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Differenza tra lingua e dialetto —

“Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina” — Max Weinreich.

Innanzitutto va precisato che la differenza tra lingua e dialetto è di tipo extralinguistico. Questo
vuol dire che, sotto un punto di vista strutturale, una lingua e un dialetto sono identici: entrambi
sono dotati di un loro sistema fonetico-fonologico, morfologico e sintattico. Quello che manca
ai dialetti che le lingue invece hanno, è uno status ufficiale.

In Italia tendiamo a definire lingua l’italiano standard su base fiorentina, cioè quella varietà neo-
latina che per motivi politici e storici ha raggiunto la posizione di lingua ufficiale e letteraria nel
nostro paese. Con il termine dialetto, invece, intendiamo tutte le varietà locali relegate ai registri
bassi della comunicazione, che talvolta rappresentano anche varietà utilizzate nella
comunicazione primaria. Il fatto che i dialetti vengano usati nei registri bassi non significa, però,
che siano varietà corrotte dell’italiano standard. In realtà, tutte le varietà neo-latine parlate in
Italia discendono direttamente dal latino volgare e sono quindi sorelle dell’italiano standard.

Per di più, la definizione di dialetto non è neanche univoca. Nel mondo anglofono, per
esempio, il termine dialect si usa in riferimento a qualsiasi varietà locale o sociale della lingua.
Per evitare fraintendimenti si preferisce il termine varietà linguistica.

Altrimenti, possiamo evitare questa ambiguità del termine dialetto facendo uso della distinzione
proposta dal linguista Eugenio Coșeriu tra dialetti primari e secondari. Un dialetto primario si
riferisce a una varietà geografica sorella del dialetto da cui si è sviluppata la varietà standard e
che esisteva già prima della formazione di questo standard. Un dialetto secondario invece si
riferisce a una varietà geografica formata per differenziazione diatopica della lingua standard
dopo la sua diffusione. In base a questa distinzione potremmo dire che il napoletano è un
dialetto primario dell’italiano. L’italiano parlato a Napoli sarebbe invece un dialetto secondario.

Abstand- e Ausbausprachen —

Questi due termini sono strumenti linguistici sviluppati da Heinz Kloss che vengono impiegati
dalla sociolinguistica per determinare se una varietà linguistica è una lingua o un dialetto.

Il termine Ausbausprache può essere considerato un sinonimo di lingua standard in quanto si


riferisce a una varietà linguistica che ha un’ortografia e una grammatica standard e un lessico
ampio e ben definito. Una varietà linguistica non-Ausbausprache è una varietà che viene usata
per lo più oralmente e in contesti familiari. Pur essendo molto simili, alcune varietà linguistiche
possono essere considerate lingue diverse se hanno sviluppato forme standard diverse (per es.
danese, norvegese e svedese).

Il termine Abstandsprache si riferisce a una varietà linguistica che viene considerata lingua in
quanto è troppo diversa da qualsiasi altra varietà linguistica e non può quindi essere
considerata dialetto di nessuna lingua.

Definizione di comunità linguistica —

Nel definire il termine comunità linguistica ci troviamo davanti a quattro scuole di pensiero
diverse:

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• La prima è quella che ritiene che una comunità linguistica sia semplicemente l’insieme di
tutte le persone che usano la stessa lingua o dialetto (John Lyons).

• Un secondo gruppo la definisce come un gruppo di essere umani caratterizzati da


un’interazione regolare e frequente in una lingua, distinto da altri gruppi simili a causa di
differenze significative nell’uso della lingua (John Gumperz).

• Un terzo gruppo prende in considerazione il rapporto tra il parlante e la sua lingua definendo
una comunità linguistica come un gruppo di parlanti che condivide un insieme di
atteggiamenti sociali riguardo alla lingua. Il parlare la stessa lingua non è dunque sufficiente
per essere inseriti in una stessa comunità linguistica (William Labov).

• Infine, c’è un quarto gruppo che la definisce come un gruppo di parlanti che considerano loro
stessi utenti di una lingua, che svolgono interazioni regolari attraverso un repertorio condiviso
e che hanno in comune una serie di valori normativi riguardo al linguaggio (Gaetano Berruto).

Definizioni di alcuni termini importanti —

Il termine diglossia si riferisce a una realtà linguistica dove in una stessa comunità linguistica
sono presenti due o più varietà linguistiche usate dai parlanti in contesti diversi. La varietà
generalmente impiegata nei contesti formali o scritti viene definita acroletto o varietà alta.
Quella varietà che invece viene usata nella comunicazione orale spontanea o familiare viene
chiamata basiletto o varietà bassa. La distribuzione di due o più varietà non è sempre
motivata dai registri in cui vengono impiegati (alto o basso). Per esempio, in Svizzera il tedesco
standard (Hochdeutsch) e il tedesco svizzero (Schwyzertütsch) si usano esclusivamente nella
lingua scritta e nella lingua orale rispettivamente. Il registro non è quindi un fattore che
determina la distribuzione di queste due varietà.

Il termine dilalia si riferisce invece a una realtà linguistica in cui l’acroletto può essere usato in
tutti gli ambiti, mentre il basiletto viene impiegato soltanto nei registri bassi della
comunicazione (lingua orale o familiare). Questa situazione esiste per esempio in Italia.

Il termine bilinguismo o plurilinguismo si riferisce a una situazione linguistica dove in una


comunità sono presenti due o più lingue il cui uso non è condizionato da fattori sociolinguistici.
Le varietà possono essere impiegate indifferentemente in tutti i contesti della comunicazione.

Il termine lingua tetto o Dachsprache, coniato da Heinz Kloss, indica una varietà linguistica
dotata di prestigio sociale superiore rispetto ad altri dialetti parlati in una regione data. Una
lingua tetto può essere omogenetica se le lingue a cui fa da tetto appartengono allo stesso
ceppo linguistico o eterogenetica se le lingue a cui fa da tetto appartengono a ceppi diversi.

La lingua può assumere due funzioni diverse nell’interazione di un parlante con il suo gruppo.
La funzione comunicativa è quella che permette alla lingua di fungere come veicolo per lo
scambio di informazioni, mentre la funzione simbolica è quella che permette al parlante di
identificarsi con i membri del suo gruppo. Queste funzioni possono anche divergere. Per
esempio, un cittadino di Dublino potrebbe utilizzare l’inglese come mezzo di comunicazione
ma sentirsi più identificato con l’irlandese, pur conoscendolo a malapena.

Esistono sentimenti di identificazione linguistica primaria che sono legati alla propria varietà
di prima socializzazione e sentimenti di identificazione linguistica secondaria indotti
generalmente dalla scuola e dall’ambiente sociale che sono legati solitamente alla lingua
nazionale. Ogni tanto può esserci un riorientamento della popolazione rispetto
all’identificazione secondaria a seguito di fenomeni sociali o politici (per es. il friulanofono che

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smette di considerare il friulano come dialetto dell’italiano identificandolo come dialetto del
friulano).

Rapporti fra lingua e Stato —

Esistono diversi modi in cui uno stato può affrontare la propria situazione linguistica. Il modello
francese, per esempio, è basato sull’idea che lo Stato abbia bisogno di uno standard che sia
espressione dell’unità nazionale. Questo modello di stato-nazione è il modello più diffuso nel
mondo occidentale. Nel Regno Unito, curiosamente, l’inglese non è mai stato imposto dal
governo, ma per il fatto che era una lingua di alto prestigio economico e sociale, più persone
sceglievano di parlarlo. Oggi esistono leggi ad hoc legate a territori specifici del Regno Unito
che servono a proteggere le minorità linguistiche locali come in Galles e in Scozia dove vigono
la New Welsh Language Act e la Gaelic Language Scotland Act rispettivamente. Alla fine, per
adeguare la propria legislazione a quella dei partner europei, il governo britannico ha dovuto
ratificare leggi per proteggere anche lo scots, l’irlandese, il mannese e il cornico con la
European Charter for Regional and Minority Languages. Altre nazioni, come la Svizzera, sono
esempi di comunità plurilingui basate su suddivisioni territoriali. Il plurilinguismo svizzero, per
esempio, è sancito dalla Costituzione federale. Ogni cantone ha le sue proprie lingue che usa
nei rapporti civili- amministrativi e come lingua di istruzione nelle scuole pubbliche.

La Framework Convention for the Protection of National Minorities —

Nel 1995 il consiglio d’Europa redige la cosiddetta Framework Convention for the Protection of
National Minorities che delinea i principi guida per il rispetto della diversità linguistica e delle
minoranze. Questa legislazione però non prevedeva nessun meccanismo concreto di
attuazione.

La European Charter for Regional and Minority Languages conclusa a Strasburgo nel 1992 ed
entrata in vigore nel 1998 proponeva invece una serie di misure legislative e applicative per
l’implementazione del plurilinguismo in vari settori dell’amministrazione e dell’educazione dei
paesi che la sottoscrivono. Per lingue regionali e minoritarie si intendono le lingue usate
tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di quello Stato che formano un gruppo
numericamente inferiore al resto della popolazione. Queste lingue devono essere diverse dalla
lingua ufficiale dello Stato e non può essere né dialetto della lingua ufficiale né lingua di
migranti. La distinzione tra lingua minoritaria e dialetto della lingua ufficiale pone problemi
metodologici di demarcazione abbastanza complessi, specialmente in una situazione
complessa quanto quella italiana. Gli articoli delineati nella carta sono anche suddivisi in
paragrafi che i ratificanti possono scegliere di non applicare, a patto che almeno 35 di questi
paragrafi vengano implementati. L’Italia ha firmato la carta nel 2000.

Le minoranze linguistiche in Italia —

Le minoranze linguistiche in Italia si suddividono in due tipi: varietà neolatine (non appartenenti
al ceppo italo-romanzo) e varietà non neolatine.

Le varietà neolatine sono quelle:

• Franco-provenzali in Piemonte e in Valle d’Aosta e in alcune comunità dell’Italia meridionale.

• Occitane e provenzali alpine sempre in Piemonte e in alcune comunità dell’Italia


meridionale.

• Francesi in Valle d’Aosta.

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• Ladine dolomitiche nelle valli dolomitiche.

• Friulane nella regione del Friuli.

• Catalane ad Alghero in Sardegna.

• Sarde in Sardegna.

• Altre eteroglossie interne di varietà galloitaliche. Queste sono varietà settentrionali del
ceppo italo-romanzo che vengono parlate da gruppi di persone che mantengono la varietà
linguistica dei loro antenati che si sono spostati per motivi diversi in altre zone dell’Italia.

Le varietà non neolatine sono quelle:

• Austro-bavaresi in Trentino Alto Adige (più specificamente in provincia di Bolzano).

• Alemanniche dette anche Walser in Piemonte e Valle d’Aosta.

• Cimbre nei comuni veronesi e in alcuni comuni vicentini.

• Slovene a Gorizia, Udine e Trieste.

• Croate in Molise.

• Greche nel Salento e in provincia di Reggio Calabria.

• Albanesi in tutte le regione dell’Italia meridionale.

L’articolo 6 della Costituzione italiana e la legge 482/99 —

L’articolo 6 della Costituzione italiana per la tutela delle minoranze linguistiche sopra citate
entrò in vigore nel 1948 ma la legge di attuazione di quest’articolo non arriva che dopo
cinquant’anni nel 1999. La legge delega alle comunità stesse tutte le questioni che riguardano
il corpus planning: spetta cioè alla comunità stessa scegliere la lingua di riferimento. Per le
varietà che hanno una lingua tetto di riferimento il problema si risolve facilmente. Invece per
quelle che non ce l’hanno, bisogna individuare un codice di riferimento attraverso un lavoro
esteso di corpus planning sulle differenti varietà locali per poter avere uno strumento valido per
l’amministrazione e l’educazione.

Il sacrificio linguistico nell’individuazione di uno standard —

Queste varietà cui spetta individuare uno standard di riferimento sperimenteranno


inevitabilmente il sacrificio linguistico. Questo concetto consiste nell’abbandonare
consapevolmente la propria varietà locale alla ricerca di una superiore unità linguistica (cfr. gli
standard artificiali per es. il ladin dolomitan, il rumantsch grischun o l’euskara batua).

La pianificazione linguistica (language planning) —

Affinché i diversi codici possano assolvere tutte le funzioni che di solito sono proprie delle
lingue ufficiali è necessario che si dotino di appropriati strumenti linguistici. Con pianificazione
linguistica  ci si riferisce a sforzi deliberati di influenzare il comportamento altrui relativo
all'acquisizione, alla struttura o alla funzione di una lingua. La pianificazione linguistica può
essere divisa in tre parti:

• Corpus planning — pianificazione ortografica, fonetica, morfologica, sintattica, e lessicale al


fine di dotare una varietà linguistica dei mezzi per far fronte alle necessità alle quali si intende
destinarla.

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• Status planning — la preparazione dettagliata di un apparato normativo e giuridico che
funga da supporto alla lingua per aumentarne e consolidarne il prestigio.

• Acquisition planning — La pianificazione dell'insegnamento e l'apprendimento di una


varietà linguistica. Volta a incrementare il numero di persone che usano quella lingua, la sua
distribuzione e la sua alfabetizzazione; scopi che raggiunge mediante la creazione di nuove
opportunità e incentivi per l’apprendimento.

In alcuni casi esistono lingue che hanno già una forma più o meno standardizzata:
sostanzialmente una lingua codificata, letteraria e di ininterrotta tradizione, accettata e
praticata dai parlanti come lingua scritta accanto ad altre varietà locali (per es. il gallese in Gran
Bretagna). In questo caso sono necessarie azioni legislative (status planning) e di diffusione nel
territorio (acquisition planning).

Le lingue non sono solo mezzi di comunicazione ma componenti cruciali dell’identità


individuale e collettiva. Sostenere l’assimilazione delle minoranze al fine di ottimizzare la
funzionalità dei circuiti comunicativi significa sottovalutare pericolosamente il rischio di perdita
irreversibile per intere porzioni di sapere umano.

Corpus planning —

***

La scelta del codice in Italia:

Con la caduta dell’impero romano d’Occidente la lingua latina non è scomparsa. Il latino
classico era la lingua studiata e usata dalle persone istruite, mentre il resto della popolazione
usava varietà locali assai diverse dal latino classico dette volgari. La principale differenza
rispetto al latino letterario era la maggiore influenza dei substrati linguistici locali e la mancanza
di una codificazione legata alla scrittura. Nei secoli successivi le condizioni economiche e
politiche dell’Italia migliorarono sempre più. Si svilupparono in ogni regione attività nuove e si
avvertì sempre di più la necessità di usare una lingua scritta più semplice, comprensibile anche
a chi non aveva studiato il latino. Le opere dotte e di carattere scientifico si scrivevano ancora
in latino, mentre i contratti commerciali, alcune leggi, i canti religiosi, le opere letterarie si
scrivevano sempre più spesso in volgare.

L’Italia dal Duecento al Quattrocento vide una grande fioritura di civiltà in tutte le sue regioni;
tra queste Firenze ebbe il maggior sviluppo economico e culturale. La forza economica e
politica di Firenze alla fine del Duecento favorì lo sviluppo della cultura: pittori, scultori, scrittori
trovarono l’ambiente ideale per produrre le loro opere. Tuttavia il fattore che maggiormente
favorì il volgare fiorentino rispetto agli altri volgari d’Italia, è dato dalla quasi contemporanea
produzione in questa lingua di tre scrittori che sono tra i più famosi al mondo: Dante Alighieri
(1265-1321), Francesco Petrarca (1304-1374), Giovanni Boccaccio (1313-1375). Le loro opere
scritte in volgare si diffusero rapidamente in tutta l’Italia, e divennero un modello per gli altri
scrittori, che iniziarono a comporre in fiorentino.

La questione della lingua, ossia il dibattito nato in ambito letterario riguardante la lingua da
utilizzare nella penisola italiana, raggiunse il suo culmine nel ‘500. A questo punto si erano
formate tre correnti diverse, ognuna delle quali sosteneva un volgare diverso:

• La corrente cortigiana che sosteneva di dover usare la lingua parlata nelle corti italiane.

• La corrente fiorentina che sosteneva di dover usare il volgare fiorentino parlato sul territorio.

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• La corrente arcaizzante che sosteneva che la lingua doveva basarsi sulle grandi opere degli
scrittori fiorentini del ‘300, più precisamente Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
Dante, pur considerato grande, viene scartato perché aveva utilizzato una lingua troppo
contaminata da altri codici.

Con la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo nel 1525 si risolse la
questione con l’affermazione del suo modello e quindi con la nascita della lingua letteraria
toscana. Poi, nel 1860, con la nascita dello stato unitario, la varietà bembiana nata per essere
solo letteraria fu imposta come lingua ufficiale, amministrativa e scolastica. Esisteva comunque
una situazione di diglossia che vedeva una lingua fortemente arcaizzante e letteraria al polo
alto e tanti dialetti nel polo basso. Per risolvere questa asimmetria, Alessandro Manzoni
propose l’uso del fiorentino parlato dalla borghesia colta della città toscana opponendosi alla
posizione di tanti puristi che continuavano a proporre come modello il fiorentino arcaizzante.
Manzoni andò a stabilire poi il modello da lui proposto con la pubblicazione de I promessi sposi
nel 1842.

***

La scelta di un alfabeto e un’ortografia:

Scelto lo standard è assolutamente importante dare ai parlanti una forma di scrittura. La


scrittura è un veicolo fondamentale di identificazione linguistica del parlante. Quasi tutte le
nuove lingue codificate in Europa occidentale e in America fanno uso dell’alfabeto latino,
mentre quelle codificate in Europa orientale usano l’alfabeto cirillico. L’alfabeto latino appare
anche legato alla cultura cattolica mentre l’alfabeto cirillico ha un forte carattere ortodosso.
Quest’ultimo è un alfabeto fortemente ideologico, rappresentativo tra le altre cose del
socialismo sovietico.

In Albania, per esempio, prima della riforma attuata dal regime comunista che impose
l’alfabeto latino, la stessa lingua poteva essere scritta con tre alfabeti diversi (latino, cirillico e
arabo) a seconda della confessione religiosa dello scrivente.

La presenza di due sistemi alfabetici favorisce la percezione di avere a che fare con due codici
diversi. L’hindi e l’urdu sono praticamente lo stesso codice; la vistosa separazione tra le due
lingue è garantita dal differente sistema alfabetico (arabo per l’urdu e devanāgarī per l’hindi).
Invece, finché vige la stessa norma scritta e quello che è considerato un unico codice viene
letto in maniera molto differente i parlanti possono pensare di parlare la stessa lingua.

In realtà anche piccole differenze ortografiche possono dar luogo a consapevoli differenziazioni
identitarie come nel caso delle varianti britanniche e americane delle parole color/colour, honor/
honour, center/centre, etc.

Nel scegliere un’ortografia per un codice si hanno tre opzioni diverse tra cui scegliere:

• un’ortografia fonetica che rispecchi grosso modo le effettive realizzazioni dei suoni.

• un’ortografia etimologica che documenti derivazioni e apparentamenti delle forme


linguistiche della lingua dalla quale provengono al di là della loro forma attuale.

• un’ortografia mista talvolta fonetica, talvolta etimologica che tra l’altro rappresenta il
naturale risultato dell’evoluzione della lingua.

Anche le lingue a ortografia etimologica hanno attraversato un periodo in cui più o meno si
scriveva come si sentiva parlare. Le differenze che risultano fra la lingua scritta e parlata si
deve alla maggiore velocità con cui la lingua orale evolve rispetto alla lingua scritta.

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Il francese per esempio ha un’ortografia altamente etimologica che rispecchia ancora elementi
propri del latino, mentre quella dell’italiano è senz’altro più fonetica sebbene non del tutto
(amico/amici/amiche).

Sistemi ortografici strettamente fonetici sono assai poco funzionali specialmente se si prende
in considerazione il fatto che varietà parlate anche abbastanza diverse fra loro possono essere
riconosciute dai parlanti come parte della stessa lingua. In tal caso una corrispondenza totale
tra grafo e fono risulterebbe davvero scomoda, obbligandoci a rendere normativi anche i
fenomeni eterogenei del parlato che sono estremamente soggetti alla variazione.

Una grafia troppo etimologica potrebbe risultare assai difficile da leggere e rischierebbe inoltre
di non essere accettata dai parlanti.

Le grafie tradizionali formatesi nel corso dei secoli nascono da un compromesso tra i due
criteri e si rivelano assai utili in quanto sono meno precise e quindi più adoperabili da varietà
diverse della stessa lingua.

La grafia dell’italiano è opportunamente equivoca in quanto permette ai parlanti di realizzare


pronunce diverse delle stesse parole e quindi di riconoscersi in un medesimo sistema di
scrittura. Si pensi ai grafemi {e} e {o} che possono pronunciarsi [e] o [ɛ] e [o] o [ɔ]
rispettivamente, o {z} che rende sia il fonema [dz] che il fonema [ts]. Il sistema italiano si può
dire un sistema fonologico, cioè che tiene conto esclusivamente dei fonemi e non segnala
differenziazioni esclusivamente fonetiche.

Caso di studio: l’ex Jugoslavia —

Con la nascita di tre stati diversi nell’area dove si parlava un’unica lingua (il serbocroato) si è
verificata la necessita di agire con politiche di corpus planning molto incisive affinché ciò che
una volta era lingua comune acquisisse l’aspetto esterno di tre lingue diverse l’una dall’altra. Le
tre nuove lingue standard sono basate tra l’altro su un’unica varietà del serbocroato lo štokavo.
Il croata, però, utilizza l’alfabeto latino, mentre il serbo utilizza l’alfabeto cirillico. Il bosniaco può
impiegare l’alfabeto latino, cirillico e arabo semplificato (in alcuni ambienti religiosi), preferendo
tuttavia l’alfabeto latino in generale.

La standardizzazione ortografica del rumantsch grischun e del ladin dolomitan —

Per arrivare a una standardizzazione ortografica di due codici amministrativi Henrich Schmid si
è basato su un criterio innovativo per il quale la grafia rappresenta una specie di minimo
comune denominatore delle varietà presenti nella valle.

I caratteri bandiera o flag characters —

Il termine caratteri bandiera si riferisce a caratteri ortografici che consentono di riconoscere


che un testo è scritto in una lingua invece che in un’altra. Per esempio, il nome della regione
Catalogna viene pronunciato nello stesso modo in spagnolo e in catalano. La realizzazione
ortografica Cataluña ci dice che abbiamo a che fare con una parola spagnola, mentre quella
scritta Catalunya ci fa capire che si tratta di una parola catalana. Il sardo impiega similmente
due caratteri propri per distinguere la zeta sonora da quella sorda: usa la combinazione {tz} per
rappresentare il suono [ts] e il grafema {z} per rappresentare il suono [dz].

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Lingue polinomiche —

Il concetto di lingua polinomica definisce un insieme di varietà linguistiche che presentano


alcune differenze tipologiche (sul piano della fonetica, della morfologia o della sintassi) ma
considerate dai suoi locutori come dotate di una forte unitarietà. Questo concetto è stato
sviluppato per descrivere la situazione particolare della lingua corsa. Lo sviluppo di questo
concetto ha avuto un impatto diretto sulla politica linguistica e sul processo di normalizzazione,
dando una chiara base scientifica riguardo all'idea che una data comunità linguistica è in grado
di gestire la sua unità senza che questa subisca necessariamente l'imposizione di una varietà a
scapito di altre, evidenziando così il ruolo dei locutori nelle decisioni di politica linguistica.

Il lessico —

Spesso, le varietà che sono oggetto di standardizzazione sono varietà di identificazione


primaria molto legate al proprio senso di comunità. Questo rende il processo di
standardizzazione molto delicato. E’ opportuno in questo caso evitare qualsiasi tipo di
imposizione. Sul piano lessicale il lavoro dovrebbe focalizzarsi soprattutto sul linguaggio
pubblico-amministrativo lasciando che gli ambiti più personali come quelli letterari si sviluppino
autonomamente. L’intromissione del pianificatore rischia di essere percepita come una violenza
e di risultare controproducente al lavoro del corpus planning. Il lavoro sul linguaggio pubblico e
amministrativo, se presentato come tale, avrà inevitabilmente riflessi spontanei su altri livelli
della lingua. Il parlante che non riceva rassicurazioni sul fatto che potrà continuare a usare la
varietà he sente come sua potrebbe sviluppare legittimi sentimenti di rifiuto.

Il lavoro di standardizzazione lessicale presuppone più che altro delimitazioni di ambito


semantico piuttosto che la preparazione di liste di parole. A questo scopo ci possiamo servire
della neologia formale (derivazione, composizione, ricorso a prestiti arcaici o geosinonimi, o
creazione ex nihilo) e della neologia semantica (metafore, metonimie, calchi, interiezioni,
onomatopee). Bisognerà poi adattare le eventuali parole nuove al codice sotto un punto di
vista fonetico-fonologico, morfologico e sintattico.

Considerazioni teoriche sulle lingue standard —

Le lingue standard sono il prodotto di un intervento diretto e premeditato della società.


L’affermazione di uno standard prevede questi singoli processi:

• La selezione di una singola varietà che possa adempiere al ruolo di standard, scelta molto
importante dal punto di vista sociopolitico in quanto la varietà aumenterà di prestigio.

• La codificazione, cioè il compito di fissare la varietà in modo che tutti concordino su cosa è
corretto.

• L’elaborazione della funzione per fare sì che la varietà scelta possa essere usata in tutte le
sue funzioni ufficiali collegate con il governo centrale e la scrittura.

• L’accettazione della lingua che servirà come forza unificatrice dello stato o come simbolo
della comunità in questione.

Status, funzione e prestigio —

Il prestigio di una lingua viene definito come il valore che nei confronti dell’avanzamento
sociale. Hanno prestigio linguistico le varietà il cui possesso è condizione necessaria per
l’ascesa nella scala sociale e per il progresso sul mercato di lavoro. In realtà il prestigio di una
lingua può essere influenzato da alcuni fattori specifici come: (i) gli atteggiamenti linguistici
favorevoli dei parlanti, (ii) l’essere veicolo di ampia e apprezzata tradizione letteraria, o (iii)
l’essere parlata dai gruppi sociali dominanti.

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Due concetti basilari per stabilire la posizione sociale occupata da una lingua o una varietà
linguistica qualunque, in una comunità, sono quelli di status e funzione. Lo status è definito
dagli usi a cui una lingua può adempiere in una certa comunità; la funzione, invece, dagli usi a
cui adempie effettivamente. In altre parole, per status si intende ciò che si può fare con una
lingua e per funzione ciò che con essa davvero si fa sul piano legale, culturale, economico,
politico, sociale in una data comunità.

Talvolta status e funzione possono divergere come nel caso del gaelico irlandese che pur
essendo lingua ufficiale dell’Irlanda e quindi di status e prestigio elevato, viene effettivamente
usata in ambiti molto ridotti.

Le lingue di maggiore diffusione rappresentano i casi dove status e funzione convergono.

Lo sviluppo dell’acquisizione di nuovi ambiti di uso —

Lo sviluppo dell’acquisizione di nuovi ambiti di uso è stato descritto da Heinz Kloss come un
processo graduale che va da usi gergali ad usi in ambiti artistici ad ambiti scientifici,
amministrativi e giornalistici. Il tentativo di passare velocemente a una fase più alta saltando
quelle intermedie di norma è destinato al fallimento. Il reticolo di Kloss si riferisce allo schema
da lui sviluppato che serve a dimostrare il processo di sviluppo dell’acquisizione di nuovi ambiti
di uso. Questa reticolo, diviso in nove quadrati, parte da quello in basso a sinistra (quadrato #1)
fino ad arrivare a quello in alto a destra (quadrato #9). I diversi numeri rappresentano le diverse
tappe legati ad ambiti di uso acquisiti, dove 9 sta per il massimo sviluppo del linguaggio
tecnico-scientifico.

Status planning —

Con status planning si intende la totalità di un apparato normativo teso a garantire i diritti
linguistici della popolazione.

Il termine diritto linguistico si riferisce all’effettiva legislazione che vige su un dato territorio,
mentre il termine diritti linguistici si riferisce al diritto di ogni cittadino a parlare la propria lingua
madre, al diritto delle comunità a considerarsi come tali, a dotarsi di proprie istituzioni e a
vedere garantita all’interno del proprio territorio la lingua che più ritengono opportuna.

Il diritto linguistico può essere basato su due criteri: quello di personalità e quello di
territorialità. Con personalità del diritto linguistico si intende la possibilità teoria di un cittadino
di poter usare la propria lingua in tutto il territorio dello stato. Con territorialità del diritto
linguistico si allude a una delimitazione territoriale di tale uso regolato a maniera diversa a
seconda dell’area geografica dello stato preso in considerazione. Gli ambiti in cui questi
principi legali sono normalmente applicati sono praticamente due:

• Il settore istituzionale (l’amministrazione e il governo).

• Il settore educativo (scuole).

Differenza tra lingue minoritarie e lingue in condizione di minoranza —

Una lingua in situazione di minoranza è una lingua che ha un prestigio sociale basso e uno
status giuridico inferiore rispetto alla lingua dominante (per es. il bretone in Francia).

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Una lingua minoritaria può essere anche una lingua di grande diffusione internazionale che si
trova in minoranza demografica o legislativa all’interno di un determinato stato (per es. il
francese in Canada).

Legislazione scolastica —

Una delle attività più delicate della pianificazione linguistica è la regolamentazione della lingua
nella scuola. La maggior parte dei programmi di rivitalizzazione linguistica nella scuola partono
dal presupposto che le attività di sostegno alla lingua debbano attuarsi insieme a quelle di
recupero culturale. Nella maggior parte dei casi però, questo tipo di approccio rischia di fallire.

La cultura tradizionale dei “nonni” può riscuotere senz’altro simpatia ma, nelle nuove
generazioni, può essere vissuta come espressione di una realtà antiquata e generare
sentimenti di rifiuto configurandosi come statica e locale (per es. il gaelico irlandese). Anche a
una lingua che viene considerata dai suoi parlanti come minoritaria è necessario collegare
valori propositivi orientati verso una società più complessa, aperta verso l’esterno e la
specializzazione tecnologica. Non è sufficiente oggi per una lingua essere legata a valori
ideologici e di recupero del passato.

Il punto di svolta sta nell’utilizzare la lingua di minoranza come uno strumento per veicolare
nozioni utili, adatte al mondo in cui i discenti si trovano immersi. La lingua deve configurarsi
come uno strumento normale non marcato.

Commistioni positive e negative —

Le commistioni negative sono quei modelli che riconoscono i diritti linguistici di alcune
popolazioni di minoranza esclusivamente nel territorio in cui vivono, mentre il gruppo di
maggioranza gode dei propri diritti linguistico-culturali su tutto il territorio. Per es. in Russia
dove il russo è usato ovunque nell’amministrazione e nell’educazione e l’esistenza di scuole
nazionali e di amministrazioni bilingui è possibile soltanto nelle repubbliche federate.

Le commistioni positive sono quei modelli in cui due lingue ufficiali si ripartiscono il territorio
secondo criteri demografici, ma si promuovono ampie aree amministrativamente bilingui e al
cittadino è concesso il diritto di scegliere la lingua dell’educazione in tutto il territorio nazionale.

La Finlandia rappresenta un caso di bilinguismo positivo, mentre il Belgio rappresenta un caso


di bilinguismo negativo. Un cittadino belga di lingua fiamminga può non conoscere per nulla il
francese e viceversa per i cittadini di lingua francese nei confronti del fiammingo.

Acquisition planning —

Con acquisition planning si definiscono le azioni pubbliche che mirano a potenziare il numero
di utenti potenziali di una lingua.

Il Catherine wheel model —

Il Catherine wheel (un tipo di fuoco d’artificio a forma di ruota che gira intorno a un punto)
model è un modello circolare che cerca di rappresentare la relazione stretta che esiste tra (i) la
competenza linguistica, (ii) l’uso sociale di detta lingua, (iii) la presenza e domanda di prodotti
nella lingua, (iv) la motivazione a comprenderla e usarla. Questi fattori si sostengono a vicenda
incrementando l’uso e il prestigio di una lingua.

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Lo scopo di una politica di acquisition planning è dunque quello di intervenire in un qualsiasi
punto del modello circolare della Catherine wheel per dar corso a una continua rotazione della
ruota causando il rafforzamento consecutivo di tutti i punti.

La normalizzazione linguistica —

Un’azione di normalizzazione linguistica mira a far diventare normale una lingua senza che il
suo uso appaia marcato né in senso positivo né in senso negativo.

Classificazione delle varietà italiane —

Classificazione secondo Ascoli —

Per il fondatore della dialettologia italiana, Graziadio Ascoli, la situazione delle varietà
linguistiche parlate in Italia poteva essere così descritta:

• dialetti che dipendono da sistemi neolatini non peculiari dell’Italia (fuori dai confini politici
dell’Italia come i dialetti franco-provenzali, ladini o friulani).

• dialetti che si staccano dal sistema italiano ma non entrano a far parte di alcun sistema
neolatino estraneo all’Italia (i dialetti gallo-italici, cioè diversificatisi dal latino per azione del
sostrato celtico, tipo il ligure, il lombardo, il sardo, ecc.)

• dialetti di tipo toscano o che possono formare uno speciale sistema di dialetti neolatini
(còrso, siciliano, veneto, umbro, ecc.)

Ascoli partiva dalla centralità del toscano che era considerato il più simile al latino, e basava la
sua suddivisione sul sostrato.

Classificazione secondo Merlo —

La ripartizione di Clemente Merlo si basava ancora sul sostrato e su caratteristiche soprattutto


fonetiche:

• Nell’Italia settentrionale individuava i dialetti gallo-italici (sostrato celtico) e i dialetti veneti (a


diverso sostrato).

• I dialetti toscani (sostrato etrusco).

• I dialetti centro-meridionali (sostrato italico).

• Il sardo e il còrso (sostrato mediterraneo).

• I dialetti ladini erano raggruppati con il dalmatico.

Classificazione secondo Gerhard Rohlfs —

Rohlfs riconsidera i parametri delle classificazioni precedenti ma seleziona anche una serie di
criteri fonetici, morfologici, sintattici, e lessicali per l’individuazione della varietà. Rohlfs
propone il concetto delle isoglosse, cioè un confine immaginario fra un territorio in cui un
determinato fenomeno si verifica e il territorio in cui tale fenomeno non è presente. Un primo
confine viene tracciato con la linea La Spezia-Rimini che separa le varietà centro-settentrionali
da quelle centrali e la linea Roma-Ancona che divide le varietà centrali da quelle meridionali.

La Romània —

Le varietà romanze neolatine fanno parte della Romània, ovvero l’insieme dei territori dove si
parlano lingue che discendono dal latino. La Romània si divide in: Romània occidentale, che

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comprende i dialetti ibero-romanzi, gallo-romanzi e retoromanzi, e Romània orientale che
comprende i dialetti dell’Italia centrale e meridionale, il dalmatico e le varietà romene. Il confine
tra la Romània occidentale e la Romània orientale passa nella penisola italiana e coincide
tradizionalmente con la linea La Spezia-Rimini, anche se in realtà hanno carattere occidentale
tutte le varietà che si trovano a nord della linea Massa-Senigallia.

Lingua e società —

Le variabili sociali suscettibili di correlarsi con il comportamento linguistico sono:

• la stratificazione sociale.

• Il grado di istruzione.

• l’appartenenza di gruppo sociale.

• l’età e fascia generazionale.

• Il sesso.

• Il luogo di provenienza.

Differenza tra gergo, varietà di gruppo e lingua speciale —

I gruppi sociali sviluppano particolarità linguistiche, soprattutto lessicali che possono diventare
caratterizzanti per il gruppo stesso. Lingue speciali sono sottocodici molto tecnici posseduti
esclusivamente da addetti al lavoro.

I gerghi sono un esempio di sottocodice marcato e varietà di gruppo simultaneamente. Nei


gerghi si nota un notevole occultamento della riconoscibilità delle parole (verlan francese) ma il
mantenimento della morfologia e la sintassi della lingua originale.

Una varietà di gruppo si riferisce ai modi di uso di una lingua ricchi di una terminologia più o
meno specifica usati in ambienti o categorie sociali particolari.

Socioletto —

I socioletti sono una varietà di una serie di parlanti che hanno caratteristiche in comune come
per es. un’etnia condivisa come nel caso del African American Vernacular English (AAVE) che
ha peraltro caratteristiche fonetiche e morfosintattiche proprie.

Peer groups (gruppo dei pari) —

Questa nozione fa riferimento ai coetanei che condividono abitudini e atteggiamenti,


partecipano a attività comuni, hanno una posizione analoga nella società. Il modello degli usi
linguistici dei gruppi dei pari prevale spesso su quello della famiglia e dei genitori in età
adolescente e post-adolescente.

Sesso e genere —

Il sesso è il concetto biologico mentre il genere è un concetto socio-culturale che si riferisce


all’insieme dei ruoli e aspettative di comportamento connesso al sesso, frutto di costruzione
sociale basata su stereotipi. Sulla selezione delle diverse opzioni linguistiche influisce
decisamente il gender e solo indirettamente il sesso in quanto tale.

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