra, scritta il 21 set-
tembre, dopo aver ascoltato le relazioni della Congregazione generale di quel gior-
no (ivi, pp. 622-623).
42
Testo in G. CAPRILE, Contributo alla storia della “Nota explicativa praevia, cit., pp. 632-
635. Cfr. anche ASV, Conc. Vat. II, Busta 345, Segreteria generale del Concilio. Nota
explicativa praevia 1964, fotocopia 8 gg.
43
SIRI, Diario, p. 394.
44
Ivi.
378 IL CONCILIO VATICANO II

lorata dal Magistero della Chiesa e dalla sua prassi per secoli interi e, per
questo, difese ancor oggi da teologi di grandissima fama” 45.
La Nota riservata manifestava, per la prima volta, l’esistenza di
una opposizione “organizzata” alla minoranza progressista che
aveva fino ad allora imposto il calendario e il tono dei lavori.

c) Le manovre di mons. Helder Câmara

Sul fronte opposto, con ben altra larghezza di mezzi finanziari


e appoggi mediatici, operava il DO-C (Documentatie Centrum Con-
cilie o Centro di Documentazione della Chiesa dei Paesi Bassi), con
sede in via dell’Anima, dietro piazza Navona. Costituito con il fi-
nanziamento della conferenza episcopale olandese 46, il DO-C dal
1° gennaio al 14 settembre 1964 aveva pubblicato 30 documenti
teologici in 6 lingue distribuendoli ai Padri conciliari e ai loro pe-
riti. In una sua lettera del 6 novembre il Centro annunciava, per il
18 dello stesso mese, un incontro in cui avrebbero preso la parola
il teologo Schillebeeckx (Lo sviluppo della teologia durante la terza ses-
sione del Concilio) e mons. Helder Câmara (Prospettive delle nuove
strutture della Chiesa) 47.
Per Câmara 48, il punto di riferimento, in Concilio, restava il
card. Suenens, ovvero, nel suo gergo, “padre Miguel”. Ma chi diri-
geva l’orchestra era, secondo il vescovo brasiliano, don Ivan Illi-
ch, da lui definito “il capo della banda e il padrone del circo” 49. La se-
ra del 15 settembre, in occasione di una conferenza dell’abbé Lau-
rentin alla Domus Mariae, si svolse un pranzo riservato al Colle-

45
Lettera del card. Larraona a Paolo VI del 28 ottobre 1964, in G. CAPRILE, Contribu-
to alla storia della “Nota explicativa praevia”, cit., p. 649 (pp. 648-650).
46
Nel 1965, alla fine del Concilio Vaticano II, il DO-C olandese si unì al Centro di
Coordinazione delle Comunicazioni Conciliari per la Stampa (CCC-C). Dalla fusio-
ne nacque l’IDO-C, Centro Internazionale d’Informazione e Documentazione sulla
Chiesa Conciliare. Dopo il Concilio, quest’ultimo venne strutturato come organi-
smo internazionale, con sede a Roma.
47
Fonds Thils, in CLG, n. 1706.
48
“Quest’uomo – ricorda il card. Suenens – svolse un ruolo fondamentale dietro le quin-
te, anche se non prese mai la parola durante le sessioni conciliari” (SUENENS, Souvenirs et
espérances, p. 177).
49
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 488.
1964: LA TERZA SESSIONE 379

gio belga con Illich, Câmara, Suenens, per “mettere a punto le gran-
di linee generali” 50. Suenens rivelò a Câmara che il relatore della
imminente discussione sulla collegialità sarebbe stato il “reazio-
nario” mons. Parente acquisito a favore dei “collegialisti”: il suo
cambiamento di fronte avrebbe avuto un notevole peso sull’epi-
scopato italiano 51. Câmara assicurò la “claque” per gli interventi di
Suenens nell’aula conciliare 52. “Al Concilio, lui è il mio leader”, scri-
veva il vescovo brasiliano nella 13a circolare ai suoi fedeli 53. Paolo
VI, ricevendolo il 13 marzo 1964, dopo la sua nomina ad arcive-
scovo di Olinda e Recife, lo aveva rassicurato con queste parole:
“Stia tranquillo. È evidente che sul suo capo c’è la mano di Dio. La Prov-
videnza si è resa tangibile” 54.

4. Compromesso sul capitolo “De Beata Maria Virgine”

Nella seconda sessione, i vescovi conservatori avevano perdu-


to la battaglia sullo schema della Beata Vergine Maria, che, invece
di essere trattato a sé, era stato assorbito come ottavo e ultimo ca-
pitolo dello schema sulla Chiesa, divenuto poi parte integrante
della costituzione Lumen Gentium. Il punto nevralgico della que-
stione mariana, che aprì la terza sessione, fu quello della media-
zione di Maria, pietra di contraddizione e di “scandalo” tra gli
stessi Padri conciliari 55. Il dibattito sull’argomento fu breve, ma ac-
ceso ed intenso 56.

50
Ivi, p. 508.
51
Ivi, pp. 509-510. Anche il consigliere di Suenens, mons. Prignon, notava che “l’as-
sessore del Sant’Uffizio, mons. Parente, fin dall’inizio, si è nettamente schierato a favore del-
la collegialità e la difende con un’energia talvolta clamorosa” (Fonds Prignon, Rapport sur
la première décade de la IIIe session conciliaire (14-24 septembre 1964), in CLG, n. 1056).
52
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 510.
53
Ivi, p. 825.
54
Ivi, vol. I, p. 476. In quel colloquio mons. Colombo confidò a mons. Câmara che al
Papa, “Rahner e Häring piacciono molto” (ivi, vol. II, p. 583).
55
Si veda il titolo eloquente dell’opera del filosofo CHARLES DE KONINCK, Le scanda-
le de la Médiation (Nouvelles Editions Latines, Parigi, p. 191). Sul tema, cfr.
FRANÇOIS-MARIE o.f.m., La nouvelle mariologie dans le chapitre 8 de Lumen Gentium,
cit., pp. 269-288.
56
AS, III/1, pp. 435-476; pp. 504-544 e III/2, pp. 99-188.
380 IL CONCILIO VATICANO II

Nel corso di un secolo, i Papi Pio IX e Pio XII avevano definito


due grandi dogmi mariani: l’Immacolata Concezione (1854) e la
Assunzione al Cielo della Beata Vergine Maria (1950). Un terzo
dogma era vivamente atteso dal mondo cattolico, quello di Maria
Mediatrice di tutte le grazie. Il Concilio Vaticano II sarebbe stata
un’occasione straordinaria perché il Papa, in unione con tutti i ve-
scovi del mondo, lo proclamasse solennemente. Paolo VI però, co-
me annota sul suo Diario padre Congar, non voleva assolutamente
che il Concilio si pronunciasse sull’argomento, mentre insisteva
perché a Maria fosse attribuito il titolo di “Mater Ecclesiae” 57.
Congar, membro della sottocommissione sulla mediazione ma-
riana, apparteneva alla schiera dei teologi “antimariani”, decisi a
fare di tutto per evitare che il Concilio incrementasse il culto alla
Beatissima Vergine. “Come poter lottare noi pochi e già sovraccarichi –
scrive – contro l’enorme massa dei mariologi fanatici?” 58. Il domenica-
no francese, nel suo Diario, descrive la riunione del 3 giugno 1964,
che vedeva lo scontro tra due schieramenti: da una parte i vescovi
e teologi “mariani”: Balić, Parente, Tromp; dall’altra gli “antima-
riani”: Garrone, Philips, Rahner. René Laurentin, mariologo mini-
malista legato al partito antiromano, cercava, da parte sua di sta-
bilire una posizione intermedia. Durante la revisione dello schema,
nei mesi dell’intersessione, fu lo stesso Philips, a quanto pare, a
persuadere Paolo VI che per il successo dello schema in Concilio,
il termine di “Mediatrice” avrebbe dovuto essere citato almeno co-
me uno dei titoli tradizionalmente in uso all’interno della Chiesa 59.
Il Papa approvò, ma insistendo perché nello schema fosse inserito
e privilegiato il titolo di “Madre della Chiesa”.
Quando lo schema giunse in aula, un numero considerevole di
Padri prese la parola. Il card. Ruffini disse che lo schema “velava”
la cooperazione di Maria all’opera della Redenzione e poiché ci si
limitava ad affermare, senza altre spiegazioni, che “Mediatrice”
era un titolo riservato alla Madonna, si rendeva indispensabile il-

57
CONGAR, Diario, vol. II, pp. 10-11.
58
Ivi, p. 95.
59
Cfr. J. A. KOMONCHAK, L’ecclesiologia di comunione, cit., pp. 78-79; cfr. C.M. ANTO-
NELLI, Le rôle de Mgr Gérard Philips dans la rédaction du chapitre VIII de “Lumen Gen-
tium”, in “Marianum”, n. 55 (1993), pp. 17-197.
1964: LA TERZA SESSIONE 381

lustrare il significato di questo titolo, affinché “i non-Cattolici potes-


sero comprendere che la sua utilizzazione non implicava alcuna diminu-
zione della dignità di Cristo, la cui sola mediazione è necessaria in modo
assoluto” 60.
Parlando a nome di 70 vescovi polacchi, il card. Wyszyński 61, ar-
civescovo di Varsavia, ricordò che nell’enciclica Ecclesiam suam, ap-
parsa sei settimane prima, Paolo VI aveva richiamato l’attenzione
sulla fondamentale importanza della Beata Vergine nella vita della
Chiesa. Basandosi su quest’affermazione, i vescovi polacchi aveva-
no indirizzato al Papa un memorandum in cui chiedevano di procla-
mare Maria “Madre della Chiesa”. A nome degli stessi vescovi, Wy-
szyński chiedeva che il capitolo sulla Beata Vergine divenisse il se-
condo dello schema, per dargli maggior rilievo e per sottolineare il
ruolo di Maria in relazione a Cristo e alla sua Chiesa. Egli chiedeva,
inoltre, che nell’assemblea conciliare fosse rinnovata, in maniera
collegiale, da parte di tutti i vescovi del mondo intero, la consacra-
zione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, effettuata da Pio
XII il 31 ottobre 1942. L’arcivescovo di Monreale Corrado Mingo
chiese, più puntualmente, secondo le richieste di Fatima, “il rinno-
vamento in chiusura del Vaticano II, della consacrazione della Chiesa, del
mondo e in particolare della Russia al Cuore Immacolato di Maria” 62.
Congar annotava da parte sua: “Faccio il massimo della campagna pos-
sibile contro una consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria,
perché vedo il pericolo che si formi un movimento in questo senso” 63.
A difesa dei privilegi mariani intervennero quindi mons. Her-
vas y Benet 64, vescovo di Ciudad Real in Spagna, e mons. García y
García de Castro, vescovo di Granada, che a nome di 80 vescovi
spagnoli rimproverò la Commissione teologica di avere “intera-
mente rifuso il testo invece di adattarlo, come avevano desiderato i Padri
conciliari” 65. Mons. Rendeiro 66, vescovo di Faro, in Portogallo, a no-

60
AS, III/1, pp. 440-441 (pp. 438-441); WILTGEN, p. 152.
61
Ivi, pp. 441-444.
62
Ivi, p. 465 (pp. 463-466).
63
CONGAR, Diario, vol. II, p. 120.
64
AS, III/1, pp. 472-473.
65
Ivi, p. 536 (pp. 536-539).
66
Ivi, pp. 506-508.
382 IL CONCILIO VATICANO II

me di 82 vescovi, si associò alla richiesta di consacrazione del mon-


do del card. Wyszyński e chiese espressamente che il titolo di “Me-
diatrice” fosse mantenuto nel testo, anche per evitare di provoca-
re, togliendolo, un inevitabile scandalo tra i fedeli.
Tra i Padri conciliari “antimariani” si distinsero il card. Döpf-
ner 67, che si fece portavoce di 90 vescovi di lingua tedesca e dei
Paesi scandinavi e il card. Alfrink 68, portavoce di 124 vescovi dei
Paesi Bassi, Africa, America latina, Germania, Italia e altri Paesi,
che domandò la soppressione del vocabolo “Maria Mediatrice”,
“equivoco e pericoloso”, perché il Cristo è l’unico mediatore. Il ve-
scovo di Cuernavaca, Mendez Arceo, si pronunciò, il 17 settem-
bre, contro il titolo di “Madre della Chiesa”, “estraneo alla tradizio-
ne orientale” e “di uso così recente che non può essere contenuto in una
costituzione dogmatica” 69.
Il Card. Léger, membro della Commissione dottrinale del Con-
cilio, sottolineò la necessità di un “rinnovamento” o “riforma” del
culto e della dottrina della Vergine. Questo rinnovamento, o rifor-
ma, – disse – è già iniziato tra i teologi, ma deve raggiungere anche
i pastori e i fedeli, e questo capitolo finale sulla costituzione della
Chiesa offre la migliore opportunità per promuoverla. “La riforma
desiderata consiste nell’usare accurate precise e semplici parole per espri-
mere il ruolo di Maria”. Aggiunse che era abitudine, nel pregarla, “di
fare uso esagerato di superlativi e di non curarsi del vero senso delle pa-
role e delle formule”. “È un’illusione – disse – pensare che l’iperbole aiu-
ti i fedeli dei nostri giorni a pregare meglio Maria e a meglio comprende-
re la sua dignità”; “un linguaggio sobrio e un discorso semplice, dareb-
bero risultati molti più fruttuosi” 70.
Destò invece sorpresa l’intervento di taglio “mariano” del card.
Suenens, secondo cui la riduzione dell’importanza di Maria, che
affiorava nello schema, costituiva una “tendenza che oggi costituisce
un reale pericolo” 71. Wiltgen osserva che per qualche momento Sue-
nens “ebbe il coraggio di discostarsi dalla linea tracciata dall’Alleanza

67
Ivi, pp. 449-452.
68
AS, III/2, pp. 12-14.
69
AS, III/1, p. 541 (pp. 541-544).
70
Ivi, pp. 445-448.
71
Ivi, pp. 504-505.
1964: LA TERZA SESSIONE 383

europea e di parlare liberamente”. D’altra parte, aggiunge, “sarebbe


stato strano che il cardinale del Belgio – Paese così conosciuto nella Chie-
sa cattolica per la sua grande devozione verso la Vergine Maria – avesse
adottato in pubblico un altro atteggiamento” 72. Nel 1913, infatti, il card.
Mercier, insieme all’episcopato belga, aveva chiesto al Papa la de-
finizione dogmatica della mediazione di grazie di Maria Santissi-
ma e, nel 1922, Pio XI aveva concesso alla Chiesa del Belgio la San-
ta Messa e l’ufficio divino in onore di Maria Mediatrice 73.
Alla fine si fece strada una soluzione intermedia, sostenuta dal
card. Frings 74, con l’appoggio del card. Alfrink. Frings parlò di un
“compromesso” che poteva essere accettato “sia a destra che a sinistra”,
utilizzando un’espressione del linguaggio parlamentare che situava
a “destra” i Padri più “mariani” e a sinistra i “minimalisti” 75. Auto-
re del testo di “compromesso” fu il padre Balić, a cui Frings fece da
sponda, rendendosi conto che la richiesta maggioranza di due terzi
non avrebbe mai portato alla vittoria le tesi progressiste 76. Philips e
Balić si incontrarono per trovare il punto di accordo ed elaborarono

72
WILTGEN, p. 153. Va ricordato che Suenens, alla fine degli anni Quaranta, era di-
venuto ardente partigiano della Legio Mariae, fondata da Frank Duff (1889-1980) e
l’aveva difesa in Vaticano contro le critiche che il padre de Lubac aveva fatto nel
1946 a questo movimento, in uno scritto diffuso privatamente ai vescovi francesi.
Suenens fu inoltre autore di Théologie de l’apostolat de la Légion de Marie, Desclée de
Brouwer, Bruges 1951, e Une éroïne de l’apostolat Edel-Mary Quinn, déléguée de la Lé-
gion de Marie en Afrique (1907-1944), Desclée de Brouwer, Bruges 1952. Su di lui eser-
citò una forte influenza Veronica O’Brien (1905-1998), irlandese, della Legio Mariae,
che aveva incontrato Suenens a Paray-le-Monial nel 1947, e svolse successivamen-
te un ruolo decisivo nello spingerlo verso il rinnovamento carismatico.
73
Cfr. M. HAUKE, The Universal Mediation of Mary according to Cardinal Mercier, in
AA.VV., Mary at the Foot of the Cross, Academy of the Immaculate, New Bedford
(MA) 2003, vol. IV, pp. 387-407; ID., Maria “Mediatrice di tutte le grazie” nell’Archivio
Segreto Vaticano del Pontificato di Pio XI. Rapporto intermedio sulle tracce trovate, in “Im-
macolata Mediatrix”, n. VII/1 (2007), pp. 118-129; ID., Maria “Mediatrice di tutte le
grazie”. La mediazione universale di Maria nell’opera teologica e pastorale del cardinale
Mercier, Eupress, Lugano 2005.
74
AS, III/2, pp. 10-11.
75
“Relativamente allo schema mariano, come ci si aspettava, sono state portate in aula mol-
te opinioni varie e differenti tra di loro. Lo stesso schema, a qual che mi sembra, non contie-
ne niente che sia contro la verità cattolica o contro i diritti dei nostri fratelli separati. Ma
non soddisfa tutti i desideri che sono stati avanzati sia da destra che da sinistra. Eppure lo
schema richiede una via di mezzo, attraverso la quale tutti possano avanzare. In questo sen-
so vi è il compromesso” (AS, III/2, p. 10).
76
WILTGEN, pp. 154-155.
384 IL CONCILIO VATICANO II

insieme un documento che aveva come titolo La Beata Vergine Maria


Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa. Il termine di “Media-
trice” vi era consacrato anche se posto in maniera assolutamente se-
condaria. “Non si poteva evitare il titolo di Mediatrix – scrive Congar –.
Tuttavia il modo in cui se ne parla è ancora il più discreto” 77.
Il testo fu rinviato alla Commissione teologica, che lo corresse
sulla base delle proposte, per poi metterlo ai voti il 29 ottobre 1964.
Il risultato fu il seguente: 1.559 placet, 521 placet iuxta modum e 10
non placet 78. Tre settimane dopo, il 18 novembre, il documento rivi-
sto alla luce dei 521 voti iuxta modum, fu nuovamente messo ai vo-
ti. Questa volta il consenso fu quasi unanime. Il titolo di “Media-
trice”, secondo i suggerimenti del card. Ruffini, di mons. Ancel e di
altri, era stato conservato nell’articolo 62, secondo cui “la Beatissi-
ma Vergine Maria è invocata dalla Chiesa sotto i titoli di Avvocata, di
Ausiliatrice, di Adjutrix e di Mediatrice”; titoli, si aggiungeva, che
nulla tolgono o aggiungono “alla dignità e alla efficacità di Cristo in
quanto solo Mediatore”.
Le manovre per eliminare ogni riferimento alla mediazione di
Maria erano dunque fallite, ma il testo che ne uscì appare comun-
que riduttivo: venivano eliminate infatti le parole “di tutte le gra-
zie”, che danno un senso all’aggettivo “Mediatrice”, così come
manca nel testo ogni riferimento alla partecipazione attiva della
Madonna alla Redenzione dell’umanità. La mediazione di Maria
non è completamente ignorata, ma non è neanche solennemente
proclamata, come i Padri conciliari avrebbero potuto fare e come
molti di essi avrebbero desiderato.

5. Perché il Vaticano II non parla dell’inferno?

Tra i primi problemi all’ordine dei lavori, figurava anche il pro-


blema dei fini ultimi dell’uomo, punto centrale del capitolo VII
dello schema De Ecclesia. Il card. Ruffini 79 notò che nessuna men-

77
CONGAR, Diario, vol. II, p. 171.
78
AS, III/6, p. 49.
79
AS, III/1, pp. 377-379.
1964: LA TERZA SESSIONE 385

zione vi era fatta dell’inferno, riservato a quelli che muoiono in


peccato mortale. La mancanza di riferimenti all’inferno fu sottoli-
neata da mons. Nicodemo 80, arcivescovo di Bari, da mons. Biagio
d’Agostino 81, vescovo di Vallo di Lucania, e da mons. Gori 82, pa-
triarca latino di Gerusalemme. L’intervento di quest’ultimo merita
di essere ricordato per la chiarezza con cui pose il problema.

“Mentre nel testo, in maniera assai opportuna, si fa menzione del Giudi-


zio, che aspetta ogni uomo, e si mostra la prospettiva della Beatitudine
eterna, si tace, in maniera sorprendente, sull’altra alternativa, cioè sul-
l’infelicità eterna che la Rivelazione e l’intera Tradizione prospetta per
ogni peccatore impenitente.
La omissione di una chiara menzione della infelicità eterna mi sembra
inammissibile da parte di un Concilio Ecumenico il cui compito è quello
di richiamare l’integra dottrina, per un argomento di così grande impor-
tanza, a tutti gli uomini e soprattutto ai cattolici.
Come per l’esistenza del giudizio e della felicità, deve essere affermata in
maniera aperta la certezza dell’infelicità eterna per coloro che hanno di-
sprezzato l’amicizia divina. Mi sembra che tre motivi lo richiedano:
Il primo è che l’esistenza dell’inferno è una indiscussa verità della rileva-
zione cristiana. Lo stesso Salvatore, che certo conosceva più di tutti il me-
todo migliore di proporre la sua dottrina, e che nello stesso tempo era la
stessa bontà in persona, tuttavia molte volte, in maniera chiara ed appas-
sionata, ha proclamato l’esistenza e l’eternità dell’inferno. Nella esposi-
zione preliminare di questo capitolo escatologico, insieme con l’esistenza
del giudizio e della felicità eterna, deve essere richiamata espressamente
quella verità rivelata che la completa, e cioè lo stato della infelicità eterna.
Il secondo motivo della necessità di ricordare espressamente questa verità
è la grandissima importanza di questa orrenda evenienza per ciascun uo-
mo. Gli uomini infatti, che in maniera tanto forte vengono attirati dalla

80
AS, III/1, pp. 385-386. Enrico Nicodemo (1906-1973), ordinato nel 1928, vescovo di
Mileto nel 1945, vescovo di Bari nel 1952. Di lui, cfr. Scritti pastorali degli anni del
Concilio e dopo il Concilio (1963-1970), Arti Grafiche Favia, Bari 1970.
81
AS, III/1, pp. 434-435. Biagio d’Agostino (1896-1984), ordinato nel 1926, vescovo au-
siliare di Termoli nel 1951,vescovo titolare di Citium nel 1951, vescovo di Gallipoli nel
1954 e di Vallo di Lucania nel 1956, vescovo emerito di Vallo di Lucania nel 1984.
82
AS, III/1, pp. 383-385. Alberto Gori (1889-1970), dell’Ordine dei Frati Minori, or-
dinato nel 1914, patriarca di Gerusalemme nel 1949.
386 IL CONCILIO VATICANO II

concupiscenza a disprezzare l’amicizia divina, certo hanno bisogno di es-


sere dissuasi dal peccato col timore di questa infelicità eterna che minac-
cia ogni peccatore impenitente. Come tutta la tradizione cristiana inse-
gnata dallo stesso Cristo e dagli apostoli ha sempre fatto, anche il nostro
Concilio ugualmente, in questa esposizione escatologica, deve richiamare
espressamente a ciascun uomo la luttuosa possibilità di questa verità.
Il terzo motivo di questa espressa menzione è una necessità speciale per il no-
stro tempo, che si deve imporre alla nostra cura pastorale. Infatti nel nostro
tempo il desiderio ovunque prevalente di una migliore vita materiale e l’edo-
nismo dilagante sminuiscono gravemente agli occhi di molti uomini il valo-
re dell’amicizia divina ed il senso del peccato. Da questo deriva il fatto che
l’esistenza dell’inferno, o della infelicità eterna, è estranea ai pensieri, comu-
nemente viene rifiutata come una considerazione inopportuna, anzi sempre
più viene combattuta come contraria alla mentalità odierna. Come molti av-
vertono dolorosamente, non pochi predicatori odierni non osano richiamare
più oltre questa terribile verità e tacciono su di essa. Ma in seguito a tali ti-
mori dei predicatori, c’è da temere che prevalga tra i fedeli la convinzione
pratica che questa pena sia una dottrina già obsoleta, della cui realtà si può
dubitare a buon diritto. Ed in questo modo si favorisce la corruzione delle
menti e dei costumi. E quindi con forza chiedo, venerabili Fratelli, che nel te-
sto proposto dell’art. 48 brevemente, seguendo le parole della Bibbia, ma in
maniera chiara, si affermi, insieme col giudizio, l’alternativa che si presenta
ad ogni uomo, cioè della felicità, ma anche della infelicità eterna” 83.

L’inferno è l’eterna perdizione per chi muore nello stato di pec-


cato mortale, senza esserne pentito, rifiutando l’amore misericor-
dioso di Dio 84. Si tratta di una verità di fede sempre insegnata dal-
la Chiesa e confermata dalla Madonna stessa nel Messaggio di Fa-

83
AS, III/1, pp. 384-385.
84
Cfr. M. SCHMAUS, Dogmatica cattolica. I Novissimi, Marietti, Torino 1969, vol. IV/2,
pp. 423-479; C. POZO s.j., Teologia dell’aldilà, Paoline, Roma 1983, pp. 397-433. Si ve-
dano anche i numeri speciali della rivista “Fides Catholica” sull’inferno: n. 2 (2008),
pp. 351-568, con contributi di mons. Brunero Gherardini, don Nicola Bux, Cri-
stopher J. Malloy, padre Giovanni Cavalcoli, padre Paolo M. Siano, mons. Arthur B.
Calkins, padre Stefano M. Manelli, e n. 1 (2009), pp. 21-260, con contributi di mons.
Michelangelo Tabet, padre Settimio M. Manelli, don Manfred Hauke, padre Ales-
sandro Apollonio, padre Serafino M. Lanzetta. Cfr. anche S. M. LANZETTA f.i., Infer-
no e dintorni, Cantagalli, Siena 2010.
1964: LA TERZA SESSIONE 387

tima, che si apre proprio con la terrificante visione dell’inferno, nel


quale i tre pastorelli vedono cadere una moltitudine di anime raf-
figurate come “braci trasparenti e nere o bronzee in forma umana”, si-
mile alle “scintille” nei grandi incendi, “tra grida e gemiti di dolore e
disperazione”, terrorizzandoli, al punto tale che sarebbe bastato an-
cora qualche attimo perché essi venissero meno.
Fatima – commenta la stessa suor Lucia – ha offerto una “ulte-
riore prova” a garanzia “che è vero che esiste l’inferno e che ci vanno le
anime dei poveri peccatori”, unendo, tuttavia, a questa terribile verità,
la Verità salvifica della devozione al Cuore Immacolato di Maria 85.
Negli anni del Concilio e in quelli che seguirono furono molti i
teologi, da Hans Küng a Karl Rahner, da Urs von Balthasar a
Edward Schillebeeckx, che ridussero l’inferno a una rappresenta-
zione mitologica o, pur ammettendone la realtà, lo considerarono
“vuoto” 86. La negazione o il ridimensionamento dell’inferno era pe-
raltro la conseguenza di una insistenza, talvolta ossessiva, sulla
misericordia divina che portava ad accantonare completamente il
ruolo della divina giustizia. Le conseguenze erano destinate a es-
sere disastrose, in ordine alla responsabilità personale degli uomi-
ni nei riguardi della fede e della morale della Chiesa.

6. Lo scontro sulla libertà religiosa

a) Due concezioni opposte

Nessuno schema conobbe tante modifiche e revisioni quanto


quello sulla libertà religiosa, di cui si iniziò a discutere nella terza
sessione dal 23 al 28 settembre 1964 87.

85
SUOR LUCIA, Gli appelli del messaggio di Fatima, Secretariado dos Pastorinhos, Fati-
ma 2006, p. 142. Si veda anche S. M. MANELLI f.i., Fatima, l’inferno e il Cuore Immaco-
lato, in “Fides Catholica”, n. 2 (2008), pp. 529-568.
86
Cfr. G. CAVALCOLI o.p., L’inferno esiste. La verità negata, Fede e Cultura, Verona 2010,
pp. 54-92.
87
AS, III/2, pp. 317-327. Cfr. M. DAVIES, The Second Vatican Council and Religious Li-
berty, cit.; S. SCATENA, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignita-
tis Humanae” sulla libertà religiosa del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2003.
388 IL CONCILIO VATICANO II

Il Magistero pontificio, in opposizione alle teorie nate dalla Ri-


voluzione francese, ritiene che nella vita sociale delle nazioni l’er-
rore può essere al più tollerato come un fatto, mai come un diritto.
La condanna del relativismo liberale e del falso principio della li-
bertà di coscienza e di religione è ininterrotta da parte del Magi-
stero. Nel XIX secolo, era stata affermata da Gregorio XVI nella en-
ciclica Mirari vos 88, da Pio IX nella enciclica Quanta cura e nel Silla-
bo, da Leone XIII nelle encicliche Immortale Dei e Libertas 89. Pio XII
aveva ribadito che “ciò che non risponde alla verità e alla legge morale,
non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda,
né all’azione” 90.
Lo schema di costituzione sulla Chiesa presentato in sede di
Commissione preparatoria dal card. Ottaviani comprendeva, nella
sua seconda parte, un capitolo, il IX, dedicato alle Relazioni fra la
Chiesa e lo Stato e la tolleranza religiosa 91. La Commissione prepara-
toria vi riassumeva la dottrina cattolica sui rapporti tra potere ec-
clesiastico e potere civile, distinguendo tra gli Stati nei quali la
maggioranza dei cittadini professano la fede cattolica e quelli do-
ve una larga parte dei cittadini non la professi, o non conosca nem-
meno il fatto della Rivelazione. Nel primo caso è dovere dello Sta-
to professare la religione cattolica, nel secondo conformarsi quan-
to meno ai precetti della legge naturale, rispettando la piena libertà
della Chiesa di adempiere alla sua divina missione. Lo schema ori-
ginale era stato però scartato, sin dalla prima sessione del Conci-
lio, a favore di un nuovo schema, redatto dal Segretariato per l’U-
nità dei Cristiani, sotto la direzione del card. Bea, e distribuito ai
Padri conciliari il 19 novembre 1963, come capitolo V dello schema
sull’ecumenismo, nella convinzione che la libertà religiosa fosse
preambolo ai rapporti ecumenici con le altre comunità cristiane.
Nella seconda sessione, si discusse innanzitutto se il testo sulla
libertà religiosa avesse dovuto far parte dello schema sull’ecume-

88
GREGORIO XVI, Enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832, in DENZ-H, nn. 2730-2732.
89
LEONE XIII, Enciclica Libertas, del 20 giugno 1888, in ASS, 20 (1887-1888), p. 604
(pp. 593-613) e Immortale Dei del 1 novembre 1885, in ASS, 18 (1885), pp. 161-180.
90
PIO XII, Discorso Ci riesce ai giuristi cattolici del 6 dicembre 1953, in AAS, 45
(1953), p. 799.
91
AD, II-II/4, pp. 657-684.
1964: LA TERZA SESSIONE 389

nismo, come chiedeva, ad esempio, il card. Meyer 92, o piuttosto


avesse dovuto figurare come uno schema distinto, secondo la ri-
chiesta del card. Léger 93. I cardinali Moderatori erano favorevoli al-
la seconda soluzione, ma si resero conto, dall’andamento della di-
scussione, che la proposta si presentava comunque come prematu-
ra e che sarebbe stato meglio rinviare la discussione.
Il 16 settembre, alla vigilia dell’apertura del terzo periodo, un
gruppo di nove vescovi, per lo più latino-americani, aveva scritto
a Paolo VI per manifestargli la propria “emozione” e “viva ansietà”
di fronte al linguaggio dei documenti conciliari di imminente di-
scussione, intessuti di “formulazioni nuove e talvolta del tutto inatte-
se” che “non sembrano conservare lo stesso senso e la stessa portata di
quelle figure usate dalla Chiesa” 94.

“Alcuni schemi, e in particolare quello sull’‘Ecumenismo’, con la sua Di-


chiarazione sulla Libertà religiosa, vengono utilizzati, con soddisfazio-
ne e sostegno, in termini e con un significato che, pur non contraddicen-
doli sempre, si oppongono almeno formalmente sia all’insegnamento del
Magistero ordinario che alle dichiarazioni del Magistero straordinario,
fatte da più di un secolo. Non vi riconosciamo più la teologia cattolica, né
la sana filosofia che deve illuminarne il cammino. Ciò che ci sembra ag-
gravi ulteriormente la questione è che l’imprecisione degli schema rischia
di consentire la penetrazione di idee e di teorie, contro le quali la Sede
Apostolica non ha smesso di metterci in guardia.
(…) Ci permettiamo di aggiungere che molti fedeli e sacerdoti, ai quali
una stampa estremamente abbondante presenta queste prospettive di ri-
schioso ‘aggiornamento’, si dicono molto turbati” 95.

Primo firmatario del documento, a cui avevano aderito mons.


de Proença Sigaud e mons. de Castro Mayer, era l’arcivescovo di
Nueva Pamplona (Colombia), Aníbal Muñoz Duque 96.

92
AS, III/2, pp. 366-368.
93
Ivi, pp. 359-360.
94
AS, VI/3, pp. 339-340.
95
Ivi, p. 340.
96
Aníbal Muñoz Duque (1908-1987), colombiano, ordinato nel 1933, vescovo di So-
corro y San Gil nel 1951, vescovo di Bucaramanga nel 1952, arcivescovo di Nueva
390 IL CONCILIO VATICANO II

Era ormai chiaro, come scriveva mons. Felici, che ci si trovava da-
vanti a “due concezioni diametralmente opposte” 97. I “manifesti” delle
due tendenze potevano trovarsi da una parte nelle lucide pagine del-
le Institutiones Juris Publici ecclesiastici del card. Ottaviani 98, che rias-
sumevano la concezione tradizionale della Chiesa, dall’altra nel
pamphlet del padre Chenu, La fin de l’ère constantinienne, apparso a Pa-
rigi nel 1961, che annunciava l’ora di una “svolta anticostantiniana”.
I promotori del nuovo progetto, nella sua fase decisiva, non ap-
partenevano al noyau franco-belga, ma a un gruppo di vescovi ame-
ricani fortemente influenzati dal gesuita John Courtney Murray, ap-
poggiato da mons. Pietro Pavan 99, uno dei principali redattori del-
le encicliche di Giovanni XXIII, Mater et Magistra e Pacem in terris.
Secondo Grootaers, si può perfino dire che il contributo ameri-
cano più importante del Vaticano II si ritrova sul tema della libertà
religiosa 100, anche se, a suo parere, “solo due persone furono i perni
della ‘Dichiarazione’ dal primo giorno (1960 a Friburgo) all’ultimo (il 7
dicembre 1965 a Roma), mons. E. J. De Smedt, vescovo di Bruges, e il pa-
dre Hamer 101, rettore al Saulchoir” 102.
Non a caso il padre Murray, in un articolo pubblicato su “Ame-
rica” il 30 novembre 1963, aveva parlato della “questione della libertà
religiosa” come del “problema americano” del Concilio. Murray, l’av-
versario storico di mons. Fenton, aveva ricevuto dal 1955 la proibi-

Pamplona nel 1959, arcivescovo titolare di Cariana nel 1968, arcivescovo di Bogotá
nel 1972, creato cardinale da Paolo VI nel 1973.
97
Cfr. l’appunto destinato al Papa di mons. Felici del 14 ottobre 1964 in AS, V/2, p. 795.
98
Cfr. A. OTTAVIANI, Institutiones Juris Publici ecclesiastici, Typis Polyglottis Vaticanis,
Città del Vaticano 1960, 2 voll., in particolare vol. II. Il card. Ottaviani aveva rias-
sunto la dottrina della Chiesa nella conferenza Doveri dello Stato cattolico verso la re-
ligione, da lui tenuta il 2 marzo 1953 nell’Aula Magna del Pontificio Ateneo Latera-
nense e edita nello stesso anno dalla Libreria del Pontificio Ateneo.
99
Pietro Pavan (1903-1994), ordinato nel 1929, professore alla Lateranense dal 1948
al 1969, ne divenne rettore nel 1969. Creato cardinale nel 1985. Cfr. ROSEMARY GOL-
DIE, L’unità della famiglia umana. Il pensiero sociale del card. P. Pavan, Studium, Roma
2001.
100
J. GROOTAERS, Paul VI et la déclaration conciliaire sur la liberté religieuse “Dignitatis
Humanae”, in Paolo VI e il rapporto Chiesa mondo, p. 87 (pp. 85-125).
101
Jean Jérôme Hamer (1916-1996), domenicano francese, ordinato nel 1941, arcive-
scovo titolare di Lorium e Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fe-
de nel 1973, creato cardinale nel 1985.
102
J. GROOTAERS, Paul VI et la déclaration conciliaire, cit., p. 86.
1964: LA TERZA SESSIONE 391

zione di scrivere in tema di libertà religiosa, ma godeva le simpatie


di mons. Montini, che conosceva dagli anni Cinquanta. Fenton era
a Roma, fin dal 1960, come teologo di fiducia del card. Ottaviani,
mentre Murray era stato nominato “esperto conciliare” nell’aprile
del 1963 e solo a partire da questo momento si interessò, con Pavan,
alla redazione del nuovo schema 103, con l’incoraggiamento di Paolo
VI, con il quale condivideva l’influenza maritainiana 104.

b) Il dibattito in aula

Il dibattito fu riaperto il 23 settembre 1964, nove giorni dopo


l’apertura della terza sessione 105. La Congregazione generale iniziò
con una cerimonia di venerazione della reliquia di S. Andrea che,
presa ai Turchi e portata a Roma nel 1462, stava adesso per essere
rimandata a Patrasso, in Grecia, in segno di omaggio ecumenico 106.
Mons. De Smedt presentò il nuovo rapporto, affermando che du-
rante l’intersessione, i Padri conciliari avevano proposto 380 osser-
vazioni ed emendamenti, che erano stati esaminati “molto attenta-
mente dal Segretariato per l’Unità dei Cristiani” 107. Il nuovo schema
sulla libertà religiosa comunque aveva bisogno di essere ancora
perfezionato su un certo numero di punti, visto che “come tutti san-
no, la questione della libertà religiosa non era mai stata trattata da nes-
sun concilio ecumenico” 108. “Questo non è il parere della Commissione,
perché si tratta di una libertà essenziale fondata sulla stessa natura della
persona umana”. “La limitazione della libertà da parte dello Stato pone
dei problemi molto ardui – riconobbe il relatore –. Lo Stato, infatti, ha

103
Cfr. D. E. PELOTTE, John Courtney Murray, cit., pp. 34-35; P. GRANFIELD, op. cit., pp.
196-197.
104
Sull’affinità tra la visione della libertà religiosa di Paolo VI e quella di Murray, cfr.
P. GRANFIELD, American Theologians, cit., pp. 201-204. Sull’influsso di Maritain su
Paolo VI, cfr. P. CHENAUX, Paul VI e Maritain. Les rapports du “Montinianisme” et du
“Maritainisme”, Istituto Paulo VI, Brescia – Studium, Roma 1994.
105
AS, III/2, pp. 348-381, pp. 468-578 e pp. 611-752.
106
Ivi, pp. 285-287. Sull’evento, cfr. A. BEA, Ecumenismo nel Concilio. Tappe pubbliche di
un sorprendente cammino, Bompiani, Milano 1968, pp. 163-176.
107
AS, III/2, pp. 348-353.
108
Ivi, p. 348.
392 IL CONCILIO VATICANO II

un carattere ‘laico’, vale a dire che bisogna tenere per fermo che esso non
ha alcun potere di giudizio nei confronti della verità delle cose religiose e
che esso non può in nessun modo dare dei suggerimenti in materia” 109.
I cardinali Meyer 110 di Chicago, Ritter 111 di Saint-Louis, Cu-
shing 112 di Boston, quest’ultimo amico personale della famiglia
Kennedy, sottolinearono l’aspetto “politico” della dichiarazione,
affermando che con essa la Chiesa cattolica si sarebbe presentata
al mondo come protagonista della lotta per la libertà. Anche il
card. Heenan di Westminster parlò in appoggio alla dichiarazio-
ne, ma il card. Norman Gilroy 113 di Sydney ruppe l’unanimità del
mondo anglofono con una severa denuncia scritta: “È davvero pos-
sibile – si chiese – che un concilio ecumenico dica che qualsiasi eretico
ha il diritto di allontanare i fedeli da Cristo, il Supremo Pastore, e por-
tarli al pascolo nei loro campi avvelenati?” 114.
I più critici nei confronti del testo furono però i vescovi italiani
e spagnoli. Il card. Ruffini sottolineò il legame tra libertà e verità, af-
fermando che la vera religione non poteva che essere unica e a que-
sta soltanto, di diritto, apparteneva la libertà, altrimenti, osservò, il
Concilio avrebbe dato l’impressione di non chiedere niente più del-
l’articolo 18 della Dichiarazione sui diritti dell’uomo dell’ONU 115.
Gli rispose il card. Silva Henríquez, il quale, parlando a nome
di 58 vescovi dell’America Latina, affermò che il grande valore del-
la dichiarazione stava nel fatto che essa era presentata non come il
capitolo di uno schema, ma come una dichiarazione indipendente,
destinata all’umanità intera 116.
Prese quindi la parola il card. Ottaviani. La dichiarazione – dis-
se – enunciava un principio che era sempre stato riconosciuto, e
cioè che nessuno può essere obbligato in materia di religione. Ma

109
Ivi, pp. 352-353.
110
Ivi, pp. 366-368.
111
Ivi, pp. 368-369.
112
Ivi, pp. 361-362.
113
Norman Thomas Gilroy (1896-1977), australiano, ordinato nel 1923, vescovo di
Port Augusta nel 1935, arcivescovo di Sydney dal 1940 al 1971, creato cardinale da
Pio XII nel 1946.
114
AS, III/2, pp. 611-612.
115
Ivi, pp. 354-356.
116
Ivi, pp. 369-373.
1964: LA TERZA SESSIONE 393

era esagerato affermare che chi segue la propria coscienza “è degno


d’onore”, senza precisare che la coscienza da seguire deve essere
retta e non contraria al diritto divino. “Il principio – disse – secondo
cui ognuno ha il diritto di seguire la propria coscienza deve presupporre
che la coscienza non sia contraria alla legge divina”, aggiungendo che
nel testo mancava “una esplicita e solenne affermazione del primo e ge-
nuino diritto alla libertà religiosa, che appartiene obiettivamente a coloro
che sono membri della vera religione rivelata”. Tale diritto di religione
è allo stesso tempo soggettivo e oggettivo, mentre al contrario, per
quelli che sono nell’errore è solo questione di diritto soggettivo.

“Ora io constato con il cardinale Ruffini una omissione sostanziale; non si


parla della libertà dei fedeli di osservare la vera religione (…). Infatti non
solo bisogna appellarsi ai diritti naturali, ma anche a quelli soprannaturali
che certo danno agli uomini facoltà che superano anche le limitazioni che
possono essere provocate dalle società umane per i motivi del consorzio so-
ciale. Così gli Apostoli avevano potuto dire: ‘Bisogna obbedire più a Dio che
agli uomini’. (…) Non siamo qui in un qualche convegno filosofico o pura-
mente umano, ma siamo in un Concilio della Chiesa cattolica, e dobbiamo
professare e difendere la verità cattolica perché vi sia la piena libertà di agi-
re secondo la dottrina cattolica soprattutto ai nostri tempi, quando potrem-
mo dire, con i primi Padri, con i primi cristiani, riguardo a coloro che sof-
frono nei luoghi delle persecuzioni: quante carceri avete rese sante! (…) In-
fine anche a me non piace il fatto di dire che la società non è in grado di fa-
re discernimento sulla religione. Se fosse valido questo principio, dovrem-
mo dire addio a tutti i concordati, a tutte le convenzioni che sempre la Chie-
sa ha attuato, e che anche nel nostro secolo ha stipulato con le società civili
che ha ammesso a discutere i problemi religiosi. E non c’è da dubitare sul
fatto che i concordati portano grandissimi vantaggi alla Chiesa. Sarebbe
sufficiente constatare, ad esempio, quanta forza ha il Concordato con l’Ita-
lia per difendere il matrimonio cristiano ed anche per difendere l’istruzione
religiosa dei fanciulli e degli studenti, ed altre cose di tal genere” 117.

Ottaviani chiese che la libertà religiosa non venisse sollecitata


con tanta energia, ricordando le parole ammonitrici di S. Paolo a

117
Ivi, pp. 375-376.
394 IL CONCILIO VATICANO II

Timoteo: “Rimprovera, esorta, reprimi con tutta la pazienza e l’insegna-


mento, perché verrà un tempo in cui essi non sopporteranno la vera dot-
trina” (2 Tim. 4, 2-3).
Sulla stessa linea vi furono altri autorevoli interventi. Richia-
mandosi a quello di Ruffini, l’arcivescovo castrense spagnolo
Alonso Munoyerro 118 sottolineò il pericolo a cui la dottrina sulla li-
bertà religiosa esponeva i concordati. I governanti cattolici, secon-
do il Concilio, avrebbero dovuto infrangerli, sacrificando così quel-
l’unità cattolica della nazione di cui godeva, ad esempio, la Spa-
gna, un Paese che aveva il grande merito di aver salvato il cattoli-
cesimo nell’età moderna, di aver reso cattoliche l’America Latina e
le Filippine e di aver ottenuto nel nostro tempo “la grande e unica
vittoria contro il comunismo” 119.

“Questo sarà il caso della Spagna: essa gode dell’unità cattolica dal seco-
lo VII, dal tempo del re Recaredo. Ha avuto un atteggiamento tollerante
verso gli ebrei per molti secoli. Ha avuto ed ha tolleranza con i protestan-
ti, per i quali prepara una legge che difende i loro diritti senza rinnegare
l’unità cattolica. Per la forza di questa unità la religione cattolica si trova
in 22 repubbliche dell’America e nelle isole filippine. A questa religiosità
degli spagnoli si deve quello che della religione cattolica rimane nelle re-
gioni protestanti. Ad essa si deve anche in gran parte il Concilio di Tren-
to, la vittoria sui maomettani in Spagna e a Lepanto. Ai nostri tempi una
grande vittoria contro il comunismo.
D’altra parte, i protestanti (con i giudei e i maomettani non importa) so-
no soltanto, tra spagnoli e stranieri, 30.000 (numero accettato da tutti),
tra i quali sono soltanto 15.000 spagnoli. Questi per la maggior parte so-
no stati attirati con la forza del proselitismo ed hanno una condizione so-
ciale che non supera quella più bassa.
Reverendissimi Signori, vi prego di tenere sotto gli occhi questi aspetti per
evitare i mali che si devono prevedere se il Governo spagnolo decidesse la
cessazione del Concordato e promuovesse la libertà in materia di religio-
ne, come viene proposto nello schema” 120.

118
Ivi, pp. 614-615.
119
Ivi, p. 614.
120
Ivi.
1964: LA TERZA SESSIONE 395

Il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo era stato fir-


mato il 27 agosto 1953 dal Pro-segretario di Stato mons. Tardini e
dal Capo dello Stato spagnolo Francisco Franco Bahomonde; esso
si apriva “In nome della Santissima Trinità” e al suo art. 1 definiva “la
religione cattolica, apostolica, romana” come “l’unica religione della Na-
zione Spagnola”. Lo Stato spagnolo riconosceva alla Chiesa cattoli-
ca il “carattere di società perfetta” (art. II) e la personalità giuridica
internazionale della Santa Sede, dello Stato, della Città del Vatica-
no (art. III), per regolare poi, minuziosamente in 36 articoli, gli ac-
cordi tra Santa Sede e Spagna 121. Sarebbe stato ribaltato dopo il
Concilio.
Anche il card. Quiroga y Palacios 122 (Santiago di Compostella)
domandò che lo schema sulla libertà religiosa fosse interamente ri-
visto per la sua ambiguità: c’era il rischio che il Concilio desse la
sua solenne approvazione a quel liberalismo che la Chiesa aveva
sempre condannato. Il card. Browne 123 ribadì, per gli stessi motivi,
che la dichiarazione non poteva essere approvata nei termini in cui
era presentata; anche alcuni esponenti delle grandi famiglie reli-
giose, come il Generale dei domenicani Fernández 124 e dom Prou,
superiore della Congregazione benedettina francese, presero posi-
zione contro lo schema 125. Tra gli altri interventi vanno ricordati
quelli di mons. Lefebvre 126, di mons. de Castro Mayer 127 e del card.
Wojtyla 128, arcivescovo di Cracovia. Quest’ultimo osservò che nel
testo non si diceva chiaramente, come ha fatto il Cristo, che “solo la
verità rende liberi”.
Gli interventi critici di tanti autorevoli vescovi avevano creato
nella maggioranza dei Padri molti dubbi e interrogativi sul testo
che veniva proposto alla loro approvazione. Quanto più però

121
AAS, 45 (1953), pp. 625-656.
122
AS, III/2, pp. 357-359. Fernando Quiroga y Palacios (1900-1971), spagnolo, ordi-
nato nel 1922 arcivescovo di Santiago di Compostela dal 1949 al 1971. Creato cardi-
nale nel 1953.
123
AS, III/2, pp. 470-471.
124
Ivi, pp. 539-542.1
125
Ivi, pp. 734-737.
126
Ivi, pp. 490-492.
127
Ivi, pp. 485-486.
128
Ivi, pp. 530-532.
396 IL CONCILIO VATICANO II

un’assemblea è vasta, tanto più facilmente se ne possono mutare


gli umori. In questo caso, l’atmosfera in aula cambiò quando mons.
Carlo Colombo, vescovo da qualche mese, e noto per essere il prin-
cipale consigliere teologico di Paolo VI, affermò con sicurezza che
la dichiarazione sulla libertà religiosa era “della più alta importan-
za”, non solo a causa delle sue conseguenze pratiche, ma anche, e
forse soprattutto, perché gli uomini di cultura avrebbero visto in
essa una chiave di dialogo tra la dottrina cattolica e la mentalità
moderna 129. “Per noi, in Italia, è il punto saliente di un possibile dialo-
go o di un insanabile dissidio tra la dottrina cattolica e il modo di sentire
dell’uomo contemporaneo” 130. Egli parlò per ultimo, come se toccasse
a lui, per tacito incarico del Santo Padre, di tirare le conclusioni del
dibattito.
Paolo VI, che esigeva l’approvazione del testo, non poteva però
ignorare le critiche ad esso rivolte. Il 9 ottobre, il card. Bea ricevet-
te una lettera di mons. Felici che gli comunicava il desiderio del
Papa che il testo sulla libertà religiosa fosse riscritto e lo informa-
va che a tale scopo sarebbe stata istituita una Commissione mista
formata dai membri del Segretariato per l’Unità e dalla Commis-
sione teologica, fra i quali erano stati inseriti anche il card. Michael
Browne, il Maestro generale dei domenicani Aniceto Fernández,
l’arcivescovo Marcel Lefebvre e mons. Carlo Colombo. A parte
quest’ultimo, uomo di fiducia del Papa, gli altri tre erano fermi op-
positori della dichiarazione sulla libertà religiosa 131.
I progressisti si mobilitarono immediatamente, allarmati so-
prattutto dal nome di mons. Lefebvre. La domenica 11 ottobre vi fu
una riunione pomeridiana presso la residenza del card. Frings, cui
parteciparono anche i cardinali Léger, Joseph-Charles Lefebvre,
Meyer, Ritter, Silva Henríquez, Döpfner, Alfrink 132. La sera stessa,
una lettera dal tono drammatico firmata da 13 cardinali arrivò sul
tavolo del Papa. “Non sine magno dolore – vi si leggeva – abbiamo ap-
preso che la dichiarazione sulla libertà religiosa (…) dovrebbe essere ri-

129
Ivi, pp. 554-557.
130
AS, III/2, p. 554.
131
AS, V/2, p. 773.
132
Cfr. FESQUET, Diario, p. 588; G. MICCOLI, Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con
gli ebrei, in SCV, vol. IV, pp. 212-213 (pp. 119-220).
1964: LA TERZA SESSIONE 397

messa ad una certa Commissione mista di cui si dice che quattro membri
sono già stati designati, tre dei quali sembrano in contraddizione con l’o-
rientamento del Concilio in questa materia” 133.
Il 12 ottobre un appunto della Segreteria di Stato riferiva l’indi-
sposizione dell’episcopato francese ad accogliere la eventuale nomi-
na di mons. Marcel Lefebvre a membro della Commissione per la re-
visione dello schema. L’appunto trasmesso dal card. Cicognani al
Papa si esprimeva in questi termini: “1) SER mons. Martin riferisce che
nell’episcopato francese l’eventuale scelta di SER mons. Marcello Lefebvre
(sic) sarebbe considerata come una specie di sfiducia nello episcopato, pres-
so il quale tale nomina non sarebbe favorevolmente accolta (sic), date le po-
sizioni più che ‘estremiste’ assunte in varie circostanze da mons. Lefebvre.
2) Ho creduto bene autorizzare mons. Martin a far sapere che non è stata
fatta alcuna nomina e che mons. Lefebvre non sarà fra i prescelti” 134.
Due giorni dopo, la notizia venne resa pubblica dal quotidiano
“Il Messaggero”, suscitando ampia eco. Il 16 ottobre, nelle nuove
istruzioni trasmesse dal Segretario di Stato a mons. Felici 135, i nomi
di mons. Lefebvre e del padre Fernández erano scomparsi e il ruolo
della Commissione veniva ridimensionato. I due principali “teorici”
della libertà religiosa, John Courtney Murray e Pietro Pavan, si sa-
rebbero assunti il compito di lavorare alla correzione del testo, pri-
vilegiando un approccio “anglo-italiano” di tipo politico-giuridico,
più che teologico e morale, come chiedevano invece i teologi fran-
cofoni 136. All’indomani della crisi, Paolo VI tranquillizzò mons. De
Smedt con queste parole: “Vedrà, il nostro testo passerà” 137. In un’in-
tervista con Daniel Pézeril, il Papa affermò: “Forse sono lento. Ma so
ciò che voglio. Dopo tutto è mio diritto riflettere” 138. Mons. Pavan definì
“determinante” l’intervento di Paolo VI sul documento conciliare 139.

133
AS, VI/3, p. 440.
134
ASV, Conc. Vat. II, Busta 114, De libertate religiosa, n. 4, 1 f. Un secondo appunto in
stessa data riferiva che anche il Segretario di Stato “si è meravigliato della scelta di SER
mons. Lefebvre, dicendo che è inopportuna” (ivi).
135
Cfr. AS, V/2, pp. 798 sgg.
136
Cfr. D. E. PELOTTE, John Courtnay Murray, cit., p. 94; J. GROOTAERS, Paul VI et la dé-
claration conciliaire, cit., p. 93.
137
J. GROOTAERS, Paul VI et la déclaration conciliaire, cit., p. 122.
138
DANIEL PEZERIL, Paul VI et le Concile, in “Le Monde”, 27 febbraio 1965.
139
P. PAVAN, Testimonianza, in J. GROOTAERS, Paul VI et la déclaration conciliaire, cit., p. 186.
398 IL CONCILIO VATICANO II

7. La questione degli ebrei in Concilio

a) Dal 1959 al 1964

Dopo la libertà religiosa, i Padri conciliari affrontarono un tema


altrettanto spinoso: il testo sugli ebrei e i non cristiani, che era sta-
to trasformato in un’appendice del decreto sull’ecumenismo e che,
tra il novembre del 1963 e l’ottobre del 1965, fu al centro di accese
discussioni 140.
In occasione della Settimana Santa del 1959, Giovanni XXIII, cin-
que mesi dopo la sua elezione, aveva ordinato di sopprimere l’e-
spressione “pro perfidis Judaeis” dalla liturgia del Venerdì Santo, su-
scitando apprezzamenti nel mondo ebraico internazionale 141. Il 18
gennaio 1960 una delegazione dell’organizzazione internazionale
ebraica B’nai B’rith aveva incontrato il Papa in Vaticano. Ma la pri-
ma ispirazione di un testo sui rapporti tra il Cristianesimo e gli ebrei
nacque da un incontro di Giovanni XXIII con Jules Marx Isaac 142, un
ebreo francese, ottuagenario come Roncalli, ex-ispettore generale
della Pubblica Istruzione e autore di un Manuale di storia usato negli
anni ’30 nei licei in Francia. Dopo la perdita della moglie e della fi-
glia in un campo di concentramento nazista, Isaac, che da anni com-
batteva l’“antisemitismo cristiano”, aveva dedicato i suoi ultimi
venti anni di vita allo studio critico dei rapporti tra Giudaismo e Cri-
stianesimo, consacrando a questo tema due libri importanti: Jésus et
Israel, pubblicato nel 1946 e ristampato nel 1959, e Genèse de l’antisé-
mitisme, pubblicato nel 1948 e ristampato nel 1956. La sua tesi di fon-
do era che l’antigiudaismo teologico cristiano costituiva la forma
più terribile di antisemitismo. L’“insegnamento del disprezzo” cristia-

140
AS, III/2, pp. 579-607 e AS, III/3, pp. 11-55, pp. 141-142 e pp. 155-178. Sul Vaticano
II e gli ebrei si veda: R. LAURENTIN, L’Eglise et les juifs à Vatican II, Casterman, Parigi
1967; ARTHUR GILBERT, The Vatican Council and the Jews, World Publishing Co., Cleve-
land-New York 1969; ILARIA PAVAN, Roncalli e gli ebrei dalla Shoah alla Declaratio Nostra
aetate. Tracce di un percorso, in L’ora che il mondo sta attraversando, cit., pp. 376-300. Per
una lettura teologica tradizionale, cfr. E. M. RADAELLI, Il mistero della sinagoga benda-
ta, Effedieffe, Milano 2002, con prefazione di mons. Antonio Livi.
141
M. PAIANO, op. cit, pp. 667-710.
142
Jules Marx Isaac (1877-1963), di famiglia ebraica della Lorena, ispettore dell’inse-
gnamento di storia nelle scuole e alto funzionario nel governo di Léon Blum.
1964: LA TERZA SESSIONE 399

no, riassunto dalla tesi del “popolo deicida”, aveva le sue radici nei
Vangeli e soprattutto in quello di Matteo, secondo Jules Isaac il più
giudeo degli Evangelisti, ma anche il più “antisemita”. Questo inse-
gnamento antigiudaico era stato sviluppato da quasi tutti i Padri
della Chiesa: Ilario di Poitiers, S. Girolamo, S. Efrem, S. Gregorio di
Nissa, S. Ambrogio, S. Epifanio, S. Cirillo di Gerusalemme, ma in
modo particolare da san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino 143.
Isaac esigeva dalla Chiesa un atto di riparazione e di emendamento
del suo insegnamento, scagionando gli ebrei dall’accusa di deicidio
e facendo ogni sforzo per riparare il torto loro causato nei secoli.
Il 13 giugno 1960, Giovanni XXIII ricevette Isaac, il quale con-
segnò al Papa un memorandum e un dossier sulla questione, che da
sempre lo preoccupava, chiedendo “una riformulazione dell’inse-
gnamento, della predicazione e della catechesi cristiana finalizzata alla
eliminazione delle radici dell’antisemitismo” 144. Il Papa disse allo sto-
rico ebreo Isaac di rivolgersi a Bea, “di cui si fidava e nel quale con-
fidava” 145. Mons. Capovilla, ricordando l’episodio, attesta che sino
a quel giorno non era venuto in mente a Giovanni XXIII che il
Concilio dovesse occuparsi anche della questione ebraica e del-
l’antisemitismo. Ma da quel giorno “ne fu tutto preso” 146.
Quasi fosse pronto da tempo, in un’udienza del 18 settembre, Bea
presentò le linee di lavoro per la redazione di un Decretum de Judaeis
a Giovanni XXIII, che accettò la proposta 147. Nella prima sessione ple-
naria del Segretariato, nel novembre 1960, il card. Bea rivendicò uffi-
cialmente tra le proprie aree di competenza anche la questione sugli
ebrei 148. Elio Toaff, rabbino capo di Roma, ricorda di aver conosciuto
Bea all’inizio degli anni Cinquanta, quando cominciò a frequentare la
biblioteca dell’Istituto Biblico, da lui diretta. “La nostra conoscenza si
trasformò ben presto in amicizia, e un giorno monsignor Bea mi confidò che,

143
J. ISAAC, Genèse de l’Antisémitisme, Calmann-Lévy, Parigi 1956, p. 10.
144
Cfr. il documento La réception de Jules Isaac par Jean XXIII, in “Documentation
catholique”, n. 65 (1968), pp. 2015-2016. Cfr. anche J. O. BEOZZO, Il clima esterno, cit.,
pp. 419-420; A. MELLONI, L’altra Roma, cit., pp. 87-89.
145
SCHMIDT, Bea, p. 354.
146
Ivi.
147
Cfr. A. MELLONI, L’altra Roma, cit., p. 88. Sul pensiero del cardinale in merito alla
questione ebraica, cfr. A. BEA, La Chiesa e il popolo ebraico, Morcelliana, Brescia 1966.
148
Cfr. J. A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, cit., pp. 283-284.
400 IL CONCILIO VATICANO II

essendo tedesco di nascita, sentiva tutto il peso del male che il suo popolo
aveva fatto agli ebrei e voleva fare qualche cosa per riparare, sia pure in mi-
nima parte. Gli nacque così l’idea di un Concilio ecumenico nel quale si sa-
rebbe dovuto approvare un documento sugli ebrei. Lui stesso ne voleva esse-
re il promotore e l’estensore” 149. Il sogno di Bea poté realizzarsi grazie al
Concilio con la dichiarazione Nostra Aetate 150.
La sola menzione degli ebrei fatta in Concilio durante la prima
sessione si deve a mons. Méndez Arceo, che il 6 dicembre 1962,
due giorni prima della chiusura della sessione, suggerì che il Con-
cilio definisse le relazioni tra la Chiesa cattolica e gli ebrei 151. Suc-
cessivamente, nello stesso mese di dicembre, il card. Bea indirizzò
al Papa un lungo rapporto sulla questione, sostenendo che non c’e-
ra pericolo che il Concilio si trovasse implicato nelle polemiche esi-
stenti tra le nazioni arabe e lo Stato di Israele 152. Giovanni XXIII, il
13 dicembre, rispose a Bea con una lettera autografa in cui si dice-
va d’accordo con lui sull’importanza del tema e sulla responsabi-
lità che la Chiesa aveva nel prenderlo in considerazione: “Il ‘San-
guis eius super nos et super filios nostros’ non attribuisce ad alcun
credente la dispensa dall’interessarsi del problema e dell’apostolato per la
salvezza di tutti i figli di Abramo egualmente che di ogni vivente sulla
terra” 153. Il Segretariato per l’Unione dei Cristiani si sentì incorag-
giato da questa risposta ad approntare un progetto, ma nessuna
iniziativa fu presa prima della morte di Papa Roncalli.
La sera del 20 febbraio del 1963, due mesi dopo la chiusura del
primo periodo del Concilio, si cominciò a rappresentare a Berlino
l’opera dello scrittore tedesco Rolf Hochhuth, Der Stellvertreter (Il Vi-
cario) 154, che metteva in scena il presunto silenzio di Pio XII durante

149
ELIO TOAFF, Perfidi giudei-fratelli maggiori, Mondadori, Milano 1987, p. 215.
150
Cfr. JEAN-MARIE DELMAIRE, Vatican II et les juifs, in Le Deuxième Concile du Vatican,
pp. 577-606.
151
Cfr. AS, I/4, pp. 338-341.
152
Cfr. AS, II/5, p. 485 (pp. 481-485).
153
SCHMIDT, Bea, p. 568.
154
Cfr. ROLF HOCHHUTH, Der Stellvertreter. Schauspiel, Reinbek bei Hamburg 1963 (tr.
it. Il vicario: dramma in 5 atti, Feltrinelli, Milano 1964). Sull’opera di Hochhuth, cfr.
G. M. VIAN, Il silenzio di Pio XII: alle origini della leggenda nera, in “Archivium Histo-
riae Pontificiae”, n. 42 (2004), pp. 223-229; EMANUELE GAGLIARDI, L’attacco di Mosca a
Pio XII, in “Lepanto”, n. 175 (2008), pp. 17-20.
1964: LA TERZA SESSIONE 401

la persecuzione degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale. L’ex ge-


nerale dei servizi segreti rumeni, Ion Mihai Pacepa, ha rivelato che
il volume si basava su materiale manipolato dal KGB nel quadro di
un’opera di disinformazione su vasta scala, volta ad annientare l’au-
tenticità morale del Vaticano in Europa occidentale. L’opera, anche
se non lasciò danni duraturi, ottenne un forte effetto psicologico im-
mediato. Il 31 marzo 1963 Bea aveva incontrato a New York, nella se-
de del Comitato Ebraico Americano, una decina di rappresentanti di
organizzazioni ebraiche di diverse tendenze 155. Quando, nel giugno
1963, Paolo VI annunciò la prosecuzione dei lavori conciliari, il card.
Bea sottopose alla Commissione di coordinamento un documento
“sulle relazioni di ordine strettamente religioso tra Cattolici ed Ebrei”. L’8
novembre, il Segretariato per l’Unità tra i Cristiani distribuì ai Padri
conciliari un progetto su “l’atteggiamento dei Cattolici nei riguardi dei
non-cristiani e specialmente degli ebrei”, precisando che esso avrebbe
dovuto costituire il capitolo 4 dello schema sull’ecumenismo.

b) La discussione del 1964

Prima di affrontare il dibattito sullo schema dell’ecumenismo,


il Concilio iniziò a discutere il documento sugli ebrei il 18 novem-
bre 1963.
I capi delle Chiese orientali criticarono fin da subito l’opportu-
nità del documento del card. Bea. Intervennero, tra gli altri, i pa-
triarchi Tappouni 156, di Antiochia dei Siri, Stephanos I Sidarouss 157,
di Alessandria, Maximos IV Saigh 158, di Antiochia dei Melchiti, so-
stenendo che parlare degli ebrei in Concilio avrebbe potuto pre-
giudicare la situazione dei cristiani in molti Paesi arabi.

155
Cfr. SCHMIDT, Bea, pp. 466-467.
156
AS, II/5, pp. 527-528. Ignazio Gabriel Tappouni (1879-1968), ordinato nel 1902.
Vescovo di Batnae dei Siri (1913), poi arcivescovo di Aleppo (1921) e patriarca di
Antiochia dei Siri dal 1929 alla morte. Creato cardinale nel 1935. Membro del Con-
siglio di Presidenza.
157
AS, II/5, pp. 541-542. Stephanos I Sidarouss c.m. (1904-1987), ordinato nel 1939
nella Congregazione della Missione, consacrato vescovo di Sais (1948), patriarca di
Alessandria dei copti (1958). Creato cardinale nel 1965.
158
AS, II/5, pp. 542-544.
402 IL CONCILIO VATICANO II

Il Segretariato per l’Unione dei Cristiani e i Moderatori si rese-


ro conto che il capitolo sugli ebrei rischiava di essere rigettato. L’u-
nica possibilità di salvarlo consisteva nel pubblicare un documen-
to distinto da quello sull’ecumenismo, nel quale sarebbero stati
menzionati non solo l’ebraismo, ma anche altre religioni non cri-
stiane, e in particolare l’Islam. L’inopinato annuncio del viaggio di
Paolo VI in Terra Santa, alla fine della seconda sessione, apparve
una buona occasione per aiutare i Padri conciliari a risolvere lo spi-
noso problema 159. Si giunse così alla terza sessione.
Nella Congregazione generale del 25 settembre 1964, il card.
Bea presentò il nuovo documento che non discolpava più, come il
precedente, gli ebrei dall’accusa di “deicidio”, anche se lo stesso
Bea auspicava un intervento di modifica su questo punto 160.
Il secondo giorno di dibattito, il 29 settembre, il card. Tappouni,
membro del Consiglio di Presidenza, salì alla tribuna e, parlando a
nome di sei patriarchi orientali e dei loro vicari, chiese che fosse
abbandonata la dichiarazione per evitare delle “gravissime difficoltà
pastorali”. “Nei nostri Paesi si dirà che il Concilio è filo-sionista, il che ci
farà grande torto” 161.
Di fronte alle obiezioni di Tappouni e degli altri patriarchi
orientali, intervennero in difesa del documento i maggiori espo-
nenti dell’alleanza progressista: il card. Liénart 162 sostenne che i pa-
triarchi si preoccupavano di questioni eminentemente politiche,
mentre il tema allo studio era di natura puramente religiosa e do-
veva essere affrontato da un punto di vista ecumenico e pastorale.
Sulla stessa linea parlarono i cardinali Frings 163, Lercaro 164, Léger 165
e Ritter 166 e quindi mons. Jaeger 167, vescovo di Paderborn, mons.
Nierman 168, vescovo di Groningen, e mons. Daem 169 vescovo di An-

159
WILTGEN, p. 167.
160
AS, III/2, pp. 558-564.
161
Ivi, p. 582.
162
Ivi, pp. 579-581.
163
Ivi, pp. 582-583.
164
Ivi, pp. 587-589.
165
Ivi, pp. 590-591.
166
Ivi, pp. 599-600.
167
Ivi, pp. 600-601.
168
Ivi, pp. 603-604.
169
Ivi, pp. 604-606.
1964: LA TERZA SESSIONE 403

versa. Il card. Ruffini 170 replicò dichiarando che non si può attri-
buire agli ebrei il deicidio perché la parola stessa non ha senso: nes-
suno può uccidere Dio. Tuttavia si ha il diritto di aspettarsi che gli
ebrei riconoscano di avere ingiustamente condannato a morte Cri-
sto e bisogna pregare perché Dio “tolga dai loro occhi il velo” che im-
pedisce loro di vedere in Cristo il Messia. Il cardinale di Palermo
aggiunse che, se ebrei e musulmani dovevano essere menzionati
nel testo, non si vedeva perché non menzionare anche indù e bud-
disti. Auspicò inoltre che nella dichiarazione “i giudei venissero esor-
tati con forza a rispondere con amore all’amore con il quale noi sincera-
mente li trattiamo” 171.
Il card. Bueno y Monreal suggerì che per evitare ogni sospetto
di interferenza politica, la dichiarazione avrebbe dovuto intitolarsi
semplicemente De non christianis, senza fare esplicito riferimento
agli ebrei, e nel testo, oltre che agli ebrei e ai musulmani, avrebbe-
ro dovuto essere menzionate le religioni dell’India, della Cina e del
Giappone 172. Anche l’ultimo intervento, il 30 settembre, da parte di
mons. Gahamanyi 173, vescovo di Butan nel Ruanda, a nome di
un’ottantina di padri, concludeva con la proposta che lo schema
“non sia sugli ebrei, ma sui non cristiani, e che faccia qualche speciale
menzione agli ebrei e ai musulmani” 174.
I suggerimenti furono in parte accolti. La dichiarazione sugli
ebrei fu modificata e intitolata Sulle relazioni tra la Chiesa e le religio-
ni non cristiane. Il testo trattava in primo luogo l’insieme delle reli-
gioni non cristiane, poi brevemente, l’induismo e il buddismo;
quindi affrontava l’Islam e finalmente gli ebrei, ai quali era consa-
crato uno spazio più ampio, a ragione del loro ruolo nell’economia
della salvezza. Il 20 novembre, nel corso dell’ultima Congregazio-
ne generale della terza sessione, il testo rivisto fu messo ai voti. Es-
so raccolse 1.651 placet, 99 non placet e 242 placet juxta modum 175. Il
suo cammino non era ancora concluso.

170
Ivi, pp. 585-587.
171
Ivi, p. 586.
172
AS, III/3, pp. 11-13.
173
Jean-Baptiste Gahamanyi (1920-1999), ordinato nel 1951, consacrato vescovo di
Butare (Ruanda) nel 1962.
174
AS, III/3, pp. 141-142.
175
AS, III/8, p. 672.
404 IL CONCILIO VATICANO II

8. “Leviamo in alto la Sacra Scrittura, non la Tradizione” 176

Tra il 30 settembre e il 6 ottobre il Concilio esaminò la nuova re-


dazione, preparata dalla Commissione mista, dello schema Dei
Verbum sulla rivelazione divina 177.
Nella prima sessione la discussione si era incentrata sull’unità
o dualità delle fonti della Rivelazione. Per uscire dall’impasse,
Giovanni XXIII aveva creato una Commissione ad hoc, in cui era-
no rappresentate le due tendenze opposte, che mons. Prignon, in
un suo “rapporto” al card. Suenens del 2 marzo 1963, definisce
“di destra” e “di sinistra” 178. Nella riunione svoltasi quel giorno, il
card. Lefebvre aveva attaccato frontalmente lo schema presenta-
to dal card. Ottaviani, creando “lo choc psicologico necessario perché
si passasse alla votazione” che diede la prevalenza alla “sinistra”
conciliare 179.
Il risultato dei lavori di questa Commissione fu un nuovo testo
distribuito ai Padri conciliari nel maggio 1963. Si trattava, come
scrisse ai partecipanti della conferenza di Fulda mons. Schröffer,
vescovo di Eichstätt, e membro progressista della Commissione
teologica, del “frutto di una lotta laboriosa” in seno alla nuova Com-
missione, e dunque nient’altro che un “compromesso, con tutti gli in-
convenienti che un compromesso può presentare” 180.
La conferenza di Fulda aveva proposto una dichiarazione uffi-
ciale sullo schema, basata in larga parte sui commenti di padre
Rahner, con la raccomandazione che lo schema sulla Rivelazione
non fosse trattato agli inizi della seconda sessione, ma solo in se-
guito e non prima di quello sulla Chiesa. Dopo aver presentato

176
Così il votum del vescovo Herman Volk: AS, III/3, p. 344 (pp. 344-345).
177
AS, III/3, pp. 124-366 e pp. 425-511. Sulla Dei Verbum, cfr. C. THEOBALD, La Révéla-
tion. Quarante ans après “Dei Verbum”, in “Revue théologique de Louvain”, n. 36
(2005), pp. 145-165; A. VANHOYE, La réception dans l’Église de la Constitution dogmati-
que “Dei Verbum” du concile Vatican II à aujourdhui, in “Esprit et Vie”, n. 114 (2004),
pp. 3-13; La “Dei Verbum” trent’anni dopo. Miscellanea in onore di Padre Umberto Betti
o.f.m., a cura di N. CIOLA, Pontificia Università Lateranense, Roma 1995.
178
Lettera di mons. Prignon al card. Suenens del 2 marzo 1963, in Fonds Prignon,
Card. Suenens: correspondance, in CLG, n. 287.
179
Cfr. ivi. Prignon aggiunge: “Même Mgr Parente se joignit ici à la ‘gauche’, ce qui ame-
na Franić, je pense, à déclarer: ‘etiam Parente corruptus est’” (ivi).
180
WILTGEN, p. 173.
1964: LA TERZA SESSIONE 405

personalmente queste richieste alle autorità romane, il card. Döpf-


ner poté rassicurare i suoi confratelli di Fulda sul fatto che lo sche-
ma De Ecclesia figurava in testa all’ordine del giorno e che quello
De fontibus Revelationis non vi era iscritto.
Tre settimane dopo la chiusura della seconda sessione, la Com-
missione di coordinamento incaricò la Commissione teologica di
procedere ad una revisione dello schema sulla Rivelazione divina,
che non era stato ancora messo in discussione. Fu istituita dunque
una sottocommissione teologica, presieduta dal vescovo belga
Charue, che nominò l’italiano Florit copresidente, dividendosi con
lui il compito di coordinare la revisione dello schema.
I Padri conciliari “romani” insistevano perché nel testo si con-
fermasse che la Scrittura e la Tradizione sono due fonti di uguale
importanza della Rivelazione Divina e che ci possono essere verità
contenute nella Tradizione che non si trovano nella Scrittura. Co-
me esempio veniva dato il battesimo dei bambini, che è fondato
sulla Tradizione della Chiesa, ma non sulla Sacra Scrittura, che si
limita ad esigere, per la salvezza, la fede e il battesimo (Mc. 16,16).
Poco o nulla venne concesso però a queste richieste da parte dei
progressisti, il cui leit motiv era sempre quello di non danneggiare
l’ecumenismo. In questo caso però l’ecumenismo veniva invocato
per il dialogo con i protestanti, ma non con gli orientali, se è vero,
come confidava mons. Franić al padre Schauf, che c’era molto ma-
lumore tra gli ortodossi per il nuovo atteggiamento del Concilio in
materia di rapporti tra Scrittura e Tradizione 181.
La nuova versione rivista del testo fu presentata in aula il 30
settembre 1964 da mons. Ermenegildo Florit 182, che si era “conver-
tito” alle posizioni della maggioranza e che cercò di giustificare il

181
“Ci sarebbe anche da aggiungere, spiegò Franić, che vi era una certa inquietudine nel-
l’ortodossia per il fatto che potesse essere messo in discussione l’insegnamento della Chiesa
cattolica per quanto riguarda la Scrittura e la Tradizione, che è poi anche l’insegnamento
dell’ortodossia. Spanedda ha sottolineato di voler sapere quello che avrebbe dovuto insegna-
re ai fedeli e se tutto ciò che aveva insegnato fino allora era sbagliato, così come tutti i libri
di testo, ecc. (…) Ancora una volta si potrebbe dire: Galli quaerunt veritatem (che è mol-
to lusinghiero per i francesi), Germani confundunt veritatem, Itali habent et Hispani
defendunt veritatem (…)” (Konzilstagebuch von Heribert Schauf, 28 febbraio 1963,
versione manoscritta inedita a cura di A. VON TEUFFENBACH, p. 101).
182
AS, III/3, pp. 131-139.
406 IL CONCILIO VATICANO II

nuovo documento. Come sempre accadeva, in aula gli interventi


favorevoli e contrari al testo si bilanciavano, ma in sede di vota-
zione la maggioranza approvava sempre la linea scelta dalle com-
missioni o dalle sottocommissioni.
Per primo, prese la parola il card. Ruffini, rilevando che lo sche-
ma passava sotto silenzio il ruolo costitutivo della Tradizione. “Mi
meraviglio – affermò – che in questo schema sulla Rivelazione si possa
dimenticare di dire che la Tradizione è non solamente esplicativa, ma “co-
stitutiva”. Domando che si citino integralmente i brani corrispondenti
del Concilio di Trento e del Vaticano I” 183. La posizione progressista fu
esposta dal card. Döpfner che, prendendo la parola a nome di 78
vescovi di lingua tedesca e dei Paesi nordici, fece invece un gran-
de elogio del nuovo testo, che a suo parere era riuscito a definire il
delicato problema di sapere se tutta la Rivelazione era o no conte-
nuta nella Sacra Scrittura 184.
I Padri conservatori si mostrarono tutt’altro che convinti. Il ve-
scovo di Spalato Franić affermò che lo schema, pur non contenen-
do niente di erroneo, era “notevolmente deficiente”, poiché non rap-
presentava l’integralità della Tradizione 185. Mons. Enrico Compa-
gnone, vescovo di Anagni, sottolineò che non bisognava allonta-
narsi dalla dottrina del Concilio di Trento e del Vaticano I, che pre-
cisavano che la Tradizione è più “estensiva” della Sacra Scrittura e
che la Rivelazione è contenuta non solo nella Scrittura, ma anche
nella Tradizione. Egli chiese che si ripetesse almeno la formulazio-
ne del Concilio di Trento e del Vaticano I che la Rivelazione è con-
tenuta “in libris scriptis et sine scripto traditionibus” 186. Il card. Brow-
ne obiettò contro l’affermazione che la Rivelazione divina potesse
“crescere”, ravvisandovi il pericolo di tendenze moderniste 187.
Mons. Carli rimproverò allo schema di non affermare con chiarez-
za il carattere storico dei Vangeli e di non tenere “abbastanza conto
degli errori che pullulano, come la Formgeschichte. Perché è stata sop-

183
Ivi, pp. 142-145.
184
Ivi, pp. 145-147.
185
Ivi, pp. 124-129.
186
Ivi, p. 205 (pp. 203-206). Enrico Compagnone (1908-1989), carmelitano scalzo, or-
dinato nel 1930, vescovo di Anagni dal 1953 al 1972.
187
AS, III/3, pp. 187-188.
1964: LA TERZA SESSIONE 407

pressa la frase della prima versione dello schema che parlava della neces-
sità di dissipare gli errori del nostro tempo?”. “È deplorevole che lo sche-
ma non dica niente sulla verità storica dei Vangeli dell’infanzia del Cri-
sto e di ciò che è avvenuto dopo la Resurrezione. La Tradizione è altret-
tanto immutabile che la Sacra Scrittura. Non lo si dice, ed è uno sbaglio
di grande importanza. In tutto il capitolo III ci si è troppo dimenticati del-
la Tradizione” 188.
Sull’opposto fronte, dom Christopher Butler, presidente della
Congregazione dei benedettini inglesi, sostenne la libertà della ri-
cerca scientifica per “entrare in dialogo con gli esegeti non-cattolici e
preparare la via a una fede cristiana adulta e matura” 189. Il vescovo di
Magonza, mons. Hermann Volk, uno degli esponenti di punta del
partito antiromano, affermò che la Rivelazione si esprime innanzi-
tutto nella liturgia della Chiesa: “È la Sacra Scrittura a essere incen-
sata nella sacra liturgia e non la Tradizione e in quest’aula leviamo in al-
to solennemente la Sacra Scrittura e non la Tradizione” 190.
Dopo la chiusura del dibattito, il 6 ottobre, una nuova versione
dello schema fu distribuita ai Padri conciliari, che furono pregati di
sottomettere le loro osservazioni prima del 31 gennaio 1965. Nel-
l’ultima intersessione continuarono a giungere richieste di modifi-
che e integrazioni, ma la Commissione dottrinale, soprattutto per
l’opera di Florit e del suo teologo di fiducia Betti, non modificò la
linea programmata 191.
Il Coetus Internationalis Patrum inviò ai suoi aderenti una cri-
tica dello schema in dieci pagine, invitando a votarlo solo a con-
dizione che fossero apportati gli emendamenti indicati. Le riser-
ve riguardavano soprattutto i rapporti tra Scrittura e Tradizione
(art. 9), l’inerranza delle Scritture (art. 11) e la storicità dei Van-
geli (art. 19). Malgrado queste richieste, la Commissione teologi-
ca non operò alcuna revisione del testo. Il voto sullo schema eb-
be luogo all’inizio della quarta sessione, tra il 20 e il 22 settembre
1965.

188
Ivi, pp. 332-335; FESQUET, Diario, p. 525.
189
Ivi, pp. 353-355.
190
Ivi, p. 344 (pp. 344-345).
191
Cfr. R. BURIGANA, Dei Verbum. Introduzione, cit., p. 57.
408 IL CONCILIO VATICANO II

9. Gaudium et Spes: la “terra promessa” del Concilio

a) La Chiesa nel mondo contemporaneo

Giovanni XXIII, prima ancora dell’apertura del Concilio, aveva


desiderato che esso si occupasse dei rapporti tra la Chiesa e il mon-
do moderno. In un’intervista televisiva, il Papa si era fatto ripren-
dere accanto ad un grande globo, sul quale erano scritte quattro
parole che riassumevano la sua allocuzione: Ecclesia Christi lumen
gentium.
Quando, il 4 dicembre 1962, verso la fine della prima sessione,
il card. Suenens, richiamandosi a Giovanni XXIII, aveva proposto
all’assemblea generale che la Chiesa studiasse l’insieme delle sue
relazioni con il mondo, il Pontefice aveva creato la Commissione di
coordinamento e affidato allo stesso Suenens l’incarico di elabora-
re un nuovo schema che raccogliesse gli insegnamenti della Chie-
sa che avessero un rapporto diretto con i problemi del mondo mo-
derno. Nella sua prima riunione, nel gennaio 1963, la Commissio-
ne decise che il nuovo schema sarebbe stato intitolato Della presen-
za effettiva della Chiesa nel mondo contemporaneo e che avrebbe avuto
sei capitoli: sulla vocazione dell’uomo; sulla persona umana nella
società; sul matrimonio e la famiglia; sulla promozione umana e lo
sviluppo culturale; sull’ordine economico sociale; sulla comunità
delle nazioni e la pace.
Nella sua qualità di promotore dello schema, il card. Suenens
propose che la redazione del testo fosse affidata ad una Commis-
sione mista ad hoc, composta da membri della Commissione teolo-
gica e della Commissione per l’Apostolato dei Laici, con i cardina-
li Ottaviani e Cento 192 come copresidenti.
Il lavoro, iniziato nel mese di febbraio, fu interrotto dalla mor-
te di Giovanni XXIII e conobbe una fase di sospensione, fino a
quando, durante la seconda sessione, un certo numero di esperti di
tendenza antiromana furono aggiunti alla Commissione.

192
Ferdinando Cento (1883-1973), nunzio in Belgio dal 1946 al 1953, cardinale nel
1958. Membro della Commissione centrale preparatoria, presidente della Commis-
sione per l’Apostolato dei Laici.
1964: LA TERZA SESSIONE 409

La redazione dello schema fu affidato a un gruppo ristretto, di


orientamento progressista, di cui facevano parte mons. Guano, ve-
scovo di Livorno, come presidente, e il redentorista Häring come
segretario. Vi furono molte riunioni di lavoro, fino a che, il 3 luglio
1963, fu approvato da Paolo VI uno schema di 29 pagine, a cui suc-
cessivamente si aggiunse un supplemento di 57 pagine che il 30
settembre 1964, durante la terza sessione, fu distribuito ai Padri
conciliari 193. Mai un documento conciliare fu atteso come lo sche-
ma XIII, che avrebbe dovuto costituire “il primo banco di prova della
capacità della Chiesa di dialogare col mondo (…)” 194.
Lo schema “vedette” della terza sessione, che iniziava con la
parola “Gaudium et Spes”, “le gioie e le speranze, le tristezze e le ango-
sce degli uomini d’oggi”, fu definito dal padre Congar “la terra pro-
messa del Concilio” 195. Il terreno venne preparato da una serie di
conferenze come quella del padre Schillebeeckx, il 16 settembre, al
Centro Olandese di documentazione DO-C. “Nell’economia della
salvezza il mondo, così come è, è – per definizione – un cristianesimo im-
plicito. La Chiesa dovrà riconoscere che il suolo che essa calpesta nello
schema 13 è una terra non sacra, ma santa” 196.
Domenica 5 ottobre, ottocento vescovi presenti a Roma per i la-
vori del Concilio assistettero alla proiezione del film Il Vangelo se-
condo Matteo del regista marxista Pier Paolo Pasolini. La proiezio-
ne era stata posta sotto il patrocinio dell’Ufficio Cattolico Interna-
zionale del Cinema, che il mese precedente aveva attribuito al film
di Pasolini il premio di “miglior film religioso dell’anno” 197.

193
Sullo Schema XIII (poi Gaudium et Spes), oltre a Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo,
cfr. ENRICO CHIAVACCI, La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo:
Gaudium et Spes, Studium, Roma 1967; C. MOELLER, L’élaboration du schéma XIII. L’E-
glise dans le monde de ce temps, Casterman, Parigi 1968; K. RAHNER-HENRI DE RIED-
MATTEN, L’Eglise dans le monde de ce temps: constitution Gaudium et Spes, Mame, Pari-
gi 1967; FRANCISCO GIL HELLÍN-AUGUSTO SARMIENTO-JESÚS FERRER-JOSÉ MARÍA YAN-
GUAS, Constitutionis pastoralis Gaudium et Spes: synopsis historica, Eunsa, Pamplona
1985; LUIGI SARTORI, La Chiesa nel mondo contemporaneo: introduzione alla “Gaudium et
Spes”, Ed. Messaggero, Padova 1995.
194
G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit., p. 113.
195
FESQUET, Diario, p. 392.
196
Ivi, p. 414.
197
Ivi, p. 517.
410 IL CONCILIO VATICANO II

b) Prime schermaglie in aula

Finalmente, martedì 20 ottobre 1965, lo schema giunse in as-


semblea. Alla vigilia dell’inizio del dibattito, il padre Daniélou ten-
ne un’affollata conferenza stampa in cui ricordò che il promotore
dello schema era stato il card. Suenens, nella convinzione che sa-
rebbe stato impensabile concludere il Concilio senza esaminare i
problemi fondamentali del mondo d’oggi.
Il testo fu presentato da mons. Emilio Guano a nome della
Commissione che aveva preparato lo schema. Il documento – dis-
se Guano – si proponeva di “promuovere (…) il dialogo con tutti gli
uomini per ascoltarli nel loro modo di vedere le loro situazioni e i loro pro-
blemi” e di chiarire “in che modo la Chiesa partecipa al progresso del no-
stro tempo, che cosa i cristiani possono o debbono dare come contributo
per la soluzione dei grandi problemi che si pongono agli uomini in questa
ora della storia” 198. L’idea soggiacente all’intervento era che l’uma-
nità fosse in una fase di inarrestabile “progresso” e che la Chiesa,
in ritardo sulla storia, dovesse trovare il modo e le forme per “ag-
giornarsi e adeguarsi ai tempi”.
Tra i primi a intervenire fu, come sempre, il card. Ruffini che,
pur congratulandosi con gli autori dello schema, lamentò le fre-
quenti ripetizioni che appesantivano inutilmente il testo. Tra le co-
se non comprensibili, il cardinale di Palermo citò la frase dello
schema in cui si diceva, con tipico accento evoluzionista, che la na-
tura umana è il culmine della creazione visibile, verso cui, secon-
do il disegno di Dio, si proiettava l’evoluzione della terra per in-
numerevoli anni.

“Si parla 7 volte della dignità umana senza menzionare la Redenzione. La


parola vocazione torna incessantemente senza che la si definisca, e la si
impiega in sensi differenti. Nella stessa pagina si parla 5 volte della lotta
contro l’ingiustizia. È una predica piuttosto che una costituzione conci-
liare! Vi sono cose che sono dette male o almeno che io non capisco. Per
esempio alla quarta riga della pagina 10 si dice che la natura umana è ap-
parsa in seguito alla evoluzione di innumerevoli anni. Questo non mi pia-

198
AS, III/5, p. 205 (pp. 203-214).
1964: LA TERZA SESSIONE 411

ce, poiché dire che la natura umana è stata preparata dalla evoluzione è
contrario alla dottrina della Chiesa. A pagina 15, alla riga 25, si dice che
i fedeli devono dare prova di intelligenza e di prudenza per mettere alla
prova la loro coscienza. Questo ha un sottofondo di ‘morale della situa-
zione’. Sembra dire infatti che è la coscienza che deve essere la norma,
quando invece sono i principi della Chiesa” 199.

Il card. Lercaro, il 20 ottobre, intervenne in senso contrario. “Di-


scutiamo di questo schema senza ritardare ma anche senza precipitazio-
ne. Prendere a pretesto i suoi difetti per scartarlo, sarebbe un errore. Que-
sto testo si pone nella linea spirituale del messaggio di Paolo VI. È suffi-
ciente per servire di base alla discussione. L’esperienza mostra che solo la
discussione migliora gli schemi” 200.
Il 4 novembre Lercaro intervenne una seconda volta sullo sche-
ma XIII per affermare che la Chiesa doveva mostrare un atteggia-
mento più aperto al mondo sulla linea della povertà, rinunciando
se necessario a certe “ricchezze” del suo passato, quali il sistema
scolastico in campo filosofico e teologico e particolari istituzioni
accademiche ed educative 201. All’interno di questa visione, egli au-
spicava che alla figura del vescovo-dottore si affiancasse quella del
laico-teologo.
Il card. Ruffini giudicò l’intervento talmente grave da essere
spinto a scrivere direttamente al Papa: “Quanto ha dichiarato Sua
Eminenza il cardinale Lercaro nell’intervento di ieri mi è sembrato ‘ab-
norme’, paradossale e vorrei dire assurdo, perché contrario alle nostre tra-
dizioni in materia di studio e di cultura” 202.

c) La presenza di Teilhard de Chardin nel Concilio

Sullo schema XIII si scontrarono due linee dello schieramento


progressista in Concilio: quella “ottimistica” francese, venata di

199
Ivi, p. 220 (pp. 220-223).
200
Ivi, pp. 223-226.
201
AS, III/6, pp. 249-253.
202
Lettera del card. Ruffini del 5 novembre 1964, in F. M. STABILE, Il Cardinal Ruffini
e il Vaticano II, cit., p. 138.
412 IL CONCILIO VATICANO II

umanesimo e di maritainismo, e quella “pessimistica” tedesca,


sensibile alle istanze del protestantesimo, in particolare della
scuola di Karl Barth. L’arcivescovo Volk, a nome di 70 padri, in
maggioranza di lingua tedesca 203, si richiamò alla teologia lutera-
na della croce, affermando che lo schema non teneva sufficiente-
mente conto del peccato. Il più duro fu il card. John Carmel Hee-
nan 204, arcivescovo di Westminster, che aveva già fondato un
gruppo di opposizione chiamato “Conferenza di San Paolo”. Egli
dichiarò che lo schema era “indegno di un Concilio ecumenico della
Chiesa” 205 e propose di toglierlo alla Commissione che se ne era fi-
no ad allora occupata. “Sarebbe meglio non dire niente piuttosto che
queste banalità e queste nullità. (…) Questo pietoso schema farà ridere il
mondo. (…) Anche integrato dagli annessi, rimarrebbe insufficiente ed
ambiguo. Senza gli annessi, poi, sarebbe addirittura nocivo” 206. Sia il
card. Lercaro che il card. Döpfner proposero di rinviare la discus-
sione dello schema alla successiva sessione per poterlo esaminare
con più calma.
La discussione sullo schema XIII rivelò quanto forte fosse l’in-
flusso di Teilhard de Chardin sul Concilio 207. Il nome del paleon-
tologo francese risuonò spesso nell’aula. Il 22 ottobre mons. Hur-
ley 208, arcivescovo di Durban, salutò “l’illustre figlio della Chiesa,
Teilhard de Chardin”, paragonando la sua escatologia a quella di
San Paolo 209. Mons. Otto Spülbeck 210, vescovo di Meissen, il 26 ot-
tobre, sottolineò la grande influenza di Teilhard de Chardin nel
mondo scientifico moderno, perché “egli parla il nostro linguaggio
scientifico; noi crediamo anche che egli abbia capito i nostri problemi e
perciò ci rivolgiamo a lui per ottenere aiuto nelle questioni religiose che

203
AS, III/5, pp. 586-588.
204
Ivi, pp. 318-322.
205
DE LUBAC, Quaderni, p. 676.
206
AS, III/5, p. 319.
207
Negli Acta Synodalia troviamo citato il nome di Teilhard in almeno undici luoghi
distinti: cfr. ETIENNE MICHELIN, Vatican II et le “surnaturel”. Enquête preliminare 1959-
1962, Editions du Carmel, Venasque 1993, pp. 321-326.
208
Denis E. Hurley (1915-2004), oblato di Maria Immacolata, sudafricano, ordinato
nel 1939. Arcivescovo di Durban dal 1951 al 1992.
209
AS, III/5, pp. 341-344.
210
Otto Spülbeck (1904-1970), tedesco, ordinato nel 1930, vescovo titolare di Chri-
stopolis nel 1955, vescovo di Meissen nel 1958.
1964: LA TERZA SESSIONE 413

sorgono dai nostri studi” 211. Il vescovo tedesco concluse affermando


che “le difficoltà e l’ansietà di molti teologi sfortunatamente ostacolano
ancora la via” al progresso desiderato dalla Chiesa in questo cam-
po, “qualcosa che non completamente senza colpa da parte nostra è an-
dato avanti dal tempo di Galileo, 400 anni fa” 212.
Il 23 ottobre il padre Benedikt Reetz, Superiore Generale della
Congregazione benedettina di Beuron, in Germania, e membro
della Commissione Conciliare sui Religiosi, difese apertamente i
monaci dalle critiche che erano state loro rivolte in aula da alcuni
Padri.

“Come monaco e abate – disse –, a malapena conosco il mondo, ma forse


anche quei quaranta monaci inviati in Inghilterra da Papa Gregorio Ma-
gno all’inizio del secolo VII per ‘rendere angeli gli Angli’ – e uno di quei
quaranta era Agostino, che diventò il primo vescovo degli Angli – forse
anche essi, dico, il mondo lo conoscevano a malapena”.
“Io tremo all’idea di rivolgermi al Concilio perché evidentemente coloro
che sono dentro a un convento dalla loro infanzia non sanno niente del
mondo. Eppure san Gregorio Magno ha inviato in Inghilterra il monaco
Agostino per convertirla, e costui divenne vescovo di Canterbury. Eppu-
re san Benedetto che evidentemente non conosceva niente del mondo, sta
per essere proclamato da Paolo VI ‘patrono dell’Europa’” 213.

Padre Reetz citò quindi numerosi testi per dimostrare che la


Scrittura parla del mondo “in un duplice senso, ossia come un mondo
che è stato ferito dal peccato e come un mondo che deve essere consacrato
in tutte le sue parti” 214. Chiese perciò che questo duplice aspetto fos-
se chiarito nell’introduzione allo schema.
La sua osservazione finale fu che il sistema filosofico del pa-
dre Teilhard de Chardin, che è all’insegna di “un ottimismo esage-
rato”, dovesse essere tenuto fuori dello schema, perché non tene-
va nella dovuta considerazione “la morte, il peccato, il diavolo e la

211
AS, III/5, pp. 548-549.
212
Ivi, p. 549.
213
AS, III/5, p. 374 (pp. 374-377).
214
Ivi, p. 376.
414 IL CONCILIO VATICANO II

stessa resurrezione” 215. Anche dom Prou 216, abate di Solesmes, il 26


ottobre, criticò la confusione tra natura e grazia, ordine naturale
e soprannaturale, con implicito riferimento ai discepoli di
Teilhard, in primis de Lubac. “In realtà – commentò de Lubac sul
suo diario – non colpisce Teilhard, ma la teoria, a parer mio avventu-
rosa, della scuola Chenu-Schillebeeckx, che invece pretende parlare in
nome di san Tommaso” 217.
In Concilio circolava intanto una brochure del padre Meinviel-
le, dal titolo Il progressismo cristiano, errori e deviazioni, in cui si de-
nunciavano le responsabilità di autori eterodossi come Maritain,
Mounier, Teilhard nella deriva del pensiero contemporaneo 218.

10. Una nuova visione della famiglia cristiana

a) Superamento della Casti connubi?

Il vero dramma che l’Occidente, e soprattutto l’Europa, avreb-


be conosciuto nei decenni successivi al Concilio sarebbe stato quel-
lo della “denatalità”. Molti Padri conciliari accoglievano però ne-
gli anni Sessanta le suggestioni maltusiane, che “profetizzavano”
una catastrofe per l’umanità se non si fosse effettuato un ferreo
“controllo delle nascite”. La scienza attraverso la “pillola” ne offri-
va i mezzi e la Chiesa avrebbe dovuto mostrarsi sensibile alle esi-
genze dei tempi.
L’articolo 21 del quarto capitolo dello schema XIII era dedicato
a La dignità del matrimonio e la famiglia. Il testo però si allontanava
dall’insegnamento delle encicliche Arcanum 219 di Leone XIII e Casti
connubi 220 di Pio XI e dall’insegnamento di Pio XII nei discorsi te-

215
Ivi, p. 377.
216
Ivi, pp. 519-520.
217
DE LUBAC, Quaderni, p. 689.
218
J. MEINVIELLE, Il progressismo cristiano. Errori e deviazioni, Istituto editoriale del Me-
diterraneo, Roma 1965.
219
LEONE XIII, Enciclica Arcanum Divinae Sapientiae Consilium del 10 febbraio 1880 in
AAS, 12 (1979), pp. 385-402; EE, III, pp. 94-137.
220
PIO XI, Enciclica Casti connubi del 30 dicembre 1930 sul matrimonio cristiano, in
AAS, 22 (1930), pp. 539-590.
1964: LA TERZA SESSIONE 415

nuti agli sposi dal 1939 al 1943 221. Evitava infatti la distinzione tra-
dizionale tra i fini primari e secondari del matrimonio e, di fatto,
alla procreazione dei figli anteponeva il vincolo dell’amore coniu-
gale, lasciando aperta la possibilità del “controllo delle nascite”, af-
fidato alla coscienza dei coniugi. Nel 1963, il medico John Rock, in
un libro di cui si era molto parlato, The time has come, aveva soste-
nuto la necessità di un nuovo approccio delle chiese, e soprattutto
di quella cattolica, al tema del controllo delle nascite 222. Nello stes-
so anno era uscito un lungo articolo del teologo belga Louis Jans-
sens, in cui si parlava del libro di Rock e si diceva che forse, vera-
mente, “il tempo era giunto” 223. Oltre ai belgi si muovevano su que-
sta linea: due cardinali canadesi, mons. Roy 224, vescovo di Québec,
e mons. Léger, arcivescovo di Montréal 225. Roy aveva come “esper-
to” un noto studioso tomista, Charles de Koninck 226, professore al-
l’Università di Laval, che sosteneva la liceità, in alcuni casi, dei me-
todi contraccettivi 227.

221
Per una esposizione dell’insegnamento tradizionale, si vedano gli insegnamenti
pontifici a cura dei Monaci di Solesmes raccolti nei volumi Il matrimonio, tr. it., Pao-
line, Roma 1965 e La famiglia cristiana, tr. it. Paoline, Roma 1968. Cfr. anche padre
NOËL BARBARA, Catéchisme catholique du mariage, Forts dans la foi, Tours 1989.
222
JOHN ROCK, The time has come: A Catholic Doctor’s Proposal to End the Battle over Birth
Control, Alfred A. Knopf, New York 1963. Sul mito dell’esplosione demografica, cfr.
le critiche di COLIN G. CLARK, Il mito dell’esplosione demografica, tr. it. Ares, Milano
1974; GÉRARD-FRANÇOIS DUMONT, Il festino di Crono. Presente e futuro della popolazione
in Europa, tr. it. Ares, Milano 1994; RICCARDO CASCIOLI, Il complotto demografico, Piem-
me, Casale Monferrato 1996; MICHEL SCHOOYANS, Nuovo disordine mondiale. La gran-
de trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità, tr. it. con pre-
fazione del card. J. Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000.
223
LOUIS JANSSENS, Morale conjugale et progestogines, in “Ephemerides Theologicae Lo-
vanienses”, n. 39 (1963), pp. 787-826.
224
Maurice Roy (1905-1985), canadese, ordinato nel 1927, vescovo di Trois Rivières
(1946), poi arcivescovo di Québec (1947-1981), creato cardinale nel 1965, quindi pre-
sidente dei Pontifici Consigli per i Laici (1967), Giustizia e Pace (1967) e per la Fa-
miglia (1973).
225
G. ROUTHIER, Famille, mariage et procréation. Le combat de deux cardinaux canadiens,
in “Cristianesimo nella Storia”, n. 23 (2002), pp. 367-428.
226
Charles de Koninck (1906-1965), filosofo e teologo belga-canadese, fondatore del-
la cosiddetta “Scuola di Laval” di filosofia. Dal 1939 al 1956 fu il decano della fa-
coltà di Filosofia dell’Università di Laval in Quebec.
227
Cfr. G. ROUTHIER, Famille, mariage et procréation, cit., pp. 379-395. Cfr. anche C. DE
KONINCK, Réflexions relatives à la régularisation des naissances, in C.C.C.C., 6 novem-
bre 1964.
416 IL CONCILIO VATICANO II

Giovanni XXIII, su consiglio di Suenens, nel 1963 aveva creato


una Commissione per studiare il problema. Paolo VI ne aveva dato
la notizia il 23 giugno 1964 in un discorso ai cardinali 228 e aveva chie-
sto che il Concilio affrontasse l’argomento solo in termini generali.
La nuova concezione della morale fu presentata il 27 ottobre dal
patriarca Maximos IV Saigh, il quale affermò che il Medioevo, pe-
riodo di infanzia per l’umanità, era finito e che il mondo entrava
ormai in un’epoca di maturità.

“Questo stato d’animo della società di oggi non reclama forse una revi-
sione della presentazione dell’insegnamento della morale? (…) L’inse-
gnamento attuale è troppo caratterizzato dal legalismo di un’epoca passa-
ta e tutta impregnata dal diritto romano. Ora, la nostra morale cristiana
deve avere un carattere cristocentrico con un’espressione d’amore e di li-
bertà. Deve educare ciascuno al senso della responsabilità personale e co-
munitaria. Di conseguenza, si impone una revisione profonda delle nostre
discipline – che cambiano d’altronde la loro natura. (…) Molte cose dei bei
vecchi tempi, accettate dai nostri avi semplici e pii, oggi non lo sono più.
Citiamo come esempio la presentazione fatta nei nostri catechismi dei Co-
mandamenti della Chiesa. Secondo i nostri catechismi, saltare, senza mo-
tivo, una volta la messa della domenica, o mangiare una volta in modo pe-
sante il venerdì, costituisce un peccato mortale, che merita in seguito la
dannazione eterna. È ragionevole? Oggi giorno, quanti cattolici adulti lo
credono?” 229.

Maximos IV fu applaudito a lungo dai settori progressisti del-


l’assemblea 230. Il vescovo di Cuernavaca Méndez Arceo intervenne
per dirsi del tutto d’accordo con lui.

“Uno dei principali segni dei tempi contemporanei è la crescita del senso
della responsabilità e della libertà. Bisogna che la Chiesa non appaia solo
come una difenditrice della libertà religiosa, ma anche della libertà in ge-
nere, dovunque si trovi. Bisogna predicare lo spirito di libertà e d’amore”.

228
AAS, 56 (1964), pp. 581-589.
229
AS, III/5, p. 568 (pp. 567-569).
230
FESQUET, Diario, pp. 626-627.
1964: LA TERZA SESSIONE 417

(…) “Molte delle nostre posizioni sono anacronistiche. Rivediamole e in-


sistiamo sulla legge evangelica, perché si ha l’impressione che questa sia
meno importante del resto. Che brutto spettacolo quello di dare l’impres-
sione di dover brandire il peccato mortale per riempire le nostre chiese!
Centriamo tutto sull’essenziale, cioè sulla gioia pasquale” 231.

Quando si aprì il dibattito il 29 ottobre, il card. Ruffini fu il pri-


mo a parlare, in ordine di anzianità. Egli manifestò la sua disappro-
vazione verso lo schema che asseriva “che la ultima parola sul numero
dei figli rimane solo agli sposi stessi”, e definì questa dottrina molto dif-
ficile da accettare, “oscura e piena di pericolosissime ambiguità”.
Dopo aver citato un testo pertinente di S. Agostino, il card. Ruf-
fini aggiunse:

“È chiaro, Venerabili Padri, che i tempi di Agostino non erano molto di-
versi dai nostri. La licenziosità e la libidine infuriavano anche allora. Ma
il Santo Dottore, un fedelissimo araldo della Chiesa, non taceva con la sua
severa riprovazione. Anche noi, parlando agli uomini del mondo moder-
no, non dobbiamo trattenerci dal sopprimere vizi che sono contrari alla
santità del matrimonio” 232.

Il giorno successivo, mons. Juan Hervás 233, vescovo di Ciudad


Real (Spagna), membro della Commissione Conciliare sui Sacra-
menti, parlando a nome di 126 Padri Conciliari di tutto il mondo,
denunciò lo spirito naturalista e materialista dello schema.
Il documento, per essere positivo, disse il vescovo, avrebbe do-
vuto cominciare “lodando le virtù e i meriti degli sposi che si sforzano
di santificarsi nel matrimonio, o almeno tentano con fede di adempiere al-
la legge naturale”. Un elogio speciale avrebbe dovuto essere fatto
nello schema a quelle coppie coniugate “che a imitazione di Cristo sa-
crificano le loro comodità e con fede e con gioia accettano giustamente co-
me un dono del Creatore i figli che Dio ha dato loro, affrontando pazien-
temente e continuamente ardue fatiche e la derisione del mondo”. “Ripe-

231
AS, III/5, pp. 609-612.
232
AS, III/6, pp. 53-54 (pp. 52-54).
233
Juan Hervás y Benet (1905-1982), spagnolo, ordinato nel 1929, vescovo di Alinda
(1944), poi di Maiorca (1947), nel 1955 vescovo titolare di Ciudad Real (1955-1976).
418 IL CONCILIO VATICANO II

tutamente il testo dice che il numero dei figli deve essere regolato dalla
prudenza cristiana degli sposi, e questo è bene”. “Ma il testo parla poco e
troppo timidamente della fede soprannaturale e della confidenza nella
Provvidenza Divina, dell’amore e dell’accettazione della Croce, che do-
vrebbero illuminare la prudenza cristiana. Noi non siamo qui per com-
porre un documento filosofico ed edonistico, oppure semplicemente tecni-
co o scientifico, ma un documento cristiano” 234.

b) I fini del matrimonio

L’intervento che fece più scalpore fu, il 29 ottobre, il discorso


del card. Suenens 235, che con tono veemente affermò:

“Mi sia permesso di esprimere i voti, che questa Commissione conduca


una vastissima indagine presso moralisti di spicco, studiosi e facoltà uni-
versitarie di diverse discipline, laici, sia uomini che donne, e presso gli
sposi cristiani.
(…) Il primo lavoro di tale Commissione si colloca nella linea della Fede e
deve consistere in questo: vedere se finora abbiamo messo sufficientemente
in luce tutti gli aspetti dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio.
(…) Può darsi che abbiamo accentuato la parola della Scrittura: ‘Crescete e
moltiplicatevi’ fino al punto di lasciare nell’ombra l’altra parola divina: ‘I
due saranno una sola carne’. (…) Spetterà alla Commissione dirci se non
abbiamo sottolineato troppo il fine primo, che è la procreazione, a scapito di
una finalità altrettanto imperativa, che è la crescita nell’unità coniugale.
Allo stesso modo, spetta alla Commissione rispondere al problema im-
menso posto dall’esplosione demografica attuale e dalla sovrappopolazio-
ne in molte regioni della terra. Per la prima volta dobbiamo procedere a
un simile esame alla luce della Fede. La cosa è difficile, ma il mondo at-
tende, in maniera più o meno consapevole, che la Chiesa in quest’ambito,
dica il suo pensiero e sia ‘luce per le nazioni’.
(…) Il secondo lavoro della Commissione si colloca nella linea del pro-
gresso scientifico e della conoscenza più approfondita dell’etica naturale.

234
AS, III/6, pp. 217-218 (pp. 217-219).
235
Ivi, pp. 57-59.
1964: LA TERZA SESSIONE 419

La Commissione dovrà esaminare se la dottrina classica, soprattutto quel-


la dei manuali, tiene sufficientemente conto dei nuovi dati della scienza di
oggi. Abbiamo fatto progressi da Aristotele e abbiamo scoperto la com-
plessità del reale nel quale il biologo interferisce con lo psicologo, il con-
scio con il subconscio. Nuove possibilità sono costantemente scoperte nel-
l’uomo, nel suo potere di dirigere il corso della natura. Da qui deriva una
conoscenza più profonda dell’unità dell’uomo, sia nel suo essere in quan-
to spirito incarnato che nel dinamismo di tutta la sua vita, unità che è co-
me il cuore dell’antropologia tomista; ne deriva altresì una stima più esat-
ta del suo potere ragionevole sul mondo che gli è affidato. Chi non vede
che in questo modo saremo forse portati a ulteriori ricerche sul problema
di ciò che è ‘secondo o contro la natura’? Seguiamo il progresso della
scienza. Vi scongiuro, Fratelli. Evitiamo un nuovo ‘processo Galilei’. Uno
ne basta alla Chiesa” 236.

Nell’ascoltare questo intervento, il card. Ruffini non poté trat-


tenersi dal battere un pugno sul tavolo per l’indignazione e due
giorni dopo si sfogò con il card. Cicognani, Segretario di Stato,
definendo “orrende” le parole di Suenens e chiedendone la rimo-
zione da Moderatore. “Il concetto di matrimonio, quale abbiamo fi-
nora creduto, dogmaticamente e moralmente – gli scrisse –, sembra
debba cambiarsi, almeno in pratica. Ma è possibile che la Chiesa abbia
errato fino adesso e che l’adattamento alla società di oggi costringa a
dichiarare conforme alla moralità quanto è stato sempre ritenuto im-
morale?” 237.
Mons. Helder Câmara esprimeva invece tutto il suo entusia-
smo per il Primate del Belgio: “Ha detto tutto ciò che si poteva so-
gnare di ascoltare in materia di controllo delle nascite, compreso il co-
raggio di affermare, lui, un cardinale della Santa Chiesa, un Moderato-
re del Concilio, e in piena basilica di San Pietro: ‘non ripetiamo il pro-
cesso di Galileo!’” 238.
Suenens aveva chiesto a Câmara un intervento di “appoggio”,
per il quale era stato scelto l’arcivescovo brasiliano Fernando Go-

236
Ivi, p. 58.
237
E. RUFFINI, Lettera del 30 ottobre 1964 al card. Amleto G. Cicognani, Segretario di Sta-
to, in F. M. STABILE, op. cit., p. 137; cfr. anche L. DECLERCK-T. OSAER, op. cit., pp. 64-65.
328
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 696.
420 IL CONCILIO VATICANO II

mes dos Santos 239, il quale però poi non prese la parola. Anche la
“claque” per “padre Miguel” era stata organizzata dallo stesso Câ-
mara. “Mi aveva avvertito – scrive quest’ultimo – e abbiamo fatto in
modo che la sua posizione pionieristica fosse calorosamente applaudita
nella Basilica. Ancora una volta è apparso come il leader che ci ha aperto
la strada” 240.
Il cronista di “Le Monde” commentava:

“Dire che le due ultime Congregazioni generali del Vaticano II hanno


inaugurato una nuova tappa nella Chiesa romana è dire poco. Infatti gli
interventi di Maximos IV e dei cardinali Léger, Suenens e Alfrink rom-
pono talmente con quella che convenzionalmente viene definita la dottri-
na tradizionale della Chiesa in tema di regolazione delle nascite, da se-
gnare un cambiamento radicale di atteggiamento” 241.

Paolo VI, che sui temi di natura morale non condivideva le po-
sizioni dei progressisti, rimase sconcertato e in una burrascosa
udienza con Suenens lo rimproverò per aver mancato di giudizio 242.
Circa una settimana dopo Suenens disse che doveva rispondere “a
certe reazioni dell’opinione pubblica” e spiegò che la decisione era in
mano al “Magistero supremo” 243.
Il 30 ottobre, il card. Ottaviani 244, con un intervento che colpì
per la nota personale, rara nei suoi interventi sempre rigorosa-
mente dottrinali, si rivolse così ai Padri conciliari: “Il prete che vi sta
parlando è l’undicesimo di una famiglia di dodici figli. Suo padre era un
operaio, un lavoratore, non il superiore di un lavoratore, ma un operaio,
e malgrado questo non ha mai dubitato della Provvidenza, non ha mai
pensato a limitare il numero dei suoi figli, anche se aveva delle difficoltà.

239
Fernando Gomes dos Santos (1910-1985), brasiliano, ordinato nel 1932, vescovo di
Peedo (1943-1949), poi Aracajú (1849-1957), quindi arcivescovo di Goiânia (1957-
1985).
240
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, pp. 696-697.
241
FESQUET, Diario, p. 656.
242
Cfr. L. DECLERCK-T. OSAER, Les relations entre le cardinal Montini/Paul VI (1897-1978)
et le cardinal Suenens (1904-1996) pendant le Concile Vatican II, in “Notiziario”, n. 51
(2006), pp. 49-77.
243
AS, III/6, p. 381 (pp. 379-381).
244
Ivi, pp. 85-86.
1964: LA TERZA SESSIONE 421

Vogliamo forse dimenticare le parole di Nostro Signore: ‘Guardate gli uc-


celli dell’aria (…), guardate i gigli nei campi’ (Mt. 6, 28)?” 245.
Alla allocuzione del card. Ottaviani seguì, immediatamente do-
po, quella del card. Browne, che espose in maniera cristallina la
concezione tradizionale sul matrimonio 246.

“Nella dottrina del matrimonio, sono certi gli insegnamenti provenienti


sia dalla dottrina del Magistero sia dalle scuole classiche di teologia:
Il fine primario, fine primario dell’opera (finis primarius operis), come
si dice, è la generazione e l’educazione dei figli;
Il fine secondario è duplice: a) l’aiuto reciproco, o i servizi reciproci che si
rendono gli sposi nella società domestica; b) il rimedio alla concupiscenza.
Ma, si dice, bisogna anche dare un posto all’amore coniugale. Senza dub-
bio, ma per accordargli un posto bisogna distinguere tra l’amore di ami-
cizia, secondo il quale una persona vuole e procura un bene a un suo ami-
co come a un altro, e l’amore di concupiscenza, secondo il quale essa vuo-
le e procura un bene a se stessa.
Nella società matrimoniale l’amore desiderato con la massima cura affin-
ché il fervore sia saldo, stabile e profondamente felice è un amore di ami-
cizia coniugale dell’uomo e della donna, l’uno per l’altra.
Nella vita coniugale, e specialmente nel suo atto, si trova anche un dilet-
to sensibile che il congiunto può desiderare per se stesso nella misura in
cui questo è unito a un atto coniugale onesto e che l’altra parte può desi-
derare allo stesso modo in quanto unita al medesimo atto.
Il corso naturale delle cose fa sì che, nella vita coniugale, quando uno de-
gli sposi si accorge che l’altro è dominato dall’amore sensibile di concupi-
scenza, il suo amore di amicizia diminuisce in ugual misura per lui.
Dobbiamo quindi essere prudenti quando difendiamo i diritti dell’amore
coniugale. Bisogna fare le distinzioni necessarie affinché l’amore coniuga-
le sia pienamente costituito nella sua onestà.
Perché questa onestà esista nella vita matrimoniale, gli sposi devono pre-
stare attenzione ai cosiddetti beni del matrimonio, che sono la generazio-
ne e l’educazione dei figli, la fedeltà che si conserva rendendo il dovuto co-

245
Ivi, p. 85.
246
Ivi, pp. 86-88.
422 IL CONCILIO VATICANO II

niugale e il sacramento mediante il quale la vita coniugale, già onesta sul


piano naturale, è resa santa.
Perché l’atto coniugale sia naturalmente lecito, basta voler conservare il
bene della fedeltà rendendo il dovuto coniugale. Rendere come si deve il
dovuto coniugale presuppone che l’atto coniugale osservi le leggi della na-
tura ma non esige che sia esercitato nel periodo di fertilità attuale del con-
giunto. Può essere compiuto legittimamente nei tempi detti agenesici.
Non vi è alcun dubbio che tutto questo appartenga al tesoro della dottri-
na comune dei grandi teologi e che ci venga proposto nei suoi elementi es-
senziali nei documenti del Magistero e in particolare nelle encicliche Ar-
canum di Leone XIII, Casti connubii di Pio XI, i discorsi di Pio XII al-
le ostetriche e ai medici” 247.

Sfortunatamente la morale familiare enunciata nel capitolo Di-


gnità del matrimonio e della famiglia della Gaudium et Spes avrebbe re-
cepito le istanze dei novatori piuttosto che quelle dei difensori del-
la morale tradizionale. Ne risultò una infelice sintesi tra le opposte
tendenze 248.

11. Si discute ancora su marxismo e comunismo

Marxismo e comunismo furono al centro della discussione del-


la terza sessione, su cui pesò l’enciclica di Paolo VI Ecclesiam Suam,
apparsa due mesi prima, il 6 agosto 1964. In essa il Pontefice, de-
plorava i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chie-
sa nel mondo, ma auspicava “che essi possano aprire un giorno con la
Chiesa altro positivo colloquio, che non quello presunto dalla nostra de-
plorazione e dal nostro obbligato lamento” 249. “Per la prima volta – os-
serva uno storico contemporaneo – la politica di dialogo con i non cre-
denti ed i regimi socialisti entrava in un’enciclica” 250.

247
Ivi, p. 87.
248
Mons. Philippe Delhaye, uno dei quattro periti che lavorarono alla sua relazione,
ha definito il documento “une synthèse tenant une moyenne entre plusieurs tendences”
(Vatican II. L’Eglise dans le monde de ce temps, Cerf, Parigi 1967, vol. II, p. 421).
249
AAS, 56 (1964), n. 10, pp. 651-654.
250
A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., p. 269.
1964: LA TERZA SESSIONE 423

Nell’esame generale dello schema conciliare, che ometteva ogni


riferimento al comunismo, il tema fu toccato con preoccupazione
da molti Padri.
Il 22 ottobre 1964, sia mons. Stimpfle 251, vescovo di Augusta, in
Germania, che mons. Barbieri 252, vescovo di Cassano Ionio, in Ita-
lia, chiesero con forza di affrontare la questione del comunismo.
“Lo scopo principale di questo Concilio è pastorale – disse mons. Bar-
bieri –, ed occorre evitare, possibilmente, le condanne: ma sarebbe uno
scandalo per molti credenti se il Concilio desse l’impressione di aver ti-
more di condannare il maggior delitto della nostra epoca, l’ateismo scien-
tifico e pratico, peggiore in sé e per le sue conseguenze, sul piano morale
e spirituale, della stessa bomba atomica” 253.
Il giorno successivo mons. Yü Pin 254, arcivescovo in esilio di
Nanchino, in Cina, a nome di settanta Padri conciliari, attaccò la
politica della “mano tesa” e reclamò l’aggiunta di un nuovo capi-
tolo, o almeno di una solenne dichiarazione sul comunismo, per
soddisfare l’attesa dei popoli che gemevano sotto il giogo comuni-
sta. E questo per varie ragioni:

“1. Nello scrutare i segni dei tempi. La Chiesa non può e non deve igno-
rare che il comunismo e il materialismo marxista costituiscono il più
grande e il più triste segno caratteristico dei nostri tempi. 2. Per la difesa
della verità, giacché il comunismo, il materialismo, l’ateismo militante co-
stituiscono il cumulo di ogni eresia. 3. Per vendicare la libertà. Dobbiamo
pure ricordare che là dove c’è il comunismo, non manca mai la persecu-
zione sanguinosa o almeno rovinosa. 4. Per dissipare ogni confusione. La
dottrina della coesistenza pacifica, la politica della mano tesa, la conce-
zione del cosiddetto comunismo cattolico sono fonti di pericolose confu-
sioni. 5. Per soddisfare l’attesa dei popoli, e specialmente di quelli che sof-
frono e gemono sotto il giogo comunista, e che soffrono ingiustamente do-
lori inenarrabili” 255.

251
AS, III/5, pp. 324-327.
252
Raffaele Barbieri (1898-1968), ordinato nel 1921, vescovo di Cassano Ionio nel 1937.
253
AS, III/5, p. 363 (pp. 362-364).
254
Paul Yü Pin (1901-1978), cinese, ordinato nel 1928. Arcivescovo di Nanchino (Ci-
na) dal 1946 alla sua morte, creato cardinale nel 1969.
255
AS, III/5, p. 378.
424 IL CONCILIO VATICANO II

Molti altri Padri intervennero per chiedere che lo schema de-


nunciasse il comunismo: mons. Bolatti 256, arcivescovo di Rosario,
in Argentina; mons. García de Sierra y Méndez 257, arcivescovo di
Burgos, in Spagna; mons. Guerra Campos 258, vescovo ausiliario di
Madrid; mons. Pogačnik 259, arcivescovo di Lubiana in Jugoslavia;
mons. Wright 260, vescovo di Pittsburgh, negli Stati Uniti; mons.
Baüerlein 261, vescovo di Sirmio, in Jugoslavia.
Mons. Carli, il 23 ottobre 1964, depose un intervento scritto, co-
me sempre lucido e articolato che merita essere conosciuto nella
sua interezza:

“Stupisce il silenzio dello schema intorno ad un fenomeno che purtroppo


esiste nel mondo del nostro tempo; un fenomeno che tocca da vicino l’or-
dine naturale e insieme quello soprannaturale; un fenomeno che dovrebbe
provocare il dolore e il pianto del Concilio – come si legge nel proemio –
non meno che la fame e l’esplosione demografica, giacché ha colpito e col-
pisce con dolori e lutti milioni di uomini.
Il fenomeno, intendo dire, del marxismo, intrinsecamente perverso perché
‘si oppone e s’innalza contro ogni essere che viene detto Dio o che è og-
getto di culto, fino ad assidersi nel tempio di Dio, proclamando se stesso
come Dio’ (2 Tess. 2,4); del marxismo il quale, rivestendosi astutamente
dell’abito dell’economia o della politica e facendo uso della violenza fisica,

256
Ivi, pp. 395-398. Guillermo Bolatti (1912-1982), cileno, ordinato nel 1936, vescovo
ausiliare di Buenos Aires nel 1957, vescovo titolare di Limata nel 1957, vescovo di
Rosario nel 1961.
257
AS, III/5, pp. 417-419. Segundo Garcia de Sierra y Méndez (1908-1998), spagno-
lo, ordinato sacerdote nel 1931, vescovo di Barbastro nel 1954, arcivescovo coadiu-
tore di Oviedo nel 1959, arcivescovo di Burgos nel 1964.
258
AS, III/5, pp. 520-525. José Guerra Campos (1920-1997), spagnolo, ordinato nel
1944, vescovo ausiliare di Madrid e vescovo titolare di Mutia nel 1964, vescovo di
Cuenca nel 1973.
259
AS, III/5, pp. 525-527. Jože Pogačnik (1902-1980), sloveno, ordinato nel 1927, ve-
scovo ausiliare di Ljibljana e vescovo titolare di Irenopolis in Isauria nel 1963, poi
arcivescovo di Ljibljana nel 1964.
260
AS, III/5, pp. 703-705. John Joseph Wright (1909-1979), americano, ordinato nel
1935, vescovo ausiliare di Boston e vescovo titolare di Egee nel 1947, vescovo di
Worcester nel 1950 e di Pittsburgh nel 1959, creato cardinale nel 1969.
261
AS, III/5, pp. 730-732. Stjepan Baüerlein (1905-1973), croato, ordinato nel 1929,
vescovo ausiliare di Sirmio e vescovo titolare di Heraclea Pontica nel 1951, poi ve-
scovo titolare di Sirmio nel 1959.
1964: LA TERZA SESSIONE 425

incrudelisce in più della metà del mondo e insidia la rimanente parte, se-
minando tanti lutti e tanto dolore tra i cattolici, tra i fratelli cristiani se-
parati, finalmente tra i seguaci di qualsiasi religione.
La sua dottrina e la sua prassi intorno a Dio, all’uomo, al mondo, all’e-
scatologia è radicalmente opposta, anzi ostilissima alla dottrina e alla
prassi cristiana. Il dialogo col marxismo sembra impossibile; ma almeno
non manchi il monologo. La Chiesa cattolica, che tale fenomeno ha da-
vanti agli occhi, anzi lo sente e lo subisce nel vivo delle sue carni, non può,
non deve tacere o parlare soltanto in maniera eufemistica!
In questa terza sessione del Concilio abbiamo inteso molti Padri preoccu-
pati di celebrare un sommario processo circa la responsabilità dei Giudei
nell’uccisione di Nostro Signore Gesù Cristo. Tale processo, se non pro-
prio da lasciare unicamente alla giustizia e alla misericordia di Dio, a me
sembra almeno difficilissimo sia a causa del troppo lungo spazio di tempo
dal delitto, sia specialmente per il gran numero di passi biblici e patristi-
ci che si dovrebbero sottoporre a rigoroso esame esegetico, senza che l’im-
parzialità dei giudici possa venir in alcun modo influenzata da quella
umana e cristiana pietà che giustamente si deve ad un popolo il quale, nel-
l’ultima guerra, fu sottoposto ad atroce ed empia persecuzione.
Orbene, non produrrebbe forse stupore che il nostro Concilio, tanto preoc-
cupato di quel processo storico, non spendesse nemmeno una parola, non
pronunciasse alcun giudizio, non mostrasse alcuna preoccupazione per il
deplorevole fenomeno del nostro tempo che ha nome comunismo marxista?
Si dirà forse: ma il comunismo è già stato giudicato dal magistero ponti-
ficio! Rispondo: non lo nego, però anche tutto il resto che si trova in que-
sto schema e in alcuni altri fu enunziato dai Sommi Pontefici, special-
mente da Pio XII di venerata memoria, con ancor maggiore chiarezza, ab-
bondanza e precisione; eppure il nostro Concilio ritiene bene che quelle co-
se si ripetano solennemente e conciliarmente!
Chiedo dunque che anche di questa somma eresia del nostro tempo venga
trattato in forma esplicita e con competenza, affinché i posteri non abbia-
no a credere che il Vaticano II si sia celebrato in un’epoca in cui tutto l’or-
be cattolico viveva in pace e calma.
La Chiesa non si accontenti di patire e gemere e fuggire ma, sull’esempio
della donna dell’Apocalisse (Apoc. 12,2 sgg.), senza alcun timore gridi al
cospetto del dragone rosso; renda testimonianza solenne e collegiale alla
verità; non rifiuti un servizio e un conforto ecumenico non soltanto ai
426 IL CONCILIO VATICANO II

suoi Vescovi, sacerdoti e laici, ma anche ai fratelli cristiani separati, anzi


a tutte le persone che professano una religione, i quali soffrono ad opera
del marxismo fame, carcere, esilio, persecuzione, morte; infine faccia ri-
suonare un materno monito ai cattolici, specialmente operai e intellettua-
li i quali, sotto il pretesto del progresso economico o della pseudo-scienza,
vengono ingannati da questa pestilenziale dottrina e potrebbero venir
confermati nel loro errore dal silenzio del Concilio.
Esponga apertamente la Chiesa in che modo essa e i suoi figli debbano
comportarsi nei confronti dell’attuale marxismo; con quali mezzi essa in-
tenda richiamare sulla buona strada gli illusi!
Venerabili fratelli, io vi ho manifestato apertamente il mio pensiero sul-
l’argomento. Nel fare ciò mi è sembrato di essere quasi l’esecutore testa-
mentario del compianto confratello arcivescovo Giuseppe Gawlina, recen-
temente scomparso († 20 settembre 1964), il quale più volte prima della
sua morte improvvisa, forte della conoscenza e viva esperienza che aveva
in proposito (era egli, infatti, esule dalla Polonia e Ordinario dei Polacchi
in esilio), si era con me lamentato del sorprendente silenzio degli schemi
conciliari circa un problema dottrinale e pastorale di sì gran peso” 262.

Il tema nella quarta sessione era incandescente e sarebbe esploso.

12. La “modernizzazione” della vita religiosa

Uno scontro ulteriore si ebbe sullo schema dei religiosi, che ven-
ne dibattuto in aula dal 10 al 12 novembre, quando fu rinviato in
Commissione 263. Fin dal settembre 1964, l’Unione romana dei supe-
riori maggiori, rappresentata da un centinaio di superiori generali,
si sforzò di definire una linea comune. Il 7 ottobre 1964, il Comitato
esecutivo dell’Unione si riunì presso la Casa generalizia degli Obla-
ti di Maria Immacolata. Erano presenti, tra gli altri, i superiori gene-
rali dei francescani, dei domenicani, dei carmelitani, dei benedettini,
degli oblati di Maria Immacolata, dei maristi e degli eudisti. Pur in-

262
AS, III/5, pp. 439-441. Il testo latino fu integralmente pubblicato nel Bollettino Dio-
cesano di Segni, dicembre 1964, pp. 79-81.
263
AS, III/7, pp. 422-497 e pp. 569-663; cfr. anche WILTGEN, pp. 207-219; N. TANNER,
La Chiesa nella società: Ecclesia ad extra, cit., pp. 293-416.
1964: LA TERZA SESSIONE 427

soddisfatti dello schema, essi stabilirono di emendarlo con una serie


di proposte che, alla fine di ottobre, diffusero tra i Padri conciliari.
Il card. Spellman, aprendo il dibattito il 10 novembre, affermò
che con l’introduzione di qualche modifica, il testo avrebbe potuto
essere accettato. Spellman denunciò i rischi della cosiddetta “mo-
dernizzazione” della vita religiosa, in implicita polemica con il
card. Suenens che, in un libro dedicato alla Promotion apostolique de
la religieuse 264, si era proposto una radicale riforma della vita reli-
giosa femminile e vedeva nel Concilio Vaticano II l’occasione per
attuarla. Questa riforma, per il Primate del Belgio, avrebbe dovuto
ridefinire il ruolo della religiosa, dandole una adeguata “formazione
sociale” 265 e facendone una “animatrice del laicato femminile” 266. A que-
sto fine si sarebbero dovute eliminare, in maniera impietosa, certe
devozioni “démodées” e “superfétatoires”, che rischiavano di “mecca-
nizzare e atrofizzare la vita di preghiera” 267 e trasformare gli “esercizi
spirituali” della religiosa per “rinnovarli, semplificarli, farli evolvere
verso una pietà più biblica, più liturgica, più ecclesiale e apostolica” 268.
Il card. Suenens invitava le religiose ad essere più sincere ed
espansive nei loro mutui rapporti e ad una “autocritica costruttiva
delle loro pratiche religiose” 269. Bisogna evitare, aggiungeva, che le re-
ligiose diano l’impressione di “vivere in un ghetto” 270, isolate dal
mondo; l’abito religioso dovrà essere pienamente adattato alle re-
lazioni con il mondo 271 e abbandonare forme e rituali che non ap-
partengono più alla nostra epoca 272. Anche il concetto di “obbe-
dienza” andrà rivisto: la rinunzia alla propria volontà non va an-
teposta al servizio del bene comune. Il bene comune vuole talvol-
ta che gli inferiori facciano valere il loro punto di vista prima che i
superiori prendano una decisione 273.

264
Cfr. L. J. SUENENS, Promotion apostolique de la religieuse, Desclée de Brouwer, Bru-
ges-Parigi 1962.
265
Ivi, pp. 177-180.
266
Ivi, p. 197.
267
Ivi, p. 146.
268
Ivi, p. 145.
269
Ivi, p. 147.
270
Ivi, p. 144.
271
Ivi, p. 161.
272
Ivi, pp. 161-162.
273
Ivi, p. 168.
428 IL CONCILIO VATICANO II

Nella Congregazione generale dell’11 novembre, né il card.


Suenens, né il card. Döpfner 274 si dissero soddisfatti dello schema e
delle proposte di emendamento che erano state presentate. Döpf-
ner sostenne che allo schema mancavano gli “Schwerpunkte”, i
“punti cardinali del desiderato rinnovamento e aggiornamento” 275; Sue-
nens domandò nuove regole per i conventi, affinché le religiose
fossero trattate da “feminae vere adultae” 276. Egli auspicò nuove
strutture di governo, più democratiche e rappresentative, per evi-
tare la concentrazione di potere nelle mani di una sola superiora e
di un’obbedienza eccessivamente “passiva” e “infantile”.
A questi due interventi replicarono, lo stesso giorno, il padre
Anastasio del SS.mo Rosario 277, preposito generale dei carmelitani
scalzi e presidente dell’Unione romana dei superiori maggiori, a
nome di 185 padri; mons. Perantoni 278, arcivescovo francescano di
Lanciano, a nome di 370 padri; mons. Sartre 279, già arcivescovo di
Tananarive, a nome di 265 padri conciliari e di 250 superiori gene-
rali delle Congregazioni femminili; mons. Richard Guilly 280, gesui-
ta, vescovo di Georgetown in Guyana britannica, a nome di 263
padri; tutti erano a favore dello schema, anche se con opportune
modifiche.
Mons. Guilly trovò “veramente sorprendente” che nello schema
sui Religiosi si trovasse “così poco sugli altri ordini e Congregazioni
che si dedicano severamente alla vita contemplativa”. Sono proprio
“questi uomini e queste donne che con le loro preghiere, la loro austerità,

274
AS, III/7, pp. 431-436.
275
Ivi, p. 431.
276
Ivi, p. 439 (pp. 439-442).
277
Ivi, pp. 453-455. Anastasio Ballestrero (1913-1998), ordinato nel 1936, superiore
generale dell’ordine dei Carmelitani Scalzi dal 1955 al 1967, arcivescovo di Bari nel
1973, poi di Torino nel 1977, creato cardinale nel 1979. Di lui, cfr. Autoritratto di una
vita. Padre Anastasio si racconta, Edizioni OCD, Morena (Rm), 2002 (sul Concilio, me-
morie varie e aneddoti interessanti, pp. 98-207).
278
AS, III/7, pp. 458-460.
279
Ivi, pp. 460-462. Victor Sartre (1902-2000), gesuita francese, ordinato nel 1932. Ar-
civescovo di Tananarive (Madagascar) dal 1955 al 1960.
280
Richard Lester Guilly (1905-1996), inglese, ordinato nel 1938, vicario apostolico
della Guyana Britannica nel 1954, vescovo titolare di Adraa, vescovo di George-
town nelle Antille dal 1956 al 1996.
1964: LA TERZA SESSIONE 429

il loro silenzio e i loro sacrifici, contribuiscono più di tutti gli altri alla
promozione dell’apostolato della Chiesa” 281.
I rappresentanti dell’Unione romana, pur non entusiasti dello
schema, erano consapevoli del fatto che, in caso di bocciatura, es-
so avrebbe rischiato di essere ancora più profondamente modifica-
to nel senso delle tesi di Suenens e Döpfner. Questi ultimi, al con-
trario, puntavano a bocciare lo schema, proprio perché ne avreb-
bero voluta una completa riformulazione.
I sostenitori dell’Alleanza progressista si resero conto però di
non avere i numeri sufficienti per rifiutare lo schema e si accordaro-
no per cercare di modificarlo attraverso i modi. La parola d’ordine fu
dunque di votare placet iuxta modum, ma proponendo delle modifi-
che opposte a quelle suggerite dall’Unione romana. Nelle votazioni
sui diversi capitoli, i placet iuxta modum rappresentarono talvolta la
maggioranza del parere dell’aula 282. Il testo rivisto tornò in aula con-
ciliare l’11 ottobre 1965, durante la quarta sessione e fu adottato, con
scrutinio definitivo, in seduta pubblica, il 28 ottobre 1965.
Anche il dibattito sulla formazione sacerdotale 283 mise in luce le
profonde divergenze esistenti tra la posizione tradizionale, difesa
dal card. Ruffini 284 e da mons. Staffa 285, e quella progressista esposta
dai cardinali Léger 286, Döpfner 287 e Suenens 288. Staffa, che era succe-
duto a Ruffini come Segretario della Congregazione dei Seminari e
degli Studi, il 14 novembre, affermò: “San Tommaso non è un limite, è
un faro. Noi dobbiamo conservare, costi quello che costi, i principi fonda-
mentali di san Tommaso, enumerati dall’enciclica Humani Generis” 289.
Quello stesso giorno il card. Léger aveva attaccato san Tomma-
so e la “philosophia perennis”, affermando: “Disgraziato l’uomo che ha
un solo libro! Disgraziata anche la Chiesa che ha un solo dottore! Piutto-

281
AS, III/7, p. 463 (pp. 462-464).
282
Cfr. i suffragi in AS, III/7 e III/8.
283
AS, III/7, pp. 703-747 e AS, III/8, pp. 14-45, pp. 239-259.
284
Ivi, pp. 705-708.
285
Ivi, pp. 718-720.
286
Ivi, pp. 708-710.
287
Ivi, pp. 711-714.
288
Ivi, pp. 715-717.
289
FESQUET, Diario, p. 711; cfr. anche AS, III/7, p. 719.
430 IL CONCILIO VATICANO II

sto di imporre san Tommaso, lo si dichiari il prototipo del cercatore e lo si


proponga come maestro e modello, come colui che ha saputo mettere la
scienza del suo tempo al servizio della Chiesa” 290. Il card. Döpfner in-
tervenne di rincalzo: “La santità dei preti non è sufficiente. Bisogna che
il prete sia adeguato al suo tempo. L’anima della formazione teologica è la
Sacra Scrittura. Io sono interamente d’accordo con il cardinale Léger a
proposito di san Tommaso (…)” 291.
Il Primate del Belgio Suenens, dopo aver dichiarato che aderiva
a quello che era stato detto prima di lui dai cardinali Léger e Döpf-
ner, insisté a lungo sulla riforma dei seminari, affermando di aver-
la personalmente intrapresa nella sua diocesi, specialmente allo
scopo di non isolare i seminari dal mondo esterno 292. Il 17 novem-
bre l’arcivescovo Garrone 293 sferrò un pesante attacco alla Congre-
gazione dei Seminari, proponendo di affidare alle conferenze epi-
scopali il compito di provvedere alla formazione dei seminaristi.
I Padri approvarono alla fine lo schema a larghissima maggio-
ranza con 2.117 voti contro 41.
Intanto, tra il 4 e il 6 novembre, mentre si concludeva il dibatti-
to sullo schema XIII, era tornato in assemblea il testo sui vescovi e
il governo della diocesi, ancora oggetto di quasi un migliaio di
emendamenti per ciascuno dei due primi capitoli. Il 6 novembre fu
introdotto il progetto sulle missioni 294, presentato dal card. Aga-
gianian 295, prefetto della Congregazione De propaganda fide e presi-
dente della Commissione conciliare delle Missioni. Per vincere
l’opposizione allo schema che si era manifestata soprattutto tra
molti vescovi africani, il cardinale ottenne che il Papa – unica ec-
cezione durante tutto il Concilio – venisse a inaugurare il dibattito
e a raccomandare di accogliere il testo 296. Ma nonostante l’inter-
vento in aula di Paolo VI, le critiche si moltiplicarono e lo schema
fu ritirato dopo soli tre giorni.

290
AS, III/7, p. 709.
291
Ivi, p. 712.
292
Ivi, pp. 715-717.
293
AS, III/8, pp. 171-173.
294
AS, III/6, pp. 327-336.
295
Ivi, pp. 336-340.
296
Ivi, pp. 324-325.
1964: LA TERZA SESSIONE 431

13. Conflitto aperto sulla collegialità

Il voto sui primi due capitoli dello schema De Ecclesia non creò
particolari problemi, ma sul terzo, riguardante la gerarchia e con-
siderato da molti come “il cuore stesso del Concilio” 297, avvenne un
aspro scontro. Si trattava del modo in cui bisognava intendere la
collegialità nella Chiesa.
La collegialità era infatti intesa in tre modi diversi. Secondo la
concezione tradizionale, il potere del Papa era l’unico supremo
nella Chiesa. Secondo i progressisti l’unico soggetto che deteneva
questo potere supremo era il Collegio dei vescovi, presieduto dal
Papa. Quando quest’ultimo esercitava il suo potere lo faceva solo
in quanto rappresentante del Collegio episcopale. Il “Terzo Parti-
to”, verso cui inclinava Paolo VI 298, vedeva nella Chiesa due sog-
getti dal potere supremo: il Papa e il Collegio dei Vescovi unito al
Papa. Questa posizione minava la costituzione della Chiesa perché
se l’intima collaborazione tra il Papa e il Collegio dei Vescovi non
è sottomessa a un principio gerarchico che la regola, essa diviene
fatalmente una questione di equilibrio da cercare senza posa tra le
due fonti di autorità. I rapporti tra il Papa e i Vescovi sono desti-
nati, in questo caso, a passare dal piano soprannaturale a quello
umano e politico della bilancia delle forze.
In difesa della concezione tradizionale del Primato Romano
apparvero, nel 1964, una serie di articoli dell’abbé Dulac e del-
l’abbé Berto su “La Pensée Catholique”, e due articoli di mons. Di-
no Staffa e del padre Ugo Lattanzi su “Divinitas”, che vennero an-
che diffusi in forma di estratti 299. L’arcivescovo Staffa, il 28 luglio,
aveva completato, sui due schemi conciliari sulla Chiesa e sui ve-
scovi un lungo studio che fece pervenire ai Padri conciliari 300. Egli
si diceva profondamente convinto che le posizioni emergenti da-

297
R. AUBERT, Lo svolgimento del Concilio, cit., p. 286.
298
WILTGEN, pp. 224-225.
299
D. STAFFA, De collegiali Episcopatus ratione, in “Divinitas”, n. 1 (1964), pp. 3-61; U.
LATTANZI, Quid de Episcoporum “collegialitate” ex Novo Testamento sentiendum sit, in
ivi, pp. 62-96.
300
D. STAFFA, Osservazioni sugli Schemi “De Ecclesia” e “De Pastorali Episcoporum mu-
nere in Ecclesia”, 25 luglio 1964, ciclostilato.
432 IL CONCILIO VATICANO II

gli schemi erano “in opposizione con l’insegnamento comune dei San-
ti Padri, dei Romani Pontefici, dei sinodi provinciali, dei dottori della
Chiesa universale, dei teologi e dei canonisti e che erano ugualmente
contrarie alle norme secolari della disciplina ecclesiastica” 301. Staffa ci-
tava le opere di un gesuita italiano, il padre Vincenzo Bolgeni 302,
affermando che le sue posizioni, già confutate nel XVIII secolo,
erano sostanzialmente identiche a quelle dello schema De Ecclesia.
Egli trovava incredibile che princìpi unanimemente rifiutati da
teologi e canonisti come incompatibili con la tradizione della
Chiesa fossero riproposti, centoquaranta anni dopo, a fondamen-
to di uno schema conciliare 303. Il 15 settembre l’arcivescovo roma-
no consegnò ai cardinali Moderatori una lista di più di 70 nomi di
Padri conciliari che lo appoggiavano, pregando di essere autoriz-
zato a prendere la parola prima che fosse messo ai voti il terzo ca-
pitolo, che riguardava la collegialità.
Malgrado l’articolo 57, par. 6 del Regolamento del Concilio pre-
vedesse il diritto di intervenire in aula, quando la richiesta fosse
avanzata a nome di almeno 70 Padri conciliari, mons. Staffa non
ottenne l’autorizzazione a prendere la parola.
Dal momento che in seno alla Commissione teologica non si era
giunti a un accordo, nella Congregazione generale del 21 settem-
bre, mons. Felici annunciò che mons. Franić avrebbe parlato, pri-
ma del voto 304, presentando in seduta pubblica, anche il punto di
vista degli oppositori. Mons. Franić criticò l’errore dottrinale del
documento, secondo cui la giurisdizione episcopale proveniva ipso
facto ai vescovi dalla consacrazione episcopale, mentre la tradizio-
ne della Chiesa ha costantemente affermato che i vescovi derivano
questa potestà immediatamente dal Romano pontefice e solo me-

301
WILTGEN, p. 226.
302
Sul padre Vincenzo Bolgeni della Compagnia di Gesù (1733-1811), Prefetto della
Biblioteca del Collegio Romano, poi teologo della penitenzieria apostolica, cfr. an-
che M. R. GAGNEBET o.p., L’origine de la jurisdiction collégiale du corps épiscopal au Con-
cile selon Bolgeni, Libreria della Pontificia Università Lateranense, Roma 1961.
303
Mons. Staffa pubblicava negli stessi giorni una recensione al volume appena usci-
to di G. ALBERIGO, Lo sviluppo della dottrina sui poteri della Chiesa universale, sul “Mo-
nitor Ecclesiasticus”, n. 4 (1964), pp. 685-694, mostrando la fragilità scientifica del-
la sua tesi.
304
AS, III/2, p. 192.
1964: LA TERZA SESSIONE 433

diatamente da Cristo 305. “Sarebbe del tutto nuovo, inaudito e anomalo


– disse – che una qualche dottrina ritenuta, prima del Concilio, poco co-
mune, poco probabile, poco fondata, diventi all’improvviso più accettabi-
le, perfino più matura, per il suo inserimento in una costituzione dogma-
tica conciliare”. Lo schema prevedeva inoltre che si potesse dare il
diaconato a uomini già sposati. “Io sono persuaso con molti – disse
mons. Franić – che si creerebbe un grave pericolo per le vocazioni sacer-
dotali se il Concilio approvasse questa clausola” 306.
Le relazioni a favore del documento furono tenute dal card. Kö-
nig 307 a cui fu affidato il tema della sacramentalità, da mons. Henrí-
quez Jiménez 308, che trattò gli ultimi due paragrafi del capitolo, il
numero 28, sui presbiteri e il numero 29, sui diaconi, e da mons.
Pietro Parente, che parlò della collegialità 309. L’intervento a favore
della collegialità di mons. Parente, che precisò di parlare come “ve-
scovo” e non a nome del Sant’Uffizio, di cui era assessore, ebbe tut-
tavia “un’eco clamorosa” 310 proprio per il ruolo che egli aveva. Pa-
rente, già avversario della collegialità, confutò meticolosamente
Franić, richiamandosi all’opera appena pubblicata su Lo sviluppo
della dottrina dei poteri nella Chiesa universale di Giuseppe Alberigo
“qui est laicus, sed bene scripsit de hac re” 311.
Ad avviso di mons. Parente, la collegialità si inseriva perfetta-
mente “nell’unità organica della Chiesa, in virtù della quale il Cristo
non può mai essere considerato come separato dal suo Corpo Mistico, né
Pietro dal Cristo, che è il suo capo, né Pietro dal collegio episcopale, né i
vescovi da Pietro. (…) È tutta la struttura ontologica della Chiesa che ri-
posa sull’ordine sacro e sul sacerdozio universale di Cristo” 312. Queste
considerazioni di carattere spirituale lasciavano in piedi l’equivo-
co giuridico che vedeva sovrapporsi due diversi soggetti di dirit-

305
Ivi, pp. 193-201.
306
Ivi, p. 199.
307
AS, III/2, pp. 201-205.
308
Ivi, pp. 211-218. Luis Eduardo Henríquez Jiménez (1913-1991), venezuelano, or-
dinato nel 1937, vescovo ausiliare di Caracas e vescovo titolare di Lamdia nel 1962,
vescovo di Valencia in Venezuela nel 1972 e poi arcivescovo nel 1974.
309
AS, III/2, pp. 205-211.
310
G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit. p. 161.
311
AS, III/2, p. 211. Si trattava dell’opera appena confutata da mons. Staffa.
312
Ivi, p. 210.
434 IL CONCILIO VATICANO II

to. Tuttavia, scriverà mons. Franić, “chi avrebbe potuto opporsi e in


nome di quali ragioni, sapendo che quel prelato era considerato tra i teo-
logi cattolici come più severo del cardinale Ottaviani, prefetto del
Sant’Uffizio?” 313. Lo stupore in aula, dopo l’intervento di mons.
Parente, fu profondo 314. Il card. Siri registrò la voce che Parente
“sarebbe stato invitato dal Papa stesso a fare questo. In tal caso tutto sa-
rebbe stato spiegato” 315. Il card. Larraona criticò l’intervento di Pa-
rente e lamentò il fatto che quello di Franić fosse stato letto prima,
e non dopo, quello dei relatori ufficiali, come sarebbe stato logico.
Iniziarono quindi le votazioni che diedero al testo un successo
maggiore delle previsioni. Il clamoroso ribaltamento di posizioni
del teologo del Sant’Uffizio trascinò molti esitanti. Nei voti sui
singoli articoli, furono 322 i Padri che si opposero all’esistenza del
Collegio dei vescovi e 325 rifiutarono di ammettere che la consa-
crazione episcopale conferisce la triplice funzione sacra nella
Chiesa. Era un numero molto alto di oppositori, ma lontano dai
circa 800 che essi speravano di ottenere. Tanti (839) ne avrebbe at-
tenuti la proposta di conferire il diaconato a dei giovani senza im-
porre loro la legge del celibato. Quando si giunse a votare sull’in-
sieme del capitolo terzo, l’alleanza progressista esultò per la nuo-
va vittoria 316. Il risultato fu di 1.624 placet, 572 placet iuxta modum e
42 non placet. La discussione si trasferiva ora sui modi, la maggior
parte dei quali erano stati preparati dal Coetus internationalis, di
cui faceva parte mons. Staffa.
Nel corso del Concilio mons. Parente si allontanò progressiva-
mente dalle posizioni del Coetus Internationalis Patrum e venne
“premiato” per la sua “conversione”. Nel 1965 fu nominato Segre-
tario della nuova Congregazione per la Dottrina della Fede e nel
1967 creato cardinale del titolo di San Lorenzo in Lucina. La por-

313
L’Eglise colonne de la vérité, cit., p. 262.
314
“L’appoggio dato da monsignor Parente alla causa della collegialità non solo fu impor-
tante dal punto di vista numerico, ma assunse anche un particolare significato morale. La
corrente maggioritaria poté da allora contare sull’adesione di un esponente dell’ambiente cu-
riale che all’inizio del Concilio aveva invece combattuto le tesi del rinnovamento” (GROO-
TAERS, I protagonisti, p. 212).
315
B. LAI, Il Papa non eletto, cit., p. 385.
316
Cfr. ROBERT PREVOST, Vaticano II. Pietro o il caos, Prefazione di S.E. il card. A. Otta-
viani, Coletti editore, Roma 1965, pp. 85-86.
1964: LA TERZA SESSIONE 435

pora era stata negata a mons. Antonio Piolanti, con cui Parente
aveva lungamente collaborato. Parente morì il 30 dicembre 1986 a
95 anni. Rivendicò le sue scelte, severamente giudicate negli am-
bienti conservatori 317.
La sotto-commissione sulla collegialità della Commissione teo-
logica non ritenne di dar peso alle obiezioni sollevate dalla mino-
ranza. Il 7 novembre 1964 mons. Staffa scrisse una lunga lettera a
Papa, divulgandola tra i più influenti Padri conciliari. Mons. Staf-
fa vi faceva delle rimostranze nel merito della questione della col-
legialità e nel metodo della discussione, ricordando che gli era sta-
to illegalmente rifiutato di esercitare il suo diritto di parteciparvi.
All’interno del fronte antiromano continuavano le frizioni tra
l’ala girondina, che già si atteggiava a “partito di governo”, e quella
giacobina, la prima composta dal gruppo francofono, la seconda da
numerosi teologi tedeschi e olandesi e dal “gruppo di Bologna” 318.
Qualcuno dei più “audaci” già spiegava, anche per iscritto, co-
me sarebbero stati interpretati dopo il Concilio i passi ambigui del-
lo schema. Questi documenti finirono nelle mani del gruppo dei
cardinali e dei superiori religiosi “romani” che li fecero avere al
Pontefice. A questo punto Paolo VI fu costretto a prendere atto del-
la realtà 319. Il suo consigliere teologico Carlo Colombo propose una
Nota explicativa praevia, da pubblicare in appendice allo schema,
che illustrasse i criteri seguiti nello schema De Ecclesia 320. Nelle in-
tenzioni di Paolo VI questa nota avrebbe dovuto svolgere un ruo-
lo analogo a quello della Relatio di mons. Gasser 321 al Concilio Va-
ticano I, con la quale era stata data l’interpretazione ufficiale del te-
sto sull’infallibilità pontificia. Il 31 ottobre Colombo propose a

317
Cfr. Scritti del card. Pietro Parente dal 1933 al 1976, a cura di mons. MICHELE DI RU-
BERTO, Città Nuova, Roma 1976.
318
Sulle due ali, cfr. J. GROOTAERS, La collégialité vue au jour le jour en la IIIe session con-
ciliaire, in “Irenikon”, n. 38 (1965), pp. 186-187 (pp. 183-194).
319
Cfr. WILTGEN, p. 228.
320
Sulla Nota praevia cfr. J. GROOTAERS, Primauté et collégialité, cit., e gli articoli di C. TROI-
SFONTAINES, G. CAPRILE, V. CARBONE in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio; la ri-
costruzione di PHILIPS in Carnets conciliaires, pp. 136-140 e i numerosi documenti pub-
blicati da G. CAPRILE in Contributo alla storia della “Nota explicativa praevia”, cit.
321
Vinzenz Gasser (1809-1879), austriaco, ordinato nel 1833, consacrato vescovo di
Bressanone nel 1857.
436 IL CONCILIO VATICANO II

mons. Philips di redigere il testo della nota, su cui esisteva già un


appunto del padre Bertrams 322, considerato però di tendenza trop-
po “romana” 323. Philips si mise rapidamente al lavoro e in meno di
quindici giorni la Nota explicativa fu elaborata.

14. La “settimana nera”: ma per chi?

a) Gli annunzi di mons. Felici

La mattina di sabato 14 novembre, un gruppo compatto di Pa-


dri conciliari si inginocchiò in preghiera sulla tomba di san Gio-
safat, in San Pietro, di cui quel giorno si celebrava la festa. San
Giosafat, martire della chiesa uniate nel XVII secolo, era stato un
indomabile difensore dell’unità e della verità cattolica e il grup-
po di Padri ne impetrava l’aiuto contro i novatori 324. Essi sapeva-
no che Paolo VI, attraverso il Segretario di Stato, aveva chiesto al
presidente della Commissione teologica, Ottaviani, di redigere
un documento “interpretativo” dello schema sulla collegialità
per precisare che il consenso del Romano Pontefice costituiva un
elemento necessario ed essenziale dell’autorità del Collegio epi-
scopale 325. Dopo che quella mattina entrarono in aula, i Padri ri-
cevettero un fascicolo, al quale era unita “per mandato della Supe-
riore Autorità” – cioè di Paolo VI – una Nota explicativa praevia,
proposta ai Padri della Commissione teologica prima che si pas-
sasse alle votazioni sugli emendamenti del terzo capitolo del pro-
getto De Ecclesia. Iniziò così quella che i progressisti definirono la
“settimana nera” del Concilio 326.

322
Wilhelm Bertrams (1907-1995), gesuita tedesco, professore di Diritto Canonico al-
l’Università Gregoriana, perito conciliare.
323
In un appunto autografo del 10 novembre 1964, il Papa esprime il desiderio che
la Nota sia comunque preparata da mons. Colombo d’accordo con mons. Philips e
mons. Bertrams (testo in G. CAPRILE, Contributo alla storia della “Nota explicativa prae-
via”, cit., pp. 664-665).
324
R. PREVOST, op. cit., pp. 99-100.
325
J. GROOTAERS, Primauté et collégialité, cit., pp. 109-113.
326
LUIS ANTONIO G. TAGLE, La tempesta di novembre: la “settimana nera”, in SCV, pp.
417-482; CAPRILE, vol. III, p. 74; WILTGEN, p. 231.
1964: LA TERZA SESSIONE 437

Quel sabato il Segretario generale comunicò che dal martedì se-


guente, 21 novembre, sarebbero cominciate le votazioni sui capitoli
della futura costituzione della Chiesa 327 e, nel secondo intervento,
precisò che la seduta del 21 novembre sarebbe stata una sessione
pubblica, presieduta dal Sommo Pontefice. La portata del documen-
to interpretativo non era però ancora chiara. Fu solo il lunedì matti-
na che la bomba scoppiò in aula, quando il Segretario generale fece
tre importanti annunci, destinati a tutti i Padri conciliari, compresi i
Presidenti e i Moderatori. I primi due annunci si riferivano alla lette-
ra di mons. Staffa, pur senza citarla, il terzo alla Nota explicativa 328.
Sul primo punto mons. Felici comunicò che alcuni Padri si era-
no lamentati presso l’Autorità superiore per la mancata osservan-
za delle regole procedurali nella discussione sul III capitolo e per
alcuni punti dubbi in materia dottrinale. La questione era stata ac-
curatamente studiata e si poteva essere certi che non c’era stata
nessuna violazione del regolamento; quanto ai dubbi concernenti
la dottrina contenuta nel III capitolo, essi erano stati sottomessi al-
la competente Commissione teologica.
La seconda notificazione riguardava la qualifica teologica che
bisognava dare allo schema della Chiesa sottoposto alla votazione
definitiva. Su questo punto, mons. Felici ribadiva che il Concilio
non aveva un carattere dottrinale ma pastorale e il suo insegna-
mento non doveva essere considerato come un dogma o una defi-
nizione infallibile, ma accettato come emanante dal supremo ma-
gistero della Chiesa.
Prima del terzo annuncio il Segretario generale richiamò anco-
ra di più l’attenzione dichiarando con voce forte e lenta: “Questo è
il momento più importante, ‘maioris momenti est’” e continuò scan-
dendo le parole: “Per ordine dell’Autorità Superiore viene comunicata
ai Padri una nota di spiegazione previa agli emendamenti riguardanti il
capitolo III dello schema De ecclesia: la dottrina esposta in questo stesso
capitolo III deve essere spiegata e capita secondo l’intenzione e il linguag-
gio della nota” 329. La nota explicativa promanava dunque diretta-
mente dal Sommo Pontefice.

327
AS, III/7, pp. 667, 702, 711.
328
AS, III/8, pp. 10-13.
329
Ivi, p. 10.
438 IL CONCILIO VATICANO II

“Forse è spiacevole, ma è così: ora siamo costretti a votare placet, an-


che se non tutto piace”, annotò Congar, riassumendo lo stato d’ani-
mo di chi cercava di frenare i Padri e i teologi progressisti che
avrebbero voluto esprimere pubblicamente la loro protesta 330.
A questo punto, in profondo silenzio, l’Assemblea Conciliare
ascoltò le quattro “osservazioni” con cui la Commissione, su man-
dato del Papa, aveva emendato il testo 331. 1) Quando si dice che “i
Vescovi costituiscono un Collegio” non si deve pensare a un Collegio
giuridico in cui tutti i vescovi, compreso il Papa, siano su un piano
di uguaglianza; 2) Quando si dice che si diventa “membro del Colle-
gio in virtù della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica
con il Capo e i membri del Collegio”, si vuole dire che la natura della
funzione episcopale esige una determinazione giuridica da parte
della gerarchia ecclesiastica che può consistere sia nell’assegnazio-
ne di un ufficio ecclesiastico che nella designazione della porzione
di gregge che sarà sottoposto al Vescovo; 3) Nel testo è detto che il
Collegio dei Vescovi, il quale non esiste senza il suo Capo, “è ugual-
mente il soggetto di un potere supremo e plenario sulla Chiesa universa-
le”. La distinzione non riguarda due poteri (il Papa e il Collegio
episcopale), ma i due modi in cui il Romano Pontefice, che ha sem-
pre la pienezza del potere, può esercitarlo: da solo o in unione ai
vescovi, da lui diretti e convocati. 4) Vi è una differenza, precisa an-
cora la nota, tra l’Esercizio del potere personale del Sommo Ponte-
fice sulla Chiesa universale e l’esercizio del potere collegiale dei
vescovi con il Papa. Il Sommo Pontefice può esercitare il suo pote-
re in ogni momento, come gli piace, ma il suo potere collegiale non
è sempre in atto. La frase finale della Nota ne riassume il senso:
“Questa comunione gerarchica di tutti i vescovi con il Sommo Pontefice
è una verità sicura e solenne nella tradizione della Chiesa” 332.
Il giorno stesso il card. Ruffini scrisse al Papa per esprimergli
tutta la sua gioia per le dichiarazioni lette in aula da mons. Felici,
“che hanno dissipato ogni ansietà e chiarito senza lasciare equivoco il te-
sto del capitolo medesimo”, ma anche per manifestare a Paolo VI le

330
CONGAR, Diario, vol. II, p. 223.
331
AS, III/8, pp. 11-13.
332
Ivi, p. 12.
1964: LA TERZA SESSIONE 439

sue preoccupazioni per “un movimento che si starebbe organizzando


per temperare il valore delle accennate dichiarazioni” 333.
Il giorno successivo ogni Padre conciliare ricevette un esemplare
stampato della Nota explicativa praevia. Dopo di che, il 19 novembre,
il Concilio approvò con 2.099 voti contro 46 non placet il rifacimento
del capitolo III da parte della Commissione teologica 334. Il documen-
to attenuava indubbiamente la portata del testo sulla collegialità, an-
che se mons. Parente scriveva che la Nota explicativa non era neces-
saria e non aggiungeva nulla al testo della dichiarazione, negando-
le di fatto il carattere di documento conciliare 335. Il card. Siri, il 10 feb-
braio, esprimeva il suo sconcerto per l’articolo del card. Parente 336.
Don Dossetti manifestava invece a mons. Carlo Colombo, teologo di
fiducia di Paolo VI, tutta la sua “indicibile amarezza” 337. Si trattava di
una sconfitta per l’ala giacobina, ma, come annotava Philips, “il Pa-
pa ha raggiunto il suo obiettivo, cioè guadagnare a sé la minoranza” 338. Il
teologo belga chiarisce questo punto nel suo libro sulla Lumen Gen-
tium: “Non è mai auspicabile che in un Concilio una maggioranza trionfi
su una minoranza; la storia lo dimostra. (…) Per arrivare a questa unità
Paolo VI si è adoperato con tutte le sue forze, instancabilmente, tanto che il
suo atteggiamento comprensivo verso la minoranza ha talvolta irritato il
gruppo maggioritario” 339.

b) La rivolta dei vescovi

Quel giorno, il “giovedì nero”, oltre alla Nota praevia, altri epi-
sodi aggravarono la delusione del fronte antiromano: il rinvio del-
la discussione sulla libertà religiosa, gli emendamenti al testo sul-

333
E. RUFFINI, Lettera del 16 novembre 1964, in F.M. STABILE, op. cit., p. 140.
334
AS, III/8, p. 177.
335
Cfr. P. PARENTE, Visione della Chiesa nella dottrina del Concilio ecumenico, in “Città
Nuova”, n. 2 (1965), p. 17 (pp. 15-17). L’articolo veniva ripubblicato da “L’Avveni-
re d’Italia” del 21 gennaio 1965.
336
Lettera di Siri a Felici del 10 febbraio 1965, in ASV, Conc. Vat. II, Busta 345, I, 1 fol.
337
G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit., p. 109.
338
PHILIPS, Carnets conciliaires, p. 136.
339
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della Lumen Gentium,
tr. it. Jaca Book, Milano 1975, p. 50.
440 IL CONCILIO VATICANO II

l’ecumenismo e la proclamazione della Maternità della Beata Ver-


gine sulla Chiesa 340.
Il nuovo progetto sulla libertà religiosa del Segretariato per l’U-
nità dei Cristiani, redatto nel mese di ottobre per mano soprattut-
to di padre Murray e di mons. Pavan, era stato trasmesso alla
Commissione teologica, che lo approvò il 9 novembre, e venne di-
stribuito ai Padri conciliari il 17 dello stesso mese. Il Coetus inter-
nationalis, dopo aver esaminato il documento, si rese conto che si
trattava di uno schema completamente nuovo rispetto al prece-
dente: il testo era stato infatti esteso da circa 250 righe a 500, con
sole 70 righe del documento originale e, come tale, aveva bisogno
del tempo necessario per essere attentamente esaminato, prima del
voto, che doveva avvenire in seduta pubblica. Circa 150 Padri con-
ciliari, richiamandosi all’articolo 30,2 del Regolamento, chiesero
che il voto fosse differito alla quarta sessione, in modo da avere più
tempo per studiare seriamente il nuovo schema. Il card. Tisserant,
presidente dell’assemblea, non accolse la proposta, annunciando la
votazione per il giorno successivo. A questo punto, uno dei firma-
tari della petizione, mons. Carli, si appellò al card. Roberti, presi-
dente del Tribunale amministrativo del Concilio, per denunciare
come illegale la decisione di Tisserant e dei quattro Moderatori di
mettere ai voti lo schema 341. La richiesta ottenne l’effetto sperato. Il
Tribunale del Concilio accolse l’appello e i giudici decisero di po-
sporre la discussione alla quarta sessione.
Il giorno seguente, 19 novembre, il card. Tisserant, Presidente
del Consiglio di presidenza, comunicò che la dichiarazione sulla li-
bertà religiosa non poteva essere sottoposta ai Padri, dato che – do-
po le modifiche apportate – si trattava in realtà di un testo nuovo,
che sarebbe stato rinviato alla successiva sessione 342. L’annuncio
del rinvio del voto scatenò una reazione furibonda. Nella basilica
molti abbandonarono i loro posti e si allontanarono dalla tribuna
per riunirsi a discutere animatamente in gruppetti e conciliaboli.

340
Cfr. V.A. BERTO, Remarques sur un “incident” conciliaire, in “Itinéraires”, n. 91
(1965), pp. 60-70.
341
WILTGEN, pp. 232-233.
342
AS, III/8, p. 415.
1964: LA TERZA SESSIONE 441

Nell’aula, scrive Fesquet, si sentivano vescovi esclamare: “Siamo


stati traditi!”. Uno di essi, di origine americana, si lasciò sfuggire
l’ingiuria: “Bastardi!” 343. Mons. Reh 344, Rettore del Collegio ameri-
cano di Roma, e due esperti, mons. Quinn 345 di Chicago e don Mc-
Manus 346 di Washington, dopo essersi consultati con il card. Meyer,
produssero un libello, rivolto al Sommo Pontefice, dal titolo In-
stanter, instantius, instantissime, che conteneva una sola frase: “Do-
mandiamo che la dichiarazione sulla libertà religiosa sia messa ai voti pri-
ma della fine della presente sessione del Concilio, per timore che la fidu-
cia di cristiani e non cristiani possa venire meno” 347. La stampa parlò di
una “rivolta” dei vescovi americani.
Mons. Prignon ricorda che si riunirono i cardinali Frings, Döpf-
ner, König, Léger, Lefebvre, Meyer, Ritter, Silva Henríquez, Landá-
zuri Ricketts e Alfrink, i quali concordarono il testo di una lettera
a Paolo VI, in cui gli si chiedeva di revocare personalmente la de-
cisione di rinvio annunciata dal card. Tisserant. La lettera fu con-
segnata l’indomani, dopo aver raccolto anche le firme di Lercaro,
Liénart, Feltin, Rugambwa ed altri 348. Il Papa però rifiutò di inter-
venire, dal momento che il Tribunale del Concilio si era già pro-
nunciato. “Dobbiamo rispettare la coscienza di ogni vescovo – disse –.
Se essi sentono il bisogno di più tempo per decidere qualche questione, noi
glielo dobbiamo dare” 349.
Il malcontento dei progressisti aumentò quando, poco dopo
l’intervento del cardinale Tisserant, il Segretario generale Felici,

343
FESQUET, Diario, p. 733.
344
Francis Frederick Reh (1911-1994), statunitense, ordinato nel 1935, vescovo di
Charleston nel 1962, Rettore del Pontificio Collegio americano del Nord e vescovo
di Macriana in Mauretania nel 1964, vescovo di Saginaw nel 1968.
345
John Quinn Weitzel, m.m. (1928-1986), americano, ordinato nel 1955, vescovo di
Samoa-Pago Pago nel 1986.
346
Frederick Richard McManus (1923-2005), statunitense, ordinato nel 1947, pro-
fessore presso la Catholic University of America dal 1967 al 1973, consultore del-
la Pontificia Commissione preparatoria sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano
II, peritus conciliare, consultore del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei
Cristiani.
347
AS, V/3, p. 89 (pp. 89-91).
348
Fonds Prignon, Rapport sur les travaux conciliaires depuis le 25-9-1964, in CLG, n.
1057.
349
“Divine World Service”, 15 settembre 1964.
442 IL CONCILIO VATICANO II

nell’annunciare che la votazione finale sullo schema De oecumeni-


smo si sarebbe svolta il giorno successivo, aggiunse che “erano sta-
te introdotte all’ultimo momento dall’Autorità superiore alcune modifi-
che”, e fece distribuire su fogli ciclostilati 19 nuovi emendamenti,
che il Santo Padre apportava allo schema sull’ecumenismo già vo-
tato globalmente dall’assemblea. Il Segretario annunciò che “tali
emendamenti sono introdotti per una miglior chiarezza del testo da parte
del Segretario per l’Unità dei Cristiani, che così accetta i benevoli sugge-
rimenti autorevolmente manifestatigli” 350. Ciò significava che il card.
Bea li aveva accolti suo malgrado.
Felici diede quindi la parola a mons. De Smedt, relatore sullo
schema della libertà religiosa 351. Il malcontento dei progressisti
aspettava solo un pretesto per manifestarsi. Quando, nel corso del
suo intervento, il vescovo di Bruges disse che “la Chiesa deve essere
libera dai poteri politici” 352 si scatenò da alcuni settori dell’aula un
applauso frenetico. Due Moderatori si unirono alle acclamazioni
mentre – ricorda Fesquet – questo genere di manifestazione era ri-
gorosamente vietata in Concilio 353. La fine della Congregazione del
giovedì assomigliò alla conclusione di un comizio politico.
Se la Nota praevia aveva allarmato soprattutto i Padri e i teologi di
lingua tedesca, le modifiche all’ecumenismo inquietarono soprattut-
to i progressisti francesi. “Sicuramente – annotava Congar il 19 no-
vembre – questa mattinata è catastrofica dal punto di vista del clima ecu-
menico” 354. Quello stesso giorno, Arrighi confidava a Congar: “Wille-
brands ed io non dormiamo da tre giorni. Il De ecumenismo è messo in di-
scussione” 355. Congar, venendo a sapere che i modi apportati al testo
sarebbero venuti dal suo confratello Luigi Ciappi, annotava: “Confes-
so che la cosa non mi stupirebbe. Padre Ciappi è una mente povera e ristret-
ta, per il quale il sistema papista inteso nel modo più letteralmente rigido e
angusto, è un assoluto che occupa tutto lo spazio” 356. Il benedettino di

350
AS, III/8, p. 422.
351
Ivi, pp. 449-456.
352
Ivi, pp. 450-451.
353
FESQUET, Diario, p. 735.
354
CONGAR, Diario, vol. II, p. 233.
355
Ivi, p. 230.
356
Ivi, p. 238.
1964: LA TERZA SESSIONE 443

Chevetogne, Emmanuel Lanne, ricorda di aver fatto parte di una


“Commissione molto ristretta e piuttosto segreta”, composta da Wille-
brands, Duprey e Thils, che esaminò i quaranta modi proposti da Pao-
lo VI sul De oecumenismo, accettando solo diciannove emendamenti e
respingendone ventuno 357. In effetti, nei due giorni precedenti, mons.
Willebrands si era reso conto che il Papa non avrebbe potuto pro-
mulgare il documento così come era, a causa dell’ostentato irenismo
del testo e, con il card. Bea, ne aveva accettato alcune modifiche. Lo
schema fu approvato con 2.129 voti a favore contro 64 e 11 schede
bianche. Si chiuse così l’ultima settimana della terza sessione.
Secondo Wiltgen i liberalprogressisti ebbero quattro grandi mo-
tivi per essere insoddisfatti dell’atteggiamento del Sommo Ponte-
fice in questo frangente 358. In primo luogo la sua decisione di una
nota interpretativa della collegialità, comunicata all’assemblea il
16 novembre. In secondo luogo il rinvio del decreto sulla libertà re-
ligiosa, previsto per il voto. In terzo luogo gli emendamenti sul-
l’ultimo schema sull’ecumenismo. Infine l’inopinato annuncio, che
Paolo VI fece il 18 novembre, giorno di chiusura della terza sessio-
ne, della attribuzione alla Beatissima Vergine Maria del titolo di
“Madre della Chiesa”, titolo che la Commissione conciliare si era
rifiutata di inserire nel testo della Lumen Gentium 359. Paolo VI dopo
aver invano cercato di far proclamare Maria Madre della Chiesa
dai Padri conciliari, fu costretto a farlo di propria iniziativa. Tutta-
via, il solo annuncio dell’evento indignò i Padri e i teologi pro-
gressisti, come Otto Semmelroth, che nel suo diario accusò il Papa
di porsi con questo gesto “ancora formalmente contro il Concilio” 360.

357
E. LANNE, Il monastero di Chevetogne, cit., pp. 542-543.
358
WILTGEN, p. 231.
359
“L’Osservatore Romano”, 20 novembre 1964. Il padre Roschini raccoglie i testi nei
quali Paolo VI esprime invano la sua speranza che i Padri conciliari proclamino Ma-
ria Madre della Chiesa. Si vedano i discorsi del 15 agosto 1963, dell’11 ottobre 1963,
del 17 novembre 1963, il discorso di chiusura della seconda sessione del Concilio,
l’allocuzione del 18 maggio 1964, l’annuncio, infine, dato ai fedeli, il 18 novembre
1964, tre giorni prima della proclamazione ufficiale; ma nulla riesce a smuovere i
Padri conciliari (G. M. ROSCHINI, Maria SS. solennemente proclamata da Paolo VI “Ma-
dre della Chiesa”, in “Marianum”, n. 26 (1964), pp. 326-327).
360
Cfr. SEMMELROTH, Diario, 19 novembre 1964, cit. in L. A. G. TAGLE, La tempesta di
novembre: la “settimana nera”, cit., p. 477.
444 IL CONCILIO VATICANO II

15. La promulgazione della Lumen Gentium

Il 21 novembre 1964, giorno della solenne chiusura della terza


sessione, fu adottata, dopo tre tormentate sessioni di discussione, la
costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, che includeva
il discusso capitolo sulla collegialità, con 2.151 voti contro 5 361. Il te-
sto era distribuito in otto capitoli: il mistero della Chiesa; il Popolo
di Dio; la costituzione gerarchica della Chiesa; i laici; l’universale
vocazione alla santità nella Chiesa; i religiosi; l’indole escatologica
della Chiesa pellegrinante sulla terra; la Beata Vergine Maria nel
mistero di Cristo e della Chiesa.
Su quella che venne definita la Magna Charta 362 del Concilio si
aprì subito la discussione ermeneutica. “L’Osservatore Romano”, il
3 marzo 1965, pubblicava in un riquadro in prima pagina un artico-
lo non firmato sulla Nota praevia, definita “fonte autentica della inter-
pretazione del grande documento conciliare”, smentendo tutti i tentativi
di minimizzarne la portata 363. Il dibattito però era lungi dal conclu-
dersi. Il n. 8 della costituzione Lumen Gentium, affermava che:

“questa Chiesa (di Cristo), costituita e organizzata in questo mondo come so-
cietà, subsistit in (sussiste nella) Chiesa cattolica, governata dal successore
di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, anche se (licet) fuori della sua
compagine si trovino molti elementi di santificazione e di verità, che come
doni propri della Chiesa di Cristo, sospingono verso l’unità cattolica” 364.

L’espressione subsistit in fu oggetto di interpretazioni contraddit-


torie. Alexandra von Teuffenbach, che gli ha dedicato un ampio stu-
dio 365, ha sostenuto che la frase, di cui sarebbe autore il Segretario

361
Testo in AS, III/8, pp. 784-836; cfr. anche COD, pp. 849-898.
362
Cfr. G. DEJAIFVE, La “Magna Charta” de Vatican II. La Constitution “Lumen Gentium”,
in “Nouvelle Revue Théologique”, n. 97 (1965), pp. 3-22. Per un approfondito com-
mento del testo, cfr. B. GHERARDINI, Concilio Ecumenico Vaticano II, cit., pp. 219-242.
363
Cfr. anche il numero monografico di “Divinitas” del dicembre 1965, con articoli di
C. Balić, Ch. Boyer, J. Brinktrine, M. Browne, L. Ciappi, A. Gutiérrez e U. Lattanzi.
364
Cfr. COD, p. 854.
365
Cfr. A. VON TEUFFENBACH, Die bedeutung, cit. (una riproposizione sintetica si può
leggere in ID., “Subsistit in”: [LG 8] una formula discussa, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA
ITALIANA, Annuncio del Vangelo, forma Ecclesiae, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005,
1964: LA TERZA SESSIONE 445

della Commissione dottrinale, Tromp 366, vada intesa non come un’a-
pertura ecumenica, ma come la riaffermazione dell’identità cattolica
secondo gli orientamenti di Pio XII 367. Altrettanto diffusa è però la te-
si di chi interpreta la formula subsistit in come sussistenza della
Chiesa di Cristo anche nelle comunità cristiane separate da Roma 368.
La “Civiltà Cattolica”, ad esempio, definiva “di grande porta-
ta” l’affermazione “secondo la quale non c’è identificazione assoluta e
totale tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica”:

“La Chiesa di Cristo non è (est) la Chiesa cattolica, ma sussiste in (sub-


sistit in) essa, perché Chiese, comunità ed elementi ecclesiali esistono an-
che oltre i confini visibili della Chiesa cattolica. In altre parole, la realtà
della Chiesa di Cristo ricopre la realtà della Chiesa cattolica, cosicché que-
sta è vera Chiesa di Cristo; ma nello stesso tempo, si estende al di là di es-
sa, comprendendo realtà ecclesiali, che visibilmente non fanno parte della
Chiesa cattolica” 369.

La Congregazione per la Dottrina della Fede dichiarò nella Do-


minus Jesus 370, con maggiore autorità, che il Concilio Vaticano II

pp. 395-403); è anche la posizione di J. RATZINGER, L’ecclesiologia della costituzione


“Lumen Gentium”, in R. FISICHELLA (a cura di), Il Concilio Vaticano II, cit., p. 79.
366
Il pastore Wilhelm Schmidt, osservatore protestante al Concilio, in una lettera al-
l’abbé Mathias Gaudron del 3 agosto 2000, afferma di aver suggerito la formula a
don Ratzinger, che l’avrebbe trasmessa al card. Frings (“Le Sel de la terre”, n. 49
(2004), p. 40).
367
La tesi della von Teuffenbach fu ripresa da padre Karl J. Becker s.j., direttore del-
la tesi di dottorato della stessa Teuffenbach alla Gregoriana («Subsistit in» [Lumen
Gentium, 8]: un articolo di P. Karl Josef Becker, s.j., in “L’Osservatore Romano” del 5-6
dicembre 2005), contro cui polemizzò il confratello FRANCIS A. SULLIVAN s.j., A Re-
sponse to Karl Becker on the Meaning of “subsistit in”, in “Theological Studies”, n. 67
(2006), pp. 395-409.
368
Cfr. F. A. SULLIVAN, In che senso la Chiesa di Cristo “sussiste” nella Chiesa cattolica ro-
mana?, in R. LATOURELLE (a cura di), Vaticano II. Bilancio e prospettive, Cittadella, As-
sisi 1987, pp. 811-824.
369
Dalla “società perfetta” alla Chiesa “mistero”, in “Civiltà Cattolica”, q. 3230 (1985), p.
118 (pp. 105-119). G. Philips, uno dei principali redattori della Lumen Gentium, a sua
volta scrive: “La Chiesa di Cristo ‘si trova nella’ Chiesa cattolica (…). Quanto a noi, sa-
remmo tentati di tradurre: là noi troviamo la Chiesa di Cristo in tutta la sua pienezza e for-
za” (G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della costituzione Lu-
men Gentium 1, Jaca Book, Milano 1969, p. 111).
370
Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della Fede del 6
agosto 2000, in AAS, 92 (2000), pp. 744-764, e in DENZ-H, n. 5088.
446 IL CONCILIO VATICANO II

aveva usato l’espressione “subsistit in” per affermare che “esiste


un’unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica governata
dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui”, anche se
fuori della sua compagine esistono elementi di santificazione e di
verità. Mons. Fernando Ocariz, nella presentazione della dichiara-
zione Dominus Jesus, ha affermato che la “precisa interpretazione” è
questa:

“L’unica Chiesa ‘sussiste’ (subsistit) nella Chiesa Cattolica presieduta


dal Successore di Pietro e dagli altri Vescovi. Con questa affermazione, il
Vaticano II volle dire che l’unica Chiesa di Gesù Cristo continua ad esi-
stere malgrado le divisioni tra i cristiani; e, più precisamente, che sol-
tanto nella Chiesa Cattolica sussiste la Chiesa di Cristo in tutta la sua
pienezza, mentre fuori della sua compagine visibile esistono ‘elementi di
santificazione e verità’ propri della stessa Chiesa (cfr. n. 17). A questo
punto, il testo della Dominus Jesus ricorda che alcune comunità cri-
stiane non cattoliche conservano, tra quegli ‘elementi di santificazione e
verità’, il valido Episcopato e la valida Eucaristia e, perciò, sono Chiese
particolari, vale a dire porzioni dell’unico Popolo di Dio nelle quali ‘è
presente e opera la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica’ (Conc. Vat.
II, Christus Dominus, n. 11), come è il caso delle Chiese Ortodosse. Esi-
ste quindi una sola Chiesa (sussistente nella Chiesa Cattolica) e allo stes-
so tempo esistono vere Chiese particolari non cattoliche. Non si tratta di
un paradosso: esiste una sola Chiesa della quale sono porzioni tutte le
Chiese particolari sebbene in alcune di queste (quelle non cattoliche) non
vi sia la pienezza ecclesiale in quanto la loro unione con il tutto non è
perfetta, per la mancata piena comunione con colui che, secondo la vo-
lontà del Signore, è principio e fondamento dell’unità dell’Episcopato e
dell’intera Chiesa (il Vescovo di Roma, Successore di Pietro: cfr. Conc.
Vat. II, Lumen gentium, n. 23)” 371.

Lo stesso 21 novembre vennero approvati il decreto Orientalium


Ecclesiarum, sulle Chiese orientali cattoliche 372 (2.110 voti favorevo-

371
Presentazione della Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dot-
trina della Fede del 6 agosto 2000.
372
Testo in AS, III/8, pp. 837-845. Cfr. anche COD, pp. 900-907.
1964: LA TERZA SESSIONE 447

li, 39 contrari), e quello Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo


(2.137 voti favorevoli, 11 contrari) 373, costituito da un proemio e tre
capitoli, per 24 paragrafi. Secondo il padre Congar, questo “grande
e bel testo (…) traduce lo spirito di Giovanni XXIII che (…) può esserne
considerato il primo padre” 374. Il testo – commenta al contrario mons.
Gherardini – sembra aprire decisamente al sincretismo e l’eco dei
“cristiani anonimi” di Karl Rahner o dei “cristiani impliciti” di
Edward Schillebeeckx “ha qui una palmare evidenza” 375.
Tracciando un bilancio del terzo periodo conciliare, il cardinale
Bea scriveva:

“L’avvenimento ecumenico centrale di questa sessione, si può dire anzi di


quest’anno, è senza dubbio la definitiva votazione e promulgazione del de-
creto conciliare sull’ecumenismo. Esso rappresenta la presa di posizione
ufficiale teorica e pratica della Chiesa cattolica come tale di fronte alla cau-
sa dell’unione e del movimento ecumenico; e questo significato è stato ri-
conosciuto largamente pressoché ovunque” 376.

Nella allocuzione conclusiva 377, Paolo VI riepilogò brevemen-


te i due mesi di lavoro, sottolineando soprattutto la riflessione
sulla Chiesa, esplorata nel suo “mistero” e nella sua “fondamenta-
le costituzione”.
Al termine del suo discorso il Sommo Pontefice proclamò la
Vergine Maria “Madre della Chiesa” 378. La proclamazione fu accol-

373
Testo in AS, III/8, pp. 845-859 e in COD, pp. 908-920. Cfr. B. GHERARDINI, “Unitatis
redintegratio” ha quarant’anni, in “Divinitas”, n. 48/2 (2005), pp. 217-232; M. VELATI,
L’ecumenismo al concilio: Paolo VI e l’approvazione di Unitatis redintegratio, in “Cristia-
nesimo nella storia”, n. 26 (2005), pp. 427-476, con, in appendice (pp. 465-476), il dia-
rio di mons. Willebrands steso a ridosso degli avvenimenti (14-20 novembre 1964).
374
Y. CONGAR, Introduction à Unitatis redintegratio, Documents conciliaires, Centurion,
Parigi 1965, vol. I, pp. 165-166.
375
B. GHERARDINI, Concilio Vaticano II, cit., p. 201. Cfr. anche la serrata critica di PIER-
RE-MARIE o.p., Bref examen critique de Unitatis Redintegratio, in L’Unité spirituelle du
genre humain, pp. 163-192.
376
SCHMIDT, Bea, p. 532. “L’inveterata impostazione secondo la quale l’unità si sarebbe rea-
lizzata mediante il ritorno degli ‘eretici’ e degli ‘scismatici’ alla Chiesa romana – scrive a
sua volta Alberigo – risultava finalmente disattesa” (G. ALBERIGO, Breve storia del Con-
cilio, cit., pp. 123-124).
377
AS, III/8, pp. 909-918.
378
Ivi, p. 916.
448 IL CONCILIO VATICANO II

ta da un lungo applauso nell’assemblea 379, ma sollevò disappunto


tra gli “osservatori” e i padri più “ecumenisti” 380. L’abbé de Nantes 381
scriveva che Paolo VI agiva come un automobilista che frena in
curva per meglio aderire alla strada, al fine di condurre tutti i suoi
passeggeri, senza troppo scuoterli, alla fine del viaggio 382.

16. Paolo VI depone la tiara

Descrivendo la Messa conclusiva della sessione, con 24 concele-


branti, “miscuglio di innovazioni liturgiche (…) e del vecchio rito”, pa-
dre de Lubac annota: “Guardo la statua di S. Pietro con la testa coperta
dalla tiara: si potrà toglierla? Sarebbe percepito come un sacrificio” 383.
Una settimana prima, il 13 novembre, Paolo VI era sceso dal
trono pontificio posto sotto il baldacchino di bronzo di San Pietro
e aveva deposto “sull’altare del Concilio” la tiara che gli era stata
donata dai milanesi in occasione della sua incoronazione a Pon-
tefice 384. Mons. Helder Câmara descrive l’evento con queste pa-

379
Cfr. V. CARBONE, Maria Madre della Chiesa. Una pagina di storia del Concilio Vaticano
II, in “L’Osservatore Romano”, 3 febbraio 1988.
380
Cfr. R. LAURENTIN, La proclamation de Marie “Mater Ecclesiae” par Paul VI, in Paolo
VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, pp. 376-388. Il padre Henri Denis (1921-1951)
ricorda: “Il padre de Lubac è abbattuto. Mi dice: Padre Denis, è la fine del Concilio. Non
c’è più Giovanni XXIII, non c’è più aggiornamento” (H. DENIS, Eglise, qu’as-tu fait de ton
Concile?, Le Centurion, Parigi 1985, p. 138).
381
Georges de Nantes (1924-2010), francese, ordinato nel 1948, parroco dal 1958 di
Villemaur-sur-Vanne nell’Aube, dove fondò i Frères du Sacré-Coeur de Jésus. Nel
1963 si installò a Saint-Parres-lès-Vaudes, entrando in conflitto con il vescovo, che
lo sospese a divinis. Pubblicò, dal 1956, le “Lettres à mes amis”, che divennero poi
la “La Contre-Réforme catholique au XXe siècle”. Nel 1970 chiamò il suo movi-
mento Ligue de la Contre-Réforme catholique (più comunemente Contre-Réforme
catholique). Di lui, cfr. Liber accusationis: à notre Saint Père le pape Paul VI, par la grâ-
ce de Dieu et la loi de l’Église juge souverain de tous les fidèles du Christ, plainte pour
hérésie, schisme et scandale au sujet de notre frère dans la foi, le pape Paul VI, remis au
Saint-Siège le 10 avril 1973, La Contre-Réforme catholique, Saint-Parres-lès-Vaudes
1973.
382
“La Contre-Réforme catholique”, n. 50 (1971), p. 4.
383
DE LUBAC, Quaderni, p. 771.
384
Sull’evento, non registrato negli Acta Synodalia, cfr. “L’Osservatore Romano”, 14
novembre 1961; CAPRILE, vol. IV, pp. 431-432; L. A. G. TAGLE, La tempesta di novem-
bre: la “settimana nera”, cit., pp. 401-405.
1964: LA TERZA SESSIONE 449

role: “La Basilica, in un silenzio emozionante, ha contemplato Paolo VI


che avanzava con la tiara in mano, la poggiava sull’altare e tornava in-
dietro felice! È stato un delirio” 385. De Lubac si chiedeva: “Che cosa
significa questo gesto? Vendere una tiara per ricavarne (si dice) due mi-
lioni? Oppure rinunciare alla tiara, con un gesto simbolico di rinuncia
ai riti del potere temporale? Le due opinioni circolano un po’ dapper-
tutto nel corso della giornata” 386. Congar, che non era presente alla
cerimonia, ma di cui raccoglie gli echi, commenta con una punta
di scetticismo: “Il Papa ha portato e offerto la sua tiara per i poveri. Se
si tratta della rinuncia alla tiara e se dopo quella non ce n’è un’altra, va
bene. Altrimenti, sarà solo un gesto spettacolare senza futuro. In breve,
bisogna che abbia messo sull’altare, non una tiara, ma LA tiara” 387. In
questi giorni padre Congar è abbattuto per l’evoluzione che sem-
brano prendere i lavori dell’assemblea, ma nel suo Diario, pur
mostrandosi scoraggiato, non si arrende: “Penso – scrive – che la
storia dell’Ecclesiologia dovrebbe essere l’urgenza n. 1. Solo essa per-
metterà di sbloccare alcune questioni mostrando l’origine delle singole
posizioni” 388.
Il 14 novembre, il vescovo ispano-argentino mons. Vicente Zaz-
pe 389 scriveva sul suo Diario: “La Chiesa e il Concilio sono restati nelle
mani del Centro Europa. Conta solo quello che dicono loro. Dall’altro la-
to non c’è una corrente o un gruppo che trattenga o equilibri. Lo stesso
Papa non è un fattore di contenimento. Né l’Armenia, né l’Africa, né l’I-
talia o Spagna hanno un peso” 390.
In quegli stessi giorni veniva attribuita a mons. Antonino Ro-
meo questa immagine dissacrante dell’assemblea conciliare: “Sini-
stra commedia di tremila buoni a nulla che, con le loro croci d’oro sul pet-
to, non credono – almeno alcuni di loro – alla Trinità o alla Vergine” 391.

385
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 751.
386
DE LUBAC, Quaderni, p. 734.
387
CONGAR, Diario, vol. II, pp. 217-218.
388
Ivi, p. 240.
389
Vicente Faustino Zazpe Zarategi (1920-1984), spagnolo, ordinato nel 1948, vesco-
vo di Rafaela in Argentina (1961), poi arcivescovo di Santa Fe (1969).
390
Cit. in G. ALBERIGO, Grandi risultati, ombre di incertezza, in SCV, vol. IV, p. 662 (pp.
649-674).
391
FESQUET, Diario, p. 562.
450 IL CONCILIO VATICANO II

Il cronista di “Le Monde” tracciava a sua volta questo bilancio:

“In tre anni sono stati superati quattro secoli. La riforma della Curia, la
cui urgenza si fa sentire ogni giorno maggiormente, è decisa; i contatti
con i cristiani non cattolici sono stati ripresi; gli autentici problemi del
mondo profano, esaminati. Il Vaticano II si è chiaramente impegnato nel-
la difesa degli ideali di fraternità, di eguaglianza e di libertà universali.
Gli ebrei sono stati riabilitati senza reticenze. I pastori l’hanno spuntata
sui giuristi, il Nuovo testamento sull’Antico. Una teologia dell’evoluzio-
ne e del progresso umano è stata sviluppata. Domani le goffagini e le ma-
novre saranno dimenticate. L’impulso impresso resterà. (…) La forza del
Concilio è incoercibile. Si può frenare lievemente il suo slancio, non si può
bloccarlo. È più un punto di partenza che un punto di arrivo. Come Ge-
rusalemme, come Bombay (…)” 392.

Il 6 gennaio 1965 Paolo VI informò il card. Cicognani che l’ulti-


ma sessione del Concilio sarebbe cominciata il 14 settembre e poco
dopo si venne a sapere che il Papa avrebbe celebrato alcune messe
in italiano in diverse parrocchie di Roma a partire dal 7 marzo.

392
FESQUET, Diario, pp. 754-755.
VI

1965: LA QUARTA SESSIONE

1. Dalla terza alla quarta sessione

Il 1965 si aprì in un clima di allarme e di preoccupazione per la


situazione della Chiesa. Nelle udienze generali del mercoledì Pao-
lo VI iniziava a deplorare il diffondersi di affermazioni teologiche
eterodosse, stigmatizzando lo spirito di irrequietezza e quasi di ri-
bellione che circolava 1. Jean Madiran 2 evocava su “Itinéraires” ad-
dirittura la possibilità di uno scisma nella Chiesa entro il prossimo
dicembre 3.
L’11 settembre, alla vigilia della riapertura del Concilio, il Papa
pubblicò l’enciclica Mysterium Fidei, che riaffermava il mistero del-
la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e ricordava il valore per-
manente dei termini tecnici nelle formule dogmatiche della teolo-
gia. “Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano o scrivono di questo
sacrosanto mistero, ci sono alcuni che circa le messe private, il dogma del-
la transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che
tentano l’animo dei fedeli, ingerendovi non poca confusione intorno alle

1
Cfr. G. TURBANTI, Verso il quarto periodo, in SCV, vol. V, p. 29 (pp. 23-72).
2
Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel (1920), fondatore e direttore della rivista
mensile “Itinéraires” (1956-1996), poi del quotidiano “Présent”, è uno dei più noti
scrittori cattolici francesi. Di lui cfr., oltre alle opere già citate, L’hérésie su XXe siècle,
Nouvelles Editions Latines, Parigi 1968; Le Concile en question: correspondance Con-
gar-Madiran sur Vatican II et sur la crise de l’Eglise, DMM, Bouère 1985; Chroniques
sous Benoît XVI, Via Romana, Versailles 2010. Su di lui DANIÈLE MASSON, Jean Madi-
ran, Difralivre, Maule 1989.
3
Cfr. J. MADIRAN, Un schisme pour décembre, in “Itinéraires”, n. 95 (1965), pp. 2-41.
452 IL CONCILIO VATICANO II

verità di fede” 4. L’Enciclica venne presentata come reazione alle ten-


denze eterodosse serpeggianti nella Chiesa olandese, tanto che il
card. Alfrink, il giorno stesso della prima Congregazione generale
della sessione, tenne una conferenza stampa per giustificare ciò
che accadeva nel suo Paese 5. Mons. Willebrands andava dicendo
che l’enciclica non diceva granché di nuovo e che nello spazio di
cinque anni non se ne sarebbe più parlato, mentre dom Lanne, del-
l’abbazia di Chevetogne, la giudicava “catastrofica” 6, anche perché
il Papa l’aveva pubblicata proprio due giorni prima della nuova
sessione, quasi a voler sottolineare l’indipendenza e la superiorità
del suo Magistero 7.
La linea di fondo impressa da Paolo VI al Concilio, però, non mu-
tava, come apparve evidente dal concistoro del 22 febbraio, in cui egli
creò 27 nuovi cardinali, di venti nazioni, soprattutto africane. Tra i
nuovi porporati vi erano figure a lui vicine, come il teologo Charles
Journet, il “profeta” della Gioventù Operaia Cristiana (JOC), Joseph
Cardijn, e il suo “maestro”, il padre Giulio Bevilacqua, che morì tre
mesi dopo aver ricevuto la berretta cardinalizia. Ricevettero la por-
pora anche tre patriarchi orientali, tra cui Maximos IV Saigh, l’arci-
vescovo di Praga Josef Beran e quello di Zagabria Franjo Seper 8, non-
ché mons. Lorenz Jäger, uno dei pionieri dell’ecumenismo.
Tra il dicembre 1964 e i primi mesi del 1965 si moltiplicarono i
gesti simbolici “ecumenici”, con la restituzione alle chiese ortodos-
se di alcune reliquie (di sant’Andrea a Patrasso, di san Saba a Ge-
rusalemme, di san Tito a Creta, di san Marco ad Alessandria) 9. Il 5

4
PAOLO VI, Lettera enciclica Mysterium fidei dell’11 settembre 1965, in AAS, 57
(1965), p. 755 (pp. 753-774).
5
Il Primate d’Olanda protestava “contro la maniera unilaterale, negativa, distorta, se-
condo la quale da mesi si parla nella stampa internazionale, in modo quasi calunnioso, del-
la comunità cattolica olandese”, di cui sottolineava invece la “vitalità” (Allocuzione del
card. Bernard Alfrink al Centro olandese di documentazione, in DO-C, 15 settem-
bre 1965). Cfr. anche quanto ne riferiva “L’Avvenire d’Italia”, cit. in R. LA VALLE, Il
Concilio nelle nostre mani, cit., pp. 36-42.
6
CONGAR, Diario, vol. II, p. 326.
7
Cfr. Ivi.
8
Franjo Seper (1905-1981), croato, ordinato nel 1930, arcivescovo coadiutore (1958),
poi arcivescovo di Zagabria dal 1960 al 1968. Creato cardinale nel 1965, divenne Se-
gretario della Congregazione per la Dottrina della Fede (1968-1981).
9
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 415.
1965: LA QUARTA SESSIONE 453

marzo venne riconsegnato alla Turchia uno dei vessilli conquistati


il 7 ottobre 1571 dalla flotta cristiana nella battaglia di Lepanto, fi-
no a quel momento conservato nella basilica di Santa Maria Mag-
giore a Roma. Il 9 aprile 1965, “L’Osservatore Romano” pubblicò la
notizia della creazione del Segretariato per i non credenti 10. La pre-
sidenza dell’organismo venne affidata al cardinale austriaco Kö-
nig, che aveva spesso servito da tramite tra la Santa Sede e i go-
verni comunisti; segretario era il salesiano don Vincenzo Miano 11,
che si sarebbe reso noto per le sue iniziative di dialogo tra cristia-
ni e marxisti e tra Chiesa e massoneria 12. Lo stesso König precisa-
va, d’altra parte, che il Segretariato non era nato per organizzare la
lotta contro l’ateismo, neppure quello militante, ma per entrare in
dialogo con esso 13.
Il Segretariato completava i “tre cerchi” previsti dall’enciclica
Ecclesiam suam: dopo quello per i rapporti con i fratelli separati del-
le altre chiese cristiane e quello per i rapporti con le altre religioni,
ora esisteva anche un Segretariato per il dialogo con i non credenti.
Il 25 aprile venne pubblicata la seconda enciclica del pontifica-
to, Mense maio 14, dedicata a Maria. Il Papa invitava a pregare la Ma-
donna per l’esito del Concilio e soprattutto per la pace, citata – co-
me osserva Tornielli 15 – ben 14 volte nelle appena 120 righe com-
plessive della lettera, nella quale Paolo VI definiva la situazione in-
ternazionale “oscura e incerta più che mai, giacché nuove gravi minac-
ce mettono in pericolo il supremo bene della pace nel mondo” 16.

10
Il Segretariato fu trasformato da Giovanni Paolo II in Consiglio per il dialogo con
i non credenti e assorbito quindi, nel 1993, nel Pontificio Consiglio della Cultura
(cfr. NICCOLÒ DEL RE, in MV, pp. 385-386).
11
Vincenzo Miano (1910-1980), salesiano, ordinato nel 1933. Professore di filosofia
all’Ateneo salesiano. Esperto al Concilio durante l’ultima sessione. Cfr. il suo Les tâ-
ches du Sécretariat pour les non-croyants, in “Concilium”, n. 23 (1967), pp. 111-116.
12
Cfr. ROSARIO FRANCESCO ESPOSITO s.s.p., La riconciliazione tra la Chiesa e la Massone-
ria. Cronaca di alcuni avvenimenti e incontri, con Introduzione di don Vincenzo Miano
s.d.b., Giordano Gamberini e Giovanni Caprile s.j., Longo, Ravenna 1979.
13
Cfr. R. BURIGANA-G. TURBANTI, Preparare la conclusione del Concilio, in SCV, vol. IV,
p. 642.
14
PAOLO VI, Enciclica Mense maio del 25 aprile 1965, in AAS, 57 (1965), pp. 353-358.
15
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 415.
16
Enciclica Mense maio, cit., tr. it. in PAOLO VI, Tutti i principali documenti, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 215 (pp. 212-221).
454 IL CONCILIO VATICANO II

2. Nuove iniziative dei conservatori

a) Gli emendamenti del Coetus Internationalis

I mesi che precedettero la quarta sessione videro un ultimo ten-


tativo di attacco da parte del Coetus Internationalis fattosi forte del
relativo successo ottenuto con la Nota explicativa praevia. Il 18 di-
cembre 1964, il Coetus aveva redatto una lettera contenente quin-
dici pagine di emendamenti che suggeriva di apportare al testo.
Nel mese di gennaio 1965 venne diffusa una serie di osservazioni
sul rapporto Scrittura-Tradizione; in giugno 1965, il Coetus inviò ai
Padri conciliari un nuovo documento contenente venti pagine di
emendamenti alla quarta versione dello schema 17.
Il 25 luglio mons. de Proença Sigaud, mons. Lefebvre e mons.
Carli indirizzarono una lettera al Sommo Pontefice, chiedendo che,
in conformità a quanto prevedeva il Regolamento, anche la mino-
ranza conciliare potesse presentare ufficialmente i suoi rapporti in
aula, soprattutto su temi importanti quali erano la libertà religiosa,
la Rivelazione divina, la Chiesa nel mondo moderno e le relazioni
tra la Chiesa e le religioni non cristiane. Essi chiedevano inoltre che
agli oratori portavoce delle posizioni della minoranza fosse con-
cesso il tempo necessario per preparare i loro interventi; che i por-
tavoce fossero designati dalla minoranza stessa; che i loro rappor-
ti potessero essere stampati e diffusi per tempo e che ogni oratore
disponesse di un diritto di replica, da esercitare brevemente 18.
L’11 agosto il card. Cicognani, Segretario di Stato, rispose a
mons. Carli comunicandogli che il Sommo Pontefice, dopo aver ac-
curatamente esaminato le proposte, respingeva la richiesta e rim-
proverava ai Padri di essersi associati in un gruppo tale da divide-
re l’assemblea.

17
Cfr. CAPRILE, vol. V, pp. 53-54; WILTGEN, p. 243. Prima dell’apertura della quarta ses-
sione, mons. Lefebvre fece conoscere la lista degli emendamenti all’abbé de Nantes,
che gli rispose che, a suo parere, bisognava rifiutare lo schema del Segretariato per l’u-
nità come base di discussione e non tentare di migliorarlo attraverso modifiche
(FRANÇOIS-MARIE DES ANGES, Pour l’Eglise, vol. II, 1963-1969, Dans l’oeil du cyclone, Ed.
de la Contre-Réforme Catholique, Saint-Parres-les-Vaudes, Parigi 1993, pp. 149-150).
18
Testo della lettera in CAPRILE, vol. V, p. 53. Cfr. anche WILTGEN, pp. 244-245.
1965: LA QUARTA SESSIONE 455

“Debbo però dire all’Eccellenza Vostra che ha destato una certa sorpresa il
fatto che la domanda sia stata presentata a nome di un ‘Coetus Interna-
tionalis Patrum, idem in re theologica et pastorali sentientes’, cioè di
un raggruppamento particolare in seno al Concilio. L’iniziativa potrebbe
autorizzare il sorgere ufficiale di altre ‘alleanze’, a danno dell’assemblea
conciliare: ciò, infatti, come Vostra Eccellenza comprende, viene a togliere
ai Padri quella libertà di giudizio e di scelta, che deve essere garantita al di
sopra di ogni interesse particolare, e viene ad accentuare tendenze e divi-
sioni fra i Padri stessi, mentre si deve fare quanto è possibile per attenuar-
le in favore della serenità, della concordia, e infine del buon esito del Con-
cilio e dell’onore della Chiesa. L’impresa non può pertanto in sé essere ap-
provata, ed è bene che il menzionato Coetus non funzioni come organo rap-
presentativo delle posizioni dei Padri, ad esso aderenti” 19.

L’ipocrisia della risposta era lampante. Innanzitutto il Regola-


mento interno del Concilio, rivisto e approvato da Paolo VI, inco-
raggiava formalmente, all’articolo 57, la formazione di gruppi di
Padri conciliari che condividevano gli stessi punti di vista in ma-
teria teologica e pastorale. Ma soprattutto, la comunicazione fin-
geva di ignorare che all’interno del Concilio era stata formata, da
parte di un gruppo “particolare”, un’“Alleanza” di orientamento
progressista, ben prima di quanto era avvenuto con il Coetus In-
ternationalis. Peraltro la minoranza organizzata progressista ope-
rava con ben maggiore forza ed efficacia di quella conservatrice.
Il Segretario del Coetus, l’abbé Berto, scriveva a mons. Carli che
tutti gli affari della Chiesa sono “fra le mani di un piccolo Comitato
permanente dell’episcopato, il quale è, lui stesso, prigioniero di ‘segreta-
ri’, ‘teologi’, osservatori, informatori, che non sono vescovi, ma che sono
tutti quanti ‘progressisti’. Questa camarilla, direi volentieri questa ‘maf-
fia’, regna dispoticamente, tirannicamente, e guai al vescovo che si vor-
rebbe indipendente da essa” 20.
Il problema per la minoranza conservatrice era quello di scal-
zare dalle posizioni dominanti la minoranza progressista. Il 13

Testo in CAPRILE, vol. V, pp. 53-54.


19

Lettera dell’abbé Berto a mons. Carli del 2 maggio 1965, in N. BUONASORTE, Per la
20

“pura, piena, intera fede cattolica”, cit., p. 139.


456 IL CONCILIO VATICANO II

agosto mons. de Proença Sigaud e mons. Lefebvre si riunirono


nuovamente a Solesmes, con dom Prou, abate del monastero e su-
periore generale della Congregazione benedettina di Francia, per
mettere a punto una strategia globale. L’ultima fase del Concilio
appariva come la più delicata, suscettibile di sorprese e imprevisti.

b) Le critiche del card. Siri

In una lettera inviata al Papa alla vigilia della quarta sessione 21,
il card. Siri, che si muoveva indipendentemente dal Coetus inter-
nationalis, espose le sue valutazioni critiche su tre schemi: De li-
bertate religiosa, De Ecclesia in mundo huius temporis, De Revelatione 22.
Lo schema De libertate religiosa – scriveva – lascia “gravissima-
mente perplessi” 23 anzitutto per il motivo seguente. Esso difende –
oltre che afferma – la “libertà religiosa”, ripetutamente per tutte le
comunità religiose. Non “tutte” le comunità religiose sono nella
verità e nella legge divina, almeno naturali; al contrario, dovunque
fuori dalla Chiesa cattolica si trovano errori, spesso carenze e de-
viazioni persino immorali e sanguinarie. Rispetto al malo uso del-
la libertà, Dio “tollera”, non “legittima”. “Pare dunque doversi con-
cludere che non possiamo difendere la ‘libertà religiosa’ là ove sta obietti-
vamente il male; noi possiamo solamente ‘tollerare’ e questo quando non
intervengono più stretti limiti imposti dalle esigenze del bene comune” 24.
Anche lo schema De Ecclesia in mundo huius temporis lascia
“profondamente perplessi e intimoriti”. “Io temo veramente – scriveva il

21
Cfr. AS, V/3, pp. 352-354.
22
“Credo che almeno per questi tre schemi, bisogna agire fortemente ante sessionem con-
cili”, scriveva Siri al card. Ruffini il 6 agosto 1965 (A-Siri, Conc. Vat. II, fasc. 1965,
minuta di Siri a Ruffini del 6 agosto 1965), invitandolo a intervenire anch’egli per-
sonalmente presso il Papa. Il cardinale di Palermo gli rispose da Chianciano, il 12
agosto, che, pur condividendo le preoccupazioni, gli sembrava non dover contra-
stare il Papa con nuove opposizioni, dopo quelle da lui stesso inoltrate con Otta-
viani e Larraona, che gli avevano recato “tanto dispiacere da fargli desiderare addirit-
tura la morte” (Lettera di Ruffini a Siri del 12 agosto 1965, ivi, e in F. M. STABILE, op.
cit., p. 142).
23
AS, V/3, p. 352.
24
Ivi, p. 353.
1965: LA QUARTA SESSIONE 457

cardinale di Genova – che il popolo cristiano si scandalizzi leggendo un


Atto conciliare, il quale taccia su aspetti i quali direttamente interessano
la missione soprannaturale della Chiesa. Temo altresì che la opinione pub-
blica – qualche volta non spernenda – accusi questo schema di essere di
ispirazione maritainista. Non intendo qui riferirmi ad un Egregio Uomo,
ma ai suoi sedicenti discepoli, che vanno sotto il nome di maritainisti” 25.
Lo schema De Revelatione, infine, “lascia desiderare una maggiore
chiarezza a proposito della tradizione costitutiva” che è nell’abituale uso
della Chiesa e nel comune metodo delle scuole teologiche. Una mag-
giore esplicita chiarezza si desidera nel porre “prima e al di sopra di tut-
ti gli altri mezzi ermeneutici, la tradizione e il Magistero della Chiesa” 26.
Le critiche del cardinal Siri, che si aggiungevano a quelle del
Coetus, lasciarono il segno. Il 15 settembre, il card. Cicognani, su
incarico di Paolo VI, trasmise la nota a mons. Felici pregandolo di
fare conoscere queste considerazioni alle rispettive commissioni
conciliari 27.
Il 24 settembre, il card. Ottaviani ricevette dal Papa, per il tramite
di mons. Felici, una lettera in cui si diceva che era volontà dell’Auto-
rità suprema che la sottocommissione parlasse più chiaramente del-
la “natura costitutiva della Tradizione, quale fonte della Rivelazione” 28.

3. L’apertura della quarta sessione

Martedì 14 settembre iniziò la quarta sessione del Concilio,


quella conclusiva, che Raniero La Valle, su “Avvenire”, presentava
come la sessione del “dialogo col mondo” 29. Nella cerimonia liturgi-
ca Paolo VI non utilizzò né la tiara né la sedia gestatoria. Nel di-
scorso di apertura 30 egli si propose di cogliere “lo spirito” del Con-

25
Ivi, p. 353.
26
Ivi, p. 354.
27
Cfr. ASV, Conc. Vat. II, Busta 343, lettera di Cicognani a Felici del 15 sett. 1965, 1
fol. Cfr. anche AS, V/3, p. 352.
28
AS, V/3, p. 377.
29
Cfr. R. LA VALLE, “L’Avvenire”, 12 settembre 1965, in Il Concilio nelle nostre mani,
cit., p. 3.
30
Cfr. AS, IV/1, pp. 125-135, tr. it. in CAPRILE, vol. V, pp. 1-7.
458 IL CONCILIO VATICANO II

cilio che stava per concludersi, affermando che non la condanna


ma l’amore lo avrebbe caratterizzato. Il Papa annunziò quindi due
“novità” inaspettate: l’istituzione di un Sinodo di vescovi (Synodus
episcoporum), scelti in maggioranza dalle conferenze episcopali e
da lui approvati, da convocare “secondo i bisogni della Chiesa, dal Ro-
mano Pontefice, per Sua consultazione e collaborazione, quando, per il be-
ne generale della Chiesa ciò sembrerà a lui opportuno” 31; e la prossima
visita all’ONU, in occasione del XX anniversario della sua fonda-
zione, per portarvi un messaggio di fraternità e di pace.
Il Sinodo, istituito col motu proprio Apostolica sollecitudo 32, era un
organo ecclesiastico, privo di reale autorità, a parte quella che gli con-
cedeva il Pontefice (“Nostrae potestati directe at que immediate subiec-
tum” 33), ma la sua istituzione, la prima del “post-concilio”, collegata
al viaggio all’Onu, apparve un segnale positivo agli ambienti pro-
gressisti, delusi dopo la “settimana nera” 34. La parola tornava all’au-
la conciliare, dove era in programma la discussione e la votazione di
undici schemi già sottoposti all’assemblea.

4. La battaglia sulla libertà religiosa

a) Ancora critiche dei conservatori allo schema

La prima Congregazione generale della quarta sessione si aprì


con la discussione sulla libertà religiosa. I cardinali Moderatori
non tennero conto delle Animadversiones criticae del documento in-
dirizzato loro, il 23 luglio, dal Coetus Internationalis e proposero
come base per la dichiarazione definitiva la quarta versione dello
schema, a cui avevano lavorato i periti Murray e Pavan, in stretta
collaborazione con mons. De Smedt. Fu lo stesso De Smedt ad es-

31
CAPRILE, vol. V, p. 6.
32
Cfr. AAS, 57 (1965), pp. 771-780.
33
Ivi, p. 776. Il nuovo Codice di Diritto Canonico, pur limitandone le competenze,
colloca il Sinodo dei Vescovi (cann. 342-348) ancor prima del Collegio dei Cardina-
li e della stessa Curia Romana, come organo coadiutore del Sommo Pontefice. Cfr.
N. DEL RE, in MV, pp. 986-988.
34
Sulle prime reazioni al Synodus Episcoporum, cfr. M. FAGGIOLI, Il vescovo e il Conci-
lio. Modello episcopale e aggiornamento al Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2005.
1965: LA QUARTA SESSIONE 459

serne il relatore, il 15 settembre 1965, nella prima Congregazione


della quarta sessione 35. Settanta oratori presero la parola su questo
tema 36, sul quale tra la fine della terza sessione e la metà del feb-
braio 1965, erano pervenuti 218 nuovi emendamenti 37.
Nella seduta di apertura, dopo gli interventi dei cardinali Spel-
lman 38 e Frings 39, quello del card. Ruffini diede inizio a una serie,
“in crescendo”, di tre discorsi fortemente critici. L’arcivescovo di
Palermo previde le conseguenze che la dichiarazione sulla libertà
religiosa avrebbe potuto avere in Italia sui Patti Lateranensi rece-
piti dall’art. 7 della costituzione repubblicana.

“Con il patto tra la Santa Sede e l’Italia firmato l’11 febbraio 1929 si sta-
bilisce all’inizio che la religione cattolica, apostolica, romana è la religio-
ne di stato e per di più unica; inoltre molti diritti speciali vengono riser-
vati ad uomini ecclesiastici e cattolici, ad esempio l’esenzione dal sevizio
militare, eccettuati i periodi di guerra, per i chierici in sacris e per i reli-
giosi che abbiano pronunciato i voti (…) la piena libertà di amministrare
i beni ecclesiastici senza nessun intervento dei poteri civili (…) la validità
del matrimonio religioso anche davanti allo Stato, le cause matrimoniali
riservate ai tribunali ecclesiastici, il diritto di insegnare la religione cat-
tolica nelle scuole dello Stato. (…) Tutti questi aspetti, se la nostra di-
chiarazione fosse approvata come ci viene mostrata oggi, in forza della
stessa dichiarazione, sarebbero facilmente impugnati dai nostri nemici,
con una facile speranza di vittoria” 40.

35
AS, IV/1, pp. 196-199.
36
Ivi, pp. 200-431 e IV/2, pp. 11-21.
37
AS, IV/1, pp. 605-881.
38
Ivi, pp. 200-201.
39
Ivi, pp. 201-203.
40
Ivi, p. 206 (pp. 204-207). Nel 1969, Paolo VI avrebbe dichiarato di non ricusare la
possibilità e la convenienza “di riconsiderare di commune intesa talune clausole del Con-
cordato, in ordine ad una loro eventuale riunione, risultante da un accordo bilaterale, ferma
restando la garanzia costituzionale assicurata ai Patti Lateranensi nell’ambito giuridico del-
lo Stato italiano” (Discorso al nuovo Ambasciatore d’Italia del 5 luglio 1969, in Inse-
gnamenti, vol. 7 (1969), p. 476). Fu così avviato un processo che sfociò nel Nuovo
Concordato firmato a Villa Madama il 18 febbraio 1984 dal Segretario di Stato, card.
Casaroli, a nome della Santa Sede, e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi a no-
me dello Stato italiano (sulla sua natura e le sue conseguenze, cfr. R. DE MATTEI, L’I-
talia cattolica e il Nuovo Concordato, Centro Culturale Lepanto, Roma 1985).
460 IL CONCILIO VATICANO II

Il card. Siri, in un intervento dal taglio più dottrinale, ricordò


come l’uomo ha ricevuto da Dio la libertà e può liberamente com-
mettere il male: atto che non è approvato, ma semplicemente tolle-
rato da Dio.

“Lo schema vuole difendere la libertà ed in genere la libertà deve essere di-
fesa in ogni modo. Ma per noi che siamo i successori degli apostoli, è più
importante difendere l’ordine divino, è più importante difendere la legge
divina. Perché se nella difesa della libertà, noi disprezziamo la legge, si ve-
rificheranno sicuramente dei mali, sia teorici che pratici, che comporte-
ranno l’indifferentismo, sia per quanto riguarda i frutti dell’apostolato,
che per l’illusione secondo la quale molti crederanno di salvare la propria
anima facendo quello che loro piace e rimandando a lungo o per sempre la
loro conversione alla vera fede. Chiedo che si presti più attenzione a quel-
lo che le fonti teologiche dicono sulla libertà religiosa e soprattutto a quel-
lo che hanno detto Leone XIII, Pio XI e Pio XII. Se noi apportiamo dei
cambiamenti nella dottrina, non trattando della vera religione almeno
sulla base del diritto naturale, allora io temo, diminuiremo il valore delle
fonti teologiche e indeboliremo la nostra stessa autorità” 41.

Il card. Arriba y Castro, arcivescovo di Tarragona, portavoce


dell’episcopato spagnolo, pronunciò un discorso breve, ma netto,
ribadendo il principio fondamentale secondo cui

“solo la Chiesa cattolica ha il diritto e il dovere di predicare il Vangelo.


Perciò il proselitismo dei non cattolici fra i cattolici è illecito e nella mi-
sura in cui lo consente il bene comune dev’essere impedito non solo dalla
Chiesa ma anche dallo Stato”. “Veda dunque il Sacrosanto Concilio Vati-
cano II di non decretare la rovina della religione cattolica in nazioni in cui
praticamente questa religione è unica. Infatti, dopo che si è cominciato a
parlare, sia a parole che per iscritto, sono molti che, soprattutto tra i più
sprovveduti, dicono: ‘A quel che sembra, tutte le religioni sono uguali’. E
manca poco che concludano: ‘Quindi, nessuna è importante’” 42.

41
AS, IV/1, p. 208 (pp. 207-208).
42
Ivi, pp. 209-210.
1965: LA QUARTA SESSIONE 461

Fu questa la linea comune dei vescovi spagnoli che, per la pri-


ma volta, dimostrarono combattività e compattezza nell’aula con-
ciliare 43. Essi sembravano prevedere quanto sarebbe accaduto do-
po il Concilio, con la trasformazione del Concordato tra Spagna e
Santa Sede, la caduta del regime di Franco e l’irruzione del secola-
rismo nella società.

b) I due schieramenti si fronteggiano

Il 16 settembre parlarono a favore della libertà religiosa cinque


cardinali (Ritter 44, Silva Henríquez 45, Meouchi 46, Slipyi 47, Jaëger 48) e,
in senso contrario, i vescovi Carli 49, Morcillo González 50, Tagle 51(a
nome di 45 vescovi latino americani), Velasco 52 (vescovo in esilio di
Hsiamen in Cina). Quest’ultimo affermò che lo schema incoraggia-
va il pragmatismo, l’indifferentismo, il naturalismo religioso e il sog-
gettivismo. Critiche analoghe vennero svolte da Del Campo 53 (uma-
nesimo naturalista), Alvim Pereira 54 (indifferentismo), Gasbarri 55

43
Esprimevano questa linea mons. ANGEL TEMIÑO SÁIZ, vescovo di Orense, in Sobre
la libertad religiosa en España, in “Revista Española de Teologia”, n. XXIII/3 (1963),
pp. 277-308 e il padre JESUS MUÑOZ s.j., decano della Facoltà di Filosofia della Pon-
tificia Università di Comillas, nel suo Libertad religiosa aqui hoy, Universidad Ponti-
ficia Comillas, Santander 1964.
44
AS, IV/1, pp. 225-226.
45
Ivi, pp. 226-229.
46
Ivi, pp. 233-236. Pierre-Paul Meouchi (1894-1975), libanese, ordinato nel 1917, pa-
triarca maronita d’Antiochia dal 1955 fino alla morte, creato cardinale nel 1965.
Membro della Commissione per le Chiese Orientali.
47
AS, IV/1, pp. 236-239.
48
Ivi, pp. 239-241.
49
Ivi, pp. 263-266.
50
Ivi, pp. 245-248. Casimiro Morcillo González (1904-1971), spagnolo, ordinato nel
1926, era stato nominato nel 1943 vescovo ausiliare di Madrid per divenire poi tito-
lare di Bilbao (1950-1955) e Saragozza (1955-1964). Tornò a Madrid nel 1964 in qua-
lità di arcivescovo. Durante il Concilio fece parte della Segreteria.
51
AS, IV/1, pp. 274-277. Emilio Tagle Covarrubias (1907-1991), cileno, ordinato nel
1930. Arcivescovo di Valparaíso (Cile) dal 1961 al 1983.
52
AS, IV/1, pp. 252-254.
53
Ivi, pp. 314-317.
54
Ivi, pp. 323-325. Custódio Alvim Pereira (1915-2006), portoghese, ordinato nel
1937. Arcivescovo di Lourenço Marques (Mozambico) dal 1962 al 1974.
55
AS, IV/1, pp. 325-327.
462 IL CONCILIO VATICANO II

(laicismo, indifferentismo, irenismo) e De Sierra y Mendez 56 (natu-


ralismo, indifferentismo).
Mons. Carli citò il brano della nota allocuzione di Pio XII, se-
condo cui “ciò che non risponde alla verità ed alla norma morale non ha
oggettivamente alcun diritto né alla propaganda né alla diffusione” 57. Le
sue tesi furono riprese, il 17 settembre, dal card. Florit 58 e dal card.
Ottaviani 59.
Il primo affermò che

“l’indifferenza dello Stato in materia religiosa proviene da indifferenza


contro la sua stessa natura. Lo Stato infatti è una società naturale il cui fi-
ne è il bene comune dei cittadini. Per cui alla natura dello Stato compete
la cura di tutto il bene comune (specialmente il bene temporale in questa
terra). Ma il bene comune ha una estensione molto più ampia dell’ordine
pubblico. È formato da diversi e più grandi beni, come sono la verità e la
virtù, ed inoltre la giusta disposizione dei cittadini e della società nei con-
fronti di Dio, che ha dato vita alla società. Per questo il raggiungere la ve-
rità religiosa, conservarla e difenderla riguarda il fine naturale dello Stato.
Da ciò consegue che i limiti della libertà religiosa non sono soltanto di or-
dine pubblico, ma anche e soprattutto necessità di verità religiosa” 60.

Il card. Ottaviani insistette sulla necessità di inserire nello schema

“una solenne affermazione del diritto vero, nativo, oggettivo alla libertà
di cui la Chiesa deve godere per la sua origine e per la sua missione che
sono entrambe divine”. “Sarebbe meglio distinguere tra costrizione fisica
e costrizione morale, oppure, più che costrizione morale: l’obbligo morale.
Dio non costringe, eppure obbliga, e perciò viene detto nel Vangelo: ‘Chi
avrà creduto e sarà battezzato sarà salvo, chi non avrà creduto, sarà con-
dannato’. E quindi anche il Cristo e la Chiesa possono imporre un obbli-
go morale, e nella materia religiosa, che obbliga in coscienza” 61.

56
Ivi, pp. 328-330.
57
Ivi, p. 266.
58
Ivi, pp. 284-292.
59
Ivi, pp. 299-301.
60
Ivi, p. 286.
61
Ivi, pp. 299-300.
1965: LA QUARTA SESSIONE 463

A favore della libertà religiosa si espressero invece alcuni cardi-


nali provenienti dai Paesi dell’Est, che vedevano nel principio del-
la libertà religiosa una linea di difesa contro il totalitarismo comu-
nista. Tra questi, oltre a Slipyi che era intervenuto il 16 settembre,
i cardinali Seper 62 (17 settembre), Wyszyński 63 e Beran 64 (20 set-
tembre). Suscitò particolare eco l’intervento dell’arcivescovo di
Praga, Beran, liberato dalla prigionia comunista nella primavera
precedente. Egli si richiamò al processo contro l’eretico Ian Hus,
concluso con il rogo, a Costanza, nel 1417, definendolo un “dram-
ma” che “costituì un grande impedimento al progresso della vita spiri-
tuale. (…) La storia dunque ci ammonisce a proporre in questo Concilio
il principio della libertà religiosa e della libertà di coscienza con chiarezza
e senza nessuna restrizione derivante da opportunismi” 65. I presuli del-
l’Est europeo confondevano però una situazione di fatto, in cui i
cattolici avevano il diritto di richiamarsi alla libertà religiosa con-
tro i persecutori, con una tesi di principio che imponeva agli Stati
cattolici di professare la vera religione, in ossequio al dettato del
Primo comandamento.
Quando il card. Urbani, patriarca di Venezia, a nome di 32 ve-
scovi italiani, si pronunciò a favore del testo di De Smedt, il fronte
dell’episcopato italiano, fino ad allora compatto, si incrinò 66. La de-
cisione di Paolo VI di affidare ad Urbani la presidenza della Con-
ferenza episcopale italiana sembrava portare i frutti attesi 67.
Gli ultimi interventi sullo schema sulla libertà religiosa furono
quelli, tra loro opposti, del card. Dante 68 e del teologo svizzero
Charles Journet 69, entrambi appena creati cardinali da Paolo VI.

62
Ivi, pp. 292-294.
63
Ivi, pp. 387-390.
64
Ivi, pp. 393-394.
65
Ivi.
66
Ivi, pp. 211-213.
67
G. ROUTHIER, Portare a termine l’opera iniziata, cit., p. 92.
68
AS, IV/1, pp. 422-423.
69
Ivi, pp. 424-425. Charles Journet (1891-1975), svizzero, ordinato nel 1917. Professore
al Seminario maggiore di Friburgo, venne creato cardinale nel febbraio 1965. Su di lui
cfr., tra l’altro, Montini, Journet, Maritain: une famille d’esprit, Atti delle giornate di stu-
dio, Molsheim (4-5 giugno 1999), Pubblicazioni dell’Istituto Paolo VI, Brescia 2000;
GUILLAUME DE THIELLOY, La théologie politique du cardinal Journet, Téqui, Parigi 2009.
464 IL CONCILIO VATICANO II

Journet, accompagnato dall’abbé Pierre Mamie 70, suo segretario, e


dal padre Georges Cottier 71, assisteva raramente alle discussioni, a
causa della sua sordità, che gli impediva di seguire correttamente
i dibattiti. Con un intervento di stampo nettamente maritainiano,
egli volle portare a sostegno della dichiarazione sulla libertà reli-
giosa la sua autorità di teologo, affermando che essa meritava la
massima approvazione: “Mihi videtur maxime approbanda” 72.
Il card. Dante sottolineò invece come la dichiarazione esprimeva
quanto volevano nel secolo XIX i seguaci del liberalismo cattolico, da
Lamennais a Montalembert, riecheggiando la decima dichiarazione
della Rivoluzione francese sui diritti dell’uomo, che recita: “Nessuno
deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche religiose, purché la loro
manifestazione non turbi l’ordine pubblico, stabilito dalla legge” 73.
Sulla dottrina dei “giusti limiti”, indicati nella dichiarazione,
come “la pace, i diritti civili, la moralità pubblica”, il card. Dante os-
servava:

“a) Se lo Stato che abbia stabilito quei ‘limiti’ è cristiano, adegua questi
stessi princìpi (proprio queste cose, cioè la pace ecc.) al diritto naturale, e
concretamente vi adatta più o meno le sue leggi e il suo ordine giuridico;
per cui i termini: pace, diritti civili, moralità pubblica hanno sicuramen-
te un senso onesto e ragionevole.
b) Ma se lo Stato è pagano, questi ‘limiti’, se non prescindono addirittu-
ra dal diritto naturale, sono generici, e possono diventare facilmente uno
strumento di oppressione (tirannide), non solo contro le religioni false, ma
anche contro l’unica vera; infatti la interpretazione del senso di questi li-
miti dipende da coloro che amministrano lo Stato.
c) Infine se lo Stato è comunista, questi ‘limiti’, cioè la pace, i diritti civi-
li, la moralità pubblica hanno una interpretazione del tutto diversa o ad-

70
Pierre Mamie, nato nel 1920, svizzero, ordinato nel 1946. Vescovo ausiliare (1968),
poi vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo dal 1970 al 1995. Segretario del card.
Journet durante il Concilio.
71
Georges Cottier (1922), domenicano svizzero. Professore di Filosofia a Friburgo,
Segretario della rivista “Nova et Vetera” diretta da Charles Journet. Creato cardi-
nale nel 2003. Peritus al Concilio nella quarta sessione.
72
AS, IV/1, p. 425.
73
Ivi, p. 422.
1965: LA QUARTA SESSIONE 465

dirittura contraria, perché questo tipo di Stato ha stabilito chiaramente o


è solito stabilire tali ‘limiti’ contro il diritto di natura.
Per cui questi ‘limiti’ sono un sicuro strumento di oppressione, e ciò che
la dichiarazione sulla libertà religiosa desidera ottenere, e cioè la libertà di
religione, questo è lontano da noi mille miglia. Anzi, con quanto più ri-
gore una religione sembra ad uno stato comunista aderire al diritto natu-
rale, con tanta più violenza viene perseguitata dallo stesso Stato” 74.

c) Il Concilio Vaticano II e la massoneria

Come il card. Dante, anche mons. Lefebvre, nel suo intervento,


ricordò che l’origine della libertà religiosa era da cercare “fuori del-
la Chiesa, presso i sedicenti filosofi del XVIII secolo: Hobbes, Locke, Rous-
seau, Voltaire” 75, e che invano, a metà del XIX secolo, Lamennais e i
cattolici liberali tentarono di adattare questa concezione alla dot-
trina della Chiesa: essi furono condannati da Pio IX e da Leone
XIII. “Quest’anno (1965) – aggiunse l’arcivescovo francese – il mas-
sone Yves Marsaudon ha pubblicato un libro: L’oecuménisme vu par
un franc-maçon de tradition 76. L’autore del libro ci esprime il desiderio
dei massoni che il nostro Concilio proclami solennemente la libertà reli-
giosa (…). Cosa desiderare di più per vostra informazione?” 77.
Il libro del barone di Marsaudon era dedicato a Giovanni XXIII
e doveva servire come “ponte” tra la Chiesa e la massoneria. In es-
so si leggeva tra l’altro:

“In questi giorni, il nostro fratello Franklin Roosevelt ha reclamato per


tutti gli uomini la possibilità ‘di adorare Dio seguendo i loro principi e le

74
Ivi, p. 423.
75
AS, IV/2, p. 409 (pp. 409-411).
76
Cfr. YVES MARIE MARSAUDON, L’oecuménisme vu par un franc-maçon de tradition, Pré-
face par Charles Riandey, Editions Vitiano, Parigi 1964. Yves Marie Marsaudon
(1895-1985), francese, funzionario di Stato, fu membro del Supremo Consiglio di Ri-
to Scozzese, poi della Grande Loge Nationale di Francia. Di lui, cfr. anche Souvenirs
et réflexions: un haut dignitaire de la franc-maçonnerie de tradition révèle des secrets, Vi-
tiano, Parigi 1976. Marsaudon aveva più volte incontrato mons. Roncalli quando
egli era nunzio a Parigi.
77
AS, IV/2, p. 410.
466 IL CONCILIO VATICANO II

loro convinzioni’. Questa è tolleranza e anche ecumenismo. Noi, massoni


di tradizione, ci permettiamo di parafrasare e di trasporre questa parola di
un famoso uomo di Stato adattandola alle circostanze: cattolici, ortodossi,
protestanti, israeliti, musulmani, induisti, buddisti, liberi pensatori, libe-
ri credenti, per noi non sono che nomi; è Massone il nome di famiglia” 78.

Marsaudon si richiamava quindi esplicitamente alla “rivoluzio-


ne voluta da Giovanni XXIII della libertà di coscienza”.

“Non pensiamo che un massone degno di questo nome, e che si è egli stes-
so impegnato a praticare la tolleranza, non possa rallegrarsi, senza alcu-
na restrizione, per risultati, irreversibili, del Concilio, quali che siano le
conclusioni momentanee” 79.

Nel 1960, il padre Giovanni Caprile, esperto di problemi mas-


sonici della “Civiltà Cattolica”, aveva pubblicato un volumetto
sulla massoneria, in cui ricordava che “i princìpi filosofici e pseudo-
religiosi professati dalla setta sono in piena antitesi con tutto il Cristia-
nesimo” 80, e che si contavano più di duecento documenti di con-
danna della massoneria emanati dalla Sede Apostolica 81. Nel cor-
so del Concilio, Caprile si fece protagonista di un avvicinamento
tra Chiesa e massoneria che aveva le sue radici, come egli scrive-
va, proprio nell’aula conciliare 82. Padre Caprile precisava che “il

78
Y. MARSAUDON, L’oecuménisme vu par un franc-maçon de tradition, cit., p. 126.
79
Ivi, p. 120.
80
G. CAPRILE, La Massoneria, Universale LDC, Colle Don Bosco (Asti) 1960, p. 45.
81
Cfr. G. CANTONI, La Massoneria nei documenti del Magistero della Chiesa, in CESNUR
(Centro Studi sulle Nuove Religioni), Massoneria e religioni, a cura di M. INTROVIGNE,
Elle Di Ci, Leumann 1994, pp. 133-161.
82
Cfr. JOSÉ ANTONIO FERRER BENIMELI s.j.-GIOVANNI CAPRILE s.j., Massoneria e Chiesa
cattolica ieri, oggi e domani, 2a ed. con un’Appendice d’aggiornamento a cura di padre
G. CAPRILE s.j., Edizioni Paoline, Roma 1982, pp. 85-94. Il padre Caprile era stato au-
tore di scritti fortemente polemici contro la massoneria tra il 1957 e il 1960. Dopo il
Concilio ricavò la convinzione che fosse auspicabile “un fruttuoso incontro non sol-
tanto sul terreno delle idee, ma anche su quello di una possibile collaborazione tra la Chiesa
e quella Massoneria autentica che ha come fondamento dei suoi Statuti la ferma credenza in
Dio e nella fraternità umana” (ivi, p. 131). Durante il Concilio, l’azione delle “forze oc-
culte” fu denunciata dagli studiosi cattolici francesi Léon de Poncins (1897-1976) e
Pierre Virion (1898-1988). Del primo cfr. Christianisme et Franc-maçonnerie, Diffusion
1965: LA QUARTA SESSIONE 467

Concilio non ha parlato della Massoneria, ma (…) si è parlato di essa nel


Concilio” 83. Egli iniziò il suo progressivo “trasbordo” proprio men-
tre, fin dalla sua istituzione, il Segretariato per i non credenti cer-
cava di aprire il “dialogo” anche con la massoneria. “Dialoghiamo
non solo con i cristiani di altre confessioni nella ricerca dell’unità volu-
ta da Cristo – scriveva il segretario del Segretariato, don Vincenzo
Miano – ma anche con ebrei, musulmani, induisti e perfino con le ideo-
logie secolari, pur escludendo ogni impossibile sincretismo, perché pen-
siamo che anche in queste fedi religiose e ideologie, così diverse o addi-
rittura opposte, possiamo trovare elementi positivi e motivi per ap-
profondire la nostra esperienza di fede. Come non lo si potrebbe e do-
vrebbe fare con la Massoneria, data specialmente la sua ascendenza sto-
rica cristiana?” 84.

d) L’intervento risolutore di Paolo VI

Gli interventi favorevoli e contrari alla dichiarazione sulla li-


bertà religiosa si equivalevano per numero e autorevolezza. Ma
l’esito del voto, in questo come in altri casi, non rifletté l’oggettiva
spaccatura dell’aula conciliare. Paolo VI voleva evitare questa frat-
tura, ma esigeva almeno un suffragio indicativo sullo schema pri-
ma di partire per la sua visita all’ONU, temendo le conseguenze
sul piano internazionale di un rinvio della votazione.

de la Pensée française, Chiré-en-Montreuil 1975, del secondo cfr. Bientôt un gouver-


nement mondial, Téqui, Parigi 1967 (tr. it. Il governo mondiale e la Contro-Chiesa. Note
e commenti di Bruno Tarquini, Controcorrente, Napoli 2004), in cui viene portato
alla luce il progetto di “nuovo Cristianesimo” del canonico apostata Paul Roca
(1830-1893). Su questo personaggio si veda anche MARIE-FRANCE JAMES, Esotérisme,
occultisme, franc-maçonnerie et christianisme au XIXème et XXème siècle. Explorations
bio-bibliographiques, Préface d’Emile Poulat, Nouvelles Editions Latines, Parigi 1981,
pp. 228-230. Sul tema Concilio-Massoneria si veda anche lo studio del padre PAOLO
SIANO f.i., Alcune note su Concilio e postconcilio, tra storia, ermeneutica e massoneria, in
“Fides catholica”, n. 2 (2009), pp. 317-382.
83
Massoneria e Chiesa cattolica, cit., pp. 88-89.
84
Nota di VINCENZO MIANO s.d.b., in R. F. ESPOSITO, La riconciliazione tra la Chiesa e la
massoneria, cit., p. 16 (pp. 11-16). Il card. König, presidente del Segretariato, respin-
se, nel 1980, la dichiarazione antimassonica della Conferenza episcopale tedesca,
continuando ad adoperarsi per l’abolizione della scomunica alla massoneria.
468 IL CONCILIO VATICANO II

La sera del 20 settembre, gli organi direttivi del Concilio (Mode-


ratori, Consiglio di Presidenza, Commissione di coordinamento),
riuniti in seduta plenaria, decisero, dopo un’animata discussione,
che alla luce delle forti e autorevoli critiche subite dal documento,
era meglio accantonare il tema della libertà religiosa 85. La reazione
fu però violenta, soprattutto da parte degli organi di stampa più dif-
fusi. Avvenne dunque, il 21 settembre, ciò che nessuno si aspettava:
Paolo VI decise di intervenire nella concitata vicenda, impartendo
l’ordine perentorio che i Padri fossero invitati nella stessa mattinata
a pronunciarsi sul testo 86. Si andò al voto e per il misterioso mecca-
nismo psicologico che liquefaceva le opposizioni, i placet, su 2.220
presenti, furono 1.997, contro 224 non placet e un voto nullo. Il risul-
tato di questa prima votazione già preannunciava l’esito del dibatti-
to nella successiva Congregazione generale 87. Nel corso di un’u-
dienza accordata a De Smedt, Paolo VI mostrò la sua soddisfazione
sul testo, aggiungendo: “Questo documento è capitale. Fissa l’atteggia-
mento della Chiesa per parecchi secoli. Il mondo l’attende” 88.
Quando la quinta versione dello schema fu messa ai voti, il 26
e il 27 ottobre, centinaia di modi accompagnarono i placet. Il docu-
mento fu rivisto ancora una volta e la sesta versione fu distribuita
ai Padri il mercoledì 17 novembre. Il giorno seguente, il Coetus In-
ternationalis fece distribuire una lettera ad ottocento Padri in cui,
pur ammettendo che vi erano stati notevoli miglioramenti, osser-
vava che il criterio determinante i limiti della libertà religiosa
avrebbe dovuto essere non la preservazione del diritto o dell’ordi-
ne, ma il bene comune, di cui ordine e diritto non rappresentava-
no che una parte. La tesi fondamentale del Segretariato per l’Unio-
ne dei Cristiani era invece che la neutralità dello Stato doveva es-
sere considerata come la condizione normale e che non si dovesse

85
Cfr. G. ROUTHIER, Portare a termine l’opera iniziata, cit., pp. 118-121.
86
AS, IV/1, p. 564.
87
P. PAVAN, Testimonianza, cit., p. 188; cfr. anche V. CARBONE, Il ruolo di Paolo VI nell’e-
voluzione e nella redazione della Dichiarazione “Dignitatis humanae”, in Paolo VI e il rap-
porto Chiesa-mondo. “È in gran parte grazie al Papa – rileva Grootaers – che il progetto
di dichiarazione è riuscito ad evitare innumerevoli scogli per arrivare infine sano e salvo”
(Paul VI et la déclaration conciliaire “Dignitas Humanae”, cit., p. 87).
88
G. ROUTHIER, Portare a termine l’opera iniziata, cit., p. 133.
1965: LA QUARTA SESSIONE 469

avere cooperazione tra Chiesa e Stato altro che “in circostanze parti-
colari”. Si trattava di una posizione che, con tutta evidenza, modi-
ficava la dottrina tradizionale della Chiesa su questo punto.
Quando l’insieme del testo fu messo ai voti, il 19 novembre 1964,
1.954 Padri si pronunciarono a favore e 249 contro 89. Il testo aveva
dunque raccolto ben più della maggioranza richiesta dei due terzi,
ma il numero dei voti negativi era tra i più alti espressi per un docu-
mento conciliare. “Malgrado tutti i suoi sforzi – osserva Gilles Routhier
–, Paolo VI non era riuscito ad ottenere il consenso che aveva tanto cercato,
anche al prezzo di compromessi che molti gli rimproveravano” 90.
Gli oppositori al Decreto sulla libertà religiosa non si arrendeva-
no. Un esposto del card. Siri, in data 27 novembre, manifestava le ra-
gioni “summae perplexitatis”, relative ai limiti del potere civile in ma-
teria religiosa 91. Il 3 dicembre mons. Giuseppe Di Meglio 92, speciali-
sta di diritto internazionale, fece diffondere una lettera in cui si di-
ceva che i risultati del voto indicavano “che per un numero considere-
vole di Padri conciliari l’insegnamento e le applicazioni pratiche dello sche-
ma non erano in coscienza accettabili. Infatti il principio fondamentale era
rimasto immutato, malgrado gli emendamenti incorporati nel testo, ovvero
il diritto all’errore. (…) Essendo la dichiarazione sulla libertà religiosa pri-
va di valore dogmatico, i voti negativi dei Padri conciliari costituivano un
fattore di grande importanza per lo studio futuro della stessa dichiarazione
e soprattutto per l’interpretazione che ne sarebbe stata data” 93.
Il padre Murray, uno dei “padri” del documento, rispose a que-
sta dichiarazione ricordando che i partigiani della “più moderna teo-
ria della libertà religiosa” erano convinti che fosse la “dignità della
persona umana” ad esigere questa libertà 94.
Secondo la Dignitatis Humanae 95, la persona umana ha il diritto,
in nome della sua dignità, a non essere impedita di esercitare il

89
Per i risultati delle votazioni cfr. AS, IV/7, pp. 95-96.
90
G. ROUTHIER Portare a termine l’opera iniziata, cit., p. 141.
91
AS, V/3, pp. 633-635.
92
Giuseppe Di Meglio (1907-1994), ordinato nel 1929, prestò servizio alla nunziatu-
ra di Vienna (1937) e a quella di Berlino (1938) e dopo la guerra alla Congregazione
del Sant’Uffizio.
93
WILTGEN, p. 248.
94
Cfr. D. GONNET, L’apport de John Courtney Murray, cit., pp. 205-215.
95
Testo in AS, IV/7, pp. 663-673.
470 IL CONCILIO VATICANO II

proprio culto religioso, quale esso sia, in privato o in pubblico, a


meno che ciò non turbi la tranquillità e la moralità pubblica; il di-
ritto alla libertà umana si fonda sulla stessa dignità della persona
umana (n. 2). Non si tratta di un diritto “affermativo” alla libertà
di coscienza, ma di un diritto “negativo” di non essere impediti ad
esercitarlo: ovvero un diritto alla “immunità da ogni coercizione in
materia religiosa” nel culto pubblico e privato (n. 4). Veniva con ciò
cancellata la distinzione fondamentale tra il “foro interno”, che ri-
guarda la salvezza eterna dei singoli fedeli, e il “foro esterno” re-
lativo al bene pubblico della comunità dei fedeli 96. La Chiesa ha
sempre insegnato la libertà religiosa in foro interno, perché nessun
uomo può essere costretto a credere. Ma questa libertà interiore
che, in quanto tale, nessuna forza esterna può coartare, non impli-
ca la libertà religiosa in foro esterno, vale a dire il diritto di prati-
care pubblicamente qualsiasi culto e di professare qualsiasi errore.
La libertà religiosa fu invocata, dopo la Dignitatis Humanae, per
sopprimere ogni forma di “protezione” degli Stati alla Chiesa cat-
tolica, ma la rinuncia da parte dell’autorità civile a riconoscere la
missione e il ruolo della Chiesa e l’esistenza di una legge naturale,
oggettiva da tutelare, aprì la strada, contemporaneamente, alla dif-
fusione del relativismo e a quella di altre religioni, a cominciare
dall’Islam. Il relativismo si affermò negando agli Stati ogni forma
di censura religiosa e morale nei confronti della scristianizzazione
dilagante. L’Islamismo, in nome della stessa libertà religiosa, pre-
tese la costruzione di moschee e minareti, destinati a superare, per
numero, la costruzione delle chiese, abbandonate o trasformate in
alberghi e supermercati.

5. Lo schema XIII: critiche dalle opposte sponde

a) La presentazione dello schema

Il 21 settembre, nella 132ª Congregazione generale, mentre si


concludeva il dibattito sulla libertà religiosa, il Concilio cominciò

96
Cfr. D. STAFFA, voce Foro, in EC, V, pp. 1531-1534.
1965: LA QUARTA SESSIONE 471

la discussione dello schema di costituzione pastorale sulla Chiesa


nel mondo contemporaneo, il cosiddetto “schema XIII”, un numero
che lo definiva come l’ultimo, in ordine logico e cronologico, dei
documenti conciliari 97. Il progetto, scriveva Raniero La Valle su
“L’Avvenire d’Italia”, era destinato a “mostrare agli uomini il punto
più avanzato, quasi la nuova frontiera cui la Chiesa, a partire dalla gran-
de testimonianza di Giovanni XXIII, si è protesa e si protende in questi
anni” 98.
All’inizio di febbraio 1965, ad Ariccia, nei dintorni di Roma, lo
schema era stato interamente rivisto nel corso di una settimana di
lavori, ai quali avevano partecipato 29 Padri conciliari, 38 esperti e
una ventina di laici, senza contare uditori e uditrici 99. Era solo l’i-
nizio di un frenetico percorso di nuove revisioni del testo (sette per
la parte dottrinale e altrettante per gli “annessi”), in cui un ruolo
capitale fu svolto da mons. Philips 100 e le critiche maggiori venne-
ro da mons. Karol Wojtyla, autore di una proposta alternativa, che
non venne accolta. Dopo essere stato esaminato dalla Sottocom-
missione centrale e dalla Commissione mista (Commissione teolo-
gica e Commissione dell’Apostolato dei Laici), il testo fu infine ap-
provato dalla Commissione di coordinamento l’11 maggio e dal
Papa il 28 maggio. Ma il card. Ruffini confidava al card. Siri che lo
schema XIII “dovrebbe essere rifatto radicalmente per impostarlo sulla
missione propria della Chiesa; altrimenti il Concilio diventerebbe una se-
zione dell’ONU” 101.
I teologi tedeschi e francesi, in disaccordo tra di loro sul giudi-
zio da dare sul documento, si incontrarono il 17 settembre al Regi-

97
Testo in AS, IV/3, pp. 435-552. Cfr. G. TURBANTI, Un concilio per il mondo moderno.
La redazione della costituzione pastorale “Gaudium et Spes” del Vaticano II, Il Mulino, Bo-
logna 2000; cfr. anche J. A. KOMONCHAK, Le valutazioni sulla “Gaudium et Spes”: Che-
nu, Dossetti, Ratzinger, in JOSEPH DORÈ-A. MELLONI, Volti di fine Concilio. Studi di sto-
ria e teologia sulla conclusione del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 125-136 (pp.
116-153). Il discorso di Chenu è stato ripubblicato in Peuple de Dieu dans le monde,
Foi vivante, Parigi 1966, pp. 11-34.
98
R. LA VALLE, Il Concilio nelle nostre mani, cit., p. 102.
99
Cfr. C. MOELLER, L’elaboration du schéma XIII, cit., pp. 108-114; G. TURBANTI, Un con-
cilio per il mondo moderno, cit., pp. 502-614.
100
Cfr. C. MOELLER, L’elaboration du schéma XIII, cit., pp. 116-120.
101
Lettera del card. E. Ruffini al card. G. Siri del 12 agosto 1965, cit.
472 IL CONCILIO VATICANO II

na Mundi per una riunione di “strategia conciliare” 102. “Non bisogna


respingere o demolire lo schema XIII, perché equivarrebbe a fare il gioco
dei conservatori, ma migliorarlo”, raccomandava Congar 103.
Il 21 settembre, essendo il relatore mons. Guano ammalato, il te-
sto fu presentato in aula da mons. Garrone, che sottolineò come il
problema dell’uomo fosse “l’anima di tutto lo schema”, che intende-
va offrire, in sintesi, le linee fondamentali di una “antropologia cri-
stiana” 104. Il giorno successivo, in una conferenza tenuta al Centro
olandese di documentazione, Chenu difese appassionatamente lo
schema XIII, rispondendo soprattutto alle riserve che avanzavano i
teologi tedeschi 105. Le critiche al testo che, come scrive Alberigo,
aveva la fisionomia più “di un trattato di sociologia che di un decreto
conciliare” 106, venivano infatti dalle opposte sponde dell’assemblea.
Al termine del dibattito, mons. Garrone disse che la Commis-
sione avrebbe tenuto conto di tutte le osservazioni e si sarebbe
sforzata di produrre un nuovo testo, più breve e più chiaro.

b) Critiche all’ottimismo del documento

I vescovi e i teologi di lingua tedesca, come Rahner 107 e Ratzin-


ger 108, contestavano il tono troppo ottimistico del documento, do-
vuto, a loro avviso, all’influenza dei teologi francesi. Mons. Höff-
ner 109, vescovo di Münster, affermò, a nome di 84 vescovi di lingua
tedesca, che il capitolo terzo, che trattava della vita sociale ed eco-

102
L’espressione è di Congar, che dà un resoconto della riunione: CONGAR, Diario,
vol. II, pp. 331-332.
103
Ivi, p. 331.
104
AS, IV/1, pp. 553-558.
105
“L’Avvenire d’Italia”, 23 settembre 1965 e G. TURBANTI, Un concilio per il mondo mo-
derno, cit., pp. 643-651.
106
G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit., p. 139.
107
Cfr. K. RAHNER, Über den Dialog in der pluralistischen Gesellschaft, in “Stimmen der
Zeit”, n. 176 (1965), pp. 321-330.
108
Cfr. J. RATZINGER, Angesichts der Welt von heute. Überlegungen zur Konfrontation mit
der Kirche im Schema XIII, in “Wort und Wahrheit”, n. 20 (1965), pp. 439-504.
109
Joseph Höffner (1906-1987), tedesco, ordinato nel 1932, vescovo di Münster nel
1962, arcivescovo titolare di Aquileia e arcivescovo di Köln nel 1969. Creato cardi-
nale nello stesso anno.
1965: LA QUARTA SESSIONE 473

nomica dell’uomo, doveva essere interamente rifatto, perché il testo


dava l’impressione che la cooperazione sincera fra gli uomini fosse
l’unica condizione di un ordine sociale giusto. Parlando a nome di
91 Padri conciliari di lingua tedesca e dei Paesi nordici, il card. Döpf-
ner 110 affermò che lo schema aveva fatto grandi progressi, ma l’ordi-
ne naturale e quello soprannaturale non vi erano chiaramente di-
stinti e le gravi conseguenze dello stato di peccato non erano espo-
ste in maniera appropriata. Anche il gruppo di Bologna manifestò le
sue riserve. Dossetti scrisse per il card. Lercaro un intervento che
metteva in discussione tutto lo schema, mostrandone tutti “i difetti e
le ambiguità” 111. Vi era una grande differenza, dichiarò Lercaro, tra
“l’ottimismo cristiano tutto soprannaturale” e “l’ottimismo naturalistico
che facilmente e timidamente segue e subisce la fenomenologia del progres-
so umano e ignora o sfugge il principio per cui ognuno e ogni cosa ‘va sa-
lato col fuoco’ (Mc 9, 49), col fuoco della croce e dello Spirito di Cristo” 112.
Il card. Bea 113 criticò il latino poco intellegibile del documento,
chiedendo una revisione dello stile, per permetterne una efficace
diffusione nelle lingue moderne. Il 22 settembre, il card. Ruffini 114
deplorò il fatto che la Chiesa venisse presentata “quasi in ginoc-
chio”, “come in un atteggiamento colpevole di fronte al mondo” 115. Il
card. Siri 116 e il card. König 117 che prese la parola dopo di lui, do-
mandarono che fossero inseriti nello schema elementi fondamen-
tali di cui esso era privo, come il peccato, la verità della croce, la
necessità del pentimento e la speranza della resurrezione in Cristo.
Mons. Amici 118, arcivescovo di Modena, facendosi portavoce di
un gruppo di vescovi italiani, affermò che tutto il testo aveva biso-

110
AS, IV/2, pp. 28-33.
111
Testo in AS, IV/1, pp. 761-764. Per l’originale italiano, cfr. G. LERCARO, Per la forza
dello Spirito, cit., pp. 253-261. Cfr. anche J. A. KOMONCHAK, Le valutazioni sulla “Gau-
dium et Spes”, cit., pp. 136-144.
112
G. LERCARO, Per la forza dello Spirito, cit., pp. 255-256.
113
AS, IV/1, pp. 576-596.
114
AS, IV/2, pp. 21-23.
115
Ivi, p. 22.
116
Ivi, pp. 24-25.
117
Ivi, pp. 26-27.
118
Ivi, pp. 34-36. Giuseppe Amici (1901-1977), ordinato nel 1926, consacrato vescovo
di Troia nel 1951, vescovo di Foggia nel 1954 e di Cesena nel 1955, arcivescovo di
Modena nel 1956.
474 IL CONCILIO VATICANO II

gno di essere rivisto, perché né la forma né la sostanza erano sod-


disfacenti. Comunicando così poco a coloro che desideravano co-
noscere l’autentica concezione cristiana della vita, lo schema non
riusciva a stabilire un punto di dialogo con gli uomini moderni.
A mons. Giuseppe D’Avack 119, arcivescovo titolare di Leonto-
poli, il documento parve imbevuto di naturalismo. Almeno nelle
conclusioni – egli chiese – lo schema esponga il “segreto del Cristia-
nesimo”, un “segreto” per cui l’amore non può essere vissuto che
con l’aiuto della grazia che il Cristo ha meritato per l’uomo attra-
verso la Croce 120.
Il 23 settembre, mons. Lourdusamy 121, coadiutore dell’arcive-
scovo di Bangalore, parlando a nome di 62 vescovi indiani, diede
il suo appoggio al testo, ma chiedendone anch’egli alcuni miglio-
ramenti, in modo che l’argomentazione dello schema fosse fonda-
ta più sulla teologia che sulla filosofia naturale 122.
Favorevoli furono il card. Rugambwa 123 (Bukoba, Tanzania) e il
card. Shehan 124 (Baltimora), mentre mons. Antonio de Castro Mayer
lo criticò perché esso non metteva in rilievo l’incompatibilità tra la
concezione del mondo cristiana e quella propugnata dal materiali-
smo dialettico marxista 125. Tra i tanti che presero quindi la parola fu-
rono il card. Frings, il quale chiese che il testo fosse interamente
riorganizzato, a motivo della pericolosa confusione che introduce-
va tra progresso umano, risultante dal dialogo, e la salvezza so-
prannaturale, frutto della missione della Chiesa 126, e l’arcivescovo

119
Giuseppe D’Avack (1899-1979), ordinato nel 1923, arcivescovo di Camerino dal
1946 al 1964, poi arcivescovo titolare di Leontopolis in Pamphylia.
120
AS, IV/2, pp. 44-45.
121
Duraisamy Simon Lourdusamy (1924), indiano, ordinato nel 1951, vescovo ausi-
liare di Bangalore e vescovo titolare di Sozusa nel 1962, arcivescovo coadiutore di
Bangalore e arcivescovo titolare di Philippi nel 1964, creato cardinale nel 1996.
122
AS, IV/2, pp. 380-383.
123
Ivi, pp. 366-368. Laurean Rugambwa (1912-1997), tanzaniano, ordinato nel 1943.
Vescovo di Bukoba dal 1953 al 1968, creato cardinale nel 1960. Arcivescovo di Dar-
es-Salaam dal 1968 al 1992. Membro della Commissione delle Missioni.
124
AS, IV/2, pp. 368-370. Lawrence Shehan (1898-1984), statunitense, ordinato nel
1922. Arcivescovo di Baltimora dal 1961 al 1974, creato cardinale nel 1965. Membro
della Commissione della Disciplina del Clero e del Popolo Cristiano.
125
AS, IV/2, pp. 371-373.
126
Ivi, p. 406 (pp. 405-406).
1965: LA QUARTA SESSIONE 475

di Cracovia, Karol Wojtyla, che il 28 settembre pronunciò quello che


alcuni avrebbero giudicato il suo più importante discorso al Conci-
lio Vaticano II 127, ribadendo l’antropologia personalista che aveva
già avuto occasione di esprimere in aula 128.
Le proposte furono le più svariate. Da una petizione al Papa
perché definisse dogmaticamente “la fraternità universale degli uo-
mini” (mons. Soares de Rezende 129, vescovo di Beira nel Mozambi-
co), a quella di mons. Ddungu 130, vescovo di Masaka in Uganda,
che parlando a nome di 94 vescovi, deplorò che il tema della di-
scriminazione razziale fosse trattato in maniera molto superficiale
e confusa: solo quattro righe erano dedicate a questo problema e
alla sua soluzione 131. Mons. Fernandes 132, ausiliario dell’arcivesco-
vo di Delhi, parlando a nome di tutti i vescovi indiani e di più di
cento altri Padri conciliari di Asia, Africa, Europa, America Latina
e Canada, domandò la creazione di una Commissione postconci-
liare permanente “per la promozione della giustizia internazionale e
dello sviluppo integrato di tutti i popoli” 133.

c) Teilhard de Chardin ancora evocato in aula

Mons. Méndez Arceo 134, che prese la parola il 28 settembre,


volle invece segnalare il “silenzio inesplicabile” dello schema sulla
psicanalisi, una autentica “rivoluzione scientifica” che metteva la
“geniale scoperta” di Freud sullo stesso piano di quelle di Coper-

127
Cfr. GEORGE WEIGEL, Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II protagoni-
sta del secolo, tr. it. Oscar Mondadori, Milano 2001, p. 207 (più in generale sulla pre-
senza al Concilio di mons. Wojtyla, pp. 180-223, e Actes et acteurs, pp. 105-129). Il te-
sto del discorso in AS, IV/2, pp. 660-663.
128
AS, III/5, pp. 298-300 e pp. 680-683.
129
AS, IV/2, pp. 643-645. Sebastião Soares de Rezende (1906-1967), portoghese, or-
dinato nel 1928, vescovo di Beira (Mozambico) dal 1943 fino alla morte.
130
Adrian Kivumbi Ddungu (1923-2009), ugandese, ordinato nel 1952. Vescovo di
Masaka (Uganda) dal 1961 al 1998.
131
AS, IV/3, pp. 110-111.
132
Angelo Fernandes (1913-2000), indiano, ordinato nel 1937. Arcivescovo coadiuto-
re di Delhi dal 1959 al 1967.
133
AS, IV/2, pp. 720-722.
134
Ivi, pp. 625-628.
476 IL CONCILIO VATICANO II

nico e Darwin. Sulla stessa linea si espresse l’arcivescovo indiano


D’Souza: “L’anno passato, uno dei Moderatori ha esclamato che ‘un ca-
so Galilei è sufficiente’. Ma intanto abbiamo avuto, tra gli altri, il caso
di Lamennais, il caso di Darwin, quello di Marx, quello di Freud e, in
ultimo, il caso di Teilhard de Chardin” 135. Mons. Câmara, che consi-
derava mons. D’Souza “un amico” e “un grande Padre conciliare” 136,
deplorò però l’eccessiva chiarezza dell’intervento, che rischiava
di essere controproducente. Il card. Suenens, che non la pensava
diversamente, era a suo avviso più abile: “Il padre Michel (Sue-
nens) quando le deve sparar grosse non lo fa nella Basilica, ma nella
stampa” 137.
Il Gran Maestro Marsaudon, nel libro che mons. Lefebvre
aveva citato in aula, aveva individuato nell’evoluzionismo co-
smico di Teilhard de Chardin il punto di incontro tra massoneria
e cristianesimo.

“La conoscenza, le filosofie e le metafisiche si avvicinano. Tra la formula


massonica del Grande Architetto dell’Universo e il punto omega di
Teilhard de Chardin, mal si discerne ciò che potrebbe impedire agli uomi-
ni di pensiero di intendersi. Nella fase attuale, Teilhard de Chardin è cer-
tamente l’autore più letto, sia nelle logge che nei seminari” 138.

Anche mons. de Proença Sigaud 139 evocò il nome del gesuita


francese, ma per criticarne fermamente l’influenza sul Concilio.
Per l’arcivescovo di Diamantina nello schema XIII si era fatto ri-
corso alla pericolosa idea di Teilhard de Chardin sulla “costruzione
del mondo”, dimenticando che anche la torre di Babele voleva esse-
re una nuova costruzione del mondo.

“Questa idea ‘Teilhardiana’ (Teilhard de Chardin) sulla costruzione del


mondo con Dio è pericolosa. La torre di Babele è stata ‘costruzione del
mondo’. L’edonismo dei greci e dei romani è stato ‘costruzione del mon-

135
Ivi, p. 478 (pp. 477-479).
136
CÂMARA, Lettres Conciliaires, vol. II, p. 843.
137
Ivi.
138
Y. MARSAUDON, op. cit., p. 60.
139
AS, IV/2, pp. 47-50.
1965: LA QUARTA SESSIONE 477

do’. Tuttavia essi non hanno portato a Dio, ma al peccato e alla corruzio-
ne e, in ultimo luogo, alla distruzione dei popoli” 140.

d) Sovrappopolazione e controllo delle nascite

Nel corso della discussione sullo schema XIII venne nuova-


mente trattato, il 29 settembre, il problema del matrimonio cri-
stiano e del “controllo delle nascite” 141. Il testo enunciava alcuni
principi di carattere generale, affermando che spettava agli sposi
“determinare il numero dei figli”, ma senza specificare il modo con
cui ciò potesse avvenire. Il card. Ruffini 142 giudicò molto mal de-
scritta la natura del matrimonio, che molto più chiaramente ri-
sultava dalla Casti connubi 143 di Pio XI, soprattutto per quanto ri-
guarda la distinzione tra fini primari e fini secondari. I fini se-
condari venivano così esaltati nello schema da sembrare irrinun-
ciabili, anche se ciò avesse significato “evitare la procreazione”. Il
cardinale mise in luce le parti del testo che, a suo avviso, sem-
bravano seminare di dubbi e di confusione la strada delle coppie
coniugate, come a pagina 49, in cui il documento diceva che gli
sposi, nel fondare e nel governare la propria famiglia, “devono es-
sere guidati dalla loro coscienza giustamente formata dalla legge di Dio,
ed è loro compito determinare il numero dei figli, secondo quanto per-
mettono i doni di Dio e ciò che è dettato dal vero amore” 144. Da tali
espressioni, secondo il cardinale, potevano sorgere dubbi e an-
sietà anche tra i coniugi onesti e religiosi, non solo a proposito
della vexata quaestio della “pillola” insulsamente chiamata catto-
lica, ma anche sul modo di ordinare la vita coniugale in genere.
In particolare, nello schema non si affermava una verità della
massima importanza: che è sempre turpe, disonesto e contro na-

140
Ivi, p. 49.
141
J. GROOTAERS-J. JANS, La régulation des naissances à Vatican II: une semaine de crise,
Peeters, Lovanio 2002.
142
AS, IV/3, pp. 17-20.
143
PIO XI, Enciclica Casti Connubii, cit., pp. 541-573. “Tra i beni del matrimonio – recita
l’enciclica – la prole occupa il primo posto” (DENZ-H, n. 3704).
144
AS, IV/3, p. 18.
478 IL CONCILIO VATICANO II

tura privare di proposito l’atto matrimoniale della sua naturale


forza procreatrice.
Lo schema fu difeso invece dai cardinali Léger 145, Suenens 146 e
Colombo 147. Léger definì “gravissima” la decisione di riaffermare la
dottrina della Casti connubii di Pio XI. Colombo, pur dichiarandosi
favorevole alla impostazione “personalista” del matrimonio, ri-
badì le ragioni di un netto rifiuto delle pratiche anticoncezionali.
Il 7 ottobre, mons. Mariano G. Gaviola 148, vescovo di Cabana-
tuan City (Filippine), manifestò la sua sorpresa in aula per l’atteg-
giamento che i Padri sembravano assumere sulla “esplosione de-
mografica”. Il fatto che lo schema affermi il diritto dei genitori di
stabilire il numero dei figli, disse, è sorprendente, poiché “sembra
consentire a quella teoria secondo cui la sovrapopolazione della terra sarà
un fatto sicuro, in un tempo non molto distante dal nostro”. Nessuno
ignora, aggiunse mons. Gaviola, che i propugnatori del controllo
delle nascite e della paternità pianificata “traggono i loro argomenti
principali dalla teoria della sovrapopolazione” e che spesso “il loro vero
motivo è il profitto economico piuttosto che una vera sollecitudine per il
bene comune” 149. Il vescovo concluse con un appello affinché “il
grandissimo numero di vere famiglie cristiane” che accettano i figli
mandati da Dio non venissero “lasciate nell’oblio” 150.
Una “bomba” che, come scrissero i giornali, scoppiò in aula fu,
il 29 settembre, l’intervento di mons. Elias Zoghby 151, Vicario pa-
triarcale dei Melchiti di Egitto. Il presule mise infatti in discussio-
ne l’indissolubilità del matrimonio, prendendo le difese del “co-
niuge innocente” in una coppia divorziata e augurandosi che in
questo caso il Concilio decidesse di applicare la prassi delle chiese

145
Ivi, pp. 21-25.
146
Ivi, pp. 30-33.
147
Ivi, pp. 33-37.
148
Mariano Gaviola y Garcés (1922-1998), filippino, ordinato nel 1949, vescovo di
Cabanatuan (1963-1967), fu poi vescovo titolare di Girba (1967) e arcivescovo di Li-
pa (1981-1992).
149
AS, IV/3, p. 645 (pp. 645-647).
150
Ivi, p. 647.
151
Elias Zoghby (1912-2008), egiziano, ordinato nel 1936. Vicario patriarcale melchi-
ta per l’Egitto, imprigionato nel 1954 dal regime di Nasser, e rapito nel 1982 da ter-
roristi filonasseriani.
1965: LA QUARTA SESSIONE 479

ortodosse 152. Il “dossier” per preparare il suo intervento era stato


preparato dal benedettino dom Olivier Rousseau, discepolo di
dom Beauduin 153. La mattina successiva il card. Journet replicò con
forza, ribadendo che il comando positivo divino della indissolubi-
lità del matrimonio non ammetteva per la Chiesa eccezioni o de-
roghe 154. Journet, come ricorda il padre Wenger, era stato pregato
dallo stesso Paolo VI di intervenire e aveva lavorato al suo testo fi-
no all’una di notte 155.
Altri oratori si soffermarono sulla distinzione tra fine primario
e fine secondario del matrimonio. Il padre Schillebeeckx, in una
conferenza tenuta il 29 settembre, pretendeva di ribaltare, in nome
di san Tommaso, il rapporto di priorità tra i fini del matrimonio
stabilito dalla tradizione e dal Magistero della Chiesa 156. Il 23 otto-
bre 1965 il card. Suenens passò più di un’ora con Paolo VI chie-
dendo insistentemente: 1) la riforma radicale della Curia; 2) la co-
stituzione di Commissioni postconciliari per realizzare il Vaticano
II; 3) e soprattutto una chiara presa di posizione a favore della li-
mitazione delle nascite. Di fronte alle insistenze il Papa replicò:
“Facciamo così: si metta nei miei panni: immagini di essere il Papa e scri-
va la dichiarazione che davanti a Dio e guardando l’umanità vorrebbe
scrivere. Mi porti senza indugio questa dichiarazione e le prometto di stu-
diarla in ginocchio” 157. Suenens non si fece pregare e dopo una con-
sultazione con mons. Albert Prignon, rettore del Collegio belga,
mons. Joseph Reuss, ausiliare di Magonza, e mons. Victor Heylen,
professore di teologia morale a Lovanio, portò al Papa un testo che
Câmara definisce “un capolavoro” 158.
Tra gli interventi che seguirono, fece scalpore quello del neo-ar-
civescovo di Torino Michele Pellegrino 159, ex professore di Lettera-

152
Cfr. AS, IV/3, pp. 45-48.
153
Cfr. E. LANNE, Il monastero di Chevetogne, cit., pp. 537-538.
154
Cfr. AS, IV/3, pp. 58-59.
155
Cfr. A. WENGER, Discussione, in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo, p. 39.
156
Cfr. R. LA VALLE, Il Concilio nelle nostre mani, cit., pp. 189-192.
157
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 952.
158
Ivi.
159
Michele Pellegrino (1903-1986), ordinato nel 1925. Professore all’università di Torino
dal 1943 al 1965. Arcivescovo di Torino nel 1965, creato cardinale nel 1967. Cfr. Padre
Michele Pellegrino, testimonianze e ricordi, Edizioni Diocesi di Fossano, Fossano 2003.
480 IL CONCILIO VATICANO II

tura cristiana antica, che rivolse un appello alla libertà della ricer-
ca e criticò gli eccessi punitivi raggiunti durante la crisi moderni-
sta, aggiungendo che essi erano continuati fino ai tempi recenti 160.
“Io – disse mons. Pellegrino – ho conosciuto un religioso in esilio cer-
to non volontario, per aver espresso idee che oggi si leggono nei docu-
menti conciliari. Vi sono molti ‘periti’ del Concilio, che esercitano una
grande influenza e hanno avuto in passato le stesse difficoltà” 161.
Si concluse così, il 1° ottobre, la discussione sul capitolo dello
schema XIII, dedicato al matrimonio.

6. Paolo VI all’ONU: un evento simbolico

a) Il discorso nel Palazzo di Vetro

Vi sono avvenimenti che per il loro carattere simbolico segnano la


storia più profondamente di un libro o di un documento dottrinale.
Tale fu certamente la visita di Paolo VI alle Nazioni Unite, a New
York, del 4 ottobre 1965, un evento che impresse un orientamento de-
cisivo all’ultima sessione del Concilio. Era il giorno della festa di san
Francesco d’Assisi e ricorreva, quell’anno, il ventesimo della fonda-
zione delle Nazioni Unite 162. Il Papa venne accolto al Palazzo di Ve-
tro dal Segretario generale dell’istituzione, il birmano U-Thant, e dal
presidente di turno dell’assemblea, l’italiano Amintore Fanfani. Era-
no presenti circa duemila delegati in rappresentanza di 115 Paesi, la
quasi totalità delle nazioni del mondo. Alle 15,30 il Papa tenne il suo
atteso discorso, dal podio di marmo verde della grande sala del Pa-
lazzo di Vetro 163. Paolo VI, parlando in lingua francese, si definì
“esperto in umanità” ed elogiò il servizio reso all’umanità dall’Onu, un
organismo al quale spettava il compito della “costruzione della pace”.

160
Cfr. AS, IV/3, pp. 135-137.
161
Ivi, p. 136.
162
Cfr. R. MOROZZO DELLA ROCCA, L’umile dovere di servire la pace, in “Avvenire”, 20
aprile 2008; EMMA FATTORINI, Il Papa “esperto di umanità”, in “Il Sole 24 ore”, 13 apri-
le 2008.
163
Cfr. PAOLO VI, Allocuzione ai Rappresentanti degli Stati, in Insegnamenti, vol. III
(1965), pp. 507-516 (tr. it. pp. 516-523).
1965: LA QUARTA SESSIONE 481

“Il nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e so-
lenne di questa altissima istituzione. Questo messaggio viene dalla No-
stra esperienza storica; Noi, quali ‘esperti in umanità’, rechiamo a questa
Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tut-
to l’episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappre-
senta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale” 164.

Paolo VI, che vedeva “la minaccia più grave alla rottura della pace”
nelle “disuguaglianze fra classe e classe e fra nazione e nazione”, elevò
poi con tono vibrante il suo grido contro la guerra:

“Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di so-
lennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo prin-
cipalmente è sorta l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e
per la pace! Ascoltate le parole di un grande scomparso, di John Kennedy,
che quattro anni or sono proclamava: ‘l’umanità deve por fine alla guerra,
o la guerra porrà fine all’umanità’. Non occorrono molte parole per procla-
mare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue
di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e
formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che
deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più! La pa-
ce, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!” 165.

L’esclamazione “jamais plus la guerre, jamais plus la guerre” rias-


sumeva il significato del viaggio papale. Il columnist americano
Walter Lippman vedeva l’essenza del viaggio nella “ratifica mora-
le” – da parte del Papa – delle Nazioni Unite e nel messaggio se-
condo cui “la prima crociata dell’umanità è la crociata contro la guerra
e per la pace” 166.

164
Ivi, p. 517. Nella “collaborazione fraterna dei popoli”, promossa dalle Nazioni Unite,
Paolo VI vedeva realizzarsi “l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo” e scorgeva “il
messaggio evangelico da celeste farsi terrestre” (ivi, p. 121).
165
Ivi, pp. 519-520.
166
R. LA VALLE, Il Concilio nelle nostre mani, cit., p. 252. L’abbé de Nantes, da parte sua,
vedeva aprirsi un’epoca in cui “la Chiesa rinnega silenziosamente l’ordine antico della
Cristianità, della sua fede e delle sue crociate” (“Lettres à mes amis”, n. 215 del 31 otto-
bre (Cristo Re) 1965), per celebrare il suo “matrimonio” con il mondo (“Lettres à
mes amis”, n. 218 dell’8 dicembre 1965).
482 IL CONCILIO VATICANO II

A New York Paolo VI incontrò il ministro degli Esteri dell’U-


nione Sovietica Gromyko, ricevuto in un’udienza ufficiale “la cui
importanza è sottolineata dal luogo”, secondo quanto affermava il co-
municato dell’agenzia sovietica Tass 167. Nel breve incontro, ricorda
Gromyko, il Pontefice si soffermò sulla possibilità di una collabo-
razione tra ideologie diverse in favore della pace 168.
Il giorno in cui Paolo VI si trovava all’Onu, mons. Bettazzi
chiese la canonizzazione di Papa Giovanni “padre e maestro di tut-
ti gli uomini di buona volontà” 169. L’iniziativa fu considerata impru-
dente e bloccata dal card. Suenens, anche per volontà dello stesso
Paolo VI 170.

b) L’appello pacifista nell’aula conciliare

Il 5 ottobre, di ritorno da New York, il Papa riassunse il signifi-


cato della sua missione davanti al Concilio riunito. Paolo VI giun-
se direttamente dall’aeroporto alla Basilica di San Pietro e, quando
entrò nella Basilica, gli applausi coprirono completamente il canto
del Tu es Petrus. Rivolgendosi ai Padri conciliari in latino disse:
“Ringraziamo il Signore, venerati fratelli, d’aver avuto la fortuna di an-
nunciare, in un certo senso, agli uomini di tutto il mondo il messaggio
della pace. Non mai questo evangelico annuncio aveva avuto uditorio più
ampio e, possiamo pur dirlo, più pronto e avido di ascoltarlo (…)”. “Duo-
le – aggiunse il Papa – che interprete di così fulgida ora sia stata l’umi-
lissima nostra persona (…); duole ma non sia perciò minore il nostro gau-
dio per il valore profetico assunto dal nostro annuncio: nel nome di Cri-
sto abbiamo predicato agli uomini la pace” 171.
Il grido di Paolo VI all’Onu, “Non più guerra! Non più guerra!”,
riecheggiò più volte nell’aula conciliare. Su richiesta del card. Lié-
nart, il discorso papale venne inserito negli Acta conciliari 172. Lo

167
Cfr. V. GAIDUK, op. cit., p. 29.
168
Cfr. ANDREJ GROMYKO, Memorie, tr. it. Rizzoli, Milano 1989, pp. 218-219.
169
AS, IV/3, pp. 258-261.
170
Cfr. G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio, cit., p. 141.
171
AS, IV/1, p. 37 (pp. 36-38).
172
Ivi, pp. 28-36.
1965: LA QUARTA SESSIONE 483

stesso Liénart 173, il 6 ottobre, affermò che di fronte alle armi mo-
derne, la classica distinzione tra guerra giusta e ingiusta era venu-
ta meno e gli uomini non dovevano più pensare a difendere i loro
diritti con le armi. L’appello pacifista di Paolo VI fu ripreso anche
dai cardinali Alfrink 174 e Léger 175 e dal benedettino dom Butler 176,
che chiesero una condanna, da parte del Concilio, della detenzio-
ne e dell’uso di armi nucleari. Sul problema della pace, osservò il
card. Duval 177, arcivescovo di Algeri, portavoce di un gruppo di
vescovi africani, si doveva stabilire un nuovo modo di pensare e
un cambiamento di mente (metanoia). Perciò, in forma più sinteti-
ca, era necessario mettere in rilievo come i problemi della fame,
della ignoranza, dell’ingiustizia fossero il male che conduce alla
guerra 178. Un caloroso applauso salutò, il 7 ottobre, l’inattesa pero-
razione del card. Ottaviani in favore della pace, delle condizioni
necessarie a promuoverla, del perseguimento dell’obiettivo storico
e non utopistico, di un’unica società mondiale che avrebbe com-
preso tutte le nazioni della terra 179.
Mons. Boillon 180, vescovo di Verdun, riferì in aula del “digiuno”
per la pace di venti donne cristiane 181, la prima di una serie di azio-
ni “non violente” che avrebbero caratterizzato l’era conciliare. “La
non-violenza – scriveva il quotidiano “Le Monde” il 10-11 ottobre –
aveva fatto il suo ingresso a Roma in punta di piedi”.
Negli anni in cui la guerra del Vietnam e i movimenti pacifisti
e terzomondisti indicavano una “terza via” tra capitalismo e co-
munismo, l’appello di Paolo VI, al di là delle sue intenzioni, ac-
quistava un innegabile significato politico. Lo storico Victor Za-

173
AS, IV/3, pp. 397-400.
174
Ivi, pp. 509-510.
175
Ivi, pp. 510-512.
176
Ivi, pp. 613-617.
177
Léon-Etienne Duval (1903-1996), francese, ordinato nel 1926, vescovo di Con-
stantine (Hippone) in Algeria, nel 1946, arcivescovo di Algeri nel 1954, creato car-
dinale nel 1965.
178
AS, IV/3, pp. 601-606.
179
Ivi, pp. 642-644.
180
Pierre Boillon (1911-1996), francese, ordinato nel 1935, vescovo di Verdun dal 1963
al 1986.
181
AS, IV/3, pp. 732-735.
484 IL CONCILIO VATICANO II

slavsky ha documentato che il fondatore del movimento pacifista


fu, negli anni Cinquanta, Stalin, per il quale la “lotta per la pace” era
un prodotto da esportare, naturalmente contrapponendo le “guer-
re giuste” (quelle dell’Urss e dei suoi alleati) alle “guerre ingiuste”,
intraprese dal campo occidentale 182. In questo senso, come scrive
Riccardo Burigana, “il discorso di Paolo VI al Palazzo di Vetro sulla ri-
duzione degli armamenti e la lotta alla fame del mondo metteva in primo
piano temi cari alla propaganda comunista, in netta contrapposizione con
i modelli dell’Occidente” 183.
Le Nazioni Unite, fondate nel 1945, raccoglievano l’eredità
“morale” della Società delle Nazioni e l’utopistico sogno del pre-
sidente americano Woodrow Wilson di instaurare un nuovo or-
dine mondiale all’insegna della pace, del progresso e della giu-
stizia. Pio XII aveva contrapposto all’Onu, come modello di or-
ganizzazione internazionale, la Chiesa cattolica, fonte di auten-
tico diritto e veri valori. Sotto il suo pontificato, la rivista dei ge-
suiti “Civiltà Cattolica” aveva denunciato l’equivoco istituzio-
nale dell’Onu che ammetteva l’Urss, con diritto di veto, nel suo
Consiglio di Sicurezza, ed escludeva la Spagna del generale
Franco, condannandola nella sua seconda assemblea 184. Le Na-
zioni Unite avevano mostrato in particolare il loro fallimento in
occasione dell’invasione sovietica dell’Ungheria, nel 1956 e, sul
piano del diritto internazionale, si rivelavano incapaci, come già
la Società delle Nazioni, di garantire la pace e la sicurezza nel
mondo.
Sul piano ideologico, a partire dagli anni Settanta, il pensiero
social-comunista e femminista divenne la linea guida dell’azione
internazionale dell’ONU che iniziò un’azione sistematica per pro-
muovere e attuare una politica anti-natalista e divenne uno dei

182
Cfr. VICTOR ZASLAVSKY, Lo stalinismo e la sinistra italiana. Dal mito dell’Urss alla fine
del comunismo, 1945-1991, Mondadori, Milano 2004.
183
R. BURIGANA, Il Partito comunista e la Chiesa, cit., p. 223.
184
Si vedano i lucidi articoli del padre A. MESSINEO s.j., I paradossi della politica inter-
nazionale, in “Civiltà Cattolica”, q. 2299 (1946), pp. 3-11; ID., La seconda assemblea ge-
nerale delle Nazioni Unite, ivi, q. 2318 (1947), pp. 97-105; ID., Il declino delle Nazioni
Unite, ivi, q. 2458 (1952), pp. 373-385. Cfr. anche A. RICCARDI, Le politiche della Chie-
sa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 84-100.
1965: LA QUARTA SESSIONE 485

principali “laboratori ideologici” del laicismo anticristiano 185. Nel


1998 il Pontificio Consiglio per la Famiglia dichiarò che “(…) da cir-
ca trent’anni le conferenze patrocinate da questa Organizzazione [l’O-
NU] hanno avuto l’effetto di provocare preoccupazioni infondate sulle
questioni demografiche, in particolare nei Paesi del sud del mondo” 186, e
Giovanni Paolo II, nella enciclica Evangelium vitae, parlò di una
“oggettiva congiura contro la vita”, attuata implicitamente anche da
“istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e programmare ve-
re e proprie campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione
e l’aborto” 187.

7. Le religioni non cristiane e la Nostra aetate

L’11 ottobre fu affrontato in aula il problema delle religioni


“non cristiane”, con le quali il card. König rilanciava la necessità
del “dialogo” 188. Egli raccomandò che i cristiani si abituassero a
considerare le religioni non cristiane nel loro significato autentico,
che è quello di essere interiormente (ad intra) strade di ricerca di
Dio. La Chiesa costituisce il mezzo necessario alla salvezza di tut-
ti, anche di coloro che non credono in essa, ma soltanto soggetti-
vamente e implicitamente rispondono alla sollecitazione della
Grazia. Da qui la necessità di un dialogo che disponga lo spirito
ad accogliere i valori che si trovano nelle religioni non cristiane
(Islam, Induismo, Buddismo), le quali sono come orientate al Cri-
sto e alla Chiesa. Quello stesso giorno venne distribuito un docu-
mento del Coetus Internationalis in cui si invitavano i Padri con-

185
Cfr. AGOSTINO CARLONI, Il fallimento dell’ONU, in “Cristianità”, nn. 330-331
(2005), pp. 19-24; EUGENIA ROCCELLA e LUCETTA SCARAFFIA, Contro il Cristianesimo.
L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia, con appendice a cura di ASSUNTI-
NA MORRESI, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2005; M. SCHOOYANS, Il volto nasco-
sto dell’ONU. Verso il governo mondiale, con prefazione di R. de Mattei, tr. it. Il Mi-
notauro, Roma 2004); R. DE MATTEI, La dittatura del relativismo, Solfanelli, Chieti
2008, pp. 47-66.
186
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Déclaration sur la chute de la fécondité dans le
monde, del 27 febbraio 1998, n. 2.
187
GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Evangelium vitae del 25 marzo 1995, n. 17.
188
Cfr. AS, IV/4, pp. 137-138.
486 IL CONCILIO VATICANO II

ciliari ad esprimersi con non placet sia nella votazione della mag-
gior parte degli articoli del decreto, sia in quella sull’insieme del
testo.
Nell’ultimo giorno di lavoro del periodo precedente, il 20 no-
vembre 1964, era passato a larga maggioranza un testo molto ri-
maneggiato, che si apriva con le parole Nostra aetate 189. Le preoccu-
pazioni del Coetus riguardavano, più che la parte relativa agli
ebrei, quella dedicata alle altre religioni.
Per quanto riguarda gli ebrei, il punctum dolens era la cancella-
zione dell’imputazione di deicidio al popolo ebraico: ma con qual-
che leggero emendamento il Coetus avrebbe accettato il docu-
mento. Era invece la prima parte del testo (nn. 1-3) a suscitare la
più netta opposizione 190. La dichiarazione, secondo i Padri del
Coetus, veniva a ridurre le differenze tra il Cristianesimo e le al-
tre religioni e, così facendo, “da una parte ritarda la conversione dei
popoli”, mentre “dall’altra estingue e indebolisce lo slancio alle voca-
zioni missionarie” 191.
Altre critiche venivano al testo dai vescovi arabi e perfino da al-
cuni settori progressisti. Per il padre Laurentin, ad esempio, manca-
va una esplicita condanna della dottrina tradizionale del deicidio 192,
che secondo il teologo francese era all’origine dell’antisemitismo.
Nella nuova versione del testo, dopo la parola “deplorat”, erano sta-
te infatti abolite le parole “et damnat” che suonavano chiara condan-
na delle accuse di deicidio. La stessa lamentela veniva espressa da
Jacques Maritain, secondo cui “se il Concilio accetta una tale omissione,
si tratta di un grande passo indietro rispetto alle condanne del razzismo e
dell’antisemitismo portate da Pio XI” 193. D’altra parte Paolo VI, cele-
brando i riti della domenica di Passione di quello stesso anno, nella
predica tenuta presso una parrocchia romana, si era riferito alla

189
Le varie versioni del testo sono presentate, assieme alla versione definitiva, vota-
ta il 28 ottobre 1965, nel libro di MARIE-THÉRÈSE HOCH e BERNARD DUPUY, Les Eglises
devant le judaïsme. Documents officiels 1918-1978, Cerf, Parigi 1980, pp. 321-334.
190
Cfr. M. VELATI, Il completamento dell’agenda conciliare, in SCV, vol. V, p. 225 (pp.
197-284).
191
Ivi.
192
Cfr. Ivi, pp. 228-231.
193
Lettera di Journet a Paolo VI del 13 ottobre 1965, cit. in M. VELATI, Il completamen-
to dell’agenda conciliare, cit., p. 231.
1965: LA QUARTA SESSIONE 487

morte di Cristo attribuendone la responsabilità al popolo ebraico 194.


Il teologo Ratzinger riferiva a Congar che “il Papa sarebbe convinto
della responsabilità collettiva del popolo ebreo nella morte di Cristo” 195.
Gli Stati arabi continuavano ad essere convinti che sotto quel
testo si nascondesse un progetto politico filo-sionista ed esercita-
vano pressioni sulla Santa Sede perché lo abbandonasse. Intanto,
nei primi mesi del 1965, mons. Carli aveva pubblicato una forte cri-
tica teologica allo schema in due articoli che erano circolati ampia-
mente fra i Padri conciliari 196. Il vescovo di Segni portava le prove
scritturistiche della responsabilità collettiva degli ebrei nella mor-
te di Gesù.
I cardinali Bea e Lercaro insistevano per affrancare gli ebrei da
ogni colpa nella Passione e morte di Cristo, che doveva essere attri-
buita ai peccati di tutti gli uomini. Il cardinale Luigi Ciappi, maestro
del sacro Palazzo, rinviando a san Tommaso 197, replicava che gli
ebrei erano stati veramente colpevoli di deicidio e che la Chiesa do-
veva adoperarsi per la loro conversione 198. Analoghe furono le os-
servazioni del card. Browne, secondo cui il testo non doveva dare
l’impressione che la Chiesa dicesse che “la (…) perseveranza (degli
ebrei) nel giudaismo sia senza colpa” 199. Paolo VI accolse le proposte di
Ciappi e Browne e il testo fu emendato secondo queste indicazioni.
Furono accolti inoltre alcuni suggerimenti di Maximos IV e, dopo
questi emendamenti, Willebrands, De Smedt e Duprey 200 si recarono
in Medio Oriente, facendo visita a tutti i patriarchi. Il Segretariato
preparò una traduzione araba del testo, con una sezione positiva sui
musulmani, che precedeva quella sul giudaismo. Il 13 ottobre, il

194
PAOLO VI, Insegnamenti, vol. III, p. 209.
195
CONGAR, Diario, 3 aprile 1965, vol. II, p. 298.
196
Cfr. L. CARLI, La questione giudaica davanti al Concilio Vaticano II, in “Palestra del
Clero”, n. 44 (1965), pp. 185-203, e È possibile discutere serenamente della questione giu-
daica?, ivi, pp. 465-476. Si veda anche LÉON DE PONCINS, Le problème juif face au Con-
cile, s.l. 1965.
197
Cfr. Summa Theologica, III, q. 47, a. 5 ad 3.
198
Cfr. AS, V/2, p. 644 (pp. 643-644).
199
Ivi, p. 645.
200
Pierre François Marie Joseph Duprey (1922-2007), francese, ordinato nel 1950, Se-
gretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani nel 1983,
consacrato vescovo di Tibari nel 1990.
488 IL CONCILIO VATICANO II

card. Bea comunicò che il testo era stato nuovamente emendato,


spiegando le ragioni per le quali la parola “deicidio” era stata alter-
nativamente inclusa e cancellata nelle successive redazioni 201.
In una conferenza tenuta qualche giorno prima all’episcopato
brasiliano sul tema Il problema del nostro atteggiamento verso il popo-
lo ebraico, Bea affermò che in base a un particolareggiato esame dei
testi del Nuovo Testamento non si poteva parlare della colpevo-
lezza del popolo ebraico per il crimine di deicidio. Di un tale spe-
cifico delitto, secondo il cardinale, non si potevano accusare nem-
meno i capi del popolo ebraico, in quanto è dubbio che essi aves-
sero sufficientemente compresa la natura umano-divina di Gesù 202.
Le votazioni sugli emendamenti apportati allo schema sulle re-
ligioni non cristiane si conclusero il 15 ottobre. Su 2.023 votanti,
1.763 Padri conciliari espressero la loro soddisfazione per le corre-
zioni subite dal testo, mentre 250 furono i voti contrari, 1 placet iux-
ta modum e 1 voto nullo 203. Il testo fu quindi inviato a Paolo VI che
decise di farlo mettere ai voti il 28 ottobre in seduta pubblica.
Nella Dichiarazione Nostra aetate (n. 2) si legge che le religioni
non cristiane “non di rado riflettono un raggio di quella Verità che illu-
mina ogni uomo”. Così commenta il testo mons. Pietro Rossano: “Po-
niamo per esempio che si trovino insieme un cristiano, un ebreo, un mus-
sulmano, un buddhista, un indù e un umanista senza particolare fede reli-
giosa, per cercare insieme le vie e i mezzi di aiutare il prossimo a raggiun-
gere la pace, la liberazione, la verità, la comunione e la speranza, che sono
gli obiettivi supremi della vita umana sulla terra. Mi domando: su chi di lo-
ro è presente lo Spirito Santo? Forse soltanto nel cristiano?”. La sua fede,
conclude Rossano, “non lo autorizza a supporre di essere il solo portato-
re dello Spirito di Dio” 204. Va osservato che, sull’opposizione araba e

201
AS, IV/4, pp. 722-725.
202
Cfr. R. LA VALLE, Il Concilio nelle nostre mani, cit., p. 343. Con la prefazione dello
stesso card. Bea, apparve un volumetto del padre G. CAPRILE, La responsabilità degli
ebrei nella crocifissione di Gesù (Edizioni Spiritualità, Firenze 1964), in cui si ribadiva
che il popolo ebraico doveva essere scagionato dall’accusa di deicidio.
203
AS, IV/4, p. 824.
204
PIETRO ROSSANO, Lo Spirito Santo nelle religioni e nelle culture non cristiane, in CO-
MUNITÀ DI SANT’EGIDIO, Il dialogo non finisce. Pietro Rossano e le religioni non cristiane,
a cura di MARIO MARAZZITI, Morcelliana, Brescia 1994, pp. 94-95. Pietro Rossano
(1923-1991), ordinato nel 1946, fu vescovo ausiliare di Roma fino alla morte.
1965: LA QUARTA SESSIONE 489

arabo-cristiana al documento conciliare, si inserì un gruppo di stu-


diosi cattolici, come il cairota padre Georges Anawati 205 che, sulla li-
nea dell’orientalista Louis Massignon 206, propugnavano da tempo
un nuovo rapporto islamo-cristiano 207. I discepoli di Massignon, os-
serva Riccardi, ebbero la capacità di trasformare l’opposizione al de-
creto De Iudeis nella richiesta di un pronunciamento conciliare sul-
l’Islam: “così anche la fede islamica entrò nel testo conciliare” 208.
La Dichiarazione Nostra aetate afferma al paragrafo 3 che “la
Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano il Dio uno, vi-
vente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della
terra e che ha parlato agli uomini” 209. Il paragrafo 16 della Lumen Gen-
tium integra il paragrafo 3 della Nostra aetate, affermando lo specia-
le rapporto (ordinatio) dei musulmani al popolo di Dio, perché “pro-
fessandosi seguaci della fede di Abramo, adorano con noi il Dio unico, mi-
sericordioso, giudice futuro degli uomini nell’ultimo giorno” 210. Il princi-
pale beneficiario della dichiarazione conciliare Nostra aetate fu, più
ancora del giudaismo, l’Islam che, per la prima volta, divenne og-
getto di una considerazione che lo apparentava col Cristianesimo 211.
Molti dei progressisti che tanto si erano battuti, per rimuovere ogni
elemento di incompatibilità dottrinale tra Cristianesimo e Giudai-
smo, furono tra coloro che nella crisi arabo-israeliana degli anni

205
Georges C. Anawati (1905-1994), egiziano domenicano, ordinato nel 1939, noto
per i suoi studi di islamologia, fondò e diresse l’Institut des Etudes Orientales del
Cairo. Di lui, cfr. Islam e Cristianesimo. L’incontro tra due culture nell’Occidente me-
dievale, tr. it. Vita e Pensiero, Milano 1994; L’ultimo dialogo. La mia vita incontro al-
l’Islam, tr. it. Marcianum Press, Venezia 2010. Su di lui, cfr. JEAN-JACQUES PÉ-
RENNÈS, Georges Anawati. Un chrétien égyptien devant le mystère de l’islam, Cerf, Pa-
rigi 2008.
206
Sull’orientalista francese Louis Massignon (1883-1962), si veda G. BASETTI SANI,
Louis Massignon (1883-1962), Alinea, Firenze 1985; Louis Massignon et le dialogue isla-
mo-chrétien, in Louis Massignon et le dialogue des cultures, a cura di DANIEL MASSI-
GNON, Cerf, Parigi 1990, pp. 247-264; M. INTROVIGNE, Louis Massignon. “Il mistico
spione”, in “Il Foglio”, 12 novembre 2005.
207
Cfr. A. RICCARDI, Le politiche della Chiesa, cit., pp. 108-109.
208
Ivi, p. 108. Sul tema si veda FRANÇOIS JOURDAN, Dio dei cristiani, dio dei musulmani.
Che cosa ci unisce, che cosa ci divide?, prefazione di Rémi Brague, tr. it. Lindau, Tori-
no 2008.
209
COD, p. 969.
210
Ivi, p. 861.
211
Cfr. ALEXANDRE DEL VALLE, Il totalitarismo islamista all’assalto delle democrazie, tr. it.
Solinum, Castellazzo Bormida (AL) 2007, p. 449.
490 IL CONCILIO VATICANO II

successivi presero sistematicamente la difesa dei Paesi arabi e del-


l’Islam contro lo Stato di Israele, colpevole ai loro occhi di rappre-
sentare la simbolica resistenza, in Medio Oriente, di quella civiltà
occidentale di cui auspicavano l’estinzione.
La Curia romana si dotò quindi, nel 1974, di una Commissione
per i rapporti religiosi con l’Islam, in seno al Segretariato Vaticano
per i rapporti con i non cristiani 212.

8. Compromesso sulla costituzione Dei Verbum

Lo schema De fontibus revelationis era stato ritirato nella prima


sessione, per intervento di Giovanni XXIII, e affidato a una specia-
le Commissione mista, presieduta dai cardinali Ottaviani e Bea,
che aveva messo a punto il nuovo schema De Divina revelatione, in-
viato ai Padri il 29 aprile 1963. Paolo VI lasciò che il Concilio ne di-
scutesse nella terza sessione, dal 30 settembre al 6 ottobre 1964, ma
le votazioni vennero rimandate all’ultima sessione. Il testo emen-
dato e ritoccato della Commissione dottrinale fu riesaminato dalla
stessa Commissione, sotto il diretto controllo di Paolo VI.
I due problemi principali riguardavano i rapporti tra Scrittura
e Tradizione e la storicità dei Vangeli. La sottocommissione, per ri-
spondere all’appello del Papa, proponeva di aggiungere la parola
“direttamente” all’affermazione secondo cui “non è possibile prova-
re l’intera dottrina cattolica con la Sacra Scrittura”. Sia il Biblicum che
padre Rahner si opposero decisamente a questo cambiamento e il
4 ottobre, nella quarta riunione, la Commissione decise di attener-
si alla formulazione originale senza la parola “direttamente” 213. De

212
Sui rapporti tra Chiesa cattolica e il mondo islamico dopo il Concilio Vaticano II,
cfr., tra l’altro, COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO, Cristianesimo e Islam. L’amicizia possibile,
Morcelliana, Brescia 1989; MAHMUT AYDIN, Modern Western Christian Theological Un-
derstandings of Muslims since the Second Vatican Council, Council for Research in Va-
lues and Philosophy, Washington DC 2002; MICHAEL LOUIS FITZGERALD, From Heresy
to Religion: Vatican II and Islam, in Europe and Islam: Evaluations and Perspectives at the
Dawn of the Third Millennium, a cura di MAHMOUD SALEM EL SHEIKH, Florence UNi-
versity Press, Firenze 2002.
213
Si veda la ricostruzione in J.W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, cit.,
pp. 284-285.
1965: LA QUARTA SESSIONE 491

Lubac 214 descrive l’acceso dibattito all’interno della Commissione


tra il “partito delle due fonti” della Rivelazione, guidato da Parente,
Ottaviani e Boyer, e quello degli oppositori, Butler, Schöffer, Henrí-
quez e McGrath. Prevalse il “Terzo Partito” (Colombo, Philips, Flo-
rit) a cui si deve il testo di compromesso che giunse in aula il 29 ot-
tobre 1965 215. Dopo lunghe discussioni e trattative si trovò una for-
mula che tanto la maggioranza della Commissione quanto il Papa
erano disposti ad accettare. “La Chiesa non trae la certezza di tutte le
verità rivelate dalle sole Scritture”.
Per quanto riguarda il punto della storicità dei Vangeli, il capi-
tolo V aveva avuto ben 313 placet iuxta modum dopo che, nello stes-
so capitolo, il paragrafo 19 aveva ricevuto 61 non placet 216. Il testo
affermava che “gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli (…) sempre
però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere”.
Paolo VI chiese che la veridicità dei Vangeli fosse difesa con la
formula “cose vere e degne di fede storica” da sostituire a “cose vere e
sincere”. Il dibattito, durante la seduta della Commissione dottri-
nale, portò ad emendare il paragrafo 19, già votato, in questi ter-
mini: “la santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con
ininterrotta costanza che i quattro Vangeli suindicati, dei quali afferma
senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio
di Dio (…) operò e insegnò” 217.
La Dei Verbum dichiara che “la Sacra Tradizione e la Sacra Scrittu-
ra sono strettamente fra loro congiunte e comunicanti” e costituiscono
“un solo sacro deposito della parola di Dio affidata alla Chiesa” (n. 10). Il
card. Vanhoye 218 definì “sorprendente” l’espressione scelta dal Con-
cilio per definire la Scrittura: “infatti, presa alla lettera, afferma che il
testo scritto è un atto del parlare, locutio” 219, un “atto vivente”, come lo
hanno definito Roger Schutz e Max Thurian 220; la Sacra Tradizione,

214
Cfr. DE LUBAC, Quaderni, pp. 847-848.
215
Cfr. CHRISTOPHE THEOBALD, La Chiesa sotto la parola di Dio, in SCV, vol. V, pp. 285-370.
216
Cfr. AS, IV/2, pp. 54-55.
217
Cfr. COD, p. 978.
218
Albert Vanhoye (1923-2006), francese, ordinato nel 1954 nella Compagnia di Ge-
sù, creato cardinale nel 2006.
219
ALBERT VANHOYE, La parola di Dio nella vita della Chiesa. La recezione della “Dei Ver-
bum”, in R. FISICHELLA (a cura di), Il Concilio Vaticano II, cit., p. 30 (pp. 29-45).
220
Cfr. R. SCHUTZ-M. THURIAN, La parole vivante au Concile, Presses de Taizé, Taizé
1996, p. 120.
492 IL CONCILIO VATICANO II

da parte sua, ha la funzione dinamica di “trasmettere” questa stes-


sa parola. Essa “trasmette la parola di Dio affidata agli apostoli da Cri-
sto Signore e dallo Spirito divino” (n. 9). L’impressione conclusiva è
quella di un testo quanto meno nebuloso.

9. Il Concilio e il comunismo: storia di una mancata condanna

a) Lo schema XIII e il comunismo

Nel dicembre del 1964, mons. Pierre Haubtmann 221, incaricato


di coordinare la nuova rielaborazione dello schema XIII, aveva
chiesto la collaborazione del salesiano Giulio Girardi 222 riguardo al
capitolo sull’ateismo. Nel febbraio 1965, ad Ariccia, al testo di
mons. Wojtyla, che chiedeva una più netta affermazione dei diritti
della Chiesa nella società, era stato preferito il testo di Girardi, che
suggeriva un più positivo approccio all’umanesimo marxista 223.
Girardi avrebbe poi lasciato il sacerdozio per divenire teorico e
protagonista di spicco della teologia della liberazione.
Quando mons. Haubtmann, in un’udienza concessagli il 16 feb-
braio, presentò al Papa la linea “aperta” e “dialogica” dello sche-
ma, che avrebbe dovuto evitare ogni condanna del comunismo,
Paolo VI lo incoraggiò a proseguire su questa linea: “Oui, – disse –
c’est à la fois délicat et indispensable” 224. Il nuovo testo, sottoposto al-
la discussione dell’aula conciliare tra il settembre e l’ottobre del
1965, non faceva alcun riferimento esplicito al comunismo. Una
condanna infatti, secondo i redattori del documento, avrebbe con-

221
Pierre Haubtmann (1912-1971), sacerdote francese, cappellano nazionale dell’Ac-
tion Catholique Ouvrière dal 1945 al 1962, peritus conciliare. Cfr. PHILIPPE BORDEY-
NE, La collaboration de Pierre Haubtmann avec les experts Belges, in The Belgian contri-
bution, pp. 585-610.
222
Giulio Girardi (1926), salesiano, ordinato nel 1955, professore in varie università,
consultore del Segretariato per i non credenti. Espulso dalla Congregazione sale-
siana e sospeso a divinis nel 1977. Di lui cfr. Marxismo e Cristianesimo, Cittadella, As-
sisi 1966; Credenti e non credenti per un mondo nuovo, Cittadella, Assisi 1969.
223
Cfr. G. TURBANTI, Il problema del comunismo al Concilio, cit., pp. 169-173; ID., Un con-
cilio per il mondo moderno, cit., pp. 505-521.
224
Ivi, p. 172.
1965: LA QUARTA SESSIONE 493

trastato col carattere pastorale del Vaticano II e costituito un osta-


colo al “dialogo” con i regimi comunisti. Nella discussione ritornò
però, da parte di numerosi Padri, insoddisfatti dello schema, la ri-
chiesta di una chiara condanna del comunismo 225.
Il 27 settembre, il patriarca libanese Maximos IV Saigh 226 sostenne
che per salvare l’umanità dall’ateismo bisognava, anziché condanna-
re il marxismo, denunciare piuttosto le cause che provocano il co-
munismo ateo, proponendo “una mistica dinamica e una vigorosa mo-
rale sociale e dimostrando che è in Cristo la sorgente dello sforzo dei lavora-
tori verso la loro vera liberazione” 227. “Noi sappiamo tutti – aggiunse – che
molti di quelli che si dicono atei non sono in realtà contro la Chiesa, ve n’è
che sono molto vicini. Essi cercano in verità, come Paolo VI ha detto, una
più viva presentazione di Dio, una religione in accordo con l’evoluzione sto-
rica dell’umanità e soprattutto una Chiesa che sostenga non soltanto i pove-
ri, ma lo sforzo di solidarietà dei poveri”. “Dimostriamo – culminò il pa-
triarca – che il vero socialismo è il Cristianesimo, integralmente vissuto nel-
la giusta spartizione dei beni e nella fondamentale eguaglianza di tutti” 228.
Il cardinale jugoslavo Seper 229 si mostrò contrario a una con-
danna dell’ateismo comunista, affermando che una parziale re-
sponsabilità dell’ateismo moderno andava attribuita a quei cristia-
ni che con pertinacia continuavano a difendere l’ordine stabilito e
l’immutabilità delle strutture sociali. “Perciò proclamiamo chiara-
mente che quel rigido conservatorismo e quell’immobilismo che alcuni
non cessano di attribuire alla Chiesa cattolica, è alieno dal vero spirito
evangelico” 230. Più esplicito ancora fu il card. König 231, che invitò i
cattolici, nei Paesi soggetti al comunismo, a rendere testimonianza
al Dio Vivente collaborando sinceramente al progresso economico
e sociale del Regime, per dimostrare che dalla religione possono
scaturire energie maggiori che non dall’ateismo 232.

225
Sulla discussione, cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., pp. 38-45.
226
AS, IV/2, pp. 451-454.
227
Ivi, p. 451.
228
Ivi, p. 452.
229
Ivi, pp. 435-437.
230
Ivi, p. 436.
231
Ivi, pp. 454-456.
232
Ivi, p. 455.
494 IL CONCILIO VATICANO II

Clemente Riva 233, su “L’Avvenire d’Italia” del 28 settembre, e


René Laurentin su “Le Figaro” del 29, sottolineavano soprattutto le
ragioni espresse dal card. König: le radici dell’ateismo vanno ri-
cercate all’interno del Cristianesimo perché la colpa è di quei cri-
stiani che non hanno una giusta nozione di Dio e un’esatta imma-
ginazione dell’uomo e si sottraggono al dovere di dialogare con il
mondo.
Padre Pedro Arrupe 234, nuovo superiore generale della Compa-
gnia di Gesù, esordì in Concilio affermando che la Chiesa, dopo
duemila anni, non aveva ancora trovato i modi efficaci per difende-
re il suo messaggio: occorreva rivedere i metodi pastorali contrap-
ponendo all’ateismo la testimonianza di una comunità cristiana non
isolata o quasi chiusa in un ghetto, ma immersa nel mondo 235.
Numerose furono però le voci contrarie, come quella di mons.
de Castro Mayer 236 e di altri presuli come il cardinale italiano Er-
menegildo Florit 237 e il gesuita cecoslovacco mons. Pavel Hnilica 238,
vescovo titolare di Rusado, in Cecoslovacchia, ordinato in clande-
stinità e da poco giunto in Occidente.
Mons. Hnilica esordì affermando che ciò che lo schema diceva
sull’ateismo era così poco “che dire soltanto quello è lo stesso che dire
niente”. Aggiunse che una larga parte della Chiesa soffre “sotto l’op-
pressione dell’ateismo militante, ma ciò non si ricava dallo schema che
pure vuole parlare della Chiesa nel mondo odierno!”. “La storia ci accu-
serà giustamente di pusillanimità o di cecità per questo silenzio”, prose-
guì l’oratore, ricordando che egli non parlava in astratto, poiché

233
Clemente Riva (1922-1999), rosminiano, ordinato nel 1951, vescovo titolare di
Atella nel 1975, vescovo ausiliare di Roma dal 1975 al 1998.
234
Pedro Arrupe (1907-1991), gesuita spagnolo, ordinato nel 1936, eletto il 22 mag-
gio 1965. Preposito Generale della Compagnia di Gesù, carica che mantenne fino al
1983. Cfr. BARTOLOMEO SORGE, Arrupe, in DHCJ, pp. 1697-1705.
235
AS, IV/2, pp. 481-484. Si veda anche CAPRILE, vol. V, pp. 106-1109.
236
Ivi, pp. 371-373. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Lucida e relevante intervenção do bispo-dio-
cesano no Concilio, in “Catolicismo”, n. 179 (1965), p. 8.
237
AS, IV/2, pp. 456-460.
238
Pavel Hnilica (1921-2006), gesuita slovacco, ordinato clandestinamente sacerdote
(1950) e vescovo (1951) da mons. Robert Pobozny (1890-1972), vescovo di Roznava.
Nel dicembre del 1951 fu costretto ad abbandonare la Cecoslovacchia e a riparare
in Occidente. Il 13 maggio 1964 Paolo VI rese pubblica la sua dignità episcopale e
mons. Hnilica poté partecipare tra i Padri alle rimanenti sedute del Concilio.
1965: LA QUARTA SESSIONE 495

era stato in un campo di concentramento e di lavoro con 700 preti


e religiosi. “Parlo per mia diretta esperienza e per quella dei preti e reli-
giosi conosciuti in prigione e con i quali ho sopportato i pesi e i pericoli
della Chiesa” 239.
L’arcivescovo Florit suggerì che il Concilio affermasse in modo
univoco (verbis univocis) che l’indole ateistica del materialismo dia-
lettico non è accidentale. Essendoci dei cattolici i quali ritengono
assurdamente di poter aderire alla dottrina economica del sistema
marxista, senza per questo accettarne l’ateismo, è necessario che il
Concilio affermi l’impossibilità di questa distinzione.
Anche per mons. Elko 240, vescovo di Pittsburgh dei Ruteni (Sta-
ti Uniti), occorreva parlare “del materialismo dialettico come della pe-
ste dell’odierna società e condannarlo come si deve, perché i secoli futuri
non abbiano a considerarci responsabili di timore e pusillanimità, se solo
indirettamente avremo trattato di esso” 241.
Con parole analoghe si espresse mons. Rusnack 242, vescovo au-
siliare di Toronto per gli ucraini nel Canada: “Sarebbe uno scandalo
ed un atto di pusillanimità se un Concilio del ventesimo secolo trascu-
rasse di denunciare di fronte all’opinione pubblica gli errori e le menzo-
gne del comunismo” 243.
Nella 138a Congregazione generale del 29 settembre 1965, si
levò la voce del card. Josef Slipyi, arcivescovo maggiore dell’U-
craina in URSS: “In aula – disse – si è parlato dell’ateismo, secondo il
concetto occidentale, ma molti oratori sembrano ignorare l’esistenza in
Oriente di Paesi dove esso è eretto a sistema e si adoperano tutti i modi
per estirpare la Chiesa cattolica ed ogni altra religione. E ciò non è un se-
greto per nessuno” 244.
“Ogni qual volta si è riunito un Concilio Ecumenico – affermò a sua
volta il card. Antonio Bacci – ha sempre risolto i grandi problemi che si

239
AS, IV/2, pp. 629-631.
240
Nicholas Thomas Elko (1909-1991), statunitense, ordinato nel 1934. Vescovo di
Pittsburgh dei Ruteni dal 1955 al 1967.
241
AS, IV/2, p. 480 (pp. 480-481).
242
Michael Rusnak c.ss.r. (1921-2003), ucraino, ordinato nel 1949, vescovo ausiliare
di Toronto e vescovo titolare di Zternicus nel 1964, vescovo dei Santi Cirillo e Me-
todio di Toronto nel 1980.
243
AS, IV/2, pp. 639-642.
244
AS, IV/3, p. 107 (pp. 106-110).
496 IL CONCILIO VATICANO II

agitavano in quel tempo e condannato gli errori di allora. Il tacere su que-


sto punto credo che sarebbe una lacuna imperdonabile, anzi un peccato col-
lettivo. (...) Questa è la grande eresia teorica e pratica dei nostri tempi; e se
il Concilio non si occupa di essa, può sembrare un Concilio mancato!” 245.

b) Il misterioso insabbiamento dell’appello anticomunista

Il 7 ottobre 1965 fu chiusa la discussione sullo schema di costitu-


zione Gaudium et Spes. Il venerdì 8 ottobre, mons. Felici comunicò
che i Padri potevano presentare per iscritto osservazioni sullo sche-
ma fino al giorno seguente. Il Coetus Internationalis Patrum preparò
una petizione in cui si chiedeva che “(...) dopo il paragrafo n. 19 dello
schema La Chiesa nel mondo contemporaneo, che tratta il problema
dell’ateismo, venga aggiunto un nuovo e confacente paragrafo che tratti
espressamente il problema del comunismo” 246. Se il Vaticano II ha un ca-
rattere eminentemente pastorale, affermava la petizione, “quale altro
problema è più pastorale di questo: impedire che i fedeli diventino atei at-
traverso il comunismo?”. Se il Concilio avesse taciuto su un problema
di tale portata, questo silenzio, nella mente dei fedeli, sarebbe equi-
valso “ad una tacita abrogazione di tutto quanto gli ultimi Sommi Ponte-
fici hanno detto e scritto contro il Comunismo”. L’esistenza dei pronun-
ciamenti di tanti Papi non è un motivo per ignorare il problema, per-
ché “maggiore forza ed efficacia all’argomento viene dato dal consenso so-
lenne di tutto il Concilio”; né “può accadere che i cristiani della Chiesa del
Silenzio abbiano in futuro maggiore sofferenza di quella che hanno ora” 247.
Ed ecco ora, in traduzione italiana, l’intero emendamento
proposto:

245
AS, IV/2, pp. 669-670.
246
Il testo della petizione in AS, IV/2, pp. 898-900. Si veda la ricostruzione di tutta
la vicenda in Il comunismo e il Concilio Vaticano II, di mons. L. M. CARLI, nel volume
di don GIOVANNI SCANTAMBURLO, Perché il Concilio non ha condannato il comunismo?
Storia di un discusso atteggiamento, L’Appennino, Roma 1967, pp. 177-240; cfr. anche
CAPRILE, vol. V, pp. 119-121, 402-411; A. WENGER, Vatican II, cit., Quatrième session,
pp. 147-173; WILTGEN, pp. 272-278; V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., pp. 45-68.
G. TURBANTI, Il problema del comunismo al Concilio, cit., pp. 173-186; P. LEVILLAIN, La
mécanique politique, cit., pp. 343-360.
247
G. F. SVIDERCOSCHI, op. cit., pp. 604-605.
1965: LA QUARTA SESSIONE 497

“Specimen dell’aggiunta proposta. Dopo il n. 19, da emendarsi secondo i


suggerimenti dati dai Padri, si aggiunga il seguente nuovo numero. N. 19
bis (Il problema del comunismo). Qualunque forma di ateismo, poiché con-
traria alla dottrina della Chiesa, si deve respingere. Ma la forma che già dal
secolo scorso fino ai giorni nostri esercita il più grande influsso a danno dei
fedeli cristiani, nonché dei seguaci di qualsiasi religione, e perciò rende
preoccupati i Pastori della Chiesa, è quella che sotto il nome di socialismo
marxista o comunismo ampiamente si diffonde e, col pretesto del progres-
so economico e sociale, inganna miserevolmente moltissime persone.
Infatti il comunismo dalla negazione dell’esistenza di Dio e di ogni ordi-
ne religioso, soprattutto soprannaturale, per logica necessità comprovata
dalla storia, è portato a scalzare in molti modi gli stessi principi fonda-
mentali dell’ordine naturale. Ed invero, per restringerci soltanto ai più
importanti, esso nega la spiritualità e immortalità dell’anima dell’uomo;
ricusa la vera libertà, specialmente in materia religiosa; viola in molti
punti la genuina dignità della persona, della famiglia e dell’unione co-
niugale; non riconosce alcuna norma stabile e immutabile della legge mo-
rale e del diritto ma, per lui, giusto e morale è soltanto tutto ciò che è uti-
le alla dittatura del proprio partito (cfr. l’intervento del card. Wyszyński
del 20 settembre 1965); non ammette il diritto di proprietà privata; con-
sidera la lotta tra le classi sociali come un mezzo necessario per il conse-
guimento dei beni terrestri; ha dello Stato una concezione così totalitaria
che quasi nessun degno posto è riconosciuto ai singoli individui o alle so-
cietà intermedie.
Per tutte queste ragioni il comunismo è da respingersi non soltanto per-
ché è inficiato dalla peste dell’ateismo, ma anche a motivo dei predetti gra-
vissimi errori, dichiarato intrinsecamente perverso dal Magistero della
Chiesa (cfr. Enciclica Divini Redemptoris).
Per un motivo ancor più grave la dottrina del comunismo è da stimarsi
perniciosa, perché specialmente ai tempi nostri, in moltissimi luoghi, vie-
ne messa in pratica dalle autorità civili e politiche mediante l’uso di ogni
mezzo, e così essa si propaga e viene imposta sia con la violenza sia con
l’astuzia. Ne deriva che, rimanendo conculcati dal comunismo i diritti di
Dio e i diritti dell’uomo, la stessa Chiesa Cattolica, la quale non può am-
mettere quella dottrina e quella prassi, viene ingiustamente impedita nel-
l’esercizio della sua divina missione, e nei suoi membri viene sottoposta a
tristissima persecuzione.
498 IL CONCILIO VATICANO II

Per questi motivi la Chiesa Cattolica, spinta da una così grande rovina
delle anime, mai ha cessato dall’allontanare i fedeli cristiani dalle dottri-
ne e dalla prassi del comunismo, anche con ripetute condanne e moniti.
Anche oggi essa si sente obbligata dal suo gravissimo dovere pastorale a
pronunziare il medesimo giudizio per mezzo del Concilio Ecumenico.
Mentre tutt’intera è compartecipe dei patimenti dei suoi membri che sof-
frono in vari modi della persecuzione da parte del comunismo, essa solen-
nemente conferma le verità sia rivelate sia naturali impugnate dal comu-
nismo. Ardentemente scongiura i suoi figli, anzi tutti gli uomini di onesta
coscienza, affinché non si lascino ingannare dalla fallace speranza di poter
lecitamente accordare la loro fede religiosa coi dettami del comunismo,
nemmeno in campo economico o sociale. La Chiesa proclama che la via del
vero progresso non sta nelle dottrine e nella prassi del comunismo, come
già risulta anche dalla lacrimevole esperienza di parecchi popoli, ma nei sa-
ni principi politici conformi alla legge divina sia naturale sia positiva.
Infine esorta tutti i responsabili affinché, per mezzo della giustizia e della
carità, siano eliminate quelle inique condizioni della convivenza civile
che, purtroppo, spianano la strada al comunismo” 248.

I motivi che in un foglio annesso venivano elencati per indurre


i Padri conciliari ad aderire alla richiesta di un nuovo paragrafo sul
problema del comunismo erano di ordine positivo e negativo. Tra
le “ragioni positive” si ripeteva che se “il Concilio Vaticano II ha un
carattere eminentemente pastorale”, “si trova forse un problema più pa-
storale di questo: impedire che i fedeli diventino atei attraverso il comu-
nismo? Moltissimi, infatti, credono di poter aderire al comunismo perché
non sono atei” 249. Tra le ragioni negative che, da un opposto punto
di vista, esigevano l’aggiunta richiesta:

“1) Se il Concilio tacesse sul comunismo, questo silenzio, nella mente dei
fedeli, equivarrebbe, per una ingiusta sì ma fatale conseguenza, ad una ta-
cita abrogazione di tutto quanto gli ultimi Sommi Pontefici hanno detto
e scritto contro il comunismo, nonché delle condanne più volte irrogate

248
Testo italiano in L. M. CARLI, Il comunismo e il Concilio Vaticano II, cit., pp. 217-218.
Il testo integrale latino dell’emendamento si trova pubblicato nel Bollettino Diocesa-
no di Segni, dicembre 1965, pp. 97-98.
249
L. M. CARLI, Il comunismo e il Concilio Vaticano II, cit., pp. 222-223.
1965: LA QUARTA SESSIONE 499

dal S. Offizio. Il danno psicologico che ne verrebbe, nonché il disprezzo


per il Magistero della Chiesa, sarebbe di immensa gravità. Inoltre la Chie-
sa potrebbe venir facilmente accusata di opportunismo, di maggiore solle-
citudine per i giudei che non per i cristiani sottoposti a persecuzione.
2) Il comunismo ardentemente brama e attende un silenzio del Concilio: e ciò
ha certamente un significato di grande rilievo. Non v’è dubbio che il comu-
nismo, attraverso un’ingente opera di propaganda, volgerebbe a suo favore il
silenzio del Concilio, con una lacrimevole confusione di idee presso i fedeli.
3) Come, certamente del tutto a torto, si accusa da taluni Pio XII di v.m.
di silenzio verso le vittime del nazismo, così, dopo il Concilio, a buon di-
ritto si accuserebbe il Collegio Episcopale di silenzio verso le vittime del
comunismo” 250.

c) La petizione scompare

All’invito del Coetus Internationalis Patrum risposero in un pri-


mo tempo 334 Padri, le cui petizioni, su altrettanti fogli separati e
debitamente firmati, furono recate a mano dai vescovi de Proença
Sigaud e Lefebvre alla Segreteria Generale del Concilio, in via Serri-
stori 10, a mezzogiorno del 9 ottobre 1965, ultimo giorno utile per la
presentazione degli emendamenti 251. A queste 334 vanno aggiunte
altre 71 nuove adesioni giunte in ritardo e presentate alla Segreteria
Generale una decina di giorni dopo, nonché altre 30 adesioni giunte
al Coetus ai primi di novembre, ma non presentate perché troppo in
ritardo 252. Anche, questi due ultimi gruppi di adesioni vanno calco-
lati, perché la data del 9 ottobre era bensì preclusiva dell’accettazio-
ne di nuovi emendamenti, ma non preclusiva dell’accettazione di
nuove adesioni ad emendamenti presentati in tempo utile.
L’appello, dunque, fu raccolto complessivamente da 435 Padri
conciliari: numero cospicuo se si considera che: a) l’invito non fu
esteso a tutti e singoli i Padri conciliari, anche per la difficoltà del
recapito a domicilio, trovandosi essi sparsi in cento luoghi diversi;

250
Ivi, pp. 223-224. Testo latino, in AS, IV/2, p. 900.
251
Cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., p. 46.
252
I numeri esatti risultano, tra l’altro, da una copia di mons. de Proença Sigaud con-
servata presso l’archivio di Ecône (E 02-11-002).
500 IL CONCILIO VATICANO II

b) tanto era il lavoro dei Padri in quei giorni, ultimo scorcio del
Concilio, e tanta la stampa che ricevevano da ogni parte, che è le-
cito pensare che molti non abbiano avuto l’opportunità di prestare
attenzione all’appello.
La petizione giunse il lunedì 11 ottobre nelle mani di mons.
Achille Glorieux 253, Segretario della Commissione mista responsa-
bile della preparazione e della revisione dello schema sulla Chie-
sa nel mondo moderno, nonché corrispondente romano del quo-
tidiano cattolico francese “La Croix”. Questi, però, non la trasmi-
se alle Commissioni che stavano lavorando sullo schema, con il
pretesto di non volerne intralciare il lavoro. L’istanza era stata sot-
toscritta da ben 454 presuli di 86 Paesi che rimasero stupefatti
quando, il sabato 13 novembre, ricevettero il nuovo testo in aula,
senza alcun accenno alle loro richieste. “Il fatto che un solo uomo ab-
bia potuto impedire a un documento così significativo di raggiungere la
Commissione conciliare alla quale era ufficialmente diretto è una delle
grandi tragedie del Concilio Vaticano Secondo e potrebbe passare alla
storia come lo scandalo maggiore che ha pregiudicato le gravi delibera-
zioni di questa sacra assemblea”, commentò sulla agenzia “Divine
Word” il padre Wiltgen 254.
La gravissima colpa di mons. Glorieux è evidente. Non si può
ammettere la sua buona fede, ma è lecito anzi supporne il dolo.
Come immaginare, inoltre, che egli abbia deciso di insabbiare la
petizione senza consultarsi con qualcuno? E con chi? Sembra da
escludere, come vedremo più avanti, che possa trattarsi di mons.
Felici, Segretario del Concilio. Più logico immaginare che si trat-
tasse del card. Tisserant.
Lo stesso 11 ottobre, mons. Carli indirizzò alla presidenza del
Concilio una lettera di protesta, denunciando l’arbitrio della Com-
missione che aveva ignorato un documento di così grande porta-
ta 255. Mons. Glorieux affermò, falsamente, che il testo del Coetus
era giunto alla Commissione oltre il tempo stabilito per la presen-

253
Achille Glorieux (1910-1999), francese, ordinato nel 1934. Peritus conciliare, Se-
gretario del Pontificio Consiglio per i Laici (1966), poi arcivescovo titolare di Be-
verley (1969), pro-nunzio in Egitto (1973-1984).
254
Cfr. “Divine World Service”, 23 novembre 1964.
255
Cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., pp. 53-54.
1965: LA QUARTA SESSIONE 501

tazione, ma fu smentito dallo stesso Segretario del Concilio mons.


Felici 256. Malgrado le proteste, nella Congregazione generale del
15 novembre, mons. Garrone, relatore della Commissione per lo
Schema della costituzione conciliare, affermò che il “modo di pro-
cedere” della Commissione concordava con lo “scopo pastorale” del
Concilio, con la “volontà espressa” di Giovanni XXIII e di Paolo VI
e col tenore delle discussioni che su questo argomento si erano
avute in aula 257. Mons. Carli presentò allora un ricorso, che fece
conoscere alla stampa. Il regolamento prevedeva infatti che tutti
gli emendamenti, anche quelli non inclusi nel testo dello schema,
fossero comunque stampati e fatti conoscere all’assemblea. La pe-
tizione dei 454 vescovi era invece misteriosamente scomparsa.
In quello stesso giorno, mons. Felici inviò al Papa un appunto
sul ricorso di mons. Carli 258. Nel pomeriggio, il Papa fece trasmet-
tere a mons. Felici la seguente Nota:

“15-XI-65
Si conserva o si ritira il ricorso?
1) È stata illegale la condotta della Commissione mista?
2) Dopo l’intervento “iuxta modum” la tesi dei ricorrenti sarebbe por-
tata a conoscenza dei Padri con le relative osservazioni.

A) È prudente?
se respinto: il Concilio sembra aver rifiutato la condanna del comunismo
già condannato
se approva: quale la sorte dei cattolici nei Paesi comunisti?

B) È coerente con gli impegni del Concilio?


- di non entrare in temi “politici”
- di non pronunciare anatemi
- di non parlare di comunismo (1962)” 259.

256
Cfr. G. TURBANTI, Il problema del comunismo, cit., p. 180.
257
Cfr. G. F. SVIDERCOSCHI, op. cit., p. 607.
258
Cfr. ASV, Conc. Vat. II, Busta 343, Segreteria generale sett- nov. 1965, Appunto di
mons. Felici del 15 novembre, 2 ff.
259
Ivi, Appunto di Paolo VI, 1 f.
502 IL CONCILIO VATICANO II

L’ultimo punto va sottolineato, perché appare come la confer-


ma dell’“impegno” preso dal Vaticano con il governo sovietico di
non condannare in alcuna forma il comunismo. Era questa la con-
dizione richiesta dal Cremlino per permettere la partecipazione di
osservatori del patriarcato di Mosca al Vaticano II. Il fatto che que-
sto compromesso fosse “ufficioso” e non “ufficiale”, nulla toglie al-
la sua realtà.
La mattina del 16 novembre, mons. Felici, secondo le istruzioni
ricevute, ebbe un nuovo incontro con mons. Carli che insisté per-
ché il Concilio ribadisse in qualche modo, la condanna del comu-
nismo. Mons. Felici, riferendo dell’incontro al Papa, confermò che
l’emendamento era stato presentato regolarmente e la Commissio-
ne avrebbe dovuto tenerne conto 260. Con una successiva nota del 20
novembre, mons. Felici ripeté al Papa che il ricorso di mons. Carli
appariva fondato e l’irregolarità procedurale non poteva giustifi-
carsi con il ritardo di presentazione dell’istanza 261.
Il 23 novembre, l’agenzia di padre Wiltgen diffuse un lungo co-
municato sulla vicenda. Lo scandalo era ormai esploso sulla stam-
pa. Paolo VI, a questo punto, fece indire dal Sostituto della Segre-
teria di Stato, mons. Dell’Acqua, una riunione ristretta per affron-
tare il problema. Il 26 novembre, nello studio del Papa al terzo pia-
no del Palazzo Apostolico, convennero i cardinali Tisserant e Cico-
gnani, e i monsignori Garrone, relatore dello schema sulla Chiesa,
Felici, Segretario del Concilio, e Dell’Acqua. Prima che avesse ini-
zio la riunione, il cardinale Tisserant aveva consegnato al Papa una
lettera in cui affermava tra l’altro:

“Gli anatemi non hanno mai convertito nessuno e se furono utili nel tem-
po del Concilio di Trento, quando i prìncipi potevano costringere i loro
soggetti a passare al protestantesimo, non servono più oggi che ognuno ha
il senso della sua indipendenza. Come lo dissi già a Vostra Santità, una
condanna conciliare del comunismo sarebbe considerata dai più come una

260
Cfr. Ivi, nota di mons. Felici sul ricorso presentato da mons. Carli, in cui rico-
struisce l’intera vicenda (3 ff.).
261
Cfr. ASV, Conc. Vat. II, Busta 343, appunto di mons. Felici del 20 novembre 1965,
3 gff.; cfr. anche AS, IV/6, p. 445.
1965: LA QUARTA SESSIONE 503

mossa di carattere politico, ciò che porterebbe un danno immenso all’au-


torità del Concilio e della stessa Chiesa” 262.

La riunione fu presieduta dal Papa che, dopo aver letto la lette-


ra del card. Tisserant, espose brevemente lo “status quaestionis”.
Due erano le questioni: di metodo e di merito. Nel metodo emerse-
ro le irregolarità non solo di mons. Glorieux, che non aveva tra-
smesso la petizione al Consiglio di Presidenza, ma dello stesso Con-
siglio, presieduto dal card. Tisserant, che non aveva preso in consi-
derazione il ricorso di mons. Carli. Il card. Tisserant diede l’incre-
dibile giustificazione di non aver convocato il Consiglio di Presi-
denza per l’esame del ricorso, perché il card. Wyszyński, membro
dello stesso Consiglio, era molto fermo nella sua idea contro il co-
munismo 263. Nel merito, d’altra parte, tutti i presenti concordavano
con la posizione di Tisserant e dello stesso Paolo VI, secondo cui
non era opportuno che il Concilio rinnovasse espressamente la con-
danna del comunismo. Rivolgendosi a mons. Glorieux, che veniva
presentato all’opinione pubblica come l’unico responsabile dell’ac-
caduto, e che in un promemoria cercava di alleggerire le sue re-
sponsabilità, il card. Tisserant gli scriveva il 4 dicembre: “La vostra
responsabilità non sarà caricata oltre misura dagli storici del Concilio. Co-
loro che sono stati messi al corrente perdonino la vostra dimenticanza” 264.
Il testo fu di nuovo emendato secondo i modi presentati dai Pa-
dri ed esaminato dalla competente Commissione mista del Conci-
lio. La sezione riguardante l’ateismo (nn. 19-21) restò sostanzial-
mente immutata. Tra i pochi emendamenti accolti il più significa-
tivo si trova nel n. 21, dove si dice:

“La Chiesa (…) non può fare a meno di riprovare, come prima d’ora ha ri-
provato, con tutta fermezza e con dolore, tali perniciose dottrine ed azio-
ni che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini
e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza” 265.

262
ASV, Conc. Vat. II, Busta 34, Tisserant a Paolo VI, Roma 26 novembre 1965, f. 1.
Cfr. anche V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., p. 58.
263
Cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., p. 59.
264
Cit. in V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., pp. 61-62.
265
AS, IV/7, p. 247.
504 IL CONCILIO VATICANO II

La Commissione seguì dunque la linea indicata dagli organi


direttivi del Concilio, nella riunione ristretta del 26 novembre pre-
sieduta dal Papa. Venne riconosciuta l’irregolarità procedurale,
ma si escluse la mala fede di mons. Glorieux. Per quanto riguarda
il merito, gli emendamenti e i corrispondenti modi per la menzio-
ne e la condanna del comunismo non venivano accolti. Era chiaro
che non si trattava di un incidente fortuito, ma di una precisa vo-
lontà di evitare una condanna del comunismo, per rispettare gli
accordi intervenuti nel 1962 con il governo sovietico. Mons. Car-
bone ha sostenuto che negli archivi del Concilio non risulta trac-
cia di un accordo di questo genere 266, ma nell’appunto citato del 15
novembre, che lo stesso Carbone riporta 267, Paolo VI aveva men-
zionato esplicitamente tra “gli impegni del Concilio” anche quello di
“non parlare di comunismo”, apponendo tra parentesi la data
“1962” con evidente riferimento non all’indirizzo pastorale del
Concilio, ma alle trattative svoltesi in quell’anno tra il card. Tisse-
rant e il metropolita Nikodim 268.

d) Protesta dei Padri conciliari contro il pacifismo dello schema XIII

Connesso al tema del comunismo era quello della pace e della


guerra, su cui esistevano divergenze tra i Padri conciliari. Il 17 no-
vembre, su questo punto dello schema XIII l’esito delle votazioni
aveva dato 45 non placet e 523 placet iuxta modum.
L’arcivescovo di New Orleans, Philip Hannan 269, si fece promo-
tore di un “modo”, largamente diffuso tra i Padri, per chiedere che
fossero emendati i paragrafi 84 e 85 (80 e 81 della redazione defi-
nitiva) in cui si diceva che ogni uso di armi nucleari era assoluta-

266
Cfr. V. CARBONE, Schemi e discussioni, cit., pp. 67-68.
267
Cfr. Ivi, p. 55.
268
ANTONIO SOCCI ha giustamente rilevato l’importanza dell’appunto del 15 novem-
bre in Le prove del patto scellerato tra il Vaticano e il Cremlino, in “Libero”, 21 gennaio
2007, e Le riunioni e i messaggi che provano il patto Vaticano-Urss ai tempi di Paolo VI, in
“Libero”, 23 gennaio 2007.
269
Philip Matthew Hannan (1913-1988), ordinato nel 1939, vescovo ausiliare di Wa-
shington e vescovo titolare di Hieropolis nel 1956, arcivescovo di New Orleans dal
1965 alla morte.
1965: LA QUARTA SESSIONE 505

mente illecito. In una dichiarazione rilasciata all’Agenzia del Ver-


bo Divino, mons. Hannan, riferendosi alla minaccia sovietica, af-
fermava che “il paragrafo 85 ignora il fatto che il possesso delle armi nu-
cleari da parte di alcune nazioni ha protetto vaste aree del mondo da una
possibile aggressione. La protezione di queste aree sarebbe molto incerta
se non ci fossero armi nucleari” 270.
Quando si vide che il nuovo testo non conteneva nulla di so-
stanzialmente diverso dal precedente, dieci Padri conciliari distri-
buirono una lettera circolare tradotta in diverse lingue in cui si ri-
badiva che “la difesa di una larga porzione dell’umanità dall’aggressio-
ne non è un delitto da condannare ma, all’opposto un grande servizio re-
so ad essa”.

“La causa della guerra e dei dissensi è l’ingiustizia e non già il possesso
di armi scientifiche (ad es. la causa della Seconda Guerra Mondiale non
fu il possesso di armi da parte di alcune nazioni, ma l’ingiustizia). Il ve-
ro rimedio contro la guerra e i dissensi sta nello sradicare l’ingiustizia e
assicurare la pace fondata sulla libertà e giustizia. L’affermare che le armi
scientifiche causano la guerra è altrettanto illogico, come affermare che la
legge e la polizia in una città sono le cause dei delitti e dei disordini della
città stessa. La inclusione di queste affermazioni e idee nello schema sarà
certamente dannosa alla causa della libertà nel mondo” 271.

Il primo dei dieci firmatari era il cardinale di New York Francis


Spellman. La loro posizione era quella di Pio XII che, pronuncian-
dosi sull’uso di armi nucleari, chimiche e batteriologiche, ne aveva
ammesso l’uso come estremo mezzo di legittima difesa, di fronte
ad una aggressione ingiusta con gli stessi mezzi 272. Il 3 dicembre, il
Coetus Internationalis rivolse un ultimo appello ai Padri conciliari

270
CAPRILE, vol. V, p. 494.
271
Ivi, p. 496.
272
Cfr. PIO XII, Allocuzione del 19 ottobre 1953, in DRM, vol. XV, pp. 417-428; di-
scorso del 30 settembre 1954, in DRM, vol. XVI, pp. 167-169. La posizione di Pio XII
venne confermata da moralisti come il padre EBERHARD WELTY o.p. (Catechismo so-
ciale, tr. it. Paoline, Francavilla (Chieti) 1966, p. 388); JOHANNES MESSNER (Ética social,
política y económica a la luz del derecho natural, Rialp, Madrid 1967, pp. 777-880). Per
una attualizzazione del tema, cfr. R. DE MATTEI, Guerra santa, guerra giusta. Islam e
Cristianesimo in guerra, Piemme, Casale Monferrato 2001.
506 IL CONCILIO VATICANO II

affinché votassero contro l’intero schema perché nessun accenno vi


era fatto al comunismo e per la posizione equivoca del documento
sui fini del matrimonio, sull’obiezione di coscienza, sulla guerra
totale 273.

10. Le ultime sessioni pubbliche

A partire dal 6 ottobre, dopo la relazione introduttiva di mons.


Romolo Compagnone, vescovo di Anagni, si era iniziato a discute-
re sul rinnovamento della vita religiosa. L’8 ottobre, lo schema fu
approvato con 2126 placet e 13 non placet, su 2142 votanti, dopo che
tutte le votazioni parziali dei giorni precedenti erano state positi-
ve. Il testo sulla formazione sacerdotale e la dichiarazione sull’e-
ducazione cristiana furono approvati nelle Congregazioni genera-
li dall’11 al 15 ottobre. All’interno dell’assemblea non mancavano i
Padri contrari all’obbligatorietà del celibato. Il 12 ottobre il Papa,
con una lettera inviata al card. Tisserant, chiese al Concilio di non
discutere sul celibato ecclesiastico, affermando che questa legge
“antica, sacra e provvidenziale” non solo doveva essere conservata,
ma rafforzata 274.
Il 17 ottobre, pochi giorni dopo la votazione finale del docu-
mento sulla formazione sacerdotale, il card. Ruffini scrisse a Paolo
VI per lamentare gli scarsi riferimenti al Magistero tradizionale e
alla dottrina di san Tommaso nella formazione del Clero. “Provo,
Beatissimo Padre, profonda amarezza nel rilevare che si trascurano gli in-
segnamenti di tale Magistero, impartiti particolarmente nelle Encicliche
Papali. Se non vengono ascoltati i Papi del passato, è da temere che si con-
tinuerà a fare lo stesso in avvenire” 275.
A conclusione del dibattito sullo schema riguardante la vita e il
ministero sacerdotale, il 26 ottobre, presero la parola i vescovi Foley 276

273
Testo in CAPRILE, vol. V, p. 497.
274
AS, IV/1, p. 40.
275
AS, V/3, pp. 447-448.
276
AS, IV/5, pp. 188-191. Brian Charles Foley (1910-1999), inglese, ordinato nel 1937,
vescovo di Lancaster nel 1962.
1965: LA QUARTA SESSIONE 507

(Lancaster), Fares 277 (Catanzaro), Pechuán 278 (Cruz del Eje), Compa-
gnone 279 (Anagni). Per Foley nello schema sarebbe stato necessario
un riferimento all’abbigliamento del clero: le vesti fossero pure di-
verse nei diversi luoghi, ma tutte dovevano essere distintive di uno
stato particolare; Fares si soffermò su di una carenza del testo, cioè
sul silenzio che esso manteneva sul sacramento della penitenza; Pe-
chuan avrebbe voluto un più chiaro riferimento alle relazioni che le-
gano i sacerdoti a Maria, Madre dei sacerdoti; Compagnone, a nome
di 85 padri, avrebbe auspicato la presenza nello schema di un più
esplicito appello alla santità sacerdotale.
L’ultimo discorso fu quello dell’arcivescovo Pellegrino 280. Quel
giorno il padre Congar annotò nel suo Diario: “A poco a poco uscia-
mo dall’era di Pio IX e Pio XII (qui accostati solo per il loro aspetto di ri-
fiuto del mondo com’esso è). Tutto è coerente: l’azione del Concilio anche
se poco premeditata e per quanto condotta (umanamente) è straordinaria-
mente coerente. Voltiamo pagina dall’agostinismo e dal Medioevo” 281.
Nei corridoi del Concilio alcuni cardinali cominciavano a girare in
“clergyman”, come semplici sacerdoti: tra i primi, i cardinali Sue-
nens e Léger 282.
Il 28 ottobre 1965, nel settimo anniversario dell’elezione di Gio-
vanni XXIII, vennero promulgati in sessione pubblica da Paolo VI
cinque testi conciliari: i decreti Christus Dominus 283, sull’ufficio pa-
storale dei vescovi (2.139 voti favorevoli, 2 contrari, 1 nullo); Per-
fectae caritatis 284, sul rinnovamento della vita religiosa (2.325 voti fa-
vorevoli, 4 contrari); Optatam totius 285, sulla formazione sacerdota-

277
Ivi, pp. 191-194. Armando Fares (1904-1980), ordinato nel 1927, arcivescovo coa-
diutore di Catanzaro e arcivescovo di Squillace nel 1950, arcivescovo di Catanzaro
nel 1956.
278
AS, IV/5, pp. 194-196. Enrique Pechuán Marín (1913-1983), argentino, ordinato
nel 1938, vescovo di Cruz del Eje nel 1963.
279
Ivi, pp. 197-199.
280
AS, IV/5, pp. 200-203.
281
CONGAR, Diario, vol. II, p. 379.
282
Cfr. CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 967.
283
Testo in AS, IV/5, pp. 564-583; cfr. anche COD, pp. 921-939.
284
Ivi, pp. 584-593; cfr. anche COD, pp. 939-947.
285
Ivi, pp. 593-605; cfr. anche COD, pp. 947-959. La monografia di Alois Greiler esa-
mina le varie fasi della nascita del decreto del Vaticano II sui seminari e il ruolo dei
singoli personaggi di questa Commissione “di seconda fila”, e specialmente del
508 IL CONCILIO VATICANO II

le secondo lo spirito conciliare (2.318 voti favorevoli, 3 contrari); le


due dichiarazioni, Gravissimum educationis 286 (2.290 voti favorevoli,
35 contrari), sui nuovi principi dell’educazione cristiana, e Nostra
aetate 287, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane
(2.221 voti favorevoli, 88 contrari, 1 nullo). Nessuno dei sedici testi
approvati ebbe un numero di non placet così alto.
Dopo il 29 ottobre, le Congregazioni generali furono interrotte
per 10 giorni, per lasciare più tempo alle Commissioni che dove-
vano elaborare i modi. Il 10 novembre anche il decreto Apostolicam
actuositatem sull’apostolato dei laici fu approvato con 2.201 placet,
due non placet e due placet iuxta modum 288.
Il 18 novembre ebbe luogo l’ottava sessione pubblica, che il
card. Lercaro giudicò come “la più bella e la più entusiastica seduta
di tutto il Concilio” 289. Il padre de Lubac apriva la processione dei
concelebranti con il Santo Padre e a mons. Câmara sembrò di ve-
dere nella persona del gesuita francese lo stesso Teilhard de
Chardin. Nella sua periodica lettera circolare Câmara scriveva:
“Vi garantisco che se Teilhard fosse ancora sulla terra – in Cina o negli
USA o in qualsiasi altro luogo di esilio – Papa Giovanni l’avrebbe fatto
venire come esperto e ieri avrebbe concelebrato con Paolo VI” 290. Il 16
ottobre, nell’Aula Magna della Domus Mariae, piena di Padri
conciliari, giovani sacerdoti e religiose, de Lubac aveva parlato di
“Teilhard de Chardin discepolo di San Paolo”, affermando che nell’i-
dea del Cristo cosmico del suo confratello francese si ritrova la le-
zione di san Paolo sul Verbo di Dio che “discese ed ascese per riem-
pire tutte le cose” 291.

benedettino Paul Agustin Mayer (definito dall’autore “Manager, Motor und Autor
für Optatam totius”). Cfr. ALOIS GREILER, Das Konzil und die Seminare. Die Ausbil-
dung der Priester in der Dynamik des Zweiten Vatikanums, Vorwort von P.A. Kard.
Mayer o.s.b. (Annua Nuntia Lovanensia XLVIII), Lovanio-Parigi-Dudley (MA)
2003, p. 363.
286
Testo in AS, IV/5, pp. 606-616; cfr. anche COD, pp. 959-968.
287
Ivi, pp. 616-619; cfr. anche COD, pp. 968-971.
288
Cfr. AS, IV/6, p. 298.
289
Lettera del 21 novembre in LERCARO, Lettere, p. 409.
290
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 1054.
291
VITTORIO CITTERICH, L’ispirazione paolina di Teilhard de Chardin, in “Avvenire d’Ita-
lia”, 17 ottobre 1965.
1965: LA QUARTA SESSIONE 509

Nell’omelia Paolo VI riaffermò la volontà di completare la rifor-


ma della Curia romana e annunciò l’inizio dei processi canonici
per le beatificazioni di Pio XII e di Giovanni XXIII 292.
Dopo la Messa vennero promulgati, tra gli applausi, la costitu-
zione Dei Verbum 293 sulla Divina Rivelazione, su cui si era aperto il
dibattito tra conservatori e novatori all’inizio del Concilio 294, e il
decreto Apostolicam Actuositatem 295 sull’apostolato dei laici. Su
2.350 voti espressi, il primo documento ottenne 2.344 sì e solo 6 no;
il secondo documento, su 2.342 votanti, ottenne 2.340 sì e 2 no: pra-
ticamente l’unanimità 296.
Il testo della Dei Verbum, il documento conciliare di più lunga
gestazione, che aveva aperto la battaglia dottrinale del Concilio,
sembrava ora soddisfare tutti. La massiccia adesione al testo può
essere spiegata dal fatto che nella Dei Verbum, come nella Lumen
Gentium, non si trova nessuna definizione dogmatica e, a differen-
za di altri documenti, come la Dignitatis Humanae, nessuna nozio-
ne tradizionale viene negata o messa in discussione. Ciò che è nuo-
vo è piuttosto il modo di affrontare le questioni, quello spirito “pa-
storale” che suscitò un’estrema soddisfazione da parte di padre de
Lubac 297.
Nel suo ultimo intervento il card. Suenens volle ringraziare, a
nome dell’assemblea, il Segretario Felici, per rendere omaggio – ri-
corda – “a un uomo che durante 4 anni ha implacabilmente avversato
tutte le idee che difendevamo. Egli si è opposto, 24 ore su 24, alle tenden-
ze del Concilio; si è veramente battuto, con abilità consumata, giocando
contro di noi tutte le carte della procedura, non cedendo mai, se non da-
vanti a maggioranze schiaccianti, cercando sempre di fare trionfare il pro-
prio punto di vista” 298.

292
Testo dell’omelia in AS, IV/6, pp. 689-695.
293
Testo in AS, IV/6, pp. 597-609; cfr. anche COD, pp. 971-981.
294
Secondo B. DUPUY, “il dibattito teologico sulla Rivelazione resterà per gli storici il di-
battito fondamentale del Vaticano II” (Vatican II. La Révélation divine, Cerf, Parigi 1968,
vol. I, p. 62).
295
AS, IV/6, pp. 609-632; cfr. anche COD, pp. 981-1001.
296
Sulle votazioni per i due documenti, cfr. AS, IV/6, pp. 687-688.
297
Cfr. H. DE LUBAC, La Révélation divine, Cerf, Parigi 1983, p. 154.
298
SUENENS, Diario, p. 60.
510 IL CONCILIO VATICANO II

11. La giornata storica del 7 dicembre

a) La promulgazione degli ultimi documenti

La quarta sessione fu caratterizzata da un’attività quasi freneti-


ca, con 256 votazioni svolte tra il 20 settembre e il 6 dicembre 1965
(47% di tutte quelle dell’intera durata del Concilio) e la solenne ap-
provazione di 3 costituzioni, 6 decreti e 3 dichiarazioni, cioè 12 dei
16 testi complessivamente varati dal Vaticano II 299.
Il 4 dicembre si svolse la 167a Congregazione generale. Nel po-
meriggio, il Papa presiedette una preghiera ecumenica per gli oltre
cento osservatori e ospiti nella basilica di San Paolo Fuori le Mura.
Numerosi vescovi e osservatori cattolici pregarono insieme. Con-
gar si inginocchiò sulla tomba di san Paolo e invocò Lutero “che
volle riaffermare il Vangelo per il quale lottò Paolo” 300.
In quel medesimo luogo Giovanni XXIII aveva celebrato, il 25
gennaio 1959, la conclusione della settimana di preghiera per l’u-
nità cristiana, e, subito dopo, in una saletta appartata dell’abbazia
benedettina attigua, aveva annunziato a un ristretto gruppo di car-
dinali la decisione di convocare il Concilio.
Domenica 5 dicembre ebbe luogo, alla presenza di Paolo VI, un
incontro interconfessionale di preghiera, il primo a cui parteci-
passe un Pontefice, nel corso del quale i rappresentanti di tutte le
confessioni religiose presenti declamarono passi della Sacra Scrit-
tura 301. Quel giorno il Papa ricevette a pranzo de Lubac, Jean Guit-
ton e il teologo luterano Oscar Cullmann 302. Il giorno successivo
l’ultima Congregazione generale celebrò l’atto finale della discus-
sione con il voto sullo schema XIII. Ben 483 furono i voti contrari
sul capitolo quinto, riguardante la pace e la promozione della co-
munità dei popoli, ma nel voto conclusivo, sull’intero testo, i voti
contrari diminuirono, pur raggiungendo la quota 251. Si trattava

299
Cfr. G. ALBERIGO, Conclusione e prime esperienze di ricezione, in SCV, vol. V, p. 547
(pp. 546-552).
300
CONGAR, Diario, vol. II, p. 420.
301
Cfr. CAPRILE, vol. V, pp. 455-456.
302
Cfr. DE LUBAC, Quaderni, pp. 898-901.
1965: LA QUARTA SESSIONE 511

di un voto tutt’altro che unanime, ma il Papa ne decise comunque


la promulgazione nella giornata successiva.
Il 7 dicembre si svolse l’ultima sessione pubblica del Concilio.
Si trattò di una giornata storica non solo per la promulgazione dei
4 schemi restanti, ma per il carattere simbolico che essa venne ad
assumere. Prima della Messa finale, un abbraccio pubblico tra Pao-
lo VI e il metropolita di Heliopolis, Melitone, giunto da Costanti-
nopoli in rappresentanza del patriarca Atenagora, sancì la cancel-
lazione della scomunica che il 16 luglio 1054 i rappresentanti del
Papa avevano lanciato verso la chiesa “ortodossa”.
All’inizio della seduta, alla presenza del Papa, il Segretario ge-
nerale del Concilio Felici propose all’approvazione dei Padri gli
ultimi quattro documenti: la dichiarazione Dignitatis Humanae 303
sulla libertà religiosa (2.308 a favore, 70 contro); i decreti Ad Gen-
tes 304, sull’attività missionaria della Chiesa (2.394 a favore, 5 con-
tro) e Presbyterorum Ordinis 305, sul ministero sacerdotale (2.390 a
favore, 4 contro); la costituzione pastorale Gaudium et Spes 306 sui
rapporti della Chiesa con il mondo (2.309 a favore, 75 contro).
Contrariamente al solito, un lungo applauso, di difficile interpre-

303
Testo in AS, IV/7, pp. 663-673; cfr. anche COD, pp. 1001-1011. Della Dignitatis
Humanae sono state date tra i teologi fedeli all’insegnamento tradizionale della
Chiesa differenti letture: alcuni affermano la continuità del documento con il Ma-
gistero tradizionale della Chiesa (cfr. VICTORINO RODRÍGUEZ o.p., Estudio historico-
doctrinal de la declaración sobre la libertad religiosa del Concilio Vaticano II, in “La
Ciencia Tomista”, n. 93 (1966), pp. 193-339; BRIAN W. HARRISON, Le développement
de la doctrine catholique sur la liberté religieuse, Dominique Martin Morin, Parigi
1988; BASILE (VALUET) o.s.b., Liberté religieuse et Tradition catholique, Abbaye Sainte-
Madeleine, Le Barroux 1998). La rottura con la tradizione fu segnalata da M. LE-
FEBVRE, Ils l’ont découronnée, cit.; BERNARD LUCIEN, Grégoire XVI, Pie IX et Vatican II.
Etudes sur la liberté religieuse dans la doctrine catholique, Forts dans la Foi, Tours 1990
(l’autore modificò poi la propria opinione); M. DAVIES, The Second Vatican Council
and Religious Liberty, cit.; MICHEL MARTIN, Le Concile Vatican II et la liberté religieu-
se, in “De Rome et d’ailleurs”, numero speciale (gennaio 1986), pp. 1-106. Tra gli
studi migliori, sono la Lettre à quelques évêques sur la situation de la Sainte Eglise e il
Mémoire sur certaines erreurs actuelles, suivies d’une annexe sur la liberté religieuse, So-
ciété Saint Thomas d’Aquin, Parigi 1983, redatti da un gruppo internazionale di
teologi e professori universitari.
304
Testo in AS, IV/7, pp. 673-704; cfr. anche COD, pp. 1011-1042.
305
Testo in Ivi, pp. 704-732; cfr. anche COD, pp. 1042-1069.
306
Testo in Ivi, pp. 733-739; cfr. anche COD, pp. 1069-1135.
512 IL CONCILIO VATICANO II

tazione, sottolineò l’annunzio dei 70 non placet 307 per la Dignitatis


Humanae. “Felice per me il giorno in cui venne promulgata la Dignita-
tis Humanae – scrisse il gesuita Giacomo Martina, riassumendo i
sentimenti di un vasto schieramento progressista –. La distinzione
fra tesi e ipotesi era abbandonata, la libertà religiosa trovava il suo au-
tentico fondamento” 308.
Il Coetus Internationalis si era strenuamente opposto a questo
documento che nel voto del 19 novembre aveva ottenuto ben 249
non placet. Tuttavia, come ricorda il biografo di mons. Lefebvre, “il
7 dicembre, in sessione pubblica alla presenza del Papa, al momento del
voto finale, la resistenza del Coetus crollò a 70 non placet” 309, più o
meno lo stesso numero di voti (75) espressi contro la Gaudium et
Spes.

b) La mancata condanna del comunismo

La costituzione Gaudium et Spes fu il sedicesimo e ultimo docu-


mento ufficialmente promulgato dal Concilio Vaticano II. Essa vol-
le essere una definizione completamente nuova dei rapporti tra la
Chiesa e il mondo. La Chiesa si definiva “sacramento per il mondo”
(nn. 42, 45) rivendicando l’impegno di cogliere “i segni dei tempi” e
di interpretarli alla luce del Vangelo (nn. 4, 11), in “dialogo con il
mondo” (n. 43). La formula era quella di vivere la verità del Cri-
stianesimo all’interno del pensiero del mondo per renderla com-
prensibile e accettabile all’uomo contemporaneo. L’allora teologo
Josef Ratzinger la definì come il vero e proprio “testamento” del
Concilio:

“Se si cerca una diagnosi globale del testo si potrebbe dire che esso (in col-
legamento con i testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo) è

307
“Come interpretarlo? Rallegramento cavalleresco per l’impavida resistenza di una mino-
ranza; compiacimento nel vedere i suffragi negativi notoriamente ridotti rispetto alla vota-
zione precedente; benevolo richiamo agli oppositori per dir loro che, nonostante tutto, lo
schema è passato? Non ardiremo pronunziarci” (CAPRILE, vol. V, p. 500).
308
G. MARTINA, Il contesto storico, cit., p. 78.
309
B. TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., p. 357.
1965: LA QUARTA SESSIONE 513

una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di anti-Sillabo, (...) nella
misura in cui rappresenta un tentativo di un’ufficiale riconciliazione del-
la Chiesa col mondo quale si è evoluto dopo il 1789” 310.

Anche per il cardinale König il documento “segna una svolta nel-


la concezione della Chiesa verso la Storia che chiude l’era del Sillabo e
della Pascendi” 311. Un illustre teologo come mons. Brunero Gherar-
dini ne formula però un giudizio severo:

“Capovolgendo il pensiero dell’Aquinate, secondo il quale Dio non può


creare per fini estranei alla propria realtà, il Vaticano II fece dell’uomo,
‘l’unica creatura voluta da Dio per se stessa’ (GS, n. 24) (…) Ormai i
confini estremi dell’antropocentrismo idolatrico erano stati raggiunti.
Non era in questione se l’uomo credesse o no, bastava che fosse ‘il centro
e il vertice’ (GS, n. 12) di tutti i valori creaturali, voluti e ordinati da Dio
al suo servizio, ‘subordinati allo sviluppo integrale della sua persona’
(GS, n. 59)” 312.

Nella Gaudium et Spes mancava qualsiasi forma di condanna al


comunismo. Il fatto era di tale rilievo “da accreditare la voce di un
esplicito accordo tra il patriarcato di Mosca e la Santa Sede” 313. Il silen-
zio del Concilio sul comunismo costituiva in effetti un’impressio-
nante omissione della storica assise. Riferendosi a questo silenzio,
mons. Helder Câmara scriveva nel novembre 1965: “Il Concilio
Ecumenico Vaticano II ha detto moltissimo, con le sue parole e i suoi si-
lenzi” 314. Plinio Corrêa de Oliveira, che si era battuto sul fronte op-
posto, ricorda a sua volta:

310
J. RATZINGER, Les principes de la théologie catholique, cit., pp. 423, 425-427.
311
F. KÖNIG, Chiesa dove vai?, cit., p. 108.
312
B. GHERARDINI, Concilio Vaticano II, cit., p. 190. “Questa costituzione – commenta
a sua volta mons. Hubert Jedin – fu salutata con entusiasmo, ma la sua storia poste-
riore ha già dimostrato che allora il suo significato e la sua importanza erano stati lar-
gamente sopravalutati e che non si era capito quanto profondamente quel ‘mondo’, che si
voleva guadagnare a Cristo, penetrasse nella Chiesa” (Il Concilio Vaticano II, cit., p.
151).
313
A. RICCARDI, Il Vaticano e Mosca, cit., p. 281.
314
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. I, p. 438.
514 IL CONCILIO VATICANO II

“Sotto la presidenza prima di Giovanni XXIII e dopo di Paolo VI si riunì


il Concilio Ecumenico numericamente più grande della storia della Chie-
sa. In esso era scontato che sarebbero stati trattati tutti i più importanti
argomenti di attualità, riguardanti la causa cattolica. Fra questi non po-
teva non mancare – assolutamente non poteva! – l’atteggiamento della
Chiesa di fronte al suo più grande avversario di allora. Avversario così
totalmente opposto alla sua dottrina, così potente, così brutale, così insi-
dioso, che la Chiesa non ne aveva trovato uno simile nella sua storia qua-
si bimillenaria. Trattare dei problemi contemporanei della religione sen-
za trattare del comunismo sarebbe stato tanto manchevole quanto riuni-
re oggi un congresso mondiale di medici per studiare le malattie princi-
pali del nostro tempo omettendo nel programma un qualsiasi riferimen-
to all’Aids” 315.

La Gaudium et Spes cercava il dialogo con il mondo moderno,


nella convinzione che l’itinerario da esso percorso, dall’umanesi-
mo e dal protestantesimo, fino alla Rivoluzione francese e al
marxismo, fosse un processo irreversibile. La modernità era in
realtà alla vigilia di una crisi profonda, che avrebbe manifestato i
suoi primi sintomi, di lì a pochi anni, nella Rivoluzione del ’68. I
Padri conciliari avrebbero dovuto compiere un gesto profetico sfi-
dando la modernità piuttosto che abbracciarne il corpo in decom-
posizione, come purtroppo avvenne.
L’assise conciliare sarebbe stata il luogo per eccellenza in cui av-
viare un processo al comunismo analogo a ciò che fu il processo di
Norimberga per il nazionalsocialismo: non un processo di caratte-
re penale, e neppure processo ex post dei vincitori sui vinti, quale
fu Norimberga, ma processo culturale e morale, ex ante, delle vitti-
me nei confronti dei persecutori, come avevano cominciato a fare i
cosiddetti dissidenti 316.

315
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Comunismo e Anticomunismo alle soglie dell’ultima decade di
questo millennio, in “Corriere della Sera”, 7 marzo 1990.
316
Fin dagli anni Venti e Trenta del Novecento, una abbondante letteratura aveva
sollevato l’attenzione dell’opinione pubblica di tutto il mondo sui crimini del co-
munismo. Solo nel 1997, comparve il Libro nero del comunismo (tr. it. Mondadori, Mi-
lano 1998), a cura dello storico francese STÉPHANE COURTOIS, che ne offrì una docu-
mentata conferma.
1965: LA QUARTA SESSIONE 515

c) Le ragioni della sconfitta dei conservatori

Ai quattro voti successivi, uno per ciascuno schema conciliare,


seguì il voto complessivo sui quattro documenti, relativo alla loro
definitiva approvazione e promulgazione, secondo la procedura
stabilita dall’art. 2 del Regolamento 317.
Dopo l’approvazione dei quattro decreti, “uno spirito di gioiosa
gratitudine riempì i vescovi radunati per l’ultima volta come assemblea
conciliare in San Pietro. Si avvertì un’atmosfera quasi sfrenata di gioia
quando alla fine tutti si abbracciarono e si scambiarono il bacio di pace per
l’addio” 318.
Ci si può chiedere a questo punto come fu possibile che, dopo
le aspre discussioni in aula, che avevano messo in luce l’esistenza
di schieramenti contrapposti, che si bilanciavano per il numero e
l’autorità degli interventi, al momento del voto si giungesse sem-
pre all’approvazione degli schemi a schiacciante maggioranza e al
momento della promulgazione dei testi accadesse addirittura che
chi aveva votato contro un documento lo sottoscrivesse, come av-
venne per mons. de Castro Mayer e mons. Lefebvre nel caso della
Dignitatis humanae sulla libertà religiosa 319. Le ragioni erano di di-
verso ordine. In primo luogo bisogna tenere presente la meccanica
“democratica” dell’assemblea conciliare, che si presentava come
una sorta di Parlamento ecclesiastico, guidato dalle regole e, so-
prattutto dalla “filosofia” della democrazia moderna. Bisogna ri-
cordare a questo proposito l’esistenza di diverse concezioni del si-
stema parlamentare. La tradizione liberale, sostanzialmente indi-
vidualista, tutela i diritti della minoranza, prima e dopo il voto (si

317
Cfr. AAS, IV/7, pp. 804-850.
318
J. RATZINGER, Problemi e risultati del Concilio Vaticano II, Queriniana, Brescia 1967,
p. 154.
319
Cfr. AS, IV/7, pp. 809 e 823. “L’adesione dei monsignori Marcel Lefebvre e Antonio de
Castro Mayer – scrive mons. Tissier de Mallerais – è stata ufficialmente registrata negli
Acta del Concilio. Se in seguito monsignor Lefebvre affermò a parecchie riprese di non aver
firmato la libertà religiosa, proprio come Gaudium et Spes, fu perché spinto dalla logica del-
la sua opposizione precedente e successiva alla promulgazione della libertà religiosa e ingan-
nato dalla sua memoria o da un errore (…). Ma il fatto che l’arcivescovo abbia firmato Digni-
tatis humanae non toglie nulla, a nostro avviso, al valore della sua battaglia contro la libertà
religiosa” (B. TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., pp. 359-360 e, più ampiamente, pp. 357-360).
516 IL CONCILIO VATICANO II

pensi, in Gran Bretagna, ai “Governi ombra” e all’“Opposizione di


Sua Maestà”). Nella concezione democratica di origine rousseau-
viana, la volontà della maggioranza, al momento della sua espres-
sione, si trasforma invece da somma numerica di volontà indivi-
duali in “volonté générale”, volontà collettiva, alla quale i singoli
gruppi e individui devono inchinarsi 320. Il Concilio Vaticano II
sembrò voler sostituire al modello “assolutista” di Trento e del Va-
ticano I un nuovo modello “democratico”, che alla volontà supre-
ma del Romano Pontefice sostituiva quella dell’assemblea, sia pu-
re unita allo stesso Pontefice. Alla verità della Tradizione, si sosti-
tuiva una “volontà sociale”, elaborata collettivamente e social-
mente riconosciuta. La volontà dell’assemblea conciliare equivale-
va alla “volontà generale” di Rousseau: una volontà sacra e asso-
luta alla quale i Padri, rispettando le leggi che essi stessi si erano
dati, si sentivano obbligati in coscienza a subordinare le loro idee
ed opinioni 321.
Il fatto che l’assemblea fosse ecclesiastica e non politica sacra-
lizzava, per così dire, l’espressione della “volontà generale”, attri-
buendole un valore trascendente. Inoltre, una volta che uno sche-
ma veniva promulgato dal Papa, esso non era più uno schema, ma
un atto magisteriale, mutando perciò la sua natura teologica.
Si potrebbe obbiettare, a questo punto, che i Padri conciliari
sapevano bene come il Magistero del Concilio non fosse garanti-
to dalla infallibilità, soprattutto dopo che gli stessi Papi Giovan-
ni XXIII e Paolo VI ne avevano precisato la caratteristica pastora-
le. Va ricordato però che, nel secolo seguito al Concilio Vaticano

320
Cfr. JACOB L. TALMON, Le origini della democrazia totalitaria, tr. it. Il Mulino, Bologna
2000 (1952); B. BACZKO, Le contrat social des Français: Sieyès et Rousseau, in The French
Revolution and the creation of modern political culture, a cura di KEITH MICHAEL BAKER,
Pergamon Press, Oxford 1987; AUGUSTIN COCHIN, Lo spirito del giacobinismo. Le società
di pensiero e la democrazia: una interpretazione sociologica della Rivoluzione francese, tr.
it. Bompiani, Milano 1991 (1921).
321
Anche la concezione politica di Georg Friedrich Hegel (1770-1831) discende dal-
la teoria rousseauviana della “volontà generale”. Come Rousseau, Hegel descrive il
passaggio dalla volontà particolare degli individui all’universalità etica della “vo-
lontà generale”, distinguendo tra la società civile, che esprime la molteplicità degli
interessi particolari individuali, e lo Stato, che realizza – a un superiore livello di
“universalità” – il bene comune. Cfr. R. DE MATTEI, La sovranità necessaria, il Mino-
tauro, Roma 2001, pp. 107-110.
1965: LA QUARTA SESSIONE 517

I, la possibilità di una “resistenza” a decisioni errate di un Ponte-


fice non era mai stata presa in considerazione dai teologi, i quali
avevano anzi sottolineato le prerogative papali anche nell’eserci-
zio del Magistero ordinario. Il padre Frederick William Faber 322,
uno dei maggiori autori spirituali dell’Ottocento, aveva spiegato
che la devozione al Papa è una parte essenziale della pietà cri-
stiana 323 e generazioni di sacerdoti erano stati formati ad una illi-
mitata obbedienza al Romano Pontefice. Nei confronti del Papa-
to, come verso la Madonna, i vescovi “romani” praticavano il
“massimalismo”, non ponendosi il problema dei limiti morali
dell’obbedienza.
“Il nostro Credo è il Papa, la nostra morale è il Papa, la nostra via è il
Papa – scriveva ad esempio san Luigi Orione ai suoi sacerdoti –, il
nostro amore, il nostro cuore, la ragione della nostra vita è il Papa; per noi
il Papa è Gesù Cristo: amare il Papa e amare Gesù è la stessa cosa; ascol-
tare e seguire il Papa è ascoltare e seguire Gesù Cristo; servire il Papa è
servire Gesù Cristo; dare la vita per il Papa è dare la vita per Gesù Cri-
sto!” 324. L’ipotesi di un Papa che sul piano dottrinale potesse errare
e cadere nell’ambiguità, e persino nell’eresia, pur ammessa in teo-
ria da tutti i teologi, era considerata non realistica e di conseguen-
za non era mai stata presa in considerazione 325.
Minare l’autorità del Sommo Pontefice o incrinare l’unità del-
l’assemblea episcopale significava per molti Padri mettere a re-
pentaglio la propria autorità di pastori. “Governare – scriveva il
card. Siri – è guidare con autorità una comunità verso uno scopo. Se
manca l’autorità, ossia la capacità di creare un’obbligazione di coscienza,

322
Il padre oratoriano Frederick William Faber (1808-1892), convertito al cattolicesi-
mo nel 1945, fu uno dei più seguiti scrittori religiosi tra il XIX e il XX secolo. Su di
lui, cfr. RONALD CHAPMAN, Father Faber, Burn and Oates, Londra 1961.
323
Cfr. F. W. FABER, La devozione e la fedeltà al Papa, Discorso pronunciato il 1 gennaio
1869 nell’oratorio di Londra, in Il Papa nel pensiero degli scrittori religiosi e politici, 2
voll., Istituto Veneto Arti Grafiche-“La Civiltà Cattolica”, Rovigo-Roma 1927, vol. II,
p. 233 (pp. 230-237).
324
DON LUIGI ORIONE, Lettere, Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvi-
denza, Roma 1929, vol. II, p. 44.
325
Su questi punti, il miglior studio resta la Hypothèse théologique d’un Papa héretique, II
parte dello studio di ARNALDO XAVIER DA SILVEIRA, La nouvelle Messe de Paul VI. Qu’en
penser?, Diffusion de la Pensée française, Chiré-en-Montreuil 1975, pp. 213-334.
518 IL CONCILIO VATICANO II

non si ha vero governo” 326. Per questo, pur non condividendo molte
scelte di Giovanni XXIII e di Paolo VI, l’arcivescovo di Genova
sentì verso l’autorità pontificia quella stessa “obbligazione di co-
scienza” che esigeva dai suoi sottoposti 327. Allo stesso modo si com-
portarono molti Padri conciliari conservatori.
Un testimone, il padre Ralph Wiltgen, così commenta l’ultimo
voto sulla libertà religiosa:

“Quasi tutti i 70 non placet erano stati firmati da coloro che costituiva-
no il nucleo del Coetus Internationalis Patrum, cosa che non impedì loro,
una volta promulgato il decreto, di accettarlo come tutti gli altri. Fonda-
mentalmente era quello l’atteggiamento di tutti i Padri conciliari, che ap-
partenessero al campo liberale o al campo conservatore: nonostante cia-
scuno fosse convinto che la posizione che adottava su un determinato te-
ma fosse la posizione corretta, che avrebbe fatto scendere sulla Chiesa e
sull’umanità le più grandi benedizioni, questi uomini, formati al diritto
ecclesiastico, capivano che i due partiti non potevano avere entrambi ra-
gione. E quando il punto di vista della maggioranza era stato chiarito e
promulgato dal Sommo Pontefice come dottrina comune del Concilio Va-
ticano II, essi non esitavano ad aderirvi” 328.

Per condurre fino in fondo la resistenza alle decisioni concilia-


ri, sarebbe stata forse necessaria, oltre a un’ottima conoscenza teo-
logica della natura degli atti del Magistero, un’attitudine “profeti-
ca”, come quella che aveva evocato l’abbé de Nantes, affermando,
alla vigilia della quarta sessione, che un solo vescovo avrebbe po-
tuto far fallire l’“aggiornamento” del Vaticano II: “Basterebbe – scri-
veva – che uno solo dei Padri – e l’ho ricordato a qualcuno di loro – si le-
vi e protesti di fronte a tutti che la fede gli impedisce di accettare una cer-
ta proposizione, sarebbe sufficiente che egli sfidi il loro immenso stupore,
che minacci di lasciare un Concilio (…) se questa o quella proposta fosse
votata, accettata, promulgata (…). Se domani si trovasse al Concilio un

326
G. SIRI, Memorie, in ID., Un vescovo ai vescovi, Giardini, Pisa 1991, p. 13.
327
“La dote più interessante della legge – aveva scritto – è che essa genera un’obbligazione
di coscienza. L’ordine giuridico è essenzialmente poggiato su questo mondo interiore, su
questo vincolo profondo” (G. SIRI, La ricostruzione sociale, AVE, Roma 1943, p. 104).
328
WILTGEN, p. 248.
1965: LA QUARTA SESSIONE 519

tal uomo, il suo appello alla Verità rivelata da Dio basterebbe a bloccare
tutta la macchina della sovversione!” 329.
Le parole del sacerdote francese possono sembrare “donchi-
sciottesche”, ma solo un atteggiamento di forte impatto psicologi-
co avrebbe potuto, in quel momento, mutare il corso degli eventi.
L’occasione di un gesto di protesta pubblica avrebbe potuto essere,
ad esempio, lo scandalo dell’insabbiamento della petizione antico-
munista. Le radici della sconfitta dei Padri del Coetus Internatio-
nalis vanno cercate in una debolezza più psicologica che dottrina-
le. Mons. Lefebvre ha sottolineato, del resto, il peso psicologico
dell’approvazione pontificia, ammettendo di aver firmato molti te-
sti del Concilio “sotto la pressione morale del Santo Padre”, giacché,
diceva, “io non posso separarmi dal Santo Padre; se il Santo Padre fir-
ma, moralmente io sono obbligato a firmare” 330.
Se nella prima fase del Concilio il problema principale dei Pa-
dri conservatori fu la mancanza di organizzazione, nelle due ulti-
me sessioni mancò piuttosto la volontà di resistere fino in fondo.
Volontà e determinazione non mancarono invece né alla minoran-
za progressista né allo stesso Papa Montini, che non volle mai far
prevalere la sua volontà grazie alla sola forza numerica. Egli cer-
cava che la volontà della maggioranza diventasse consensus unani-
mis ed era disposto a concessioni e ritirate strategiche pur di otte-
nere l’assenso della minoranza. L’attitudine di Paolo VI in Conci-
lio fu variamente giudicata, ma il ritratto che ne dà mons. Prignon,
in uno dei suoi rapporti confidenziali all’ambasciatore Poswick, è
uno dei più esatti:

“È difficile credere all’esitazione congenita di qualcuno che, in più di un’oc-


casione, ha rivelato una volontà di ferro e una perseveranza indefettibile
nella linea di condotta che ha tracciato. (…) D’altra parte la preoccupazio-
ne di convincere la minoranza non ha portato Paolo VI a cedergli sull’es-
senziale, né gli ha impedito di correre il rischio di un irrigidimento della
maggioranza e di opporgli rifiuti piuttosto ‘sensazionali’. Le modifiche ap-
portate all’ultimo minuto, dopo l’ultimo voto, al testo sull’ecumenismo, te-

329
GEORGES DE NANTES, “Lettre à mes amis”, n. 211 del 1° settembre 1965, p. 13.
330
B. TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., p. 359.
520 IL CONCILIO VATICANO II

stimoniano anche uno spirito di decisione poco comune. (…) Quanto a me,
credo che Paolo VI, pienamente consapevole del suo ruolo di arbitro supre-
mo, abbia voluto e, soprattutto, sia riuscito a stare al di sopra delle “parti”
e ha mirato incessantemente a ottenere l’unanimità. Aveva ragione anche
nel momento di acconsentire a ciò che, secondo menti male informate, pote-
va apparire come una limitazione del Primato e una correzione al dogma del
Vaticano I di riaffermare in teoria e in pratica i diritti imprescrittibili del
successore di Pietro e la perfetta coerenza tra i due Concili” 331.

d) L’omelia conclusiva di Paolo VI

Durante la sessione pubblica del 7 dicembre, subito prima della


concelebrazione della Messa, il Segretario per l’Unione dei Cristiani
Jan Willebrands salì sul pulpito e lesse in francese il testo di una di-
chiarazione comune in cui la Chiesa cattolica e quella “ortodossa” di
Costantinopoli decidevano di “deplorare” le reciproche sentenze di
scomunica e gli avvenimenti ulteriori che avevano condotto alla rot-
tura della comunione ecclesiale 332. Nello stesso momento il medesi-
mo testo veniva letto nella basilica patriarcale di Costantinopoli, al-
la presenza del patriarca e di sette legati del Papa, guidati dal card.
Shehan, arcivescovo di Baltimora. L’atto di abolizione della scomu-
nica venne formalmente compiuto, con la lettura del breve pontifi-
cio Ambulate in dilectione da parte di mons. Willebrands 333. Il Papa, in
questo breve pontificio, dichiarava di “rimuovere e cancellare dalla me-
moria della Chiesa e considerare del tutto sepolta nell’oblio la sentenza di
scomunica pronunciata in quell’epoca” 334.
Nell’omelia della Messa che seguì 335, Paolo VI ricordò che nel
Concilio si era prodotto l’incontro tra “la religione del Dio che si è fatto

331
Fonds Prignon, Rapport sur la 3e session du Concile: 25 octobre-21 novembre, in CLG,
n.1058.
332
Cfr. AS, IV/7, pp. 651-654; CAPRILE, vol. V, pp. 508-509; P. CHENAUX, L’influence des
écoles théologiques dans la rédaction de la constitution pastorale Gaudium et Spes (1962-
1965), in “Annuarium Historiae Conciliorum”, n. 35 (2003), pp. 150-166.
333
Testo in CAPRILE, vol. V, pp. 509-510.
334
Ivi, p. 509.
335
Il testo dell’omelia in AS, IV/7, pp. 654-662; tr. it. in CAPRILE, vol. V, pp. 501-505.
1965: LA QUARTA SESSIONE 521

uomo” e la “religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio” 336, senza che
le due religioni entrassero in conflitto, non mancando di suscitare
“stupore e scandalo” 337. Alla considerazione del Concilio si era presen-
tato “l’umanesimo laico profano”, ma il contatto non aveva causato, co-
me sarebbe potuto accadere, “uno scontro, una lotta, un anatema”.

“La religione cattolica e la vita umana riaffermano così le loro alleanze, la


loro convergenza in una sola umana realtà: la religione cattolica è per l’u-
manità: in un certo senso, essa è la vita dell’umanità. (…) L’umanesimo
laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo
senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è in-
contrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa
è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere ma non
è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spi-
ritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso” 338.

L’omelia di Paolo VI del 7 dicembre, tutta incentrata sul rap-


porto Chiesa-mondo, può essere considerata il messaggio conclu-
sivo del Concilio e la chiave di interpretazione che il Papa ne pro-
poneva. Essa si collegava idealmente con il discorso di apertura di
Giovanni XXIII dell’11 ottobre 1963. Romano Amerio stabilisce un
paragone tra la diagnosi della propria epoca fatta da Paolo VI in
questo documento e quella di san Pio X nell’enciclica E supremi
apostolatus 339. Come Paolo VI, Papa Sarto aveva riconosciuto che lo
spirito dell’uomo moderno è spirito di indipendenza, che dedica a
se stesso tutto il creato. Ma se identica è la diagnosi dei due Ponte-
fici, divergente, se non contrapposto, è il giudizio di valore che es-
si portano sulla modernità.

“Come Pio X, citando san Paolo (II Thess, 2,4), vedeva l’uomo moderno far-
si dio e pretendeva l’adorazione, così Paolo VI dice espressamente che ‘la re-

336
AS, IV/7, p. 658.
337
A. WENGER, Les trois Rome, cit., p. 190.
338
AS, IV/7, p. 661.
339
S. PIO X, Enciclica E supremi apostolatus del 4 ottobre 1903, in ASS, 36 (1903-1904),
pp. 129-139, testo italiano in EE, IV, pp. 19-39.
522 IL CONCILIO VATICANO II

ligione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché ta-
le è) dell’uomo che si fa Dio’. E tuttavia egli, trapassando il carattere prin-
cipiale dell’affrontamento, pensa che, grazie al Concilio, l’affrontamento ab-
bia prodotto non un urto, non una lotta, non un anatema, ma una simpa-
tia immensa, un’attenzione nuova della Chiesa ai bisogni dell’uomo” 340.

Padre Congar non nascose la sua soddisfazione: “Discorso del


Papa: molto Ecclesiam suam: una vera dichiarazione di prima accetta-
zione dell’uomo moderno e del primato dell’antropologia” 341.
Il teologo francese aggiunge con soddisfazione:

“Guardando oggettivamente le cose, ho lavorato molto per preparare il


Concilio, per elaborare e diffondere le idee che il Concilio ha consacrato.
Anche durante il Concilio ho lavorato molto. Potrei quasi dire che plus
omnibus laboravi, ma questo non sarebbe sicuramente vero: pensiamo a
Philips per esempio” 342.

Congar rivendicò la paternità della stesura parziale o totale di


molti documenti: Lumen Gentium, De Revelatione, De ecumenismo,
Dichiarazione sulle religioni non cristiane, Schema XIII, De Missionibus,
De Libertate religiosa, De presbyteris 343. Ma attribuire ai soli teologi,
come Congar, Rahner o Philips, la paternità dottrinale del Concilio
significherebbe far torto ad alcuni Padri conciliari, come il card.
Suenens, che non solo svolsero nel Concilio un’azione di governo,
ma esercitarono su di esso anche una profonda influenza teologi-
ca. Câmara, ricordando il ruolo di Suenens, lo definisce, non a tor-
to, “un’immagine perfetta del Vaticano II” 344.
Il padre Kobler, da parte sua, ha messo in rilievo come Paolo VI
fu il vero “teorico” del Vaticano II, mentre i teologi non furono che

340
R. AMERIO, Iota unum, cit., p. 97.
341
CONGAR, Diario, vol. II, p. 425, annotazione del 7 dicembre.
342
Ivi, p. 426.
343
Cfr. Ivi, pp. 426-427. Cfr. A. MELLONI, Yves Congar al Vaticano II. Ipotesi e linee di ri-
cerca, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, n. 50/2 (1996), pp. 516-520; R. BU-
RIGANA-G. TURBANTI, Preparare la conclusione del Concilio, in SCV, vol. IV, pp. 540-541
(pp. 483-648).
344
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 895.
1965: LA QUARTA SESSIONE 523

gli “ingegneri” 345 chiamati ad aiutarlo nel realizzare il suo pro-


gramma di rinnovamento della Chiesa “che può essere riassunto in
tre parole: totus homo phaenomenicus, cioè tutto l’uomo come una
realtà fenomenologica” 346.
Complessivamente l’assemblea conciliare tenne 168 Congrega-
zioni generali, approvando, in occasione di cinque diverse sessio-
ni, sedici documenti: quattro costituzioni, nove decreti e tre di-
chiarazioni, con l’intervento ai lavori di 3.058 Padri conciliari. In
tutte le deliberazioni conciliari, si erano fatte le maggiori conces-
sioni al fine di attirare la benevolenza di quanti si trovavano sepa-
rati dalla Chiesa 347. Ora se ne attendevano i frutti.

12. Sul Concilio Vaticano II cala il sipario

La mattina dell’8 dicembre 1965, sull’ampia gradinata della


Basilica di San Pietro, in una giornata ventosa e sotto un cielo a
tratti coperto, si svolse la solenne cerimonia conclusiva del Con-
cilio Vaticano II. Fin dalle 9 del mattino, una folla stimata attorno
alle 300.000 persone si raccolse tra la piazza e via della Concilia-
zione. Poco dopo le 10, mentre le campane di tutta Roma suona-
vano a stormo, iniziò la lunga processione dei Padri conciliari,
che precedevano Paolo VI, trasportato in sedia gestatoria. La ceri-
monia, ricorda con una certa amarezza lo storico dei concilii, Hu-
bert Jedin, nelle sue memorie, “non corrispose al concetto che io ave-
vo della solennità propria di un concilio ecumenico. Fu una manifesta-
zione e in quanto tale una concessione all’epoca delle masse e ai mass-
media” 348.
Durante la cerimonia, accanto a Paolo VI sedevano i quattro
cardinali Moderatori, vincitori del Concilio, e il card. Ottaviani, il
grande sconfitto. Secondo Wiltgen, nessuno tra essi aveva avuto

345
Cfr. J. F. KOBLER, Were theologians the engineers of Vatican II?, cit., pp. 242-243.
346
ID., Vatican II, Theophany and the Phenomenon of Man, Peter Lang, Londra-New
York 1991, p. 83 (pp. 83-189).
347
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Chiuso il Concilio: Momento di straordinaria importanza
nella storia dell’umanità, in ID., Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 313-316.
348
H. JEDIN, Storia della mia vita, tr. it., Morcelliana, Brescia 1987, p. 321.
524 IL CONCILIO VATICANO II

tanta influenza quanto il card. Frings. Il suo perito teologico era il


giovane don Ratzinger, ma Frings si era appoggiato soprattutto su
padre Rahner. Ratzinger, discepolo di Rahner, man mano che il
Concilio si avviava verso la conclusione, si era dimostrato in di-
saccordo con lui su molti punti, su cui dopo il Concilio avrebbe
preso apertamente le distanze 349.
L’ultimo appello del Concilio fu rivolto al mondo. Il Papa an-
nunciò in francese i messaggi che sarebbero stati letti da altrettan-
ti cardinali e poi personalmente consegnati da lui ai rappresen-
tanti delle diverse categorie a cui erano diretti: i governanti, gli
scienziati, gli artisti, le donne, i lavoratori, i poveri, gli ammalati e
i sofferenti, i giovani. Il messaggio agli uomini di cultura 350, letto
dal card. Léger, fu consegnato a Jacques Maritain, assistito da Jean
Guitton e dal filosofo polacco Stefan Swiežawski 351, uditori al
Concilio. Paolo VI, consegnandogli il messaggio gli mormorò: “La
Chiesa è riconoscente per il lavoro di tutta la sua vita” 352. Sette anni pri-
ma, nel 1958, il card. Pizzardo, prefetto della Congregazione per
le Università, aveva proibito all’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano di conferire la laurea honoris causa al filosofo
francese, teorico di quell’umanesimo integrale che la “Civiltà Cat-
tolica” aveva energicamente criticato. Padre Congar annotava nel
suo Diario: “Il Concilio irromperà nel mondo. Realizza oggi il suo mo-
mento di Pentecoste di cui aveva parlato Giovanni XXIII” 353. Hans
Küng, eletto il 10 dicembre all’unanimità, per la seconda volta, de-
cano della facoltà teologica di Tubinga, vi vedeva realizzate alcu-
ne delle proposte da lui avanzate, cinque anni prima, nel suo libro
Concilio e ritorno all’unità: il Vaticano II scriveva “non ha certo fatto

349
Cfr. WILTGEN, pp. 281-282. Un itinerario analogo seguì don Arturo Medina Esté-
vez, teologo del card. Silva Henríquez, con cui ebbe a discutere fin dalla fine del
Concilio. Il card. Silva Henríquez avrebbe spianato la strada al social comunista Al-
lende in Cile, mentre mons. Medina, in seguito cardinale, sarebbe divenuto punto
di riferimento dei conservatori, soprattutto in materia liturgica.
350
Testo it. in CAPRILE, vol. V, p. 520.
351
Stefan Swiežawski (1907-2004), polacco, professore di filosofia all’Università di
Lublino. Cfr. JERZY KALINOWSKI-STEFAN SWIEŽAWSKI, La philosophie à l’heure du Conci-
le, Société d’Editions Internationales, Parigi 1965.
352
MARITAIN, Carnet de notes, Desclée de Brouwer, Parigi 1965, 8 dicembre 1965.
353
CONGAR, Diario, vol. II, p. 429.
1965: LA QUARTA SESSIONE 525

tutto ciò che avrebbe potuto fare. Ma, nel complesso, ha raggiunto più di
quanto la maggior parte della gente si sarebbe aspettato” 354.
Dopo i messaggi al mondo, seguì la lettura da parte dell’arci-
vescovo Felici dalla lettera apostolica In Spiritu Sancto, con cui il
Papa dichiarava chiuso il Concilio Vaticano II. Poi Paolo VI impartì
la benedizione finale, tra gli applausi della folla, e proclamò ad al-
ta voce: “Andate in pace, il Concilio è finito”. Erano le 13,21 del mer-
coledì 8 dicembre 1965, quando le campane di San Pietro annun-
ciarono la conclusione del ventunesimo Concilio ecumenico della
Chiesa.
La sera, il Presidente del Consiglio italiano Aldo Moro offrì un
pranzo in onore delle delegazioni straniere venute a Roma per il
Concilio. Al levar delle mense ricordò che l’assemblea aveva inte-
so affrontare, tra i suoi temi principali, “quelli della posizione della
Chiesa verso le conquiste culturali, sociali e morali del mondo moderno ed
i rapporti con le Chiese cristiane, con ogni confessione, con ogni religio-
ne ed infine con tutti gli uomini” 355.
Il 24 settembre Paolo VI aveva incontrato in Vaticano il giorna-
lista del “Corriere della Sera” Alberto Cavallari per spiegargli il
senso del messaggio conciliare. “Bisogna essere semplici e avveduti –
disse il Papa – nel cogliere il senso degli anni che stiamo vivendo. La
Chiesa vuole diventare poliedrica per riflettere meglio il mondo contem-
poraneo. Per diventarlo ha deciso di affondare l’aratro nei terreni inerti,
anche nei più duri, per smuovere, vivificare, portare alla luce ciò che re-
stava sepolto. Questa aratura provoca scosse, sforzi, problemi. Al nostro
predecessore toccò il compito di affondare l’aratro. Ora il compito di con-
durlo avanti è caduto nelle nostre povere mani”. Il Papa ribadì “la ne-
cessità per la Chiesa di aprirsi” al mondo, vedendo in ciò l’essenza
del “dialogo”, e negò l’esistenza di una crisi della Chiesa. “Proprio il
Concilio sta a dimostrare che accanto a una crisi della fede del mondo non
c’è per fortuna una crisi della Chiesa” 356.

354
KÜNG, La mia battaglia, p. 515.
355
CAPRILE, vol. V, p. 527.
356
ALBERTO CAVALLARI, Colloquio con Papa Paolo VI, in “Corriere della Sera”, 3 ottobre
1963, poi in ID., Il Vaticano che cambia, Mondadori, Milano 1966, pp. 44-45.
VII

L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978)

1. L’epoca della “Rivoluzione conciliare”

Il termine di post-Concilio, con cui si indicano gli anni suc-


cessivi alla conclusione del Concilio Vaticano II, è storicamente
improprio perché suppone una inesistente frattura tra la fase
storica aperta dal Concilio e quella immediatamente seguente.
Più corretto sarebbe parlare di “epoca del Concilio”, per indica-
re in senso stretto i venti anni (1958-1978) che intercorrono tra l’i-
nizio del pontificato di Giovanni XXIII e la fine di quello di Pao-
lo VI, i due Pontefici che rispettivamente aprirono e chiusero il
Vaticano II e che, storicamente, ne furono l’incarnazione. L’epo-
ca conciliare fu, nel suo complesso, come la definì Plinio Corrêa
de Oliveira 1, una “Rivoluzione culturale” nella Chiesa, che operò
profonde trasformazioni nella mentalità e nei costumi delle ge-
rarchie e dei fedeli. Quest’epoca non si chiude naturalmente con
la morte di Paolo VI: il fatto stesso che i suoi due successori vol-
lero assumere i nomi di Giovanni Paolo attesta la volontà di con-
tinuità tra i due Papi del Concilio e quelli che ad essi seguirono.
È tuttavia innegabile che, sul piano storico, la morte di Paolo VI
segna un momento di cesura, non teologica, ma certamente sto-
rica, tra due epoche.
Fin dal 1962 si cominciò a parlare di “spirito del Concilio”, in-
tendendo con questo termine una attitudine psicologica di rot-
tura con il passato e di ottimistica fiducia nel futuro della Chie-

1
Cfr. A-IPCO, 30 marzo 1988.
528 IL CONCILIO VATICANO II

sa, affidato soprattutto al suo “aggiornamento” e al suo “dialo-


go” con il mondo 2. In questo senso il documento conciliare che
più intimamente riassume lo spirito conciliare è la costituzione
pastorale Gaudium Spes, promulgata il 7 dicembre 1965. Ad essa
vanno aggiunti altri tre testi di significativa rilevanza: il decreto
Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, del 21 novembre 1964, la
dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le re-
ligioni non cristiane, del 28 ottobre 1965, e la Dichiarazione Di-
gnitatis Humanae, anch’essa del 7 dicembre 1965 3. L’orizzonte co-
mune a questi testi è l’ecumenismo e nella loro redazione l’ap-
porto decisivo venne dal Segretariato per l’Unità dei Cristiani
del card. Bea 4. L’ambito ecumenico era quello che più aveva per-
messo lo sviluppo di una tensione verso il futuro, presentata co-
me “fedeltà alla futura Chiesa unita, quella del traguardo finale del
cammino ecumenico” 5.
Al di là della valutazione dottrinale dei documenti conciliari,
non c’è dubbio che il Concilio Vaticano II apparve e fu vissuto da
molti, anche in posizioni importanti, come una “svolta epocale”,
una vera e propria “rivoluzione” nella Chiesa. Padre Battista
Mondin scrive che “il 1965, anno della fine del Concilio Vaticano II,
può essere assunto come data epocale per la storia della teologia” 6, per-
ché, a partire da quella data, la teologia perse il suo carattere spe-
culativo ed acquistò un’inflessione eminentemente pratica, se-
guendo la china del concilio “pastorale” e non dogmatico: “L’o-
rientamento verso la prassi e l’‘inculturazione’ è la caratteristica prin-
cipale della teologia degli anni 1965-1995. ‘Prassologia’ e ‘incultura-
zione’ sono due facciate di quella grande svolta antropologica che ha

2
Per una critica motivata di questo “spirito”, cfr. B. GHERARDINI, Concilio Ecumenico
Vaticano II, cit., pp. 74-75.
3
Sulla unitarietà e coerenza dei tre documenti, cfr. FLORIAN KOLFHAUS, Pastorale Lehr-
verkündigung. Grundmotiv des Zweiten Vatikanischen Konzils. Untersuchungen zu
“Unitatis Redintegratio”, “Dignitatis Humanae” und “Nostra Aetate”, LIT, Berlino 2010.
4
Cfr. C. BARTHE, op. cit., pp. 132-133.
5
L. SARTORI, Teologia ecumenica oggi, Libreria Gregoriana, Padova 1987, pp. 32-33; ID.,
Spirito Santo e storia, Ave, Roma 1977, da cui dipende la voce Segni dei tempi di GIAN-
NI GENNARI, in Nuovo Dizionario di spiritualità, a cura di STEFANO DE FIORES-TULLO
GOFFI, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, pp. 1400-1422.
6
G. B. MONDIN, Storia della teologia, ESD, Bologna 1997, vol. IV, p. 664.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 529

avuto luogo nella teologia di quel periodo” 7. Si volle introdurre una


distinzione tra la dottrina, in sé immutabile, e la sua formulazio-
ne, legata alle mutevoli strutture linguistiche della storia. Ma
l’abbandono del linguaggio tomistico, chiaro e rigoroso, non fu
privo di conseguenze sul piano teologico 8. Il linguaggio e la pras-
si pastorale modificarono il sistema di valori antico, senza riusci-
re a crearne uno nuovo. Il filosofo belga Marcel De Corte lo os-
servava lucidamente:

“Non si cambia in effetti linguaggio come si cambia un vestito. (…) Ri-


fiutando di utilizzare il linguaggio della scolastica, dove lo sforzo natu-
rale dello spirito umano volto alla ricerca della verità è arrivato a un
punto di perfezione senza eguali, il Concilio si è alleggerito allo stesso
tempo di quel realismo di cui la Chiesa si era sempre fatta carico fino a
quel momento. Nell’otre vuota non è stato versato un vino nuovo, ma il
vento di tutte le tempeste della soggettività umana di cui vediamo con
un orrore sconcertante i danni nella Chiesa e nella civiltà cristiana. Ri-
pudiando il linguaggio, segno dei concetti, si sono ripudiate le cose, e ri-
pudiando le cose si è entrati in un colpo solo col grande stupore dei Pa-
dri o della maggior parte di loro, nella sovversione e nella rivoluzione
permanenti” 9.

I documenti approvati dal Concilio costituivano delle “leggi


quadro” prive di contenuto dogmatico, ma anche di forza giuridi-
ca, che lasciavano ampio spazio alla sperimentazione. La loro ap-
plicazione era lasciata non solo alle competenti Congregazioni ro-
mane, ma anche e soprattutto alle conferenze episcopali. “Le deci-
sioni conciliari – scriveva Jean Madiran su “Itinéraires” – sono il

7
Ivi, p. 665.
8
Si veda ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, Il linguaggio teologico oggi, a cura di AL-
FREDO MARRANZINI, Ancora, Milano 1970, in particolare CARLO MOLARI, La problema-
tica del linguaggio teologico, pp. 39-95. “Per la teologia si potrebbe dire che il significato
globale delle formule teologiche non può essere determinato solo dai contenuti ideali o dai
rapporti esistenti all’interno del sistema di fede, ma deve essere individuato nel quadro più
generale della cultura e delle esperienze storiche da cui essa trae le sue categorie espressive”
(ivi, p. 53).
9
MARCEL DE CORTE, L’intelligence en péril de mort, Collection du Club de la culture
française, Parigi 1969, p. 17.
530 IL CONCILIO VATICANO II

‘punto di partenza’ di tutta una attuazione: una attuazione di decisioni


promulgate in conformità alle decisioni promulgate” 10.
“Non spetta al Concilio dire tutto – affermava mons. Helder Câ-
mara nei giorni conclusivi del Vaticano II –. Ci sono delle afferma-
zioni implicite che tocca a noi esplicitare” 11. “A Roma, con il Concilio –
osservava da parte sua il teologo Josef Ratzinger – è stato soltanto
formulato un mandato di cui ora deve incominciare la realizzazione” 12. I
documenti conciliari erano sufficientemente ambigui per tollerare
interpretazioni diverse e talora contrastanti. Gli stessi Padri, che
più vigorosamente si erano battuti contro l’approvazione di alcu-
ni documenti conciliari, ne proposero l’interpretazione e l’appli-
cazione alla “luce della Tradizione”, opponendosi a coloro che ne
reclamavano l’applicazione nel senso di una discontinuità con il
passato.

2. La riforma della Curia di Paolo VI

La “riforma” della Curia, principale obiettivo della minoran-


za progressista, fu anche la prima realizzazione dell’epoca conci-
liare 13. L’edificio curiale costruito nei secoli dai Pontefici prece-

10
J. MADIRAN, Une schisme pour décembre, cit., p. 3.
11
CÂMARA, Lettres conciliaires, vol. II, p. 1026. Un industriale belga, Jacques Lannoye,
a nome di un gruppo di amici, offrì al card. Suenens e a mons. Helder Câmara il so-
stegno finanziario per alimentare la “sacra fiamma” del Concilio dopo la sua con-
clusione (ivi, pp. 877, 884-885).
12
J. RATZINGER, Problemi e risultati, cit., p. 155. Si consideri quanto scriveva, ad esem-
pio, GUILHERME BARAÚNA, nella prefazione all’opera collettiva di commento alla co-
stituzione dogmatica sulla Chiesa: “La Lumen Gentium non è che una nuova base di
lancio e di proiezione per il futuro. Essa immette nuovo sangue nella comunità cattolica e
cristiana. È necessario, ora, che questo sangue entri a far parte della sua circolazione vitale,
passi a rinnovare le sue fibre e i suoi tessuti fino all’ultima cellula. Il fermento è già stato
deposto nella massa. Ma il processo di fermentazione è appena incominciato” (G. BARAÚ-
NA, Prefazione a La Chiesa del Vaticano II, cit., p. XXIV).
13
Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 1970; J. SÁNCHEZ Y SÁNCHEZ, La Curia Romana hasta Pablo VI: las
grandes líneas de su evolución histórica, in “Revista española de derecho canónico”, n.
32 (1976), pp. 439-458; ID., Ante una nueva reforma de la Curia Romana. Entre el respe-
to y la esperanza, in Estudios canónicos en homenaje al Profesor D. Lamberto de Echeverría,
Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca 1988, pp. 245-264.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 531

denti venne sistematicamente demolito. Occorreva, per iniziare,


un evento simbolico, e questo fu la trasformazione della Congre-
gazione del Sant’Uffizio, che fu rinnovata persino nel nome, pro-
prio alla vigilia della chiusura del Concilio, con il motu proprio
Integrae servandae 14. Il pomeriggio del 6 dicembre 1965, “L’Osser-
vatore Romano” pubblicò il decreto che aboliva l’Indice dei libri
proibiti e trasformava il Sant’Uffizio in Congregazione per la Dot-
trina della Fede, affermando che “sembra ora meglio che la difesa
della fede avvenga attraverso l’impegno di promuovere la dottrina”.
L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) era stato
creato nel 1558, per opera della Congregazione dell’Inquisizione
Romana, poi divenuta (1908) Sant’Uffizio. L’Index pubblicato nel
1948 e che restò in vigore fino al 1966 fu l’ultima edizione del ca-
talogo di libri proibiti che la Congregazione aveva iniziato a pub-
blicare dal 1559 15. La riforma del Sant’Uffizio recava la firma del-
lo stesso card. Ottaviani, che nell’aula conciliare aveva strenua-
mente difeso il ruolo della istituzione, fino ad allora detta “Supre-
ma”. Il 14 giugno 1966, una notificazione del pro-prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede dichiarava che l’Indice
non avrebbe più avuto valore giuridico di legge ecclesiastica. Mol-
ti teologi si sentirono autorizzati da questo evento a presentarsi
come i nuovi e i più accreditati interpreti della Fede e della Paro-
la di Dio. Il 17 luglio 1967 il giuramento anti-modernista imposto
da san Pio X fu soppresso e sostituito dalla semplice professione
del “Credo” 16.

14
Cfr. AAS, 57 (1965), pp. 952-955, tr. it. in CAPRILE, vol. V, pp. 466-467. Al Motu pro-
prio seguì la notificazione Post litteras apostolicas del 4 giugno 1965. Il Sant’Uffizio
era stato costituito, con il nome di S. Congregazione della Romana e Universale In-
quisizione, da Paolo III, con la costituzione Licet ab initio del 21 luglio 1542. Cfr. le
critiche ai provvedimenti di Paolo VI svolte da R. AMERIO, in Iota unum, cit., pp. 154-
157 e P. PASQUALUCCI, in Giovanni XXIII, cit., pp. 277-287.
15
L’Index librorum prohibitorum 1600-1966, a cura di J. M. DE BUJANDA (Centre d’E-
tudes de la Renaissance, Université de Sherbrook, Ginevra 2002), raccoglie tutti
gli autori e gli scritti messi all’indice dal 1600 fino al 1966, per un totale di circa
3.000 autori e 5.000 scritti. Si veda anche BRUNO NEVEU, L’erreur et son juge. Re-
marques sur les censures doctrinales à l’époque moderne, Bibliopolis, Napoli 1993;
HUBERT WOLF, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, tr. it. Donzelli, Roma
2006.
16
Cfr. AAS, 59 (1967), p. 1058.
532 IL CONCILIO VATICANO II

Significato altrettanto eloquente ebbero le nomine che seguiro-


no. La classe dirigente ecclesiastica che aveva guidato la Chiesa ne-
gli anni immediatamente successivi alla morte di Pio XII, venne
completamente sostituita. Il 4 febbraio del 1966, mons. Gabriel-
Marie Garrone, arcivescovo di Tolosa e vice-presidente della Con-
ferenza episcopale francese, fu nominato pro-prefetto della Con-
gregazione dei Seminari e delle Università, il dicastero che i pro-
gressisti denunciavano come il più dominato dall’influenza con-
servatrice. “Ricordo – annotava Congar – che mons. Garrone aveva
formalmente chiesto la riforma della Congregazione in un discorso al
Concilio. Ed ora ha la possibilità di mettere in atto la sua idea” 17. L’inca-
rico che gli veniva conferito, osservava mons. Francesco Spadafo-
ra, “era l’autorizzazione a demolire quei gloriosi Istituti, di cui oggi ri-
mane solo il ricordo” 18. Anche Carlo Falconi sottolineava su “L’E-
spresso”, come la nomina di mons. Garrone rappresentasse “un du-
rissimo colpo a quella che da molti anni, sotto la guida del cardinale Piz-
zardo, è stata con il Sant’Uffizio la più agguerrita roccaforte della reazio-
ne pacelliana in seno alla Curia” 19. Il 13 gennaio 1968, Garrone sosti-
tuì definitivamente il card. Pizzardo al vertice della Congregazio-
ne dei Seminari e delle Università.
Altrettanto emblematica fu la scelta del canonico Charles Moel-
ler, discepolo fervente di mons. Beauduin, al posto di Sottosegreta-
rio della Congregazione per la Dottrina della Fede 20. “Entrambe le
nomine sono significative, addirittura sensazionali, soprattutto la seconda
– scrive ancora Congar – (…). Moeller è l’ecumenismo al 100%, è l’a-
pertura all’uomo, l’interesse alle sue ricerche, alla cultura, è il dialogo” 21.

17
CONGAR, Diario, vol. II, p. 433.
18
F. SPADAFORA, Il postconcilio. Crisi, diagnosi e terapia, Edizioni Settimo Sigillo, Roma
1991, p. 87.
19
C. FALCONI, Salgono gli amici di Papa Giovanni, in “L’Espresso”, 13 febbraio 1966.
Cfr. anche R. LAURENTIN, Ce que signifie l’entrée de Mgr Garrone à la Curie Romaine, in
“Le Figaro”, 4 febbraio 1966.
20
“Dopo i miei genitori, dirà un giorno il canonico Moeller, è dom Beauduin che mi ha inse-
gnato tutto” (BERNARD CHABERON, Le chanoine Charles Moeller sous-secrétaire au Saint-
Office, in “Le Phare-Dimanche”, 27 febbraio 1966). “Dom Lambert Beauduin aveva an-
nunciato l’elezione del cardinale Roncalli. Ma aveva egli mai sognato la nomina del più in-
signe dei suoi discepoli al Sant’Uffizio, sei anni dopo la sua morte?” (Paul VI a nommé le
chanoine Moeller sous-secrétaire du Saint-Office, in “La Cité”, 14 gennaio 1966).
21
CONGAR, Diario, vol. II, pp. 434-435.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 533

Il 29 giugno 1967 Paolo VI nominò nuovo Sostituto della Segre-


teria di Stato l’arcivescovo Giovanni Benelli 22, che vent’anni prima
era stato suo Segretario particolare. Mons. Agostino Casaroli, con
il quale Benelli ebbe spesso divergenza di vedute, fu chiamato a
guidare il Consiglio degli Affari pubblici, il “Ministero degli Este-
ri” della Chiesa. Il 30 dicembre 1967, il card. Ottaviani anticipò il
suo “pensionamento” con una lettera di dimissioni dall’ufficio di
pro-prefetto della Santa Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il 6 gennaio 1968, Paolo VI ne accettò la rinuncia e chiamò al suo
posto il cardinale jugoslavo Franjo Seper. Pochi giorni dopo, la
giornalista Gianna Preda incontrò presso Frascati il card. Ottavia-
ni che, malgrado la “malferma salute” attribuitagli dalla stampa, gli
parve in ottime condizioni di salute, “alto, fermo, sicuro, sorridente,
senza timori di alcun genere, benigno e severo” 23. “Ci vorrebbe di questi
tempi”, disse colui che si autodefiniva “il carabiniere della Chiesa”,
“un uomo come il Savonarola. O un Santo con tutte le suggestioni della
santità, in un mondo così indifferente”, in cui “nessuno teme il peccato.
Hanno perduto il timore e il concetto di peccato. Tutto è lecito” 24.
Dopo Ottaviani e Pizzardo, si dimisero anche il card. Benedet-
to Aloisi Masella, prefetto della Congregazione della Disciplina dei
Sacramenti, e il card. Arcadio Maria Larraona, prefetto della Con-
gregazione dei Riti. Nel febbraio del 1968 arrivarono anche le di-
missioni, richieste da Paolo VI, del card. Giacomo Lercaro da arci-
vescovo di Bologna. Tra le cause della rimozione, un’omelia, che
era dispiaciuta a Paolo VI, in cui Lercaro era andato ben oltre la li-
nea ufficiale della Santa Sede, condannando i bombardamenti
americani in Vietnam come contrari al Vangelo e invocandone la
cessazione immediata 25. Il 4 febbraio 1966, la nomina del card. Ur-
bani alla guida della Conferenza episcopale italiana aveva defini-
tivamente chiuso l’“era” del card. Siri.

22
Giovanni Benelli (1921-1982), ordinato nel 1943, arcivescovo titolare di Tusuros e
pro-nunzio apostolico in Senegal nel 1966, sostituto della Segreteria di Stato dal
1967 al 1977, poi nominato arcivescovo di Firenze e cardinale nel 1977.
23
“Finalmente sono libero” dice il cardinale Ottaviani, intervista con GIANNA PREDA, in
“Il Borghese”, 15 febbraio 1968, pp. 291-293.
24
Ivi, p. 292.
25
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., pp. 481-483.
534 IL CONCILIO VATICANO II

Agli inizi del 1968, il Papa sostituì alla testa della diocesi di
Roma il card. Luigi Traglia con il card. Dell’Acqua, che, dopo ave-
re ricevuto la porpora, era stato inizialmente destinato alla nuo-
va prefettura degli Affari economici della Santa Sede. Di Dell’Ac-
qua si parlò anche come possibile Segretario di Stato, ma nel
1969, il card. Jean Villot succedette in quella carica al cardinale
Amleto Cicognani.
Il 21 novembre 1970 Paolo VI pubblicò il motu proprio Ingrave-
scentem aetatem, con il quale veniva “definita l’età dei cardinali in re-
lazione al loro ufficio” 26. La costituzione introdusse, tra l’altro, il li-
mite di età per gli incarichi: 70 per i funzionari di Curia, 75 per i ca-
pi dei dicasteri o “prefetti”.
La riforma fu completata dalla costituzione apostolica Romano
Pontifici eligendo del 1° ottobre 1975, che escluse dall’elettorato atti-
vo in conclave e da ogni carica curiale i cardinali ultraottantenni. Il
Collegio cardinalizio ne risultò radicalmente trasformato, con la
creazione di centoquarantaquattro nuovi cardinali, in grande mag-
gioranza non italiani, nel corso di sei concistori tenuti tra il 1965 e
il 1977. Il peso della Curia fu ulteriormente limitato sia dalla costi-
tuzione del nuovo Sinodo episcopale, che dallo sviluppo delle con-
ferenze episcopali annunciate da Paolo VI come espressione di col-
legialità nel governo della Chiesa 27.
Vanno ricordate inoltre l’istituzione, nel 1967, del Consilium dei
Laici e della Commissione Justitia et Pax, affidati ad un altro espo-
nente progressista, il cardinale Roy, e lo sviluppo della Curia del dia-
logo, rappresentata dai tre Segretariati, per l’Unità dei cristiani, per
i non cristiani e per i non credenti, che assunsero il ruolo di veri di-
casteri. Per il neo-cardinale Parente, collaboratore del card. Ottavia-
ni, “convertito” alle tesi più avanzate, l’istituzione dei tre Segreta-
riati costituiva il frutto di un “atteggiamento di dialogo del Concilio,
convinto che anche l’errore può essere una base per la conquista più co-
sciente e profonda della verità” 28. La nuova fisionomia della curia fu

26
AAS, 62 (1970), pp. 810-813.
27
G. ZIZOLA, Il Sinodo dei vescovi. Cronaca, bilancio, documentazione, Borla, Torino 1968;
R. LAURENTIN, Le Premier Synode. Histoire et bilan, Ed. du Seuil, Parigi 1968.
28
P. PARENTE, Discorso alla Pontificia Università Urbaniana dell’11 novembre 1967,
cit. in G. ZIZOLA, Il Sinodo dei vescovi, cit., p. 228.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 535

espressa dalla costituzione Regimini Ecclesiae Universae 29 del 15 ago-


sto 1967, che attuava la generale riforma degli organismi della San-
ta Sede. La costituzione consacrava un principio assolutamente
nuovo: i cardinali prefetti, i membri dei dicasteri, sia cardinali che
vescovi, i segretari e i consultori “non potranno restare in carica più di
cinque anni”. Era lasciata al Papa la libertà di confermarli dopo il
quinquennio. Alla morte del Pontefice, in ogni caso, tutti dovevano
cessare dall’incarico, lasciando al nuovo eletto la possibilità di av-
valersi di un gruppo dirigente totalmente diverso. Il principio per
cui la Curia rappresentava il fattore di continuità tra un pontificato
e l’altro veniva definitivamente accantonato.
La soppressione del Corpo della Guardia Nobile, il 15 settem-
bre 1970, in attuazione al motu proprio Pontificalis Domus del 28
marzo 1968 30, non fu un evento irrilevante. Istituito da Pio VII nel
1801, con il nome di “Lance Spezzate”, il corpo della Guardia No-
bile Pontificia si era distinto, in 170 anni di vita, per la sua fedeltà
e devozione illimitata al Pontefice 31. Nelle sue allocuzioni al Pa-
triziato e alla Nobiltà romana, Pio XII aveva sottolineato tutte le
ricchezze spirituali che nel passato cristiano avevano caratteriz-
zato la nobiltà, affidandole la missione di affermarle e irradiarle
nel mondo contemporaneo 32. “Voi Guardia della Nostra persona –
aveva detto alle Guardie Nobili il 26 dicembre 1942 – siete il no-
stro usbergo, bello di quella nobiltà che è privilegio di sangue, e che già
prima della vostra ammissione nel Corpo splendeva in voi quale pegno
della vostra devozione, perché, secondo l’antico proverbio, bon sang ne
peut mentir” 33.
Dal punto di vista della distribuzione del potere il postconci-
lio non trasferì che in parte le competenze dal centro alla perife-
ria. In realtà la Curia romana non perse la sua forza, ma una
nuova classe dirigente si sostituì all’antica. La vera novità fu il

29
AAS, 59 (1967), pp. 885-928.
30
AAS, 60 (1968), pp. 305-315.
31
Cfr. GIULIO PATRIZI DI RIPACANDIDA, Quell’ultimo glorioso stendardo. Le guardie nobili
pontificie dell’11 maggio 1801 al 15 settembre 1970, s.e., Città del Vaticano 1994.
32
Cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di
Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana, tr. it. Marzorati, Milano 1993.
33
Cit. in ivi, p. 36.
536 IL CONCILIO VATICANO II

trasferimento di potere dal Sant’Uffizio alla Segreteria di Stato,


che finì con il dirigere le nove Congregazioni, i tre Segretariati e
le varie Commissioni. Fu istituito, tra l’altro, un organismo pres-
soché rassomigliante ad un “Consiglio dei ministri” dei governi
civili, costituito dalla periodica riunione di tutti i cardinali capi
di dicastero sotto la presidenza del cardinale Segretario di Stato,
le cui funzioni vennero così ad acquistare nuova e ben diversa
importanza 34.
A distanza di poco più di vent’anni dalla riforma di Paolo VI,
Giovanni Paolo II operò una nuova riorganizzazione della Curia
Romana, con la costituzione Pastor et Bonus del 1 marzo 1989 35, che
conservava sostanzialmente la precedente intelaiatura. Ciò cam-
biava la fisionomia della Chiesa, anche sotto l’aspetto organizzati-
vo, riducendo il suo ruolo di “custode” della verità e aumentan-
done quello di “forza” politica nella scena internazionale.

3. L’esplosione della crisi: il nuovo catechismo olandese

La nuova centralizzazione del potere non riuscì a contenere le


spinte centrifughe che percorrevano il corpo della Chiesa. I pri-
mi sintomi di una crisi erano anteriori alla conclusione del Con-
cilio. All’inizio di febbraio 1965, il libro di Michel de Saint-Pier-
re 36, Les nouveaux prêtres, ottenne un successo strepitoso, ven-
dendo più di duecentomila copie. Il protagonista del romanzo,
che descrive la crisi religiosa che si stava aprendo in Europa, è
un sacerdote di una parrocchia “rossa” della periferia di Parigi,
alle prese con confratelli progressisti 37. Congar, nel suo Diario, ri-

34
N. DEL RE, voce Curia romana, in MV, p. 436 (pp. 433-439).
35
AAS, 80 (1988), pp. 841-912. Si veda La Curia Romana nella costituzione apostolica
“Pastor Bonus”, a cura di PIERO ANTONIO BONNET-CARLO GULLO, Libreria Editrice Va-
ticana, Città del Vaticano 1990.
36
Michel de Grosourdy, marchese di Saint-Pierre (1916-1987), fu scrittore e giornali-
sta di successo. Alcune sue opere come Les aristocrates (La Table Ronde, Parigi 1954)
e Les nouveaux aristocrates (Calmann-Levy, Parigi 1961) furono adattate per il cine-
ma. Su di lui, cfr. JEAN PAULHAN, Michel de Saint-Pierre, La Table Ronde, Parigi 1972.
37
Dieci anni dopo Michel de Saint-Pierre firmò Les fumées de Satan, un’impressio-
nante denuncia dei casi più clamorosi di deviazione dottrinale e liturgica della
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 537

ferisce che Paolo VI, ricevendo mons. Ancel, gli chiese che cosa
pensasse del quadro tracciato da Saint-Pierre nella sua opera. “Il
Santo Padre ritiene che sia una semplificazione, che sia un’immagine
falsata, costruita con qualche frammento vero. Non ha concesso all’au-
tore, Michel de Saint-Pierre, l’udienza da lui chiesta. Ma (ci dice mons.
del Gallo 38) il Santo Padre è piuttosto preoccupato per la situazione
olandese” 39.
Nel mese di luglio 1965 la rivista dei gesuiti inglesi, “The
Month”, pubblicò un’analisi preoccupante sulla situazione della
Chiesa in Olanda 40, definendola “la sua crisi più difficile dal tempo
della Riforma” 41 e individuando il pericolo maggiore “in un certo re-
lativismo dogmatico, unito ad un falso ecumenismo, e nel venir meno del-
la vita personale di preghiera in gran parte dei nostri cattolici” 42.
La crisi olandese esplose nell’ottobre 1966 con la pubblicazione,
per opera dei vescovi dei Paesi Bassi, di un Nuovo catechismo con-
tenente affermazioni profondamente ambigue sul peccato, la re-
denzione, l’eucarestia, la verginità della Madonna, il ruolo della
Chiesa e del Papa: in altre parole, su quasi tutti i punti essenziali
della fede cattolica 43. Una Commissione ad hoc di cardinali voluta
da Paolo VI, in dialogo con i cardinali e vescovi di quella nazione,
propose una serie d’integrazioni e di modifiche al Nuovo catechismo
olandese, con tono dialogante e non ultimativo 44. Le osservazioni
furono apertamente contestate da una larga parte dell’establishment
cattolico olandese, con alla testa il cardinale Primate, Bernard Jan
Alfrink, principale difensore del Nuovo catechismo.

Chiesa di Francia. Il volume raccoglieva oltre tremila episodi scandalosi: dall’elogio


dell’amore di gruppo, al rifiuto di amministrare il battesimo ai neonati (ANDRÉ HI-
GUOT-MICHEL DE SAINT-PIERRE, Les fumées de Satan, La Table Ronde, Parigi 1976).
38
Luigi del Gallo di Roccagiovine (1922), ordinato nel 1950, consacrato vescovo di
Campli nel 1983.
39
CONGAR, Diario, vol. II, p. 266.
40
E. SCHOENMAECKERS s.j., Catholicism in the Netherlands, in “The Month”, n. 6 (1965),
pp. 335-346.
41
Ivi, p. 346.
42
Ivi, p. 343. Cfr. anche Gli ardui tentativi del riformismo olandese, in “Il Regno”, n. 10
(1965), pp. 307-308.
43
Cfr. la critica che ne svolse mons. PIER CARLO LANDUCCI, in Miti e realtà, La Roccia,
Roma 1968, pp. 291-323.
44
Cfr. AAS, 60 (1968), pp. 685-691.
538 IL CONCILIO VATICANO II

All’inizio di gennaio del 1969, si riunì a Noordwijkerhout, sul


Mare del Nord, il Consiglio Pastorale Olandese, un organismo
creato nel 1967, che comprendeva oltre cento rappresentanti dei
vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli. Con il voto favorevole dei nove
vescovi che ne facevano parte – compreso il card. Alfrink – fu vo-
tata la cosiddetta Dichiarazione d’indipendenza – in cui si invitavano
i fedeli olandesi a rifiutare l’insegnamento della enciclica Humanae
vitae. Nella stessa occasione il Consiglio Pastorale Olandese – con
l’astensione dei vescovi – si schierò a favore del Nuovo catechismo
rifiutando le correzioni suggerite da Roma e chiedendo che la
Chiesa rimanesse aperta a “nuovi approcci radicali” sui temi morali,
non citati nella mozione finale ma che emergevano dai lavori del
Consiglio, come rapporti prematrimoniali, unioni omosessuali,
aborto ed eutanasia 45.
I risultati della Dichiarazione d’indipendenza dell’Olanda da Ro-
ma furono disastrosi. Gli olandesi che dichiaravano un’affiliazione
alla Chiesa cattolica nel 1966, l’anno della pubblicazione del Nuo-
vo catechismo, erano il 35%. Nel 2006 si erano più che dimezzati, e
ridotti al 16%. Oggi l’Olanda è il Paese in cui l’identità cristiana è
più dissolta e la presenza musulmana più spavalda e invasiva 46.
Mons. Joannes Gijsen 47, consacrato vescovo di Roermond da
Paolo VI nel 1972, scriveva: “Non stupisce che tutto questo avrebbe
cambiato quasi come una rivoluzione la vita stessa della Chiesa: l’af-
fluenza in chiesa diminuì rapidamente, la confessione fu considerata su-
perflua e venne sostituita da ‘celebrazioni penitenziali’ comuni; la pietà
perse la sua profondità e si estinse; a malapena si riconosceva il valore del-
le ricchezze cattoliche. Lentamente si diffondeva l’idea che la Chiesa cat-
tolica dovesse associarsi ad altre chiese cristiane e formare con esse una

45
Cfr. M. SCHMAUS-L. SCHEFFCZYK-JOACHIM GIERS, Exempel Holland: theologische Analy-
se und Kritik des Niederländischen Pastoralkonzils, Morusverlag, Berlino 1972.
46
Si veda GIULIO MEOTTI, Nella casbah di Rotterdam, in “Il Foglio”, 14 maggio 2009;
SANDRO MAGISTER, L’Eurabia ha una capitale: Rotterdam, www.chiesa.espressonline.it,
19 maggio 2009; ID., In Olanda non c’è più posto per il Bambino Gesù. O invece sì, ivi, 30
dicembre 2009, che riporta il reportage di MARINA CORRADI, Ad Amsterdam che cosa
resta del Natale, in “Avvenire”, 23 dicembre 2009.
47
Joannes Baptist Matthijs Gijsen (1932-2007), olandese, ordinato nel 1957, vescovo
di Roermond dal 1972 al 1996, poi vescovo e vescovo emerito di Reykjavik, in Islan-
da (1996-2007).
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 539

chiesa generale; sotto il motto di servire l’ecumenismo furono prese varie


iniziative in questo senso” 48.

4. La contestazione dell’Humanae Vitae

Una nuova contestazione esplose quando, il 25 luglio 1968, Paolo


VI pubblicò l’enciclica Humanae Vitae 49. Dopo la chiusura del Conci-
lio, la Commissione per approfondire le nuove questioni riguardan-
ti la vita coniugale, istituita da Giovanni XXIII e ampliata da Paolo VI
a 75 membri, aveva continuato i suoi lavori e verso la fine di giugno
1966 consegnò i propri rapporti a un gruppo di cardinali, incaricati di
dare il loro parere e di riferire tutto al Papa. Nell’opinione pubblica si
diffuse la convinzione che Paolo VI avrebbe mutato la tradizionale
dottrina della Chiesa sul controllo delle nascite, anche perché presso-
ché ovunque la pianificazione familiare era presentata come una ne-
cessità del mondo contemporaneo e la pillola anticoncezionale come
uno strumento di “liberazione” della donna 50. Tra il 1966 e il 1968,
Paolo VI sembrò ondeggiare, prima di prendere una sofferta e trava-
gliata decisione 51. Finalmente, con l’enciclica Humanae Vitae, contra-
riamente al parere della maggioranza degli esperti da lui consultati 52,

49
PAOLO VI, Enciclica Humanae vitae del 25 luglio 1968, in AAS, 60 (1968), pp. 481-503.
50
L. SCARAFFIA, Rivoluzione sessuale e secolarizzazione, in “L’Osservatore Romano”, 25
luglio 2008, ricorda l’impulso dato alla rivoluzione sessuale dalle ricerche del bio-
logo statunitense Alfred Kinsey (1896-1956), le cui date di nascita e di morte coinci-
dono con quelle dell’ideologo del marxfreudismo Wilhelm Reich (1897-1957).
51
Il giornalista Alberto Cavallari, nel suo colloquio con Paolo VI del 24 settembre
1963, ricorda come il Papa gli disse che “aprirsi al mondo” significava “rispondere al-
le domande dell’uomo d’oggi, il cristiano d’oggi”, alcune delle quali “particolarmente dif-
ficili”: “Prenda il birth control, per esempio. Il mondo chiede cosa ne pensiamo e noi ci tro-
viamo a dare una risposta. Ma quale? Tacere non possiamo. Parlare è un bel problema. La
Chiesa non ha mai dovuto affrontare, per secoli, cose simili. E si tratta di materia diciamo
strana per gli uomini della Chiesa, anche umanamente imbarazzante. Così, le Commissioni
si riuniscono, crescono le montagne delle relazioni, degli studi. Oh, si studia tanto, sa. Ma
poi tocca a noi decidere. E nel decidere siamo soli. Decidere non è così facile come studiare.
Ma dobbiamo dire qualcosa. Che cosa? (...) Bisogna proprio che Dio ci illumini” (A. CA-
VALLARI, Il Vaticano che cambia, cit., p. 51).
52
Cfr. J. DE BROUCKER, Le dossier Suenens. Diagnostic d’une crise, Ed. Universitaires,
Parigi 1970; ROBERT MCCLORY, Rome et la contraception. Histoire secrète de l’encyclique
Humanae vitae, Ed. de l’Atelier, Parigi 1998.
540 IL CONCILIO VATICANO II

il Papa riaffermò la posizione tradizionale della Chiesa sulla contrac-


cezione artificiale 53. Si trattò, secondo Romano Amerio, dell’atto più
importante del suo pontificato 54.
Pochi giorni dopo, il 30 luglio 1968, con il titolo Contro l’encicli-
ca di Papa Paolo, il “New York Times” pubblicò un appello firmato
da oltre duecento teologi, che invitava i cattolici a disubbidire al-
l’enciclica di Paolo VI 55. Questa dichiarazione, nota anche come
“dichiarazione Curran”, dal nome di uno dei suoi promotori, don
Charles Curran 56, teologo della Catholic University of America è,
secondo Ralph McInerny, un documento fondamentale per chiun-
que voglia comprendere “che cosa andò storto” col Vaticano II 57. Si
tratta di qualche cosa che non si era mai visto nella lunga – e pur
tormentata – storia della Chiesa. Ma il fatto eccezionale, come sot-
tolinea Leo Declerck, è che la contestazione non provenne solo da
teologi e sacerdoti, ma anche da alcuni episcopati, tra cui, in primis,
quello belga, capeggiato dal cardinale Primate Leo Suenens 58. La
Déclaration de l’Episcopat belge sur l’Encyclique Humanae Vitae, del
30 agosto 1968, fu, con quella dell’episcopato tedesco, una delle
prime elaborate da una conferenza episcopale e servì come model-

53
Sull’enciclica, in prospettiva tradizionale, si veda, tra l’altro, ERMENEGILDO LIO
o.f.m., Humanae vitae e infallibilità; Paolo VI, Il Concilio e Giovanni Paolo II, LEV, Città
del Vaticano 1986; “Humanae vitae”: 20 anni dopo, Atti del II Congresso Internazio-
nale di Teologia Morale (Roma, 9-12 novembre 1988), Edizioni Ares, Milano 1989;
RALPH MCINERNY, Vaticano II. Che cosa è andato storto?, a cura di M. INTROVIGNE, Fe-
de e Cultura, Verona 2009; STÉPHANE SEMINCKX, La réception de l’encyclique “Humanae
vitae” en Belgique. Etude de théologie morale, Pontificia Universitas Sanctae Crucis, Ro-
ma 2006; M. SCHOOYANS, La profezia di Paolo VI. L’enciclica Humanae vitae, Cantagal-
li, Siena 2008.
54
Cfr. R. AMERIO, Iota unum, cit., p. 134 (pp. 133-138).
55
Against Pope Paul’s Encyclical, in “The New York Times”, 31 luglio 1968.
56
Charles Curran (1934), ordinato nel 1958, fu perito al Concilio, poi professore alla
Catholic University of America, da cui fu rimosso (1986) per il suo atteggiamento
di aperto dissenso verso il Magistero cattolico in tema di morale. Di lui, cfr. Loyal
Dissent: Memoirs of a catholic theologian, Georgetown University Press, Washington
2006.
57
Cfr. R. MCINERNY, Vaticano II, cit., pp. 36 e sgg, e l’articolo del card. FRANCIS J.
STAFFORD, 1968, l’anno della prova, in “L’Osservatore Romano”, 25 luglio 2008.
58
Cfr. lo studio, basato sui documenti degli archivi Suenens, Moeller, Philips e Pri-
gnon, di L. DECLERCK, La réaction du cardinal Suenens et de l’épiscopat belge à l’encycli-
que Humanae vitae. Chronique d’une Déclaration (juillet-décembre 1968), in “Ephemeri-
des Theologicae Lovanienses”, 84/1 (2008), pp. 1-68.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 541

lo di contestazione ad altri episcopati 59. L’autore principale del te-


sto era mons. Philips, principale redattore della Lumen Gentium,
che nel Concilio si era distinto come esponente del “Terzo Partito”.
Un gruppo di protagonisti del Concilio contrari all’enciclica di
Paolo VI, tra i quali i cardinali Suenens, Alfrink, Heenan, Döpfner
e König, si riunì a Essen per concertare un’opposizione al docu-
mento 60 e, il 9 settembre 1968, nel corso del Katholikentag di Essen,
alla presenza del legato pontificio, il card. Gustavo Testa, fu vota-
ta a schiacciante maggioranza una risoluzione per la revisione del-
l’Enciclica. Dalla corrispondenza con Suenens di mons. Huyghe 61,
vescovo di Arras, conosciamo molte altre reazioni, come quella del
card. Pellegrino, arcivescovo di Torino, che definì l’enciclica “una
delle tragedie della storia pontificia” 62, esprimendo, con queste paro-
le, un giudizio non diverso da quello che, nello stesso periodo, pro-
nunciava frère Roger Schutz di Taizé 63.
Al simposio dei vescovi europei, tenutosi a Coira nel luglio
1969, il card. Suenens, durante la sua conferenza conclusiva, lesse
un drammatico appello di Hans Küng, per rendere non più obbli-
gatorio il celibato dei preti 64. Tre anni dopo, un gruppo di teologi
firmò il manifesto detto “dei 33”, chiedendo libertà dal celibato 65.
Questa richiesta era coerente con il ruolo riconosciuto dalla teolo-
gia progressista alla sessualità: un istinto che l’uomo non doveva
reprimere attraverso l’ascesi, ma “liberare”, trovando nel sesso una
forma di “realizzazione” della persona umana 66.

59
Cfr. L. DECLERCK, La réaction du cardinal Suenens, cit., pp. 1-2.
60
Ivi, p. 75.
61
Gérard-Maurice-Eugène Huyghe (1909-2001), francese, ordinato nel 1933, consa-
crato vescovo di Arras nel 1962.
62
L. DECLERCK, La réaction du cardinal Suenens, cit., p. 49.
63
Ivi.
64
Cfr. L. DECLERCK-T.OSAER, op. cit., p. 75.
65
Cfr. “Regno-Documentazione”, n. 17 (1972), pp. 244-246.
66
Nel 1976 padre Innocenzo Colosio (1910-1997), un eminente studioso domenicano
della spiritualità, rilevava il crollo della ascetica e della mistica all’interno della
Chiesa cattolica, come conseguenza di una falsa spiritualità affermatasi dopo il
Concilio (I. COLOSIO, Agonia della mistica nell’attuale congiuntura ecclesiale?, in “Rivi-
sta di Ascetica e Mistica”, n. 3 (1976), pp. 105-116), mentre il padre stimmatino Cor-
nelio Fabro (1911-1995) denunciava le devastazioni della morale cattolica ad opera
dei “pornoteologi” (L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974).
542 IL CONCILIO VATICANO II

Il teologo (poi cardinale) Leo Scheffczyk 67, intervenendo nel 1988


a Roma ad un congresso nel ventennale della Humanae vitae, spiegò
chiaramente il meccanismo utilizzato dai teologi dissidenti per op-
porre il loro “magistero” a quello pontificio. Si “mette accanto al ma-
gistero infallibile un cosiddetto magistero fallibile, cosicché la fallibilità ap-
parterrebbe a tale magistero quasi come un attributo permanente” 68. Posto
che il Magistero invoca molto raramente la sua infallibilità, e nor-
malmente richiede l’assenso dei fedeli nei confronti della sua espres-
sione in forma “autentica”, da parte dei dissidenti “si costruisce l’e-
quazione: infallibilità è incapacità di errore, autenticità invece è capacità di
errore, e perciò anche incertezza e di per sé più esposta al rifiuto” 69. La ra-
gione principale della crisi del Magistero risaliva in realtà all’abban-
dono del ruolo della Tradizione nella vita della Chiesa.
La gravità del caso Humanae vitae è confermata da un dato che
riguarda la persona stessa di Papa Paolo VI: nei dieci anni succes-
sivi a quel documento, il Pontefice, quasi traumatizzato da una
contestazione che proveniva da alcune delle figure del Concilio a
lui più vicine, non pubblicò più alcun’altra enciclica, dopo che ne
aveva pubblicate sette fra il 1964 e il 1968.

5. 1968: la Rivoluzione nella società

Non si può ignorare, a questo punto, la correlazione storica tra


i due grandi eventi del secolo XX: il Concilio Vaticano II e la Rivo-
luzione del Sessantotto 70.

67
Leo Scheffczyk (1920-2005), teologo tedesco, ordinato nel 1947, professore alle uni-
versità di Tubinga e Monaco di Baviera, creato cardinale nel 2001.
68
L. SCHEFFCZYK, Responsabilità e autorità del teologo nel campo della teologia morale: il dis-
senso sull’enciclica “Humanae vitae”, in Pontificio Istituto Giovanni Paolo II dell’Univer-
sità Lateranense – Centro Accademico Romano della Santa Croce, Roma 1989, p. 283.
69
Ibidem.
70
Come studi generali sul Sessantotto, cfr. PEPPINO ORTOLEVA, Saggio sui movimenti del
1968 in Europa e in America, con un’antologia di materiali e documenti, Editori Riu-
niti, Roma 1988; ARTHUR MARWICK, The Sixties Cultural Revolution in Britain, France,
Italy and United States. c. 1958-1974, Oxford University Press, Oxford 1998; ROGER
KIMBALL, The Long March: How the Cultural Revolution of the 1960s Changed America,
Encounter Books, New Title, San Francisco 2000; Enciclopedia del ’68, Manifestolibri,
Roma 2008; ENZO PESERICO, Gli “anni del desiderio e del piombo”, Sugarco, Milano 2008.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 543

Il Sessantotto fu un movimento non “spontaneo”, che aveva un


preciso progetto di trasformazione della società. Il “socialismo
scientifico” di Marx e di Lenin era visibilmente fallito nel suo so-
gno prometeico di costruire il nuovo edificio della Civiltà moder-
na, pagando uno spaventoso prezzo umano: guerre, rivoluzioni,
centinaia di milioni di vittime in tutto il mondo 71. Mai si era tanto
parlato di progresso e di liberazione dell’uomo e mai tanto sangue
era corso nella storia, fino ad offrire un vero e proprio olocausto al
feticcio della Modernità. Il Sessantotto sancì il fallimento di questa
utopia, pur presentandosi anch’esso come un nuovo “sogno” rivo-
luzionario. Sotto questo aspetto, invece di essere racchiuso nei ter-
mini che propone lo storico Eric Hobsbawm 72, tra il 1914 e il 1991,
il Novecento potrebbe essere ristretto tra i cinquant’anni che van-
no dal 1918, la fine della Prima Guerra Mondiale, al 1968, l’anno
della contestazione studentesca.
La Rivoluzione del Sessantotto ebbe certamente un forte im-
patto nella Chiesa, oltre che nella società, ma la “svolta conciliare”
favorì a sua volta l’esplosione della rivolta studentesca. Lo slogan
del Sessantotto, “è proibito proibire”, aveva le sue origini nell’avver-
sione conciliare ad ogni forma di condanna e proibizione dottrina-
le. “Le richieste del movimento del maggio ’68 – scriveva l’abbé Lau-
rentin – coincidevano in larga misura con le grandi idee del Concilio, in
particolare della costituzione conciliare sulla Chiesa e il mondo” 73. Par-
rocchie, gruppi cattolici e protestanti tenevano riunioni e assem-
blee, come il dibattito organizzato dal CRAC (Comitato Rivoluzio-
nario di Agitazione Culturale), l’8 giugno 1968, nell’anfiteatro Ri-
chelieu a Parigi, sul tema Da Che Guevara a Gesù Cristo 74. Del resto,
scrive ancora Laurentin, “già il Vaticano II in una certa misura fu la
contestazione di un gruppo di vescovi impegnati contro la Curia che ten-
tava di realizzare un concilio istituzionalmente prefabbricato” 75.

71
Si veda un quadro generale in: R. DE MATTEI, 1900-2000: Due sogni si succedono. La
costruzione, la distruzione, Edizioni Fiducia, Roma 1989.
72
ERIC HOBSBAWM, Il secolo breve 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, tr. it. Rizzoli, Mi-
lano 1999.
73
R. LAURENTIN, Crisi della Chiesa e secondo Sinodo episcopale, Morcelliana, Brescia
1969, p. 14.
74
Ivi, p. 15.
75
Ivi, p. 16.
544 IL CONCILIO VATICANO II

Il 21 maggio del 1968 sulla rivista “Témoignage chrétien” ap-


parve un appello “a introdurre la Rivoluzione nella Chiesa” 76. Rievo-
cando quest’atmosfera, con particolare riferimento ai domenicani
francesi, il card. Schönborn 77 ricorda: “Era come durante la Rivolu-
zione francese: non ci mancava che la ghigliottina” 78.
Anche in Italia, agli albori del Sessantotto, ricorda Roberto Be-
retta, ci furono “i fermenti del Concilio Vaticano II, le impazienze sulla
sua applicazione, le attese giustificate o meno di certi suoi sviluppi, le let-
ture di tanti teologi alla moda dell’epoca, le discussioni di giovani credenti
‘impegnati’, anzi spesso ‘i migliori’, la crème più avanzata e colta del lai-
cato, i quadri dirigenziali dell’associazionismo ecclesiale” 79. Sfogliando i
documenti del Sessantotto, si scopre in effetti come i leader studen-
teschi e gli esponenti del dissenso cattolico citassero abbondante-
mente i testi conciliari e alcuni documenti dei Papi: i preferiti era-
no l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, le costituzioni Lu-
men Gentium e Gaudium et Spes del Vaticano II, e l’enciclica Popolo-
rum Progressio di Paolo VI 80.
La contestazione religioso-ecclesiale si aprì in Italia con il “con-
tro-quaresimale” di Trento, seguito nel settembre dall’occupazione
della cattedrale di Parma. Il 22 dello stesso mese la comunità fio-
rentina dell’Isolotto inviò una lettera di solidarietà ai contestatori
di Parma, sottolineando la necessità di una scelta discriminante
“fra coloro che sono dalla parte del Vangelo dei poveri e coloro che servo-
no due padroni, Dio e il denaro” 81. Attorno a don Enzo Mazzi, “lea-
der” della comunità dell’Isolotto, rimosso dal card. Florit dal suo
ufficio di parroco, nacque la prima “comunità di base” italiana, se-
guita da molte altre.

76
Cit. in GÉRARD CHOLVY-YVES-MARIE HILAIRE, Histoire religieuse de la France contem-
poraine, Privat, Tolosa 1988, vol. III, p. 307.
77
Christoph Schönborn (1945), austriaco, dell’Ordine domenicano, ordinato nel
1930. Vescovo titolare di Sutri e vescovo ausiliare di Vienna (1991), di cui diventò
arcivescovo nel 1995. Creato cardinale nel 1998.
78
Cit. in E. HABSBURG-LOTHRINGEN, Das Ende des Neuthomismus, cit., p. 118.
79
ROBERTO BERETTA, Cantavamo Dio è morto. Il 68 dei cattolici, Piemme, Casale Mon-
ferrato 2008, p. 16.
80
Ivi, p. 61.
81
G. MARTINA, La Chiesa in Italia, cit., p. 162.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 545

Alcuni tra i principali esponenti del movimento come Mario


Capanna 82 e Marco Boato 83 provenivano dagli ambienti cattolici;
Capanna, della “Cattolica” di Milano, ricorda: “Passavamo nottate a
studiare e a discutere i teologi ritenuti allora di frontiera: Rahner, Schil-
lebeeckx, Bultmann (…) insieme ai documenti del Concilio” 84.
Un altro esponente di “Lotta Continua” di quegli anni, Paolo
Sorbi, protagonista del “contro-quaresimale” sul sagrato della Cat-
tedrale di Trento, scrive: “Eravamo interpreti del pensiero di don Mi-
lani, di don Mazzolari, di padre Balducci, di don Camillo Torres. Persone
che ci hanno trasmesso il sogno di un’utopia che abbiamo cercato di rea-
lizzare in terra. Ora, le parole sono come pietre. Noi abbiamo preso sul se-
rio quelle parole, le abbiamo radicalizzate” 85.
Il Sessantotto cattolico si sviluppò in due direzioni: una linea
“carismatica” e una linea “politica”, l’una destinata a sfociare nel
pentecostalismo cattolico 86, l’altra nel terrorismo rivoluzionario o
nella teologia della liberazione 87.
Nel primo caso, i teologi che in Concilio avevano voluto sepa-
rare la dimensione carismatica della Chiesa (l’“anima”) dalla sua
struttura gerarchica (il “corpo”), ora propugnavano una visione in
cui, in nome dei nuovi “carismi”, venivano dissolte le istituzioni
tradizionali, dalle diocesi alle parrocchie. L’abbé Laurentin, all’ini-
zio del 1974, salutava “la prodigiosa espansione del ‘movimento di Pen-

82
Cfr. MARIO CAPANNA, Formidabili quegli anni, Rizzoli, Milano 1988.
83
Cfr. MARIO BOATO, Contro la Chiesa di classe. Documenti della contestazione ecclesiale
in Italia, Marsilio, Padova 1969.
84
Intervista a “Avvenire” (20 marzo 1998). Sull’influenza del Cattolicesimo sul mo-
vimento del Sessantotto cfr. MARIO CUMINETTI, Il dissenso cattolico in Italia 1965-1980,
Rizzoli, Milano 1983; MICHELE BRAMBILLA, Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantot-
to, Rizzoli, Milano 1994; R. BERETTA, Il lungo autunno. Controstoria del Sessantotto cat-
tolico, Rizzoli, Milano 1998; ROCCO CERRATO, Il Sessantotto e il mondo cattolico in Ita-
lia, in 1968: fra utopia e Vangelo. Contestazione e mondo cattolico, a cura di A. GIOVA-
GNOLI, Ave, Roma 2000.
85
PAOLO SORBI, Mea culpa sul ‘68, in “Avvenire”, 26 marzo 1998. Sorbi, che procla-
mava “Non può esservi Rivelazione senza Rivoluzione”, passerà da Lotta Continua al
Pci, per finire con incarichi direttivi nel Movimento per la Vita e una rubrica a Ra-
dio Maria.
86
Cfr. L. G. SUENENS, Lo Spirito Santo nostra speranza: una nuova Pentecoste?, tr. it. Pao-
line, Alba 1975.
87
Cfr. E. PESERICO, Gli “anni del desiderio e del piombo”, cit.
546 IL CONCILIO VATICANO II

tecoste’ nel cattolicesimo” 88 e il card. Suenens consacrava una lettera


pastorale alla “riscoperta dello Spirito Santo”, esprimendo la sua am-
mirazione per il movimento carismatico 89.
Nel secondo caso, la presenza cristiana si trasformò in utopia
politica, dissolvendo la dimensione trascendente della Chiesa di
Cristo. “La distruzione della teologia – ricorda il card. Ratzinger –, av-
veniva attraverso la sua politicizzazione in direzione del messianismo
marxista” 90. “Il Vaticano II – ha scritto, da parte sua, don Gianni Ba-
get Bozzo – aveva attualizzato l’idea che il popolo teoforo cambia la sto-
ria e la cambia in funzione dei criteri universali; aveva cioè introdotto l’u-
topia all’interno del linguaggio cattolico” 91.
Le conseguenze furono catastrofiche. “Nel 1968 – ricorda il card.
Stafford 92 – accadde qualcosa di terribile nella Chiesa. In seno al sacer-
dozio ministeriale, fra amici, si verificarono ovunque fratture che non si
sarebbero mai più ricomposte, quelle ferite continuano ad affliggere l’in-
tera Chiesa” 93. Un altro illustre porporato, il card. Caffarra 94, osser-

88
R. LAURENTIN, La prodigieuse expansion du “mouvement de Pentecôte”, in “Le Figaro”,
21 gennaio 1974; ID., Pentecôtisme chez les catholiques: risques et avenir, Beauchesne,
Parigi 1974.
89
Cfr. Le cardinal Suenens évoque le climat de foi, de jeunesse et de spontanéité du re-
nouveau charismatique, in “Le Monde”, 19 luglio 1973. In un successivo libro, de-
dicato a Œcuménisme et renouveau charismatique. Orientations théologiques et pasto-
rales (Le Centurion, Parigi 1978), Suenens auspicherà la fusione del movimento
ecumenico con il pentacostalismo cattolico, affermando che “il rinnovamento cari-
smatico può agire come un potente motore per sollevare il popolo cristiano nella speran-
za ecumenica” (p. 156). Sulle origini del “pentecostalismo cattolico”, cfr. KEVIN e
DOROTHY RANAGHAN, Il ritorno dello Spirito. Storia e significati di un movimento re-
ligioso, tr. it. Jaca Book, Milano 1973; JOSEPH CREHAN s.j., Charismatics and Penteco-
stals, in “Christian Order”, n. 11 (1972), pp. 678-689. Cfr. anche la critica sintetica
ma puntuale di ENRICO ZOFFOLI, Carismi e carismatici nella Chiesa, Edizioni Deho-
niane, Roma 1991.
90
J. RATZINGER, La mia vita: ricordi, cit., p. 104.
91
G. BAGET BOZZO, L’intreccio. Cattolici e comunisti 1945-2004, Mondadori, Milano
2004, p. 130.
92
James Francis Stafford (1932), statunitense, ordinato nel 1957, vescovo titolare di
Respecta (1976), vescovo di Memphis (Usa) nel 1982, poi arcivescovo di Denver
(1986-1996), presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (1996), creato cardinale
nel 1998.
93
F. STAFFORD, 1968. L’anno della prova, cit.
94
Carlo Caffarra (1938), ordinato nel 1961, consacrato vescovo di Ferrara-Comacchio
nel 1995, arcivescovo di Bologna nel 2004, creato cardinale nel 2006.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 547

va come il Sessantotto non fu la causa, ma l’esito di un processo


storico che veniva da lontano.
“Il dissenso sulla Humanae vitae, la controversia sul Nuovo cate-
chismo olandese e la nascita della ‘teologia della liberazione’ d’impron-
ta marxista sono l’esito – che non casualmente si manifesta proprio nel
1968 – di processi più che secolari, di dinamiche che già esistevano prima
del Concilio cui la stessa teologia preconciliare non aveva posto una argi-
ne sufficiente, così che la stessa reazione ai dissidenti da parte di un pen-
siero etico e teologico conservatore all’immediato indomani del 1968 ma-
nifesta una grave ‘inadeguatezza’” 95.

6. La teologia della liberazione

a) La nascita del CELAM

L’espressione più radicale della politicizzazione del mondo


cattolico fu la nascita e lo sviluppo della “teologia della liberazio-
ne” 96. Il fenomeno fu legato a due eventi storici che caratterizza-
rono il postconcilio: l’enciclica di Paolo VI, Populorum Progressio, e
la conferenza di Medellín.
Il primo incontro di un certo rilievo tra teologi latinoamericani si
era avuto a Petrópolis (Brasile) nel febbraio del 1964, quando il Con-
cilio era ancora in corso. In questa occasione un gruppo di teologi si
riunì con l’obiettivo di applicare in America Latina le novità conci-
liari e di organizzare un corso per professori di facoltà teologiche la-
tinoamericane, con l’apporto di teologi europei 97. Durante il Concilio,

95
C. CAFFARRA, Il sesso è libero, cioè relativo, in “Il Foglio”, 7 ottobre 2008.
96
Cfr. La nuova frontiera della teologia nell’America Latina, a cura di R. GIBELLINI, Que-
riniana, Brescia 1975; B. MONDIN, I teologi della liberazione, Borla, Roma 1977; PHILIP
BERRYMAN, Liberation Theology. The Essential Facts about the Revolutionary Movement in
Latin America and Beyond, Pantheon Books, New York 1987; LUCIA CECI, La teologia
della liberazione in America Latina. L’opera di Gustavo Gutiérrez, Franco Angeli, Milano
1999; I. ELLACURÍA-J. SOBRINO, Mysterium Liberationis, cit.; S. SCATENA, In populo pau-
perum. La chiesa latinoamericana dal concilio a Medellín (1962-1968), Il Mulino, Bologna
2007; ID., La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008. Le radici
ideologiche remote del movimento sono bene individuate da JULIO LOREDO in Revo-
lution in the Church: tracing the roots of liberation theology, Pro-Manuscripto, s. l. 1992.
97
Cfr. L. CECI, La teologia della liberazione, cit., pp. 60-61.
548 IL CONCILIO VATICANO II

si riunì inoltre, per tre volte a Roma, il CELAM tra il 1963 e il 1965.
Queste assemblee furono definite dal loro presidente, mons. Larraín,
come il “primo caso, in tutta la storia della Chiesa, di realizzazione del con-
cetto di collegialità episcopale” e, in futuro, certamente un “veicolo dello
spirito del Concilio” 98. Come ricorda uno dei Padri conciliari latinoa-
mericani, mons. Marcos McGrath “il CELAM, nei mesi di permanenza
conciliare a Roma, promuoveva per i suoi membri riunioni regolari con con-
ferenzieri sui diversi temi del Concilio, oltre ad incontri personali e di grup-
pi (…); e sessioni settimanali di studio su temi attuali del Concilio, poiché i
principali gruppi erano riuniti attorno all’episcopato brasiliano e a quello ci-
leno. Questi diversi gruppi riuniti in tutta Roma (…) elaboravano proposte
ai documenti che molti vescovi avrebbero appoggiato” 99.
Un primo, significativo tentativo di realizzazione del Vaticano
II nel contesto culturale, sociale e politico latinoamericano fu l’as-
semblea straordinaria del CELAM, che si tenne dall’11 al 16 otto-
bre del 1966 a Mar del Plata (Argentina), sul tema Presencia activa
de la Iglesia en el desarrollo y en la integración de América Latina 100. Il
quadro di riferimento era la realtà latino-americana alla luce della
Gaudium et Spes. Dalla conferenza di Bandung nel 1955 il tema del-
lo “sviluppo” aveva iniziato ad esprimere le aspirazioni dei Paesi
del Terzo Mondo e, per quanto riguarda l’America Latina, era sta-
to sostenuto da alcuni organismi a carattere continentale, come la
Comisión Económica Para América Latina (CEPAL), fondata nel
1949 e dipendente dalle Nazioni Unite, il Banco Interamericano de
Desarrollo e la stessa Alianza para el Progreso, il programma di
aiuto americano per l’America Latina attuato tra il 1961 e il 1970 101.

98
Così in “Criterio”, n. 1475 (1965), p. 355. Durante la discussione dello schema De
episcopis ac de dioecesium regimine, una proposta di emendamento suggerì di inseri-
re nel testo conciliare un riferimento esplicito al CELAM come esempio di confe-
renza episcopale sopranazionale.
99
Cfr. L. CECI, La teologia della liberazione, cit., p. 57-58. Cfr. M. G. MCGRATH, Unas no-
tas sobre Paolo VI y la colegialidad episcopal en América Latina, in Paolo VI e la collegia-
lità episcopale, Colloquio internazionale di studio, Brescia (25-26-27 settembre 1992),
Studium, Brescia-Roma 1995, pp. 236-240.
100
Cfr. VICENTE OSCAR VETRANO, Crónica de la X Asemblea del CELAM en Mar del Pla-
ta, in “Criterio”, n. 1526 (1967), pp. 432-437.
101
Cfr. ALBERT OTTO HIRSCHMAN, Problemi dell’America Latina, Il Mulino, Bologna
1961, in particolare, per quanto riguarda la CEPAL, pp. 22-42.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 549

b) L’enciclica Populorum Progressio

Il tema dello sviluppo era entrato anche nei documenti del Ma-
gistero, in particolare nelle encicliche giovannee Mater et Magistra
e Pacem in Terris, nonché nella costituzione pastorale Gaudium et
Spes, trovando una certa accoglienza a livello di riflessione teolo-
gica in alcuni autori europei 102.
Nel 1967 apparve l’enciclica Populorum Progressio 103, il cui testo
originale era redatto in francese, fatto inconsueto per un’enciclica,
ma che rivelava le fonti intellettuali del Pontefice, in particolare il
contributo al testo del padre Lebret 104, morto pochi mesi prima, nel
1966. Nel documento Paolo VI ammetteva l’esistenza di “situazioni
la cui ingiustizia grida verso il cielo” e di violazioni della dignità
umana in cui la rivolta armata poteva essere legittima.

“Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno


stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsa-
bilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazio-
ne alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la
violenza simili ingiurie alla dignità umana”. “E tuttavia sappiamo che
l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia eviden-
te e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali del-
la persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Pae-
se – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca
nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male
più grande” 105.

Il passaggio papale dedicato al “caso della tirannia evidente e pro-


lungata” venne facilmente strumentalizzato da alcuni teologi che

102
L. CECI, La teologia della liberazione, cit., p. 77-78. Sulla teologia dello sviluppo si ve-
da ANGELO DE GENNARO, Teologia dello sviluppo, in Correnti teologiche postconciliari, a
cura di ALFREDO MARRANZINI, Città Nuova, Roma 1974, pp. 149-169.
103
PAOLO VI, Enciclica Popolorum Progressio del 26 marzo 1967, in PAOLO VI, Insegna-
menti, Encicliche, pp. 79-119.
104
Louis-Joseph Lebret (1897-1966), domenicano francese, ordinato nel 1928. Fu no-
minato esperto al Concilio all’inizio del 1964 e poi fu incaricato di preparare l’enci-
clica Popolorum progressio (1967).
105
PAOLO VI, Enciclica Popolorum Progressio, cit., p. 95.
550 IL CONCILIO VATICANO II

elaborarono la tesi della legittimità della rivoluzione, una volta


esperiti i tentativi pacifici. “L’enciclica di Paolo VI Populorum pro-
gressio – secondo Gustavo Gutiérrez 106 – risuonò come una tromba in
America Latina” 107.
Gustavo Gutiérrez Merino, sacerdote peruviano trentacinquen-
ne, dopo aver studiato in Europa, aveva partecipato al Concilio as-
sieme al sacerdote brasiliano Hugo Assman 108 e con il sostegno del
CELAM, si propose di sviluppare nell’America del Sud le istanze
più radicali del Concilio.
“A Roma – ricordò Gutiérrez – incontrai il mio direttore spiritua-
le di Lovanio, Gustave Thils – era uno degli esperti –, un caro amico de-
gli anni di Lovanio, Charles Moeller, il quale era molto impegnato nel
lavoro delle Commissioni, ma anche altri miei professori come de Lubac,
che conoscevo bene, Congar, Chenu, che pure conoscevo, Martelet 109 e
Roger Aubert 110. Tutti questi erano esperti al Concilio, e ciò, dal mo-
mento che avevo con loro un rapporto di amicizia, mi dava la possibilità
di avere un confronto molto diretto. Finalmente la teologia che avevo
studiato – in quel periodo si chiamava ‘progressista’ – trovava ascolto
nella Chiesa” 111.

106
Gustavo Gutiérrez Merino (1928), peruviano, ordinato nel 1959. Dopo aver stu-
diato in Belgio, insegnò in America Latina e negli Stati Uniti. La sua opera princi-
pale è Teologia della liberazione. Prospettive, tr. it. Queriniana, Brescia 1972. Nel 1983
fu condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
107
G. GUTIÉRREZ, La Chiesa e i poveri visti dall’America Latina, in Il Vaticano II e la Chie-
sa, a cura di G. ALBERIGO-J. P. JOSSUA, Paideia, Brescia 1985, p. 248 (pp. 231-260).
108
Hugo Assman (1933-2008), brasiliano, ordinato nel 1961 in Italia, allievo del pa-
dre Josef Fuchs s.j. (1912-2005) alla Gregoriana, lasciò il sacerdozio dieci anni dopo
per sposarsi con una donna brasiliana da cui ebbe due figli e assunse l’incarico di
docente nella Università metodista di San Paolo. Il suo testo basico è Teologia della
prassi di liberazione, tr. it. Cittadella, Assisi 1974 (1971).
109
Gustave Martelet (1916), gesuita, francese, discepolo di Teilhard de Chardin, pro-
fessore al Centre Sèvres di Parigi e all’Università Gregoriana di Roma. Teologo dei
vescovi francofoni dell’Africa in Concilio. Di lui cfr. Teilhard de Chardin prophète d’un
Christ toujours plus grand, Editions Lessius, Bruxelles 2005.
110
Roger Aubert (1914-2009), belga, ordinato nel 1938, storico e teologo, professore
all’università di Malines dal 1952 al 1983.
111
L. CECI, La teologia della liberazione, cit., p. 50. Si veda anche ROSINO GIBELLINI, Il di-
battito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1990 (1986); ID., Chiesa e li-
berazione in America Latina (1968-1972), in L’America Latina fra Pio XII e Paolo VI, a cu-
ra di A. MELLONI-S. SCATENA, Il Mulino, Bologna 2006.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 551

Un altro teologo europeo, di cui Gutiérrez sviluppò la lezione,


fu Edward Schillebeeckx, che aveva sottolineato l’importanza, per
l’uomo contemporaneo, della prassi storica, con cui si iniziava a
costruire il Regno di Dio 112. Non meno rilevante, nella formazione
teologica di Gutiérrez, fu Karl Rahner, con la sua teoria del “cri-
stianesimo anonimo” o “cristianesimo implicito” 113, per cui anche al di
fuori del Cristianesimo, tra gli atei, esistono uomini giustificati dal-
la grazia, in cui è presente lo Spirito Santo. A Rahner, Gutiérrez
aveva guardato sin dagli anni degli studi a Lione, attratto soprat-
tutto dall’idea di “esistenziale-soprannaturale”, come costitutivo del-
la natura umana. Questo concetto, come sottolineerà Gutiérrez,
permetteva a Rahner di affermare che tutto l’uomo ed ogni uomo
è esistenzialmente toccato dalla grazia 114. A partire da questa pro-
spettiva rahneriana, non lontana dalla concezione del soprannatu-
rale di de Lubac, Gutiérrez elaborò una filosofia che rifiutava la di-
stinzione tra storia profana e storia della salvezza, affermando che
“c’è una sola storia” e che la salvezza cristiana include una “libera-
zione integrale” dell’uomo da realizzare nella storia e attraverso la
storia 115.

c) La conferenza di Medellín

La conferenza generale dell’episcopato latino-americano, svoltosi


a Medellín, in Colombia, dal 26 agosto al 6 settembre del 1968, fu il
punto di arrivo del processo ideologico avviato dal Concilio e il pun-
to di partenza della diffusione su scala internazionale della teologia

112
Cfr. E. SCHILLEBEECKX, La Chiesa, l’uomo contemporaneo e il Vaticano II, Paoline, Ro-
ma 1966.
113
Cfr. K. RAHNER, I cristiani anonimi, in Nuovi saggi, vol. I, Paoline, Roma 1968, pp.
759-772; ID., Cristianesimo anonimo e compito missionario, in Nuovi saggi, vol. IV, Pao-
line, Roma 1973, pp. 619-642; ID., Osservazioni sul “cristianesimo anonimo”, in Nuovi
saggi, vol. V, Paoline, Roma 1974, pp. 677-697; ANITA RÖPER, I cristiani anonimi, tr. it.,
Queriniana, Brescia 1967, che si ispira alle idee di Rahner e Schillebeeckx.
114
Cit. in G. GUTIÉRREZ, La verità vi farà liberi. Confronti, tr. it. Queriniana, Brescia
1990, p. 37.
115
Ivi, p. 38.
552 IL CONCILIO VATICANO II

della liberazione. Per Schillebeeckx, la teologia della liberazione rap-


presentò sostanzialmente “lo spirito di Medellín calato in una teologia 116.
Il tema ufficiale della conferenza, convocata da Paolo VI, era La
Chiesa nelle trasformazioni dell’America Latina alla luce del Concilio. Le
trasformazioni storiche e sociali del continente latino-americano
andavano viste alla luce della trasformazione della Chiesa pro-
mossa dal Concilio Vaticano II. Oscar Boezzo ha rilevato come Me-
dellín abbia le sue radici nel gruppo “Chiesa dei poveri” di Paul
Gauthier, che si era organizzato fin dalla prima sessione del Con-
cilio 117, dopo che a questo tema aveva fatto allusione Giovanni
XXIII nell’allocuzione dell’11 settembre 1962 118. Il gruppo della
“Chiesa dei poveri” aveva proposto il cosiddetto “patto delle catacom-
be”, firmato il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla
da 40 vescovi, per lo più del Terzo Mondo. I firmatari si impegna-
vano a condurre una vita di lotta per i poveri e di solidarietà con i
loro bisogni in coerenza con i nuovi principi del Vaticano II 119.
L’evento conciliare era stato un momento di incontro tra i vesco-
vi dei Paesi ex coloniali dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina,
da cui era nato anche il documento noto come il Messaggio di 17 ve-
scovi del Terzo Mondo 120. Il primo firmatario fu mons. Helder Câmara
e, oltre a lui, lo sottoscrissero otto vescovi brasiliani e uno colombia-
no. Nel messaggio i vescovi dichiaravano che i popoli del Terzo Mon-
do costituivano “il proletariato della umanità di oggi” e ricordavano che
la dottrina sociale ecclesiastica, riaffermata dal Concilio Vaticano II,
condannava ogni collusione della Chiesa con “l’imperialismo del dena-
ro”. Definendo “sistemi inumani” il feudalesimo, il capitalismo e l’im-

116
E. SCHILLEBEECKX, Befreiungstheologie Zwischen Medellin und Puebla, in “Orientierung”,
n. 43/1 (1979), p. 7 (pp. 6-10), cit. in S. SCATENA, La teologia della liberazione, cit., p. 27; O.
J. BEOZZO, Medellin. Inspirations et racines, in Volti di fine Concilio, cit., pp. 361-393.
117
Cfr. O. J. BEOZZO, Medellin. Inspirations et racines, cit., pp. 362-363.
118
GIOVANNI XXIII, DMC, vol. IV, cit., pp. 519-528.
119
Cfr. L. CECI, La teologia della liberazione, cit., p. 52. Sul gruppo “Chiesa dei poveri” e
sul “patto delle catacombe”, cfr. CAPRILE, vol. V, pp. 354-356. La riproduzione del “pat-
to” in BONAVENTURA KLOPPENBURG, O pacto da Igreja Serva e Pobre, in Concilio Vatica-
no II, Vozes, Petrópolis 1966, vol. IV, pp. 526-528.
120
Il documento, pubblicato per la prima volta a Parigi il 31 agosto 1967 da “Témoi-
gnage Chrétien”, si trova anche in “Il Regno/documentazione”, XIII, n. 151/2 (1968),
pp. 19-22 e, per l’America Latina, in “Criterio”, XL, nn. 1537-1538 (1967), pp. 936-941.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 553

perialismo, i firmatari dichiaravano inammissibili lo sfruttamento


dei popoli del Terzo Mondo da parte delle nazioni ricche e lo stesso
“sistema economico attualmente in vigore”, che permetteva ai Paesi ric-
chi di arricchirsi sempre di più, mentre i Paesi poveri, in proporzio-
ne, si impoverivano. Nell’esortare i governi ad adoperarsi per “far
cessare la lotta di classe”, essi concludevano dicendo che tale lotta era
spesso originata dai ricchi e non dai poveri. Si trattava di un tema più
volte ripreso nel post-Concilio, specialmente in America Latina 121.
La teologia della liberazione ebbe la sua più poderosa espres-
sione nelle Comunità Ecclesiali di Base (CEB). Apparse in Brasile a
partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, esse si diffusero
soprattutto nell’immediato post-concilio, quando furono inserite
nei piani pastorali di alcune conferenze episcopali 122. In nome del-
la centralità data alla Parola di Dio, di cui, sostituendosi alla Chie-
sa, si consideravano portavoci, le Comunità di Base propugnava-
no la lotta di classe di stampo marxista al fine di realizzare il “Re-
gno di Dio” in terra 123.
Vent’anni dopo il Concilio, l’Istruzione su alcuni aspetti della “teo-
logia della liberazione”, della Sacra Congregazione per la Dottrina
della Fede 124, formulava una esplicita condanna della teologia del-
la liberazione, senza peraltro riuscire a sradicare la sua profonda
influenza in America Latina.

121
Cfr. L. CECI, La teologia della liberazione, cit., p. 59.
122
Cfr. Ivi, p. 68; JOSÉ MARINS, Comunità ecclesiali di base in America Latina, in “Conci-
lium”, XX, n. 6 (1984), pp. 571-582; FAUSTINO LUIZ COUTO TEXEIRA, A gênese das CEBs
no Brasil. Elementos explicativos, Paulinas, San Paolo 1988.
123
Cfr. Comunidades eclesiais de base: utopia ou realidade, a cura di AFONSO GREGORY, Vo-
zes, Petrópolis 1973, pp. 53 sgg. Cfr. anche LUIZ GONZAGA FERNANDES, Gênese, Dinâ-
mica e Perspectivas das CEBs do Brasil, in “Revista Eclesiástica brasileira”, XDII, n. 167
(1982), pp. 456-464. Sulle Comunità di Base in Brasile, si veda la critica stringente di
P. CORRÊA DE OLIVEIRA-GUSTAVO ANTONIO SOLIMEO-LUÍZ SERGIO SOLIMEO, As CEBs…
das quais muito se fala, pouco se conhece. A TFP as descreve come são, Editora Vera Cruz,
San Paolo 1982.
124
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis nuntius, del 6
agosto 1984, in DENZ-H, nn. 4730-4741 (AAS, 76 (1984), pp. 890-899); ID., Istruzione
su libertà cristiana e liberazione “Libertatis conscientia”, 22 marzo 1986; in DENZ-H, nn.
4750-4776 (AAS, 79 (1987), pp. 554-591). La dottrina della teologia della liberazione
era già stata condannata in diversi suoi aspetti da Giovanni Paolo II nel suo discor-
so al CELAM di Puebla nel 1979 (cfr. GIOVANNI XXIII, Insegnamenti, vol. II, pp. 188-
211 e pp. 212-230).
554 IL CONCILIO VATICANO II

In un articolo, apparso nel 2007 sulla “Revista Eclesiástica Brasi-


leira” 125, padre Clodovis Boff 126 – fratello del più noto Leonardo 127 e
con lui uno dei principali esponenti della corrente rivoluzionaria –
svolse una lucida autocritica del suo pensiero, ammettendo che l’er-
rore di fondo della teologia della liberazione stava nell’aver fatto
dell’“opzione per i poveri” il suo asse o centro epistemologico, spo-
destando di fatto il primato trascendente di Dio. In questa inver-
sione del primato epistemologico “non è più Dio, ma il povero il prin-
cipio primo operativo della teologia” 128. La radice di questo errore risa-
le, secondo Boff, alla “svolta antropologica” del pensiero moderno
che pone l’uomo come nuovo axis mundi 129. Alle origini della deri-
va antropologica della modernità stanno, a suo avviso, il protestan-
tesimo, soprattutto nella formulazione liberale di Schleiermacher, il
modernismo e la teologia trascendentale di Rahner 130. Boff tace sul
Concilio, che in questo itinerario fu l’antecedente immediato della
teologia della liberazione, ma le scelte ideologiche ed esistenziali
del francescano brasiliano, e dei suoi compagni di strada, durante e
dopo il Concilio, furono l’eloquente conferma di questa continuità.

7. “Il fumo di Satana” nel tempio di Dio

Il Concilio era allora finito da tre anni e la situazione appariva


incandescente. Se Michel de Saint-Pierre poteva essere considerato
un “tradizionalista”, non altrettanto poteva dirsi di Jacques Mari-

125
CLODOVIS M. BOFF o.s.m., Teologia da Libertação e volta ao fondamento, “Revista Ecle-
siástica Brasileira”, n. 268 (2007), pp. 1001-1022.
126
Clodovis Boff (1944), brasiliano, dell’Ordine dei Serviti, professore all’Istituto
teologico francescano di Petropolis e all’Iser (Istituto di Studi Religiosi) di Rio de
Janeiro.
127
Leonardo Boff (1938), brasiliano, dell’Ordine Minore dei Cappuccini, ordinato nel
1964, allievo di Rahner in Germania, poi professore a Petropolis, fu uno degli ini-
ziatori della teologia della liberazione. Condannato nel 1984 dalla Congregazione
per la Dottrina della Fede, abbandonò il sacerdozio nel 1992 e si sposò, assumendo
un incarico alla Università di Rio de Janeiro. Di lui cfr. Gesù Cristo liberatore, tr. it.
Cittadella, Assisi 1973.
128
CLODOVIS M. BOFF o.s.m., Teologia da Libertação e volta ao fondamento, cit., p. 1004.
129
Ivi.
130
Ivi, p. 1009.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 555

tain, l’antico amico di Giovan Battista Montini, che, in un libro ap-


parso nel 1966, Le paysan de la Garonne, scriveva che il modernismo
dei tempi di Pio X appariva “un modesto raffreddore da fieno” rispet-
to al neo-modernismo contemporaneo 131.
Il 18 gennaio del 1967 il card. Journet consegnò a Paolo VI i sug-
gerimenti di Maritain per una nuova “Professione di fede” che ri-
stabilisse le verità di fondo del Cristianesimo 132. In quell’occasione
Paolo VI chiese a Journet un giudizio sulla situazione della Chiesa.
“Tragica” fu la lapidaria riposta del cardinale elvetico 133.
Il 13 maggio 1967, su invito dell’episcopato portoghese, Paolo
VI compì un inaspettato viaggio-lampo a Fatima, dove fu il primo
Pontefice a presiedere una celebrazione nel luogo delle apparizio-
ni, alla Cova da Iria. Nella stessa data, il Papa pubblicò l’esorta-
zione apostolica Signum Magnum, nella quale ricordò la consacra-
zione del mondo al cuore di Maria fatta da Pio XII e invitò “tutti i
figli della Chiesa a rinnovare personalmente la propria consacrazione al
Cuore Immacolato di Maria madre della Chiesa” 134. A Fatima, Paolo VI
parlò dell’urgenza della pace “all’interno della Chiesa e in quei Paesi
dove la libertà religiosa è soppressa” e anche della pace nel mondo
“che non è né felice né tranquillo”, ma respinse la richiesta di suor Lu-
cia di avere un colloquio con lui. La presenza di Paolo VI a Fatima
avrebbe potuto offrire un’occasione storica per rivelare il terzo se-
greto e avviare la realizzazione delle richieste della Madonna, ma
non fu così. In realtà proprio a partire da questo viaggio, il Mes-
saggio di Fatima perse la sua presa sui mass-media e sui fedeli 135.

131
Cfr. J. MARITAIN, Il contadino della Garonna, tr. it. Morcelliana, Brescia 1969, p. 16. Il
filosofo belga Marcel De Corte (1905-1994) definiva in quegli anni il progressismo
cristiano come “l’eresia modernista portata al parossismo e trionfante nella Chiesa” (La
grande eresia, tr. it. Volpe, Roma 1970, p. 100).
132
Sul “credo” di Paolo VI cfr., tra l’altro, C. POZO, El credo del Pueblo de Dios. Comen-
tario teológico, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1968.
133
Cfr. Intervista con il card. GEORGE COTTIER di GIANNI VALENTE, in “30 Giorni”, n. 4
(2008), pp. 46-61.
134
PAOLO VI, Omelia durante la Messa celebrata a Fatima, del 13 maggio 1967, in In-
segnamenti, vol. V (1967), pp. 229-239.
135
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 461. Nell’imminenza del viaggio, Papa Montini
riaprì il fascicolo su Fatima e chiese al Sant’Uffizio di esaminarlo. Il segreto venne
conosciuto non soltanto da poche persone, ma da una “plenaria” della Suprema
Congregazione, che si tenne in Vaticano il 1° marzo 1967.
556 IL CONCILIO VATICANO II

A Paolo VI non sfuggiva quanto stava accadendo in quegli an-


ni drammatici. Nel dicembre 1968, in un discorso che fece epoca,
egli ebbe parole impressionanti: “La Chiesa attraversa, oggi, un mo-
mento di inquietitudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe
perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e
complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. (...) La Chiesa
viene colpita da chi ne fa parte” 136.
Tre anni dopo, nell’omelia della festa dei santi Pietro e Paolo, il
29 giugno 1972, riferendosi alla situazione della Chiesa, Paolo VI
affermò con altrettanta chiarezza

“di avere la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Sata-
na nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’in-
quietitudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa
(…) È entrato il dubbio nelle nostre coscienze ed è entrato per le finestre
che invece dovevano essere aperte alla luce (…) Anche nella Chiesa regna
questo stato di incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta
una giornata di sole per la storia della Chiesa. È invece venuta una gior-
nata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza (…)” 137.

Paolo VI, in realtà, presentava la situazione in maniera più pro-


blematica che drammatica. Rivolgendosi ai cardinali, il 15 dicem-
bre 1969, in un discorso dedicato alla difficile interpretazione dei
“segni dei tempi”, affermava:

“Come va oggi la Chiesa? Il recente Concilio ha prodotto uno stato di


attenzione, e, sotto certi aspetti, di tensione spirituale. (…) Dentro e
fuori di sé, la Chiesa ha manifestato non il placido fervore, che il Conci-
lio ci lasciava sperare, ma in alcuni ristretti, però significativi settori,
una certa inquietudine” che “presenta fenomeni contrastanti, negativi
e positivi. (…) Ma ciò non toglie che questa simbolica nave, la Chiesa,
risenta l’impeto della grande burrasca, propria del nostro tempo, la qua-

136
PAOLO VI, Discorso al Seminario Lombardo in Roma del 7 dicembre 1968, in Inse-
gnamenti, vol. VI (1968), pp. 1188-1189.
137
PAOLO VI, Omelia per il nono anniversario della incoronazione del 29 giugno
1972, in Insegnamenti, vol. X (1972), pp. 707-709.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 557

le rimette alcune volte sulle nostre labbra il grido implorante dei disce-
poli spaventati: ‘Signore, salvaci, noi periamo’ (Matth. 8, 25). (…) Bi-
sogna essere osservatori attenti, essere critici sagaci. Oggi tutto si tra-
sforma; tutto diventa problema; e dappertutto v’è pericolo d’illusione,
anche per i buoni” 138.

Egli considerava la sua epoca come “un periodo di trasformazio-


ne”, una “età molto evolutiva” in cui la Chiesa avrebbe dovuto “ag-
giornarsi” per produrre una simultanea riforma della società spiri-
tuale e di quella temporale.

“Il nostro tempo è giovane; mira al rinnovamento. Non è un tempo ripie-


gato su se stesso; non un periodo di decadenza, in cui predomina la gen-
te scettica, coloro che fanno quasi la professione di essere trascurati, ai
quali non importa niente di niente. Questi sono falsi profeti; non possono
guidarci; non ci danno l’entusiasmo e la verità delle cose; non ci infondo-
no le energie e la capacità di godere dell’immenso dono della vita. Adun-
que, il nostro tempo è sicuramente epoca di rinnovamento. Dopo tale ri-
lievo, che cosa vediamo? Che la Chiesa è proprio all’avanguardia. Essa sta
largamente rinnovandosi, nel proposito di perfezionare tutte le sue cose: il
suo catechismo, i suoi riti, la sua liturgia, le sue associazioni, il suo pa-
trimonio dottrinale. Vediamo di lasciare quanto è caduco, e lavoriamo, in-
vece, a conservare integra la sostanza, tutto il seme fecondo” 139.

L’esistenza di una grave crisi era però attestata proprio da al-


cuni teologi provenienti dalle file progressiste. Ricordiamo solo al-
cuni pronunciamenti significativi.
Lo storico Hubert Jedin, che al Concilio aveva collaborato come
perito con il card. Frings, dopo aver cercato di opporsi all’idea di
una “crisi della Chiesa”, fu costretto a prender atto della sua esi-
stenza. In una nota conferenza, tenuta alla Conferenza episcopale
tedesca, dal titolo Storia e crisi della Chiesa, pubblicata in italiano dal-

138
PAOLO VI, Discorso del 15 dicembre 1969 al Sacro Collegio dei Cardinali, in PAO-
LO VI, Insegnamenti, vol. VII, pp. 796-798.
139
PAOLO VI, Omelia del 3 settembre 1967, in www.vatican.va (il testo manca nel vo-
lume PAOLO VI, Insegnamenti).
558 IL CONCILIO VATICANO II

lo stesso “Osservatore Romano” 140, il 17 settembre 1968, mons. Je-


din illustrò cinque fenomeni relativi alla crisi della Chiesa in atto:

“1. l’insicurezza nella fede sempre più dilagante, suscitata dalla libera dif-
fusione di errori teologici sulle cattedre, in libri e saggi;
2. il tentativo di trasferire nella Chiesa le forme della democrazia parla-
mentare mediante introduzione del diritto di partecipazione su tutti e tre
i piani della vita ecclesiastica, nella Chiesa universale, nella diocesi e nel-
la parrocchia;
3. desacralizzazione del sacerdozio;
4. “strutturazione” libera della celebrazione liturgica al posto dell’adem-
pimento dell’Opus Dei;
5. ecumenismo come protestantizzazione” 141.

Lo stesso padre Henri de Lubac, uno dei “padri” del Concilio,


in una conferenza tenuta il 29 maggio 1969 all’Università di Saint
Louis in Missouri (Stati Uniti), su La crisi nella chiesa, denunciò l’u-
so e l’abuso dei principali documenti conciliari:

“La costituzione Dei Verbum – disse – offre il pretesto per un biblici-


smo ristretto che disprezza tutta la tradizione e divora se stesso”, elabo-
rando “la nozione di una ‘fede dell’avvenire’, di cui non si vede più quel
che essa conserva nel Vangelo di Gesù Cristo; la costituzione Lumen
Gentium viene interpretata “per trasformare la Chiesa in una vasta de-
mocrazia” e criticare quella che si chiama “‘la Chiesa istituzionale’ in
nome di un ideale di ‘Cristianesimo amorfo’, che colpisce la costituzione
divina della Chiesa”. L’apertura al mondo della Gaudium et Spes di-
viene “un allontanamento dal Vangelo, un rifiuto della Croce del Cristo,
un cammino verso il secolarismo, una noncuranza della fede e dei costu-
mi, in poche parole una dissoluzione nel mondo, un’abdicazione, una
perdita di identità, cioè il tradimento del nostro dovere verso il mondo
(…). Si sa anche come il decreto sulla libertà religiosa sia falsato, quan-
do, contrariamente al suo insegnamento più esplicito, se ne vuol conclu-
dere che ormai non si debba più annunciare il Vangelo (…). E quante os-

140
Cfr. H. JEDIN, Kirchengeschichte und Kirchenkrise, in “Aachener Kirchenzeitung”, 29
dicembre 1968 e 5 gennaio 1969, tr. it. in “L’Osservatore Romano”, 15 gennaio 1969.
141
ID., Storia della mia vita, cit., pp. 326-327.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 559

servazioni potrebbero essere fatte a proposito della costituzione sulla li-


turgia, così spesso mal compresa, talvolta persino sacrilegamente beffeg-
giata? O del Decreto sull’ecumenismo? (…) Che derisione, ancora,
ohimè troppo frequente, nella pretesa ostentata di applicare arditamente
i principi enunciati dal Concilio per il ‘rinnovamento adattato’ della vi-
ta religiosa, mentre la si contraddice! È forse qui che le devastazioni del-
la crisi si rivelano al tempo stesso più gravi e più significative (…). Che
miserabili realtà, che abbandoni di ogni genere, quali degradazioni che
arrivano in certi casi fino alla perversione, si nascondono allora sotto la
bandiera del ‘profetismo’ o delle ‘esigenze della verità’, sotto la menzogna
della parola ‘rinnovamento’!” 142.

Pur consapevole del processo di autodemolizione del Corpo


della Chiesa, Paolo VI non aveva modificato il suo ottimismo di
fondo. La notte tra il 20 e il 21 luglio 1969 l’uomo mise per la pri-
ma volta piede sulla luna. Il Papa assisté all’evento nella residenza
estiva di Castelgandolfo e pochi minuti dopo che la navicella spa-
ziale toccò il suolo lunare, si rivolse attraverso un collegamento sa-
tellitare agli astronauti: “Onore, saluto e benedizione a voi, conquista-
tori della Luna, pallida luce delle nostri notti e dei nostri sogni. Portate
ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, no-
stro Creatore e nostro Padre” 143. In questa impresa, aveva detto il
Pontefice nell’Angelus del 13 luglio, l’uomo “ci si rivela gigante. Ci
si rivela divino, non in sé, ma nel suo principio e nel suo destino. Onore
all’uomo, onore alla sua dignità, al suo spirito, alla sua vita” 144.

8. La disfatta dei conservatori dopo il Concilio

Il gruppo di cardinali conservatori che aveva gravitato attorno


al Coetus Internationalis Patrum, negli anni immediatamente suc-

142
H. DE LUBAC, La Chiesa nella crisi attuale, tr. it. Paoline, Roma 1971, pp. 39-49. Il te-
sto riproduce quello della conferenza data all’Università di Saint-Louis (Missouri)
il 29 maggio 1969; Church in Crisis, in “Theology Digest”, n. 17 (1969), pp. 312-325.
La conferenza fu anche pubblicata sulla “Nouvelle revue Théologique”, n. 91
(1969), pp. 580-569.
143
PAOLO VI, Messaggio del 21 luglio 1969, in Insegnamenti, vol. VII (1969), pp. 499-500.
144
Ivi, pp. 493-494.
560 IL CONCILIO VATICANO II

cessivi si sfaldò, non opponendo che una debole resistenza all’av-


vio delle riforme conciliari.
I cardinali Ottaviani e Ruffini erano ormai piegati dall’età e dal-
le sconfitte subite. Il card. Siri, più giovane, tentò di farsi promoto-
re di una resistenza, creando una rivista 145 che potesse contrastare
la teologia progressista che irrompeva nella Chiesa, soprattutto do-
po la nascita di “Concilium”, organo del progressismo internazio-
nale 146. “Mi sto occupando di organizzare la ripresa cattolica dopo il Con-
cilio, – scrive Siri nel suo Diario il 20 ottobre 1964 – cercando di crea-
re un fronte il quale sia molto netto contro i difetti rivelatisi in Concilio o
dal Concilio. Dio ha permesso che tutte le rughe venissero fuori: sia loda-
to!” 147. La nuova rivista, “Renovatio”, che apparve nel 1966, secon-
do il direttore scelto da Siri, Gianni Baget Bozzo 148 “(…) fu a un tem-
po il tentativo di accettare il Concilio e di porre in modo diverso i temi
messi innanzi dalle teologie progressiste” 149. Per venti anni (1966-1986)

145
A-Siri, fald. “Renovatio”. Il card. Ruffini fu ricevuto da Paolo VI il 4 gennaio 1966
e gli parlò del progetto: “Ho confidato a Sua Santità quanto ho scritto a Vostra Eminen-
za sull’opportunità d’un periodico che divulghi nel momento critico che attraversiamo la sa-
na dottrina e tenga fronte, quando sia necessario, alla rivista “Concilium” (che mi sembra
dia preoccupazione a Sua Santità stessa)” (ivi). Siri, a sua volta, ne parlò con il card. Ot-
taviani che lo incoraggiò fortemente.
146
I fondatori di “Concilium”, molti dei quali avevano svolto un ruolo determinan-
te come periti conciliari, erano Antoine van den Boogaand, Paul Brand, Yves Con-
gar, Hans Küng, Johann-Baptiste Metz, Karl Rahner ed Edward Schillebeeckx. Cfr.
HADEWYCH SNIJDEWIND, Genèse et organisation de la Revue internationale de théologie
“Concilium”, in “Cristianesimo nella storia”, n. 21 (2000), pp. 645-673.
147
SIRI, Diario, p. 391.
148
Gianni Baget Bozzo (1925-2009), dopo un’esperienza giovanile nella sinistra
dossettiana, fondò le riviste “L’Ordine Civile” e “Lo Stato” per contrastare la for-
mazione del centro-sinistra. Chiamato nel 1966 dal card. Siri alla direzione di
“Renovatio”, fu ordinato dello stesso card. Siri nel 1967. Dopo aver lasciato nel
1978 la direzione di “Renovatio”, nella primavera del 1984 fu eletto deputato nel-
le liste del Partito Socialista Italiano (PSI) per il Parlamento Europeo. La candi-
datura gli causò un processo canonico che lo portò alla sospensione a divinis, il 4
agosto 1985. Si ricandidò nel 1989 e rimase a Strasburgo fino al 1994. La pena
venne quindi revocata dal successore di Siri, mons. Giovanni Canestri. Lasciato
il PSI, nel 1994, partecipò alla fondazione di Forza Italia, di cui redasse la “Car-
ta dei Valori”.
149
G. BAGET BOZZO, I tempi e l’eterno. Intervista su un’esperienza teologica, a cura di
CLAUDIO LEONARDI-GIOVANNI TASSANI, Marietti, Genova 1988, p. 37. “Quando andai
dal cardinale Siri a proporgli di fare “Renovatio” – ricorda Baget Bozzo – il cardinale era
un uomo sconfitto e angosciato. In pochi anni da candidato del papa al papato, era passato
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 561

la rivista si aprì con un editoriale dell’arcivescovo genovese, non


firmato ma chiaramente di sua mano 150, sulla linea di quella che
poi sarebbe diventata “l’ermeneutica della continuità”. Nel 1975 il
cardinale di Genova scese in campo con le Riflessioni sul Movimen-
to teologico contemporaneo 151, poi confluite in quello che resta il suo
testamento teologico: Getsemani. Nel “movimento teologico contem-
poraneo”, egli denunciava gli errori del pelagianesimo, dell’ariane-
simo, del modernismo. “Cambiati più o meno coscientemente, con più
o meno sottigliezza ed anche a volta astuzia, in un amalgama speculativo
senza contorno preciso e senza riferimenti fondamentali, che serve di ba-
se per una precipitazione verso l’umanizzazione integrale di tutta la reli-
gione” 152. Siri si soffermava in particolare sugli errori di tre autori
contemporanei: Henri de Lubac, Karl Rahner e Jacques Maritain,
concludendo che in seguito agli errori presenti nel movimento teo-
logico, “il messaggio evangelico e l’insegnamento della Chiesa sulla nuo-
va creazione, sul rinnovamento dell’uomo e di ogni cosa è stato fonda-
mentalmente alterato” 153.
Come Siri, anche mons. Luigi Carli, pur denunciando l’esisten-
za di una crisi della Chiesa o, come precisava meglio, “nella Chie-
sa”, al cui fondo “esiste una crisi di fede” 154, proponeva di interpre-
tare il Concilio alla luce della Tradizione, denunciando i travisa-
menti e le strumentalizzazioni dei suoi documenti.
La linea dell’accettazione del Concilio fu scelta, in un primo
tempo, anche dai tre vescovi che, con mons. Carli, avevano guida-

alla condizione di una minoranza reietta, considerata sul piano dell’opinione pubblica come
semi-eretica. Gli chiesi se era disposto ad aiutarmi a fare una rivista che accettasse il Con-
cilio e lo accettasse come evento dottrinale, e che difendesse in questo ambito quello che nel-
la tradizione sentivamo come vincolante” (ivi, p. 38).
150
Gli editoriali di “Renovatio” e le note al clero già apparse nella “Rivista Diocesa-
na” genovese sono raccolti in G. SIRI, Il dovere dell’ortodossia. Editoriali di “Renovatio”
e note al clero, Giardini, Pisa 1987.
151
G. SIRI, Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo, Fraternità della Santissi-
ma Vergine Maria, Roma 1975; il testo è stato poi inserito in ID., Getsemani. Riflessio-
ni sul Movimento teologico contemporaneo, Fraternità della Santissima Vergine Maria,
Roma 1980, pp. 11-97.
152
Ivi, p. 37.
153
G. SIRI, Getsemani, cit., p. 73.
154
L. M. CARLI, Nova et vetera. Tradizione e progresso nella Chiesa dopo il Vaticano II, Isti-
tuto Editoriale del Mediterraneo, Roma 1969, p. 17.
562 IL CONCILIO VATICANO II

to il Coetus Internationalis, mons. Marcel Lefebvre, mons. Antonio


de Castro Mayer e mons. Geraldo de Proença Sigaud.
Attorno al 1968, le posizioni di mons. de Proença Sigaud e di
mons. de Castro Mayer iniziarono però a divergere. Mons. Sigaud
fece una scelta “politica” e si avvicinò al regime dei militari, che
nel 1964 avevano destituito il presidente “progressista” João Gou-
lart. Mons. de Castro Mayer si affiancò a mons. Lefebvre, rompen-
do progressivamente i rapporti con le autorità ecclesiastiche roma-
ne 155. Nel 1968, mons. Lefebvre chiedeva da Roma al vescovo di
Campos:

“Non è forse arrivato il momento di dire ciò che pensiamo del Concilio, di
fare uno studio su ogni schema per mostrarne gli equivoci, le tendenze ne-
faste, di chiedere di nominare una Commissione di interpretazione e an-
che di revisione? Personalmente non esito più a dirlo in tutte le mie con-
versazioni. Mi accingo a scrivere un articolo sul tema seguente: lo spiri-
to postconciliare non ha niente a che vedere con il Concilio.
Da parte mia sono convinto che ciò di cui siamo testimoni attualmente ha
la sua fonte diretta nel Concilio. Non si scardinano tutte le verità della
Tradizione senza rovinare l’edificio della Chiesa.
Lei evoca poi un problema gravissimo che non possiamo più tacere alme-
no nei nostri colloqui privati ed è l’atteggiamento del Santo Padre in al-
cuni testi, ma soprattutto nei suoi atti. Come definirlo? Come giudicarlo
quando tutta la Tradizione della Chiesa lo condanna?” 156.

155
Il 5 ottobre 1969, in una lettera a mons. Lefebvre, in cui annunciava la dolorosa
defezione di mons. Sigaud, mons. de Castro Mayer scriveva: “Allora, oso, ancora una
volta, ricorrere alla Sua carità, ai Suoi consigli. La situazione della Chiesa non potrebbe es-
sere più terribile! Il nuovo Ordo Missae non si accorda bene con il dogma. È l’inizio della
capitolazione davanti al protestantesimo. È il disconoscimento di Trento e di Pio V. Possia-
mo noi, pastori di anime, seguire una ‘via media’, senza dire niente e lasciando che ciascun
sacerdote segua la propria coscienza o incoscienza, con rischi per molte anime? E se dicia-
mo apertamente ciò che pensiamo, quali saranno le conseguenze? La destituzione che pro-
voca lo sconcerto di molti fedeli e lo scandalo dei più deboli. Possiamo, in coscienza, esporci
a tali conseguenze? Ecco dei casi di coscienza molto dolorosi. Non so quale appoggio abbia
la buona causa a Roma. Tale appoggio potrà deviare il fulmine che minaccia la fede e la pietà
di molti fedeli. Mi scuso se La disturbo su tutto questo chiedendoLe una parola che mi illu-
mini e mi conforti” (Lettera di mons. Castro Mayer a mons. Lefebvre del 5 ottobre
1969, in A-Ecône 05-01).
156
Lettera di mons. Lefebvre a mons. de Castro Mayer del 28 maggio 1968, in A-Ecô-
ne 05-01.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 563

In America Latina, Plinio Corrêa de Oliveira mantenne le sue po-


sizioni di ferma critica al progressismo nell’ordine temporale secon-
do la vocazione che gli era propria di laico impegnato nella “consa-
cratio mundi” 157. In due mesi, tra luglio e agosto 1968, i militanti del-
la TFP da lui guidata raccolsero oltre un milione e mezzo di firme
contro l’infiltrazione comunista nella Chiesa per le strade di 158 città
del Brasile. La petizione fu presentata ufficialmente in Vaticano il 7
novembre 1969; dalla Santa Sede non giunse mai risposta, ma il pro-
gressismo subì una forte battuta di arresto in Brasile 158.

9. L’Ostpolitik vaticana

La politica internazionale di “distensione” verso il comunismo,


iniziata da John F. Kennedy, fu continuata negli anni Settanta dal
presidente americano Nixon e dal suo Segretario di Stato Kissin-
ger. L’obiettivo era identico alla politica che Willy Brandt, cancel-
liere socialista tedesco, sviluppava su scala europea: l’idea di una
“convergenza” tra il blocco occidentale e quello comunista.
Nel campo ecclesiastico, mons. Agostino Casaroli, “ministro
degli Esteri” di Paolo VI, perseguiva una politica di intesa col co-
munismo analoga a quella di Brandt e di Kissinger. Sulla scia del-
le trattative per la partecipazione al Concilio degli osservatori or-
todossi 159, iniziarono così i viaggi di mons. Casaroli a Budapest e a
Praga (1963-1973), a Belgrado (1966-1970), a Varsavia (1967-1974),
a Mosca (1971), a Cuba (1974).
Il ministro degli Esteri sovietico Andrej Gromyko venne accolto
in Vaticano nel 1966, nel 1970, nel 1974 e nel 1975. Nel 1970 venne-
ro ricevuti in udienza i tre capi della guerriglia comunista di Ango-
la, Guinea e Mozambico. Nel 1971, Paolo VI ricevette il dittatore ju-
goslavo Josef Tito e nel 1973 quello rumeno Nicolae Ceausescu.
Nell’incontro con Tito, il 29 marzo 1971, Papa Montini accolse
l’ospite affermando che nella costituzione jugoslava erano presen-
ti principi come quelli dell’“umanizzazione dell’ambito sociale”, del

157
R. DE MATTEI, Il crociato del secolo XX, cit., pp. 250-258.
158
Ivi, pp. 219-220.
159
Cfr. G. BARBERINI, L’Ostpolitik della Santa Sede, cit., pp. 250 e sgg.
564 IL CONCILIO VATICANO II

“rafforzamento della solidarietà e della collaborazione fra gli uomini”, del


“rispetto della dignità umana” e dello “sviluppo generale dell’uomo co-
me persona libera” 160. La convinzione era che tra marxismo e Cri-
stianesimo esistevano valori comuni su cui far leva per raggiunge-
re l’obiettivo della pace internazionale.
La nuova strategia della Santa Sede fu rivelata dallo stesso Ca-
saroli, un anno dopo il suo viaggio a Mosca, in un discorso su La
Santa Sede e l’Europa tenuto a Milano il 20 gennaio 1972 161, in cui
l’arcivescovo ribadiva come per essa il servizio dell’umanità e del-
la pace fosse un compito primario, anche al fine di evitare una ca-
tastrofe nucleare.
Una delle più illustri vittime della Ostpolitik vaticana fu il card.
József Mindszenty, Primate di Ungheria ed eroe della resistenza
anticomunista. Mindszenty, prigioniero dal 1948 al 1956, dopo la
rivolta di Ungheria si era rifugiato presso l’ambasciata americana
a Budapest e rimaneva sempre decisamente contrario a ogni ipote-
si di colloquio o negoziato coi governi comunisti, nella convinzio-
ne che questo avrebbe potuto solo rafforzarli. Egli contestava du-
ramente l’Ostpolitik vaticana, dicendo al Segretario di Stato, card.
Villot: “Perché nominate vescovi nei Paesi dell’Est? Sarebbe meglio che
non ce ne fossero, piuttosto che quelli che i governi vi permettono di no-
minare” 162. Quando il 1° novembre del 1973, Paolo VI gli chiese di
rinunciare al titolo di arcivescovo di Esztergom e di Primate di Un-
gheria, il Cardinale rispose con un rispettoso, ma netto, rifiuto.
Paolo VI assunse su di sé la responsabilità di dichiarare vacante
l’arcidiocesi primaziale, comunicando al card. Mindszenty, il 18
novembre 1973, la sua rimozione da arcivescovo 163.

160
A. CASAROLI, op. cit., p. 269.
161
Cfr. “Relazioni Internazionali”, 12 febbraio 1973, pp. 161-165.
162
A. WENGER, Le cardinal Villot, cit., p. 260.
163
L’annuncio della rimozione del card. Mindszenty venne dato da “L’Osservatore
Romano”. Secondo il “Giornale d’Italia” del 6-7 febbraio 1974, il Vaticano ne avreb-
be “offerto la testa su un piatto d’argento al suo Erode, il governo comunista di Budapest”.
Da Zurigo “Die Weltwoche” del 13 febbraio scriveva che a martirizzare Mindszenty
era ora Roma stessa, sollecitata di sbarazzarsi della sua figura anacronistica in no-
me della nuova Ostpolitik del Vaticano. Quando, il 5 febbraio 1974, venne resa di
pubblico dominio la notizia della sua destituzione, il card. Mindszenty rilasciò un
comunicato in cui dichiarava di non aver mai rinunciato alla sua carica di arcive-
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 565

I fautori dell’Ostpolitik ritenevano che il comunismo sarebbe


durato a lungo e che i negoziati avrebbero permesso al comunismo
di separarsi dall’ateismo e di autoevolvere in un sistema politico
“dal volto umano”. I dirigenti comunisti, da parte loro, erano con-
sapevoli del crollo imminente del sistema e, per sopravvivere, ave-
vano intrapreso la politica del “dialogo” e della “mano tesa”. Essi
concedevano poco o nulla, dando assicurazioni che non avrebbero
mai mantenuto 164. Di fatto, l’Ostpolitik “puntellò” il comunismo in-
vece di togliergli ogni appoggio, ritardando di anni la sua caduta.
La politica di distensione vaticana ebbe numerosi critici in tut-
to il mondo, a cominciare da quelli che avrebbero dovuto esserne i
beneficiari. Nel 1976, padre Alessio Ulisse Floridi 165, membro per
15 anni, come “sovietologo”, del collegio degli scrittori della “Ci-
viltà Cattolica”, pubblicava un libro in cui analizzava la nuova
strategia della Santa Sede verso i Paesi comunisti da un’inconsue-
ta angolatura: quella del “dissenso” sovietico, mostrando come i
cristiani dell’Est europeo, che avrebbero dovuto essere i beneficia-
ri della politica di distensione, ne furono in realtà le vittime 166.
“L’assoluta necessità di evitare lo scoppio di una guerra nucleare – chie-
deva padre Floridi – è un qualcosa che nessuno, indubbiamente, può
negare, ma questa esigenza è davvero talmente assoluta da avere prece-
denza sui diritti di Dio o da essere usata anche come deterrente per poter
procedere all’asservimento di intere nazioni?” 167.

scovo né alla sua dignità di Primate di Ungheria, ma sottolineando che “la decisione
è stata presa unicamente dalla Santa Sede” (Memorie, cit., p. 372).
164
Cfr. CASAROLI, op. cit., pp. 72-73.
165
Alessio Ulisse Floridi (1920-1986), gesuita, ordinato nel 1949 nel rito bizantino sla-
vo, “sovietologo” della “Civiltà Cattolica” fino al 1965, quando fu destinato prima
in Brasile, poi negli Stati Uniti, dove svolse la sua missione tra i cattolici uniati.
166
Cfr. A. U. FLORIDI, Mosca e il Vaticano, cit. Successivamente, ricordando la parteci-
pazione al Concilio Vaticano II degli “osservatori” del patriarcato di Mosca, di cui
era noto il legame di diretta dipendenza dal Cremlino, affermava: “È certo che da
parte del Cremlino vi fosse un profondo interesse ad impedire ogni eventuale tentativo del
concilio di condannare ufficialmente il comunismo. (...) La Chiesa ortodossa russa sciolse le
sue riserve nei confronti del Concilio solo dopo che apparve chiaro che il Concilio non avreb-
be condannato il comunismo” (In tema di “dissenso” e di “ostpolitik”, intervista con pa-
dre Alessio U. Floridi a cura di R. DE MATTEI, in “Cristianità”, n. 32 (1977)). Tra le
prime critiche all’Ostpolitik, quelle dello scrittore tedesco REINHARD RAFFALT, Wohin
steuert der Vatikan? Papst zwischen Religion und Politik, Piper, Monaco 1973.
167
A. U. FLORIDI, Mosca e il Vaticano, cit., p. 61.
566 IL CONCILIO VATICANO II

Il vescovo, poi cardinale Ján Korec, dopo la caduta del comuni-


smo, così giudicò l’Ostpolitik:

“Nel nostro Paese è stato pericolosissimo il fatto che hanno gettato sul
tappeto ciò che di più prezioso noi avevamo, cioè la cosiddetta Chiesa clan-
destina. Io stesso ho ricevuto l’ordine di cessare di ordinare segretamente
i sacerdoti. Per noi fu veramente una catastrofe, quasi come se ci avesse-
ro abbandonato, buttato via. (…) Questo è stato il dolore più grande del-
la mia vita. I comunisti, così, hanno avuto nelle loro mani la pastorale
pubblica della Chiesa. Se qualche prete nella sua parrocchia si dedicava ai
ministranti, veniva privato del consenso statale senza il quale nessun sa-
cerdote poteva esercitare. La Chiesa era condannata a rinchiudersi negli
edifici di culto e poi a spegnersi. (…) La nostra speranza era la Chiesa
clandestina, che silenziosamente collaborava con i preti nelle parrocchie e
che formava dei giovani pronti al sacrificio: professori, ingegneri, medici,
disposti a diventare preti. Io ne ho ordinati circa 120. Queste persone la-
voravano in silenzio tra i giovani e le famiglie, pubblicavano di nascosto
riviste e libri. In realtà l’Ostpolitik vendette questa nostra attività in cam-
bio delle promesse vaghe e incerte dei comunisti’” 168.

Il 10 aprile 1974, dopo il viaggio di mons. Casaroli a Cuba, ap-


parve come inserzione pubblicitaria sulla “Folha de S. Paulo”, una
dichiarazione dal titolo La politica vaticana di distensione verso i go-
verni comunisti. Per la TFP: non intervenire oppure resistere? 169, in cui
Plinio Corrêa de Oliveira, a nome della TFP brasiliana, scriveva
con un linguaggio rispettoso ma fermo, parole che esprimevano lo
stato d’animo di una moltitudine di cattolici in tutto il mondo.

168
JÁN KOREC, Intervista a “Il Giornale”, 18 luglio 2000. Ján Chryzostom Korec s.j.
(1924), slovacco, ordinato nel 1950, consacrato vescovo nel 1951, vescovo di Nitra
dal 1990 al 2005, creato cardinale nel 1991.
169
Il manifesto uscì nei giorni successivi a una visita a Cuba di mons. Agostino Casa-
roli. Nel corso del viaggio, avvenuto tra il 27 marzo e il 5 aprile 1974 su invito dell’e-
piscopato cubano, mons. Casaroli ebbe colloqui con esponenti del governo e con Fidel
Castro. L’anno successivo egli fu nella Repubblica Democratica Tedesca e dal 30 luglio
al 1 agosto 1975 prese parte, come delegato speciale di Paolo VI, alla conferenza sulla
“sicurezza” di Helsinki, firmandone, a nome della Santa Sede, l’atto finale. Sul viaggio
a Cuba, cfr. anche RICCARDO CANNELLI, Il viaggio a Cuba di Monsignor Casaroli, in L’A-
merica Latina fra Pio XII e Paolo VI. Il cardinale Casaroli e le politiche vaticane in una Chiesa
che cambia, a cura di A. MELLONI-S. SCATENA, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 195-235.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 567

“La diplomazia vaticana di distensione verso i governi comunisti crea per


i cattolici anticomunisti, una situazione che li tocca profondamente, mol-
to meno in quanto anticomunisti che in quanto cattolici. Infatti in ogni
momento si può fare loro una osservazione sommamente imbarazzante:
l’azione anticomunista da loro svolta non porta proprio a un risultato op-
posto a quello voluto dal Vicario di Gesù Cristo? E come si può immagi-
nare un cattolico coerente la cui azione si svolga in direzione opposta a
quella del Pastore dei Pastori? Tale domanda comporta come conseguen-
za, per tutti i cattolici anticomunisti, una alternativa: cessare la lotta o
chiarire la loro posizione.
Cessare la lotta, non possiamo. Non lo possiamo per un imperativo della
nostra coscienza di cattolici. Infatti, se è dovere di ogni cattolico promuo-
vere il bene e combattere il male, la nostra coscienza ci impone di diffon-
dere la dottrina tradizionale della Chiesa, e di combattere la dottrina co-
munista. (...) La Chiesa non è, la Chiesa non è mai stata, la Chiesa non
sarà mai un tale carcere per le coscienze. Il vincolo di ubbidienza al Suc-
cessore di Pietro, che mai romperemo, che amiamo dal più profondo della
nostra anima, al quale tributiamo il meglio del nostro amore, questo vin-
colo noi lo baciamo nel momento in cui, macerati dal dolore, affermiamo
la nostra posizione. E in ginocchio, fissando con venerazione la figura di
S. S. Papa Paolo VI, noi gli manifestiamo tutta la nostra fedeltà.
Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è
Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non co-
mandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A
questo si oppone la nostra coscienza” 170.

10. Il post-Concilio e la liturgia

a) Il Novus Ordo Missae

Don Giuseppe Dossetti vedeva nella costituzione liturgica l’as-


se interpretativo del corpus conciliare e il criterio ermeneutico per
170
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, La politica vaticana di distensione verso i governi comunisti, in
“Cristianità”, n. 5 (1974). Il documento fu pubblicato integralmente su “Catolici-
smo”, n. 280 (1974) e in 36 giornali brasiliani e poi riprodotto in 73 tra giornali e ri-
viste di undici paesi, senza ricevere alcuna obiezione circa la sua ortodossia e la sua
correttezza canonica.
568 IL CONCILIO VATICANO II

interpretarne i documenti 171, e il card. Danneels 172 considerava la


riforma liturgica avviata dal Concilio e realizzata da Paolo VI il
cambiamento forse più profondo nella vita della Chiesa cattolica 173.
L’articolo 54 della costituzione Sacrosanctum Concilium, combi-
nato con l’articolo 40, relativo al ruolo delle conferenze episcopali,
aveva affidato a queste ultime la possibilità di introdurre la lingua
volgare nella celebrazione della Messa. Su questa base, la domeni-
ca 7 marzo 1965, durante il Concilio, fu avviata in Italia la celebra-
zione di una Messa che prevedeva molte parti in lingua volgare e
gli altari rivolti verso il popolo. Paolo VI celebrò quel giorno in ita-
liano in una parrocchia romana ed esortò i parroci a collaborare per
l’applicazione della riforma. Il 4 marzo 1967 fu autorizzata la recita
del canone della Messa ad alta voce e in lingua volgare. Nello stes-
so mese uscì il libro La tunica stracciata di Tito Casini 174, che conte-
neva una dura critica della riforma liturgica in corso. Suscitò im-
pressione il fatto che il card. Bacci ne avesse scritto la prefazione.
Paolo VI aveva affidato al Consilium ad Exsequendam Constitu-
tionem de Sacra Liturgia, costituito nel 1964, l’incarico della revisio-
ne dei libri liturgici (messale, breviario, rituale, pontificale) e del-
l’attuazione di riforme che riguardassero la più attiva partecipa-
zione dei fedeli, come l’uso delle lingue nazionali e la concelebra-
zione 175. Il culmine dell’opera del Consilium, diretto da mons. Bu-
gnini, fu l’elaborazione del nuovo Ordo Missae, promulgato da
Paolo VI, nel Concistoro del 28 aprile 1969 176. Il Consilium aveva
compiuto la sua missione e fu sostituito, nel 1970, dalla neonata

171
G. DOSSETTI, Per una “Chiesa eucaristica”. Rilettura della portata dottrinale del Vatica-
no II. Lezioni del 1965, a cura di G. ALBERIGO-G. RUGGIERI, Il Mulino, Bologna 2002.
172
Godfried Danneels (1933), ordinato nel 1957, vescovo di Anversa nel 1977, poi di
Malines-Bruxelles dal 1979 al 2009, creato cardinale nel 1983.
173
Cfr. G. DANNEELS, La réforme liturgique de Paul VI et ses enjeux pour la vie de l’Eglise,
in Le rôle de G.B. Montini, cit., p. 4.
174
Cfr. TITO CASINI, La tunica stracciata. Lettera di un cattolico sulla “Riforma liturgica”,
con prefazione del card. Antonio Bacci, Sates, Roma 1967; ID., Nel fumo di Satana.
Verso l’ultimo scontro, Il carro di San Giovanni, Firenze 1976.
175
Il 26 settembre 1964 il Consilium autorizzò l’uso facoltativo del volgare in tutti i ri-
ti tranne il prefazio e il canone della Messa.
176
Il 3 aprile 1969 apparve la costituzione apostolica Missale Romanum che constava di
due documenti: la Institutio generalis missalis Romani e il nuovo Ordo Missae propria-
mente detto, ossia il nuovo testo della Messa e delle rubriche che lo accompagnano
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 569

Congregazione per il Culto Divino. Nel maggio 1970 era pronto il


nuovo Messale. Si trattava, come ha osservato lo storico gesuita
Giacomo Martina, “di un’autentica rivoluzione liturgica, ben più gran-
de di quella del tridentino” 177.
Non sono mancati coloro che hanno voluto addossare tutta la
responsabilità del Novus Ordo Missae a mons. Bugnini, interpre-
tando la sua rimozione come la risposta di Papa Montini al tra-
dimento di cui sarebbe stato vittima. Le testimonianze in senso
contrario sono schiaccianti e non meravigliano. Paolo VI, ha
scritto un suo biografo Yves Chiron, resterà senza dubbio nella
storia come il Papa che ha portato a termine il Concilio Vaticano
II, ma anche come colui che ha dato alla Chiesa una nuova Mes-
sa 178. Fin dagli anni Trenta infatti, il giovane Montini, sotto l’in-
flusso di padre Bevilacqua, era stato un adepto del “movimento
liturgico”, in cui vedeva la formulazione ecclesiale dell’umane-
simo maritainiano 179.
Quando il nuovo rito entrò in vigore, alcuni membri eminenti
della gerarchia, così come molti teologi e laici, ne svolsero una ser-
rata critica 180. Fin dall’ottobre del 1969, i cardinali Ottaviani e Bac-

(cfr. AAS, 61 (1969), pp. 217-226). Il breviario ricevette la sua nuova forma il 2 febbraio
1971 con l’Institutio generalis de liturgia horarum (cfr. AAS, 63/2 (1971), pp. 527-535).
177
G. MARTINA, Storia della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1995, vol. III, p. 359.
178
Cfr. Y. CHIRON, Paul VI, cit., p. 289.
179
Cfr. VIRGINIO PONTIGGIA, L’interesse per la liturgia in G.B. Montini: gli anni giovanili
alla FUCI, in Liturgia: temi e autori, cit., pp. 35-82.
180
Tra i numerosi studi critici sulla “Nuova Messa” e la Riforma liturgica, per la
maggior parte composti da studiosi laici, segnaliamo: A. X. VIDIGAL DA SILVEIRA, La
nouvelle Messe de Paul VI qu’en penser?, cit.; J. VAQUIÉ, La Révolution liturgique, Diffu-
sion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil 1971; L. SALLERON, La Nouvelle Mes-
se, Nouvelles Editions Latines, Parigi 1976 (1971); WOLFGANG WALDSTEIN, Hirtensor-
ge und Liturgiereform, Lumen Gentium, Schaan (Fl) 1977; KLAUS GAMBER, Die Reform
der Römischen Liturgie, F. Pustet, Regensburg 1979 (quest’opera nella versione fran-
cese: La réforme liturgique en question, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1992,
contiene prefazioni dei cardinali Silvio Oddi, Joseph Ratzinger e Alfons M. Stick-
ler); M. DAVIES, Pope Paul’s New Mass, The Angelus Press, Dickinson (Texas) 1980;
Die heilige Liturgie, a cura di FRANZ BREID, Ennsthaler, Steyr 1997; Autour de la Que-
stion Liturgique avec le cardinal Ratzinger, Association Petrus a Stella, Fontgombault
2001, tr. it. La questione liturgica. Atti delle “Giornate liturgiche di Fontgombault”, 22-24
luglio 2001, Nova Millennium, Roma 2010; R. DE MATTEI, La liturgia della Chiesa nel-
l’epoca della secolarizzazione, Solfanelli, Chieti 2009; MARTIN MOSEBACH, Eresia del-
l’informe: la liturgia romana e il suo nemico, tr. it. Cantagalli, Siena 2009.
570 IL CONCILIO VATICANO II

ci presentarono a Paolo VI un Breve esame critico del Novus Ordo


Missae redatto da uno scelto gruppo di teologi di varie nazionalità.
Nella lettera da loro indirizzata al Pontefice, si affermava che “il
Novus Ordo Missae (...) rappresenta, sia nel suo insieme come nei par-
ticolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della
Santa Messa, quale fu formulata nella sessione XXII del Concilio Triden-
tino, il quale, fissando definitivamente i ‘canoni’ del rito, eresse una bar-
riera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del
mistero” 181.
Lo stesso mons. Ferdinando Antonelli, Segretario della nuova
Congregazione dei Riti, che aveva seguito tutto l’iter delle riforme
liturgiche, da Pio XII a Paolo VI, aveva espresso il 23 luglio 1968 a
mons. Benelli, Sostituto alla Segreteria di Stato, le sue “preoccupa-
zioni sulla riforma liturgica che diventa sempre più caotica e aberrante”
182
. Anche da parte progressista si ammetteva che il Novus Ordo
Missae esprimeva una nuova teologia del “popolo di Dio” in cam-
mino nella storia: una visione ecclesiologica immanentistica, che
presupponeva il sacerdozio comune dei fedeli ben diversa, secon-
do Alberigo, da quella della Mediator Dei e della Mystici Corporis
di Pio XII 183.
A partire da quella data, iniziarono a moltiplicarsi gli appelli di
fedeli di ogni nazionalità che chiedevano il ripristino, o almeno la
“par condicio” per la Messa tradizionale 184. Va ricordato tra l’altro
un “memorandum” con cui nel 1971 oltre cento eminenti personalità
di tutto il mondo chiedevano alla Santa Sede “di voler considerare

181
Lo studio, promosso da Una Voce-Italia, è stato ripubblicato dalla stessa associa-
zione assieme a un Nuovo esame critico del Novus Ordo Missae (Il Novus Ordo Missae:
due esami critici, in “Una Voce”, suppl. al n. 48-49 (1979) del notiziario).
182
F. ANTONELLI, Note sulla riforma liturgica, cit., in N. GIAMPIETRO, Il card. Ferdinando
Antonelli, cit., p. 257.
183
Cfr. G. ALBERIGO, Il popolo di Dio nell’esperienza di fede, in “Concilium”, n. 20 (1984),
pp. 940-958; ID., La riforma conciliare nel cammino storico del movimento liturgico e nel-
la vita della Chiesa, in Transizione epocale, cit., pp. 505-525.
184
Tre pellegrinaggi internazionali di cattolici si svolsero a Roma per riconfermare la
fedeltà alla Messa tradizionale e al catechismo di San Pio X (cfr. GUGLIELMO ROSPI-
GLIOSI, La manifestazione dei cattolici tradizionalisti riconfermano la fedeltà al messale e al
catechismo, in “Il Tempo”, 19 giugno 1970). Una raccolta degli appelli fino al 1980 in
... Et pulsanti aperietur (Lc 11, 10), Una Voce, Clarens 1980.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 571

con la massima gravità a quale tremenda responsabilità essa andrebbe in-


contro di fronte alla storia dello spirito umano se non consentisse a lasciar
vivere perpetuamente la Messa tradizionale” 185.

b) La secolarizzazione della liturgia

Al problema del nuovo rito si aggiunse presto quello della nuo-


va prassi liturgica. Nell’agosto 1976, il giornalista Dino Pieraccioni
scriveva:

“Quando si assiste alla messa celebrata su una specie di tavolino im-


provvisato davanti all’altare (…) quando si vede in alcune messe una
specie di offertorio ‘unificato’ nel quale si offre con un’unica formula il
pane e il vino; quando si ascoltano preghiere dei fedeli improvvisate qua
e là per la Chiesa da singoli partecipanti (…); quando al momento del
segno di pace si vede il celebrante lasciar l’altare e girellare fra i vicini
o gli stessi fedeli, passeggiare fra i banchi; quando al momento della co-
munione, i fedeli prendono da sé il pane consacrato (…); quando al po-
sto dei canti tradizionali (italiani o latini non importa), che tutto il po-
polo sapeva e cantava a memoria, si ascoltano certi pezzi e cantilene pe-
nose che non han nulla, non diciamo di religioso, ma neanche di musi-
cale, questo è davvero applicare la riforma liturgica e seguire la volontà
del Concilio?” 186.

In tesi, il Novus Ordo di Paolo VI stabilì un complesso di norme


e di preghiere che regolavano la celebrazione del Santo Sacrificio
della Messa in sostituzione del Rito romano antico; di fatto, la
prassi liturgica rivelò l’esistenza di un nuovo rito proteiforme. Nel
corso della Riforma vennero introdotte infatti, progressivamente,

185
Tra i firmatari figuravano: Romano Amerio, Jorge Luis Borges, Marcel Brion,
Agatha Christie, Henri de Montherlant, Augusto Del Noce, Robert Graves,
Graham Green, Julien Green, Yehudi Menuhin, Malcolm Mudderidge, Marius Sch-
neider, Bernard Wall. Cfr. il testo e l’elenco dei firmatari in “Una Voce”, n. 7 (1971),
pp. 1-10.
186
DINO PIERACCIONI, Il Concilio, la tradizione, le fughe in avanti, in “Il Resto del Carli-
no”, 18 agosto 1976.
572 IL CONCILIO VATICANO II

tutta una serie di novità e di varianti, molte delle quali non previ-
ste né dal Concilio né dalla stessa costituzione Missale Romanum di
Paolo VI 187.
Il quid novum non consisté solo nella sostituzione della lingua
di culto latina con le lingue volgari; ma nell’altare concepito come
una “mensa”, per sottolineare l’aspetto di banchetto in luogo del
sacrificio; nella celebratio versus populum, sostituita a quella versus
Deum, con l’abbandono conseguente della celebrazione verso
Oriente, ovvero verso Cristo, simboleggiato dal sole nascente; nel-
la mancanza di silenzio e di raccoglimento durante la cerimonia e
nella teatralità della celebrazione, spesso accompagnata da canti
dissacranti, con il sacerdote spesso ridotto a “presidente dell’as-
semblea”; nell’ipertrofia della liturgia della parola rispetto alla li-
turgia eucaristica; nel “segno” della pace che sostituisce le genu-
flessioni del sacerdote e dei fedeli quale simbolo del passaggio
dalla dimensione verticale a quella orizzontale dell’azione liturgi-
ca; nella comunione ricevuta dai fedeli in piedi e poi in mano; nel-
l’accesso delle donne all’altare; nella concelebrazione come ten-
denza alla “collettivizzazione” del rito; soprattutto nella modifica
e nella sostituzione delle preghiere dell’Offertorio e del Canone.
L’eliminazione, in particolare, delle parole Mysterium Fidei dalla
forma eucaristica, può essere considerata, come ha osservato il
card. Alfons Maria Stickler 188, come il simbolo della demitizzazio-
ne e con ciò dell’umanizzazione del nucleo centrale della Santa
Messa 189.
Il filo conduttore di queste innovazioni può essere espresso nel-
la tesi secondo cui, se vogliamo rendere la fede di Cristo accessibi-
le all’uomo di oggi, dobbiamo vivere e presentare questa fede al-

187
R. DE MATTEI, La liturgia della Chiesa nell’epoca della secolarizzazione, cit., pp. 30-31.
188
Alfons Maria Stickler (1910-2007), austriaco, ordinato nel 1937, professore di Di-
ritto Canonico presso la Pontificia Università Salesiana di cui fu rettore dal 1958 al
1966. Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana (1981), pro-bibliotecario di Santa
Romana Chiesa e arcivescovo titolare di Bolsena nel 1983, creato cardinale nel 1985.
189
Cfr. A. M. STICKLER (1910-2007), Erinnerungen und Erfahrungen eines Konzilperitus
der Liturgiekomission, in Die heilige Liturgie, cit., p. 176. Il card. Stickler ricorda come
il Sacramentarium Gelasianum, cioè il più antico messale della Chiesa romana, con-
tiene chiaramente nel testo originale (in Codice Vaticano, Reg. lat. 316, foglio 181v),
il “mysterium fidei” (op. cit., p. 174).
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 573

l’interno del pensiero e della mentalità odierna. La liturgia tradi-


zionale, per la sua incapacità di adattarsi alla mentalità contempo-
ranea, allontanerebbe l’uomo da Dio, rendendosi dunque colpevo-
le della perdita di Dio della nostra società. La Riforma liturgica si
proponeva di adattare il Rito, senza intaccare l’essenza del Sacra-
mento, per rendere possibile alla comunità cristiana quella “parte-
cipazione al sacro” che non poteva essere colta attraverso i modu-
li della liturgia tradizionale.
L’idea dominante della riforma liturgica fu quella della “parte-
cipazione attiva” dei fedeli, che, come sottolinea Gilles Routhier,
“entrò nel Vaticano II attraverso la costituzione sulla liturgia, prima di
invadere, per così dire, la totalità dei documenti conciliari” 190. Attraver-
so il principio della participatio actuosa, la comunità intera divenne
soggetto e portatrice dell’azione liturgica, nella prospettiva di una
radicale secolarizzazione della liturgia 191. “La parola apparentemente
così modesta della partecipazione attiva, piena e cosciente è spia di uno
sfondo inaspettato” 192 osserva padre Angelus Häußling, sottolinean-
do il rapporto tra la participatio actuosa della Riforma liturgica e
quella che, alla scuola di Rahner, è stata chiamata la “svolta antro-
pologica” (Anthropologische Wende) della teologia.
Chi agisce non è tanto il sacerdote in persona Christi, cioè Dio
stesso, ma la comunità dei fedeli, in persona hominis, per rappre-
sentare le esigenze di quel mondo moderno che un discepolo di
Rahner definisce come “santo e santificato nella sua profanità, cioè
santo in forma di anonimità” 193. Il risultato della riforma liturgica
“nella sua realizzazione completa non fu una rianimazione, ma una de-
vastazione” 194, scrisse il cardinale Ratzinger, secondo il quale “la cri-

190
G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II, cit., p. 101.
191
Cfr. MICHAEL KUNZLER, La liturgia all’inizio del terzo millennio, in Il Concilio Vatica-
no II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, a cura di R. FISICHELLA, San Paolo, Ci-
nisello Balsamo 2000, pp. 217-231.
192
ANGELUS A. HÄUßLING o.s.b., Liturgiereform. Materialen zu einem neuen Thema der Li-
turgiewissenschaft, in “Archiv für Liturgiewissenschaft”, n. 31 (1989), p. 29 (pp. 1-32).
193
LUIS MALDONADO, Secolarizzazione della liturgia, tr. it. Edizioni Paoline, Roma
1972, p. 473.
194
J. RATZINGER, Klaus Gamber, L’intrépidité d’un vrai témoin, prefazione a mons. K.
GAMBER, La réforme liturgique, cit., p. 6. Cfr. anche ID., Introduzione allo spirito della li-
turgia, tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.
574 IL CONCILIO VATICANO II

si ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della
liturgia” 195.
Nella lettera apostolica Ecclesia Dei 196 del 2 luglio 1988, Giovan-
ni Paolo II chiese ai vescovi e a tutti coloro che svolgono nella Chie-
sa il ministero pastorale di “garantire il rispetto delle giuste aspirazio-
ni” di tutti quei fedeli cattolici “che si sentissero vincolati ad alcune pre-
cedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina”. Nel 2007 il
card. Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, con il motu proprio
Summorum Pontificum 197, al fine di soddisfare “le giuste aspirazioni”
dei fedeli del Rito tradizionale antico e per “giungere a una riconci-
liazione interna alla Chiesa” 198, restituì pieno diritto di cittadinanza al
Rito Romano antico che giuridicamente non era mai stato abrogato
ma che, di fatto, era stato per quarant’anni “interdetto” 199.

11. Il giubileo del 1975

Nel 1974 Paolo VI annunciò, con la bolla Apostolorum Limina 200,


il venticinquesimo giubileo della Chiesa, secondo la tradizionale
cadenza fissata da Paolo II. Al rito di apertura della Porta Santa, la
notte di Natale del 1974, erano presenti anche alcuni buddisti invi-
tati dal Segretariato per i non Cristiani. Il 14 dicembre 1975, in San
Pietro, nel decimo anniversario dell’abolizione delle scomuniche
tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, il Papa, ina-

195
J. RATZINGER, La mia vita: ricordi, cit., pp. 110-113.
196
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Ecclesia Dei del 2 luglio 1988, in AAS,
80 (1988), p. 1498.
197
Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Motu Proprio Data sull’uso della liturgia
romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970, Summorum Pontificum del 7 luglio
2007, in AAS, 99 (2007), pp. 777-781, accompagnata da una lettera, Ad omnes catho-
licae Ecclesiae episcopus ritus romanis, ivi, pp. 795-799.
198
Ivi, p. 28.
199
Jean Madiran fa la storia di questa interdizione in Francia, dal novembre 1969,
quando il card. Marty (1904-1994), presidente della Conferenza episcopale, stabilì
che, a partire dal 1° gennaio 1970, il nuovo Ordo Missae sarebbe stato obbligatorio e
utilizzato solo in lingua francese (cfr. J. MADIRAN, Histoire de la messe interdite, Via
Romana, Versailles 2007 e 2009, 2 voll.).
200
Paolo VI, Bolla Apostolorum Limina del 23 maggio 1974, in AAS, 66 (1974), pp.
289-307.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 575

spettatamente, si chinò e baciò il piede al metropolita Meliton di


Calcedonia, capo della delegazione “ortodossa”.
Erano passati venticinque anni dal trionfale Anno Santo di Pio
XII e la Chiesa appariva lacerata da una profonda crisi 201. Il crollo
delle certezze dogmatiche; il relativismo della nuova morale per-
missiva; l’anarchia in campo disciplinare; le defezioni dal sacerdo-
zio e l’allontanamento dalla pratica religiosa di milioni di fedeli;
l’espulsione dalle chiese si sbarazzavano di altari, balaustre, croci-
fissi, statue di santi, arredi sacri: tutto ciò offriva l’immagine di una
vera e propria devastazione 202.
La “primavera della fede”, che avrebbe dovuto seguire al Con-
cilio Vaticano II, appariva piuttosto un rigido inverno, documenta-
to soprattutto dal crollo delle vocazioni e dall’abbandono della vi-
ta religiosa 203.
Dal 1939 al 1963 il dicastero del Sant’Uffizio aveva concesso in
tutto 563 dispense dal sacerdozio al celibato. Negli anni successivi
al Concilio il numero di dispense crebbe, fino a raggiungere tra il
1963 e il 1970, la cifra di 3.335 204. “Per la prima volta nella storia – scri-
veva nel 1977 padre Giacomo Martina – si è assistito all’abbandono
del sacerdozio, pur con tutte le dispense necessarie, da parte di migliaia di
preti, nel giro di pochi anni” 205.

201
La bibliografia su questo tema è vasta. Oltre ai volumi di V. MESSORI a colloquio
col cardinale J. RATZINGER, Rapporto sulla fede, cit., e R. AMERIO, Iota unum, cit., cfr.
anche DIETRICH VON HILDEBRAND, Il cavallo di Troia nella Città di Dio, tr. it. Volpe, Ro-
ma 1971; ID., Der verwüstete Weinberg, J. Habbel, Regensburg 1973; C. FABRO c.p.s.,
L’avventura della teologia progressista, cit.; BERNARD MONSEGÚ c.p., Posconcilio, Stu-
dium, Madrid 1975-1977, 3 voll.; WIEGAND SIEBEL, Katholisch oder konziliar – Die Kri-
se der Kirche heute, A. Langen-G. Müller, Monaco-Vienna 1978; G. SIRI, Getsemani,
cit.; GEORGE MAY, Der Glauben in der nachkonziliaren Kirche, Mediatrix Verlag, Vien-
na 1983; A. SINKE GUIMARÃES, In the murky waters of Vatican II, cit.
202
Gli Stati Uniti sono il Paese che ci offre le statistiche più certe su questa devasta-
zione. Cfr. l’impietoso quadro tracciato da ROGER FINKE e RODNEY STARK in The Chur-
ching of America, 1776-1990. Winners and Loosers in Our religiuos Economy, Rutgers
University Press, New Brunswick (New Jersey) 1992.
203
Cfr. FRANCISCO JOSÉ FERNÁNDEZ DE LA CIGOÑA, El invierno postconciliar, in “Verbo”,
nn. 393-394 (2001), pp. 329-358, che riporta dati impressionanti sul crollo della già
fiorente vita religiosa spagnola.
204
Cfr. G. MARTINA, Storia della Chiesa, cit., pp. 376-377.
205
G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Prefazione di Clemente Riva,
Studium, Roma 1977, p. 142.
576 IL CONCILIO VATICANO II

Il bilancio complessivo del quarantennio postconciliare 1965-


2005, riguardo alle perdite totali e percentuali dei principali isti-
tuti religiosi, sarà ancora più drammatico. Se i religiosi dei prin-
cipali istituti maschili erano 329.799 nel 1965, nel 2005 ne resta-
vano 214.913, circa un terzo erano venuti meno nei 40 anni di po-
st-concilio 206.
Nel 1973, 1600° anniversario della morte dell’indomito vescovo
di Alessandria, sant’Atanasio, mons. Rudolf Graber 207, vescovo di
Ratisbona, che era stato Padre conciliare, evocava la crisi ariana del
IV secolo.

“Perché si fa così poco per consolidare le colonne della Chiesa, onde evi-
tarne il crollo? Se vi è ancora una persona convinta che gli avvenimenti
che si sviluppano nella Chiesa siano marginali, o che si tratti di difficoltà
transitorie, vuol dire che è irrecuperabile. (…) Ma la responsabilità dei ca-
pi della Chiesa è ancora più grande, se essi non si occupano di questi pro-
blemi o se credono di rimediare al male con qualche lavoretto di rattoppo.
No: qui si tratta del tutto; qui si tratta della Chiesa; qui si tratta di una
specie di rivoluzione copernicana scoppiata nel seno stesso della Chiesa,
di una rivoluzione gigantesca nella Chiesa” 208.

Il vescovo americano mons. Robert Dwyer 209, il 30 luglio 1975,


scriveva una lettera a Paolo VI, in cui tracciava un’impressionante
descrizione della decadenza cattolica negli Stati Uniti, soprattutto
riguardo alla devastazione in campo liturgico 210. “Nessun nemico –
concludeva il presule – aveva compiuto questa devastazione, ma gli

206
Cfr. lo studio del claretiano ANGELO PARDILLA, I religiosi ieri, oggi e domani, Edi-
trice Rogate, Roma 2007. Analogo il quadro delle religiose tracciato dallo stesso
autore: ID., Le religiose ieri, oggi e domani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vati-
cano 2008.
207
Rudolf Graber (1903-1992), tedesco, ordinato nel 1926, vescovo di Ratisbona dal 1962
al 1981.
208
R. GRABER, Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo, tr. it. Civiltà, Brescia 1974, p.
28, 79.
209
Robert Joseph Dwyer (1908-1976), statunitense, ordinato nel 1932, vescovo di Re-
no (Nevada) nel 1952 e poi arcivescovo di Portland (Oregon) dal 1966 al 1974.
210
Testo della lettera, con il titolo Una cattedrale devastata, in “Sì sì, no no”, n. 3
(1978), p. 2.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 577

stessi figli della famiglia” 211. Due anni più tardi, l’arcivescovo Arrigo
Pintonello 212, in una lettera aperta ai vescovi italiani, presentava un
analogo quadro dell’anarchia nella Chiesa: “un vero flagello di Dio
molto più vasto e distruttivo di quello di Attila, con conseguenze che do-
vrebbero togliere il sonno ai responsabili della vita e del governo della
Chiesa, i quali inspiegabilmente tacciono” 213.
Intanto, in Francia, l’abbé Louis Coache 214 parlava di “aposta-
sia”, mentre il 7 maggio 1973 l’abbé Georges de Nantes giunse a
Roma per presentare al Papa un fascicolo riguardante la dram-
matica situazione della Chiesa e le responsabilità dei vertici ec-
clesiastici. Il gesto fu diversamente giudicato, ma ebbe vastissi-
ma eco 215.
Anche in Italia, a partire dal gennaio 1975, una pubblicazione
“antimodernista”, “Sì sì, no no”, diretta dal sacerdote Francesco
Putti, iniziava a documentare impietosamente le responsabilità ec-
clesiastiche della deriva conciliare 216. La resistenza al progressismo
iniziava ad allargarsi in tutta Europa.

211
R. J. DWYER, Una cattedrale devastata, cit., p. 3.
212
Arrigo Pintonello (1908-2001), ordinato nel 1932, vescovo di Theodosiopolis in
Arcadia nel 1953. Ordinario militare d’Italia dal 1953 al 1966, arcivescovo di Terra-
cina-Latina, Priverno e Sezze dal 1967 al 1971. Mons. Pintonello fondò nel 1975 la
rivista “Seminari e teologia”, che si proponeva di “raccogliere l’eco di dolore – vor-
remmo dire – di vera angoscia di tanti sacerdoti laici, preoccupatissimi per la sorte cui sem-
brano condannati i seminari e gli studentati religiosi” (“Seminari”, n. 1 (1975), p. 1). Tra
i suoi collaboratori più attivi fu don Ennio Innocenti (1932), sacerdote del clero ro-
mano dal 1957, scrittore e giornalista, su cui cfr. Don Ennio Innocenti. La figura, l’o-
pera, la milizia, Biblioteca Edizioni, Roma 2004.
213
A. PINTONELLO, Lettera agli Ecc.mi vescovi, in “Seminari e Teologia”, n. 3 (1977), p.
4 (pp. 1-4).
214
Louis Coache (1920-1994), francese, ordinato nel 1943, parroco di Montjavoult
(Oise), fondò nel 1968 il bollettino “Le combat de la foi” per difendere la fede con-
tro le nuove eresie. Nel 1985 cedette il centro di Flavigny, che animava dal 1971, al-
la Fraternità Sacerdotale San Pio X di mons. Lefebvre. Cfr. LOUIS COACHE, Vers l’a-
postasie générale, La Table Ronde, Parigi 1969; ID., Les batailles du combat de la foi, Edi-
tions de Chiré, Chiré-en-Montreuil 1993.
215
G. DE NANTES, Liber Accusationis, tr. it. Arti Grafiche Pedanesi, Roma 1973; cfr. DO-
MENICO CELADA, De Nantes e il Vaticano, in “Il Tempo”, 7 maggio 1973.
216
Su don Francesco Maria Putti (1909-1984), cfr. F. SPADAFORA, Araldo della fede cat-
tolica, pro-manuscripto, Arti Grafiche G.A.D.I., Roma 1993. Va ricordata anche l’o-
pera del sacerdote don Luigi Villa, fondatore della rivista “Chiesa viva” in cui do-
cumentò soprattutto l’impressionante adesione di ecclesiastici alla massoneria.
578 IL CONCILIO VATICANO II

12. Il “caso Lefebvre”

Dieci anni dopo la conclusione del Concilio esplose il cosiddet-


to “caso Lefebvre”, dal nome dell’arcivescovo francese che, a par-
tire dal 1974, entrò in aperto contrasto con la Santa Sede sul tema
della Nuova Messa e delle riforme conciliari 217.
Il 6 giugno 1969, mons. Charrière 218, vescovo di Friburgo, aveva
autorizzato mons. Lefebvre ad aprire nella sua sede vescovile, un
convitto internazionale S. Pio X. Di fronte all’aumento delle do-
mande di ammissione, il vescovo francese acquistò ad Ecône, nel
Vallese, una seconda casa che divenne il centro di formazione del-
la Fraternità Sacerdotale Internazionale San Pio X, eretta canonica-
mente il 1° novembre 1970 nella diocesi di Losanna-Ginevra-Fri-
burgo. Nel novembre 1972, sette anni dopo la conclusione del Va-
ticano II, mons. Lefebvre pronunciava a Rennes un’allocuzione in
cui per la prima volta esprimeva un giudizio fortemente negativo
sul Concilio Vaticano II 219. La Santa Sede diffidò mons. Lefebvre
dall’ordinare i suoi seminaristi. Ma il 29 giugno 1976, dinanzi a
una folla di fedeli convenuti da ogni parte del mondo, l’arcivesco-
vo francese conferì a 13 suoi seminaristi il suddiaconato e ad altri
13 il sacerdozio, incorrendo nella “sospensione a divinis”. Un in-
contro con Paolo VI a Castel Gandolfo, l’11 settembre 1976, non ap-
prodò a una soluzione del problema.
Nel 1977 la principessa Elvina Pallavicini 220 invitò mons. Lefeb-
vre, nel suo storico palazzo a Roma, per esporre le proprie ragioni.

217
Cfr., oltre alle op. cit. di C. SICCARDI e B. TISSIER DE MALLERAIS, LUC PERRIN, Il caso
Lefebvre, cit.
218
François Charrière (1893-1976), svizzero, ordinato nel 1917, vescovo di Losanna,
Ginevra e Friburgo dal 1945 al 1970, poi vescovo emerito.
219
Cfr. M. LEFEBVRE, Un évêque parle. Ecrits et allocutions, Dominique Martin Morin, Jarzé
1979, vol. I, pp. 171-203 (tr. it. Un vescovo parla, Rusconi, Milano 1975, pp. 173-202).
Mons. Lefebvre espresse successivamente le sue critiche nelle opere J’accuse le Concile,
Editions Saint-Gabriel, Martigny 1976 (tr. it. cit.); Lettre ouverte aux catholiques perplexes,
Albin Michel, Parigi 1985; Ils l’ont découronné, Editions Fideliter, Escurolles 1987.
220
La principessa Elvina Pallavicini (1914-2004), medaglia di bronzo al valor mili-
tare per l’impegno a favore dei partigiani monarchici durante l’occupazione te-
desca di Roma, aveva fatto del suo palazzo romano, sul colle del Quirinale, un
luogo importante di incontro per il mondo ecclesiastico, politico e nobiliare della
capitale.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 579

La conferenza risvegliò improvvisamente la curiosità e l’attenzione


sull’esistenza di un patriziato e di una nobiltà romana, ancora vivi
e combattivi, di cui la principessa Pallavicini era espressione 221. Le
pressioni che la nobildonna romana subì per annullare la conferen-
za 222, non ottennero alcun effetto, grazie alla sua forte personalità e
indipendenza. Ai quattrocento invitati, che assistettero all’evento
nella Sala del Trono del palazzo sul colle del Quirinale, se ne ag-
giunsero altrettanti che accalcarono l’antisala.
Nel suo discorso mons. Lefebvre pose pacatamente delle que-
stioni, piuttosto che formulare delle risposte:

“Non si può concepire la chiesa Cattolica che come continuità, come tra-
dizione, come l’erede del suo passato. Non si può comprendere una Chie-
sa Cattolica che rompa col suo passato, con la sua tradizione, e proprio per
l’impossibilità di concepire una cosa simile, mi trovo in una situazione un
po’ strana: quella di un vescovo sospeso per aver fondato un seminario in
Svizzera, seminario eretto legalmente, canonicamente, seminario che rac-
coglie molte vocazioni; ed a otto anni dalla fondazione abbiamo numerose
case negli Stati Uniti, una in Canada, in Inghilterra, in Francia, in Sviz-
zera, in Germania ed anche in Italia, qui ad Albano. Come può essere che
continuando a fare quello che io stesso ho fatto per 50 anni della mia vi-
ta, con le congratulazioni, con gli incoraggiamenti dei Papi, e in partico-
lare del Papa Pio XII che mi onorava della sua amicizia, che io mi ritrovi
oggi ad essere considerato quasi un nemico della Chiesa? Come è possibi-
le questo, come si può concepirlo? Ho avuto l’occasione di dirlo al Papa
nell’ultima udienza che ho avuto l’11 settembre. Gli ho detto: non riesco
a capire per qual motivo improvvisamente dopo aver formato seminaristi
per tutta la mia vita come li formo oggi, mentre prima del Concilio ho
avuto tutti gli onori, escluso solo il cardinalato, ora, dopo il Concilio, fa-
cendo la stessa cosa, mi trovo sospeso a divinis, quasi considerato uno
scismatico, quasi da scomunicare quale nemico della Chiesa. Non credo

221
Cfr. BENNY LAI, Il Vaticano e il patriziato, in “La Nazione” (7 giugno 1977) e l’in-
chiesta di EMILIA GRANZOTTO, Tutti i nobili di Roma, in “Panorama” (14 giugno 1977).
222
Nei giorni convulsi che precedettero l’incontro, intervennero, tra gli altri, per dis-
suadere la principessa Pallavicini, il duca Carlo Colonna da parte del Re Umberto
II, mons. Andrea Cordero di Montezemolo, il Gran Maesto dell’Ordine di Malta
Angelo de Mojana, e il cardinale Vicario di Roma Ugo Poletti.
580 IL CONCILIO VATICANO II

che una simile cosa sia possibile e concepibile. C’è dunque qualche cosa di
cambiato nella Chiesa, qualche cosa che è stato cambiato dagli uomini del-
la Chiesa, nella storia della Chiesa” 223.

Mons. Lefebvre venne presentato come il “capo” dei tradizio-


nalisti. In realtà egli fu solo l’espressione più visibile e alimentata
dai mass-media di un fenomeno che andava ben al di là della sua
persona e che aveva le sue radici e la sua causa prima nei proble-
mi sollevati dal Concilio e dalla sua applicazione. La resistenza al-
l’attuazione delle riforme conciliari partì da settori del basso clero
e del laicato, come era accaduto durante la Rivoluzione francese,
quando erano stati parroci e contadini a promuovere la rivolta del-
la Vandea e le insorgenze anti-rivoluzionarie in Europa. L’arcive-
scovo francese fu il più noto, ma non l’unico, rappresentante di un
movimento di resistenza vasto e ramificato, che talvolta sfociò pur-
troppo nello scisma o nella perdita della fede.

13. La “via italiana” al comunismo

In Italia il post-Concilio, più che nella riflessione teologica,


trovò espressione nella azione politica. Ciò derivava dal ruolo che
la Chiesa aveva sempre avuto nella penisola e dalla specifica sen-
sibilità politica che Paolo VI aveva avuto fin dalla giovinezza. Ne-
gli anni del post-Concilio fu presentata come “scelta religiosa” quel-
la che fu in realtà una “scelta politica” delle autorità ecclesiastiche e
che ebbe al suo centro soprattutto il partito dei cattolici al potere.
Il movimento modernista di inizio secolo aveva avuto una del-
le sue espressioni più significative in Romolo Murri 224, fondatore di

223
M. LEFEBVRE, La Chiesa dopo il Concilio, Fraternità San Pio X, Roma 1977, p. 4. Nel-
lo stesso anno, mons. Lefebvre si esprimeva con maggior radicalità in Le coup de
maître de Satan. Ecône face à la persécution, Editions Saint-Gabriel, Martigny 1977.
224
Romolo Murri (1870-1944), fondatore della Democrazia cristiana, fu scomunicato
da san Pio X nel 1909. Aderì, come molti modernisti, al fascismo, per ritornare po-
co prima della morte nel grembo della Chiesa. Su di lui, cfr. la voce di M. GUASCO,
in DSMCI, II, p. 414-442, con bibliografia; ID., Romolo Murri e il modernismo, Cinque
Lune, Roma 1968.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 581

quella Democrazia cristiana a cui aveva guardato con attenzione il


leader comunista Antonio Gramsci, individuandone le potenzia-
lità rivoluzionarie 225. La stessa rivista modernista, “Nova et Vete-
ra”, aveva sostenuto che il compito del Cristianesimo doveva es-
sere quello di fornire un’anima religiosa al marxismo 226. Giulio Gi-
rardi, uno dei redattori della Gaudium et Spes, autore nel 1966 di
Marxismo e Cristianesimo 227 e poi fondatore dei Cristiani per il so-
cialismo, proponeva all’indomani del Concilio la sintesi tra le due
filosofie.
In maniera più cauta, ma nella medesima convinzione che il
marxismo rappresentasse l’avvenire, in quello stesso 1966, la “Ci-
viltà Cattolica” invitava ad affrontare, “con chiarezza e prudenza”, “il
rischio che comporta ogni dialogo tra cattolici e comunisti, nella speran-
za, se non nella certezza, che il seme gettato nelle menti e nei cuori porti
un giorno i suoi frutti” 228.
Dal settembre 1972 Paolo VI aveva un uomo di fiducia ai verti-
ci della Conferenza episcopale italiana nella persona del Segretario,
l’arcivescovo Enrico Bartoletti. Bartoletti diede “un contributo so-
stanziale alla traversata della Chiesa italiana nel postconcilio” 229, scrive
un suo stretto collaboratore di allora, padre Bartolomeo Sorge, ri-
cordando quante volte, andando a visitarlo, “incontravo alcuni tra i
più noti cattolici contestatori che uscivano da lui!” 230. Durante la segre-
teria Bartoletti, i cattolici persero il referendum sul divorzio (su cui
il Segretario della CEI non volle impegnarsi), si assisté alla crescita
e al rafforzamento del Pci, si dissolsero le tradizionali associazioni
cattoliche. L’Azione Cattolica italiana passò dai tre milioni e seicen-

225
“Il cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vi-
vifica e si suicida. (…) I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin” (A. GRAMSCI,
I popolari, in “L’Ordine Nuovo”, n. 24, 1 novembre 1919, poi in Ordine Nuovo 1919-
1920, Einaudi, Torino 1954, p. 286).
226
Cfr. DANIELA SARESELLA, Modernismo, Editrice Bibliografica, Milano 1995, p. 80.
227
G. GIRARDI, Marxismo e Cristianesimo, Cittadella, Assisi 1966.
228
GIUSEPPE DE ROSA s.j., Cattolici e comunisti oggi in Italia, in “Civiltà Cattolica”, q.
2782 (1966), p. 312 (pp. 305-314). Cfr. più ampiamente, ID., Chiesa e comunismo in Ita-
lia, Coines, Roma 1970.
229
B. SORGE s.j., La traversata. La Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi, Mondadori, Mi-
lano 2010, p. 126 e, più in generale, pp. 126-133.
230
Ivi, p. 130.
582 IL CONCILIO VATICANO II

tomila iscritti del 1963 a un milione e seicentomila del 1969. Dal


1969, sotto il nuovo presidente generale dell’associazione, Vittorio
Bachelet 231, avvenne, secondo padre Martina, “un’autentica smobili-
tazione del complesso apparato centrale eretto da Gedda” 232. Dieci anni
dopo gli iscritti erano ottocentomila 233, mentre si moltiplicava il dis-
senso cattolico 234.
La mentalità relativista, denunciata nel 1960 dalla Lettera del-
l’episcopato italiano sul laicismo 235, era penetrata progressivamente
dopo il Concilio nella società italiana. Il 1° dicembre 1970 fu in-
trodotto il divorzio, confermato dal referendum popolare del 12
maggio 1974. Al divorzio seguì il nuovo diritto di famiglia, che
inseriva nell’ordinamento giuridico le istanze del femminismo
libertario e ugualitario. Commentando i risultati del referendum
del 12 maggio con i suoi studenti della Gregoriana, padre Giaco-
mo Martina rispose senza esitare che si trattava di “uno degli ul-
timi atti (non l’ultimo!)” di un “processo irreversibile” di secolariz-
zazione in atto dalla Rivoluzione francese in poi 236. Lo storico ge-
suita era convinto, come tanti altri esponenti del mondo cattoli-
co, che la storia seguisse un suo inarrestabile corso che era ne-
cessario assecondare perché “segnava il passaggio da una fede pre-
valentemente sociologica ad una fede più personale”. Era questo il
“cattolicesimo adulto” che pretendeva rileggere, alla luce del
Concilio, le istanze immanentistiche che erano state proprie del
modernismo.

231
Vittorio Bachelet (1926-1980), professore di Diritto pubblico dell’economia all’U-
niversità di Roma, presidente dell’Azione Cattolica dal 1964 al 1973. Il 12 febbraio
1980, mentre conversava con la sua assistente Rosy Bindi, fu assassinato da un com-
mando delle Brigate Rosse nell’atrio della facoltà di Scienze politiche.
232
G. MARTINA, La Chiesa in Italia, cit., p. 149.
233
Cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., p. 529.
234
Nel libro di D. SARESELLA, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli an-
ni del cambiamento (1958-1968) (Morcelliana, Brescia 2005), si ha una dettagliata ri-
costruzione del dibattito a cui diedero vita, negli anni del concilio e immediata-
mente successivi, le riviste italiane, collocabili all’interno del “dissenso” cattolico.
235
Il laicismo. Lettera dell’episcopato italiano al clero, del 25 marzo 1960, n. 3, in Enchiri-
dion della Conferenza episcopale italiana. Decreti, dichiarazioni, documenti pastorali per la
Chiesa italiana, vol. I: 1954-1972, EDB, Bologna 1985, pp. 76-95. La redazione della
lettera era stata decisa nel corso della sesta riunione della CEI nell’ottobre 1959.
236
Cfr. G. MARTINA, La Chiesa in Italia, cit., p. 183.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 583

Fu in questo clima di relativismo e di laicismo che il segretario


del Pci, Enrico Berlinguer, lanciò la sua proposta di “compromesso
storico” tra cattolici e comunisti. Tra il 1974 e il 1976, seguirono gli
anni dei maggiori successi elettorali del Pci 237. Dopo le elezioni poli-
tiche del 1976 iniziò la serie di governi detti di “solidarietà naziona-
le” guidati da Giulio Andreotti con l’appoggio determinante del Pci
di Enrico Berlinguer 238. L’obiettivo finale era l’entrata dei comunisti
nel governo democristiano. In tal modo, dopo il fallimento dell’e-
sperimento cileno, l’Italia cattolica sarebbe stata il primo Paese del
mondo in cui il comunismo avrebbe conquistato democraticamente
il potere. L’uomo scelto per condurre in porto la delicata operazione
fu il presidente della Dc Aldo Moro che, nel suo ultimo discorso po-
litico, il 28 febbraio 1978, cercò di convincere i senatori e i deputati
democristiani della necessità di un’intesa con i comunisti 239.
Il 16 marzo 1978, il giorno in cui si doveva votare la fiducia ad
un governo guidato da Giulio Andreotti, con l’appoggio esterno del
Pci, le Brigate Rosse sequestrarono in via Fani a Roma Aldo Moro,
massacrando nell’agguato i cinque uomini della sua scorta 240. Pao-
lo VI ne fu sconvolto. Il giorno seguente, attraverso un comunicato
della Segreteria di Stato, fece sapere che avrebbe dato tutto il suo
appoggio morale e materiale per salvare la vita del presidente del-
la Dc, suo amico fin dalla giovinezza 241. La Santa Sede raccolse una

237
Numerosi candidati cattolici si presentarono nelle liste comuniste. “Se è un moti-
vo di scandalo la scelta di chi si è candidato nelle liste del Partito comunista – affermava il
prof. Pietro Scoppola in un articolo su “Il Popolo” del 21 maggio 1976 – sarebbe mo-
tivo di scandalo ben più grave una loro condanna” (cit. in S. MAGISTER, La politica vatica-
na e l’Italia, cit., p. 481).
238
Cfr. ARTURO GISMONDI, Alle soglie del potere. Storia e cronaca della solidarietà naziona-
le, 1976-1979, Sugarco, Roma 1987.
239
Cfr. FRANCESCO DAMATO, L’ultimo discorso sui rapporti col Pci, in “Il Giornale”, 10
maggio 1978.
240
Nel gruppo dei brigatisti presenti a via Fani, c’era anche Alessio Casimirri, figlio
di due cittadini vaticani (il padre era stato vicedirettore della sala stampa vaticana),
le cui nozze erano state benedette dall’allora Sostituto della Segreteria di Stato
mons. Montini. Alessio Casimirri, con la moglie Daniela Algranati, riuscì a far per-
dere le tracce e ad espatriare all’estero (cfr. A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., pp. 610-613).
241
Si veda: A. TORNIELLI, Paolo VI, cit., pp. 596-613; GIULIANO FERRARA, L’Affaire Moro
e il gioco delle coincidenze simboliche incrociate. L’addio alla Repubblica di Montini e alla
pietà laica e cattolica, in “Il Foglio”, 10 maggio 2008.
584 IL CONCILIO VATICANO II

ingente somma di denaro e tentò invano di intervenire concreta-


mente per salvare la vita dell’ostaggio. Il 22 aprile, il Papa scrisse
una lettera aperta “agli uomini delle Brigate Rosse”, come definì i ter-
roristi di Via Fani, pregandoli, in ginocchio, di liberare Aldo Moro,
senza condizione, “non tanto per motivo della mia umile e affettuosa in-
tercessione, ma in virtù della sua dignità come fratello in umanità” 242.
L’accorato appello restò inascoltato. Il 9 maggio il corpo esanime
del presidente della Democrazia cristiana venne trovato nel baga-
gliaio di una Renault, a via Caetani, a pochi metri dalle sedi del Pci
e della Dc. Fu questo, ricorda il segretario di Paolo VI, mons. Mac-
chi, “un colpo micidiale che segnò la sua persona, già indebolita dalla ma-
lattia e dall’età avanzata” 243.
Il 13 maggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il Papa
assisté al rito funebre celebrato dal cardinale vicario Ugo Poletti 244
e pronunciò un discorso che apparve quasi come un rimprovero a
Dio per non aver ascoltato la richiesta di salvezza di Aldo Moro 245.
La tragica vicenda aveva colpito profondamente Paolo VI, accele-
rando il declino delle sue forze.

14. Le cause prossime e remote del “mondo in frantumi”

Mentre l’imperialismo sovietico estendeva la sua ombra sul mon-


do, nel mese di giugno di quell’anno Alexander Solženicyn tenne ad
Harvard un memorabile discorso, dal titolo Il mondo in frantumi 246 in

242
PAOLO VI, Lettera del 22 aprile alle Brigate Rosse, in Insegnamenti, vol. XVI (1978),
pp. 298-299. La moglie di Moro, Eleonora, non approvò l’appello di Paolo VI, che
definì “una singolare iniziativa”, e rifiutò di intervenire al rito funebre, nella Basilica
di San Giovanni in Laterano.
243
Paolo VI e la tragedia di Aldo Moro: 55 giorni di ansia, tentativi, speranze e assurda cru-
deltà, a cura di PASQUALE MACCHI, prefazione del card. Agostino Casaroli, Rusconi,
Milano 1998, p. 44.
244
Ugo Poletti (1914-1997), ordinato nel 1938, vescovo ausiliare di Novara nel 1958,
arcivescovo di Spoleto nel 1967, arcivescovo ausiliare di Roma nel 1969, vicario ge-
nerale di Roma e cardinale nel 1973.
245
La preghiera del Papa per Aldo Moro, in Insegnamenti, vol. XVI (1978), pp. 362-373.
246
ALEXANDER SOLŽENICYN, Un mondo in frantumi. Discorso di Harvard, tr. it. La casa di
Matriona, Milano 1978.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 585

cui denunciava il cedimento dell’Occidente di fronte al “socialismo


reale”. Il dissidente russo individuava l’errore di fondo nella “conce-
zione del mondo dominante in Occidente che, nata nell’epoca del Rinasci-
mento, ha assunto forme politiche a partire dall’Illuminismo ed è alla base di
tutte le scienze dello Stato e della società: la si potrebbe chiamare umanesi-
mo razionalista o autonomia umanistica in quanto proclama e promuove
l’autonomia dell’uomo da qualsiasi forza. Oppure ancora – e altrimenti – an-
tropocentrismo: l’idea dell’uomo come centro di tutto ciò che esiste” 247. Tale
concezione, secondo Solženicyn:

“ha posto alla base della civiltà occidentale moderna la pericolosa tenden-
za a prosternarsi davanti all’uomo e ai suoi bisogni materiali. Al di fuori
del benessere fisico e dall’accumulazione dei beni materiali, tutte le altre
particolarità, tutti gli altri bisogni, più elevati e meno elementari dell’uo-
mo, non sono stati presi in considerazione dai sistemi statali e dalle strut-
ture sociali, come se l’uomo non avesse un significato più nobile da dare
alla vita. E così in questi edifici sono stati lasciati vuoti pericolosi attra-
verso i quali oggi scarrozzano liberamente in ogni direzione le correnti del
male” 248.

Il comunismo rappresentava, secondo Solženicyn, la forma più


radicale e coerente dell’umanesimo moderno, “così che Karl Marx ha
potuto dire (1844): il comunismo è un umanesimo naturalizzato” 249.
Egli aggiungeva che:

“Se il sistema comunista ha potuto resistere e rafforzarsi nell’Est è precisa-


mente per l’accanito e massiccio sostegno dell’intellettualità occidentale,
che non notava le sue scelleratezze o, quando proprio non poteva fare a me-
no di notarla, si sforzava comunque di giustificarle. E oggi è lo stesso: da
noi all’Est il comunismo, da un punto di vista ideologico, ha subito un com-
pleto tracollo, vale ormai zero, o anche meno; è l’intellettualità occidentale
a restare in larga misura sensibile alla sua attrazione e a conservargli le sue

247
Ivi, p. 25.
248
Ivi, pp. 25-26.
249
Ivi, p. 27. Una penetrante analisi del sistema comunista, sulla medesima linea, fu
quella tracciata, negli stessi anni, da IGOR SAFAREVIC, in Il socialismo come fenomeno sto-
rico mondiale, La casa di Matriona, Milano 1980, con presentazione di A. Solženicyn.
586 IL CONCILIO VATICANO II

simpatie. Ed è questo che rende incomparabilmente difficile all’Occidente il


compito di far fronte all’Est” 250.

Il cammino percorso dall’Umanesimo rinascimentale in poi, co-


stituisce, secondo lo scrittore russo, la causa della perdita di inte-
riorità dell’uomo contemporaneo.

“All’Est è il bazar del Partito a calpestarla, all’Ovest la fiera del commer-


cio. Quello che fa paura, della crisi attuale, non è neanche il fatto della
spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colpi-
ti da un’analoga malattia. Se l’uomo fosse nato, come sostiene l’umanesi-
mo, solo per la felicità, non sarebbe nato anche per la morte. Ma poiché è
corporalmente votato alla morte, il suo compito su questa Terra non può
essere che spirituale: non l’ingozzarsi di quotidianità, non la ricerca dei
sistemi migliori di acquisizione, e poi di spensierata dilapidazione, dei be-
ni materiali, ma il compimento di un duro e permanente dovere, così che
l’intero cammino della nostra vita diventi l’esperienza di un’ascesa so-
prattutto morale, che ci trovi, al termine del cammino, creature più ele-
vate di quanto non fossimo nell’intraprenderlo. Inevitabilmente dovremo
rivedere la scala dei valori universalmente acquisita e stupirci della sua
inadeguatezza ed erroneità” 251.

Il discorso di Solženicyn fu commentato in tutto il mondo. Ciò


che colpì gli osservatori più attenti, come Eugenio Corti 252, fu il fat-
to che i cristiani, anzi i cattolici, non avessero immediatamente in-
dividuato in quel discorso la analogia con la concezione della storia
che li aveva caratterizzati quando la cultura cattolica non era entra-
ta nell’attuale stato di confusione: quella visione storica che indivi-
dua l’inizio della scristianizzazione nel passaggio dal teocentrismo
medievale all’antropocentrismo e all’immanentismo moderno.

250
A. SOLŽENICYN, op. cit., p. 28.
251
Ivi, p. 29.
252
Cfr. EUGENIO CORTI, Il fumo nel Tempio, Ares, Milano 1997, p. 130. Tra le opere di
Eugenio Corti (1921), la più nota e diffusa è Il cavallo rosso (Ares, Milano 1972-1983).
Di lui, oltre a Il fumo nel Tempio, sulla crisi del mondo cattolico nel periodo post-con-
ciliare, cfr. Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro secolo,
Mimep-Docete, Milano 1998.
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 587

Nel 1959, Plinio Corrêa de Oliveira aveva tracciato sintetica-


mente il grande quadro di questo processo di scristianizzazione
della società in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. L’opera del pensa-
tore brasiliano, a differenza di quella del dissidente russo, era ani-
mata dalla speranza soprannaturale di chi confida nella forza in-
distruttibile della Chiesa cattolica. Il libro si concludeva con un
omaggio di filiale devozione al Pontefice appena eletto, Giovanni
XXIII, e con una espressione di fiducia assoluta nel trionfo del
Cuore Immacolato annunciato dalla Madonna a Fatima. Nell’ap-
pendice alla nuova edizione dell’opera apparsa in Italia, nel 1977,
il pensatore brasiliano, che 35 anni prima aveva denunciato l’infil-
trazione degli errori liturgici nell’Azione Cattolica, vedeva nelle vi-
cende storiche del proprio tempo lo sviluppo e i frutti di quegli er-
rori che risalivano alla crisi modernista di inizio secolo. Il dialogo
con il mondo era stato una resa al nemico, che ora costituiva una
terribile minaccia.
Il punto di osservazione di Plinio Corrêa de Oliveira non era
quello del teologo, ma del laico, filosofo, storico e uomo d’azione.
Non sul merito teologico dei documenti conciliari, ma sulla realtà
dei fatti e sulle loro conseguenze storiche, si fondava la denuncia
che egli faceva del “silenzio enigmatico, sconcertante e spaventoso, apo-
calitticamente tragico, che il Concilio Vaticano II ha osservato a proposi-
to del comunismo” 253.

“Questo Concilio – scrisse – si volle pastorale e non dogmatico. Infat-


ti non ha avuto portata dogmatica. Inoltre, la sua omissione a proposi-
to del comunismo può farlo passare alla storia come il concilio a-pasto-
rale per eccellenza. Con tattiche aggiornate – delle quali, per altro, il
minimo che si può dire è che sono contestabili sul piano teorico-prati-
co 254 – il Concilio Vaticano II ha tentato di mettere in fuga, per così di-

253
Questo giudizio è espresso nella Appendice del 1977 a P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Ri-
voluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 168.
254
Posteriormente Plinio Corrêa de Oliveira espresse in maniera più esplicita la sua
valutazione sul piano teorico, affermando che in alcuni documenti conciliari egli re-
gistrava una dissonanza con l’insegnamento tradizionale (cfr. A-IPCO, Incontro del
22 giugno 1984) e persino una certa ambiguità sistematica, incompatibile con la pie-
na ortodossia (cfr. A-IPCO, Riunione del 20 agosto 1980).
588 IL CONCILIO VATICANO II

re, api, vespe e uccelli rapaci. Il suo silenzio sul comunismo ha lascia-
to tutta la libertà ai lupi. L’opera svolta da questo Concilio non può es-
sere scritta, come realmente pastorale, né nella storia, né nel Libro del-
la Vita”.
“È duro dirlo. Ma l’evidenza dei fatti indica, in questo senso, il Concilio
Vaticano II come una delle maggiori calamità, se non la maggiore, della
storia della Chiesa. A partire da esso è penetrato nella Chiesa, in propor-
zioni impensabili, il ‘fumo di Satana’, che si va ogni giorno sempre più
diffondendo, con la terribile forza di espansione dei gas. A scandalo di in-
numerevoli anime, il Corpo Mistico di Cristo è entrato in un sinistro pro-
cesso che potrebbe essere chiamato di autodemolizione” 255.

15. Vent’anni di storia della Chiesa

Nel 1978, in Italia, il Partito dei cattolici al governo cercò ad


ogni costo di evitare uno scontro sull’aborto, rinunciando a ogni
forma di ostruzionismo in Parlamento e cercando di impedire un
nuovo referendum nel Paese. Sulla Gazzetta Ufficiale del 22 mag-
gio comparve la legge 194, che introduceva l’aborto, a firma di par-
lamentari tutti democristiani 256, a cominciare dal Presidente della
Repubblica Giovanni Leone e dal Presidente del Consiglio Giulio
Andreotti 257. Secondo uno dei firmatari della legge, il Ministro Ti-
na Anselmi, Paolo VI avrebbe esortato i ministri democristiani a

255
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 168-169. Plinio
Corrêa de Oliveira ha ribadito questo giudizio nell’Autoritratto filosofico del 1976,
pubblicato in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 388 (pp. 365-426). In una riu-
nione del 17 maggio 1989 dichiarò: “Quando nell’ultima parte di Rivoluzione e Con-
tro-Rivoluzione ho scritto che il Concilio Vaticano II era stato la più grande calamità di
tutta la storia della Chiesa, sostenevo una cosa che sosterrei oggi con molto più vigore di pri-
ma” (A-IPCO, 17 maggio 1989).
256
Si veda: GIAMBATTISTA SCIRÉ, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Bruno Mondado-
ri, Milano 2008; GIULIA GALEOTTI, Storia dell’aborto, Il Mulino, Bologna 2004.
257
Cfr. “Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana”, anno 119, n. 140, 22 maggio
1978, p. 3646. “Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha anche Leo-
ne per la firma), ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi dopo aver appena comin-
ciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la Dc perderebbe anche la presi-
denza e sarebbe davvero più grave” (G. ANDREOTTI, Diari 1976-1979: gli anni della solida-
rietà, Rizzoli, Milano 1981, p. 73).
L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978) 589

non dimettersi e a restare in carica pur dovendo sottoscrivere quel


testo 258.
Il 29 giugno 1978, giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, nel-
la sua ultima celebrazione pubblica, l’omelia della Messa celebrata
nella Basilica Vaticana, il Papa, visibilmente sofferente, presentò
un vero e proprio bilancio del quindicesimo anniversario del suo
Pontificato.
Paolo VI ripercorse nella sua omelia tutto il tempo “durante il qua-
le il Signore ci ha affidato la sua Chiesa”, mentre “il corso naturale della
nostra vita volge al tramonto”. In questo sguardo retrospettivo l’anzia-
no Pontefice ricordò quale “atto importante” del suo magistero pon-
tificale la professione di fede che dieci anni prima, il 30 giugno 1968,
aveva pronunciato solennemente come “Credo del Popolo di Dio”, in
un momento in cui “facili sperimentalismi dottrinali sembrano scuotere
la certezza di tanti sacerdoti e fedeli” e rivolse un appello “accorato ma
fermo, a quanti impegnano se stessi a trascinare gli altri, con la parola, con
gli scritti, con il comportamento, sulle vie delle opinioni personali e poi su
quelle dell’eresia e dello scisma, disorientando le coscienze dei singoli, e la
comunità intera (…)”. “Li avvertiamo paternamente – concluse –: si
guardino dal turbare ulteriormente la Chiesa; è giunto il momento della ve-
rità, e occorre che ciascuno conosca le proprie responsabilità di fronte a de-
cisioni che debbono salvaguardare la fede, tesoro comune che il Cristo, il
quale è Pietra, è Roccia, ha affidato a Pietro, Vicarius Petrae, Vicario della
Roccia, come lo chiama San Bonaventura” 259.
In queste parole affiorava una verità che gli eventi non aveva-
no scalfito: la roccia di Pietro, grazie al suo Primato universale e al-
l’infallibilità del suo Magistero costruisce il fondamento su cui Ge-
sù Cristo ha istituito la sua Chiesa e sul quale essa rimarrà salda,
per divina promessa, fino alla fine dei tempi. “Tu sei Pietro e su que-
sta pietra edificherò la mia Chiesa (…) e ti darò le chiavi del regno dei Cie-
li” (Mt. 16, 18-19). Queste parole del Vangelo, così ricche di spe-
ranza soprannaturale, sfavillavano nel mosaico dorato della cupo-

258
“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 30 agosto 1994, cit. in ALFREDO MANTOVANO, La
Democrazia cristiana e l’aborto: perché fu “vero tradimento”, in “Cristianità”, nn. 232-
233 (1994), p. 13 (pp. 13-15).
259
PAOLO VI, Insegnamenti, vol. XVI (1978), pp. 519-525.
590 IL CONCILIO VATICANO II

la di San Pietro sovrastante i Padri conciliari durante tutto il Con-


cilio Vaticano II. Esse esprimevano una verità intramontabile: i Pa-
pi, come uomini privati, passano, ma l’istituzione del Papato so-
pravvive a ogni bufera, riassumendo e concentrando in sé la Chie-
sa, che è il Corpo Mistico di Cristo.
A metà luglio Paolo VI lasciò Roma per trasferirsi nella resi-
denza estiva di Castelgandolfo. La sua fine giunse improvvisa. Il
Papa del Concilio morì alle 21,40 del 6 agosto 1978, in quella stes-
sa villa pontificia dove era mancato Pio XII il 9 ottobre 1958 260.
Vent’anni di storia della Chiesa erano da allora trascorsi.

I messaggi di cordoglio per la morte di Paolo VI furono innumerevoli. Colpirono,


260

tra tutti, le parole dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giordano Gam-
berini: “È la prima volta nella storia della Massoneria moderna che muore il capo della più
grande religione occidentale, non in stato di ostilità coi massoni. E per la prima volta nella
storia i massoni possono rendere omaggio al tumulo di un Papa, senza ambiguità né con-
traddizioni” (“Rivista Massonica”, n. 5-6 (1978), p. 290).
CONCLUSIONE

Dalla morte di Paolo VI ad oggi sono trascorsi oltre trent’anni,


la distanza temporale minima per permettere allo storico di valu-
tare con oggettività le vicende del suo tempo. Ciò che da allora è
accaduto non è storia, ma cronaca dell’epoca drammatica in cui vi-
viamo. Malgrado i germi positivi di rinascita che negli ultimi tem-
pi è dato intravedere, la crisi della Chiesa non si è purtroppo arre-
stata nell’ultimo trentennio, né potrà arrestarsi finché non ne sa-
ranno rimosse le cause profonde.
Al termine di questo volume mi sia permesso rivolgermi con
venerazione a Sua Santità Benedetto XVI, nel quale riconosco quel
successore di Pietro a cui mi sento indissolubilmente vincolato,
esprimendogli un profondo ringraziamento per aver aperto le por-
te a un serio dibattito sul Concilio Vaticano II. A questo dibattito ri-
badisco di aver voluto offrire il contributo non del teologo, ma del-
lo storico, unendomi però alle suppliche di quei teologi che chie-
dono rispettosamente e filialmente al Vicario di Cristo in terra di
promuovere un approfondito esame del Concilio Vaticano II, in
tutta la sua complessità ed estensione, per verificare la sua conti-
nuità con i venti Concili precedenti e per dissipare le ombre e i
dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa, pur
nella certezza che mai le porte degli Inferi prevarranno su di Essa
(Mt. 16, 18).
BIBLIOGRAFIA

Abbreviazioni delle opere di riferimento

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INDICE DEI NOMI

Accattoli, Luigi, 309n Alexeij I (Alessio I), 172, 172n, 173


Acerbi, Antonio, 14n, 20n, 266n, Alfonso Maria de Liguori, san, 247,
268-269n, 311n, 335n, 339n 315n
Adalbert Hurter, Hugo, 153n Alfrink, Bernard Jan, 136, 136n,
Adenauer, Konrad, 295 158n, 179, 190-191, 194, 209, 218,
Adjubei, Alexej, 203, 289 218n, 245, 245n, 246, 257, 270, 293,
Adornato, Giselda, 192n 304, 339, 345, 382-383, 396, 420, 441,
Afanasieff, Nicolas, 337n 452, 452n, 483, 537-538, 541
Agagianian, Gregorio, 111, 111n, Algranati, Daniela, 583n
129, 306, 368, 430 Allen, Richard W., 291n
Agostino, san, 151n, 166, 399, 413, Aloisi Masella, Benedetto, 84, 84n,
417 111, 228, 331, 533
Aires da Fonseca, Luis Gonzaga, Alonso, Joaquín Maria, 32n, 133,
32n 133n
Airiau, Paul, 231n Álvarez Alonso, Fermina, 151-
Alberigo, Angelina, 108n 152n, 186, 186n, 306, 342
Alberigo, Giuseppe, 8, 8n, 9, 9n, 16, Alvim Pereira, Custódio, 341, 341n,
16n, 21, 21n, 22, 22n, 23, 23n, 65- 461, 461n
66n, 109n, 117n, 118, 118n, 127, Ambrogio, san, 399
127n, 154n, 159n, 177n, 201, 201n, Amerio, Romano, 10, 10n, 201n,
202, 214, 217, 220n, 223, 223-224n, 521, 522n, 531n, 540, 540n, 571n,
225, 225n, 270, 276, 276n, 310n, 575n
320n, 340, 360, 360n, 368, 409n, Amici, Giuseppe, 473, 473n
432n, 433, 433n, 439n, 447n, 449n, Anawati, Georges, 489, 489n
472, 472n, 482n, 510n, 550n, 568n, Ancel, Alfred, 205, 205n, 234, 236,
570, 570n 384, 537
Albert, Marcel, 207n Andrea, san, 391, 452
600 IL CONCILIO VATICANO II

Andreotti, Giulio, 93, 93n, 583, 588 Baget Bozzo, Gianni, 146, 146n,
Anglès, Higini, 185, 185n 147n, 148, 148n, 302n, 546, 546n,
Anselmo, Claudio, 7n 560n
Antonelli, Cesare, 267n, 314n, 380n Baker, Keith Michael, 516n
Antonelli, Ferdinando, 36n, 61, 61- Balić, Carlo, 151n, 310, 316, 316n,
62n, 186, 186n, 239, 570, 570n 317, 317n, 322, 324, 380, 383, 444n
Antoniutti, Ildebrando, 264, 294, Ballestrero, Anastasio, 428, 428n
294n Baraúna, Guilherme, 310n, 530n
Apollonj Ghetti, Bruno Maria, 33n Barbara, Noël, 415
Apollonio, Alessandro, 315n, 386n Barberini, Giovanni, 290n, 302n,
Appolis, Emile, 45, 45n 361n, 363n, 563n
Aračič, P. Dinko, 316n Barbero, Alberto, 220n
Ariovaldo da Silva, José, 83n Barbieri, Raffaele, 423, 423n
Arnold, Claus, 35n Barjen, G., 154n
Arnould, Claude, 298, 299n Barth, Karl, 412
Arouet, François-Marie (Voltaire), Barthe, Claude, 75n, 102n, 144n,
465 161n, 207-208n, 528n
Arriba y Castro, Benjamín, 322, Bartoletti, Enrico, 224, 224n, 581
322n, 353, 460 Basetti Sani, G., 489n
Arrighi, Jean-François, 158n, 159, Basile (Valuet), 511n
159n, 442 Basilio, san, 11, 12n
Arrupe, Pedro, 494, 494n Batanian, Ignace Pierre XVI, 346,
Artur, Jules, 121 346n
Ascalesi, Alessio, 52, 52n Battistretta, Federico, 80n
Assman, Hugo, 550, 550n Bauer, Anton, 110n
Atanasio, san, 326, 576, 576n Baüerlein, Stjepan, 424, 424n
Atatürk, Kemal, 116 Bea, Agostino, 20, 20n, 27, 48, 48n,
Aubert, Roger, 26, 26n, 38n, 46n, 49, 49n, 50, 52-53, 53n, 60, 60n, 61,
64n, 72n, 195n, 213n, 234, 235n, 157, 157n, 158, 158n, 159, 159n, 160-
275n, 333n, 369n, 431n, 550, 550n 162, 171-172, 172n, 174, 176, 176n,
Augé, Matias, 54, 56 203, 209, 246, 257-258, 260, 260n,
Avon, Dominique, 66 263, 263n, 264, 266, 269, 305, 348,
Aydin, Mahmut, 490 349n, 353, 356, 388, 391n, 396, 399,
399n, 400, 400n, 401, 401n, 402,
Bacci, Antonio, 243, 243n, 259, 264, 402n, 442-443, 447, 447n, 473, 487-
341, 495, 568, 568n, 569-570 488, 488n, 490, 528
Bachelet, Vittorio, 582, 582n Beauduin, Lambert, 54, 54n, 55,
Badano, Nino, 60, 60-61n 55n, 56, 56n, 57, 72-75, 83n, 115,
Bedeschi, Lorenzo, 40n 115n, 191, 337, 357, 479, 532, 532n
INDICE DEI NOMI 601

Bekkers, Wilhelm Marinus, 250, Bevilacqua, Giulio, 57, 57n, 82, 297,
250n 297n, 320, 357, 360, 452, 569
Bellocchi, Ugo, 54n, 78n Billington, James H., 282-283, 283n
Benedetto XV, 47, 47n, 50, 50n, 53 Billot, Louis, 41n, 121, 121n, 122,
Benedetto XVI, vedi anche Ratzin- 153, 255, 255n
ger, Joseph, 7, 7n, 8, 8n, 11-12, 13n, Bini, Enrico, 150n
47n, 160n, 215-216n, 328n, 574, Blondel, Maurice, 43, 43n, 44, 44n,
574n, 591 46, 46n, 64, 64n, 67, 67n, 68, 68n, 70,
Benedetto, san, 166, 413 70n
Benelli, Giovanni, 533, 533n, 570 Blum, Léon, 398
Bengsch, Alfred, 236, 236n Boato, Marco, 545, 545n
Benigni, Mario, 116 Boccaccio, V., 49n
Benigni, Umberto, 34, 34-35n, 229n Boetto, Pietro, 111n
Benimeli, José Antonio Ferrer, 466n Boff, Clodovis, 554, 554n
Beozzo, José Oscar, 174n, 176n, Boff, Leonardo, 554n
219n, 221, 221n, 222, 223n, 275, Bogliolo, Luigi, 126n
275n, 334n, 399n, 552n Bogomolov, Aleksandr, 113
Beran, Josef, 452, 463 Boillon, Pierre, 483, 483n
Berdaijev, Nicolàj, 74, 74n Bolatti, Guillermo, 424, 424n
Beretta, Roberto, 544, 544-545n Bolgeni, Vincenzo, 432, 432n
Berger, David, 7n, 215n Bolshkoff, Serge, 175, 175n
Bergson, Henri, 44n, 69n Bonaventura, san, 216n, 589
Berlinguer, Enrico, 340n, 583 Bonnet, Piero Antonio, 536n
Bernardino da Siena, san, 135 Bonneterre, Didier, 54n
Bernardo, san, 323 Bordeyne, Philippe, 492n
Berryman, Philip, 547n Borelli Machado, Antonio Augu-
Berto, Victor-Alain, 229, 229n, 230, sto, 32n, 132n
230-231n, 281, 281n, 333, 333n, 334, Borges, Jorge Luis, 571n
335n, 345-346, 346n, 350, 350n, 372, Borgman, Erik, 218n
372n, 431, 440n, 455, 455n Borgongini Duca, Francesco, 123,
Bertone, Tarcisio, 130, 130n, 132n 123n
Bertrams, Wilhelm, 436, 436n Borovoij, Vitalij, 176, 202, 202n, 203
Beschloss, Michael, 212n Borromeo, Luigi Carlo, 205, 205n,
Besier, Gerhard, 175n 210, 210n, 234, 245, 245n, 252, 252n,
Besutti, Giuseppe Maria, 152n, 259, 259-260n, 262, 262n, 265, 265n,
314n 268-269n, 269, 283, 283n
Bettazzi, Luigi, 340, 340n, 482 Botte, Bernard, 54n, 59n, 59-60,
Betti, Umberto, 151, 151n, 255n, 83n, 181, 181n, 238n
259n, 404n, 407 Bouillard, Henri, 67n
602 IL CONCILIO VATICANO II

Bourrat, Philippe, 76n Burke, Teresa, 75n


Bouyer, Louis, 55n, 72n, 114-115, Busi, Michele, 35n
115n Butler, Christopher, 407, 483, 491
Bowden, John Stephen, 218n Bux, Nicola, 386n
Boyens, Armin, 175n
Boyer, Charles, 126, 126n, 151, Caffarra, Carlo, 546, 546-547n
151n, 444n, 491 Calabria, Giovanni, 100-101, 101-
Braga, Carlo, 61-62n 102n, 108n, 234
Brambilla, Franco Giulio, 218n, 267n Calabria, Raffaele, 233-234, 234n,
Brambilla, Michele, 545n 262
Brand, Paul, 264, 560n Calderon, Alvaro, 15n
Brandmüller, Walter, 5-6n, 255n Calkins, Arthur B., 386n
Brandt, Willy, 563 Câmara, Helder, 27, 206, 206n, 207,
Braun, François-Marie, 41n 218, 218n, 219, 219n, 220-222, 222n,
Brienza, Giuseppe, 149n 223, 241n, 245, 245n, 276, 276n, 280,
Brinktrine, Johannes, 444n 280n, 320, 320n, 325, 325-326n, 329,
Brion, Marcel, 571n 329n, 330, 330n, 347n, 360, 360-361n,
Brovelli, Franco, 54n 367, 367n, 378, 378n, 379, 379n, 419,
Browne, Michael, 259, 264, 310, 419n, 420, 420n, 448, 449n, 476,
310n, 311, 331, 341, 344, 373, 395- 476n, 479, 479n, 507-508n, 508, 513,
396, 406, 421, 444n, 487 513n, 522, 522n, 530, 530n, 552
Brunelli, Lucio, 112n Campo, Salvatore, 158n
Bueno y Monreal, José Maria, 354, Camus, Albert, 360
354n, 403 Canali, Nicola, 36n, 108, 108n, 113,
Bugnini, Annibale, 61, 61n, 162, 154
181, 181n, 185, 185n, 186, 239, 239n, Canfora, Luciano, 39, 39n
357, 358n, 360, 360n, 568-569 Cannelli, Riccardo, 566n
Bulgakov, Sergei, 74n Canobbio, Giacomo, 89n
Bultmann, Rudolf, 48, 48n, 545 Cannone, Fabrizio, 135n
Buonaiuti, Ernesto, 39n, 42, 42n, 44, Cantimori, Delio, 78n
44n, 79n, 80, 80-81n, 115, 115n Cantoni, Giovanni, 23n, 340n, 466n
Buonasorte, Nicla, 108n, 111n, Capanna, Mario, 545, 545n
147n, 229n, 234n, 279n, 281n, 332- Capelle, Bernard, 181, 181n, 238n
333n, 346n, 350n, 372n, 455n Caporale, Rocco, 16n, 124, 280,
Burghard, W. J., 89 280n
Burigana, Riccardo, 127n, 145- Capovilla, Loris Francesco, 116n,
146n, 154n, 164n, 203n, 255, 255- 119n, 129, 129n, 133, 133n, 135, 145,
256n, 259n, 291n, 296n, 407n, 453n, 145n, 274-275, 292, 292n, 296, 300,
484, 484n, 522n 301n, 399
INDICE DEI NOMI 603

Cappello, Felice Maria, 153, 153n Casula, Carlo Felice, 114n


Caprile, Giovanni, 122n, 124n, Cattaneo, Enrico, 20n
126n, 133, 133n, 159n, 172n, 188n, Caturelli, Alberto, 62n
206n, 210n, 212n, 307n, 309n, 324n, Cavagnis, Felice, 153, 153n
330n, 353n, 360n, 374, 374-378n, Cavalcoli, Giovanni, 64n, 215n,
435-436n, 448n, 453-455n, 457-458n, 386-387n
466, 466n, 488n, 494n, 496n, 505- Cavallari, Alberto, 525, 525n, 539n
506n, 510n, 512n, 520n, 524-525n, Cavaterra, Emilio, 108n, 124n
531n, 552n Cavazza, Antonella, 75n, 337n
Carbone, Vincenzo, 25n, 177-178n, Ceausescu, Nicolae, 563
363n, 435n, 448n, 468n, 493n, 496n, Celada, Domenico, 577n
499-500n, 503n, 504, 504n Cenci, Pio, 36n
Cardijn, Joseph-Léon, 59, 59n, 452 Cento, Ferdinando, 408, 408n
Caredda, Giorgio, 291n Cerfaux, Lucien, 328n
Caresana, Paolo, 82, 82n, 297 Cerrato, Rocco, 545n
Carinci, Alfonso, 198, 198n Ceyssens, Lucien, 45n
Carli, Luigi Maria, 234, 234n, 250, Chaberon, Bernard, 532n
281, 281n, 301n, 333n, 334, 340, 344- Chapman, Ronald, 517n
345, 346n, 349-350, 350n, 372, 372n, Charles, Pierre, 123, 123n
406, 424, 440, 454-455, 455n, 461- Charlier, Louis, 65, 65n
462, 487, 487n, 496n, 498n, 500-502, Charrière, François, 160n, 578, 578n
502n, 503, 561, 561n Charue, André-Marie, 190, 190n,
Carlo Borromeo, san, 103-104, 247 256, 257n, 311, 328, 337, 352, 405
Carloni, Agostino, 485n Chavasse, Antoine, 181, 181n
Caronti, Emanuele, 56, 56n Chelini, Jean, 31n, 99n
Carraro, Giuseppe, 232, 232n, 275 Chenaux, Philippe, 31n, 58n, 70n,
Carretto, Ennio, 302n 88n, 99n, 146n, 151n, 178n, 299n,
Cartesio (Descartes, René), 63-64 361n, 391n, 520n
Carusi, Stefano, 62 Chenu, Marie-Dominique, 21n, 26,
Casaroli, Agostino, 298, 301-302, 26n, 27, 65, 65n, 66, 66n, 69-70, 189,
361, 361n, 459n, 533, 563-564, 564- 189n, 194, 194n, 210, 217-218, 224,
565n, 566, 566n, 584 224n, 225, 225n, 227, 235-236, 236n,
Cascioli, Riccardo, 415n 277, 277n, 304, 340n, 341, 344n, 390,
Casel, Odo, 57, 57n, 83 414, 471n, 472, 550
Casimirri, Alessio, 583n Chiavacci, Enrico, 409n
Casini, Tito, 568, 568n Chiocci, Francobaldo, 135n
Castellano, Danilo, 147n Chiron, Yves, 7n, 76n, 134n, 227n,
Castelli, Alberto, 279n 298-299n, 569, 569n
Castro, Fidel, 132, 566n Cholvy, Gérard, 207n, 544n
604 IL CONCILIO VATICANO II

Christie, Agatha, 571 177n, 189, 189n, 214, 214n, 217, 221,
Ciappi, Luigi, 155, 187, 187-188n, 225, 225n, 226, 226n, 227, 236, 236n,
225, 442, 444n, 487 237, 237n, 256, 260n, 262, 267, 311,
Cicconardi, Giacomo, 109n 316, 316n, 317, 317n, 327, 327n, 328,
Cicognani, Amleto, 145, 145n, 328n, 329, 329n, 332, 332n, 335,
235n, 254, 263, 266, 271, 273, 295, 335n, 337, 337n, 339, 339n, 341-
353, 360, 363, 397, 419, 419n, 450, 342n, 364, 364n, 380, 380n, 381,
454, 457, 457n, 502, 534 381n, 384, 384n, 409, 438, 438n, 442,
Cicognani, Gaetano, 61, 181, 186 442n, 447, 447n, 449, 449n, 451n,
Cicuttini, Luigi, 363, 363n 452n, 472, 472n, 487, 487n, 507,
Ciola, Nicola, 259n, 404n 507n, 510, 510n, 522, 522n, 524,
Cirillo, san, 399, 495n 524n, 532, 532n, 536, 537n, 550,
Cislaghi, Gabriele, 11n 560n
Citterich, Vittorio, 508n Conti, Paolo, 133n
Clark, Colin G., 415n Copernico, Niccolò, 475-476
Clément, Olivier, 74n Coppens, Joseph, 50, 50n, 190n
Coache, Louis, 577, 577n Cordero di Montezemolo, Andrea,
Cochin, Augustin, 516n 579n
Coda, Piero, 335n Cormier, Giacinto Enrico Maria,
Codevilla, Giovanni, 174n 41n, 86, 86n
Coffele, Gianfranco, 68n Corradi, Marina, 538n
Cohenel, Dain, 51n Corrêa de Oliveira, Plinio, 16n,
Coleman, John A., 226, 227n, 279n 23n, 27, 83, 83n, 84, 84n, 85-86, 125,
Colgan, Harold, 132n 138, 138n, 139, 141n, 179, 180n, 228,
Colin, Pierre, 75n 228n, 231, 282n, 290-291n, 362,
Colombo, Adele, 57n 362n, 364, 364n, 494n, 513, 514n,
Colombo, Carlo, 267, 267n, 329, 523n, 527, 535n, 553n, 566, 567n,
331, 331n, 379n, 396, 435, 436n, 439, 587, 587-588n
478, 491 Corti, Eugenio, 586, 586n
Colombo, Giuseppe, 369n, 371, 371n Costantini, Celso, 111, 111n
Colosio, Innocenzo, 86n, 292n, Costantini, Vittorio M., 51n
541n Costantino, 13
Combes, Andrea, 151n Courth, F., 315n
Compagnone, Enrico, 406, 406n Courtney Murray, John, vedi Mur-
Compagnone, Romolo, 506-507 ray
Composta, Dario, 147n Courtois, Luc, 72n, 327n
Confalonieri, Carlo, 271, 271n Courtois, Stéphane, 514n
Congar, Yves, 9n, 27, 65n, 66, 66n, Coussa, Acacio, 128n
69, 75, 75n, 76, 76n, 102, 102-103n, Coutagne, Paul-Henri, 67n
INDICE DEI NOMI 605

Couturier, Paul, 73, 73n, 75, 75n, 76 de Castro Mayer, Antonio, 45n, 85,
Covarrubias, Emilio Tagle, 461, 85n, 86, 224, 228, 232-233, 333-334,
461n 363, 389, 395, 474, 494, 515, 515n,
Craxi, Bettino, 459n 562, 562n
Crehan, Joseph, 546n De Corte, Marcel, 529, 529n, 555n
Cristiani, Léon, 338n de Fabrègues, Jean, 142n
Cullmann, Oscar, 510 De Fiores, Stefano, 152n, 528n
Cuminetti, Mario, 545n De Gasperi, Alcide, 146n, 148n, 149
Curran, Charles, 540, 540n de Gaulle, Charles, 112-113, 295n
Cushing, Richard James, 392 De Gennaro, Angelo, 549n
de Gensac, H., 126n
Daem, Jules Victor, 402 de Grandmaison, Léonce, 94, 94n,
D’Agostino, Biagio, 385, 385n 95-96
Dal Gal, Girolamo, 36n De Gregorio, Domenico, 234n
Dalledonne, Andrea, 164n de Grosourdy, Michel, 536n
Damaso da Celle, 295n de Koninck, Charles, 379n, 415,
Damato, Francesco, 583n 415n
D’Angelo, Augusto, 148n, 234n, de La Cigoña, Francisco José
303n Fernández, 575n
Daniélou, Jean, 50, 50n, 68, 68n, de la Torre, Carlos Maria, 294, 294n
190, 160n, 214, 217, 221, 227, 236- De Lai, Gaetano, 35n, 116, 116n
237, 329, 410 de Lubac, Henry, 27, 44n, 50, 50n,
Danneels, Godfried, 57n, 568, 568n 64n, 67, 67n, 68, 68n, 69, 69n, 190,
Dante, Enrico, 128n, 242, 242n, 245, 190n, 214, 216-217, 217n, 221, 223,
463-465 224n, 227, 236, 236n, 237, 237n, 242,
d’Armagnac, Christian, 67n 242n, 270, 304n, 335n, 360, 368,
Darwin, Charles, 476 368n, 383n, 412n, 414, 414n, 448,
d’Avack, Giuseppe, 474, 474n 448n, 449, 449n, 490-491, 491n, 508-
Davies, Michael, 89n, 205n, 387n, 509, 509n, 510, 510n, 550-551, 558,
511n, 569n 559n, 561
Dayras, Solange, 136n De Luca, Giuseppe, 146, 146n, 298,
de Aldama, Antonio María, 93 298n
de Aldama, Borja, 93 de Magistris, Luigi, 226n
de Aldama, José, 92, 92n, 93, 93n, De Marco, Pietro, 225n
94, 96, 96n, 316n, 318, 318-319n de Margerie, Roland, 112
de Beauvoir, Simone, 360 de Mattei, Roberto, 22n, 35n, 37n,
de Berranger, Olivier, 205n 39-40n, 45-46n, 78n, 83-84n, 139n,
De Bujanda, J. M., 531n 148n, 303n, 459n, 485n, 505n, 516n,
De Carli, Giuseppe, 132n, 301n 543n, 563n, 565n, 569n, 572n
606 IL CONCILIO VATICANO II

de Montherlant, Henri, 571n Delpero, Claudio, 336n


de Nantes, Georges, 369n, 448, Dempf, Alois, 213, 213n
448n, 454n, 481n, 518, 519n, 577, Denzinger, Heinrich, 153n, 215
577n Descamps, Albert, 267n
de P. Sola, Francisco, 93n Destivelle, Hyacinthe, 330n
de Poncins, Léon, 466n, 487n Di Giacomo, Maurizio, 220n
de Proença Sigaud, Geraldo, 85, 85n, Di Meglio, Giuseppe, 469, 469n
125, 138-140, 142, 228, 260, 333, 333n, Di Ruberto, Michele, 435n
334, 340, 363-364, 372-373, 373n, 389, Dibelius, Martin, 48, 321
454, 456, 476, 499, 499n, 562 Diéguez, Alejandro M., 116n
de Raeymaeker, Louis, 64n dos Santos, Lucia, 32n, 33, 33n,
De Riedmatten, Henri, 409n 130n, 132n, 387, 387n, 555
De Rosa, Gabriele, 146n Doerner, Anton, 58n
De Rosa, Giuseppe, 581n Dogliotti, Achille, 277
de Saint-Germain, Philippe, 299n Donati, Matteo, 240n
de Saint-Pierre, Michel, 536, 536n, Dondeyne, Albert, 328n
537, 537n, 554 Donnelly, Doris, 26n
de Santis, Fabrizio, 136n, 295n D’Onorio, Joël-Benoît, 336n
De Smedt, Emile, 259, 259n, 268- Döpfner, Julius, 27, 192, 192n, 194,
269, 339, 353, 390-391, 397, 442, 458, 204, 204n, 209, 216, 240, 250, 252,
463, 468, 487 259, 269-271, 285, 289, 303, 305-306,
de Thieulloy, Guillaume, 69n 341, 344, 368-369, 382, 396, 405-406,
de Tonquédec, Joseph, 44n 412, 428-430, 441, 473, 541
de Vooght, Paul, 338, 338n Dorè, Joseph, 471n
Declerck, Leo, 192n, 267n, 300n, Dossetti, Giuseppe, 8n, 66n, 223,
327n, 419-420n, 540, 540-541n 223n, 224, 224n, 225, 225n, 270,
Dejaifve, G., 444n 302n, 306-307, 307n, 328-329, 340,
Del Campo, Abilio, 461 368, 439, 471n, 473, 567, 568n
Del Noce, Augusto, 20n, 290n, 571n D’Souza, Eugenio, 242, 242n, 250,
Del Pino, Gómez Aurelio, 346 476
Del Re, Niccolò, 453n, 458n, 530n, Dubarle, Dominique, 369n
536n du Chalard de Taveau, Emmanuel,
Del Valle, Alexandre, 489n 36n
Delatte, Paul, 53n Duchesne, Louis, 40, 40n
Delattre, Alphonse J., 41n Duclos, P., 68n, 121n, 126n
Delhaye, Philippe, 328n, 422n Duff, Frank, 383n
Della Salda, Francesca, 115n Dulac, Raymond, 229, 229n, 230,
Dell’Acqua, Angelo, 145, 145n, 147, 230-231n, 431
275, 288n, 296, 502, 534 Dulles, Avery, 8n
INDICE DEI NOMI 607

Dumont, Christophe Jean, 330, Faggioli, Massimo, 25-26n, 458n


330n Fagiolo, Vincenzo, 235, 235n, 238n
Dumont, Gérard-François, 415n Falconi, Carlo, 108, 108n, 145, 172n,
Dunn, Dennis J., 361n 209, 300, 532, 532n
Duprey, Pierre François Marie Jo- Famerée, Joseph, 26n, 75n, 347n
seph, 443, 487, 487n Fanfani, Amintore, 147, 147n, 148,
Dupuy, Bernard, 66, 486, 509 148-149n, 480
Durmont, Pierre, 328n Fappani, Antonio, 57n, 297n
Duschak, Wilhelm Josef, 249, 249n, Fares, Armando, 507, 507n
250 Fattorini, Emma, 480n
Duval, Léon-Etienne, 483, 483n Feiner, Joseph, 164n, 259, 259n
Dwyer, Robert Joseph, 576, 576- Felici, Pericle, 27, 127, 127n, 128,
577n 144, 152, 152n, 191, 195, 235n, 263,
271, 288, 305, 344, 358-359, 364, 368,
Edelby, Neophytos, 241, 241n, 262n, 372n, 390, 390n, 396-397, 432, 436-
264, 264n, 268, 268n, 269, 269n 438, 439n, 441-442, 457, 457n, 496,
Efrem, san, 399 500-501, 501n, 502, 502n, 509, 511,
Egidio da Viterbo, 17n, 21 525
Elchinger, Léon-Arthur, 207, 207n, Feltin, Maurice, 207, 207n, 234, 441
234, 236, 322, 329 Fenton, Joseph Clifford, 27, 88, 88n,
Ellacuría, Ignacio, 20n, 547n 89, 89n, 90, 90n, 91-92, 166, 167n,
Emmanuel-Marie, 255n 227, 227n, 229, 311n
Epifanio, san, 399 Féret, Henri-Marie, 66, 66n
Erasmo da Rotterdam, 17, 39-40, Fernandes, Angelo, 475, 475n
40n, 52, 52n, 60, 247 Fernández, Aniceto, 374, 395-397
Escalera, J., 342n Ferrara, Giuliano, 583n
Esch, Arnold, 28n Ferrer, Jesús, 409n
Escudero Cabello, Antonio, 321n Ferrer, Luis Martínez, 7n
Esposito, Rosario Francesco, 453n, Ferretto, Giuseppe, 128n
467n Ferrua, Antonio, 33n
Etchegaray, Roger, 222, 222n Fesquet, Henri, 27, 208, 208n, 209,
Eugenio IV, 338n 209n, 211n, 227, 227n, 236, 236n,
Eusebio di Cesarea, 10-11, 11n, 326 241n, 274, 274n, 275, 367n, 396n,
Eusebio di Nicomedia, 326 407n, 409n, 416n, 420n, 429n, 441,
441n, 442, 442n, 449-450n
Faber, Frederick William, 517, 517n Festugière, Maurice, 55, 55n, 56,
Fabian, Bela, 110n 56n
Fabro, Cornelio, 19n, 39n, 62-63n, Feuerbach, Ludwig, 19, 19n, 20
137n, 151, 151n, 215n, 541, 575n Finke, Roger, 575n
608 IL CONCILIO VATICANO II

Fisher, Geoffrey Francis, 171, 171n, Frisón, Basilio, 186n


286 Fromm, Erich, 220n
Fisichella, Rino, 20n, 445n, 491n, Funck, Franz-Xavier, 41n
573n Fusin, Claude, 66n
Fitzgerald, Michael Louis, 490n
Floridi, Alessio Ulisse, 361n, 565, Gaboriau, Florent, 65n
565n Gabrieli, Francesco, 80n, 81, 81n
Florit, Ermenegildo, 48n, 151n, 259, Gagliardi, Emanuele, 400n
259n, 405, 407, 462, 491, 494-495, 544 Gagliardi, Mauro, 187n
Fogarty, Gerald, 89n, 214n, 236n Gagnebet, Marie-Rosaire, 65n, 86n,
Fogazzaro, Antonio, 79, 79n 155, 155n, 310, 432n
Foley, Brian Charles, 506, 506n, 507 Gahamanyi, Jean Baptiste, 403,
Folscheid, Dominique, 67n 403n
Forget, J., 5n Gaiduk, Victor, 113n, 296, 296n,
Forgione, Francesco, vedi anche 362, 362n, 482n
Pio da Pietrelcina, 134n Galeotti, Giulia, 588n
Fornasier, Roberto, 70n Gallarati Scotti, Tommaso, 79, 79n
Forni, Guglielmo, 40n Gallo, Antonio, 51n, 537
Forte, Bruno, 20n, 21, 21n, 66n Gamber, Klaus, 569n, 573n
Fouilloux, Etienne, 46n, 65-66n, Gamberini, Giordano, 453n, 590n
68n, 72n, 102n, 117n, 128n, 136n, Gambino, Emanuele, 331n
150n, 214n, 257n, 263n Garaudy, Roger, 290, 290n
Francesco d’Assisi, san, 81, 166, 480 García de Haro, Ramón, 39-40n
Francesco di Sales, san, 242n, 247 Garcia de Sierra y Méndez, Segun-
Franco, Francisco, 294n, 395, 461, do, 424, 424n, 462
484 Garcia Villoslada, Ricardo, 256
Franić, Frane, 312, 312n, 313-314, García y García de Castro, Rafael,
314n, 331, 404n, 405, 405n, 406, 432- 381
434 García, Jesús, 219n
Frank, Semen, 74n Gargitter, Joseph, 345, 345n
Franzelin, Giovanni Battista, 153n Garofalo, Salvatore, 48n, 151, 151n,
François-Marie des Anges, 133n, 232, 257, 271n
454n Garrigou-Lagrange, Réginald, 63n,
François-Marie, 323n, 379n 65n, 70n, 86, 86n, 153n
Frings, Josef, 10, 27, 204, 204n, 209, Garrone, Gabriel-Marie, 205, 205n,
215, 215n, 216, 240, 251, 257-260, 217, 234, 236, 272, 311, 322, 328n,
263-264, 269-270, 293, 303-305, 311, 329, 354, 380, 430, 472, 501-502, 532,
311n, 322, 331, 346, 348, 383, 396, 532n
402, 441, 445n, 459, 474, 524, 557 Gasparri, Pietro, 47, 47n
INDICE DEI NOMI 609

Gaudron, Mathias, 445n 11n, 12, 16, 18, 18n, 25, 48-49n, 55n,
Gauthier, Paul, 223, 223n, 552 109-110n, 112n, 113, 113n, 114, 114n,
Gaviola y Garcés, Mariano, 478, 116-117, 118, 118n, 119, 119n, 120,
478n 120n, 121, 126n, 124-127, 129, 129n,
Gawlina, Giuseppe, 426 132-133, 133n, 134-135, 138, 144-
Gaxotte, Pierre, 193n 145, 145n, 146, 148, 148-150n, 155,
Gedda, Luigi, 146, 146n, 582 157-159, 159n, 162, 170, 171n, 173,
Gennari, Gianni, 528n 177, 177n, 185, 185n, 186, 188, 192-
George, Francis, 8n 195, 195n, 197-198, 198n, 199, 199n,
Gerl, Hanna Barbara, 57n 200-201, 201n, 202, 205, 210, 214,
Gerlier, Pierre-Marie, 207, 207n, 217, 219, 235, 238, 251n, 258, 263,
223, 234 263n, 270-271, 274, 276-278, 285-
Gherardini, Brunero, 14, 14n, 15, 286, 289, 289n, 290-291, 291n, 292,
15n, 48n, 88n, 153n, 255, 278, 278n, 292n, 293-294, 296, 300, 303, 309-
386n, 444n, 447, 447n, 513, 513n, 310, 319, 320n, 331-332, 359, 361,
528n 361n, 368, 390, 398-400, 404, 408,
Ghiberti, Giuseppe, 49n 416, 447, 448n, 465-466, 471, 482,
Giacon, Carlo, 63n 490, 501, 507-510, 514, 516, 518, 521,
Giansenio, Cornelio, 79 524, 527, 531-532n, 539, 544, 552,
Gibellini, Rosino, 67n, 547n, 550n 552-553n, 587
Giers, Joachim, 538n Girardi, Giulio, 220n, 492, 492n,
Gil Hellín, Francisco, 409n 581, 581n
Gilbert, Arthur, 398n Girolamo, san, 47, 50, 60, 169, 399
Gillon, Ludovico, 151n Girolimetto, Annalisa, 56n
Gilroy, Norman Thomas, 392, 392n Gismondi, Arturo, 583n
Gilson, Etienne, 151n Gleize, Jean-Michel, 255n
Ginzburg, Carlo, 78n Glorieux, Achille, 500, 500n, 503-
Giosafat, san, 436 504
Giovagnoli, Agostino, 361n, 545n Godfrey, Guglielmo, 253, 253n
Giovanni Crisostomo, san, 399 Goffi, Tullo, 528n
Giovanni Paolo II, vedi anche Goichot, Emile, 40n
Wojtyla, Karol Jósef, 7, 7n, 33n, 66- Goldie, Rosemary, 390n
67n, 86n, 101n, 109-112n, 134n, Gomes dos Santos, Fernando, 419-
135, 175n, 221-222n, 286n, 309n, 420, 420n
342n, 361n, 453n, 475n, 485, 485n, Gomez de Arteche y Catalina, Sal-
527, 536, 540n, 542n, 553n, 574, vador, 27n, 198n, 208n, 333n
574n Gonnet, Dominique, 89n, 469n
Giovanni XXIII, vedi anche Roncal- Gonzaga Fernandes, Luiz, 553n
li, Angelo Giuseppe, 6, 6n, 8n, 11, Gonzales, Zefirino, 153n
610 IL CONCILIO VATICANO II

González, Casimiro Morcillo, 461, Guéranger, Prosper, 53, 53n, 54,


461n 54n, 134, 134n, 246, 247n, 248
Gordillo, Maurizio, 77n Guérard des Lauriers, Michel, 151n
Gori, Alberto, 385, 385n Guerra Campos, José, 424, 424n
Gousseff, Catherine, 75n Guerriero, Elio, 49n
Graber, Rudolf, 576, 576n Guerry, Emile, 236, 236n
Graham, Green, 571n Guimarães, Atila Sinke, 14n, 575n
Graham, Robert A., 114n, 299n Guitton, Jean, 37, 37-38n, 72n, 359-
Gramsci, Antonio, 581, 581n 360, 360n, 510, 524
Granfield, Patrick, 391n Gullo, Carlo, 536n
Granzotto, Emilia, 579n Gutiérrez Merino, Gustavo, 219n,
Grasso, Domenico, 43n 547n, 550, 550n, 551, 551n
Gratieux, Albert, 72n Gutiérrez, A., 444n
Graves, Robert, 571n
Green, Julien, 571n Habsburg-Lothringen, Eduard,
Gregorio di Nissa, san, 399 64n, 544n
Gregorio Magno, san, 413 Haffert, Johan Mathias, 132n
Gregorio XVI, 153, 388, 388n Halifax, Charles Lindley Wood, 72,
Greiler, Alois, 507-508n 72n
Grelot, Marcel, 257n Hamer, Jean Jérôme, 76n, 390, 390n
Gresland, Hervé, 44n Hammans, Herbert, 155n
Grillmeier, Aloys, 304, 304n, 320 Hannan, Philip Matthew, 504,
Gritti, Jules, 292n 504n, 505
Gromyko, Andreij A., 482, 482n, Haquin, André, 55n
563 Häring, Bernard, 214, 214n, 320,
Grootaers, Jan, 27, 27n, 48n, 108n, 329, 379n, 409
123n, 127-128n, 188n, 192n, 194, 204- Harrington, Daniel, 18n
205n, 209n, 219n, 221n, 222, 222n, Harrison, Brian W., 511n
252n, 267n, 270, 273, 280n, 325, Haubtmann, Pierre, 492, 492n
325n, 330n, 342n, 347n, 369n, 390, Hauke, Manfred, 315n, 383n, 386n
390n, 397n, 434-436n, 468n, 477n Häußling, Angelus A., 573, 573n
Grossu, Sergio, 361n Heaney, John J., 71n
Gruppi, Luciano, 289n Heenan, John Carmel, 195, 195n,
Guano, Emilio, 224, 224n, 329, 409- 210, 210n, 211, 392, 412, 541
410, 472 Hefele, Joseph, 5-6n, 326, 326n
Guardini, Romano, 57, 57n, 181, Hegel, Georg Friedrich, 516n
183 Heidegger, Martin, 64, 215, 269
Guasco, Maurilio, 42n, 49n, 262n, Heiler, Friedrich, 40n
580n Hemmer, Hippolyte, 72n
INDICE DEI NOMI 611

Hendrickx, Jean-Pierre, 72n Innocenti, Ennio, 577n


Henríquez Jiménez, Luis Eduardo, Innocenzo XI, 112
433, 433n Introvigne, Massimo, 16, 16n, 83n,
Hergenröther, Joseph, 153n 125n, 466n, 489n, 540n
Hervás y Benet, Juan, 417, 417n Isaac, Jules Marx, 398, 398n, 399,
Herwegen, Ildelfonso, 57, 57n 399n
Heurtebize, B., 54n Isnard, Clemente, 83n
Heylen, Victor, 328n, 479
Hierold, Alfred E., 9n Jäger, Lorenzo, 157, 157n, 452
Hilaire, Yves-Marie, 136n, 207n, James, Marie-France, 467n
544n Janssens, Jean-Baptiste, 374, 374n
Hirschman, Albert Otto, 548n Janssens, Louis, 415, 415n
Hitler, Adolph, 107 Javierre, José M., 36n
Hittinger, Russel, 8n Jedin, Hubert, 124, 124n, 125, 125n,
Hnilica, Pavel, 494, 494n 270, 306, 345, 345n, 348, 348n, 513n,
Hobsbawm, Eric, 543, 543n 523, 523n, 557-558, 558n
Hoch, Marie-Thérèse, 486n Johnson, Cuthbert, 54n
Hochhuth, Rolf, 400, 400n Joseph de Sainte-Marie, 367n
Hoffmann, G. H., 172n Josi, Enrico, 33n
Höffner, Joseph, 472, 472n Jossua, Jean Pierre, 66n, 550n
Honecker, Martin, 215 Jounel, Pierre, 181, 181n
Hourlier, Jacques, 54n Jourdan, François, 489n
Hours, Bernard, 66n Journet, Charles, 452, 463, 463n,
Houtart, François, 220, 220n 464, 464n, 479, 486n, 555
Houtin, Albert, 79, 79n Joussain, André, 282n
Hugon, Edouard, 89n Jubany Arnau, Narciso, 341, 341n
Huizinga, Johan, 52, 52n Jugnet, Louis, 86n
Hünermann, Peter, 17n Jungmann, Joseph Andreas, 58-59,
Hurley, Denis E., 412, 412n 59-60n, 181, 357
Hus, Ian, 256, 463 Juny, Nicolas, 5n

Ickx, Johan, 74, 74n Kaczynski, Reiner, 55n, 57n, 186n,


Ignazio di Loyola, san, 84, 166 357n
Ilario di Poitiers, san, 399 Kalinowski, Jerzy, 524n
Ilitchev, Leonid, 174, 174n Kant, Immanuel, 63-64
Illich, Ivan, 219, 219n, 220, 220n, Kasper, Walter, 20-21n, 153n
378-379 Kassiepe, Max, 58n
Indelicato, Antonino, 155n, 157n Kempf, Wilhelm, 304n
Inglessis, Emilios, 209n Kenis, Leo, 26n
612 IL CONCILIO VATICANO II

Kennedy, John, 148, 148n, 212, La Russa, Vincenzo, 148n


212n, 287, 302, 360, 392, 481, 563 La Valle, Raniero, 27, 274, 274n,
Kennedy, Philippe, 218n 276, 306, 307n, 356n, 452n, 457,
Kimball, Roger, 542n 457n, 471, 471n, 479n, 481n, 488n
Kirschbaum, Enrico, 33n Labertonnière, Lucien, 43, 43n
Kivumbi Ddungu, Adrian, 475n Ladous, Régis, 72n
Kloppenburg, Bonaventura, 552n Lafortune, Albini, 311, 311n
Knox, Ronald A., 279, 279n Lagrange, Marie-Joseph, 41, 41n,
Kobler, John F., 214n, 269, 270n, 46-47, 49
310, 310n, 522, 523n Lamb, Matthew, 8n
Kolfhaus, Florian, 528n Lamberigts, Matthijs, 26n, 112n,
Komonchak, Joseph, 16, 16n, 19, 192n, 239n, 254n
19n, 155n, 162n, 171n, 177, 177n, Lamberts, Josef, 55n
320, 320n, 368n, 374n, 380n, 399n, Lamennais, Hugues-Félicité Ro-
471n, 473n bert, 69n, 70, 70n, 464-465, 476
König, Franz, 24, 144, 144n, 188, Landázuri Ricketts, Juan, 441
188n, 194, 204, 209, 215-216, 227, Landucci, Pier Carlo, 537n
227n, 257, 270, 270n, 293-294, 294n, Lanne, Emmanuel, 76n, 175, 175n,
303-305, 311, 323, 339, 344, 344n, 338n, 443, 443n, 452, 479n
345, 433, 441, 453, 467n, 473, 485, Lannoye, Jacques, 530n
493-494, 513, 513n, 541 Lanza, Antonio, 35n
Korec, Ján, 566, 566n Lanzetta, Serafino, 215n, 386n
Kotlyarov, Vladimir, 176, 202 Laplanche, François, 40n
Koulomzine, Nicolas, 337n Läpple, Alfred, 216n
Kovalskij, Nicolaij, 203n Lardone, Francesco, 176, 176n
Krassikov, Anatolij, 203, 203n Larraona, Arcadio Maria, 128n,
Krätzl, Helmut, 9n 186, 186n, 239, 331, 374, 374n, 375-
Kraus, Hans-Joachim, 40n 377, 377-378n, 434, 456n, 533
Krivochéine, Basile, 176, 176n Latourelle, René, 38n, 445n
Krusciov, Nikita, 145, 203, 212, 286- Lattanzi, Ugo, 151, 151n, 431, 431,
287, 289, 291 444n
Küng, Hans, 114, 114-115n, 158, Lattanzio, 74, 74n
158n, 188, 188n, 189, 214-216, 216n, Laurentin, René, 27, 274, 274n, 276,
217-218, 227, 227n, 236-237, 264, 276n, 314n, 317-318, 318n, 320,
264n, 270n, 277, 320, 329, 330n, 339, 324n, 329, 333n, 378, 380, 398n,
341, 342n, 343, 344n, 387, 524, 525n, 448n, 486, 494, 532n, 534n, 543,
541, 560n 543n, 545, 546n
Kunzler, Michael, 573n Lavaud, Benoît, 86n
Lavigerie, Charles-Martial, 46n
INDICE DEI NOMI 613

Lawson, Matthew P., 280n 307n, 325, 331-332, 344, 347, 350,
Le Boulluec, Alain, 50n 357-358, 360, 368, 402, 412, 441, 473,
Le Cerf, M. A., 230n 473n, 487, 508, 508n, 533
Le Floch, Henri, 121n, 230, 230n Lester Guilly, Richard, 428n
Le Roy, Edouard, 44, 44n Levering, Matthew, 8n
Lebret, Louis-Joseph, 549, 549n Levillain, Philippe, 128, 128n, 171n,
Lebreton, Jules, 94n 177n, 205n, 230n, 263n, 496n
Lefebvre, George, 25 Liénart, Achille, 188, 188n, 192,
Lefebvre, Joseph-Charles, 205, 192n, 194, 204, 204n, 205, 205n, 206,
205n, 396 206n, 207, 207n, 209, 257-258, 263-
Lefebvre, Marcel, 85n, 125n, 160, 264, 268, 270-271, 293, 305, 320, 331,
160-161n, 205n, 217, 229, 229n, 230- 337n, 402, 441, 482-483
231, 231n, 232-233, 264, 272, 273n, Lindemann, Gerhard, 175n
333, 333n, 334, 341, 350, 372, 372n, Lio, Ermenegildo, 373, 373n, 540
373, 373-374n, 395-397, 397n, 404, Lippman, Walter, 481
441, 454, 454n, 456, 465, 476, 499, Lockhart, John Gilbert, 72n
511n, 512, 515, 515n, 519, 562, 562n, Locke, John, 465
577n, 578, 578n, 579-580, 580n Lohfink, N., 260n
Lefevre, Lucien, 231n Löhrer, M., 164n
Léger, Paul-Emile, 194, 194n, 209, Loiero, Salvatore, 9n
236n, 246, 251-252, 257-258, 269- Loisy, Alfred, 39n, 40, 40n, 41, 41n,
270, 293, 311, 328-329n, 339, 354, 50n, 53, 72, 92
382, 389, 396, 402, 415, 420, 429-430, Lombardi, Armando, 206, 206n
441, 478, 483, 507, 524 Loonbeek, Raymond, 55n, 115n
Lehmann, Karl, 9n Lourdusamy, Simon Duraisamy,
Lehnert, Pascalina, 32n 474, 474n
Leiprecht, Joseph Karl, 215, 215n Luca, san, 11, 169, 261
Lengeling, Emil Joseph, 359n Lucien, Bernard, 15n, 511n
Leonardi, Claudio, 560n Luigi XIV, 112
Leone XIII, 8n, 28, 28n, 39, 40n, 42, Luigi Maria Grignion de Monfort,
42n, 48-49n, 62, 69, 69n, 95, 103, san, 315n
103n, 122, 150, 150n, 162n, 163, 248, Luigi Orione, san, 35n, 517, 517n
301, 388, 388n, 414, 414n, 422, 460, Luiz Couto Texeira, Faustino, 553n
465 Lusseau, Henri, 231n
Leone, Giovanni, 588, 588n Lutero, Martin, 40n, 78n, 101, 188,
Lepidi, Alberto, 153n 218, 256, 510
Lercaro, Giacomo, 27, 108, 108n, Luzzatto, Sergio, 135n
209, 223, 223n, 224, 240, 240n, 270- Lyonnet, Stanislas, 48n, 163, 163n,
272, 272n, 276, 293-295, 306-307, 164, 167
614 IL CONCILIO VATICANO II

Maccari, Carlo, 135, 135n Marranzini, Alfredo, 529n, 549n


Maccarrone, Michele, 196n, 306, Marrou, Henri-Irénée, 40n
306n, 307, 342 Marsaudon, Yves, 465, 465n, 466,
Macchi, Pasquale, 300n, 584, 584n 466n, 476, 476n
Madiran, Jean, 35n, 82n, 174n, 451, Marsili, Salvatore, 56n, 57, 57n,
451n, 529, 530n, 574n 357n
Magister, Sandro, 147n, 148, 148n, Martano, Valeria, 174n
538n, 583n Martelet, Gustave, 550, 550n
Magistretti, Franca, 310n Martimort, Aimé-Georges, 59, 59n,
Majo, Angelo, 101n 181, 240n, 357, 359, 359n
Maldonado, Luis, 573n Martin, Joseph-Marie, 353, 353n,
Malloy, Cristopher J., 386n 397
Mamie, Pierre, 464, 464n Martin, Michel, 511n
Manelli, Settimio M., 386n Martina, Giacomo, 9n, 38n, 48n,
Manelli, Stefano M., 32n, 386-387n 153n, 263, 263n, 512, 512n, 544n,
Mangenot, Eugéne, 99n 569, 569n, 575, 575n, 582, 582n
Mantovano, Alfredo, 589n Martini, Carlo Maria, 49n, 167n
Manzini, Raimondo, 288n, 288 Martins, Antonio M., 32n
Maometto, 81 Marto, Jacinta (Giacinta), 33, 33n
Maqua, Mirelle, 361n Marto, Francisco (Francesco), 33,
Maranhão Galliez, Murillo, 27, 179- 33n
180n, 224n, 228n, 230-232n, 260 Marwick, Arthur, 542n
Marazziti, Mario, 488n Marx, Karl, 19, 19n, 20, 476, 543,
Marchetti Selvaggiani, Francesco, 585
356-357 Masi, Roberto, 151, 151n
Marchetto, Agostino, 7n Mason, Edoardo, 346
Marco, san, 452 Massignon, Daniel, 489n
Maréchal, Joseph, 64, 64n, 68, 215 Massignon, Louis, 489, 489n
Marella, Paolo, 264, 331, 344, 344n Masson, Danièle, 451n
Margiotta Broglio, Francesco, 8n Matteo, san, 169, 247, 261, 399, 409
Mariani, Bonaventura, 151n, 163n Matthijs Gijsen, Joannes Baptist,
Marini, Piero, 357, 357n 538n
Maritain, Jacques, 69, 69n, 70, 70n, Mattioli, Vitaliano, 99n
74, 89, 142, 142n, 147n, 299, 299n, Mauriac, François, 365, 365n
391n, 414, 463n, 486, 524, 524n, 554- Maximos IV Saigh, 209, 209n, 241,
555, 555n, 561 258, 345, 401, 416, 420, 452, 487, 493
Maritain, Raissa, 69n May, George, 575n
Marlé, René, 46n Mayer, Paul Augustin, 508n
Marmion, Joseph Columba, 56n McAfee Brown, Robert, 227n
INDICE DEI NOMI 615

McClory, Robert, 539n Metz, Johann-Baptiste, 560n


McCool, Gerald A., 64n Meyendorff, Jean, 337n
McGrath, Marcos Gregorio, 219n, Meyer, Hans-Bernhard, 60n, 264,
267, 267n, 328n, 491, 548, 548n 339, 389, 392, 396, 441
McInerny, Ralph, 540, 540n Miano, Vincenzo, 453, 453n, 467,
McIntyre, James Louis, 243, 243n, 467n
331 Micara, Clemente, 61, 61n, 108, 295
McManus, Frederick Richard, 441, Miccoli, Giovanni, 7n, 396n
441n Michalon, Pierre, 73n
Medina Estévez, Jorge Arturo Au- Michel de la Sainte Trinité, 32-33n,
gustin, 328, 328n, 524 133n
Meinvielle, Julio, 69n, 70, 70n, 414, Michelin, Etienne, 412n
414n Michler, Martin, 83, 83n
Melada, Paolo, 316n Mihai Pacepa, Ion, 401
Melitone, 511 Mindszenty, József, 110, 110n, 180,
Melloni, Alberto, 7n, 9n, 17n, 26, 198, 294, 314, 362, 564, 564n
26n, 66n, 112n, 118, 118n, 154n, Mingo, Corrado, 354, 354n, 381
173n, 185n, 199n, 202, 202n, 223n, Minier, Marc, 207n
276, 276n, 281, 281n, 289n, 291n, Moeller, Charles, 76n, 194, 327,
295n, 306n, 329n, 361n, 399n, 471n, 327n, 329, 329n, 337n, 409n, 471n,
522n, 550n, 566n 532, 532n, 540n, 550
Méndez Arceo, Sergio, 220, 220n, Möhler, Johann-Adam, 76, 76n
322, 382, 400, 416, 475 Molari, Carlo, 20-21n, 529n
Mendoza Castro, Alcides, 198, Molinari, Franco, 297n
198n Mondin, Giovanni Battista, 20n,
Menozzi, Daniele, 17n, 229-230n 528, 528n, 547
Menuhin, Yehudi, 571n Mondrone, Domenico, 96n, 153n
Meotti, Giulio, 538n Monsegù, Bernard, 575n
Meouchi, Pierre Paul, 461, 461n Montagnes, Bernard, 41n
Mercier, Desiré, 64, 64n, 72, 72n, 73, Montalembert, Charles, 464
194, 383, 383n Montanelli, Indro, 197, 107n, 245,
Merenda, Mario, 52n 245n, 294
Merlo, Grado Giovanni, 118n Montini, Giovanni Battista, vedi an-
Merry del Val, Rafael, 36, 36n, 108n che Paolo VI, 37, 37n, 38, 57, 57n, 61,
Messineo, Antonio, 69n, 96, 96n, 82n, 89, 109, 111, 113-114, 114n, 145-
97, 97n, 484n 146, 146n, 147, 149, 149n, 158, 179,
Messner, Johannes, 505n 192, 192n, 206, 209-210, 219, 223-224,
Metodio, san, 495n 226, 231, 240, 240n, 241, 267n, 269-
Mettepenningen, Jürgen, 497 270, 275, 293-295, 295n, 296, 296n,
616 IL CONCILIO VATICANO II

297, 297n, 298, 298n, 299, 299n, 300, Nichols, Aidan, 66n
300n, 301-302, 310, 331, 356-357, Nicodemo, Enrico, 385, 385n
357-358n, 368, 391, 420n, 463n, 519, Nicolas, M. J., 315
555, 555n, 563, 568n, 569, 569n, 583n Nicolini, Giulio, 114n, 120n
Mooney, Edward, 110, 110n Nicolosi, Salvatore, 64n
Morerod, Charles, 8n Nierman, Pieter Antoon, 402
Mores, Francesco, 118n Nober, Pietro, 47n
Moretto, Giovanni, 64n, 68n Noé, Virgilio, 359, 359n
Morineau, Benjamin Marie, 56n Noël, Pierre, 222, 222n
Moro, Aldo, 147n, 148, 148n, 302,
302-303n, 525, 583, 583n, 584, 584n O’Brien, Veronica, 383n
Moro, Renato, 297n Ocariz, Fernando, 446
Morozzo della Rocca, Roberto, 136- O’Connor, Jerome Murphy, 41n
137n, 480n Oddi, Silvio, 112, 112n, 569n
Morresi, Assuntina, 485n Olaechea Loizaga, Marcellino, 232,
Mortiau, Jacques, 55n, 115n 232n
Mosé, 81, 245, 260-261 O’Malley, John W., 7n, 17, 17n, 18,
Mosebach, Martin, 569n 18n, 21n, 52n, 138, 138n, 222n, 254,
Mounier, Emmanuel, 414 254n, 263, 263-264n, 371, 371n,
Mourret, Ferdinand, 46, 46n 490n
Mudderidge, Malcolm, 571n Onclin, Guillaume, 328n
Munoyerro, Alonso, 394 Oostveen, Ton, 245n
Muñoz Duque, Aníbal, 389, 389n Ortolani, Umberto, 293, 293n
Muñoz, Jesus, 461n Ortoleva, Peppino, 542n
Murphy, Francis X, 27, 209n, 274, Osaer, Toon, 192n, 300n, 419-420n,
275n 541n
Murray, John Courtney, 88, 89n, Ottaviani, Alfredo, 27, 89, 108,
390, 391n, 397, 469n 108n, 111-112, 120-124, 124n, 147,
Murri, Romolo, 580, 580n 153-155, 157, 160-161, 166, 169, 169-
170n, 208, 214, 217, 227, 233, 239,
Nédoncelle, Maurice, 72n 244-245, 257-259, 264, 266, 268, 286-
Negro, Silvio, 111, 111n, 170n 287, 289, 294-295, 311, 326, 330-331,
Neil, Stephen C., 71n 344, 347-348, 374, 374n, 388, 390,
Neufeld, Karl Hugo, 153n, 216n 390n, 391-393, 404, 408, 420-421,
Neunheuser, Burkhard, 54n 434, 434n, 436, 456n, 457, 462, 483,
Neveu, Bruno, 531n 490-491, 523, 531, 533, 533n, 534,
Newman, John Henry, 13n 560, 560n, 569
Ngô-Dinh-Thuc, Pierre Martin, Ousset, Jean, 125n
178, 178n, 232
INDICE DEI NOMI 617

Pacelli, Eugenio, vedi anche Pio 578, 580-581, 582n, 583, 583n, 584,
XII, 31n, 33, 35n, 47, 53, 58, 58n, 99, 584n, 588-589, 589n, 590, 590n, 591
107, 146, 297 Paolo, san, 38, 163n, 182, 184, 311-
Pagano, Sergio, 35n, 116n 312, 318, 318n, 393, 412, 508, 510,
Paiano, Maria, 181n, 398n 521, 556, 589
Palacios, Leopoldo, 69n Pardilla, Angelo, 576n
Palatucci, Giuseppe Maria, 51, 51n Parente, Fausto, 41n
Palazzini, Pietro, 5n, 128n Parente, Pietro, 177, 225, 243, 287,
Pallavicini, Elvina, 578, 578n, 579, 310, 379, 379n, 380, 404n, 433-434,
579n 434n, 435, 435n, 439, 439n, 491, 534,
Paolo III, 531n 534n
Paolo VI, vedi anche Montini, Gio- Parrotta, Pietro, 152n, 317n
vanni Battista, 6, 6n, 12, 15, 15n, 16, Parsch, Pius, 58, 58n
16n, 37-38n, 57n, 108n, 110n, 112n, Pasolini, Pier Paolo, 409
146n, 149n, 158n, 167n, 175n, 177, Pasqualucci, Paolo, 199n, 531n
178n, 192n, 196n, 211n, 232n, 271, Passaglia, Carlo, 153n
275, 275n, 276, 285, 294n, 295, 295n, Patlagean, Evelyne, 50n
296, 296n, 298-299n, 300, 300n, 301, Paulhan, Jean, 536n
301n, 302, 302n, 303, 305-306, 306n, Pavan, Ilaria, 398n
307-310, 320, 329, 331-332, 335, 344, Pavan, Pietro, 289n, 390, 390n, 391,
351-352, 356-358, 358n, 361, 364- 397, 397n, 440, 458, 468n
365, 365n, 367, 367n, 368-369, 369n, Pechuán Marín, Enrique, 507, 507n
370, 370n, 371n, 374n, 377, 378n, Pélissier, Jean, 275
379-381, 389, 390n, 391, 391n, 396- Pellegrino, Michele, 479, 479n, 480,
397, 401-402, 409, 409n, 411, 413, 507, 541
416, 420, 422, 430-431, 435, 435n, Pelletier, Denis, 223n
436, 438-439, 441, 443, 443n, 447, Peloso, Flavio, 35n
477n, 448, 448-449n, 452, 452n, 453, Pelotte, Donald E., 89n, 391n, 397n
453n, 455, 457, 459n, 463, 463n, 467- Perantoni, Luigi, 352, 352n, 428
468, 468n, 469, 479, 479n, 480, 480n, Pereira, Alvim, vedi Alvim Pereira
481, 481n, 482-484, 486, 486n, 487, Pérennès, Jean-Jacques, 489n
487n, 488, 490-493, 494n, 501, 501n, Perrella, Salvatore, 320n
502-503, 503n, 504, 504n, 506-511, Perrin, Luc, 229n, 333n, 578n
514, 516, 518-525, 525n, 527, 530, Perrone, Giovanni, 153, 153n
531n, 533, 533n, 534, 536-539, 539n, Peruzzo, Giovanni Battista, 234,
540, 540n, 541-544, 547, 548n, 549, 234n, 245-246
549n, 550, 550n, 552, 555, 555n, 556, Pesce, Mauro, 49, 49-50n, 52-53n,
556n, 557n, 559, 559n, 560n, 563- 67n, 162, 162n
564, 566n, 567-572, 574, 574n, 576, Peserico, Enzo, 542n, 545n
618 IL CONCILIO VATICANO II

Petralia, Giuseppe, 331n 182, 182n, 183-184, 188n, 207, 230n,


Petre, Maude, 43n 231, 271n, 383, 383n, 414, 414n, 422,
Petruzzellis, Nicola, 151n 460, 477, 477n, 478, 486
Pezeril, Daniel, 397 Pio XII, vedi anche Pacelli, Euge-
Pflüger, Niklaus, 214n nio, 31, 31n, 32, 32n, 33-34, 34n, 35,
Philippe, Paul, 128n, 129, 129n 36n, 38, 42n, 48-49n, 52-53, 58n, 60,
Philippe de la Trinité, 151n, 155, 60n, 61, 61-62n, 77, 77n, 82-83, 88,
155n, 190n, 369n 88n, 89, 93, 93n, 94, 96, 96n, 99, 99n,
Philips, Gérard, 236, 267, 267n, 280, 100, 101n, 105, 107-108, 108n, 109,
280n, 281, 310, 311, 326, 326n, 327- 110n, 111, 111n, 112, 115, 119, 122-
329, 329n, 347n, 352, 380, 380n, 383, 124, 139, 144, 146, 146n, 149n, 150,
435n, 436, 436n, 439, 439n, 445n, 157, 162n, 163, 170, 177, 177n, 181,
471, 491, 522, 540n, 541 183-184, 185n, 187, 204n, 214, 216-
Piazza, Adeodato, 108, 108n 217, 231, 243, 260, 274n, 281, 294n,
Piccioni, Attilio, 362, 362n 297-298, 298n, 310, 313, 313n, 319,
Pieraccioni, Dino, 571, 571n 319n, 367n, 380-381, 388, 388n,
Pierre-Marie, 15n, 447n 392n, 400, 400n, 414, 422, 425, 445,
Pietro, san, 31n, 35, 90, 93, 100, 460, 462, 484, 499, 505, 505n, 507,
110n, 117n, 169, 261, 295n, 311, 335- 509, 532, 535, 535n, 550n, 555, 566n,
337, 340, 365n, 433, 444, 446, 448, 570, 575, 579, 590
520, 556, 567, 589, 591 Pio da Pietralcina, san, vedi anche
Piletti, Nelson, 325n Forgione, Francesco, 134, 134n,
Pintonello, Arrigo, 577, 577n 135, 135n
Pio II, 338n Piolanti, Antonio, 14n, 150, 150n,
Pio V, 62, 562n 151-152, 228, 231, 316, 316n, 317,
Pio VII, 535 317n, 335, 435
Pio IX, 39, 39n, 40, 71, 142, 150n, 153, Piovan, Luigi, 101n
153n, 273, 380, 388, 465, 507, 513 Pirotte, Jean, 72n, 327n
Pio X, 34-35, 35n, 36, 36-37n, 38, Pizzardo, Giuseppe, 108, 108n, 167,
42n, 44, 46, 46n, 47, 47n, 48, 53-54, 226, 226n, 331, 363n, 524, 532-533
54n, 55, 62-63, 78, 78n, 82, 82n, 87- Pobozny, Robert, 494n
88, 91, 93, 95, 100, 103, 103n, 104, Poelman, Roger, 115
116, 116n, 117, 117n, 122, 142n, 154, Pogačnik, Jože, 424, 424n
160n, 169-170, 182, 182n, 207, 231, Poletti, Ugo, 579n, 584, 584n
258, 283, 521, 521n, 531, 555, 570n, Pombeni, Paolo, 224, 272
577n, 578, 580n Pontiggia, Virgilio, 357n, 569n
Pio XI, 31n, 47, 47n, 73, 73n, 74, 74n, Portal, Fernand, 72, 72n
84, 95, 101n, 108n, 110n, 119, 121, Poswick, Prosper, 112n, 192n, 210,
121n, 124, 127, 131, 170, 170n, 177, 210n, 306n, 328, 328n, 519
INDICE DEI NOMI 619

Poulat, Emile, 35n, 40n, 50n, 72n, Ranaghan, Dorothy, 546n


79n, 113n, 272n, 467n Ranaghan, Kevin, 546n
Pozo, Cándido, 93n, 314-315n, Ratzinger, Joseph, vedi anche Be-
386n, 555n nedetto XVI, 8, 8n, 10-11, 11n, 12,
Prat, Ferdinand, 41n 12n, 54n, 130n, 215, 215n, 216, 216n,
Praxedes, Walter, 325n 217, 217n, 136, 167, 304, 308, 308n,
Preda, Gianna, 533, 533n 328n, 329, 342, 415n, 445n, 471n,
Prevost, Robert, 434n, 436n 472, 472n, 487, 512, 513n, 515n, 524,
Prévotat, Jacques, 299n 530, 530n, 546, 546n, 569n, 573,
Prezzolini, Giuseppe, 72n 573n, 574, 574n, 575n
Prignon, Albert, 325n, 328, 328n, Reding, Marcel, 46n
329n, 379, 404, 404n, 441, 441n, 479, Reetz, Benedetto, 244, 244n, 413
519, 520n, 540n Reh, Francis Frederick, 441, 441n
Principi, Primo, 266, 266n Reid, Alcuin, 54n
Prior, Joseph G., 40n Rendeiro, Francisco, 381
Prou, Jean, 372, 372n, 395, 414, 456 Rentería Chávez, Leticia, 220n
Prziwara, Erich, 76n Respighi, Pietro, 54
Reudenbach, Josef, 155n
Quagliariello, Gaetano, 147n Reuss, Joseph, 236, 236n, 329, 479
Quinn Weitzel, John, 441, 441n Riccardi, Andrea, 31n, 117n, 146n,
Quitslund, Sonya, 115n 149, 149n, 154n, 176-177n, 180n,
Quiroga y Palacios, Fernando, 395, 205-206n, 294n, 298, 298n, 299,
395n 299n, 332n, 361n, 422n, 484n, 489,
489n, 513n
Radaelli, Enrico Maria, 10n, 398n Ricci, Tommaso, 175n
Radi, Luciano, 148n Richard, Lucien, 18n
Radini Tedeschi, Giacomo, 116, Richaud, Paul-Marie, 345, 345n
116n, 292 Ricossa, Francesco, 55n, 81n, 109n
Raffalt, Reinhard, 565n Rimoldi, Antonio, 267n
Raguer, Hilari, 334n Ritter, Joseph Elmer, 257-258, 254,
Rahner, Karl, 22n, 43n, 64n, 214, 392, 396, 402, 441, 461
214n, 215, 215n, 216, 216n, 217, Riva, Clemente, 494, 494n, 575n
217n, 224, 227, 235-237, 256, 256n, Rivière, Jean, 79, 79n
258, 262, 264, 267, 303-305, 311, Roberto Bellarmino, san, 6n, 90,
311n, 317, 320-321, 327-329, 342, 91n, 311, 311n
379n, 380, 387, 404, 409n, 447, 472, Roberts, Thomas, 124, 124n
472n, 490, 522, 524, 545, 551, 551n, Roccella, Eugenia, 485n
554, 554n, 560n, 561, 573 Roccucci, Alfredo, 173n
Ramírez, Santiago, 151n Roche, George, 299n
620 IL CONCILIO VATICANO II

Rock, John, 415, 415n Rousseau, Jean-Jacques, 465, 516,


Rodano, Franco, 290, 290n 516n
Rodríguez, Victorino, 511n Rousseau, Olivier, 54n, 56n, 76,
Rolando, Daniele, 43n 76n, 192n, 209n, 337, 337n, 479
Rolland, Claude, 65n Routhier, Gilles, 7n, 9n, 17, 17n, 55,
Romano, Angelo, 123n, 331n 55n, 194n, 209, 209n, 415n, 463n,
Romeo, Antonino, 162, 164, 164n, 469, 468-469n, 573, 573n
165, 165n, 166, 170, 226, 226n, 228- Roy, Maurice, 415, 415n, 534
229, 231, 449 Ruffini, Ernesto, 27, 111-112, 120-
Romoli, Dino Luigi, 348, 348n 123, 123n, 124, 164, 167, 167n, 169,
Ronca, Roberto, 149, 149n, 150, 224, 169n, 170, 208, 231-233, 246, 258-
228, 231-233 259, 264, 264n, 307, 311, 330-331,
Roncalli, Angelo Giuseppe, vedi 331n, 339-340, 344, 353, 356, 373,
anche Giovanni XXIII, 16n, 76, 380, 384, 392-394, 403, 406, 410-411,
109, 109n, 112, 112n, 113-115, 115n, 411n, 417, 419, 419n, 429, 438, 439n,
116, 116n, 117, 117n, 118, 118-119n, 456n, 459, 471, 471n, 473, 477, 506,
124, 133, 133n, 135, 157, 170, 196, 560, 560n
201n, 251n, 276, 292, 292n, 300- Ruffini, Giuseppe, 20n
301, 320, 320n, 398, 398n, 400, Rugambwa, Laurean, 441, 474,
465n, 532n 474n
Roncalli, Emanuele, 116n Ruggieri, Ettore, 277
Roncalli, Marco, 109-110n, 113n, Ruggieri, Giuseppe, 7n, 17n, 22n,
116-117n, 119n 201n, 255-256n, 257, 257-260n,
Roosevelt, Franklin D., 465 264n, 326, 326n, 568n
Röper, Anita, 551n Ruiz, G., 255n
Roquette, Robert, 263, 263n, 292, Rumi, Giorgio, 133n
292n, 293 Ruotolo, Dolindo, 51, 51n, 52, 109,
Rosa, Enrico, 42n 109n
Roschini, Gabriele Maria, 151n, Rupp, Jean, 232, 232n
152, 152n, 185n, 315n, 316-317, Rusnak, Michael, 495n
317n, 318, 318n, 319, 319n, 443n Russo, Antonio, 68n
Rospigliosi, Guglielmo, 570n Rynne, Xavier, 27, 274-275, 275n
Rossano, Pietro, 488, 488n
Rossi, Mario, 298 Saba, san, 452
Rossini, Giuseppe, 40n Safarevic, Igor, 585n
Rotov, Boris Georgievic (N. Niko- Saitta, Armando, 138, 138n
dim), 175, 175n, 176, 504 Sakač, Stjepan, 180n
Roul, Alphonse, 231n Salaverri de la Torre, Joaquín, 342,
Rouse, Ruth, 71n 342n
INDICE DEI NOMI 621

Sale, Giovanni, 41n Schmidt, Stjepan, 48-49n, 60n,


Salem El Sheikh, Mahmoud, 490n 157n, 159n, 172n, 176n, 263, 263n,
Saleri, Pier Paolo, 302n 349n, 399-401n, 447n
Salleron, Louis, 69n, 569n Schmidt, Wilhelm, 445n
Samoré, Antonio, 128n Schmitt, Paul, 236, 236n
Sánchez y Sánchez, J., 530n Schmitz, Rudolf Michael, 44n,
Sangnier, Marc, 142, 142n 150n, 367n
Sanna, Giovanni Maria, 51, 51n Schneider, Marius, 571n
Sanna, Ignazio, 217n Schoenmaeckers, E., 537n
Santini, Alleste, 361n Schökel, Luis Alonso, 163, 163n
Santos, Rufino J., 259n, 323, 323n, Schoonenberg, Piet, 164, 164n
331, 373 Schooyans, Michel, 415n, 485n,
Saresella, Daniela, 581-582n 540n
Sarmiento, Augusto, 409n Schrader, Clemente, 153n
Sartore, Domenico, 54n Schröffer, Joseph, 311, 311n, 328n,
Sartori, Luigi, 409n, 528n 404
Sartre, J. Paul, 360 Schuster, Alfredo Ildefonso, 101,
Sartre, Victor, 428, 428n 101n, 108, 108n
Scantamburlo, Giovanni, 496n Schutz, Roger, 76, 76n, 172, 227,
Scaraffia, Lucetta, 485n, 539n 491, 491n, 541
Scatena, Silvia, 219-220n, 387n, Sciré, Giambattista, 588n
547n, 550n, 552n, 566n Scognamiglio Clá Dias, João, 228n
Schauf, Heribert, 153n, 155, 155n, Scoppola, Pietro, 146n, 583n
260, 405, 405n Seibel, Wolfang, 9n
Scheeben, Matthias, 153n Semeraro, Cosimo, 6n, 28n, 74n
Scheffczyk, Leo, 8n, 542, 542n Seminckx, Stéphane, 540n
Schelkens, Karim, 26n, 164n Semmelroth, Otto, 215, 215n, 236,
Schillebeeckx, Edward, 214, 218, 236n, 267, 304, 321, 329, 443, 443n
218n, 221, 227, 236, 238, 256, 258, Sensi, Mario, 306n, 342n
264, 311n, 327, 378, 387, 409, 414, Seper, Franjo, 452, 452n, 463, 493,
447, 479, 545, 551, 551n, 552, 552n, 533
560n Shehan, Lawrence, 474, 474n, 520
Schilson, Amo, 57n Siano, Paolo M., 386n, 467n
Schlesinger, Arthur, 148n Siccardi, Cristina, 160n, 578n
Schmaus, Michael, 216n, 386n, Siebel, Wiegand, 575n
538n Sigismondi, Pietro, 128n
Schmemann, Alexandre, 337n Silva Henríquez, Raul, 219, 219n,
Schmidberger, Franz, 214n 251, 259, 311, 322, 347n, 392, 396,
Schmidt, Herman, 239n 441, 461, 524n
622 IL CONCILIO VATICANO II

Silvestrini, Achille, 361n Spalding, Martin John, 46, 46n


Simonetti, Manlio, 13n Spellman, Francis, 89n, 220, 220n,
Siri, Giuseppe, 5n, 26, 26n, 27, 111, 243, 271, 331, 341, 427, 459, 505
111n, 119, 146, 146n, 147, 147n, 148- Spiazzi, Raimondo, 187, 187n
149, 150n, 192, 192n, 195, 195n, 202, Spinauti, Sandro, 73n
202n, 206, 206n, 208, 208n, 210, Spinoza, Baruch, 39n
210n, 214n, 224, 233, 233n, 234, Spülbeck, Otto, 412, 412n
234n, 238, 238n, 258, 264-265, 278, Stabile, Francesco Michele, 123n,
279n, 294, 295n, 298, 311, 330-331, 169n, 264n, 411n, 419n, 439n, 456n
331n, 332, 332n, 339-341, 373, 377, Staffa, Dino, 128n, 226, 226n, 243,
377n, 434, 439, 439n, 456, 456n, 457, 339-340, 363n, 429, 431, 31n, 432,
460, 469, 471, 471n, 473, 517, 518, 432n, 433n, 434-435, 437, 470n
518n, 553, 560, 560n, 561, 561n, Stafford, Francis J., 540n, 546, 546n
575n Stalin, Josif, 107, 484
Siwek, Paolo, 151n Stark, Rodney, 575n
Slipyi, Josef, 198, 211, 211n, 212, Stefanini, Paride, 277
212n, 461, 463, 495 Stephanos I Sidarouss, 401, 401n
Smulders, Pieter, 258, 258n Stepìnac, Alojzije, 110, 110n, 180,
Snijdewind, Hadewych, 560n 180n, 313
Soares de Rezende, Sebastião, 475, Stickler, Alfons Maria, 83n, 185n,
475n 569n, 572, 572n
Sobrino, John, 20n, 547n Stransky, Thomas, 158n
Socci, Antonio, 132n, 504n Suenens, Léon-Joseph, 27, 73, 73n,
Sodi, Manlio, 56n 115, 115n, 192, 192n, 193, 193n, 194,
Soegijapranata, Albert, 258, 258n 194n, 205, 205n, 209, 218-219, 219n,
Soetens, Claude, 26, 112n, 137, 257, 267, 269-271, 271n, 285, 289,
137n, 327n, 347n, 359n 291, 293, 300, 300n, 306, 310, 325,
Söhngen, Gottlieb, 216, 216n 325n, 326, 326n, 327-329, 329n, 331,
Solimeo, Gustavo Antonio, 553n 341, 342n, 344, 356, 368, 378, 378n,
Solimeo, Luíz Sergio, 553n 379, 379n, 382, 383n, 404, 404n, 408,
Solženicyn, Alexander, 584, 584n, 410, 416, 418-420, 420n, 427, 427n,
585, 585n, 586, 586n 428-430, 476, 478-479, 482, 507, 509,
Sonnemans, Heino, 155n 509n, 522, 530n, 539n, 540, 540n,
Sorbi, Paolo, 545, 545n 541, 541n, 545n, 546, 546n
Soret, Jean-Hugues, 70n Suhard, Emmanuel, 70, 71n, 91
Sorge, Bartolomeo, 494n, 581, 581n Sullivan, Francis. A., 445n
Spadafora, Francesco, 48n, 151, Svidercoschi, Gian Franco, 123n,
151n, 162n, 163, 163n, 164, 164n, 124n, 126n, 212n, 496n, 501n
229, 231, 532, 532n, 577n Swiežawski, Stefan, 524, 524n
INDICE DEI NOMI 623

Tabet, Michelangelo, 386n Tito, Josef, 110, 110n, 563


Tagle, Luis Antonio G., 436, 443, Tito, san, 452
448 Toaff, Elio, 399, 400n
Talmon, Jacob L., 516n Togliatti, Palmiro, 146, 289, 289n,
Tambroni, Fernando, 148 296, 296n
Tanner, Norman, 276n, 426n Tomatis, Paolo, 56n
Tappouni, Ignazio Gabriel, 401, Tommaso d’Aquino, san, 62-63,
401n, 402 63n, 151, 215, 244, 414, 429-430, 479,
Tardini, Domenico, 114, 114n, 117n, 487, 506
119n, 120, 120n, 127-129, 135, 144- Tondi, Alighiero, 298, 298n
145, 145n, 154, 273, 288, 297, 368, Toniolo, Ermanno M., 314n
395 Tornielli, Andrea, 31n, 149n, 175n,
Tarquini, Camillo, 153, 153n, 467n 293, 293-294n, 296, 296n, 298, 298-
Tassani, Giovanni, 560n 299n, 301-302n, 452n, 453, 453n,
Tavard, Georges, 71, 72n 533n, 555n, 582-583n
Tavares, Paulo José, 129, 129n Tortolo, Adolfo Servando, 232, 232n
Tedeschi, Mario, 145n, 173n Tosatti, Marco, 135n
Teilhard de Chardin, Pierre, 44n, Toscani, Xenio, 82n
67, 67n, 75, 75n, 139, 189-190, 190n, Toschi, Massimo, 17n
411-413, 475-476, 508, 508n, 550n Traglia, Luigi, 264, 332, 332n, 534
Temiño Sáiz, Angel, 461n Traniello, Francesco, 31n, 49n, 109n
Testa, Gustavo, 294, 294n, 541 Trapé, Agostino, 151, 151n
Theobald, Cristoph, 7n, 404n, 491n Tresmontant, Claude, 43n
Thijssen, Antoine Hubert, 305, Triacca, Achille Maria, 54n
305n Trinchese, Stefano, 116n
Thils, Gustave, 76n, 311, 311n, Trionfera, Renzo, 191n
378n, 443, 550 Trippen, Norbert, 204n
Thurian, Max, 76, 76n, 172, 227, Troisfontaines, Claude, 190n, 435n
491, 491n Tromp, Sebastiaan, 154, 154n, 187,
Tien-Siang, Joseph Cheng, 305n 187n, 217n, 225, 267, 269, 280n, 287,
Tierney, Brian, 338n 326, 380, 445
Timoteo, 394 Tucci, Roberto, 171n, 188n, 285-286,
Tisserant, Eugenio, 49, 49n, 112, 286n, 288n, 328
112n, 113, 174-175, 175n, 176, 179- Tuninetti, Giuseppe, 176n
180, 202, 204-205, 239, 259, 266, 299, Turbanti, Giovanni, 26n, 137, 137n,
299n, 440-441, 500, 502, 502-503, 178n, 179, 179n, 451n, 453n, 471-
503n, 504, 506 472n, 492n, 496n, 501n, 522n
Tissier de Mallerais, Bernard, 160n, Tyrrell, George, 43, 43n, 44, 44n, 80,
333n, 512n, 515n, 519n, 578n 80n, 92, 311
624 IL CONCILIO VATICANO II

Urbani, Giovanni, 224, 251, 251- Vian, Giovanni, 35n, 117n


252n, 271, 463, 533 Vian, Giovanni Maria, 37n, 400n
U-Thant, Maha Thray Sithu, 291, Vian, Nello, 57n, 296n
480 Vian, Paolo, 298n
Vidigal da Silveira, Arnaldo Xavier
Vacant, Jean-Michel Alfred, 99n 15n, 517n, 569n
Vaccari, Alberto, 49, 49n, 51n, 52, Vilanova, Evangelista, 369n
52n, 151n Villagrasa, Jésus, 63n
Vagaggini, Cipriano, 181, 181n Villain, Maurice, 73n, 209n, 317n
Vagnozzi, Egidio, 232, 232n, 233, Villemin, Laurent, 336n
242, 287 Villot, Jean, 171n, 275, 275n, 534,
Valdoni, Pietro, 277 564, 564n
Valensin, Auguste, 67, 67n Vinatier, Jean, 188n, 207n
Valente, Gianni, 216n, 555n Virgoulay, René, 44n
Valentini, Donato, 68n Virion, Pierre, 466n
Valeri, Valerio, 117, 117n Visintin, Stefano, 43n
Valla, Lorenzo, 39, 60 Visser’t Hooft, Willem A., 66n, 127,
Vallainc, Fausto, 273, 273n, 288 127n, 158-159
Van Bekkum, Willem, 241, 241n, Vogt, Ernest, 162, 162n, 164, 170
242 Volk, Hermann, 188, 188n, 215,
van den Boogaand, Antoine, 560n 236-237, 329, 404n, 407, 412
Van Roey, Josef-Ernest, 190, 190n, von Balthasar, Hans Urs, 68, 68n,
194 108n, 216, 217n, 387
van Schaik, Antonius Hendrikus von Harnack, Adolf, 40, 40n, 41
Maria, 136n von Hildebrand, Dietrich, 575n
Vanderbrovck, F., 181n von Hügel, Friedrich, 71, 71n, 72,
Vanhoye, Albert, 163n, 404n, 491, 72n
491n von Hummelauer, Franz, 41n
Vannier, Marie-Anne, 66n von Pastor, Ludwig, 213n
Vannutelli, Primo, 80, 80n, 81, 81n, von Teuffenbach, Alexandra, 118n,
82, 82n 124-125n, 405n, 444, 444-445n
Vaquié, Jean, 359, 359n, 369n Vona, Costantino, 150n
Vauchez, André, 66n Vorgrimler, Herbert, 9, 216n
Velati, Mauro, 136n, 159n, 173n, Vosté, Jacques-Marie, 49, 49n
447n, 486n
Verucci, Guido, 35n Waché, Brigitte, 40n
Vetrano, Vicente Oscar, 548n Wagner, Harald, 76n
Veuillot, Pierre, 222, 222n, 234, 299, Wagner, Johannes, 59, 59n, 357
299n, 351 Waldstein, Wolfang, 569n
INDICE DEI NOMI 625

Wall, Bernard, 571n Wittstadt, Klaus, 216-217n


Wattson, Lewis Thomas, 73, 73n Wojtyla, Karol Jósef, vedi anche
Weber, Jean Julien, 236, 236n Giovanni Paolo II, 221, 221n, 274n,
Wehrlé, Joannès, 44n 395, 471, 475, 475n, 492
Weigel, George, 475n Wolf, Hubert, 531n
Welty, Eberhard, 505n Wright, John Joseph, 424, 424n
Wenger, Antoine, 27, 171, 171n, Wyclif, John, 256
174n, 176-177n, 199, 199n, 256n, Wyszyński, Stefan, 180, 252, 252n,
274-275, 275n, 295n, 348n, 352, 313, 341, 362, 362n, 381-382, 463,
354n, 361n, 479, 479n, 496n, 521n, 497, 503
564n
Whelan, J. P., 71n Xibaut, Bernard, 207n
Wicks, Jared, 66n, 214n, 216n
Widenfeld, Adam, 319 Yanguas, José María, 409n
Wilde, Melissa, 16, 16n, 19, 19n, Yawo Amekuse, Edmond, 56n
23n, 124n, 206n, 207, 207n, 263- Yü Pin, Paul, 423, 423n
264n, 278, 278n, 279, 279n, 281,
281n, 324, 324n, 336n Zambarbieri, Annibale, 35n, 42n,
Willebrands, Jan, 48n, 174, 520 276n
Willebrands, Johannes, 158, 158n, Zaslavsky, Victor, 483-484, 484n
159, 174-175, 175n, 176, 176n, 202, Zauner, Franz, 239, 239n, 358
212, 286, 442-443, 447n, 452, 487, Zazpe Zarategi, Vicente Faustino,
520 449, 449n
Wilson, Woodrow, 484 Zerba, Cesare, 128n
Wiltgen, Ralph, 27, 27n, 177n, 204n, Zerwick, Max, 167, 167n
206n, 208, 208n, 238, 238n, 241n, Zhukov, Yuri, 172-173
249n, 251, 251n, 258, 258n, 266, Zigliara, Tommaso Maria, 153n
266n, 271, 271n, 273n, 278n, 303n, Zizola, Giancarlo, 110n, 113n, 220n,
304, 304n, 305n, 307, 307n, 321n, 275, 275n, 294-295n, 361n, 534n
333n, 347n, 348, 348n, 351, 351n, Zmijewski, Norbert, 363n
369n, 381n, 382, 383n, 402n, 404n, Zoffoli, Enrico, 546n
426n, 431-432n, 435-436n, 440n, Zoghby, Elias, 255-356, 478, 478n
443, 443n, 454n, 469n, 496n, 500,
502, 518, 518n, 523, 524n
Indice

5 INTRODUZIONE
1. Il Vaticano II: un Concilio diverso dagli altri, 5
2. Le due ermeneutiche conciliari, 7
3. Ricezione e applicazione del Concilio, 10
4. Concilio “pastorale” o “dottrinale”?, 14
5. Primato della prassi e riforma della Chiesa, 19
6. “Riscrivere” la storia del Concilio, 22

25 NOTA BIBLIOGRAFICA

31 I. LA CHIESA NELL’ETÀ DI PIO XII


1. Il pontificato di Pio XII: trionfo o crisi incipiente?, 31
2. La “riforma” modernista della Chiesa, 38
3. Il movimento biblico, 47
4. Il movimento liturgico, 53
5. Il movimento filosofico e teologico, 62
6. Il movimento ecumenico, 71
7. Una associazione segreta all’interno della Chiesa?, 77
8. Le reazioni al neomodernismo sotto il pontificato di Pio XII, 83
9. Tra false riforme e vera Rivoluzione, 99

107 II. VERSO IL CONCILIO


1. Muore Pio XII: la fine di un’epoca?, 107
2. Il conclave del 1958, 110
3. Angelo Roncalli: conservatore o rivoluzionario. L’enigma Roncalli, 115
4. Verso il Concilio Vaticano II, 118
5. Giovanni XXIII e i “segni del soprannaturale” nella Chiesa, 129
6. I “vota” dei Padri conciliari, 135
7. L’Italia “apre” a sinistra, 144
8. Il “partito romano” si schiera, 149
9. L’entrata in scena del cardinale Bea, 157
10. La controversia biblica, 162
11. Il “tour” ecumenico del cardinale Bea, 171
12. La battaglia sulla liturgia, 181
13. I proclami di guerra dei progressisti, 187

197 III. 1962: LA PRIMA SESSIONE


1. L’apertura del Concilio Vaticano II, 197
2. La rottura della legalità conciliare: la seduta del 13 ottobre, 203
3. Una nuova forma organizzativa: le conferenze episcopali, 206
4. Il “messaggio al mondo”, 210
5. I progressisti al Concilio, 213
6. Il “Piccolo Comitato” dei padri conservatori, 227
7. Il ribaltamento degli “schemata”, 235
8. Il dibattito sulla liturgia, 238
9. L’attacco allo schema sulle fonti della Rivelazione, 254
10. Si discute sulla costituzione della Chiesa, 265
11. Verso una nuova leadership del Concilio, 270
12. Il ruolo dei mezzi di comunicazione sociale, 272
13. “Dell’aria fresca nella Chiesa”, 276
14. Bilancio della prima sessione, 278
15. Maggioranza e minoranza in Concilio, 280

285 IV. 1963: LA SECONDA SESSIONE


1. Da Giovanni XXIII a Paolo VI, 285
2. Giovanni Battista Montini sul soglio pontificio, 293
3. L’intersessione del 1963, 303
4. L’apertura della seconda sessione, 308
5. Chiesa pellegrinante e Chiesa militante, 310
6. La questione mariana, 314
7. Il partito antiromano nella seconda sessione, 324
8. La nascita del Coetus Internationalis patrum, 330
9. Tra primato di Pietro e collegialità, 335
10. Dall’alleanza europea all’alleanza progressista mondiale, 350
11. Il dibattito sull’ecumenismo, 352
12. La costituzione Sacrosanctum Concilium, 356
13. Appelli contro il comunismo, 360
14. Il viaggio di Paolo VI in Palestina, 365

367 V. 1964: LA TERZA SESSIONE


1. L’apertura della terza sessione, 367
2. L’Enciclica Ecclesiam Suam, 369
3. I conservatori al contrattacco, 371
4. Compromesso sul capitolo “De Beata Maria Virgine”, 379
5. Perché il Vaticano II non parla dell’inferno?, 384
6. Lo scontro sulla libertà religiosa, 387
7. La questione degli ebrei in Concilio, 398
8. “Leviamo in alto la Sacra Scrittura, non la Tradizione”, 404
9. Gaudium et Spes: la “terra promessa” del Concilio, 408
10. Una nuova visione della famiglia cristiana, 414
11. Si discute ancora su marxismo e comunismo, 422
12. La “modernizzazione” della vita religiosa, 426
13. Conflitto aperto sulla collegialità, 431
14. La “settimana nera”: ma per chi?, 436
15. La promulgazione della Lumen Gentium, 444
16. Paolo VI depone la tiara, 448

451 VI. 1965: LA QUARTA SESSIONE


1. Dalla terza alla quarta sessione, 451
2. Nuove iniziative dei conservatori, 454
3. L’apertura della quarta sessione, 457
4. La battaglia sulla libertà religiosa, 458
5. Lo schema XIII: critiche dalle opposte sponde, 470
6. Paolo VI all’ONU: un evento simbolico, 480
7. Le religioni non cristiane e la Nostra aetate, 485
8. Compromesso sulla costituzione Dei Verbum, 490
9. Il Concilio e il comunismo: storia di una mancata condanna, 492
10. Le ultime sessioni pubbliche, 506
11. La giornata storica del 7 dicembre, 510
12. Sul Concilio Vaticano II cala il sipario, 523

527 VII. L’EPOCA DEL CONCILIO (1965-1978)


1. L’epoca della “Rivoluzione conciliare”, 527
2. La riforma della Curia di Paolo VI, 530
3. L’esplosione della crisi: il nuovo catechismo olandese, 536
4. La contestazione dell’Humanae Vitae, 539
5. 1968: la Rivoluzione nella società, 542
6. La teologia della liberazione, 547
7. “Il fumo di Satana” nel tempio di Dio, 554
8. La disfatta dei conservatori dopo il Concilio, 559
9. L’Ostpolitik vaticana, 563
10. Il post-Concilio e la liturgia, 567
11. Il giubileo del 1975, 574
12. Il “caso Lefebvre”, 578
13. La “via italiana” al comunismo, 580
14. Le cause prossime e remote del “mondo in frantumi”, 584
15. Vent’anni di storia della Chiesa, 588

591 CONCLUSIONE

593 BIBLIOGRAFIA

599 INDICE DEI NOMI


Finito di stampare
nel mese di novembre 2010
presso Arti Grafiche Oltrepò - Broni (Pv)
per conto di Lindau - Torino

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