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Università del Salento

Dipartimento di Matematica

“Ennio de Giorgi”

Michele Carriero

Lucia De Luca

Appunti di

Analisi Matematica III modulo


Corso di Laurea in Matematica
Indice

Introduzione 1

Capitolo 1. Successioni e serie di funzioni 3


1.1. Successioni di funzioni reali di una variabile reale 3
1.2. Serie di funzioni 16
1.3. Serie di potenze 21
1.4. Serie di Taylor 29
1.5. Serie di Fourier 35

Capitolo 2. Limiti e continuità in più variabili reali 65


2.1. Topologia di Rn 65
n
2.2. Successioni di R 70
2.3. Completezza di Rn 74
2.4. Limiti e continuità delle funzioni reali di più variabili reali e delle
funzioni vettoriali di più variabili reali 74

Capitolo 3. Calcolo differenziale per funzioni reali di più variabili


reali e per funzioni vettoriali di più variabili reali 81
3.1. Derivate direzionali e derivate parziali prime 81
3.2. Funzioni differenziabili 83
3.3. Applicazione geometrica della differenziabilità e interpretazione
geometrica del gradiente 88
3.4. Una condizione sufficiente perché f sia differenziabile 89
3.5. Derivate parziali di ordine superiore 91
3.6. Differenziale di funzioni vettoriali. Differenziale di funzioni composte 96
iii
iv M. Carriero, L. De Luca

3.7. Formule di Taylor con resto di Peano e di Lagrange 101


3.8. Estremi (massimi, minimi) liberi.
Massimi e minimi assoluti (globali) e relativi (locali).
Condizione necessaria del primo ordine 109
3.9. Autovalori e autovettori. Forme quadratiche. 111
3.10. Classificazione delle forme quadratiche con gli autovalori 115
3.11. Condizione necessaria del secondo ordine e
condizione sufficiente per i massimi (minimi) relativi 117
3.12. Funzioni, reali di più variabili reali, convesse (concave) 128
3.13. Funzioni (positivamente) omogenee 130

Capitolo 4. Curve in Rn e integrali curvilinei 135


4.1. Definizioni 135
4.2. Curve regolari 136
4.3. Lunghezza di una curva 138
4.4. Curve equivalenti orientate 142
4.5. Integrale curvilineo di una funzione continua 146

Capitolo 5. Funzioni implicite: Teoremi di Dini 149


5.1. Premessa 149
5.2. Teorema del Dini in R2 150
n+1
5.3. Teorema del Dini in R 157
5.4. Teorema del Dini per sistemi di m equazioni in n + m incognite 158
5.5. Teorema di inversione locale 162

Alcuni esercizi proposti 169

Bibliografia 171
Introduzione

Questi appunti riproducono le lezioni (un po’ ampliate) del III modulo di Analisi
Matematica tenute in anni recenti da M. Carriero nel Corso di Laurea in Mate-
matica, Facoltà di Scienze MM. FF. NN. dell’Università del Salento.

Michele Carriero
Lucia De Luca.

Lecce, febbraio 2011.

1
CAPITOLO 1

Successioni e serie di funzioni

Iniziamo questa trattazione con lo studio delle successioni e delle serie nel caso in
cui i termini delle stesse sono, non numeri reali, ma funzioni reali di una variabile
reale. Ora, saranno contemporaneamente presenti due variabili, quella relativa al
dominio delle funzioni (in genere, variabile continua) e l’altra (variabile discreta)
indice della successione.

1.1. Successioni di funzioni reali di una variabile reale

Sia I un sottoinsieme non vuoto di R e sia {fk }k una successione di funzioni reali
fk : I → R.

Definizione 1.1.1.

def
{fk } converge in x0 ∈ I ⇔ la successione numerica
fk (x0 ) ha limite reale

def
{fk } converge puntualmente in J ⊆ I ⇔ lim fk (x) = f (x) ∀x ∈ J
k→+∞
alla funzione f : J → R
⇔ ∀ε > 0, ∀x ∈ J ∃ ν = νε,x ∈ N t.c.
∀k > ν : |fk (x) − f (x)| < ε.
(1.1)
3
4 M. Carriero, L. De Luca

def
{fk } converge uniformemente in J ⊆ I ⇔ lim sup |fk (x) − f (x)| = 0
k→+∞ x∈J
alla funzione f : J → R
⇔ ∀ε > 0 ∃ ν = νε ∈ N t.c.
∀k > ν : |fk (x) − f (x)| < ε ∀x ∈ J.
(1.2)

Notazione. La funzione f in (1.1) è detta limite puntuale della successione {fk }


e si scrive
fk → f in J,
mentre la funzione f in (1.2) è detta limite uniforme della successione {fk } e si
scrive
fk ⇒ f in J.

Evidentemente fk ⇒ f in J ⇒ fk → f in J.
In generale non vale l’altra implicazione.

Esempio 1.1.2. Siano a, b ∈ R, a 6= b e sia I = ] 0, 1 [. Consideriamo la


successione di funzioni

 a se 0 < x ≤ 1

fk (x) = k
1
 b se < x < 1.

k
Risulta:
lim fk (x) = f (x) = b ∀x ∈ ] 0, 1 [ ;
k→+∞
1
infatti, fissato x ∈ ] 0, 1 [ , per ogni k > (quindi per ogni k sufficientemente
x
1
grande) si ha < x < 1 e pertanto (sempre per k sufficientemente grande)
k
fk (x) = b.
La convergenza della successione {fk } alla funzione di costante valore b è puntuale,
ma non uniforme.
Analisi III 5

Infatti, preso ε = |a − b| > 0, se esitesse ν = νε ∈ N t.c.


|fk (x) − b| < ε ∀k > ν e ∀x ∈ ] 0, 1 [ , si avrebbe, in particolare, per
1
x=
k 
1
fk − b = |a − b| < ε = |a − b| che è assurdo.
k
Oppure basta osservare che lim sup |fk (x) − f (x)| = |a − b| = 6 0 perché a 6= b.
k→+∞ x∈ ]0,1[

Esempio 1.1.3. Sia I = [0, 2π] e consideriamo la successione di funzioni

fk (x) = sink (x).

Ora ∀ k ∈ N
π 
fk ≡1 successione (numerica) convergente
2 
3
fk π = (−1)k successione (numerica) non convergente
2
 
π 3
e fk (x) → 0 ∀x ∈ [0, 2π] \ , π . Allora la funzione limite f è definita in
2 2
3
[0, 2π] \ π e
2  π
 0 se x 6=

2
f (x) =
 1 se x = π .

2

Questo esempio mostra che in generale l’insieme di convergenza di una successione


{fk } è più piccolo dell’insieme in cui le funzioni fk sono definite.

Esempio 1.1.4. Sia I = [0, 1] e consideriamo la successione di funzioni

fk (x) = xk .

Allora (
0 se x ∈ [0, 1 [
lim fk (x) = f (x) :=
k→+∞ 1 se x = 1.
6 M. Carriero, L. De Luca

La convergenza della successione {fk } alla funzione f è puntuale, ma non unifor-


me.
1
Infatti, preso ε = , se esistesse ν = νε ∈ N t.c.
2
1
|fk (x) − f (x)| < ε ∀k > ν e ∀x ∈ [0, 1], si avrebbe, in particolare, per xk = √
k
    2

fk √ 1 1 1 1 1
k
−f √ k
= − 0 = < ε = , che è assurdo.
2 2 2 2 2
Oppure basta osservare che sup |fk (x) − f (x)| = 1.
x∈[0,1]

Esempio 1.1.5. Sia I = R e consideriamo la successione di funzioni

x2
fk (x) = .
k + x2

Per x ∈ R e k ∈ N

1 x2 1 x2 1
fk (x) ≤ ⇔ 2
≤ ⇔ 2
− ≤0
2 k+x 2 k+x 2
2
x −k h √ √ i
⇔ ≤ 0 ⇔ x ∈ − k, k
2 (k + x2 )
insieme monotono crescente rispetto a k e
[h √ √ i
− k, k = R.
k∈N

Allora lim fk (x) = 0 ∀x ∈ R.


k→+∞
La convergenza della successione {fk } è puntuale, ma non uniforme in R.
Infatti:

x2
|fk (x) − f (x)| < ε ⇔ < ε ⇔ x2 < εk + εx2
k + x2
1−ε 2
⇔ k> x,
ε
Analisi III 7


1−ε 2 1
pertanto per 0 < ε < 1, νε,x = x cresce indefinitamente per x → +∞
ε
x2
e dunque non esiste νε t.c. valga < ε per k > νε e per ogni x ∈ R 2.
k + x2
Teorema 1.1.6 (sulla continuità del limite (uniforme)).
Sia {fk } una successione di funzioni.
fk : I ⊆ R → R continua ∀k ∈ N
⇒ f continua in I.
fk ⇒ f in I

Dim. Sia x0 ∈ I.
Vogliamo provare che
∀ε > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c. ∀x ∈ I :
lim0 f (x) = f x0

cioè che
x→x |x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x0 )| < ε.
Poiché fk ⇒ f , per ogni fissato ε > 0, si ha
ε
∃ ν = νε ∈ N t.c. ∀k > ν : |fk (x) − f (x)| < ∀x ∈ I. (1.3)
3
Fissiamo k0 > ν; per la continuità di fk0 in x0 , in corrispondenza di ε > 0
 ε
∃ δ = δε,x0 > 0 t.c. ∀x ∈ I : x − x0 < δ ⇒ fk0 (x) − fk0 x0 < .
3
0

Allora, per ogni x ∈ I t.c. x − x < δ, risulta

f (x) − f (x0 ) ≤ |f (x) − fk0 (x)| + fk0 (x) − fk0 x0 + fk0 (x0 ) − f (x0 )
ε ε ε
< + + = ε.
3 3 3

1Per ogni a ∈ R, la scrittura dae indica la parte intera superiore di a, ovvero il più piccolo
intero maggiore del numero a.
2Per provare che la convergenza di {f } non è uniforme in R basterebbe semplicemente
k

osservare che
x2
sup |fk (x) − f (x)| = sup 2
= 1.
x∈R x∈R k + x
8 M. Carriero, L. De Luca

Osservazione 1.1.7. La tesi del teorema 1.1.6 è equivalente a:

∀ x0 ∈ I lim0 f (x) = f x0 lim fk x0


 
⇔ ∃ lim0 lim fk (x) =
x→x x→x k→+∞ k→+∞

= lim lim fk (x)


k→+∞ x→x0

(inversione dei limiti).

Osservazione 1.1.8. Se la convergenza è solo puntuale, l’implicazione del teo-


rema 1.1.6 in generale non vale, come si può dedurre dall’esempio 1.1.4.

Esempio 1.1.9. Sia I = R e consideriamo la successione di funzioni continue

fk (x) = arctan kx.

Allora
 π
 se x > 0
 2

lim fk (x) = f (x) := 0 se x = 0
k→+∞
 − π se x < 0.


2
Ovviamente la convergenza di {fk } a f in R è solo puntuale, in quanto, se fosse
uniforme, per il teorema 1.1.6 f dovrebbe essere continua in R.

Sotto quali ipotesi per le funzioni fk definite in [a, b] e quale di tipo di convergenza
per le fk risulta
Z b Z b
lim fk (x) dx = lim fk (x) dx ?
k→+∞ a a k→+∞

Al teorema di passaggio al limite sotto il segno di integrale premettiamo il se-


guente esempio.
Analisi III 9

Esempio 1.1.10. Consideriamo la successione {fk }, dove le funzioni


fk : [0, 1] → R sono definte da




 0 se x = 0 
1


k se x ∈ 0,

fk (x) = k
  

 1
 0 se x ∈ ,1 .


k

Allora lim fk (x) = f (x) = 0 in [0, 1], ma la convergenza non è uniforme in


k→+∞
quanto

sup |fk (x) − f (x)| = k → +∞.


x∈[0,1]

1
Z 1 Z
k
Z 1
Ora, fk (x) dx = k dx = 1 mentre f (x) dx = 0, quindi
0 0 0

Z 1 Z 1
lim fk (x) dx = 1 6= 0 = f (x) dx.
k→+∞ 0 0

Esempio 1.1.11. Sia I = [0, 1] e consideriamo la successione

2
fk (x) = kx e−kx .
10 M. Carriero, L. De Luca

Allora lim fk (x) = f (x) = 0 in [0, 1], ma la convergenza non è uniforme in


k→+∞
3
quanto

max |fk (x) − f (x)| = max fk (x)


x∈[0,1] x∈[0,1]

1 1
= fk (xk ) = k √ · e−k 2k
2k
r
k
= → +∞ per k → +∞.
2e
Inoltre
Z 1  
1 −k
 1
lim fk (x) dx = lim 1−e =
k→+∞ 0 k→+∞ 2 2
Z 1
6= 0 = f (x) dx.
0

Teorema 1.1.12 (di passaggio al limite sotto il segno d’integra-


le).
Sia {fk } una successione di funzioni.
fk : [a, b] → R continua ∀k ∈ N ⇒ f : [a, b] → R integrabile
fk ⇒ f in [a, b] secondo Riemann e
Z b
lim fk (x) dx
k→+∞ a
Z b
= lim fk (x) dx
a k→+∞
 Z b 
= f (x) dx .
a

3Per ogni k ∈ N:
2 2
fk0 (x) = k e−kx + kx (−2kx) e−kx
2
= e−kx k − 2k 2 x2 ;


1 1
ne segue che fk0 (x) = 0 ⇔ x = ± √ e xk = √ ∈ [0, 1] è punto di massimo assoluto di fk
2k 2k
in [0, 1].
Analisi III 11

Dim. Osserviamo preliminarmente che, per il teorema 1.1.6, f è continua in [a, b],
quindi ivi integrabile. Inoltre
Z b Z b Z b


fk (x) dx − f (x) dx ≤ |fk (x) − f (x)| dx
a a a
≤ (b − a) max |fk (x) − f (x)| → 0
x ∈ [a, b]

perché fk ⇒ f .

Più in generale, sussiste il seguente risultato di passaggio al limite sotto il segno


di integrale.

Teorema 1.1.13. Sia {fk } una successione di funzioni.

fk : [a, b] → R integrabile ⇒ f : [a, b] → R integrabile


secondo Riemann ∀k ∈ N secondo Riemann e
Z b
fk ⇒ f in [a, b] lim fk (x) dx
k→+∞ a
Z b
= lim fk (x) dx
 aZ k→+∞
b 
= f( x) dx .
a

I teoremi 1.1.12 e 1.1.13 non valgono in generale per integrali impropri, come
dimostrano i seguenti esempi.

Esempio 1.1.14. Sia I = R e consideriamo la successione



 1 se −k < x < k
fk (x) = 2k
 0 altrimenti.
12 M. Carriero, L. De Luca

Evidentemente fk ⇒ f ≡ 0 in R e
Z +∞ Z k
1
fk (x) dx = dx = 1
−∞ −k 2k
Z +∞
6 = 0= f (x) dx.
−∞

Esempio 1.1.15. Sia I = [0, +∞ [ e consideriamo la successione di funzioni


continue
x −x
fk (x) = e k.
k2
4
Allora fk ⇒ f ≡ 0 e
Z +∞ Z R
fk (x) dx = lim fk (x) dx
0 R→+∞ 0

x − x iR 1 R − x
h Z 
= lim − e k + e dx
k
R→+∞ k 0 k 0
 
R −R − R
= lim − e k − e k + 1 = 1
R→+∞ k
Z +∞
6 = 0= f (x) dx.
0

In generale, il limite uniforme di una successione di funzioni derivabili non è


derivabile.

4Ovviamente fk → 0 in I; inoltre:

1 −x x −x 1 −x  x
fk0 (x) = e k − e k = e k 1 −
k2 k3 k2 k
= 0 ⇔ x = k,

1 −1
pertanto sup fk (x) = fk (k) = e → 0, cioè fk ⇒ 0 in [0, +∞ [ .
x∈[0,+∞ [ k
Analisi III 13

Esempio 1.1.16. Sia I = R e consideriamo la successione di funzioni 5


r
1
fk (x) = x2 + ∈ C 1 (R) ∀k ∈ N.
k

fk (x) ⇒ f (x) = x2 = |x| ∀x ∈ I e f (x) = |x| non è derivabile in x0 = 0.
Per provare la convergenza uniforme, basta osservare che
 
2 1
r

x + − x2
1 k
|fk (x) − f (x)| = x2 + − x2 = r

k 1 √
x2 + + x2
k
1 1
= r k ≤ rk
1 √ 1
x2 + + x2
k k
r
1
= → 0 per k → +∞.
k

Inoltre, anche se la funzione limite f è derivabile, in generale non risulta


f 0 = lim fk0 .
k→+∞

Esempio 1.1.17. Sia I = R e consideriamo la successione


sin kx
fk (x) = ∀k ∈ N.
k
Si ha fk ⇒ f ≡ 0 mentre

fk0 (0) = cos kx|x=0 = 1 6= 0 = f 0 (0);

pertanto non risulta

lim fk0 (x) = f 0 (x) ∀x ∈ R.


k→+∞

5Sia A aperto di R.

def
f ∈ C k (A) ⇔ f ha derivate continue in A fino all’ordine k.
14 M. Carriero, L. De Luca

Teorema 1.1.18 (di passaggio al limite sotto il segno di deriva-


ta).
Sia {fk } ⊂ C 1 ([a, b]) una successione di funzioni.
Supponiamo che:

(i) esista x0 ∈ [a, b] t.c. la successione numerica fk x0 → l ∈ R




(ii) la successione di funzioni fk0 ⇒ g in [a, b].

Allora

fk ⇒ f in [a, b], f ∈ C 1 ([a, b])

e risulta

lim fk0 (x) = f 0 (x) 6


(cioè g(x) = f 0 (x)) ∀x ∈ [a, b] .
k→+∞

Dim. Essendo fk0 continua, per il teorema fondamentale del calcolo integrale,
abbiamo
Z x
0
fk (x) = fk (x ) + fk0 (t) dt ∀x ∈ [a, b] , ∀k ∈ N. (1.4)
x0

Per il teorema sulla continuità del limite uniforme 1.1.6 g è continua in [a, b] e,
quindi, ivi integrabile.
Per il teorema di passaggio al limite sotto il segno d’integrale 1.1.12, da (1.4)
segue (per k → +∞)
Z x
lim fk (x) = l + g(t) dt ∀x ∈ [a, b] (1.5)
k→+∞ x0
=: f (x),

 
6in d d
altri termini lim (fk (x)) = lim fk (x) .
k→+∞ d x dx k→+∞
Analisi III 15

pertanto fk → f in [a, b]. Ora, da (1.4) e (1.5), si ottiene


x 0
Z
0

|fk (x) − f (x)| ≤ fk x − l + (fk (t) − g(t)) dt
x0

≤ fk x − l + (b − a) max |fk0 (t) − g(t)| −−−−→ 0


0

| {z } t∈[a,b] k→+∞
→0 per (i) | {z }
→0 per (ii)

e quindi fk ⇒ f in [a, b].


Infine dal fatto che
Z x
f (x) = l + g(t) dt ∀x ∈ [a, b] ,
x0

per il teorema fondamentale del calcolo integrale, si ha che f è derivabile e che

f 0 (x) = g(x) ∀x ∈ [a, b] .

Monotonia e convergenza uniforme.

Teorema 1.1.19 (del Dini (monotonia rispetto al parametro k)).


Sia {fk } una successione di funzioni fk : [a, b] → R e sia f : [a, b] → R.
Se

(i) fk , f sono continue in [a, b] ∀k ∈ N,


(ii) {fk (x)}k è monotona crescente (decrescente) rispetto a k ∈ N,
∀x ∈ [a, b] (i.e. fk (x) ≤ fk+1 (x) ∀k ∈ N, ∀x ∈ [a, b]),
(≥)

(iii) fk → f in [a, b],

allora
fk ⇒ f in [a, b].
16 M. Carriero, L. De Luca

x
Esempio 1.1.20. Sia fk (x) = e k ∀x ∈ [0, 1] , ∀k ∈ N.
x x
Allora fk −−−−→ f ≡ 1 in [0, 1], f è banalmente continua e e k ≥ e k+1
k→+∞
∀x ∈ [0, 1] ⇒ la successione {fk (x)} è decrescente rispetto a k ∀x ∈ [0, 1]; per il
teorema 1.1.19 fk ⇒ f ≡ 1 in [0, 1].

Teorema 1.1.21 (monotonia rispetto alla variabile x).


Sia {fk } una successione di funzioni fk : [a, b] → R e sia f : [a, b] → R. Se

(i) f è continua in [a, b],


(ii) fk (x) è monotona crescente (decrescente) rispetto a x ∈ [a, b],
∀k ∈ N,
(iii) fk → f in [a, b],

allora f è monotona crescente (decrescente) in [a, b] e

fk ⇒ f in [a, b].

Esempio 1.1.22. Sia fk (x) = arctan kx ∀x ∈ [1, 2] , ∀k ∈ N.


π
Allora fk −−−−→ f ≡ in [1, 2], f è banalmente continua e
k→+∞ 2
0 k
fk (x) = ≥ 0 ∀k ∈ N ⇒ le funzioni fk sono crescenti rispetto a x ∈ [1, 2]
1 + k 2 x2
π
∀k ∈ N; per il teorema 1.1.21 fk ⇒ f ≡ in [1, 2].
2

1.2. Serie di funzioni

Notazione.
Sia {fk } è una successione di funzioni, fk : I → R ∀k ∈ N dove I è intervallo di
R; indichiamo con
n
X
sn (x) := fk (x) la successione delle somme parziali.
k=1
Analisi III 17

Definizione 1.2.1.
+∞
def
X
fk (x) converge puntualmente ⇔ ∃ lim sn (x) = f (x) ∈ R ∀x ∈ I
n→+∞
k=1
ad f (x) (somma della serie) ∀x ∈ I
⇔ ∀ε > 0, ∀x ∈ I ∃ ν = νε,x ∈ N t.c.
∀n > ν : |sn (x) − f (x)| < ε.

+∞ +∞
def
X X
fk (x) converge assolutamente ∀x ∈ I ⇔ |fk (x)| converge
k=1 k=1
puntualmente ∀x ∈ I.

+∞
def
X
fk converge uniformemente ⇔ lim sup |sn (x) − f (x)| = 0
n→+∞ x∈I
k=1
ad f in I
⇔ ∀ε > 0 ∃ ν = νε ∈ N t.c.
∀n > ν : |sn (x) − f (x)| < ε ∀x ∈ I.
+∞
def
X
fk converge totalmente in I ⇔ ∃ {Mk } ⊂ R t.c. Mk ≥ 0 ∀k ∈ N,
k=1
+∞
X
Mk < +∞ e |fk (x)| ≤ Mk ∀x ∈ I, ∀k ∈ N.
k=1

Osservazione 1.2.2. Una serie di funzioni uniformemente convergente converge


anche puntualmente.

Osservazione 1.2.3. Nella pratica, nella verifica della convergenza totale di una
serie di funzioni, può essere conveniente scegliere la successione Mk nel seguente
modo ottimale

Mk = sup |fk (x)| ∀k ∈ N (Criterio di Weierstrass).


x∈I
18 M. Carriero, L. De Luca

Proposizione 1.2.4.
+∞
X +∞
X
fk (x) converge fk (x) converge
k=1
⇒ k=1
:
totalmente in I uniformemente in I.

Dim. Per l’ipotesi ∃ {Mk } ⊂ R t.c. Mk ≥ 0 ∀ k ∈ N, |fk (x)| ≤ Mk ∀x ∈ I, ∀k ∈


+∞
X
N con Mk < +∞, pertanto
k=1

+∞
X +∞
X
|fk (x)| < +∞ ∀x ∈ I ( cioè fk converge assolutamente
k=1 k=1
in I ad una funzione f ).

Posto
+∞ +∞
!
X X
Rn := Mk , resto n-simo della serie numerica Mk
k=n+1 k=1

proviamo che
|f (x) − sn (x)| ≤ Rn ∀x ∈ I;

infatti, per m, n ∈ N, m > n e per x ∈ I risulta


m
X n
X m
X
sm (x) − sn (x) = fk (x) − fk (x) = fk (x), da cui
k=1 k=1 k=n+1
m
X m
X
|sm (x) − sn (x)| ≤ |fk (x)| ≤ Mk e, per m → +∞,
k=n+1 k=n+1

|f (x) − sn (x)| ≤ Rn → 0 per n → +∞ ∀x ∈ I

poiché la serie di termine generale Mk converge; ne segue:

∀ε > 0 ∃ ν = νε ∈ N t.c. ∀n > ν : |f (x) − sn (x)| < ε ∀x ∈ I.


Analisi III 19

Osservazione 1.2.5. Nel caso in cui le fk sono funzioni costanti in I, allora la


convergenza uniforme è quella puntuale, mentre la convergenza totale è quella
assoluta della serie (numerica).
Per verificare che la convergenza uniforme non implica la convergenza totale è
(−1)k
allora sufficiente considerare la successione numerica fk (x) = ∀ k ∈ N.
k
x
Esempio 1.2.6. Sia I = R e sia fk (x) = ∀k ∈ N, ∀x ∈ R. Consideriamo
x4 + 3k 4
+∞
X x
∀x ∈ R. (1.6)
k=1
x4 + 3k 4

(x4 + 3k 4 ) − x (4x3 ) k 4 − x4
∀k ∈ N fk0 (x) = = 3 = 0 ⇔ x = ±k.
(x4 + 3k 4 )2 (x4 + 3k 4 )2
Si verifica che
x= k è punto di massimo assoluto
x = −k è punto di minimo assoluto.

1
Ne segue che: Mk := sup |fk (x)| = fk (k) = , pertanto
x∈R 4k 3

1
|fk (x)| ≤ ∀x ∈ R, ∀k ∈ N.
4k 3
+∞
X 1
Ricordato che 3
< +∞, la serie (1.6) è totalmente -quindi uniformemente
k=1
4k
e puntualmente- convergente in R.
h π πi
e sia fk (x) = k 2 sin x2−k

Esempio 1.2.7. Sia I = − ,
h π πi 2 2
∀k ∈ N, ∀x ∈ − , . Consideriamo
2 2
+∞
X h π πi
2 −k

k sin x2 ∀x ∈ − , . (1.7)
k=1
2 2
20 M. Carriero, L. De Luca

7
Si vede facilmente che

sup k 2 sin x2−k = k 2 sin π2−k−1 ≤ k 2 π2−k−1


 
x∈[− π2 , π2 ]

+∞
X k2
e la serie numerica π < +∞ (criterio del rapporto); pertanto la serie (1.7)
k=1
2k+1
h π πi
è totalmente -quindi uniformemente e puntualmente- convergente in − , .
2 2
Teorema 1.2.8 (sulla continuità della somma).
+∞
X
Se fk converge uniformemente in [a, b] ad una funzione f e se
k=1
fk ∈ C 0 ([a, b]) ∀k ∈ N, allora

f ∈ C 0 ([a, b]) .

Teorema 1.2.9 (di integrazione per serie).


+∞
X
Se fk converge uniformemente ad una funzione f e se
k=1
fk ∈ C 0 ([a, b]) ∀k ∈ N, allora
+∞ Z +∞
!
X b Z b Z bX
fk (x) dx = f (x) dx = fk (x) dx .
k=1 a a a k=1

Teorema 1.2.10 (di derivazione per serie).


Se fk ∈ C 1 ([a, b]) ∀k ∈ N e se

+∞
X
(i) fk converge puntualmente ad una funzione f in [a, b],
k=1
+∞
X
(ii) fk0 converge uniformemente ad una funzione g in [a, b],
k=1

7Se π sin x
0 < |x| < : cos x < < 1.
2 x
Analisi III 21

+∞
X
allora fk converge uniformemente alla funzione f ∈ C 1 ([a, b]) e risulta
k=1

+∞
!0 +∞
!
X X
0
f (x) = g(x) ∀x ∈ [a, b] ⇔ fk (x) = fk0 (x) ∀x ∈ [a, b] .
k=1 k=1

La dimostrazione dei teoremi 1.2.8, 1.2.9, 1.2.10 segue rispettivamente dai teoremi
1.1.6, 1.1.12, 1.1.18 applicati alla successione delle somme parziali.

1.3. Serie di potenze

Le serie di potenze sono le serie di funzioni il cui termine generale fk (x) è del tipo
potenza intera e le cui somme parziali sono polinomi. Tali serie godono di parti-
colari proprietà: l’insieme di convergenza è sempre un intervallo, eventualmente
ridotto ad un punto o coincidente con R (cfr. lemma 1.3.3, osservazione 1.3.4,
teorema 1.3.6 e osservazione 1.3.7).

Osservazione 1.3.1 (Serie geoemtrica di ragione x ∈ R).


Ricordiamo che la serie geometrica
+∞
X
xk = 1 + x + x2 + . . . + xk + . . . (x ragione della serie geometrica)
k=0

1
• converge in ] − 1, 1 [ e ha somma ,
1−x
• è indeterminata se x ≤ −1,
• diverge positivamente se x ≥ 1.

Più in generale, sia {ak } ⊂ R e consideriamo


+∞
X
ak x k . (1.8)
k=0
22 M. Carriero, L. De Luca

Problema: determinare l’insieme degli x ∈ R per i quali la serie (1.8) è conver-


8
gente .

Esempi 1.3.2.

+∞
X
• k! xk converge solo per x = 0, avendosi
k=0

lim k! xk = +∞ ∀x 6= 0.
k→+∞

+∞ k
X x
• converge per ogni x ∈ R, avendosi
k=0
k!
k+1
x

= lim |x| = 0
(k + 1)!
lim k k→+∞ k + 1 ∀x ∈ R.
k→+∞ x
k!

+∞
X xk
• converge per ogni x ∈ [−2 , 2 [ . Infatti:
k=0
(k + 1) 2k

xk+1



(k + 2) 2k+1 |x|
lim =
k→+∞ xk
2

(k + 1) 2k

e quindi per |x| < 2 si ha la convergenza; inoltre:


+∞
X xk
se |x| > 2, la serie k
diverge positivamente,
k=0
(k + 1) 2
+∞
X 1
se x = 2, la serie diverge positivamente, mentre
k=0
k+1
+∞
X (−1)k
se x = −2, la serie converge.
k=0
k + 1

8Chiaramente per x = 0 la serie di potenze converge.


Analisi III 23

Negli esempi precedenti si vede che l’insieme di convergenza è un intervallo, even-


tualmente ridotto ad un solo punto o coincidente con R.
Vale in effetti il teorema 1.3.6 a cui premettiamo il seguente lemma.

Lemma 1.3.3. Se la serie di potenze


+∞
X
ak xk = a0 + a1 x + a2 x2 + . . . + ak xk + . . . (1.9)
k=0

converge per x = ξ 6= 0, allora essa converge totalmente in ogni intervallo chiuso


e limitato contenuto nell’intervallo ] − |ξ| , |ξ| [ (e dunque converge assolutamente
in ] − |ξ| , |ξ| [).

+∞
X
Dim. Dalla convergenze della serie numerica ak ξ k segue che
k=0
ak ξ k → 0, quindi che la successione ak ξ k è limitata, cioè

k→+∞

∃ M > 0 t.c. ak ξ k ≤ M ∀k ∈ N.

Sia η ∈ ] − |ξ| , |ξ| [ (ovvero |η| < |ξ|) e proviamo che la serie (1.9) converge
totalmente in [− |η| , |η|].
Risulta  k  k
|x| |η|
sup ak xk = ak ξ k sup ≤M
|x|≤|η| |x|≤|η| |ξ| |ξ|
pertanto la serie
+∞
X
sup ak xk < +∞
k=0 |x|≤|η|
 k
|η|
in quanto la serie numerica di termine generale Mk := M è convergente
|ξ|
+∞ +∞  k
X X |η| |η|
(basta osservare che Mk = M e < 1). 
k=0 k=0
|ξ| |ξ|

Osservazione 1.3.4. Dal lemma 1.3.3 segue che l’insieme di convergenza di un


serie di potenze è un intervallo.
24 M. Carriero, L. De Luca

( +∞
)
X
Definizione 1.3.5. ρ := sup |x| ∈ R | ak xk < +∞ ∈ [0, +∞] si chia-
k=0
+∞
X
ma raggio di convergenza della serie di potenze ak x k .
k=0

Evidentemente

(i) ρ = 0 oppure
(ii) ρ = +∞ oppure
(iii) 0 < ρ < +∞.

Teorema 1.3.6. Data la serie di potenze (1.9) si verifica (sempre) una delle
seguenti circostanze:

(i) la serie converge solo per x = 0;


(ii) la serie converge per ogni x ∈ R;
(iii) esiste ρ > 0 t.c. la serie converge per |x| < ρ e la serie non converge per
|x| > ρ.

Dim. Sia I 6= ∅ l’intervallo di convergenza della serie di potenze (1.9).

(i) Se ρ = 0, allora I = {0}; infatti, se esistesse ξ 6= 0 con ξ ∈ I, per


il lemma 1.3.3 si avrebbe ] − |ξ| , |ξ| [ ⊂ I e quindi ρ dovrebbe essere
strettamente positivo.
(ii) Se ρ = +∞, allora ξ ∈ I per ogni ξ > 0. Per il lemma 1.3.3,
] − ξ, ξ [ ⊂ I per ogni ξ > 0, pertanto I = R.
(iii) Sia 0 < ρ < +∞. Se |x| < ρ, esiste ξ ∈ I con |x| < ξ ≤ ρ, quindi
x ∈ ] − ξ, ξ [ e (1.9) converge in x.
Se invece |x| > ρ, la serie non può convergere in x, altrimenti, per il
Analisi III 25

lemma 1.3.3, si dovrebbe avere ] − |x| , |x| [ ⊂ I e, dunque, ρ ≥ |x|, il che


è assurdo, visto che ρ < |x|.

Osservazione 1.3.7. Dal teorema 1.3.6 segue che l’insieme di convergenza di


una serie di potenze è un intervallo di centro l’origine che si riduce a {0} nel caso
(i), coincide con R nel caso (ii) o è un intervallo aperto e limitato ] − ρ, ρ [ nel
caso (iii).

Osservazione 1.3.8. Nel caso (iii) del teorema 1.3.6, nulla si può dire in generale
sulla convergenza della serie di potenze per x = ±ρ.
Infatti, le seguenti serie hanno raggio di convergenza ρ = 1 (cfr. teoremi 1.3.9 e
1.3.10), ma
+∞
X
xk converge in ] − 1, 1 [
k=0
+∞ k
X x
converge in [−1 , 1 [
k=0
k
+∞ k
X x
converge in [−1, 1].
k=0
k2

1.3.1. Criteri per la ricerca del raggio di convergenza di una serie


di potenze.

Teorema 1.3.9 (Criterio di d’Alembert).


ak+1
Data la serie di potenze (1.9) con ak 6= 0 ∀k ∈ N, se esiste lim
= l,
k→+∞ ak
allora il raggio di convergenza di (1.9) è dato da


 +∞ se l = 0



ρ= 1
se 0 < l < +∞


 l

0 se l = +∞.

26 M. Carriero, L. De Luca


ak+1 xk+1
Dim. Per ogni x 6= 0, si ha lim = l |x|.
k→+∞ |ak xk |
Se l = 0, per il criterio del rapporto per le serie numeriche, la serie (1.9) converge
∀x ∈ R e, di conseguenza, ρ = +∞.
Se l = +∞, per il criterio del rapporto per le serie numeriche, la serie (1.9) non
converge assolutamente per alcun x 6= 0 e, di conseguenza, ρ = 0.
Se 0 < l < +∞, per il criterio del rapporto per le serie numeriche, la serie
1
(1.9) converge assolutamente per l |x| < 1, cioè per |x| < e non converge
l
1 1
assolutamente per |x| > ; pertanto ρ = . 
l l

Analogamente si prova il seguente risultato.

Teorema 1.3.10 (Criterio di Cauchy-Hadamard).


p
Data la serie di potenze (1.9), se esiste lim k |ak | = l, allora
k→+∞



 +∞ se l = 0



ρ= 1
se 0 < l < +∞


 l

0 se l = +∞.

Osservazione 1.3.11. Il teorema 1.3.10 continua a valere anche se sostituiamo


lim con lim sup.
k→+∞ k→+∞
Inoltre, è opportuno ricordare il seguente risultato
(teorema di Cesaro):
yk+1 p
data una successione {yk }, se esiste lim , allora esiste anche lim k |yk |,
k→+∞ yk k→+∞
e i due limiti sono uguali.
Può tuttavia succedere che esista il limite delle radici k-esime, ma non dei rap-
porti.

Teorema 1.3.12 (di Abel (per serie di potenze)).


La serie di potenze (1.9) converga in ] − ρ, ρ [ e abbia come somma f (x)
Analisi III 27

+∞
X
∀x ∈ ] − ρ, ρ [ . Se la serie numerica ak ρk < +∞, allora
k=0
+∞
X
∃ lim− f (x) = ak ρ k . 9
x→ρ
k=0

Serie derivata di una serie di potenze

Definizione 1.3.13. La serie derivata della serie di potenze (1.9) è


+∞
X
k ak xk−1 . (1.10)
k=1

Teorema 1.3.14. La serie di potenze (1.9) e la sua serie derivata (1.10) hanno
lo stesso raggio di convergenza.


ak+1
Dim. Per semplicità, supponiamo che lim = l ∈ [0, +∞] per cui ρ = 1
k→+∞ ak l
10
(k + 1) ak+1

; allora lim = l, pertanto il raggio di convergenza della serie
k→+∞ k ak
1
derivata è anche ρ = (per il teorema 1.3.9). 
l
Teorema 1.3.15 (di derivazione e integrazione delle serie di poten-
ze).
Se la serie di potenze (1.9) ha raggio di convergenza ρ 6= 0 e se

+∞
X +∞
X
9Analogamente, k k
se ak (−ρ) < +∞, allora ∃ lim f (x) = (−1) ak ρk .
x→(−ρ)+
k=0 k=0
10Usiamo sempre la convenzione che

se l = 0 allora ρ = +∞
se l = +∞ allora ρ = 0.
28 M. Carriero, L. De Luca

+∞
X
f (x) = ak x k ∀x ∈ ] − ρ, ρ [, allora f è derivabile e risulta
k=0

+∞
X
0
f (x) = k ak xk−1 ∀x ∈ ] − ρ, ρ [ ; (1.11)
k=1

inoltre f è integrabile e
Z x +∞
X ak k+1
f (t) dt = x ∀x ∈ ] − ρ, ρ [ . (1.12)
0 k=0
k+1

Dim. Per il teorema 1.3.14 le serie (1.11) e (1.12) hanno lo stesso raggio di con-
vergenza della serie (1.9). Inoltre, le uguaglianze in (1.11) e (1.12) seguono dai
teoremi di derivazione 1.2.10 e di integrazione per serie 1.2.9, essendo le serie
in questione totalmente -e quindi uniformemente- convergenti in ogni intervallo
chiuso e limitato contenuto in ] − ρ, ρ [. 

Più in generale, vale il seguente risultato per serie di potenze di punto iniziale
x0 ∈ R, x0 anche diverso da zero.

Teorema 1.3.16. Se la serie di potenze


+∞
X k
ak x − x 0 (1.13)
k=0

ha raggio di convergenza ρ > 0, allora la sua somma


f (x) ∈ C ∞ ( ] x0 − ρ, x0 + ρ [) e per ogni m ∈ N risulta
+∞
(m)
X k−m
f (x) = k (k − 1) . . . (k − m + 1) ak x − x0 (1.14)
k=m
= m (m − 1) . . . · 2 · 1 · am
+∞
X k−m
+ k (k − 1) . . . (k − m + 1) ak x − x0 .
k=m+1
Analisi III 29

Inoltre,

+∞ (k)
X f (x0 ) k
f (x) = x − x0 (1.15)
k=0
k!
| {z }
serie di Taylor di f

cioè “f è somma della sua serie di Taylor” (e si dice che f è sviluppabile in serie
di Taylor).

Dim. (1.14) si ottiene applicando per ogni m ∈ N il teorema 1.3.15.


Posto x = x0 in (1.14), si ha:

f (m) (x0 ) = m!am ∀m ∈ N

e quindi
f (m) (x0 )
am = ∀m ∈ N;
m!
sostituendo in (1.13) si ottiene (1.15). 

1.4. Serie di Taylor

Le serie di potenze, in un certo senso, generalizzano i polinomi. Inoltre, è noto


che ad ogni funzione f di classe C k in un intervallo I, si può associare, per ogni
x0 ∈ I, il polinomio di Taylor di grado k di punto iniziale x0 . E’ quindi naturale
chiedersi se si possa associare ad una funzione f di classe C ∞ una particolare
serie di potenze i cui coefficienti siano definiti come quelli dei polinomi di Taylor
e chiedersi anche se la somma della serie è proprio la funzione f (sviluppabilità
di f in serie di Taylor). La risposta a tale questione non è sempre affermativa.
30 M. Carriero, L. De Luca

Più precisamente, affrontiamo il seguente


Problema: data f ∈ C ∞ ( ] a, b [ ) e dato x0 ∈ ] a, b [, quando
+∞ (k)
X f (x0 ) k
f (x) = x − x0 ∀x ∈ ] a, b [?
k=0
k!

(cioè, quando f è sviluppabile in serie di Taylor di punto iniziale x0 ?


ovvero, quando f è la somma della sua serie di Taylor di centro x0 ?)

Osservazione 1.4.1. f ∈ C ∞ ( ] a, b [ ) 6⇒ f ∈ C ω ( ] a, b [) 11
.

Controesempio 1.4.2. Sia


1
(
e− x2 se x 6= 0
f (x) =
0 se x = 0.

Allora f ∈ C ∞ (R) e f (k) (0) = 0 ∀k ∈ N0 = N ∪ {0}. Pertanto la sua serie di


Taylor di punto iniziale x0 = 0 è data da
+∞ (k)
X f (0)
xk = 0 ∀x ∈ R,
k=0
k!

quindi la sua somma non è f (x) ma g(x) ≡ 0 e quindi f non è sviluppabile in


serie di Taylor in R.

Teorema 1.4.3 (Criterio di sviluppabilità in serie di Taylor).


Se f ∈ C ∞ ( ] a, b [ ) e se esistono M, L > 0 t.c.
(k)
f (x) ≤ M Lk ∀x ∈ ] a, b [ , ∀k ∈ N, 12

allora, per ogni x0 ∈ ] a, b [, f è sviluppabile in serie di Taylor di punto iniziale


x0 nell’intervallo ] a, b [.
11Indichiamo con C ω ( ] a, b [ ) la classe delle funzioni analitiche in ] a, b [ cioè la classe delle
funzioni f (x) sviluppabili in serie di Taylor.
12In particolare, è sufficiente supporre che le derivate (di ogni ordine) di f siano equilimitate

in ] a, b [ .
Analisi III 31

Dim. Sia x0 ∈ ] a, b [ ; dalla formula di Taylor con resto di Lagrange, si ha ∀ x ∈


] a, b [
 f 0 (x0 )  f 00 (x0 ) 2
f (x) = f x0 + x − x0 + x − x0
1! 2!
(n) 0
f (x ) n f (n+1) (ξ) n+1
x − x0 + x − x0

+... + ,
n! (n + 1)!
dove ξ appartiene all’intervallo di estremi x e x0 .
Pertanto
n
f (n+1) (ξ) n+1 X f (k) (x0 ) k
x − x0 = f (x) − x − x0 ,
(n + 1)! k=0
k!

quindi per conseguire la tesi basta provare che per n → +∞


f (n+1) (ξ) n+1
x − x0 →0 ∀x ∈ ] a, b [ . (1.16)
(n + 1)!
Per ipotesi
(n+1)
n+1 M Ln+1

f (ξ) 0 0 n+1

(n + 1)! x − x

(n + 1)! x − x ∀n ∈ N, ∀x ∈ ] a, b [ (1.17)

e, per il criterio del rapporto, la serie


+∞ n+1
X (L |x − x0 |)
< +∞,
n=0
(n + 1)!

quindi
n+1
(L |x − x0 |)
lim =0 ∀x ∈ ] a, b [ ;
n→+∞ (n + 1)!
pertanto da (1.17) segue (1.16). 

Nota 1.4.4. Nel caso particolare in cui x0 = 0, la serie (di Taylor)


+∞ (k)
X f (0)
f (x) = xk
k=0
k!

si chiama serie di McLaurin.


32 M. Carriero, L. De Luca

Esempi 1.4.5 (Sviluppo in serie di McLaurin di alcune funzioni ele-


mentari).

+∞
x
X xk
e = ∀x ∈ R
k=0
k!
+∞
X x2k+1
sin x = (−1)k ∀x ∈ R
k=0
(2k + 1)!
+∞
X x2k
cos x = (−1)k ∀x ∈ R
k=0
(2k)!
+∞
1 X
= xk ∀x ∈ ] − 1, 1 [
1−x k=0

Dallo sviluppo precedente, sostituendo x con −x otteniamo


+∞
1 X
= (−1)k xk ∀x ∈ ] − 1, 1 [
1+x k=0

e, scambiando x con −x2 ,


+∞
1 X
= (−1)k x2k ∀x ∈ ] − 1, 1 [ ;
1 + x2 k=0

integrando rispettivamente per serie i due sviluppi precedenti, si ha


+∞
X xk+1
log (1 + x) = (−1)k ∀x ∈ ] − 1, 1 ]
k=0
k+1
+∞
X x2 k+1
arctan x = (−1)k ∀x ∈ [−1, 1] .
k=0
2k + 1
In particolare, posto x = 1 negli ultimi due sviluppi, risulta:
+∞
X (−1)k
log 2 =
k=0
k+1

+∞
π X (−1)k
= .
4 k=0
2k + 1
Analisi III 33

Serie binomiale.
∀α 6= 0 consideriamo la serie
+∞  
X α k
x ∀x ∈ ] − 1, 1 [ (1.18)
k=0
k

dove 
   1 se k = 0
α
=
k  α (α − 1) . . . (α − k + 1) se k 6= 0.
k!
Proposizione 1.4.6 (Serie binomiale).
+∞  
α
X α
∀α 6= 0 : f (x) := (1 + x) = xk ∀x ∈ ] − 1, 1 [ .
k=0
k

Dim. Calcoliamo dapprima il raggio di convergenza della serie (1.18); risulta:


 
α

k+1 α − k
lim   = lim
= 1,
k→+∞ α k→+∞ k + 1
k

quindi, per il criterio di d’Alembert 1.3.9, ρ = 1.


Osservato che ∀k ∈ N f (k) (0) = α (α − 1) . . . (α − k + 1), la serie di McLaurin
di f è data da
+∞ (k) +∞  
X f (0) k
X α
x = xk .
k=0
k! k=0
k
Proviamo che f è sviluppabile in serie di McLaurin, cioè che risulta
+∞  
α
X α k
(1 + x) = x ∀x ∈ ] − 1, 1 [ .
k=0
k
+∞  
X α
Sia g(x) := xk ∀x ∈ ] − 1, 1 [ e proviamo che
k=0
k

g(x) = (1 + x)α ∀x ∈ ] − 1, 1 [ .
34 M. Carriero, L. De Luca

Si ha:
+∞  
0
X α
g (x) = k xk−1 ,
k=1
k
13
quindi
+∞   +∞  
0
X α k−1
X α
(1 + x)g (x) = kx + k xk
k=1
k k=1
k
+∞   +∞  
X α k
X α
= (k + 1) x + k xk
k=0
k + 1 k=1
k
+∞      
X α α
= α+ (k + 1) + k xk
k=1
k+1 k
+∞   +∞  
X α k X α k
= α+α x =α x
k=1
k k=0
k
= α g(x) ∀x ∈ ] − 1, 1 [ . (1.19)

Ora,
d 
g(x) (1 + x)−α g 0 (x) (1 + x)−α − g(x)α (1 + x)−α−1

=
dx
(1.19)
= α g(x) (1 + x)−α−1 − α g(x) (1 + x)−α−1
= 0 ∀x ∈ ] − 1, 1 [ .

Poiché g(0) = 1, risulta g(x) (1 + x)−α = 1 ∀x ∈ ] − 1, 1 [ ;


ne segue che g(x) = (1 + x)α ∀x ∈ ] − 1, 1 [. 
13Risulta
   
α α α (α − 1) . . . (α − k + 1) (α − k)
(k + 1) + k = (k + 1)
k+1 k (k + 1) k!
α (α − 1) . . . (α − k + 1)
+k
k!
 
α (α − 1) . . . (α − k + 1) α
= (α − k + k) = α .
k! k
Analisi III 35

14
Esempi 1.4.7. Dalla proposizione 1.4.6, si ottengono i seguenti sviluppi
+∞
1 √ x X (2k − 3)!! k
(per α = ) 1+x = 1+ + (−1)k−1 x ∀x ∈ ] − 1, 1 ]
2 2 k=2 (2k)!!
+∞
1 1 X (2k − 1)!! k
(per α = − ) √ = 1+ (−1)k x ∀x ∈ ] − 1, 1 ]
2 1+x k=1
(2k)!!

da cui, scambiando x con −x2 , si ha


+∞
1 X (2k − 1)!! 2k
√ = 1+ x ∀x ∈ ] − 1, 1 [
1 − x2 k=1
(2k)!!
che, integrando per serie, dà
+∞
X (2k − 1)!! x2k+1
arcsin x = x + ∀x ∈ [−1, 1 [
k=1
(2k)!! 2k + 1

Osservazione 1.4.8. Nei precedenti sviluppi l’intervallo di estremi −1 e 1 è


chiuso a destra e/o a sinistra per il teorema di Abel 1.3.12.

Osservazione 1.4.9. La serie binomiale si presta al calcolo delle radici dei nu-
meri.

Per esempio, per calcolare 83, si prende il quadrato più vicino a 83, cioè 81 e si
scrive
(  2 )

r
√ 2 1 2 1 2
83 = 81 + 2 = 9 1 + =9 1+ · − · ... .
81 2 81 8 81

1.5. Serie di Fourier

Trattiamo ora serie di funzioni di un genere diverso da quello considerato in


precedenza: invece di potenze xk , consideriamo funzioni trigonometriche sin kx
14Ricordiamo che (
2 · 4 · 6 · ... · h se h è pari
h!! =
1 · 3 · 5 · ... · h se h è dispari.
36 M. Carriero, L. De Luca

e cos kx.
Come vedremo, gli sviluppi in serie di Fourier si prestano ad approssimare le
funzioni periodiche.

Definizione 1.5.1.
def
f : R → R periodica di periodo T > 0 ⇔ f (x + T ) = f (x) ∀x ∈ R.
(oppure T -periodica)

Se f è periodica di periodo T , essa è periodica di periodo kT per ogni k ∈ Z.

Introduciamo il polinomio trigonometrico


n
a0 X
sn (x) = + (ak cos kx + bk sin kx) ;
2 k=1

a0 , ak , bk , ∈ R per ogni k = 1, . . . , n sono i coefficienti del polinomio trigonome-


trico.
E’ evidente che per ogni n ∈ N, sn (x) è funzione periodica di periodo 2π.
Consideriamo la serie trigonometrica
+∞
a0 X
+ (ak cos kx + bk sin kx) ; (1.20)
2 k=1

se questa serie converge per ogni x ∈ R ad una funzione f (x), cioè se lim sn (x) =
n→+∞
f (x) per ogni x ∈ R, allora anche f (x) è funzione periodica di periodo 2π.

Inversamente, ci poniamo il seguente


Problema: data f (x) periodica di periodo 2π, f è sviluppabile in una serie
trigonometrica?
cioè esistono a0 , ak , bk (k = 1, 2, . . .) tali che
+∞
a0 X
f (x) = + (ak cos kx + bk sin kx) ∀x ∈ R?
2 k=1
Analisi III 37

Illustriamo il “metodo euristico” dovuto a Fourier per individuare i (possibili can-


didati) coefficienti di Fourier a0 , ak , bk ∀k ∈ N.
Moltiplichiamo ambo i membri di
+∞
a0 X
f (x) = + (ak cos kx + bk sin kx)
2 k=1

per cos mx e per sin mx con m ∈ N fissato e integriamo tra −π e π; otteniamo:


Z π
a0 π
Z
f (x) cos mx dx = cos mx dx (1.21)
−π 2 −π
+∞ 
X Z π Z π 
+ ak cos kx cos mx dx + bk sin kx cos mx dx;
k=1 −π −π
Z π Z π
a0
f (x) sin mx dx = sin mx dx (1.22)
−π 2 −π
+∞ 
X Z π Z π 
+ ak cos kx sin mx dx + bk sin kx sin mx dx.
k=1 −π −π

Usando le formule di prostaferesi 15, si prova che


 Z (
π
 0 se m 6= k

 cos kx cos mx dx =
π se m = k 6= 0



 −π

 (
 Z π
0 se m 6= k
sin kx sin mx dx =
π se m = k 6= 0



 −π
π

 Z

cos kx sin mx dx = 0 ∀ k, m ∈ N (relazioni di ortogonalità del seno e del coseno).



−π

15Formule di prostaferesi:
p+q p−q p+q p−q
sin p + sin q = 2 sin cos , sin p − sin q = 2 cos sin
2 2 2 2 (1.23)
p+q p−q p+q p−q
cos p + cos q = 2 cos cos , cos p − cos q = −2 sin sin .
2 2 2 2
38 M. Carriero, L. De Luca

Inoltre risulta ∀ m ∈ N
(
Z π
2π se m = 0
cos mx dx =
−π 0 se m 6= 0,
Z π
sin mx dx = 0.
−π

Da (1.21) si ricava allora


1 π
Z
am = f (x) cos mx dx m = 0, 1, 2, . . . , (1.24)
π −π

e da (1.22) si ricava
Z π
1
bm = f (x) sin mx dx m = 1, 2, . . . . (1.25)
π −π

(1.24) e (1.25) si chiamano coefficienti di Fourier di f e la serie


+∞
a0 X
+ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k=1

con a0 , ak , bk dati da (1.24) e (1.25), si chiama serie di Fourier di f e si scrive


+∞
a0 X
f (x) ∼ + (ak cos kx + bk sin kx) .
2 k=1

Osservazione 1.5.2. Risulta


Z π
a0 1
= f (x) dx,
2 2π −π

a0
cioè è la media integrale di f in [−π, π].
2
Osservazione 1.5.3. Se f : [−π, π] → R è funzione pari, allora bm ≡ 0 ∀m ∈ N
(serie di Fourier di soli coseni);
se, invece, f : [−π, π] → R è funzione dispari, allora am ≡ 0 ∀m ∈ N0 (serie di
Fourier di soli seni).
Analisi III 39

Esempio 1.5.4. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione (
0 se −π < x ≤ 0
g(x) = .
1 se 0 < x ≤ π
Calcoliamo i coefficienti di Fourier:
1 π 1 π
Z Z
a0 = f (x) dx = 1 dx = 1;
π −π π 0
1 π 1 π
Z Z
ak = f (x) cos kx dx = 1 · cos kx dx = 0 ∀k ∈ N;
π −π π 0
1 π 1 π 1 − (−1)k
Z Z
bk = f (x) sin kx dx = 1 · sin kx dx = ∀k ∈ N,
π −π π 0 kπ

poiché cos kπ = (−1)k ∀ k ∈ N;


pertanto la serie di Fourier di f è:
+∞
1 2 X sin (2k − 1) x
f (x) ∼ + .
2 π k=1 2k − 1

Esempio 1.5.5. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione
g(x) = |x| ∀x ∈ [−π, π] .

Poiché f è pari, si ha

bk ≡ 0 ∀k ∈ N;
1 π 1 0 1 π
Z Z Z
a0 = |x| dx = (−x) dx + x dx = π;
π −π π −π π 0
1 π 2 π 2 (−1)k − 1
Z Z
ak = |x| cos kx dx = x cos kx dx = ;
π −π π 0 π k2
dunque la serie di Fourier di f è:
+∞
π 4 X cos (2k − 1)x
f (x) ∼ − .
2 π k=1 (2k − 1)2
40 M. Carriero, L. De Luca

Teorema 1.5.6 (Disuguaglianza di Bessel).


Sia f : [−π, π] → R una funzione limitata e integrabile. Sia sn la somma parziale
n-esima della serie di Fourier di f , si ha 16
1 π 1 π 2
Z Z
2
|f (x) − sn (x)| dx = f (x) dx (1.26)
π −π π −π
| {z }
scarto quadratico medio
" n
#
a20 X 2 2

− + ak + bk ∀n ∈ N
2 k=1

ed inoltre
+∞ π
a20 X 2
Z
 1
+ ak + b2k ≤ f 2 (x) dx (1.27)
2 k=1
π −π

(disuguaglianza di Bessel).

Dim. (1.27) segue da (1.26), essendo il membro a sinistra della (1.26) non nega-
tivo, e passando al limite per n → +∞.
Per provare (1.26) osserviamo che per ogni n ∈ N:
1 π a0 π
Z Z
f (x) sn (x) dx = f (x) dx
π −π 2π −π
n 
ak π bk π
X Z Z 
+ f (x) cos kx dx + f (x) sin kx dx
k=1
π −π π −π
n
a2 X 2
= 0+ ak + b2k ;

2 k=1

inoltre, per le relazioni di ortogonalità del seno e del coseno, per ogni n ∈ N:
n
1 π 2 a20 X 2
Z
ak + b2k ,

sn (x) dx = +
π −π 2 k=1

16Si può provare che tra tutti i polinomi trigonometrici di grado n, lo scarto quadratico
medio risulta minimo se i coefficienti sono dati da (1.24) e (1.25).
Analisi III 41

e quindi

1 π 1 π 2 π π
Z Z Z Z
2 2 1
|f (x) − sn (x)| dx = f (x) dx − f (x) sn (x) dx + s2n (x) dx
π −π π −π π −π π −π
n
1 π 2 a20 X 2
Z
ak + b2k ,

= f (x) dx − −
π −π 2 k=1

da cui (1.26). 

Da (1.27) segue che: lim ak = lim bk = 0.


k→+∞ k→+∞
Vale il seguente risultato.
+∞
X
Corollario 1.5.7 (Lemma di Riemann-Lebesgue). Le serie numeriche a2k
k=1

X
e b2k sono convergenti e, quindi,
k=1
Z π Z π
lim f (x) sin kx dx = lim f (x) cos kx dx = 0. (1.28)
k→+∞ −π k→+∞ −π

Esempi di serie trigonometriche che non sono serie di Fourier sono


+∞ +∞
X X 1
sin kx e √ sin kx.
k=1 k=1
k

Lemma 1.5.8. Per ogni n ∈ N0 e per ogni x 6≡ 0 mod 2π risulta


  
1
sin n+ x
1 2
+ cos x + cos 2x + . . . + cos nx = x =: Dn (x). (1.29)
2 2 sin
2
(La funzione Dn (x) è detta nucleo n-simo di Dirichlet.)
Inoltre, se f è una funzione periodica di periodo 2π, integrabile in [−π, π], per
ogni n ∈ N la somma parziale n-sima della sua serie di Fourier si esprime con
42 M. Carriero, L. De Luca

l’integrale
  
1
Z π sin n+ t
1 2
sn (x) = f (x + t) dt ∀x ∈ R (1.30)
π −π
t
2 sin
| {z 2 }
= Dn (t)

(formula di Dirichlet).

Dim. (1.29) si può dimostrare per induzione su n ∈ N0 .


Per n = 0, (1.29) vale.
Supponiamo la tesi vera per n, allora per n + 1 si ha
 
1
+ cos x + cos 2x + . . . + cos nx + cos (n + 1) x
2
  
1
sin n+ x
ipotesi induttiva 2
= x + cos (n + 1) x
2 sin
2
 
1 x
sin (n + 1) − x + 2 sin cos (n + 1) x
2 2
= x
2 sin
2
x x x
sin (n + 1) x cos − cos (n + 1) x sin + 2 sin cos (n + 1) x
= 2 2 2
x
2 sin
2
 
1
sin (n + 1) + x
2
= x .
2 sin
2

Proviamo (1.30). Z π Z π
1 1
Da (1.29) (poiché a0 = f (y) dy, ak = f (y) cos ky dy e bk =
π −π π −π
Analisi III 43

Z π
1
f (y) sin ky dy) risulta per ogni x ∈ R
π −π
n
a0 X
sn (x) = + (ak cos kx + bk sin kx)
2 k=1
Z π " n
#
1 1 X
= f (y) + (cos ky cos kx + sin ky sin kx) dy
π −π 2 k=1
" n
#
1 π
Z
1 X
= f (y) + cos k (y − x) dy
π −π 2 k=1
| {z }
= Dn (y − x)
  
1
sin n+ (y − x)
1 π
Z
(1.29) 2
= f (y) dy
π −π (y − x)
2 sin
2
  
1
sin n+ t
1 π−x
Z
posto y−x=t 2
= f (x + t) dt
π −π−x t
2 sin
2
  
1
Z π sin n+ t
1 2
= f (x + t) dt
π −π t
2 sin
2
per la periodicità dell’integrando. 

Problema della sviluppabilità in serie di Fourier di una funzione


integrabile in [−π, π], 2π-periodica, cioè problema di stabilire sotto quali
condizioni per f , f risulta uguale alla somma della sua serie di Fourier.

Si osservi che i coefficienti di una serie di Fourier sono legati alla somma della
serie f da relazioni integrali, mentre i coefficienti di una serie di potenze sono
legati alla somma f da relazioni differenziali.
44 M. Carriero, L. De Luca

Per questo motivo ci si aspetta che una funzione f 2π-periodica possa essere
rappresentata come somma della sua serie di Fourier, pur avendo (eventualmente)
un basso grado di regolarità (teoremi 1.5.13, 1.5.14 e anche 1.5.20)

Definizione 1.5.9.
f è continua in [a, b] eccetto che
in un numero finito di punti
def
f : [a, b] → R è continua a tratti ⇔ ed in tali punti x esistono finiti
il limite destro f+ (x)
ed il limite sinistro f− (x) .

Ricordiamo che vale il seguente teorema

Teorema 1.5.10. Una funzione continua a tratti in [a, b] è integrabile secondo


Riemann.

Definizione 1.5.11.
(i)f è continua a tratti;
(ii) f è derivabile in ogni intervallo
di continuità, eccetto un numero
def finito di punti;
f : [a, b] → R è regolare a tratti ⇔
(iii) in ogni punto di discontinuità
di f o di f 0 esistono finiti
il limite destro f+0
e il limite sinistro f−0 .
Osservazione 1.5.12. f : R → R si dice regolare (continua) a tratti su R se è
regolare (continua) a tratti in [a, b], in ogni [a, b] ⊂ R.

Sulla convergenza puntuale.

Teorema 1.5.13 (sulla convergenza puntuale delle serie di Fourier).


Analisi III 45

Sia f una funzione periodica di periodo 2π, regolare a tratti su R. Allora la


1
serie di Fourier di f converge a [f+ (x) + f− (x)] per ogni x ∈ R, cioè alla me-
2
dia tra limite destro e limite sinistro di f in x.
In particolare, se f è continua in x, la sua serie di Fourier converge a f (x);
quindi

 1 [f (x) + f (x)] se f è discontinua in x
+ − 17
lim sn (x) = 2
n→+∞  f (x) se f è continua in x.

Dim. Osserviamo che per ogni fissato k ∈ N, da (1.29) risulta:


     
1 1
π sin k+ t Z sin k+ t
1 0
Z
1 2 2 1
dt = dt = . (1.31)
π 0
t π −π t 2
2 sin 2 sin
2 2
Fissato anche x ∈ R, si ha:

1
sk (x) − [f+ (x) + f− (x)]
2
  
1
sin k+ t
1 π
Z
(1.30) 2 1
= f (x + t) dt − [f+ (x) + f− (x)]
π −π t 2
2 sin
2
1 π f (x + t) − f+ (x)
Z   
(1.31) 1
= sin k+ t dt
π 0 t 2
2 sin
2
Z 0   
1 f (x + t) − f− (x) 1
+ sin k+ t dt. (1.32)
π −π t 2
2 sin
2

17 Si possono dare esempi di funzioni periodiche di periodo 2π solo continue su R la cui


serie di Fourier non converge in un numero infinito di punti (Du Bois - Reymond -1876, serie
di Fourier di una funzione continua, divergente per x = 0).
46 M. Carriero, L. De Luca

Posto
f (x + t) − f+ (x)

 se 0 < t ≤ π
t




 2 sin

 2
F (t) = 0 se t = 0
f (x + t) − f− (x)


se −π ≤ t < 0,


t



 2 sin
2
poiché f è regolare a tratti per ipotesi, dal teorema de l’Hôpital, si ha

∃ lim+ F (t) = f+0 (x) ∈ R, ∃ lim− F (t) = f−0 (x) ∈ R.


t→0 t→0

Ne segue che F è 2π-periodica e continua a tratti in [−π, π], quindi integrabile e


limitata.
Da (1.32) si ottiene:

1 π
Z   
1 1
sk (x) − [f+ (x) + f− (x)] = F (t) sin k+ t dt
2 π −π 2
1 π 1 π
Z Z
t t
= F (t) sin kt cos dt + F (t) cos kt sin dt
π −π 2 π −π 2

e la tesi si consegue per k → +∞, essendo, per il lemma di Riemann-Lebesgue


1.5.7,
Z π Z π
lim F (t) sin kt dt = lim F (t) cos kt dt = 0,
k→+∞ −π k→+∞ −π

t t
e considerato che cos ≤ 1, sin ≤ 1 per ogni t ∈ [−π, π]. 
2 2

Sulla convergenza uniforme.

Teorema 1.5.14 (sulla convergenza uniforme delle serie di Fourier).

Sia f una funzione periodica di periodo 2π, regolare a tratti e continua su R.


Allora la serie di Fourier di f converge totalmente in R, e quindi uniformemente,
Analisi III 47

18
alla funzione f :

sn ⇒ f in R.

Alla dimostrazione del teorema 1.5.14 premettiamo il seguente lemma.

Lemma 1.5.15. Sia f una funzione periodica di periodo 2π regolare a tratti


e continua su R. Allora, detti
1 π 0
Z
0
ak = f (x) cos kx dx ∀k ∈ N,
π −π
1 π 0
Z
0
bk = f (x) sin kx dx ∀k ∈ N,
π −π
i coefficienti di Fourier della funzione derivata f 0 , risulta

k ak = −b0k , k bk = a0k ∀k ∈ N.

18 Vale più in generale il seguente


Teorema. Sia f una funzione periodica di periodo 2π regolare a tratti su R. Allora la serie di
Fourier di f converge uniformemente a f in ogni intervallo chiuso in cui f è continua.
48 M. Carriero, L. De Luca

19
Dim. Poiché f è regolare a tratti e continua, per il teorema 1.5.16 , possiamo
integrare per parti, ottenendo:
1 π
Z
k ak = f (x) k cos kx dx
π −π
1 π 0
Z
1 π
= [f (x) sin kx]−π − f (x) sin kx dx = −b0k ;
π π −π
analogamente:
1 π
Z
k bk = f (x) k sin kx dx
π −π
Z π
1 1
= [f (x) (− cos kx)]π−π + f 0 (x) cos kx dx = a0k ;
π
| {z } π −π
=0 in quanto f (−π) = f (π) per la continuità di f in R

Dim. [teorema 1.5.14]


Essendo sup |ak cos kx + bk sin kx| ≤ |ak | + |bk | per ogni k ∈ N, per il criterio di
x∈R

19

Teorema 1.5.16. Sia f : [a, b] → R regolare a tratti e continua in [a, b]. Allora
Z b
f 0 (x) dx = f (b) − f (a). (1.33)
a

Dim. Supponiamo per semplicità che f sia continua in [a, b] e derivabile in [a, b] \ {x}. Per il
teorema fondamentale del calcolo integrale in [a, b], per a < t < x < s < b, si ha
Z t Z b
f 0 (x) dx = f (t) − f (a) e f 0 (x) dx = f (b) − f (s); (1.34)
a s

per t → x− e per s → x+ , si ha
Z x Z b
f 0 (x) dx = lim f (t) − f (a) e f 0 (x) dx = f (b) − lim f (s).
a t→x− x s→x+

Sommando, si ha
Z b Z x Z b
0 0
f (x) dx = f (x) dx + f 0 (x) dx = f (b) − f (a),
a a x

in quanto in x f è continua per ipotesi. 


Analisi III 49

Weierstrass è sufficiente provare che la serie numerica


+∞
X
(|ak | + |bk |) < +∞. (1.35)
k=1

Dalla disuguaglianza 2ab ≤ a2 + b2 per ogni a, b ∈ R, segue


1 1
2 |ak | = 2 k |ak | ≤ k 2 a2k + 2 e
k k
1 1
2 |bk | = 2 k |bk | ≤ k 2 b2k + 2 .
k k
Allora, per provare (1.35) è sufficiente provare che la serie numerica
+∞
X
k 2 a2k + b2k < +∞.

k=1

Ne segue che la formula di integrazione per parti


Z b Z b
0 x=b
f (x) g (x) dx = [f (x) g(x)]x=a − f 0 (x) g(x) dx
a a

è valida se si suppone (soltanto) che f e g siano due funzioni regolari a tratti e continue in [a, b].

Osservazione 1.5.17. La sola ipotesi di regolarità a tratti in [a, b] per f non garantisce la
validità di (1.33); ad esempio, consideriamo la funzione di Heaviside


 1 se 0 < x ≤ 1



H(x) := 0 se x = 0




−1 se −1 ≤ x < 0.

H è regolare a tratti in [−1, 1] ma non è continua in [−1, 1].


Risulta
Z 1
H 0 (x) dx = 0 6= H(1) − H(−1) = 2.
−1

La funzione f (x) = |x| è regolare a tratti e continua in [−1, 1], pertanto vale il teorema
1.5.16 e si ha
Z 1
f 0 (x) dx = 0.
−1
50 M. Carriero, L. De Luca

Ma questa segue dalla disuguaglianza di Bessel (1.27) applicata ai coefficienti di


Fourier di f 0 , che è limitata e integrabile in [−π, π].
Infatti,
+∞ +∞ h i
lemma 1.5.15
X X 2 2
2
a2k b2k (b0k ) + (a0k )

k + =
k=1 k=1
Z π
teorema 1.5.6 1 2
≤ (f 0 (x)) dx < +∞.
π −π

20
Teorema 1.5.18 (Uguaglianza di Parseval ).
Nelle ipotesi del teorema 1.5.14, da (1.26):
" n
#
π π
a20
Z Z
1 1 X
|f (x) − sn (x)|2 dx = f 2 (x) dx − a2k + bk
2

+ ,
π −π π −π 2 k=1

e poiché sn ⇒ f per n → +∞ si ha
" +∞
#
1 π 2 a20 X 2
Z
ak + b2k

0= f (x) dx − +
π −π 2 k=1

e quindi
π +∞
a20 X 2
Z
1
f 2 (x) dx = ak + b2k

+
π −π 2 k=1

(uguaglianza di Parseval).

Esempio 1.5.19. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione (
0 se −π < x ≤ 0
g(x) =
x se 0 < x ≤ π.

20L’uguaglianza di Parseval vale sotto la sola ipotesi che f : R → R sia 2π-periodica e


integrabile.
Il lettore interpreti l’uguaglianza di Parseval in termini di energia di (del segnale) f .
Analisi III 51

Calcoliamo i coefficienti di Fourier di f :


1 π 1 π
Z Z
π
a0 = f (x) dx = x dx = ;
π 0 π 0 2
a2k = 0 ∀k ∈ N;
2
a2k−1 = − ∀k ∈ N;
π (2k − 1)2
(−1)k+1
bk = ∀k ∈ N.
k
Quindi la serie di Fourier di f è
+∞
!
π X 2 (−1)k+1
+ − cos [(2k − 1) x] + sin kx .
4 k=1 π (2k − 1)2 k

Per x = π (punto di discontinuità per f ), si ha


+∞
π 2X 1 teorema 1.5.13 1 π
+ = [f+ (π) + f− (π)] = .
4 π k=1 (2k − 1)2 2 2

Teorema 1.5.20 (sulla integrazione termine a termine delle serie di


Fourier.).
Sia f una funzione periodica di periodo 2π continua a tratti. Allora, fissati x0 , x ∈
[−π, π], risulta
Z x +∞ Z x
a0 0
 X
f (t) dt = x−x + (ak cos kt + bk sin kt) dt.
x0 2 k=1 x 0

Dim. Sia F la funzione integrale, estesa ad R in modo periodico con periodo 2π,
definita da: Z x h a0 i
F (x) = f (t) − dt ∀x ∈ [−π, π] .
−π 2
1 π
Z
Allora, F è continua in [−π, π] e ricordando che a0 = f (t) dt:
π −π
Z π
a0
F (π) = f (t) dt − 2π = 0 = F (−π),
−π 2
52 M. Carriero, L. De Luca

pertanto F è continua in R.
Essendo

a0
F0 = f − , (1.36)
2

ne segue che F risulta anche regolare a tratti e quindi, per il teorema 1.5.14 la
serie di Fourier di F converge uniformemente ad F .
Detti per ogni k ∈ N αk e βk i coefficienti di Fourier di F , per il lemma 1.5.15
k αk = −βk0 = −bk e k βk = αk0 = ak per ogni k ∈ N (tenuto conto anche di
(1.36)).
Fissati, quindi, x0 , x ∈ [−π, π] si ha:
Z x h a0 i
f (t) − dt = F (x) − F (x0 )
x0 2
+∞
(per la conv. unif.) X
αk cos kx − cos kx0 + βk sin kx − sin kx0
  
=
k=1
+∞ 
cos kx − cos kx0 sin kx − sin kx0
X 
= −bk + ak
k=1
k k
+∞ 
X Z x Z x 
= bk sin kt dt + ak cos kt dt .
k=1 x0 x0

Osservazione 1.5.21. Osserviamo che nel teorema precedente non si suppone


che la serie di Fourier di f sia convergente. Evidenziamo inoltre che per quanto
già provato nel teorema precedente, si ha la seguente relazione tra i coefficienti
di Fourier ak e bk di f e i coefficienti di Fourier αk e βk di F (primitiva di f ):

k αk = −bk e k β k = ak .

Questo risultato a volte é utile per il calcolo delle serie di Fourier.


Analisi III 53

Esempio 1.5.22. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione (
−1 se −π ≤ x < 0
g(x) =
1 se 0 ≤ x < π.
Poiché f è dispari, si ha

ak ≡ 0 ∀k ∈ N0 ;
1 π
Z  Z 0 Z π 
1
bk = f (x) sin kx dx = − sin kx dx + sin kx dx
π −π π −π 0
( 0  π )
1 cos kx cos kx 2 2  
= − = (1 − cos kπ) = 1 − (−1)k ;
π k −π k 0 kπ kπ
pertanto

b2k ≡ 0 ∀k ∈ N,
4
b2k−1 = ∀k ∈ N.
(2k − 1) π
ne segue

+∞
X 4  f (x)
 nei punti x di continuità di f
sin (2k−1)x =
k=1
(2k − 1) π  1 [f+ (x) + f− (x)] nei punti hπ con h ∈ Z.

2
Esempio 1.5.23. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando
su R la funzione (
0 se −π < x ≤ 0
g(x) =
sin x se 0 < x ≤ π.
Risulta
1 π
Z
1 2
a0 = sin x dx = − [cos x]π0 = ;
π 0 π π
Z π
1
ak = sin x cos kx dx (poiché 2 sin x cos kx = sin (1 − k) x + sin (1 + k) x)
π 0
π
(−1)k + 1
 
1 1 cos (1 − k) x cos (1 + k) x
= − + = ∀k > 1;
π 2 1−k 1+k 0 π (1 − k 2 )
54 M. Carriero, L. De Luca

1 π
Z
a1 = sin x cos x dx = 0;
π 0
1 π
Z
bk = sin x sin kx dx = 0 ∀k > 1;
π 0
1 π 2
Z
1
b1 = sin x dx = .
π 0 2

Pertanto

+∞
1 sin x X (−1)k + 1
f (x) = + + cos kx
π 2 k=2
π (1 − k 2 )
+∞
1 sin x 2 X cos 2kx
= + + ∀x ∈ R.
π 2 π k=2 (1 − 4k 2 )

Esempio 1.5.24. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione

g(x) = |cos x| ∀x ∈ ] − π, π [

Poiché f è pari, si ha

bk ≡ 0 ∀k ∈ N;
Z π
1
a0 = |cos x| dx
π −π
"Z π Z π #
−2 Z π
1 2
= (− cos x) dx + cos x dx + (− cos x) dx
π −π − π2 π
2

4
= ;
π
Analisi III 55

Z π
1
ak = |cos x| cos kx dx
π −π
" Z π Z π
−2
1 2
= − cos x cos kx dx + cos x cos kx dx
π −π − π2
Z π #
− cos x cos kx dx
π
2
" Z π
−2
1
= − cos (1 + k)x + cos (1 − k)x dx+
2π −π
Z π
2
+ cos (1 + k)x + cos (1 − k)x dx
− π2
#
Z π
− cos (1 + k)x + cos (1 − k)x dx
π
2
(  − π  − π
1 sin (1 + k)x 2 sin (1 − k)x 2
= − −
2π 1+k −π 1−k −π
 π
2   π2
sin (1 + k)x sin (1 − k)x
+ +
1+k − π2 1−k − π2
 π  π )
sin (1 + k)x sin (1 − k)x
− −
1+k π 1−k π
2 2
 π π π
4  cos k 2 cos k
2=
4 cos k
2
= + ∀k > 1;
2π 1 + k 1−k π (1 − k 2 )

1 π
Z
a1 = |cos x| cos x dx
π −π
" Z π Z π #
−2 Z π
1 2
= − cos2 x dx + cos2 x dx − cos2 x dx
π −π −2π π
2

1 n
− π π o
= − [sin x cos x + x]−π2 + [sin x cos x + x]−2 π − [sin x cos x + x]ππ
2π 2 2

= 0;
56 M. Carriero, L. De Luca

21
pertanto

a2k−1 = 0 ∀k ∈ N
4 (−1)k 4 (−1)k+1
a2k = = ∀k ∈ N0 .
π (1 − 4k 2 ) π (4k 2 − 1)
In definitiva,
+∞
2 4 X (−1)k+1
|cos x| = + cos 2kx.
π π k=1 4k 2 − 1
Per x = 0:
+∞
2 4 X (−1)k+1
1= + ,
π π k=1 4k 2 − 1
pertanto
+∞
X (−1)k+1 π 1
= − .
k=1
4k 2 −1 4 2

Osservazione 1.5.25 (Periodi diversi da 2π).


Se f è periodica di periodo T > 0, la serie di Fourier associata a f è
+∞
A0 X
+ (Ak cos kωx + Bk sin kωx)
2 k=1


dove ω = (pulsazione dell’oscillazione), e i coefficienti di Fourier sono dati da
T
Z T
2 2
Ak = f (x) cos kωx dx ∀k ∈ N0 ,
T − T2
Z T
2 2
Bk = f (x) sin kωx dx ∀k ∈ N.
T − T2

Chiaramente, se T = 2π otteniamo le espressioni già viste per funzioni 2π-


periodiche.
(
21cos π 0 se k è dispari
k = k
2 (−1) 2
se k è pari
Analisi III 57

Esempio 1.5.26. Sia f il prolungamento periodico di periodo T = 6 della funzione

g(x) = |x| ∀x ∈ [−3, 3] .


π
Risulta; ω = . Calcoliamo i coefficienti di Fourier di f .
3
Poiché f è pari:

Bk ≡ 0 ∀k ∈ N;
Z 3  Z 0 Z 3 
2 1
A0 = |x| dx = − x dx + x dx
6 −3 3 −3 0
Z ( 2 0  2 3 )
1 3 x x
= − + = 3;
3 −3 2 −3 2 0
2 3 2 3
Z Z
kπx kπx
Ak = |x| cos dx = x cos dx
6 −3 3 3 0 3
( 3 Z 3  )
2 3 kπx 3 kπx
= x sin + − sin dx
3 kπ 3 0 kπ 0 3
(  3 )
2 9 kπx 6 h k
i
= cos = 2 2 (−1) − 1 ∀k ∈ N.
3 k2π2 3 0 k π
Pertanto

A2k ≡ 0 ∀k ∈ N,
12
A2k−1 = − ∀k ∈ N.
(2k − 1)2 π 2
In definitiva
+∞
3 12 X 1 (2k − 1) πx
|x| = − 2 2 cos ;
2 π k=1 (2k − 1) 3
per x = 0, si ha
+∞
3 12 X 1
0= − 2
2 π k=1 (2k − 1)2
e quindi
+∞
X 1 π2
= .
k=1
(2k − 1)2 8
58 M. Carriero, L. De Luca

Poiché f è continua e regolare a tratti, per l’ugugaglianza di Parseval 1.5.18


Z 3 +∞
1 9 X 144
6= |x|2 dx = + ,
3 −3 2 k=1 (2k − 1)4 π 4

ne segue
+∞
X 1 π4
= .
k=1
(2k − 1)4 96

Esempio 1.5.27. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione
 π
 0 se −π ≤ x < −


 2

 π π
 +x se − ≤x<0


g(x) = 2 2
π π
 −x
 se 0 ≤ x <
2 2



π


 0 se ≤ x ≤ π.

2
Poiché f è pari:

bk ≡ 0 ∀k ∈ N;
1 π
Z
π
a0 = f (x) dx = ;
π −π 4
Z π
1 2  π
ak = f (x) cos kx dx = 1 − cos k ∀k ≥ 1;
π −π π k2 2

distinguendo i due casi k pari e k dispari, otteniamo:



2  0 se m è pari
m
a2m = (1 − (−1) ) = 4 ∀m ∈ N
π (2m)2  2 se m è dispari
π (2m)
!
2 2
a2m−1 = 2 1 − sin mπ} = ∀m ∈ N.
π (2m − 1) | {z
=0
π (2m − 1)2
Analisi III 59

Quindi

+∞
π X 1
f (x) = + cos (2 (2k − 1)) x
8 k=1 π (2k − 1)2
+∞
X 2
+ cos (2k − 1) x
k=1
π (2k − 1)2
+∞ +∞
π 1 X cos (2 (2k − 1)) x 2 X cos (2k − 1) x
= + + .
8 π k=1 (2k − 1)2 π k=1 (2k − 1)2

Esempio 1.5.28. Sia f la funzione periodica di periodo 2π ottenuta prolungando


su R la funzione

2 π
 − (x − π) se −π ≤ x ≤ −
π2


 π
g(x) = 0 se − < x <

 (x − π)2
 π2 2
se ≤ x ≤ π.

2

Poiché f è dispari:

ak ≡ 0 ∀k ∈ N0 ;
1 π 2 π
Z Z
bk = f (x) sin kx dx = (x − π)2 sin kx dx
π −π π π2
π π 2 π 4  π
= cos k + 2 sin k + 3 cos kπ − cos k ;
2k 2 k 2 k π 2

distinguendo i due casi k pari e k dispari, otteniamo:

1 − (−1)m

π m
(−1) + se k = 2m, m ∈ N


4m m−1 2π m3

bk = 2 (−1) 4
2 − se k = 2m − 1, m ∈ N.


(2m − 1) π (2m − 1)3

60 M. Carriero, L. De Luca

In definitiva
+∞ 
1 − (−1)m sin 2 m x

1X π m
f (x) ∼ (−1) +
2 m=1 2 π m2 m
+∞  
X m−1 2 sin (2m − 1) x
+2 (−1) − .
m=1
π (2m − 1) (2m − 1)2
π
Per x = , si ha
2
π2
lim − f (x) = 0 e lim + f (x) dx = ,
x→( π2 ) x→( π2 ) 4

pertanto, per il teorema 1.5.13

+∞   sin (2m − 1) π
π2 X 2 2
= 2 (−1)m−1 − 2
8 m=1
π (2m − 1) (2m − 1)
+∞
" #
X 1 2 (−1)m−1
= 2 − .
m=1
(2m − 1)2 π (2m − 1)3

Osservazione 1.5.29. Le serie di Fourier consentono di ricavare la somma di


alcune serie numeriche (convergenti) notevoli:
+∞
X 1 π2
= (esempio 1.5.19, per x = π)
k=1
(2 k − 1)2 8
+∞
X (−1)k+1 π π
= (esempio 1.5.22, per x = )
k=1
2k − 1 4 2
+∞
X (−1)k+1 π 1
= − (esempio 1.5.24, per x = 0)
k=1
4 k2 − 1 4 2
+∞
X 1 π4
= (esempio 1.5.26, applicando l’uguaglianza di Parseval).
k=1
(2 k − 1)4 96
Analisi III 61

Osservazione 1.5.30 (Fenomeno di Gibbs).


Esaminiamo il grafico di una funzione discontinua f insieme a quello della sua
k-esima somma parziale di Fourier sk (x).
Per esempio la funzione

f (x) = x in [−π, π] ,

prolungata in R con periodo 2π, ha la seguente serie di Fourier


X 2 (−1)k+1
sin kx.
k=1
k

La figura 1 mostra il grafico di f insieme a quello della somma parziale (della sua
serie di Fourier) s5 (x) in (−2π, 2π).
In x = π (punto di discontinuità di prima specie per la periodizzata di f ) la
serie converge a 0 (che è la media tra i limiti destro e sinistro di f in x = π).
Osserviamo (cfr. anche figura 2) che vicino al punto di salto x = π, la somma
sn (x) non solo non approssima bene la funzione (perché sn (x) è continua ed f
non lo è), ma in più presenta un’oscillazione maggiore di quella della funzione
discontinua.
Questo fenomeno, consistente nell’impossibilità di approssimare con (le armo-
n
X
niche) sn (x) = (ak cos kx + bk sin kx), una funzione vicino ad un punto di
k=1
discontinuità di prima specie (salto), prende il nome di fenomeno di Gibbs.
62 M. Carriero, L. De Luca

2 4 6
-6 -4 -2
-2

-4

-6

Figura 1: Grafico di f(x)=x e di s5(x)

2 4 6
-6 -4 -2
-2

-4

-6

Figura 2: Grafico di f(x)=x e di s40(x)


Analisi III 63

Osservazione 1.5.31 (Velocità di convergenza a 0 dei coefficienti di


Fourier).
In virtù del Lemma di Riemann-Lebesgue (corollario 1.5.7), sappiamo che se f è
2π-periodica e integrabile in R, allora i coeficienti di Fourier di f ak , bk → 0 per
k → +∞.
Dal lemma 1.5.15, sappiamo anche che se f è 2π-periodica, continua in R e re-
golare a tratti (in particolare, f ∈ C 1 (R)), allora f 0 è integrabile in [−π, π] (cfr.
teorema 1.5.16) e i coefficienti di Fourier di f 0 sono a0k = kbk , b0k = −kak , e (come
+∞
X
k 2 a2k + b2k < +∞. Ne segue, in partico-

visto nella dimostrazione) risulta
k=1    
2 2 2
 1 1
lare, che k ak + bk → 0 per k → +∞, da cui ak = o e bk = o per
k k
k → +∞. Iterando questo ragionamento, possiamo dedurre che
maggiore è la regolarità di f , maggiore sarà la rapidità di convergeza a 0 dei suoi
coefficienti di Fourier
Questo fatto significa che alla maggiore regolarità della funzione periodica corri-
sponde un minore numero di termini effettivamente presenti nel suo sviluppo di
Fourier. In definitiva

f 2π-periodica e molto regolare ⇒ poche armoniche significative


nello sviluppo di Fourier di f .

Alla luce di quanto sopra evidenziato, il lettore, ad esempio, riguardi per la


funzione f (x) = x in ] − π, π [ le figure 1 e 2 dell’osservazione precedente.

Osservazione 1.5.32 (Forma esponenziale complessa delle serie di


Fourier).
Considerate le relazioni di Eulero e±ikx = cos kx ± i sin kx, è naturale chiedersi se
lo sviluppo di una funzione periodica possa essere scritto (in forma più compatta)
sostituendo alle funzioni cos kx e sin kx gli esponenziali complessi eikx .
Per questo, data una funzione f 2π-periodica e integrabile in (−π, π), possiamo
64 M. Carriero, L. De Luca

definire la serie di Fourier di f in forma complessa:


+∞
X
f∼ fˆ(k)eikx (1.37)
k=−∞
| {z }
(serie bilatera)
dove Z π
1
fˆ(k) = f (x)e−ikx dx ∀ k ∈ Z (k = 0, ±1, ±2, . . .).
2π −π

Con le notazioni complesse abbiamo un’unica successione fˆ(k) di coefficienti di


Fourier di f , anziché due successioni ak , bk . La successione fˆ(k) è però indiciata
sugli interi relativi e non solo sugli interi positivi.
Confrontando la (1.37) con le (1.24) e (1.25) si vede che valgono le seguenti rela-
zioni, che consentono di passare dai coefficienti calcolati in forma trigonometrica
a quelli calcolati in forma esponenziale complessa e viceversa:

per k = 1, 2, 3, 4, . . .
 1
fˆ( k) =

(ak − ibk ) ˆ(k) + fˆ(−k) = 2Re fˆ(k)
 ak = f 

2

 

1
 
ˆ ˆ
f (−k) = f (k) = (ak + ibk ) , bk = i f (k) − f (−k) = −2Im fˆ(k) .
ˆ ˆ
2
 fˆ( 0) = a0
 

  a = 2fˆ(0)

0
2
Da queste relazioni risulta:
n n
X
ˆ ikx a0 X
f (k)e = + (ak cos kx + bk sin kx) ,
k=−n
2 k=1

pertanto si possono riscrivere i teoremi di convergenza delle serie di Fourier in


termini dello sviluppo in esponenziali complessi (e ciò è utile sia da un punto di
vista teorico sia pratico, in quanto può talvolta facilitare i calcoli).
Naturalmente anche per le serie di Fourier in forma esponenziale complessa vale
l’osservazione 1.5.25.
CAPITOLO 2

Limiti e continuità in più variabili reali

2.1. Topologia di Rn

Su (Rn , +, ·) spazio vettoriale su R (Rn = R


| ×R×
{z. . . × R}) sono definite le
n copie di R
seguenti operazioni

x = (x1 , . . . , xn )
∀ ∈ Rn : x + y := (x1 + y1 , x2 + y2 , . . . , xn + yn ) ∈ Rn
y = (y1 , . . . , yn )
∀ λ∈R : λx := (λx1 , . . . , λxn ) ∈ Rn .
Ovviamente dim Rn = n e


 e1 = (1, 0, . . . , 0)

 e2 =

(0, 1, . . . , 0)
.. è la base canonica di Rn ;


 .

en = (0, 0, . . . , 1)

per ogni x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Rn : x = x1 e1 + x2 e2 + . . . + xn en


e tale rappresentazione è unica.
Su Rn pensiamo sempre definito il prodotto scalare euclideo:

( · | · ) : Rn × R n → R
(x, y) 7→ (x|y) = x · y := x1 y1 + . . . xn yn

con le seguenti proprietà:

1. bilinearità (cioè, lineare rispetto alle due variabili);


65
66 M. Carriero, L. De Luca

2. ∀ x n
y ∈ R : (x|y) = (y|x);
3. ∀x ∈ Rn : (x|x) ≥ 0, (x|x) = 0 ⇔ x = 0 = (0, . . . , 0).

Vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz:

∀x
1 1
n
y ∈ R : |(x|y)| ≤ (x|x) 2 · (y|y) 2 ,
(il prodotto scalare euclideo è continuo in ciascuna delle due variabili).
Il prodotto scalare euclideo induce la norma euclidea in Rn :
n
! 12
1 X
kxk := (x|x) 2 = x2i ≥0
i=1

con le seguenti proprietà

1. ∀x ∈ Rn : kxk ≥ 0, kxk = 0 ⇔ x = 0;
2. ∀x ∈ Rn , ∀λ ∈ R: kλxk = |λ| kxk;
3. ∀ xy ∈ Rn : kx + yk ≤ kxk + kyk (disuguaglianza triangolare).

Pertanto (Rn , +, ·) è uno spazio normato.


Inoltre, dalla norma euclidea si definisce la distanza euclidea in Rn

dist (x, y) := kx − yk
con le seguenti proprietà

1. ∀ x n
y ∈ R : dist (x, y) ≥ 0, dist (x, y) = 0 ⇔ x = y;
2. ∀ x n
y ∈ R : dist (x, y) = dist (y, x);
x
3. ∀ y ∈ Rn : dist (x, y) ≤ dist (x, z) + dist (z, y).
z

Quindi (Rn , +, ·) è anche uno spazio metrico.

Definizione 2.1.1 (Intorni sferici, intorni).


Sia x0 ∈ Rn e sia r > 0. Si dice intorno sferico aperto (o anche palla aperta) di
Analisi III 67

centro x0 e raggio r l’insieme



Br x0 := x ∈ Rn : x0 − x < r .
 


L’insieme B r x0 := x ∈ Rn : x0 − x ≤ r è detto intorno sferico chiuso
 

(o anche palla chiusa) di centro x0 e raggio r.


Si dice sfera di centro x0 e raggio r l’insieme

Sr x0 := x ∈ Rn : x − x0 = r .
 

Notiamo che B r x0 = Br x0 ∪ Sr x0 .
  

Un intorno di x0 è un sottoinsieme I ⊂ Rn tale che esiste r > 0 per cui Br x0 ⊂




I.

Osservazione 2.1.2. Per ogni coppia di punti distinti x, y ∈ Rn esiste r > 0 t.c.
Br (x) ∩ Br (y) = ∅.

Definizione 2.1.3 (Punti interni, esterni, di frontiera).


Siano A ⊂ Rn e x0 ∈ Rn .
def
x0 è punto interno ad A ⇔ ∃ r > 0 t.c. Br x0 ⊂ A;


def
x0 è punto esterno ad A ⇔ x0 è punto interno al complementare
di A (che indichiamo con Ac );
def
x0 è punto di frontiera di A ⇔ x0 non è né punto interno
né punto esterno ad A.

Si dice parte interna (o interno) di A l’insieme, indicato con A, dei punti interni
ad A.
Indichiamo con ∂A l’insieme dei punti di frontiera di A; ovviamente ∂A = ∂Ac .
Si dice chiusura di A e si indica con A l’insieme A ∪ ∂A.
68 M. Carriero, L. De Luca

Definizione 2.1.4 (Punti di accumulazione, punti isolati).


Siano A ⊂ Rn e x0 ∈ Rn .
def
x0 è punto d’accumulazione di A ⇔ ∀ r > 0 : A ∩ Br x0 \ x0 6= ∅.
 

L’insieme dei punti di accumulazione di A è detto derivato di A e si indica con


D (A).
def
x0 ∈ A è punto isolato di A ⇔ ∃ r > 0 : A ∩ Br x0 = x0 .
 

Definizione 2.1.5 (Insiemi aperti e chiusi). Sia A ⊂ Rn .


def ◦
A è (un insieme) aperto ⇔ A = A
(cioè ogni punto x ∈ A è interno ad A);
def
A è (un insieme) chiuso ⇔ Ac è (un insieme) aperto.

Proposizione 2.1.6 (Proprietà degli aperti e dei chiusi).

[
1. Se A è una famiglia qualsiasi di aperti di Rn , allora A è ancora un
A∈A
aperto.
\
Inoltre, se A è una famiglia finita di aperti di Rn , allora A è ancora
A∈A
un aperto.
\
2. Se C è una famiglia qualsiasi di chiusi di Rn , allora C è ancora un
C∈C
chiuso.
[
Inoltre, se C è una famiglia finita di chiusi di Rn , allora C è ancora
C∈C
un chiuso.

Teorema 2.1.7 (Caratterizzazione dei chiusi). Sia C ⊂ Rn . Allora

C è chiuso ⇔ ∂C ⊂ C ⇔ D (C) ⊂ C.
Analisi III 69

Definizione 2.1.8 (Insiemi limitati). Sia A ⊂ Rn .


def
A è limitato ⇔ ∃ r > 0 t.c. A ⊂ Br (0) .

Definizione 2.1.9 (Segmenti e poligonali).


Dati x, y ∈ Rn si dice segmento di estremi x e y l’insieme

[x, y] := {ty + (1 − t) x : 0 ≤ t ≤ 1} .

Dati i punti x1 , . . . , xk ∈ Rn si dice poligonale di vertici x1 , x2 , . . . , xk


(nell’ordine), e si indica con
{x1 , . . . , xk }
l’unione dei segmenti [xi , xi+1 ] per i = 1, . . . , k − 1.

Osserviamo che con gli stessi vertici si possono ottenere poligonali differenti mu-
tandone l’ordine: perciò, nella definizione precedente abbiamo sottolineato che
la poligonale non è definita solo dai vertici, ma anche dall’ordine in cui vengono
assegnati.
Usando le poligonali si può dare una nozione di connessione in Rn .

Definizione 2.1.10 (Insiemi connessi, connessi per poligonali, conves-


si, stellati rispetto ad un punto).
Un sottoinsieme A ⊂ Rn si dice connesso se non è unione di due aperti non vuoti
disgiunti.
Un sottoinsieme A ⊂ Rn si dice connesso per poligonali se per ogni coppia di
punti x, y ∈ A esiste una poligonale di vertici x = x1 , x2 , . . . , xk = y tutta
contenuta in A.
Un sottoinsieme A ⊂ Rn si dice convesso se per ogni coppia di punti x, y ∈ A il
segmento [x, y] è contenuto in A.
Ovviamente, ogni insieme convesso è connesso per poligonali.
Un insieme A ⊂ Rn si dice stellato rispetto al punto x0 ∈ A se per ogni punto
x ∈ A il segmento x0 , x è contenuto in A.
 
70 M. Carriero, L. De Luca

Ogni insieme A che sia stellato rispetto ad un suo punto è connesso per poligonali:
dati x, y ∈ A, la poligonale x, x0 ∪ x0 , y è infatti contenuta in A.
   

Osservazione 2.1.11. Si può dimostrare che ogni aperto A ⊂ Rn (se non è


connesso per poligonali) si può decomporre in un’unione disgiunta di sottoinsiemi
aperti connessi per poligonali.
Ciascuno di questi si dice componente connessa di A.

2.2. Successioni di Rn

Sia {xh } una successione di elementi di Rn , cioè xh ∈ Rn per ogni h ∈ N.

Definizione 2.2.1.
def
{xh } limitata ⇔ ∃ r > 0 t.c. kxh k ≤ r ∀h ∈ N.

Definizione 2.2.2.
def
{xh } converge ax0 ⇔ ∀ε > 0 ∃ ν = νε ∈ N t.c.
xh −→ x0
h→+∞

∀h > ν : xh − x0 < ε.
def
kxh k −→ +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ ν = νM ∈ N t.c.
h→+∞

∀h > ν : kxh k > M.

Esempio 2.2.3. In R2 :
 
1 h−1
xh = (xh,1 , xh,2 ) = √ , −→ (0, 1) .
h h h→+∞

Proposizione 2.2.4. Se {xh } è una successione convergente in Rn , allora {xh }


è limitata.

Proposizione 2.2.5. Sia {xh } ⊂ Rn e poniamo xh = (xh,1 , . . . , xh,n ) per ogni


h ∈ N. Sono equivalenti le seguenti proposizioni:
Analisi III 71

(i) la successione vettoriale {xh } converge a x0 = x01 , . . . , x0n ∈ Rn ;




(ii) per ogni i = 1, . . . , n, la successione reale {xh,i }h converge ad x0i .

Dim.


(i) ⇒ (ii) Basta osservare che xh,i − x0i ≤ xh − x0 per ogni i = 1, . . . , n.

(ii) ⇒ (i) E’ sufficiente osservare che per l’ipotesi


v
u n
uX 2
xh − x0 = t |xh,i − x0i | → 0 per h → +∞.
i=1

Dalla proposizione precedente segue che il limite di una successione convergente


è unico.
 
1 h
Osservazione 2.2.6. Posto xh = (−1) , per ogni h ∈ N, la successione
h 
{xh } è limitata ma non convergente in R2 poiché (−1)h non è una successione

regolare in R.
Quindi possiamo concludere che anche in Rn la limitatezza della successione è
solo una condizione necessaria, ma non sufficiente per la convergenza.

Se {xh } ⊂ Rn e {k(h)}h è una successione strettamente crescente di numeri



naturali, la successione xk(h) h si dice successione estratta (o sottosuccessione
di ) di {xh }.
Osserviamo che, come nel caso reale, se {xh } ⊂ Rn e xh → x0 , allora ogni succes-
sione estratta di {xh } converge allo stesso limite x0 ; esistono però successioni non
convergenti che ammettono estratte convergenti (come ad esempio (−1)h , 1 ).

72 M. Carriero, L. De Luca

Con le successioni si possono caratterizzare gli insiemi chiusi.

Proposizione 2.2.7 (Caratterizzazione sequenziale dei chiusi di Rn ).

C ⊂ Rn chiuso ⇔ ∀ {xh } ⊂ C t.c. xh → x0 , risulta x0 ∈ C.

Dim.

⇒ Supponiamo per assurdo che esista {xh } ⊂ C t.c.


xh → x0 ∈ C c := Rn \C (aperto). Allora, esiste ε > 0 t.c. Bε x0 ⊂ C c ,


cioè in tale Bε x0 non potrebbe cadere alcun punto di C, contro il fatto




che, per ipotesi, xh ∈ Bε x0 definitivamente.




⇐ Proviamo che C c è aperto. Se C c non fosse aperto, esisterebbe x0 ∈ C c


1
t.c. Bε x0 6⊂ C c per ogni ε > 0. Preso ε = , per ogni h ∈ N

h
∃ xh ∈ B 1 x0 ∩ C; quindi xh → x0 ∈ C per ipotesi (contro l’assunto

h

che x0 ∈ C c ).

Definizione 2.2.8 (Insiemi compatti). Sia K ⊂ Rn .


def 
K sequenzialmente compatto ⇔ ∀ {xh } ⊂ K ∃ xk(h) h ⊂ {xh }
(o compatto (per successioni))
t.c. xk(h) −→ x0 ∈ K.
h→+∞

Proposizione 2.2.9. Sia K ⊂ Rn compatto. Allora K è chiuso.

Teorema 2.2.10 (Heine-Borel; Caratterizzazione dei compatti di Rn ).

Sia K ⊂ Rn .

K compatto ⇔ K chiuso e limitato.


Analisi III 73

Dim.

⇒ Per la proposizione precedente K è chiuso. Inoltre, se K non fosse limi-


tato, esisterebbe una successione {xh } ⊂ K t.c.
lim kxh k = +∞ e da questa non si potrebbe estrarre alcuna sottosuc-
h→+∞
cessione convergente, contro l’ipotesi che K è compatto.
⇐ Sia {xh } ⊂ K con xh = (xh,1 , . . . , xh,n ). Allora, per ogni
i = 1, . . . , n le successioni reali {xh,i } sono limitate, pertanto (per il

teorema di Bolzano-Weierstrass), per ogni i = 1, . . . , n ∃ xk(h),i h t.c.
1
xk(h),i −→ xi . Quindi, per la proposizione 2.2.5,
h→+∞
xk(h) → x = (x1 , . . . , xn ) ∈ K essendo K chiuso. Ne segue che K è
compatto.

1Per costruire tale successione usiamo un procedimento diagonale.


Poiché la successione reale {xh,1 } è limitata, ∃ k1 (h) successione strettamente crescen-
te di interi positivi t.c. xk1 (h),1 → x1 ∈ R.

Ora, la successione xk1 (h),2 è estratta da {xh,2 } e pertanto è limitata, quindi ∃ k2 (h)
successione strettamente crescente di interi positivi t.c. xk2 (k1 (h)),2 → x2 ∈ R.
Ripetendo lo stesso argomento: ∃ kn (h) successione strettamente crescente di interi
positivi t.c. xkn (kn−1 (...(k1 (h)))),n → xn ∈ R.
Allora, posto k (h) = kn (kn−1 (. . . (k1 (h)))), risulta:

xk(h),i → xi ∀i = 1, . . . , n,

e quindi, per la proposizione 2.2.5 la successione xk(h) converge a x = (x1 , . . . , xn ).
74 M. Carriero, L. De Luca

2.3. Completezza di Rn

Ricordiamo la seguente definizione.

def
La successione {xh } ⊂ Rn è di Cauchy ⇔ ∀ε > 0 ∃ ν = νε ∈ N t.c.
∀k
h > ν : kxk − xh k < ε

Ogni successione convergente in Rn è di Cauchy in Rn mentre il viceversa, in


generale, non vale, come dimostra il seguente controesempio.
( h )
1
Esempio 2.3.1. La successione di numeri razionali 1+ ⊂ Q è di
h
Cauchy in R, ma il suo limite è il numero di Nepero e ∈ R \ Q.

Teorema 2.3.2 (Completezza di Rn ).


Rn è completo, cioè, ogni successione {xh } ⊂ Rn di Cauchy è convergente in Rn .

Dim. Sia {xh } ⊂ Rn una successione di Cauchy. Per ogni i = 1, . . . , n la succes-


sione {xh,i }h è di Cauchy in R; essendo R completo: ∃ xi ∈ R t.c. xh,i −→ xi .
h→+∞
Per la proposizione 2.2.5, xh → x = (x1 , . . . , xn ). 

2.4. Limiti e continuità delle funzioni reali di più variabili reali e delle
funzioni vettoriali di più variabili reali

Diciamo dominio naturale della funzione f = f (x) = f (x1 , . . . , xn ) il più grande


sottoinsieme di punti x in Rn in cui tutte le operazioni richieste per il calcolo del
valore f (x) si possono eseguire.
Analisi III 75

Definizione 2.4.1. Sia A ⊂ Rn e sia x0 ∈ Rn un punto di accumulazione di A.


Sia f : A → R una funzione.
def
lim0 f (x) = l ∈ R ⇔ ∀ε > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c.
x→x

∀x ∈ A, 0 < x − x0 < δ : |f (x) − l| < ε.

def
lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c.
x→x0

∀x ∈ A, 0 < x − x0 < δ : f (x) < −M.

def
lim0 f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c.
x→x

∀x ∈ A, 0 < x − x0 < δ : f (x) > M.

Se A è illimitato,
def
lim f (x) = l ∈ R ⇔ ∀ε > 0 ∃ R = Rε > 0 t.c.
kxk→+∞

∀x ∈ A, kxk > R : |f (x) − l| < ε.

Analogamente
def
lim f (x) = +∞ ⇔ ∀M > 0 ∃ R = Rε > 0 t.c.
kxk→+∞ (−∞)

∀x ∈ A, kxk > R : f (x) > M .


(< −M )

Teorema 2.4.2 (Proprietà dei limiti).


Sia A ⊂ Rn e sia x0 ∈ Rn un punto d’accumulazione di A. Sia f : A → R una
funzione t.c. ∃ lim0 f x0 = l. Allora

x→x

1. [Unicità] Il limite è unico.


2. [Permanenza del segno] Se l > 0, esiste r > 0 t.c. per ogni x ∈
A ∩ Br x0 \ x0 : f (x) > 0.
 

3. [Confronto] Se esiste r > 0 t.c. per ogni x ∈ A ∩ Br x0 \ x0


 

risulta f (x) > 0, allora l ≥ 0.


76 M. Carriero, L. De Luca

4. [Caratterizzazione dei limiti con successioni] Sono equivalenti:


(i) lim0 f (x) = l;
x→x
(ii) per ogni successione {xh } ⊂ A\ x0 t.c. xh → x0 risulta f (xh ) →


l.

Teorema 2.4.3. Sia A ⊂ Rn e sia x0 ∈ Rn un punto di accumulazione di A.


Siano f, g : A → R due funzioni tali che

∃ lim0 f (x) = l ∈ R, ∃ lim0 g (x) = m ∈ R.


x→x x→x

Allora

1. ∃ lim0 (f (x) + g (x)) = l + m;


x→x
2. ∃ lim0 (f (x) · g (x)) = l · m;
x→x
f (x) l
3. ∃ lim0 = , se m 6= 0.
x→x g (x) m

Questi risultati si estendono al caso in cui l o m siano uguali a ±∞ purché le


operazioni indicate non diano luogo a forme indeterminate.

Osservazione 2.4.4. Notiamo che l’esistenza del limite nella definizione 2.4.1
è più forte dell’esistenza dei limiti delle restrizioni di f anche a tutte le rette
passanti per x0 . In altri termini, se ∃ lim0 f (x) = l allora per ogni v ∈ Rn ,
 x→x
v 6= 0, fissato, risulta lim f x0 + tv = l.
t→0
Tuttavia, può accadere che ∃, lim f x0 + tv = l per ogni v 6= 0,

t→0
ma @ lim0 f (x).
x→x
x2 y
Per esempio, sia n = 2 e sia f (x, y) = . Allora:
x4 + y 2

t3 v12 v2
∃ lim f (t v1 , t v2 ) = lim = 0, per ogni v = (v1 , v2 ) 6= (0, 0),
t→0 t→0 t4 v14 + t2 v22
Analisi III 77

mentre @ lim f (x). Infatti, considerando la restrizione di f al grafico della curva


x→0
di equazione y = x2 , si ha che
x4 1
lim f x, x2 = lim

= ,
x→0 x→0 2 x4 2
quindi lim f (x, y) non esiste.
(x,y)→(0,0)

Osservazione 2.4.5. In R2 il calcolo dei limiti può essere facilitato dall’uso delle
coordinate polari.
(
x = x0 + ρ cos θ
Sia x0 , y 0
∈ R2 e poniamo

, θ ∈ [0, 2π [
y = y 0 + ρ sin θ
q
dove ρ = (x − x0 )2 + (y − y 0 )2 .
Osserviamo che (x, y) → x0 , y 0 ⇔ ρ → 0+ indipendentemente da θ.


Poniamo F (ρ, θ) := f x0 + ρ cos θ, y 0 + ρ sin θ .




Proposizione 2.4.6.

lim f (x, y) = l ∈ R ⇔ ∀ε > 0 ∃ δ = δε > 0 t.c.


(x,y)→(x0 ,y 0 )

∀ 0 < ρ < δ e ∀θ ∈ [0, 2π [ : |F (ρ, θ) − l| < ε


⇔ lim F (ρ, θ) = l
ρ→0+

uniformemente rispetto a θ ∈ [0, 2π [.

Definizione 2.4.7. Siano A ⊂ Rn , f : A → R e x0 ∈ A.


def
f continua in x0 ⇔ x0 è un punto isolato di A
oppure ∃ lim0 f (x) = f x0

x→x

⇔ ∀ε > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c.


 
∀x ∈ A, x − x0 < δ : f (x) − f x0 < ε


Osservazione 2.4.8. E’ immediato dare le definizioni di limite e continuità per


funzioni a valori vettoriali.
78 M. Carriero, L. De Luca

Se f : A ⊂ Rn → Rm e x0 è un punto di accumulazione di A allora


def
lim0 f (x) = l ∈ Rm ⇔ ∀ε > 0 ∃ δ = δε,x0 > 0 t.c.
x→x

∀x ∈ A, 0 < x − x0 Rn < δ : kf (x) − lkRm < ε.

Ovviamente, se x0 ∈ A allora
def
f continua in x0 ⇔ x0 è un punto isolato di A
oppure lim0 f (x) = f x0 .

x→x

Come già visto per le successioni, vale che

lim f (x) = l = (l1 , . . . , lm ) ∈ Rm ⇔ lim fj (x) = lj ∀j = 1, . . . , m,


x→x0 x→x0

dove le fj sono le componenti di f .

Teorema 2.4.9 (di Weierstrass).


Sia K ⊂ Rn compatto e sia f : K → R una funzione continua in K.
Allora f ammette massimo e minimo in K.

Dim. Sia L = sup f .


K
Se per assurdo fosse L = +∞, per ogni h ∈ N esisterebbe xh ∈ K t.c. f (xh ) >
h, quindi lim f (xh ) = +∞. Essendo K compatto, esisterebbero un’estratta
 h→+∞
xk(h) ⊂ {xh } ed x ∈ K t.c. xk(h) −→ x.
h→+∞
Essendo f continua, si avrebbe allora

lim f xk(h) = f (x) ∈ R
h→+∞

(che è assurdo in quanto lim f xk(h) = lim f (xh ) = +∞).
h→+∞ h→+∞
Dunque L ∈ R.
Per le proprietà del sup: ∀ε > 0 ∃ xε ∈ K t.c. L ≥ f (xε ) > L − ε,
1
pertanto ∀h ∈ N ∃ xh ∈ K t.c. L ≥ f (xh ) > L −
h
Analisi III 79


e quindi ∃ lim f (xh ) = L. Essendo K compatto, esistono un’estratta xk(h) ⊂
h→+∞
{xh } e x ∈ K t.c. xk(h) −→ x. Dalla continuità di f segue che
h→+∞

f (x) = lim f xk(h) = lim f (xh ) = L,
h→+∞ h→+∞

pertanto L = max f .
K
In modo del tutto analogo si prova che f ammette minimo in K. 

Teorema 2.4.10 (dei valori intermedi).


Sia A ⊂ Rn connesso per poligonali e sia f : A → R continua in A.
Allora f (A) è un intervallo, cioè, per ogni numero reale y t.c. inf f < y < sup f
A A
esiste x ∈ A t.c. f (x) = y.

Definizione 2.4.11. Siano A ⊂ Rn e f : A → R.


def
f uniformemente continua in A ⇔ ∀ε > 0 ∃ δ = δε > 0 t.c.
∀x
y ∈ A, kx − yk < δ : |f (x) − f (y)| < ε.
Teorema 2.4.12 (di Heine-Cantor).
Sia K ⊂ Rn compatto e sia f : K → R continua in K.
Allora f è uniformemente continua in K.

Dim. Supponiamo per assurdo che

∃ ε > 0 t.c. ∀δ > 0 ∃ x δ


yδ ∈ K t.c. kxδ − yδ k < δ e |f (xδ ) − f (yδ )| ≥ ε.
1
Scelto δ = , si ha
h
1
∃x h
yh ∈ K t.c. kxh − yh k < h e |f (xh ) − f (yh )| ≥ ε.

Poiché {xh } ⊂ K e K è compatto, esistono un’estratta xk(h) ed x ∈ K t.c.
xk(h) −→ x; inoltre, usando la disuguaglianza triangolare, si ha
h→+∞

yk(h) − x ≤ yk(h) − xk(h) + xk(h) − x ⇒ yk(h) −→ x.
| {z } | {z } h→+∞
−→ 0 −→ 0
h→+∞ h→+∞
80 M. Carriero, L. De Luca

Ne segue l’assurdo
 
0 < ε ≤ f xk(h) − f yk(h) → |f (x) − f (x)| = 0.


CAPITOLO 3

Calcolo differenziale per funzioni reali di più variabili reali


e per funzioni vettoriali di più variabili reali

3.1. Derivate direzionali e derivate parziali prime

Siano A ⊆ Rn aperto, x0 ∈ A e f : A → R;
il versore v ∈ Rn si dice direzione mentre l’insieme

x ∈ Rn | x = x0 + t v, t ∈ R


si dice retta per x0 di direzione v 1


.

Definizione 3.1.1.
f (x0 + t v) − f (x0 )
0 def
f derivabile nella direzione v in x ⇔ ∃ lim < +∞.
t→0 t

Definiamo derivata di f in x0 nella direzione v il limite (finito)


∂f 0  f (x0 + t v) − f (x0 ) 2
x := lim .
∂v t→0 t

1L’equazione x = x0 + t v si dice equazione della retta per x0 di direzione v in forma


parametrica.
2Nel seguito per indicare tale derivata useremo anche D f x0 o f x0 .
 
v v

Osserviamo che, posto g(t) := f x0 + t v , risulta banalmente




∂f
x0 = g 0 (0).

∂v

81
82 M. Carriero, L. De Luca

!
j
In particolare, se v = ej = 0, . . . , 0, 1, 0, . . . , 0 (j = 1, . . . , n), definiamo

∂f ∂f
x0 := x0
 
∂xj ∂ej
f (x0 1 , . . . , x0 j−1 , x0 j + t, x0 j+1 , . . . , x0 n ) − f (x0 )
= lim
t→0 t
0
la derivata parziale j-esima di f in x (in seguito questa verrà indicata anche
con i simboli Dj f x0 o fxj (x0 )).


Inoltre, se f è derivabile rispetto a x1 , . . . , xn in x0 definiamo il gradiente di f in


x0  
0 ∂f ∂f
x0 , . . . , x0
   3
∇f x :=
∂x1 ∂xn

Poiché le derivate parziali sono sostanzialmente derivate di funzioni di una sola


variabile reale, è evidente che vale il seguente risultato.

Proposizione 3.1.2. Somme, prodotti, quozienti (in cui il denominatore non


si annulla) di funzioni per cui esistono le derivate parziali, seguono le regole di
derivazione delle derivate delle funzioni di una variabile reale:
Dj (α f + β g) = α Dj f + β Dj g
Dj 
(f g) = f Dj g + g Dj f ∀α
β ∈ R, ∀j = 1, . . . , n.
f g Dj f − f Dj g
Dj =
g g2
2
Esempio 3.1.3. Sia f (x, y) = x sin xy + exy , ∀ (x, y) ∈ R2 ; risulta
∂f 2
= sin xy + xy cos xy + y 2 exy
∂x
∂f 2
= x2 cos xy + 2 y x exy
∂y
 2 2

quindi grad f (x, y) = sin xy + xy cos xy + y 2 exy , x2 cos xy + 2 y x exy .
3In
seguito, per indicare il gradiente di f in x0 useremo anche i simboli grad f x0 o


D f x0 .
Analisi III 83

Esempio 3.1.4. Sia f (x, y, z) = x2 + eyz , ∀ (x, y, z) ∈ R3 ; risulta:

∂f
= 2x
∂x
∂f
= z eyz
∂y
∂f
= y eyz ,
∂z
yz yz
quindi grad
 f (x, y, z) =(2 x, z e , y e ).
1 1 1
Per v = √ , √ , √ , calcoliamo
3 3 3
 
t t t
f 1 + √ ,2 + √ , √ − f (1, 2, 0)
∂f 3 3 3 4
(1, 2, 0) = lim =√ .
∂v t→0 t 3

3.2. Funzioni differenziabili

Per le funzioni reali di una varibile reale, la derivabilità in un punto implica


la continuità nello stesso punto ed inoltre esiste la retta tangente al grafico della
funzione. Per le funzioni reali di più variabili reali, invece, l’esistenza delle derivate
parziali (prime) non implica l’esistenza del piano tangente al grafico né implica
la continuità della funzione stessa.
∂f
L’esempio che segue mostra che l’esistenza di in un punto (in particolare
∂v
l’esistenza delle derivate parziali in un punto) non garantisce la continuità nel
punto stesso.

Esempio 3.2.1. Sia


  2
 x2 y
 se (x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) = x4 + y 2

 0 se (x, y) = (0, 0).
84 M. Carriero, L. De Luca

   
1 1 1 1 1
Poiché , 2 −→ (0, 0) e f , 2 −→ 6= 0, f non è continua in (0, 0).
k k k→+∞ k k k→+∞ 4
Tuttavia, se v = (v1 , v2 ) e kvk = 1, si ha

∂f f (t v1 , t v2 ) − f (0, 0)
(0, 0) = lim
∂v t→0 t
 2 2 2
t v1 · t v 2
−0
t4 v14 + t2 v22
= lim = 0.
t→0 t

A causa di questa difficoltà la naturale estensione a funzioni reali di più variabili


reali della nozione di derivata non è data dal concetto di derivata parziale ma
dalla nozione di funzione differenziabile.

Definizione 3.2.2. Sia f : A → R (A ⊆ Rn aperto) e sia x0 ∈ A.


def
f differenziabile in x0 ⇔ ∃ L = Lx0 : Rn → R applicazione lineare (funzionale) t.c.
f (x0 + h) − f (x0 ) − L (h)
⇔ lim =0
h→0 khk
posto x0 + h = x f (x) − f (x0 ) − L (x − x0 )
⇔ lim0 = 0.
x→x kx − x0 k

Definiamo dfx0 := Lx0 : Rn → R differenziale di f in x0 .


def
f differenziabile in A ⇔ f differenziabile in ogni x0 ∈ A.

Osserviamo che per funzioni reali di una variabile reale, la differnziabilità in un


punto è la derivabilità nel punto.

Proposizione 3.2.3. Se f è differenziabile in x0 si ha:

∂f 0 
(1) ∀v ∈ Rn , kvk = 1 ∃ x = L (v) (in particolare esistono le deri-
∂v
0
vate parziali di f in x );
Analisi III 85

(2) vale la formula (‘del gradiente’)

n
X ∂f
x0 vi = grad f x0 |v ∀v = (v1 , . . . , vn ) ∈ Rn ;
  
L (v) =
i=1
∂xi

(3) f è continua in x0 .

Dim.

(1) Per ipotesi

f (x0 + h) − f (x0 ) − L (h)


∃ L : Rn → R lineare t.c. lim = 0;
h→0 khk

in particolare, se h = t v si ha

f (x0 + t v) − f (x0 ) − t L (v)


0 = lim
t→0 kt vk
f (x0 + t v) − f (x0 )
= lim − L (v)
t→0 |t|

f (x0 + tv) − f (x0 ) t ∂f 0 


e dunque anche lim = L (v), cioè x = L (v).
t→0 t ∂v
∂f
x0 = L (ei ) per ogni i = 1, . . . , n; sia v =

(2) Per (1) si ha che ∃
∂xi
n
X
(v1 , . . . , vn ) = vi ei ∈ Rn ; pertanto
i=1

n
! n n
X X (1) X ∂f
x0 .

L (v) = L vi ei = vi L (ei ) = vi
i=1 i=1 i=1
∂xi

Alla dimostrazione di (3) premettiamo la seguente


86 M. Carriero, L. De Luca

Osservazione 3.2.4. Da quanto già provato in (2) risulta

f differenziabile in x0 ⇔ f (x) = f x0 + L x − x0
 

+ o x − x0 per x → x0
n
 X ∂f
⇔ f (x) = f x0 + x0 xi − x0i
 
i=1
∂xi

+ o x − x0 .

(3) Segue direttamente dalla precedente osservazione.

Osservazione 3.2.5. Da (1) di 3.2.3 segue che il differenziale è unico.

Osservazione 3.2.6. Se f è differenziabile in x0 , dfx0 : Rn → R è linea-


re, quindi dfx0 ∈ (Rn )∗ (duale algebrico di Rn , la cui base canonica si indica
n
con dx1 , dx!2 , . . . , dxn , dove dxi : R → R, v = (v1 , . . . , vn ) 7→ dxi (v) =
Xn
dxi vi ei = vi ) e risulta
i=1
n
X ∂f
x0 vi , allora

dfx0 (v) =
i=1
∂xi
n
X ∂f
x0 dxi ,

dfx0 =
i=1
∂xi
n n
X ∂f X ∂f
x0 v i = x0 dxi (v).
 
giacché dfx0 (v) =
i=1
∂xi i=1
∂xi

Esempio 3.2.7. Studiare le proprietà (continuità, differenziabilità) di


( 2
−x
|y|α e y2 se y 6= 0
f (x, y) :=
0 se y = 0

in (0, 0) al variare di α ∈ R.
Analisi III 87

• Studiamo dapprima la continuità.


Per α ≤ 0: f (x, y) 6−→ 0 lungo la direzione y = x, e quindi f non
(x,y)→(0,0)
è continua in (0, 0);
2
− x2
per α > 0, essendo 0 < e y ≤ 1, risulta 0 ≤ f (x, y) ≤ |y|α e quindi
∃ lim f (x, y) = 0, cioè f è continua in (0, 0).
(x,y)→(0,0)
• Calcoliamo ora le derivate direzionali in (0, 0) per α > 0.
Sia v := (cos θ, sin θ), θ ∈ [0 , 2π [ ; allora
 2
α − cos2 θ
 |t sin θ| e sin θ
per θ 6= 0, π

f (t cos θ, t sin θ) − f (0, 0)  t
=
t
 f (±t, 0) − f (0, 0) per θ = 0, π.


t
Dunque,
∂f
• per θ = 0, π, si ha: ∃ (0, 0) = 0;
∂v
• per θ 6= 0, π, si ha:
∂f
se 0 < α ≤ 1: @ (0, 0)
∂v
∂f
se α > 1: ∃ (0, 0) = 0.
∂v

• Sia, infine, α > 1 e cerchiamo valori di α > 1 per i quali f è differenzaibile


in (0, 0).
Risulta: grad f (0, 0) = (0, 0), pertanto
2
− x2
f (x, y) − f (0, 0) − fx (0, 0) x − fy (0, 0) y = |y|α e y .
| {z } | {z } | {z }
=0 =0 =0

Poiché
≤1
2 >0
− x2
}| { z }| z
|y|α e |y|
{ 2

0< p =p
y
|y|α − 1 − x2
e|{z}
y ≤ |y|α−1 −→ 0
2
x +y 2 2
x +y 2 y→0
≤1
88 M. Carriero, L. De Luca

2
−x
|y|α e y2
∃ lim p = 0 e quindi f è differenziabile in (0, 0)
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
per α > 1. 

3.3. Applicazione geometrica della differenziabilità e interpretazione


geometrica del gradiente

• Se f è differenziabile in x0 , la funzione (affine)

z (x) = f x0 + grad f x0 |x − x0
  
(3.1)

ha come grafico il piano che meglio approssima f in un intorno di x0


f (x) − z (x)
(infatti lim0 = 0 dall’osservazione 3.2.4).
x→x kx − x0 k
Tale piano si chiama piano tangente a f in x0 , f x0 .


(−grad f (x0 ) , 1)
Il versore ν x0 := q è ortogonale al piano tangente.
0 2
1 + kgrad f (x )k

∂f
Esempio 3.3.1. Sia f (x, y) = x2 + sin y; f ∈ C 1 R2 e risulta

=
∂x
∂f
2 x, = cos y e grad f (x, y) = (2 x, cos y).
∂y
Il piano tangente a f in ((1, 0), f (1, 0) = 1) ha equazione (vedi (3.1))
∂f ∂f
z(x, y) = f (1, 0) + (1, 0) (x − 1) + (1, 0) (y − 0) = 2x + y − 1.
∂x ∂y

• Se f è differenziabile in x0 , si ha
∂f 0 
x = grad f x0 |v ∀v ∈ Rn , kvk = 1.
 
∂v
Questa formula permette di individuare le direzioni di massima e di
minima crescita
di una funzione differenziabile.
∂f 0   
x = grad f x0 |v ≤ grad f x0 ∀v ∈ Rn ,

Risulta
∂v
Analisi III 89

 ∂f 0 
kvk = 1, quindi − grad f x0 ≤ x ≤ grad f x0 .

∂v
grad f (x0 ) 0

Sia ora v = (se grad f x 6= 0), allora
kgrad f (x0 )k
 grad f (x0 )
 
∂f 0  0
x = grad f x |
∂v kgrad f (x0 )k
1 grad f x0 2 = grad f x0
 
= 0
kgrad f (x )k
∂f
= − grad f x0 , pertanto

e, analogamente,
∂ (−v)
∂f 0 
grad f x0 e

max x =
k vk=1 ∂v

∂f
x0 = − grad f x0 .
 
min
k−vk=1 ∂ (−v)

In definitiva, il gradiente di una funzione (nei punti in cui non è nullo)


determina la direzione di massima pendenza, nel senso che la derivata
direzionale della funzione ha il massimo modulo lungo la direzione del
gradiente.

3.4. Una condizione sufficiente perché f sia differenziabile

Teorema 3.4.1 (del differenziale totale).


Supponiamo che f : A ⊆ Rn → R, con A aperto, abbia derivate parziali prime in
Br x0 ⊂ A e che queste siano continue in x0 . Allora f è differenziabile in x0 .


Dim. Per semplicità (di notazione) consideriamo il caso n = 2.


Sia x = (x1 , x2 ) ∈ Br x0 , con x0 = x01 , x02 ; poniamo
 

σ x, x0 := f (x1 , x2 ) − f x01 , x02 − D1 f x01 , x02 x1 − x01


   

− D2 f x01 , x02 x2 − x02


 
90 M. Carriero, L. De Luca

σ (x, x0 )
e proviamo che lim0 0 = 0.
x→x kx − x k
Per il teorema di Lagrange per funzioni reali di una variabile reale, si ha
   
    
f (x) − f x0 =  f x01 , x2  f x01 , x2 − f x01 , x02 

f| (x1 , x2 ) −{z }  +
| {z }
=D1 f (ξ1 ,x2 )(x1 −x01 ) =D2 f (x01 ,ξ2 )(x2 −x02 )

con ξi compreso tra xi e x0i (i = 1, 2).


Allora

σ x, x0 D1 f (ξ1 , x2 ) − D1 f x01 , x02 x1 − x01


   
=
+ D2 f x01 , ξ2 − D2 f x01 , x02 x2 − x02 .
   

Posto

ϕ1 := D1 f (ξ1 , x2 ) − D1 f x01 , x02




ϕ2 := D2 f x01 , ξ2 − D2 f x01 , x02 ,


 

per la continuità di D1 f e D2 f , risulta: |ϕi | −→0 0 (i = 1, 2);


x→x
|σ (x, x0 )| |σ (x, x0 )|
d’altra parte ≤ |ϕ 1 | + |ϕ 2 |, quindi ∃ lim = 0, da cui
kx − x0 k x→x0 kx − x k
0

segue che
σ (x, x0 )
∃ lim0 = 0.
x→x kx − x0 k


Osservazione 3.4.2. Notiamo che la continuità delle derivate parziali prime in


una palla Br x0 ⊂ A è solo una condizione sufficiente per la differenziabilità


della funzione in x0 . Infatti, anche in dimensione n = 1, la funzione



 x2 sin 1 se x 6= 0
f (x) = x
 0 se x = 0
Analisi III 91

 
f (x) − f (0) 1
è derivabile in x = 0 lim = lim x sin = 0 , ma
x→0 x−0 x→0 x

 − cos 1 + 2x sin 1 se x 6= 0
0
f (x) = x x
 0 se x = 0

non è continua in x = 0.

Osservazione 3.4.3. Sia f : A ⊆ Rn → R, con A aperto. Allora


teorema 3.4.1 proposizione 3.2.3 (3)
f ∈ C 1 (A) ⇒ f differenziabile in ogni x0 ∈ A ⇒ f ∈ C 0 (A).
: :

Evidentemente le inclusioni tra i precedenti tre spazi di funzioni sono strette.

3.5. Derivate parziali di ordine superiore

Se f : A (aperto) → R ammette derivate parziali non solo in un punto, ma in


tutto un insieme aperto, per esempio A stesso, come nel caso di una variabile
ci si può porre il problema dell’esistenza delle derivate parziali iterate (derivate
successive, o di ordine superiore).

Definizione 3.5.1. Siano A ⊂ Rn aperto, e f : A → R; se esiste in A la derivata


parziale Dj f , si dice che f ammette derivata parziale seconda rispetto ad xj ed
xi se esiste la derivata parziale di Dj f rispetto a xi , che in questo caso si denota
con Dij f . In particolare, data f di classe C 1 (A), si dice che è di classe C 2 (A) se
esistono tutte le derivate parziali seconde di f e sono continue in A.
Iterando, si definisce la derivata parziale di ordine k di f rispetto a xi1 , xi2 , . . . , xik
(nell’ordine), essendo i1 , i2 , . . . , ik indici (anche ripetuti) in {1, . . . , n}, la derivata
parziale rispetto a xik della Dik−1 ···i1 f . Si dice che f è di classe C k (A) se le sue
derivate parziali esistono e sono continue in A fino all’ordine k.
Infine, si dice che f è di classe C ∞ (A) se ammette derivate parziali di ogni ordine
continue.
92 M. Carriero, L. De Luca

Notiamo che per f ∈ C 1 (A) le sue derivate parziali prime sono n e costituiscono
il vettore gradiente; mentre, se esistono, le derivate seconde sono n2 , le terze n3 ,
eccetera.

Esempi 3.5.2.

2
• Sia f (x, y) = x sin xy + exy per ogni (x, y) ∈ R2 ; osserviamo che per
questa funzione risulta: fyx = fxy (le derivate miste sono uguali).
Infatti
2
fx = sin xy + xy cos xy + y 2 exy
2
fy = x2 cos xy + 2yx exy
2 2
fyx = x cos xy + x cos xy − x2 y sin xy + 2y exy + 2y 3 x exy
2 2
fxy = 2x cos xy − y x2 sin xy + 2y exy + 2y 3 x exy .
 y 2 arctan x se y 6= 0

• Sia, ora, f (x, y) = y . Allora si ha


 0 se y = 0
∂f 1 1 y3
(x, y) = y 2  2 = 2 per y 6= 0
∂x x y x + y2
1+ y

∂f
(x, 0) = 0,
∂y
pertanto
∂f ∂f


∂f
 (0, h) − (0, 0) h
(0, 0) = lim ∂x ∂x = lim = 1
∂y ∂x h→0 h h→0 h
=0 =0
z }| { z }| {
∂f ∂f
  (h, 0) − (0, 0)
∂ ∂f ∂y ∂y
(0, 0) = lim = 0.
∂x ∂y h→0 h
Quindi, per questa funzione fyx (0, 0) 6= fxy (0, 0).
Analisi III 93

2 2
 xy x − y se (x, y) 6= (0, 0)

• Sia f (x, y) = x2 + y 2 . Calcoliamo fxy (0, 0) e


0 se (x, y) = (0, 0).

fyx (0, 0). Risulta

f (x, y) − f (0, y) x2 − y 2
fx (0, y) = lim = lim y 2 = −y e
x→0 x x→0 x + y 2

f (x, y) − f (x, 0) x2 − y 2
fy (x, 0) = lim = lim x 2 = x;
y→0 y y→0 x + y 2

pertanto fyx (0, 0) = −1 e fxy (0, 0) = 1.


Per questa funzione le derivate miste in (0, 0) sono diverse, fyx (0, 0) 6=
fxy (0, 0).

Malgrado nella precedente definizione l’ordine in cui si eseguono le derivate sia


essenziale per definire le derivate di ordine superiore, in molti casi il risultato
dipende solo dalle variabili rispetto alle quali si deriva, e non dall’ordine delle
operazioni.
Sussiste il seguente risultato:

Teorema 3.5.3 (di Schwartz, dell’inversione dell’ordine di deriva-


zione). Sia f : A ⊆ R2 → R con A aperto e sia x0 , y 0 ∈ A. Se le derivate


∂2f ∂2f
esistono in un intorno Br x0 , y 0 ⊂ A e sono continue in

miste e
∂y∂x ∂x∂y
x0 , y 0 , allora

∂2f ∂2f
x0 , y 0 = x0 , y 0 .
 
∂y∂x ∂x∂y

r
Dim. Sia 0 < |t| < √ per cui i punti di coordinate x0 , y 0 , x0 + t, y 0 ,
 
2 
0 0
 0 0
x , y + t , x + t, y + t appartengono all’intorno sferico Br (x0 , y 0 ).
94 M. Carriero, L. De Luca

Poniamo

g(x) := f (x, y 0 + t) − f (x, y 0 )


h(y) := f (x0 + t, y) − f (x0 , y)
[f (x0 + t, y 0 + t) − f (x0 + t, y 0 )] − [f (x0 , y 0 + t) − f (x0 , y 0 )]
A(t) = .
t2

g (x0 + t) − g (x0 ) h (y 0 + t) − h (y 0 )
Risulta: A(t) = e anche A(t) = .
t2 t2
Per il teorema del valor medio

g 0 (ξt )
A(t) = (con ξt compreso tra x0 e x0 + t)
t
fx (ξt , y 0 + t) − fx (ξt , y 0 )
=
t
= fyx (ξt , ηt ) (con ηt compreso tra y 0 e y 0 + t).
(riapplicando il teorema
del valor medio)

Analogamente:

h0 (βt ) fy (x0 + t, βt ) − fy (x0 , βt )


A(t) = = = fxy (αt , βt ) ,
t t

(con βt compreso tra y 0 e y 0 + t e con αt compreso tra x0 e x0 + t).


Analisi III 95

y
(ξt ,η t)
(αt,βt)

0 0
(x0,y0+t) (x +t,y +t)
ηt
βt
y0
(x0,y0) (x0+t,y0)
r

0 x0 αt ξt x

Quindi risulta

(ξt , ηt )
−→ x0 , y 0 .

fyx (ξt , ηt ) = fxy (αt , βt ) ; inoltre
(αt , βt ) t→0

Per la continuità delle derivate seconde miste passando al limite per t → 0


nell’uguaglianza precedente, si ha

fyx x0 , y 0 = fxy x0 , y 0 .
 
96 M. Carriero, L. De Luca

Osservazione 3.5.4. L’enunciato del teorema di Schwartz si può naturalmente


generalizzare alle derivate parziali di ordine superiore al secondo. Se f ∈ C k (A)
allora tutte le sue derivate parziali, fino all’ordine k, dipendono solo dalle variabili
coinvolte, e non dall’ordine in cui essi si considerano, e, se f ∈ C ∞ (A), ciò vale
per tutte le derivate parziali.

3.6. Differenziale di funzioni vettoriali. Differenziale di funzioni


composte

Definizione 3.6.1. Sia f : A ⊆ Rn → Rm 4


con A aperto e sia x0 ∈ A.
def
f differenziabile in x0 ⇔ ∃ L = Lx0 : Rn → Rm applicazione lineare t.c.
f (x0 + h) − f (x0 ) − L (h)
lim = 0 ∈ Rm
h→0 khk
⇔ ∀α = 1, . . . , m ∃ Lα = Lαx0 : Rn → R applicazione lineare t.c.
fα (x0 + h) − fα (x0 ) − Lα (h)
lim =0
h→0 khk
⇔ ∀α = 1, . . . , m fα : A ⊆ Rn → R differenziabile in x0 .
def
f differenziabile in A ⇔ f differenziabile in ogni x0 ∈ A.

Se f è differenziabile in x0 , per la proposizione 3.2.3(2) si ha:

∀α = 1, . . . , m Lα (h) = grad fα x0 |h ,
 

pertanto il differenziale di f in x0 (che indicheremo anche con il simbolo dfx0 )


si può scrivere

grad f1 x0 |h , . . . , grad fm x0 |h .
   
L (h) = (L1 (h) , . . . , Lm (h)) =
4Ricordiamo che f (x) = (f1 (x) , . . . , fm (x)) per ogni x ∈ A e
fα : A → R ∀α = 1, . . . , m.
Analisi III 97

Definizione 3.6.2. Sia f : A ⊆ Rn → Rm con A aperto e sia x0 ∈ A.


Se f è differenziabile in x0 , definiamo la matrice Jacobiana (m × n) di f in x0
5

∂f1 0  ∂f1 0  ∂f1


 
x0

 ∂x1 x ∂x 2
x ...
∂xn 
 .. .. .. 
x0 := 

Jf  . . . 

 ∂fm ∂f m ∂fm 0  
x0 x0 . . .
 
x
∂x1 ∂x2 ∂xn
 
∂fα 0 
= x
∂xi α=1,...,m (righe)
i=1,...,n (colonne)
  
0
grad f1 x
 . 
=  ..
 .
0
 
grad fm x
 
h1
 .  n
.  6
Osservazione 3.6.3. Per ogni vettore colonna h =  .  ∈ R abbiamo :
hn
L (h) = dfx0 (h) = Jf x0 h

(prodotto righe per colonne)
(m×n) (n×1)
| {z }
(m×1)
n
X ∂fα
x0 hi (∀α = 1, . . . , m).

le cui componenti sono
i=1
∂xi

Teorema 3.6.4 (di differenziabilità della funzione composta).


Siano f = f (x) : A ⊆ Rn → Rm con A aperto, f differenziabile in x0 ∈ A; sia
5Altra notazione per indicare Jf è la seguente
∂ (f1 , . . . , fm )
∂ (x1 , . . . , xn )
che mette in evidenza le componenti fα (α = 1, . . . , m) di f e le componenti xi (i = 1, . . . , n)
di x.
6L’elemento h ∈ Rn può essere identificato all’occorrenza sia come matrice di tipo (1 × n)
che di tipo (n × 1), come nel caso in esame.
98 M. Carriero, L. De Luca

g = g (y) : Rm → Rk differenziabile in y 0 = f x0 .


La funzione composta F := g ◦ f : A ⊆ Rn → Rk è differenziabile in x0 e si ha

(1) dFx0 = dgy0 ◦ dfx0 ;


(2) le derivate parziali della funzione composta F sono:
m
!
∂Fα 0  X ∂gα 0  ∂fj 0  α = 1, . . . , k
x = y x ,
∂xi j=1
∂yj ∂xi i = 1, . . . , n

e quindi (in forma concisa)


(3) JF x0 = Jg y 0 Jf x0 .
  
(k×n) (k×m) (m×n)

Casi particolari (che ricorrono nelle applicazioni).


Se m = k = 1, allora ∇F x0 = g 0 y 0 ∇f x0 ;
  
m
0
 0 0  X ∂g
0 0
y 0 fj0 x0 (caso
  
se n = k = 1, allora F x = ∇g y |f x =
j=1
∂yj
delle curve in Rm ).

Proviamo (2) del teorema 3.6.4.


Sia v ∈ Rn e sia w = dfx0 (v) = Jf x0 · v (per l’osservazione 3.6.3).

n
X ∂fj 0 
Allora, per j = 1, . . . , m, wj = x vi e quindi
i=1
∂x i

m
 X ∂gα 0 
dgy0 (w) α = y wj
j=1
∂yj
m X
n
X ∂gα  ∂fj 0 
= y0 x vi per α = 1, . . . , k.
j=1 i=1
∂yj ∂xi

D’altra parte
n
X ∂Fα
x0 v i ,

( dFx0 (v))α =
i=1
∂xi
Analisi III 99


pertanto, poiché (per (1)) ( dFx0 (v))α = dgy0 (w) α , si ha

m
!
∂Fα 0  X ∂gα 0  ∂fj 0  α = 1, . . . , k
x = y x .
∂xi j=1
∂yj ∂xi i = 1, . . . , n

Esempio ( 3.6.5. Sia f : R2 → R2 definita da


f1 (x, y) = xy − ex
f (x, y) = e sia g : R2 → R, g(x, y) = xy − 1.
f2 (x, y) = x sin xy
Calcoliamo F = g ◦ f e le derivate parziali prime di F .
La funzione F è data da

F = g ◦ f : R2 → R
(x, y) 7→ F (x, y) = g (f (x, y)) = g (f1 (x, y) , f2 (x, y))
= (xy − ex ) (x sin xy) − 1
= x2 y sin xy − x ex sin xy − 1,

da cui Fx (x, y) = x sin xy (y − ex ) + (xy − ex ) (sin xy + xy cos xy) e


Fy (x, y) = x2 sin xy + (xy − ex ) x2 cos xy.
Poiché è ∇F (x, y) = ∇g (f (x, y))Jf (x, y), essendo lo Jacobiano di f
(1×2) (1×2) (2×2)

∂f1 ∂f1
 
!
 ∂x ∂y  y − ex x
Jf (x, y) =  ∂f ∂f2  =
2 sin xy + xy cos xy x2 cos xy
∂x ∂y
100 M. Carriero, L. De Luca

 

e ∇g(x, y) = (y, x), da cui ∇g (f (x, y)) = x sin xy , xy − ex ,


| {z } | {z }
=f2 (x,y) =f1 (x,y)
risulta
!
y − ex x
∇F (x, y) = (x sin xy, xy − ex ) ·
sin xy + xy cos xy x2 cos xy
= (x sin xy (y − ex ) + (xy − ex ) (sin xy + xy cos xy) ,
x2 sin xy + (xy − ex ) x2 cos xy


(ovviamente, uguale a quanto già provato).

Esempio 3.6.6. Siano f : R → R2 , f (t) = (cos t, sin t) ∈ R2 e g : R2 → R,


g(x, y) = exy .
Allora F := g ◦ f : R → R è definita da

F (t) = (g ◦ f ) (t) = g (f (t)) = g (cos t, sin t) = esin t cos t ,


sin 2t
da cui F 0 (t) = cos 2t e t .
Poiché è F 0 (t) = (∇g (f (t)) |f 0 (t)), essendo ∇g (x, y) = (y exy , x exy ) e
f 0 (t) = (− sin t, cos t), risulta

F 0 (t) = sin t esin t cos t cos t esin t cos t | (− sin t, cos t)


 

sin 2t
= − sin2 t esin t cos t + cos2 t esin t cos t = cos 2t e 2

(ovviamente, uguale a quanto già provato).


 2 
Esempio 3.6.7. Siano f : R2 → R3 , f (x, y) = yex , sin (x + y) , cos xy
g : R3 → R3 , g (x, y, z) = (zx2 , 4x2 + ey , z 3 − x).
Calcoliamo la funzione composta F = g ◦ f : R2 → R3 e lo Jacobiano di F .
Si ha
 2 
F (x, y) = g (f (x, y)) = g yex , sin (x + y) , cos xy
 2 2 2

= y 2 e2x cos xy, 4y 2 e2x + esin(x+y) , cos3 xy − yex ,
Analisi III 101

 2 2   
2xyex ex 2xz 0 x2
Jf,(x,y) =  cos (x + y) cos (x + y)  , Jg,(x,y,z) =  8x ey 0 .
   

−y sin xy −x sin xy −1 0 3z 2
Risulta

JF = Jg (f (x, y))Jf (x, y)


 2 2  2 2 
2yex cos xy 0 y 2 e2x 2xyex ex
2
=  8yex esin(x+y) 0   cos (x + y) cos (x + y) 
  

−1 0 3 cos2 xy −y sin xy −x sin xy


 2 2 2 2 
4xy 2 e2x cos xy − y 3 e2x sin xy 2ye2x cos xy − xy 2 e2x sin xy
2 2
=  16xy 2 e2x + esin xy cos (x + y) 8ye2x + esin xy cos (x + y) .
 
x2 2 x2 2
−2xye − 3y cos xy sin xy −e − 3x cos xy sin xy

3.7. Formule di Taylor con resto di Peano e di Lagrange

La differenziabilità di una funzione di più variabili reali consente di approssimarne


il grafico con il suo piano tangente. Se una funzione è ancora più regolare, allora
l’approssimazione può essere migliorata.

Teorema 3.7.1 (Formula di Taylor con resto di Peano).


Siano f : A ⊆ Rn → R con f ∈ C k (A), x0 ∈ A (aperto) e Br x0 ⊆ A.


Allora ∀x ∈ Br x0 si ha


n
 X ∂f
f (x) = f x0 + x0 xi − x0i
 
i=1
∂xi
n
1 X ∂2f
x0 xi − x0i xj − x0j + . . .
  
+
2 i,j=1 ∂xj ∂xi
n
1 X ∂kf
x0 xi1 − x0i1 xi2 − x0i2 . . . xik − x0ik
   
+
k! i ,i ,...,i =1 ∂xi1 ∂xi2 · · · ∂xik
 1 2 k 
k
+o x − x0 ,
102 M. Carriero, L. De Luca

 
k
o kx − x0 k
7
con lim0 =0 .
0 k
x→x kx − x k

Dim. Sia w ∈ Rn con kwk = 1 e sia |t| < r, quindi x0 + t w ∈ Br x0 .




Poniamo h(t) := x0 + t w con h : ] − r, r [ → A ⊆ Rn e

F (t) := f (h(t)) = f x0 + t w ∈ C k ( ] − r, r [) .


Applichiamo la formula di Taylor con resto di Peano alla funzione reale di variabile
reale F : ] − r, r [ → R con punto iniziale t0 = 0:
1 1  
F (t) = F (0) + F 0 (0)t + F 00 (0)t2 + . . . + F (k) (0)tk + o |t|k (3.2)
2 k!
7Introdotto il differenziale di ordine k di f in x0 , applicato a x − x0 :
n
X ∂kf
dk fx0 (x − x0 ) := x0 xi1 − x0i1 xi2 − x0i2 . . . xik − x0ik
   
i1 ,i2 ,...,ik =1
∂xi1 ∂xi2 · · · ∂xik

si ha:
 1 1  k 
f (x) = f x0 + dfx0 x − x0 + d2 fx0 x − x0 +. . .+ dk fx0 x − x0 +o x − x0 .
  
2 k!
Inoltre, usando le notazioni proprie dei multiindice -cioè, preso α = (α1 , . . . , αn ) ∈ Nn0 , e posto

|α| := α1 + . . . + αn ,
α! := α1 ! . . . αn !
wα := w1α1 · . . . · wnαn se w = (w1 , . . . , wn ) ∈ Rn −

e lo sviluppo multinomiale (“ Per ogni x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Rn , j ∈ N0 si ha


j
X xα
(x1 + . . . + xn ) = j! ”)
α!
|α|=j
la formula di Taylor si scrive più sinteticamente cosı̀:
 
k X Dα f x0
 
X α k 
x − x0  + o x − x0 per x → x0 .

f (x) = 
j=0
α!
|α|=j
Analisi III 103

 
o |t|k
con lim = 0.
t→0 |t|k
8
Ora

F (0) = f x0 ;


n
X ∂f
F 0 (t) = x0 + t w wi e quindi

i=1
∂xi
n
X ∂f
F 0 (0) = x0 wi ;

i=1
∂xi
n
! n X n
00 d X ∂f X ∂2f
x0 + t w wi x0 + t w wi wj e quindi
 
F (t) = =
dt i=1
∂xi j=1 i=1
∂xj ∂xi
n
00
X ∂2f
x0 wi wj ;

F (0) =
i,j=1
∂xj ∂xi

e in generale:

n
X ∂hf
F (h) (t) = x0 + t w wi1 . . . wih e quindi

i1 ,...,ih =1
∂xi1 · · · ∂xih
n
(h)
X ∂hf
x0 wi1 . . . wih .

F (0) =
i1 ,...,ih =1
∂xi1 · · · ∂xih

Quindi, da (3.2), si ha

n n
X ∂f t2 X ∂ 2 f
f x0 + t w = f x0 + t x0 wi + x0 wi wj + . . .
   
i=1
∂xi 2 i,j=1 ∂xj ∂xi
n
tk X ∂k  
f x0 wi1 . . . wik + o |t|k .

+
k! i ,...,i =1 ∂xi1 . . . ∂xik
1 k

8Ricordiamo che per ogni t ∈ ] − r, r [ risulta F 0 (t) = (∇f (h(t))|h0 (t)).


104 M. Carriero, L. De Luca

x − x0
0
Sia, ora, w = 0 e sia t = x − x < r; allora

kx − x k
n
0
X ∂f
x0 xi − x0i
  
f (x) = f x +
i=1
∂xi
n
1 X ∂2f
x0 xi − x0i xj − x0j
  
+
2 i,j=1 ∂xj ∂xi
n
1 X ∂kf
x0 xi1 − x0i1 . . . xik − x0ik
  
+... +
k! i ,...,i =1 ∂xi1 · · · ∂xik
1 k
 
k
+o x − x0 ,
 
0 k
o kx − x k
con lim0 k
= 0. 
x→x kx − x0 k

Caso particolare del teorema precedente è il seguente, strumento fondamentale


per lo studio degli estremi (massimi o minimi) delle funzioni di più variabili reali.

Teorema 3.7.2 (Formula di Taylor del II ordine con resto di Peano


per funzioni reali di più variabili reali).
Se f ∈ C 2 (A), allora:

 
=Df (x0 )
 z }| { 
f (x) = f x0 + 
 grad f x 0
|x − x0 

 
1 0
 0
 
0
 
x − x0 2
+  H f x x − x |x − x + o
2 | {z } 
=D2 f (x0 )
Analisi III 105

dove la matrice n × n
∂2f
 
2
D f = Hf :=
∂xi ∂xj i=1,...,n
j=1,...,n

∂2f ∂2f ∂2f


 
···

 ∂x1 ∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂xn ∂x1 

 ∂2f ∂2f ∂2f 
 ··· 

=  ∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x2 ∂xn ∂x2 

 .. ... .. 

 . . 

 
 ∂2f ∂2f ∂2f 
···
∂x1 ∂xn ∂x2 ∂xn ∂xn ∂xn
∂2f ∂2f
si chiama matrice hessiana di f (simmetrica, in quanto = per il
∂xj ∂xi ∂xi ∂xj
teorema di Schwartz 3.5.3).

Teorema 3.7.3 (Formula di Taylor con resto di Lagrange).


Siano f : A ⊆ Rn → R con f ∈ C k+1 (A), x0 ∈ A (aperto) e Br x0 ⊆ A.


Allora, ∀x ∈ Br x0 , ∃ ξ ∈ ] x0 , x [ t.c.


n
0
X ∂f
x0 xi − x0i
  
f (x) = f x +
i=1
∂xi
n
1 X ∂2f
x0 xi − x0i xj − x0j + . . .
  
+
2 i,j=1 ∂xi ∂xj
n
1 X ∂kf
x0 xi1 − x0i1 . . . xik − x0ik
  
+
k! i ,...,i =1 ∂xi1 . . . ∂xik
1 k
n
1 X ∂ k+1 f   
+ (ξ) xi1 − x0i1 . . . xik+1 − x0ik+1 .
(k + 1)! i ,...,i =1
∂xi1 . . . ∂xik+1
1 k+1

Dim. Sia w ∈ Rn con kwk = 1 e sia |t| < r, quindi x0 + t w ∈ Br x0 .




Poniamo h(t) := x0 + t w con h : ] − r, r [ → A ⊆ Rn e

F (t) := f (h(t)) = f x0 + t w ∈ C k+1 ( ] − r, r [ ) .



106 M. Carriero, L. De Luca

Applichiamo la formula di Taylor con resto di Lagrange alla funzione reale di


variabile reale F : ] − r, r [ → R con punto iniziale t0 = 0:
1 (k) tk+1
F (t) = F (0) + F 0 (0) t + . . . + F (0)tk + F (k+1) (ξ)
k! (k + 1)!
con ξ compreso tra 0 e t.
x − x0 x − x0 e ξ = x0 +ξ x − x
0
= x0 + τ x − x0 , τ ∈ ] 0, 1 [ ;
 
Siano, ora, w = 0 , t = 0
kx − x k kx − x k
allora
n
0
 X ∂f
x0 xi − x0i + . . .
 
f (x) = f x +
i=1
∂xi
n
1 X ∂kf
x0 xi − x0i . . . xik − x0ik
  
+
k! i ,...,i =1 ∂xi1 . . . ∂xik
1 k
n
1 X ∂ k+1 f   
+ (ξ) xi1 − x0i1 . . . xik+1 − x0ik+1 .
(k + 1)! i ,...,i =1
∂xi1 . . . ∂xik+1
1 k+1

Se k = 0 si ottiene come caso particolare il

Teorema 3.7.4 (di Lagrange, per funzioni scalari di più variabili reali).
Se f : A ⊆ Rn → R, f ∈ C 1 (A) e x0 , x ∈ A t.c. x0 , x ⊂ A (aperto). Allora
 

n
X
0 ∂f
(ξ) xi − x0i
 
f (x) = f x +
i=1
∂xi
= f x0 + grad f (ξ) |x − x0 ,
 

con ξ = x0 + τ x − x0 ∈ ] x0 , x [, τ ∈ ] 0, 1 [ .


Osservazione 3.7.5. Per provare il teorema di Lagrange è sufficiente richiedere


che f sia differenziabile in A.

Osservazione 3.7.6. Il teorema di Lagrange non si estende a funzioni vettoriali.


Sia infatti f : A ⊆ Rn → Rm (con m ≥ 2 e A aperto), di classe C 1 (A) e siano
Analisi III 107

x0 , x ∈ A t.c. x0 , x ⊂ A; allora, per il teorema 3.7.4, per ogni j = 1, . . . , m si


 

ha
fj (x) = fj x0 + grad fj (ξj ) |x − x0
 

con ξj = x0 + τj x − x0 ∈ ] x0 , x [ e τj ∈ ] 0, 1 [ .


Ne segue

fj (x) − fj x0 ≤ kgrad fj (ξj )k x − x0


≤ max kgrad fj k x − x0 ;
[x0 ,x]
| {z }
=:αj

posto α := max {α1 , . . . , αm }, risulta:


m
! 21
fj (x) − fj x0 2
X
f (x) − f x0 =
 
j=1

m
! 12
X 2 √
≤ αj2 x − x0 ≤ mα x − x0 ; (3.3)
j=1

la disuguaglianza (3.3) rappresenta l’estensione possibile del teorema di Lagrange


per funzioni a valori vettoriali.

Teorema 3.7.7 (funzioni con differenziale nullo in aperti connessi


per poligonali).
Sia f : A ⊆ Rn → R, con A aperto connesso per poligonali; se f è differenziabile
in A e se df ≡ 0 in A (i.e. df (h) = 0 per ogni h ∈ Rn ), allora f è costante in
A.

Dim. Siano x0 , x1 ∈ A tali che x0 , x1 ⊂ A. Per il teorema di Lagrange 3.7.4:


 

f x1 = f x0 + grad f (ξ) |x1 − x0 con ξ ∈ ] x0 , x1 [;


  
| {z }
= df (ξ)=0 per ipotesi
1 0
 
pertanto f x =f x .
Presi ora due punti qualsiasi x0 , x ∈ A, esiste una poligonale
108 M. Carriero, L. De Luca

x0 , x1 , . . . , xk = x contenuta in A; applicando un numero finito di volte (esat-




tamente k) la prova precedente si ha che f (x) = f x0 .





Esempio 3.7.8. Sia f (x, y) = x exy ∈ C ∞ R2 .




Scriviamo la formula di Taylor con resto di Peano di f in (1, 2) arrestata al


secondo ordine.
Risulta:

f (1, 2) = e2 ;
fx (x, y) = exy + x y exy ⇒ fx (1, 2) = e2 + 2 e2 = 3 e2 ,
fy (x, y) = x2 exy ⇒ fy (1, 2) = e2 ,
fxx (x, y) = y exy + y exy + x y 2 exy ⇒ fxx (1, 2) = 2 e2 + 2 e2 + 4 e2 = 8 e2 ,
fyy (x, y) = x3 exy ⇒ fyy (1, 2) = e2 ,
fxy (x, y) = 2 x exy + x2 y exy = fyx ⇒ fxy (1, 2) = fyx (1, 2) = 2 e2 + 2 e2 = 4 e2 ;

pertanto

f (x, y) = x exy = e2 + 3 e2 (x − 1) + e2 (y − 2) +
1
+ 8 e2 (x − 1)2 + e2 (y − 2)2 + 8 e2 (x − 1) (y − 2)

2
+o k(x, y) − (1, 2)k2 .


3.8. Estremi (massimi, minimi) liberi.


Massimi e minimi assoluti (globali) e relativi (locali).
Analisi III 109

Condizione necessaria del primo ordine

Definizione 3.8.1. Sia f : A ⊆ Rn → R, A aperto di Rn , e sia x0 ∈ A.


def
x0 punto di massimo assoluto per f in A ⇔ f (x) ≤ f x0

∀x ∈ A;
def
x0 punto di minimo assoluto per f in A ⇔ f (x) ≥ f x0

∀x ∈ A;
def
x0 punto di massimo relativo per f ⇔ ∃ r > 0 t.c.
f (x) ≤ f x0 ∀x ∈ Br x0 ∩ A;
 

def
x0 punto di minimo relativo per f ⇔ ∃ r > 0 t.c.
f (x) ≥ f x0 ∀x ∈ Br x0 ∩ A.
 

Se le disuguaglianze precedenti valgono per x 6= x0 con ‘<’ (rispettivamente ‘>’),


anziché ‘≤’ (rispettivamente ‘≥’) l’estremo si dice proprio.

Teorema 3.8.2 (Condizione necessaria del primo ordine).


Sia f : A ⊆ Rn → R con A aperto e sia x0 ∈ A (quindi x0 è punto interno ad A)
punto di massimo o di minimo relativo per f ; se f è differenziabile in x0 , risulta

dfx0 (v) = 0 ∀v ∈ Rn (cioè dfx0 ≡ 0).

Dim. Sia v ∈ Rn \ {0} (per v = 0 la tesi è ovvia); per l’ipotesi, risulta

dfx0 (v) = grad f x0 |v .


 

r
Sia Br x0 la palla aperta di cui alla definizione 3.8.1; per |t| <

risulta
0 kvk
x − x0 + t v = kt vk = |t| kvk < r, quindi t0 = 0 è per F (t) = f x0 + t v
 
i r r h
punto di massimo o di minimo relativo interno a − , .
kvk kvk
Per il teorema di Fermat F 0 (0) = 0, ma F 0 (t) = grad f x0 + t v |v pertanto
 
110 M. Carriero, L. De Luca

dev’essere
grad f x0 |v = 0.
 

Definizione 3.8.3. Sia f : A ⊆ Rn → R con A aperto e sia x0 ∈ A (quindi x0


è punto interno ad A) tale che f è differenziabile in x0 .
def
x0 punto stazionario per f ⇔ dfx0 ≡ 0 ⇔ ∇f x0 = 0

(o punto critico)
∂f

0


 x = 0
∂x

1


 .
⇔ .. .

 ∂f


x0 = 0
 

∂xn
def
x0 punto di sella per f ⇔ dfx0 ≡ 0 e x0 non è né punto di massimo
relativo né di minimo relativo per f .

Quindi un punto critico è di sella se non è né punto di massimo relativo né di
minimo relativo per f , cioè se

∀ρ > 0 ∃x 0 0 0
  
y ∈ Bρ x t.c. f (x) > f x e f (y) < f x .

Esempi 3.8.4. • Sia f (x, y) = x2 − 4 y 3 ; allora


∂f


 = 2x = 0
∂x ⇒ (0, 0) unico punto stazionario per f .
 ∂f = −12 y 2 = 0

∂y
• Sia f (x, y) = x y − x2 ; allora
∂f


 = y − 2x = 0
∂x ⇒ (0, 0) unico punto stazionario per f .
 ∂f = x
 = 0
∂y
Analisi III 111

• Sia f (x, y) = xy; allora

(0, 0) unico punto stazionario per f ,


∂f


 = y = 0 ma non è né di minimo né di massimo relativo
∂x ⇒ poiché in ogni intorno sferico di (0, 0)
 ∂f = x = 0

∂y f (x, y) assume valori strettamente
maggiori e minori di f (0, 0) = 0.

3.9. Autovalori e autovettori. Forme quadratiche.

Sia A = (aij ) i=1,...,n matrice n × n.


j=1,...,n

Definizione 3.9.1.
 
x1
x2
 
def  
 ∈ Rn \ {0} t.c. A x = λ x
λ autovalore di A ⇔ ∃ x =  ..
(scalare) 
 .


xn
⇔ ∃ x ∈ Rn \ {0} t.c. (A − λ I) x = 0 (3.4)
⇔ det (A − λ I) = 0,

dove I indica la matrice unità.


Il polinomio di grado n in λ

det (A − λ I) = λn − (a11 + . . . + ann ) λn−1 + . . . + (−1)n det A


| {z }
traccia di A

si chiama polinomio caratteristico della matrice A.

Definizione 3.9.2. Il vettore x ∈ Rn \ {0} che verifica (3.4) si dice autovettore


corrispondente all’autovalore λ.

Ricordiamo il seguente risultato:


112 M. Carriero, L. De Luca

Proposizione 3.9.3. Se A = (aij ) i=1,...,n è simmetrica


j=1,...,n
(i.e. aij = aji ∀i, j = 1, . . . , n), allora

1. i suoi autovalori sono tutti reali,


2. il suo determinante è uguale al prodotto dei suoi autovalori.

Teorema 3.9.4. Sia A = (aij ) i=1,...,n matrice n × n simmetrica e siano


j=1,...,n

m := min {λ ∈ R | λ autovalore di A} ,
M := max {λ ∈ R | λ autovalore di A} .

Allora, per ogni v ∈ Rn risulta

m kvk2 ≤ (A v|v) ≤ M kvk2 .


| {z }
Xn
= aij vi vj
i,j=1
(forma quadratica associata alla matrice A)

Dim.

(A v|v)
passo 1. Consideriamo la funzione F : Rn \ {0} → R, F (v) := e sia
kvk2
S = {v ∈ Rn | kvk = 1} la sfera unitaria di Rn .
Poiché F è continua nel compatto S, per il teorema di Weierstrass si ha

∃ m = min F (v) e ∃ M = max F (v) ,


v∈S v∈S

quindi m ≤ F (v) ≤ M ∀v ∈ S.
w
passo 2. Sia ora w ∈ Rn \ {0}, allora ∈ S, pertanto
kwk
 
w
m≤F ≤M
kwk
| {z }
=F (w)
Analisi III 113

 
w w

w
 A kwk | kwk 1
(infatti, F = = (A w|w) = F (w)),
kwk w 2 kwk2

kwk
quindi m ≤ F (w) ≤ M ∀ w ∈ Rn \ {0}.
passo 3. Dimostriamo che m e M sono autovalori di A.
Dal passo 2 segue che, se v 0 6= 0 è punto stazionario per F (v) =
(A v|v) 0

2 , il valore F v è un autovalore per la matrice A.
kvk
In particolare, il minimo e il massimo di F sono autovalori della matrice
A.
Infatti

n
X
(A v|v) = aij vi vj , pertanto per ogni k = 1, . . . , n
i,j=1
n
! n   
∂ ∂ X X ∂ ∂
(Av|v) = aij vi vj = aij vj vi + vi vj
∂vk ∂vk i,j=1 i,j=1
∂vk ∂vk
n
X
= [aij (vj δki + vi δkj )]
i,j=1
n
X n
X
= akj vj + aik vi
j=1 i=1
n
X
=2 ajk vj
j=1


(essendo A matrice simmetrica), inoltre kvk2 = 2 vk . Quindi
∂vk
114 M. Carriero, L. De Luca

n
X
2 ajk vj kvk2 − (A v|v) 2 vk
∂ ∂ (Av|v) j=1
F (v) = 2 =
∂vk ∂vk kvk kvk4
X n 
 ajk vj 
 j=1 F (v) 
= 2
 kvk2 − 2 v k
 ∀ k = 1, . . . , n.
 kvk 

Se v 0 è punto stazionario per F , per il teorema 3.8.2 dovrà aversi


∂F
v 0 = 0 ∀ k = 1, . . . , n, pertanto si ha

∂vk
n
X
0
vk0 ajk vj0

F v =
j=1

e, in forma vettoriale, risulta

F v0 v0 = A v0.


In particolare, dal passo 2 risulta che esiste v 0 ∈ Rn \ {0} t.c.


F v 0 = m, pertanto


m v0 = A v0

e quindi m è autovalore di A.
Analogamente si prova che M è autovalore di A.
passo 4. A questo punto proviamo che m = m e M = M .
Infatti, sia λ un autovalore di A e sia vλ 6= 0 l’autovettore corrispondente
a λ, cioè A vλ = λ vλ . Risulta
kvλ k2
F (vλ ) = λ =λ
kvλ k2
e dunque per il passo 2 si ha m ≤ λ ≤ M , quindi
m = m e M = M. 
Analisi III 115

3.10. Classificazione delle forme quadratiche con gli autovalori

Definizione 3.10.1. Sia A una matrice n × n simmetrica.

def
A definita positiva ⇔ il minimo autovalore di A è strettamente positivo (> 0)
(i.e. tutti gli autovalori di A sono strettamente positivi)
⇔ ∀v ∈ Rn \ {0} (A v|v) ≥ m kvk2 > 0
(per il teorema 3.9.4).
def
A definita negativa ⇔ il massimo autovalore di A è strettamente negativo (< 0)
(i.e. tutti gli autovalori di A sono strettamente negativi)
⇔ ∀v ∈ Rn \ {0} (A v|v) ≤ M kvk2 < 0
(per il teorema 3.9.4).
def
A semidefinita positiva ⇔ il minimo autovalore di A è positivo (≥ 0)
⇔ ∀v ∈ Rn (A v|v) ≥ m kvk2 ≥ 0
(i.e. tutti gli autovalori di A sono positivi).
def
A semidefinita negativa ⇔ il massimo autovalore di A è negativo (≤ 0)
⇔ ∀v ∈ Rn (A v|v) ≤ M kvk2 ≤ 0
(i.e. tutti gli autovalori di A sono negativi).
def
A indefinita ⇔ A ha autovalori strettamente positivi e strettamente negativi.

Equivalentemente, la matrice “A è definita . . . ” se “la forma quadratica ((Av|v))


associata ad A è definita . . . ”.

Il risultato che segue dà una caratterizzazione affinché una matrice quadrata
simmetrica sia definita (positiva, negativa).
116 M. Carriero, L. De Luca

Teorema 3.10.2 (di Sylvester).


Sia A = (aij ) i=1,...,n matrice n × n simmetrica.
j=1,...,n

!
a11 a12
Posto A1 = a11 , A2 = ,
a21 a22
 
a11 a12 a13
A3 =  a21 a22 a23  , . . . , An = A
 

a31 a32 a33

(le sottomatrici Ak (k = 1, . . . , n) sono estratte da A seguendo la diagonale


principale e partendo dall’alto), risulta

A definita positiva ⇔ det Ak > 0 ∀ k = 1, . . . , n;


A definita negativa ⇔ −A definita positiva
⇔ (−1)k det Ak > 0 ∀ k = 1, . . . , n
(cioè a11 < 0, det A2 > 0, det A3 > 0, . . . ).

! (Caso particolare, matrici 2 × 2 simmetriche).


Proposizione 3.10.3
a11 a12
Sia A = .
a12 a22

A definita positiva ⇔ a11 > 0 e det A > 0;


A definita negativa ⇔ a11 < 0 e det A > 0;
A semidefinita ⇔ det A = 0;
A indefinita ⇔ det A < 0.

In questo caso possiamo dimostrare in modo elementare la tesi del Teorema di


Sylvester.
Analisi III 117

Dim. (proposizione 3.10.3)


Siccome il determinante di A è uguale al prodotto degli autovalori, le affermazioni
relative ai casi A semidefinita e A indefinita sono ovvie.
Per quanto riguarda il caso di A definita (positiva o negativa), cioè con i due
autovalori concordi, è chiaro che det A > 0; d’altra parte, questo implica che a11 e
a22 sono concordi, infatti essendo det A = a11 a22 −a212 > 0 risulta a11 a22 > a212 ≥ 0.
Quindi, se a11 > 0 e a22 > 0, dalla presenza di due variazioni di segno nei
coefficienti dell’equazione caratteristica

λ2 − (a11 + a22 ) λ + |det


{zA} = 0,
| {z }
<0 >0

si deduce che i due autovalori sono positivi e quindi che A è definita positiva.
Se, invece, a11 < 0 e a22 < 0, allora dalla presenza di due permanenze di segno
nei coefficienti dell’equazione caratteristica

λ2 − (a11 + a22 ) λ + |det


{zA} = 0,
| {z }
>0 >0

si deduce che i due autovalori sono negativi e quindi che A è definita negativa. 

3.11. Condizione necessaria del secondo ordine e


condizione sufficiente per i massimi (minimi) relativi

Teorema 3.11.1. Sia f : A ⊆ Rn → R, con A aperto, f ∈ C 2 (A) e sia x0 ∈ A


punto stazionario per f .
118 M. Carriero, L. De Luca

9
(Condizione necessaria del secondo ordine)

(i) x0 punto di minimo relativo per f ⇒ Hf x0 v|v ≥ 0 ∀v ∈ Rn


 
:
m
minimo autovalore di Hf x0

risulta ≥ 0
m
Hf x0 è semidefinita positiva;


(ii) x0 punto di massimo relativo per f ⇒ Hf x0 v|v ≤ 0 ∀v ∈ Rn


 
:
m
massimo autovalore di Hf x0

risulta ≤ 0
m
Hf x0 è semidefinita negativa.


Inoltre
(Condizione sufficiente)

H f x0 ⇒ x0 punto di minimo relativo proprio per f ;



(iii) definita positiva
m
n
Hf x0 v|v > 0
 
∀ v ∈ R \ {0}

H f x0 ⇒ x0 punto di massimo relativo proprio per f ;



(iv) definita negativa
m
n
Hf x0 v|v < 0
 
∀ v ∈ R \ {0}

H f x0 ⇒ x0 punto di sella.

(v) indefinita

Osserviamo preliminarmente che (i) e (ii) sono solo condizioni necessarie, ma non
sufficienti.
n
X
9Ricordiamo che Hf x0 v|v = fxi xj x0 vi vj .
  
i,j=1
Analisi III 119

Esempio 3.11.2. Sia f (x, y) = x2 − y 4 . Allora


(
fx = 2x = 0
⇒ (0, 0) unico punto stazionario e
fy = −4 y 3 = 0
!
2 0
Hf (0, 0) = pertanto (Hf (0, 0)v|v) = 2v12 ≥ 0 ∀v = (v1 , v2 ) ∈ R2 .
0 0
D’altra parte f (x, y) è positiva sull’asse delle x e negativa sull’asse delle y, sicché
l’origine (0, 0) non può essere un punto di minimo.

Dim. (teorema 3.11.1)


Ci limitiamo a dimostrare i casi (i) e (iii), essendo le dimostrazioni di (ii) e (iv)
del tutto analoghe e la (v) ovvia.

(i) Poiché x0 è interno ad A, esiste una palla Br x0 ⊂ A.



r
Siano v ∈ Rn \ {0} e |t| < ; per ipotesi, la funzione di una variabile
kvk
F (t) = f x0 + t v ha un minimo relativo interno per t0 = 0 e dunque


dovrà aversi F 00 (0) ≥ 0.


n
00
X ∂2f
x0 + t v vi vj e quindi

D’altra parte F (t) =
i,j=1
∂xi ∂xj

F 00 (0) = Hf x0 v|v ≥ 0.
 

(iii) Poiché dfx0 ≡ 0 per ipotesi, dalla formula di Taylor del secondo ordine
con resto di Peano (teorema 3.7.2) risulta
 1  2 
f (x) = f x0 + Hf x0 x − x0 |x − x0 + o x − x0
  
2
e dunque, detto m il più piccolo autovalore di Hf x0 (m > 0 per


ipotesi), per il teorema 3.9.4 risulta

0
 1 0 2
 
0 2
f (x) − f x ≥ m x−x
+o x−x
.
2
120 M. Carriero, L. De Luca

 
2
o kx − x0 k
= 0, segue che esiste I x0 (in-

D’altra parte, da lim0 0 2
x→x kx − x k
0
torno di x ) t.c.
 2  1 2
o x − x0 < m x − x0 ∀x ∈ I x0 ∩ A, x 6= x0 .

2
Quindi, per x ∈ I x0 ∩ A, x 6= x0 , si ha


 1 2 1 2
f (x) − f x0 > m x − x0 − m x − x0 = 0,
2 2
sicché f ha un minimo proprio in x0 . 

Proposizione 3.11.3 (Condizione sufficiente nel caso di due variabi-


li).
Sia f : A ⊆ R2 → R, con A aperto, f ∈ C 2 (A). Sia x0 , y 0 ∈ A (i.e. x0 , y 0
 

punto interno ad A).


(
fx x0 , y 0 = fy x0 , y 0 = 0 (i.e. x0 , y 0 punto stazionario per f )
  
(iii)’ Se ,
det Hf (x0 , y 0 ) > 0 e fxx (x0 , y 0 ) > 0

x0 , y 0 è punto di minimo relativo proprio per f .



allora

(
fx x0 , y 0 = fy x0 , y 0 = 0 (i.e. x0 , y 0 punto stazionario per f )
  
(iv)’ Se ,
det Hf (x0 , y 0 ) > 0 e fxx (x0 , y 0 ) < 0

x0 , y 0 è punto di massimo relativo proprio per f .



allora

(
fx x0 , y 0 = fy x0 , y 0 = 0
 
(v)’ Se ,
det Hf (x0 , y 0 ) < 0

x0 , y 0 è punto di sella per f .



allora

Dim. Segue dalla proposizione 3.10.3. 


Analisi III 121

Osservazione 3.11.4. Se det Hf x0 , y 0 = 0, si dovranno fare ulteriori indagini




per stabilire la natura del punto stazionario x0 , y 0 .




Esempio 3.11.5. Sia f (x, y) = x2 + y 3 − x y. Allora


(
fx (x, y) = 2x − y
 
= 0 1 1
⇒ (0, 0) e , sono punti stazionari.
fy (x, y) = 3 y 2 − x = 0 12 6

!
2 −1
Hf (x, y) = ; dunque
−1 6 y

!
2 −1
det Hf (0, 0) = det = −1 < 0 ⇒ (0, 0) punto di sella;
−1 0

!
2 −1
 
1 1
det Hf , = det = 1 > 0,
12 6 −1 1
inoltre  
1 1
fxx , = 2>0
12 6


 
1 1
, punto di minimo relativo per f .
12 6

Altro metodo per risolvere l’esempio precedente. Determiniamo la “natura” dei


punti stazioniari studiando il segno degli autovalori dell’hessiano di f nei punti
stessi.
!
2 − λ −1
det (Hf (0, 0) − λ I) = det = (2 − λ) (−λ) − 1 = 0
−1 −λ
⇔ λ2 − 2 λ − 1 = 0

⇔ λ1,2 = 1 ± 2;
122 M. Carriero, L. De Luca

poiché gli autovalori di Hf (0, 0) sono uno positivo e uno negativo, (0, 0) è punto
di sella.
!
2 − λ −1
   
1 1
Inoltre, det Hf , − λI = det
12 6 −1 1−λ
= (2 − λ) (1 − λ) − 1 = 0
⇔ λ2 − 3λ + 1 = 0

3± 5
⇔ λ1,2 = ;
2
   
1 1 1 1
poiché gli autovalori di Hf , sono entrambi positivi, , è punto di
12 6 12 6
minimo relativo per f .
Sempre questo esempio può essere risolto anche utilizzando il teorema di Sylvester
3.10.2 (in questo caso, la proposizione 3.10.3).

Osservazione 3.11.6. In generale non è sempre possibile calcolare esplicitamen-


te gli autovalori della matrice hessiana, dato che occorre risolvere un’equazione di
grado pari al numero delle variabili. D’altra parte per decidere se un punto sta-
zionario è un punto di massimo o di minimo relativo basta determinare il segno
degli autovalori.

E’ allora utile il seguente risultato.

Proposizione 3.11.7. Se l’equazione di grado n

λn + a1 λn−1 + a2 λn−2 + · · · + an−1 λ + an = 0

ha radici tutte reali, allora

le radici sono tutte negative ⇔ tutti i coefficienti ai sono positivi


le radici sono tutte positive ⇔ i coefficienti ai sono alternativamente
negativi e positivi.
Analisi III 123

Esempio 3.11.8. Sia f (x, y, z) = x2 + 2 y 2 + z 2 + x y − x z. Allora



 fx (x, y, z) = 2 x + y − z = 0

fy (x, y, z) = 4 y + x = 0 ⇒ (0, 0, 0) unico punto stazionario.

fz (x, y, z) = 2 z − x = 0

 
2 1 −1
Risulta Hf (0, 0, 0) =  1 4 0 .
 

−1 0 2
e
 
2−λ 1 −1
det (Hf (0, 0, 0) − λ I) = det  1 4−λ 0
 

−1 0 2−λ
= −(λ3 − 8 λ2 + 18 λ − 10) = 0;

poiché i coefficienti del polinomio caratteristico sono alternativamente positivi e


negativi, le radici dell’equazione caratteristica (autovalori) sono tutte positive e
pertanto (0, 0, 0) è punto di minimo relativo.

Esempio 3.11.9. Sia f (x, y, z) = x2 + y 4 + y 2 + z 3 − 2 x z. Allora


 
 fx (x, y, z) = 2 x − 2 z = 0
  x−z
 = 0
fy (x, y, z) = 4 y 3 + 2 y = 0 y 2 y2 + 1 = 0


 
fz (x, y, z) = 3 z 2 − 2 x = 0 3 z2 − 2 x = 0
 
 
2 2
⇒ (0, 0, 0) e , 0,
3 3
sono punti stazionari per f .
 
2 0 −2
Risulta, Hf (0, 0, 0) =  0 2 0 
 

−2 0 0
124 M. Carriero, L. De Luca

e
 
2−λ 0 −2
3 2
det (Hf (0, 0, 0) − λ I) = det  0 2−λ 0  = −(λ − 4 λ + 8) = 0
 

−2 −λ 0
⇔ (λ − 2) λ2 − 2 λ − 4 = 0

√ √
⇔ λ = 2 ∨ λ = 1 − 5 < 0 ∨ λ = 1 + 5 > 0;

poiché gli autovaloti di Hf (0, 0, 0) sono due positivi e uno negativo, (0, 0, 0) non
è punto di massimo né di minimo (cioè (0, 0, 0) è punto di sella).
 
  2 0 −2
2 2
Risulta, Hf , 0, = 0 2 0 
 
3 3
−2 0 4
e
 
    2−λ 0 −2
2 2
det Hf , 0, − λI = det  0 2−λ 0
 
3 3

−2 0 4−λ
= −(λ3 − 8 λ2 + 16 λ − 8) = 0,
 
2 2
quindi tutte le radici (autovalori) sono positive; ne segue che Hf , 0, è
  3 3
2 2
definita positiva, pertanto , 0, è punto di minimo relativo per f .
3 3
Esempio 3.11.10. Studiare la natura dell’origine (0, 0) per

f (x, y) = sin2 x + y 2 + 2 a x y

in funzione di a ∈ R.
Osserviamo preliminarmente che
(
fx (x, y) = 2 sin x cos x + 2 a y
, quindi (0, 0) è punto stazionario per f ,
fy (x, y) = 2 y + 2 a x

fxx (x, y) = 2 cos2 x − sin2 x , fxy (x, y) = 2 a, fyy (x, y) = 2,



Analisi III 125

allora

!
2 2a
Hf (0, 0) =
2a 2

det (Hf (0, 0) − λ I) = (2 − λ)2 − 4 a2 = λ2 − 4 λ + 4 1 − a2 = 0.




• Se 1 − a2 > 0 ⇔ −1 < a < 1, allora (0, 0) è punto di minimo relativo


per f ;
• se 1 − a2 < 0 ⇔ a < −1 ∨ a > 1, allora (0, 0) è punto di sella per f ;
• se 1 − a2 = 0 ⇔ a = ±1, allora (0, 0) è punto di sella per f , infatti
per a = 1, si ha f (x, y) − f (0, 0) = sin2 x + y 2 + 2 x y;
utilizziamo la tecnica delle restrizioni per provare che in questo caso
il punto (0, 0) è di sella per f (vedi fig. che segue)

y
++++++++++++++++++++++++++++

y=-x

+++++++++++++++
−π O π x

per a = −1, si ha f (x, y) − f (0, 0) = sin2 x + y 2 − 2 x y e si può


procedere come nel caso precedente.
126 M. Carriero, L. De Luca

y=x

+++++++++++++++
−π π x
O

Lasciamo al lettore lo studio di questo esempio con il teorema 3.10.2 (in questo
caso, con la proposizione 3.10.3).

Osservazione 3.11.11. Consideriamo una funzione f : K → R continua in un


insieme compatto K di Rn . Per il teorema di Weierstrass f ha massimo e minimo
assoluti in K.
Naturalmente il valore massimo e quello minimo potranno essere assunti sia al-
l’interno che sulla frontiera di K.
Una possibile strategia per la ricerca degli estremi di f è la seguente:

Passo 1. Si isolano i punti in cui f non è regolare (ad esempio derivabile una o
due volte). Questi punti vanno esaminati con uno studio adattato al caso
concreto.
Analisi III 127

Passo 2. Tolti i punti di cui al Passo 1, si determinano gli eventuali punti critici
di f interni a K, risolvendo il sistema

 fx1 (x1 , . . . , xn ) = 0


..
 .

 f (x , . . . , x ) = 0
xn 1 n

(cfr. teorema 3.8.2).


Passo 3. Si esamina la natura di ogni punto critico x0 di f studiando il segno
n
X
fxi xj x0 vi vj e si conclude usando il teorema

della forma quadratica
i,j=1
3.11.1, casi (iii), (iv), (v).
Passo 4. Per risolvere completamente il problema della ricerca del massimo e del
minimo di f in K, si studia infine il comportamento di f sulla frontiera
di K.

Esercizio 3.11.12. Il lettore determini i punti di massimo e di minimo assoluto


della funzione f (x, y) = x − 2 y nell’insieme (compatto)

K = (x, y) ∈ R2 | x2 + y ≤ 1, y − 2 x2 ≥ −3 .

128 M. Carriero, L. De Luca

3.12. Funzioni, reali di più variabili reali, convesse (concave)

Enunciamo alcune proprietà delle funzioni convesse di più variabili reali.

Definizione 3.12.1. Sia A ⊆ Rn convesso.


def
f : A → R convessa ⇔ ∀t ∈ [0, 1] , ∀x, y ∈ A :
f (t x + (1 − t) y) ≤ t f (x) + (1 − t) f (y) .

Esempi 3.12.2. • f (x) = kxk è convessa in Rn .


Più in generale
• se g : [0, +∞ [ → R è convessa e crescente, anche f (x) = g (kxk) è
convessa in Rn ; infatti: ∀t ∈ [0, 1] , ∀x, y ∈ Rn

f (t x + (1 − t) y) = g (kt x + (1 − t) yk)
g crescente
≤ g (t kxk + (1 − t) kyk)
g convessa
≤ t g (kxk) + (1 − t) g (kyk)
= t f (x) + (1 − t) f (y) .

Teorema 3.12.3. Sia A ⊆ Rn convesso e sia f : A → R convessa. Allora f è



continua in A.

Teorema 3.12.4 (Criterio di convessità per funzioni differenziabi-


li).
Sia A ⊆ Rn aperto convesso e sia f : A → R differenziabile in A;
sono equivalenti le seguenti proposizioni:

1. f convessa in A

2. ∀x, x0 ∈ A : f (x) ≥ f x0 + ∇f x0 |x − x0 ;
  
| {z }
piano tangente in x0 , f x0

Analisi III 129

3. ∀x, y ∈ A : (∇f (x) − ∇f (y) |x − y) ≥ 0


(cioè ∇f : A ⊆ Rn → Rn è monotono su Rn ).

Se inoltre f ∈ C 2 (A), allora:

f convessa ⇔ ∀x ∈ A, Hf (x) è semidefinita positiva.

Osservazione 3.12.5. In particolare, se n = 2:

f = f (x, y) ∈ C 2 (A) convessa in A ⊆ R2 aperto convesso

m
(
det Hf (x, y) = fx x (x, y)fy y (x, y) − fx2 y (x, y) ≥ 0
∀(x, y) ∈ A.
fx x (x, y) ≥ 0, fy y (x, y) ≥ 0

Una funzione f si dice concava se −f è convessa.


130 M. Carriero, L. De Luca

3.13. Funzioni (positivamente) omogenee

Definizione 3.13.1. Sia f : Rn \ {0} → R 10


.
| {z }
cono

def
f (positivamente) omogenea di grado α ∈ R ⇔ ∀t > 0 : f (tx) = tα f (x) ∀x ∈ Rn \ {0} .

Esempi 3.13.2. • f (x) = kxk2 è omogenea di grado α = 2, infatti


∀t > 0, ∀x ∈ Rn \ {0}

f (tx) = ktxk2 = t2 kxk2 = t2 f (x).

• Sia A una matrice n × n;


(Ax|x)
allora F (x) = è omogenea di grado α = 0, infatti
kxk2
∀t > 0, ∀x ∈ Rn \ {0}:
(A(tx)|tx) t2 (Ax|x)
F (tx) = = = F (x) .
ktxk2 t2 kxk2
• f (x, y, z) = x2 y z è omogenea di grado α = 4, infatti
∀t > 0, ∀(x, y, z) ∈ R3 \ {0, 0, 0}:

f (t x, t y, t z) = t2 x2 t y t z = t4 x2 y z = t4 f (x, y, z).
√ 3
• f (x, y) = x y è omogenea di grado α = , infatti
2
∀t > 0, ∀(x, y) ∈ R+ × (R \ {0}):
√ 3√ 3
f (t x, t y) = t x t y = t 2 x y = t 2 f (x, y).
f (x)
Osservazione 3.13.3. f omogenea di grado α ⇔ omogenea di grado 0.
kxkα
10Un insieme A ⊆ Rn si dice cono di Rn se soddisfa la proprietà:

x ∈ A ⇒ t x ∈ A ∀t > 0.
Analisi III 131

Proposizione 3.13.4. Sia f : Rn \ {0} → R omogenea di grado α;


sia x ∈ Rn \ {0} e sia v ∈ Rn , kvk = 1 (cioè v è una direzione);
∂f ∂f ∂f
se esiste (x), allora ∀t > 0 ∃ (t x) = tα−1 (x).
∂v ∂v ∂v
∂f ∂f
Inoltre, se esiste (x) ∀x ∈ Rn \ {0}, allora è omogenea di grado α − 1.
∂v ∂v

Dim. Risulta:

  
h
f t x+ v − f (t x)
f (t x + h v) − f (t x) t
lim = lim
h→0 h h→0 h
   
α h
t f x + v − f (x)
t 1
= lim ·
h→0 h t
t
∂f
= tα−1 (x).
∂v

Teorema 3.13.5 (di Eulero).


Sia f : Rn \ {0} → R differenziabile;

f omogenea di grado α ⇔ ∀x ∈ Rn \ {0}


n
!
X ∂f
(x) xi = (grad f (x) |x) = α f (x)
i=1
∂x i

(identità di Eulero).
132 M. Carriero, L. De Luca

Dim.

f omogenea di grado α
f (tx)
⇔ ∀t > 0, ∀x ∈ Rn \ {0} : = f (x)

f (t x)
⇔ ∀x ∈ Rn \ {0} la funzione di t, F (t) = è costante in ] 0, +∞ [

⇔ ∀x ∈ Rn \ {0} : F 0 (t) = 0 in ] 0, +∞ [
⇔ ∀x ∈ Rn \ {0} : (grad f (x)|x) = α f (x) ,

osservato che
(grad f (t x) |x) tα − α tα−1 f (t x)
F 0 (t) =
t2 α
Prop. 3.13.4 tα−1 (grad f (x) |x) tα − α t2 α−1 f (x)
=
t2 α
1
= [(grad f (x) |x) − α f (x)] .
t


Naturalmente, non tutte le funzioni sono omogenee (per esempio x2 + y, cos xy,
y ex ).
La continuità e la differenziabilità delle funzioni positivamente omogenee sono più
semplici da studiare rispetto alle altre funzioni. A tale scopo è utile il seguente
risultato:

Teorema 3.13.6. Sia f : Rn \ {0} → R positivamente omogenea di grado α,


continua in Rn \ {0}.
Allora

(i) f è continua anche nell’origine se α > 0 (in questo caso f (0) = 0);
f è discontinua nell’origine se α < 0;
f è discontinua nell’origine anche se α = 0, tranne il caso banale in cui
f è costante.
Analisi III 133

(ii) f è differeziabile nell’origine se α > 1;


f non è differenziabile nell’origine se α < 1 (tranne il caso banale in cui
α = 0 e f è costante);
se α = 1, f è differenziabile nell’origine se e solo se f è una funzione
lineare.
 2
 p x

se (x, y) 6= (0, 0)
Esempio 3.13.7. La funzione f (x, y) = x2 + y 2 è posi-

 0 se (x, y) = (0, 0)
tivamente omogenea di grado α = 1, pertanto f è continua ma non differenziabile
in (0, 0).

Alla luce del teorema precedente, il lettore riveda l’esempio 3.2.7.


CAPITOLO 4

Curve in Rn e integrali curvilinei

4.1. Definizioni

Definizione 4.1.1. Si chiama curva in Rn una funzione ϕ : I ⊂ R → Rn conti-


nua in I intervallo di R.

Osservazione 4.1.2. Le equazioni



 x1 = ϕ1 (t)


..
. t∈I


 x = ϕ (t),
n n

che esprimono le componenti di ϕ, sono dette equazioni parametriche della curva


di parametro t.
Il codominio ϕ (I) dell’applicazione ϕ è detto sostegno della curva (e non va
confuso con la curva stessa che è invece un’applicazione).

Esempio 4.1.3. Sia


(
ϕ1 (t) = cos t
ϕ(t) = t ∈ [0, 2π]
ϕ2 (t) = sin t
e sia (
ψ1 (t) = cos t
ψ(t) = t ∈ [0, 4π] ;
ψ2 (t) = sin t
ϕ e ψ hanno lo stesso sostegno (la circonferenza di centro l’origine e raggio 1),
ma sono due curve distinte.
135
136 M. Carriero, L. De Luca

Esempio 4.1.4. La curva ϕ : R → R3 di equazioni parametriche


ϕ(t) = (a cos t, a sin t, b t) con a > 0 e b 6= 0 è detta elica cilindrica.
La quantità 2π b, di cui “si solleva”, se b > 0, o “si abbassa” se b < 0, un punto
che si muove lungo questa curva dopo un giro completo intorno al cilindro, si
chiama passo dell’elica.

Definizione 4.1.5. La curva ϕ : I → Rn si dice semplice se, comunque presi


due punti distinti t1 , t2 ∈ I di cui almeno uno interno all’intervallo I, risulta
ϕ t1 6= ϕ t2 .
 

Definizione 4.1.6. La curva ϕ : [a, b] ⊂ R → Rn si dice chiusa se ϕ(a) = ϕ(b).

Osservazione 4.1.7. La curva ϕ nell’esempio 4.1.3 è semplice e chiusa;


la curva ψ nell’esempio 4.1.3 è chiusa ma non è semplice;
la curva ϕ nell’esempio 4.1.4 è semplice ma non chiusa.

4.2. Curve regolari

Definizione 4.2.1. La curva ϕ : [a, b] → Rn si dice regolare se


ϕ ∈ C 1 ([a, b]) e ∀t ∈ ] a, b [ il vettore ϕ0 (t) 6= 0, ossia le derivate
ϕ01 (t), . . . , ϕ0n (t) non sono mai contemporaneamente nulle.

Siano t0 , t1 ∈ [a, b], t0 6= t1 e consideriamo la retta in Rn passante per ϕ (t0 ) e


ϕ (t1 ) di equazione parametrica
ϕi (t1 ) − ϕi (t0 )
xi = xi (t) = ϕi (t0 ) + (t − t0 ) ∀i = 1, . . . , n.
t1 − t0
Se ϕ è regolare, passando al limite per t1 → t0 , si ottiene l’equazione della retta
tangente a ϕ nel punto ϕ (t0 )

xi = xi (t) = ϕi (t0 ) + (t − t0 ) ϕ0i (t0 ) ∀i = 1, . . . , n.


Analisi III 137

Definizione 4.2.2. Il vettore (ϕ01 (t0 ) , . . . , ϕ0n (t0 )) si chiama vettore tangente a
ϕ nel punto ϕ (t0 ), mentre il versore (vettore unitario)
ϕ0 (t0 ) 1
T (t0 ) := si chiama versore tangente.
kϕ0 (t0 )k

La condizione di regolarità ϕ0 (t0 ) 6= 0 per ogni t0 ∈ ] a, b [ garantisce l’esistenza


di un unico versore tangente a ϕ in ϕ (t0 ): una curva regolare è pertanto priva
di cuspidi o punti angolosi.

Alcune classi di curve piane sono:

(1) Se f : [a, b] → R è di classe C 1 , la curva piana ϕ : [a, b] → R2 di


equazioni parametriche ϕ(t) = (t, f (t)) ha come sostegno il grafico di f
ed è regolare.
In tal caso y = f (x) è detta equazione cartesiana della curva. La retta
tangente alla curva in ϕ (t0 ) coincide con la tangente al grafico di f nel
punto (t0 , f (t0 )).
(2) Sia ρ = ρ (θ), θ ∈ [θ0 , θ1 ] l’equazione (singola) di una curva piana in
coordinate polari (equazione polare); allora le sue equazioni in coordinate
cartesiane sono
(
x = ρ (θ) cos θ
θ ∈ [θ0 , θ1 ] ;
y = ρ (θ) sin θ,
pertanto θ ∈ [θ0 , θ1 ] è il parametro e la curva piana è l’applicazione
ϕ : [θ0 , θ1 ] → R2 definita da

ϕ (θ) = (ρ (θ) cos θ, ρ (θ) sin θ) .

Se ρ = ρ (θ) ∈ C 1 ([θ0 , θ1 ]), allora ρ = ρ (θ) è regolare se e solo se


2
[ρ (θ)]2 + [ρ0 (θ)] > 0 ∀θ ∈ ] θ0 , θ1 [ .
1Essendo ϕ regolare, kϕ0 (t0 )k =
6 0 se t0 ∈ ] a, b [ .
138 M. Carriero, L. De Luca

4.3. Lunghezza di una curva

Consideriamo una curva (continua) ϕ : [a, b] ⊂ R → Rn . Ad ogni partizione


a = t0 < t1 < . . . < tN −1 < tN = b di [a, b] possiamo associare la poligonale
P “inscritta” nella curva, di vertici ϕ(a) = ϕ (t0 ) , ϕ (t1 ) , . . . , ϕ (tN ) = ϕ(b) e
viceversa.
La lunghezza di tale poligonale P è data da

N
X
l (P) = kϕ (tj ) − ϕ (tj−1 )k .
j=1

Definizione 4.3.1. Si definisce lunghezza della curva ϕ : [a, b] → Rn

L (ϕ) := sup l (P) .


P

Se L (ϕ) < +∞ la curva ϕ : [a, b] → Rn si dice rettificabile.

Teorema 4.3.2 (di rettificabilità delle curve C 1 ([a, b])).


Se ϕ : [a, b] → Rn è una curva di classe C 1 ([a, b]), allora essa è rettificabile e
risulta

Z b
L (ϕ) = kϕ0 (t)k dt.
a
Analisi III 139

Dim. Sia P una poligonale inscritta nella curva ϕ, determinata dalla partizione
2
a = t0 < t1 < . . . < tN −1 < tN = b. Risulta
N
X
l (P) = kϕ (tj ) − ϕ (tj−1 )k
j=1

N Z tj
X
= ϕ0 (t) dt


tj−1
j=1
N Z tj Z b
lemma 4.3.3 X
0
≤ kϕ (t)k dt = kϕ0 (t)k dt.
j=1 tj−1 a

Quindi
Z b
L (ϕ) := sup l (P) ≤ kϕ0 (t)k dt (4.1)
P a

(in particolare L (ϕ) < +∞, cioè ϕ è rettificabile).


Z b
Resta da provare che kϕ0 (t)k dt ≤ L (ϕ).
a
Essendo ϕ0 ∈ C 0 ([a, b]) uniformemente continua in [a, b] (per il teorema di Heine-
Cantor applicato a ciascuna componente ϕ0j di ϕ0 ), fissato ε > 0 esiste δ = δε > 0
t.c. ∀s, t ∈ [a, b]:
|t − s| < δ ⇒ kϕ0 (t) − ϕ0 (s)k < ε.
2Sia ϕ : [a, b] → Rn integrabile; poniamo
Z b Z b !
Z b Z b
ϕ(t) dt = ϕ1 (t) dt, ϕ2 (t) dt, . . . , ϕn (t) dt ;
a a a a

se ϕ ∈ C 1 ([a, b]), si ha (ragionando componente per componente)


Z b
ϕ0 (t) dt = ϕ(b)−ϕ(a) (teorema fondamentale del Calcolo integrale per funzioni a valori vettoriali ).
a
E’ utile la seguente disuguaglianza:

Lemma 4.3.3. Sia ϕ : [a, b] → Rn una funzione integrabile, allora


Z Z
b b
ϕ(t) dt ≤ kϕ(t)k dt.


a a
140 M. Carriero, L. De Luca

Sia allora a = t0 < t1 < . . . < tN −1 < tN = b una partizione di [a, b] t.c. per
i = 1, . . . , N ti − ti−1 < δ e sia P la relativa poligonale inscritta nella curva ϕ.
Fissato l’intervallo [ti−1 , ti ], per ogni fissato s ∈ [ti−1 , ti ] si ha
Z ti
ϕ (ti ) − ϕ (ti−1 ) = ϕ0 (t) dt
ti−1
Z ti
= [ϕ0 (t) − ϕ0 (s)] dt + ϕ0 (s) (ti − ti−1 ) , da cui
ti−1

ti
Z
0 0 0

kϕ (s)k (ti − ti−1 ) ≤ kϕ (ti ) − ϕ (ti−1 )k +
[ϕ (t) − ϕ (s)] dt

ti−1

≤ kϕ (ti ) − ϕ (ti−1 )k + ε (ti − ti−1 )

e quindi

kϕ (ti ) − ϕ (ti−1 )k
kϕ0 (s)k ≤ + ε. (4.2)
ti − ti−1

Allora, integrando (4.2) per s ∈ [ti−1 , ti ], si ha


Z ti
kϕ0 (s)k ds ≤ kϕ (ti ) − ϕ (ti−1 )k + ε (ti − ti−1 ) ,
ti−1

pertanto, sommando per i = 1, . . . , N :


Z b
kϕ0 (s)k ds ≤ l (P) + ε (b − a) ≤ L (ϕ) + ε (b − a) ∀ε > 0
a

da cui
Z b
kϕ0 (s)k ds ≤ L (ϕ) . (4.3)
a

Da (4.1) e (4.3) segue la tesi. 

Casi particolari.
Analisi III 141

(1) Se f : [a, b] → R è di classe C 1 , la curva cartesiana


ϕ(t) = (t, f (t)), t ∈ [a, b] è rettificabile e risulta
Z bq
L (ϕ) = 1 + [f 0 (x)]2 dx.
a

(2) Se ϕ : [θ0 , θ1 ] → R2 (curva del piano con equazione polare


ρ = ρ (θ), θ ∈ [θ0 , θ1 ]) è di classe C 1 , allora
Z θ1 q
L (ϕ) = [ρ (θ)]2 + [ρ0 (θ)]2 dθ.
θ0

Definizione 4.3.4. Due curve ϕ : I → Rn e ψ : J → Rn si dicono equivalenti


se esiste un diffeomorfismo (cambiamento ammissibile di parametro)
g : It → Js , g ∈ C 1 (It ), con g 0 (t) 6= 0 ∀t ∈ It (e quindi invertibile), per cui
risulta
ϕ(t) = (ψ ◦ g) (t).
In tal caso, detta g −1 : Js → It la funzione inversa di g, risulta anche
0
g −1 ∈ C 1 (Js ), g −1 (s) 6= 0 ∀s ∈ Js e ψ(s) = ϕ ◦ g −1 (s).

Scriviamo
ϕ ∼ ψ :⇔ ϕ e ψ sono equivalenti.
La relazione ∼ è una relazione di equivalenza e la classe di equivalenza (cammino)
di ϕ rispetto a questa relazione si indica con γ = [ϕ].

ϕ(t) = (cos t, sin t) , t ∈ [0, 2π]


Esempio 4.3.5. Siano ;
ψ(s) = (cos 2s, sin 2s) , s ∈ [0, π]
ϕ e ψ hanno lo stesso sotegno (la circonferenza di centro l’origine e raggio 1).
g : [0, 2π] → [0, π]
Sia t allora ϕ(t) = ψ (g(t)).
t 7→ g(t) = s = ;
2
Inoltre, g −1 : s ∈ [0, π] → g −1 (s) = (t =)2s ∈ [0, 2π], e risulta

ψ(s) = ϕ g −1 (s) .

142 M. Carriero, L. De Luca

(
ϕ1 (t) = cos t
Esempio 4.3.6. Le curve ϕ(t) = , t ∈ [0, 2π]
ϕ2 (t) = sin t
(  
ψ1 (s) = cos 2s π 5
e ψ(s) = , s∈ , π sono equivalenti.
ψ2 (s) = sin 2s 4 4
 
−1 π 5 5
Basta considerare g : , π → [0, 2π] t.c. g −1 (s) = π − 2s (applicazione
4 4 2
5
lineare strettamente decrescente), che ad s = π fa corrispondere g −1 (s) = 0 e
4
π −1
ad s = fa corrispondere g (s) = 2π.
4

4.4. Curve equivalenti orientate

Ad ogni curva ϕ : I → Rn si può associare un verso di percorrenza o orientamento.

Definizione 4.4.1. Si dice che il vettore p1 = ϕ (t1 ) precede il vettore


p2 = ϕ (t2 ) nel verso indotto dal parametro t (o nel verso delle t crescenti) se
t1 < t2 .

Definizione 4.4.2. Due curve regolari ϕ : I → Rn e ψ : J → Rn sono equi-



valenti rispetto alla relazione di equivalenza (più forte di ∼) ∼, se e solo se
ϕ ∼ ψ e ϕ e ψ hanno lo stesso verso.


Osservazione 4.4.3. Se ϕ ∼ ψ, allora γ = [ϕ] si spezza in due classi di equi-

valenza rispetto a ∼, che vengono dette curve orientate (o cammini orientati) e
indicate con γ + e γ − .

Proposizione 4.4.4. La lunghezza di una curva regolare è una quantità intrin-


ϕ : [a, b]t → Rn e
seca, cioè se sono tali che ϕ ∼ ψ, allora risulta L (ϕ) =
ψ : [α, β]s → Rn
L (ψ).
Analisi III 143

Dim. Sia g : [a, b]t → [α, β]s un diffeomorfismo t.c. ϕ(t) = ψ (g(t)).
Detta t = g −1 (s) l’inversa dell’applicazione s = g(t), si ha
Z b Z b
0
d ψ 0
L (ϕ) = kϕ (t)k dt =
ds (g(t)) |g (t)| dt

a a
Z g(b)
0 −1  d g −1 (s)
= kψ 0 (s)k g g (s) ds
g(a) | {z d s }
(
+1 se g è strettamente crescente
=
−1 se g è strettamente decrescente
Z β
= kψ 0 (s)k ds = L (ψ) ,
α

in quanto, in entrambi i casi si ha:


d g −1 (s)
>0 ⇒ g(a) = α, g(b) = β
ds
d g −1 (s)
<0 ⇒ g(a) = β, g(b) = α.
ds


Il lettore calcoli la lunghezza della curva ϕ e della curva ψ dell’esempio 4.3.6.

Definizione 4.4.5. Una curva ϕ : [a, b] → Rn (continua) si dice regolare a


tratti se esiste una partizione {a = t0 < t1 < . . . < tN = b} di [a, b] t.c. per ogni
j = 1, . . . , N la curva ϕj = ϕ| risulta regolare.
[tj−1 ,tj ]
Teorema 4.4.6. Le curve regolari a tratti sono rettificabili.

Dim. Basta osservare che


N N Z tj
X
j
 X j 0
L (ϕ) = L ϕ = ϕ (t) dt
j=1 j=1 tj−1
Z b
= kϕ0 (t)k dt.
a
144 M. Carriero, L. De Luca

Esempi 4.4.7.

• Sia ϕ(t) = (a cos t, a sin t, b t), t ∈ [0, 2π] l’elica cilindrica;


3
allora
Z 2π
0
Z 2π √ √
L (ϕ) = kϕ (t)k dt = a2 + b2 dt = 2π a2 + b2 .
0 0

• Consideriamo la curva di equazione polare ρ (θ) = 1 − cos θ, θ ∈ [0, 2π]


(cardioide); allora

Z 2π Z π
θ θ
L (ρ) = 2 − 2 cos θ dθ = 4 sin d = 8.
0 0 2 2

Definizione 4.4.8. Sia ϕ : [a, b] → Rn curva rettificabile; per ogni t ∈ [a, b]


poniamo
Z t
s(t) := kϕ0 (τ )k dτ ;
a

la funzione di t, s(t) si dice ascissa curvilinea della curva ϕ (o lunghezza d’arco);


ds
s(t) è strettamente crescente, derivabile e > 0 per ogni t, pertanto s = s(t) è
dt
un cambiamento di parametro ammissibile, s : [a, b] → [s(a), s(b)].

Esempio 4.4.9 (di una curva cartesiana continua ma non di classe C 1


che risulta non rettificabile).
Consideriamo la funzione f : [0, 1] → R, definita da
(
0 se t = 0
f (t) = π .
t sin se 0 < t ≤ 1
2t
3Basta
osservare che ϕ0 (t) = (−a sin t, a cos t, b) e
p p
0
kϕ (t)k = a2 sin2 t + a2 cos2 t + b2 = a2 + b2 .
Analisi III 145
146 M. Carriero, L. De Luca

Risulta f ∈ C 0 ([0, 1]) ∩ C 1 ( ] 0, 1 ]).


Proviamo che la curva cartesiana ϕ(t) = (t, f (t)) non è rettificabile.
Per ogni intero N , sia PN la poligonale individuata dalla partizione di [0, 1]
1 1
tN = 0 < tN −1 = < . . . < tj = < . . . < t0 = 1, cioè dai punti
 2N −1 2j + 1
1 1 1
0, ,..., , ,1 ;
2N − 1 5 3 !
1 (−1)j
PN ha come vertici il punto (0, 0), i punti ϕ (tj ) = ,
2j + 1 2j + 1
(j = 0, 1, . . . , N − 1).
4
Allora
N
X −1
l (PN ) > kϕ (tj ) − ϕ (tj−1 )k
j=1
N −1 p N −1 p N −1
X 4 + 16j 2 X 16j 2 X 1
= 2
> 2
= ,
j=1
4j − 1 j=1
4j j=1
j

da cui segue lim l (PN ) = +∞. 


N →+∞

4.5. Integrale curvilineo di una funzione continua

Definizione 4.5.1. Sia ϕ : [a, b] → Rn una curva regolare


e sia f : Γ = ϕ ([a, b]) ⊆ Rn → R una funzione continua sul sostegno di ϕ;
si definisce integrale curvilineo della funzione f esteso alla curva ϕ
Z Z b
f ds := f (ϕ(t)) kϕ0 (t)k dt.
ϕ a
Z Z
Proposizione 4.5.2. f ds = f ds dove γ = [ϕ]
ϕ γ
(cioè l’integrale curvilineo di f è indipendente dal rappresentante del cammino).

(−1)j−1
 
4Osserviamo 1
che ϕ (tj−1 ) = , .
2j − 1 2j − 1
Analisi III 147

Dim. Sia ψ ∈ γ, cioè sia ψ : [α, β] → Rn regolare e ϕ ∼ ψ; allora


Z Z b
f ds = f (ϕ(t)) kϕ0 (t)k dt
ϕ a
Z g(b)  d g −1 (s)
f (ψ(s)) kψ 0 (s)k g 0 g −1 (s)

= ds
g(a) | {z ds }
=±1
Z β Z
= f (ψ(s)) kψ 0 (s)k ds = f ds.
α ψ


h πi x
Esempio 4.5.3. Sia ϕ(t) = (cos t, sin t), t ∈ 0, e sia f (x, y) = ;
2 1 + y2
allora Z Z π
cos t 2 π π
f ds = 2 dt = [arctan (sin t)]0 =
2
.
ϕ 0 1 + sin t 4

Esempio 4.5.4. Sia ϕ(t) = t2 , et cos t, et sin t , t ∈ [0, 1]




e sia f (x, y, z) = 2 x + y 2 + z 2 ; allora 5
√
Z Z 1
f ds = 2t + e2t cos2 t + e2t sin2 t 4t2 + 2e2t dt
ϕ 0

1 1 √
Z
= 8t + 4e2t 4t2 + 2e2t dt
4 0
1h 2  3 i1 1 h 3 3
i
= 4t + 2 e2t 2 = 4 + 2 e2 2 − 2 2 .
6 0 6

5Calcolando: ϕ0 (t) = 2t, et cos t − et sin t, et sin t + et cos t e



p
kϕ0 (t)k = 4t2 + 2e2t .
CAPITOLO 5

Funzioni implicite: Teoremi di Dini

5.1. Premessa

Sia F : A ⊆ R2 → R, A aperto; consideriamo l’equazione

F (x, y) = 0. (5.1)

Ci chiediamo se sia possibile risolvere l’equazione (5.1) ricavando y in funzione di


x (oppure x in funzione di y).

Esempi 5.1.1.

1. F (x, y) = x − y 3 ;

F (x, y) = 0 ⇔ x − y 3 = 0 ⇔ y = 3
x (esistenza ed unicità).
2 2
2. F (x, y) = x + y − 1;

F (x, y) = 0 ⇔ x2 + y 2 − 1 = 0 ⇔ y = ± 1 − x2 (esistenza senza
unicità).
3. F (x, y) = x2 + y 2 + 1;
@ y ∈ R (e @ x ∈ R) t.c. F (x, y) = 0 (non esistenza).
4. F (x, y) = x ey + y ex ;
?
x ey + y ex = 0 ⇒ ∃ f t.c. y = f (x).

Essendo nell’esempio 4. di 5.1.1 F (0, 0) = 0, in un intorno di x = 0 (oppure di


y = 0), l’equazione definisce almeno localmente y = f (x) (oppure x = g(y))?
149
150 M. Carriero, L. De Luca

(la risposta è data nell’esempio 5.2.8)

5.2. Teorema del Dini in R2

Definizione 5.2.1. Sia F : A ⊆ R2 → R; la funzione y = f (x),


x ∈ I ⊆ R (risp. x = g(y), y ∈ J ⊆ R) si dice
definita implicitamente dall’equazione F (x, y) = 0 se

grafico di f ⊂ A (risp. grafico di g ⊂ A) e


F (x, f (x)) = 0 ∀x ∈ I (risp. F (g(y), y) = 0 ∀y ∈ J).

In tal caso, posto Z (F ) := {(x, y) ∈ A | F (x, y) = 0}, Z (F ) coincide localmente


con il grafico della funzione y = f (x) (oppure x = g(y)).

Problema: Data l’equazione (5.1), trarre conclusioni su esistenza, unicità e rego-


larità delle funzioni implicite da essa definite, dallo studio della F stessa.

Teorema 5.2.2 (di Dini in R2 ).


Sia F : A ⊆ R2 → R, A aperto. Se F ∈ C 1 (A) ed esiste x0 , y 0 ∈ A t.c.


F x0 , y 0 = 0 e Fy x0 , y 0 6= 0, allora esistono un intorno di x0 , U x0 , un


  

intorno di y 0 , V y 0 , ed un’unica funzione f : U x0 → V y 0 ,


  

f ∈ C 1 U x0 , t.c. f x0 = y 0 e F (x, f (x)) = 0 ∀x ∈ U x0


  

(cioè esiste f definita implicitamente da F ); inoltre

Fx (x, f (x))
f 0 (x) = − ∀x ∈ U x0 .

Fy (x, f (x))

Dim. Supponiamo Fy x0 , y 0 > 0; essendo F continua in A, per il teorema della




permanenza del segno, esiste un rettangolo (chiuso)


R = x0 − a, x0 + a × y 0 − b, y 0 + b ⊆ A in cui Fy > 0.
   
Analisi III 151

+++++++++++++++++
y0+b
R
y (x,y)

y0 (x0,y0) Fy>0

y0-b
----------------

O x0-a x0-δ x x0 x0+δ x0+a x

Allora la funzione (della sola variabile y):

y 7→ F x0 , y , y ∈ y 0 − b, y 0 + b ,
  

è strettamente crescente e continua; inoltre, poiché F x0 , y 0 = 0 risulta




F x0 , y 0 − b < 0 F x0 , y 0 + b > 0.
 
e (5.2)

Consideriamo ora le funzioni (della sola variabile x):

x 7→ F x, y 0 − b x 7→ F x, y 0 + b
 
e
152 M. Carriero, L. De Luca

continue in x0 − a, x0 + a .
 

Per le disuguaglianze (5.2) e per il teorema della permanenza del segno, esiste
0 < δ < a t.c.

F x, y 0 − b < 0 F x, y 0 + b > 0 ∀x ∈ ] x0 − δ, x0 + δ [ .
 
e (5.3)

Da (5.3), per il teorema di esistenza degli zeri, si ha che:


per ogni x ∈ ] x0 − δ, x0 + δ [, esiste un unico y ∈ ] y 0 − b, y 0 + b [ t.c. F (x, y) = 0.
Resta cosı̀ definita la funzione

f : x ∈ ] x0 − δ, x0 + δ [ 7→ f (x) = y ∈ ] y 0 − b, y 0 + b [ t.c.

F (x, f (x)) = 0 ∀ x ∈ ] x0 − δ, x0 + δ [ . Per costruzione y 0 = f x0 .




La funzione implicita f cosı̀ determinata è unica. Se infatti ce ne fossero due,


diciamo f e f1 si avrebbe: F (x, f (x)) = 0 e F (x, f1 (x)) = 0 ∀ x ∈ ] x0 −δ, x0 +δ [,
che per l’iniettività di F rispetto alla seconda variabile implica f (x) = f1 (x) per
ogni x ∈ ] x0 − δ, x0 + δ [ .
Per completare la dimostrazione del teorema, cominciamo col provare che f è
continua in ] x0 − δ, x0 + δ [ .
Per il teorema di Lagrange 3.7.4, per ogni (x, y) ∈ R, (x, y) ∈ R:

F (x, y) − F (x, y) = Fx (ξ, η) (x − x) + Fy (ξ, η) (y − y) , (5.4)

dove (ξ, η) è un punto interno al segmento di estremi (x, y) e (x, y) (segmento


contenuto in R, essendo il rettangolo R convesso).
Se, ora, y = f (x), y = f (x), si ha F (x, f (x)) = F (x, f (x)) = 0;
allora da (5.4) risulta 0 = Fx (ξ, η) (x − x) + Fy (ξ, η) (f (x) − f (x)) e quindi

Fx (ξ, η)
f (x) − f (x) = − (x − x) , (5.5)
Fy (ξ, η)
Analisi III 153

Fy (ξ, η) ≥ min Fy > 0


1 R
da cui, poiché , segue
Fx (ξ, η) ≤ max |Fx |
R

max |Fx |
R
|f (x) − f (x)| ≤ |x − x|
min Fy
R

pertanto f è Lipschitziana e quindi continua in ] x0 − δ, x0 + δ [ .


Ora, quando x → x, per la continuità di f si ha f (x) → f (x), quindi

(ξ, η) → (x, f (x) = y) per x → x.

Fx ∈ C 0 (A)
Allora, essendo Fy ∈ C 0 (A) , da (5.5) abbiamo che:
0 0 0
f ∈ C ( ] x − δ, x + δ [)

f (x) − f (x) Fx (x, f (x))


∃ lim =− ∈ R,
x→x x−x Fy (x, f (x))
pertanto
Fx (x, f (x))
∃ f 0 (x) = − ,
Fy (x, f (x))
quindi ∃ f 0 ∈ C 0 ] x0 − δ, x0 + δ [ (per il teorema di continuità delle funzioni


composte), e in definitiva f ∈ C 1 ] x0 − δ, x0 + δ [ .



Osservazione 5.2.3. I ruoli di x e y nel teorema 5.2.2 sono intercambiabili.


Se F x0 , y 0 = 0 e Fx x0 , y 0 6= 0, esiste un intorno di y 0 , V y 0 , in cui è definita
  

un’unica funzione (implicitamente definita da F ) x = g(y), g ∈ C 1 V (y 0 ) , t.c.




x0 = g y 0 e F (g(y), y) = 0 ∀y ∈ V y 0 ; inoltre
 

Fy (g(y), y)
g 0 (y) = − ∀y ∈ V y 0 .

Fx (g(y), y)
Osservazione 5.2.4. I punti in cui grad F = 0 (cioè i punti critici di F ) sono
esclusi dal teorema 5.2.2.
1Essendo R compatto, min Fy e max |Fx | esistono per il teorema di Weierstrass.
R R
154 M. Carriero, L. De Luca

Osservazione 5.2.5. Nel teorema 5.2.2, in un intorno di x0 , y 0 l’insieme Z (F )




degli zeri di F coincide con il sostegno di una curva cartesiana regolare.

Osservazione 5.2.6. La regolarità di F si trasmette ad f :

F ∈ C k (A) ⇒ f ∈ C k (U x0 );


F ∈ C ∞ (A) ⇒ f ∈ C ∞ (U x0 ).


Dim. Si dimostra per induzione su k.


La tesi è vera per k = 1 (teorema 5.2.2).
Supponiamo la tesi vera per k − 1 (cioè F ∈ C k−1 (A) ⇒ f ∈ C k−1 (U x0 ));


allora

F ∈ C k (A) ⇒ F ∈ C k−1 (A) ⇒ f ∈ C k−1 (U x0 ) per l’ipotesi induttiva.




Fx (x, f (x))
Pertanto il secondo membro di f 0 (x) = − ∈ C k−1 (U x0 ),

Fy (x, f (x))
k 0

quindi f ∈ C (U x ). 

Osservazione 5.2.7. Nella pratica, dall’identità (acquisita dal teorema 5.2.2)

∀x ∈ U x0 ,

F (x, f (x)) = 0

(avendo acquisito dal teorema 5.2.2 che f ∈ C 1 U x0 ) derivando rispetto a x




si ha:
Fx (x, f (x)) + Fy (x, f (x)) · f 0 (x) = 0 ∀x ∈ U x0


Fx (x, f (x))
e quindi f 0 (x) = − ∀x ∈ U x0 .

Fy (x, f (x))
2
Se F ∈ C (A), per la derivata seconda si ha
" #
2 2
F F
xx y − 2F F F
x y xy + F F
yy x
f 00 (x) = − (x, f (x))
Fy3

(e cosı̀ via per le successive derivate di f se F ∈ C k (A)).


Analisi III 155

Evidenziamo che il teorema di Dini assicura l’esistenza di f , ma non ne permette


il calcolo esplicito; tuttavia è possibile, se f ∈ C k (U x0 ), calcolare le derivate


di ordine k di f in x0 e quindi esprimere lo sviluppo di Taylor di f fino all’ordine


k a partire da x0 .

A questo punto possiamo dare una risposta al problema posto per l’esempio 4 di
5.1.1.

Esempio 5.2.8. Sia F (x, y) = x ey + y ex . Allora F ∈ C ∞ R2 ,




F (0, 0) = 0, Fy = x ey + ex e Fy (0, 0) = 1;

quindi, per il teorema 5.2.2, esistono un intorno di 0, U (0), ed una funzione


f : U (0) → R t.c.
ef (x) + f (x)ex
f ∈ C ∞ (U (0)) , f (0) = 0, e f 0 (x) = − ∀x ∈ U (0)
x ef (x) + ex
e quindi f 0 (0) = −1.
Risulta inoltre f 00 (0) = 4, per cui lo sviluppo di McLaurin di f arrestato al
secondo ordine è:

f (x) = −x + 2 x2 + o x2

per x → 0.

Esempio 5.2.9. Sia F (x, y) = x ey − y. Allora F ∈ C ∞ R2 ,




F (0, 0) = 0, Fy = x ey − 1 e Fy (0, 0) = −1 < 0;

quindi, per il teorema 5.2.2, esistono un intorno di 0, U (0), ed una funzione


f : U (0) → R t.c.
ef (x)
f ∈ C ∞ (U (0)) , f (0) = 0 e f 0 (x) = − .
x ef (x) − 1
Risulta

f 0 (0) = 1 e
f 00 (0) = 2;
156 M. Carriero, L. De Luca

pertanto lo sviluppo di McLaurin di f arrestato al secondo ordine è

f (x) = x + x2 + o x2

per x → 0.

Esempio 5.2.10. Sia F (x, y) = ex−y + x2 − y 2 − ex+1 + 1. Allora F ∈ C ∞ R2 ,




F (0, −1) = 0;
Fx = ex−y + 2 x − ex+1 , Fx (0, −1) = 0 e quindi non è applicabile il teorema 5.2.2;
Fy = −ex−y − 2y e Fy (0, −1) = −e + 2 < 0;

quindi, per il teorema 5.2.2, esistono un intorno di 0, U (0), ed una funzione


f : U (0) → R t.c.

ex−f (x) + 2x − ex+1


f ∈ C ∞ (U (0)) , f (0) = −1 e f 0 (x) = − .
−ex−f (x) − 2f (x)
Risulta
e−e
f 0 (0) = − =0 e
−e + 2
2
f 00 (0) = > 0,
e−2
pertanto x0 = 0 è un punto di minimo relativo per y = f (x).

Osservazione 5.2.11. Dal teorema di Dini in R2 possiamo dedurre un risultato


(derivata delle funzioni inverse di funzioni reali di variabile reale) già noto al
lettore.
Siano h : I ⊆ R → R (I aperto), h ∈ C 1 (I), x0 ∈ I t.c.
h(x0 ) = y 0 e h0 (x0 ) 6= 0. Allora
0 1
∃ h−1 ∈ C 1 e h−1 y=y 0
= .
h0 (x0 )

Dim. Porre F (x, y) := h(x)−y, esplicitare x in funzione di y applicando il teorema


di Dini 5.2.2 in R2 . 
Analisi III 157

5.3. Teorema del Dini in Rn+1

Teorema 5.3.1 (di Dini in Rn+1 (= Rn × R)).


n+1 1
 F :A⊆R
Sia →
 R, A aperto. Se F ∈ C (A) ed esiste
 0 0 0 0 0 0
 0 0

x1 , x2 , . . . , xn , y  ∈ A t.c. F x , y = 0 e Fy x , y 6= 0,
| {z }
:= x0 ∈ Rn
allora esistono un intorno di x0 , U (x0 ), un intorno di y 0 , V y 0 , ed un’unica


funzione (definita implicitamente da F ) f : U x0 → V y 0 , f ∈ C 1 U x0 ,


  

t.c.
f x0 = y 0 e F (x, f (x)) = 0 ∀x ∈ U x0 ; inoltre
 

Fxj (x, f (x))


∀x ∈ U x0 , ∀j = 1, 2, . . . , n.

fxj (x) = −
Fy (x, f (x))

Dim. Stessa dimostrazione del teorema 5.2.2: argomento basato sulla continuità
di F (x, y) rispetto a x ∈ Rn e sulla stretta monotonia di F (x, y) rispetto a
y ∈ R. 

Osservazione 5.3.2. Analogamente a quanto visto nell’osservazione 5.2.3, i ruoli


delle variabili nel teorema 5.3.1 sono intercambiabili: ciascuna variabile reale tra
x01 , x02 , . . . , x0n può prendere il posto di y 0 .

Esempio 5.3.3. Sia F (x, y, z) = arctan z + x y 2 + x z − y 3 − 1.


Allora F ∈ C ∞ R3 e


1
F (0, −1, 0) = 0, Fz = + x e Fz (0, −1, 0) = 1 > 0.
1 + z2

Per il teorema 5.3.1, esistono un intorno di (0, −1), U (0, −1), un intorno di 0,
V (0), e una funzione
158 M. Carriero, L. De Luca

f : U (0, −1) → V (0) t.c. z = f (x, y)

f ∈ C ∞ (U ) , f (0, −1) = 0, ,
Fx (x, y, f (x, y))
fx (x, y) = − , fx (0, −1) = −1,
Fz (x, y, f (x, y))
Fy (x, y, f (x, y))
fy (x, y) = − , fy (0, −1) = 3.
Fz (x, y, f (x, y))

L’equazione del piano tangente a z = f (x, y) in (0, −1, 0) è data da

z = f (0, −1) + fx (0, −1)(x − 0) + fy (0, −1)(y + 1)


= −x + 3(y + 1).

5.4. Teorema del Dini per sistemi di m equazioni in n + m incognite

Consideriamo il seguente sistema di m equazioni in n + m incognite




 F1 (x1 , . . . , xn , y1 , . . . , ym ) = 0 F (x, y) = 0,

 F2 (x1 , . . . , xn , y1 , . . . , ym ) = 0

posto F := (F1 , F2 , . . . , Fm ),
.. ⇔ (5.6)


 . x = (x1 , . . . , xn ) ,


Fm (x1 , . . . , xn , y1 , . . . , ym ) = 0 y = (y1 , . . . , ym ) .

Problema: Stabilire sotto quali condizioni in un sistema del tipo (5.6) è possibile
esplicitare le m variabili y1 , y2 , . . . , ym in funzione delle altre x1 , x2 , . . . , xn , o, in
altre parole, risolvere le m equazioni (5.6) rispetto alle m variabili y1 , y2 , . . . , ym .

Teorema 5.4.1 (di Dini per sistemi di m equazioni in n + m incognite).


Sia F : A ⊆ Rnx × Rm m 1 0 0

y → R , A aperto. Se F ∈ C (A) e se esiste x , y ∈A
Analisi III 159

t.c. F x0 , y 0 = 0 e det JF,y x0 , y 0 6= 0 2, allora esistono un intorno di x0 ,


 

U x0 , un intorno di y 0 , V y 0 ed un’unica funzione f : U x0 → V y 0 ⊆


   

Rm , f ∈ C 1 U x0 t.c.


f x0 = y 0 e F (x, f (x)) = 0 ∀x ∈ U x0 .
 

Inoltre vale la seguente formula per la matrice Jacobiana di f :

= − [JF,y (x, f (x))]−1 · JF,x (x, f (x)) ∀x ∈ U x0 . (5.7)



Jf,x (x)
| {z } | {z } | {z }
(matrice m × n) (matrice m × m) (matrice m × n)

Osservazione 5.4.2. Nella pratica, dall’identità (acquisita dal teorema 5.4.1)

∀x ∈ U x0 ,

F (x, f (x)) = 0

(e avendo acquisito dallo stesso teorema che f ∈ C 1 U x0 ), derivando rispetto




a x si ha:

∀ x ∈ U x0 ,

JF,x (x, f (x)) + JF,y (x, f (x)) Jf,x (x) = 0

da cui la formula 5.7.

Osservazione 5.4.3. Anche in questo caso:

F ∈ C k (A) ⇒ f ∈ C k (U (x0 ))
F ∈ C ∞ (A) ⇒ f ∈ C ∞ (U (x0 )) .

∂F1 ∂F1 ∂F1


 
···

 ∂y1 ∂y2 ∂ym 

 ∂F2 ∂F2 ∂F2 
 ··· 
 ∂y1 ∂y2 ∂ym 
JF,y := 
 
.. .. ..

 

 . . . 

 
 ∂Fm ∂Fm ∂Fm 
···
∂y1 ∂y2 ∂ym
160 M. Carriero, L. De Luca

Osservazione 5.4.4. Il teorema 5.4.1 è l’analogo non lineare del teorema di


Rouché-Capelli relativo ad un sistema lineare omogeneo di m equazioni in n + m
incognite. Infatti, se le funzioni F1 , . . . , Fm sono lineari, considerato il sistema


 F1 (x, y) = a1 1 x1 + · · · + a1 n xn + b1 1 y1 + · · · + b1 m ym = 0

 F2 (x, y) = a2 1 x1 + · · · + a2 n xn + b2 1 y1 + · · · + b2 m ym = 0

.. .. .. .. .. ,


 . . . . .

Fm (x, y) = am1 x1 + · · · + amn xn + bm1 y1 + · · · + bmm ym = 0

per il teorema di Rouché-Capelli, se la matrice B dei coefficienti di y1 , y2 , . . . , ym


non è singolare (cioè, se det B = det JF,y 6= 0) allora si possono ricavare y1 , y2 , . . . , ym
in funzione di x1 , x2 , . . . , xn .
(
x + log y + 5 z − 10
Esempio 5.4.5. Sia F = (F1 , F2 ) (x, y, z) = definita in
2 x + y 2 + 3 z 3 − 25
A := (x, y, z) ∈ R3 | y > 0 e consideriamo il sistema di due equazioni in tre


incognite F (x, y, z) = 0. Osserviamo che F (0, 1, 2) = 0 e che esiste un intorno I


di (0, 1, 2) t.c. F∈ C ∞ (I). 
1
5
Si ha JF,(y,z) =  y  e quindi
2
2y 9z

1
det JF,(y,z) = 9 z 2 − 10 y, det JF,(y,z) (0, 1, 2) = 36 − 10 = 26 6= 0;
y

pertanto per il teorema 5.4.1 esistono un intorno di 0, U (0), un intorno di (1, 2),
V (1, 2), ed un’unica funzione f : U (0) → V (1, 2) ⊆ R2 , f ∈ C ∞ (U (0)) t.c.

f = (f1 , f2 ) (x) = (y(x), z(x)) , f (0) = (f1 (0), f2 (0)) = (y(0), z(0)) = (1, 2);

inoltre
! !−1 !
y 0 (0) 1 5 1
Jf,x (0) = =− · .
z 0 (0) 2 36 2
Analisi III 161

3
Ora
!−1 !
1 5 1 36 −5
= ,
2 36 26 −2 1

pertanto
! ! !
y 0 (0) 1 36 −5 1
= −
z 0 (0) 26 −2 1 2
! !
1 36 − 10 −1
= − = ,
26 −2 + 2 0

quindi y 0 (0) = −1, z 0 (0) = 0; allora, ricordato che y(0) = 1 e z(0) = 2, la formula
di McLaurin con resto di Peano, arrestata al primo ordine è data da

y(x) = 1 − x + o(x)
per x → 0.
z(x) = 2 + o(x)

1
 
1 2
Osserviamo che JF,(x,y) =  y  e quindi det JF,(x,y) = 2 y− e det JF,(x,y) (0, 1, 2) =
2 2y y
0, pertanto non è applicabile il teorema 5.4.1 per esplicitare x e y in funzione di
z, per z in un intorno di 2.
(
(y + 3)z − tan(z + v) + 2x
Esempio 5.4.6. Sia F = (F1 , F2 ) (x, y, z, v) =
sin(z + v) + 3y − x(v + 3)
4
definita in R e consideriamo il sistema di due equazioni in quattro incognite
F (x, y, z, v) = 0. Osserviamo che F (0, 0, 0, 0) = 0 e che in un intorno I di
(0, 0, 0, 0) risulta F ∈ C ∞ (I).

3Se A = (aij )i,j=1,...,n è una matrice quadrata non singolare (i.e. det A 6= 0), indicato
det Aji
con bij il generico elemento di A−1 , risulta: bij = (−1)i+j , dove det Aji è il minore
det A
complementare di aji .
162 M. Carriero, L. De Luca

Si ha
1 1
 
y+3− 2

det JF,(z,v) (0, 0, 0, 0) = det  cos (z + v) cos2 (z + v) 
cos(z + v) cos(z + v) − x (0,0,0,0)
!
2 −1
= det = 3 6= 0,
1 1

pertanto, per il teorema 5.4.1, esistono un intorno di (0, 0), U (0, 0), un intorno di
(0, 0), V (0, 0), ed un’unica funzione
f : U (0, 0) → V (0, 0) ⊆ R2 , f ∈ C ∞ (U (0, 0)) t.c.
f (x, y) = (f1 (x, y), f2 (x, y)) = (z(x, y), v(x, y)),
f (0, 0) = (f1 (0, 0), f2 (0, 0)) = (0, 0), inoltre
 ∂z ∂z 
(0, 0) (0, 0)
 ∂x ∂y
Jf,(x,y) (0, 0) =  ∂v

∂v 
(0, 0) (0, 0)
∂x ∂y
∂F1 −1
 ∂F ∂F1 
∂F1
 
1
 ∂z ∂v   ∂x ∂y 
= − ·  ∂F ∂F
∂F2 ∂F2 
2 2

∂z ∂v (0,0,0,0) ∂x ∂y (0,0,0,0)
! ! !
1 1 1 2 0 1 −1 3
= − · =− ;
3 −1 2 −3 3 3 −8 6

∂z
quindi, ad esempio, (0, 0) = −1.
∂y

5.5. Teorema di inversione locale

Un’importante applicazione del teorema di Dini sulle funzioni implicite è il teo-


rema di inversione locale.
Analisi III 163

Definizione 5.5.1. Siano A e B aperti di Rn e sia f : A → B;

• f iniettiva,
def
f diffeomorfismo ⇔ • f suriettiva(f (A) = B),
(di classe C 1 ) • f ∈ C 1 (A) , f −1 ∈ C 1 (B).
tra A e B

Definizione 5.5.2. Siano A e B aperti di Rn , f : A → B e x0 ∈ A.


def
f diffeomorfismo locale in x0 ∈ A ⇔ ∃ (intorno di x0 )U x0 ⊆ A t.c.


f| 0 : U x0 → f U x0
 
U (x )

è diffeomorfismo.

Osservazione 5.5.3. Se f è un diffeomorfismo si ha: f −1 ◦ f = idA , allora


 
1 0 ... 0
 0 1 ... 0 
 
∀x ∈ A Jf −1 ◦f (x) = Jf −1 (f (x)) · Jf (x) = 
 .. .. . . . ..  ;

 . . . 
0 0 ... 1

pertanto det Jf −1 ◦f (x) = det Jf −1 (f (x)) · det Jf (x) = 1 e quindi

det Jf (x) 6= 0 ∀x ∈ A e det Jf −1 (y) 6= 0 ∀y ∈ B.

Osservazione 5.5.4. Se f è un diffeomorfismo locale in x0 ,


allora, in particolare, det Jf x0 6= 0.


Proviamo ora che questa condizione è anche sufficiente.

Teorema 5.5.5 (di invertibilità locale).


Siano A e B aperti di Rn , f : A → B, f ∈ C 1 (A) e sia x0 ∈ A;
se det Jf x0 6= 0, allora f è diffeomorfismo locale in x0 .

−1
Inoltre Jf −1 f (x0 ) = Jf x0
 
.
164 M. Carriero, L. De Luca

(Quest’ultima formula generalizza l’analogo risultato per la derivata della fun-


zione inversa di una funzione reale di variabile reale: cfr. anche osservazione
5.2.11)

Dim.

1o passo. Poiché f ∈ C 1 (A), detto W x0 un fissato intorno di x0 contenuto in




A, per il teorema di Lagrange applicato alle componenti scalari fi di


f = (f1 , . . . , fn ), si ha per ogni x, x ∈ W x0 e per ogni i = 1, 2, . . . , n:


fi (x) − fi (x) = grad fi ξ i |x − x dove ξ i ∈ ] x, x [.


 
(5.8)

Proviamo dapprima che f è iniettiva in un intorno di x0 contenuto in A.


Supponiamo per assurdo che f non sia iniettiva in alcun intorno di x0 .
Allora, per ogni k ∈ N, esistono
xk , xk ∈ B 1 x0 t.c. xk 6= xk e f (xk ) = f (xk ); quindi per k → +∞

k

xk → x0 e xk → x0 . Per k sufficientemente grande, i punti xk e xk


apparterranno ad un intorno di x0 , W x0 ⊆ A. Scrivendo la (5.8) per


xk e xk e dividendo per kxk − xk k =


6 0 otteniamo per ogni i = 1, . . . , n:
 
i
 xk − xk
grad fi ξk | = 0 dove ξki ∈ ] xk , xk [ . (5.9)
kxk − xk k
xk − xk
I vettori vk := hanno norma unitaria (i.e. essi appartengo-
kxk − xk k
no alla sfera unitaria (compatta) di Rn , ∂B1 (0)), pertanto esiste una

successione estratta vk(j) j ⊆ {vk }k ed un vettore v ∈ ∂B1 (0) t.c.
vk(j) → v.
j→+∞
Poiché per ogni i = 1, . . . , n la successione ξki → x0 (e quindi an-
k→+∞
che ξ ik(j) → x0 ), da (5.9), passando al limite per j → +∞, si ha
j→+∞
grad fi (x0 )|v = 0 per ogni i = 1, . . . , n e dunque Jf x0 · v = 0, che
 

contraddice l’ipotesi det Jf x0 6= 0.



Analisi III 165

Resta cosı̀ provato che f è iniettiva in un intorno di x0 ; sia U 0 x0 ⊆ A




tale intorno.
2 passo. Consideriamo ora la funzione F : U 0 x0 × Rn → Rn definita da
o


F (x, y) = f (x) − y e sia y 0 = f x0 . Risulta:




F ∈ C 1 U 0 x0 × Rn , F x0 , y 0 = 0,
  

det JF,x x0 , y 0 = det Jf x0 6= 0 per ipotesi.


 

4
Si può quindi applicare il teorema di Dini 5.4.1 al sistema di n equa-
zioni in 2n incognite F (x, y) = 0 e concludere che esistono un intorno di
y 0 , V y 0 , ed un’unica funzione g : V y 0 → U 0 x0 , g ∈ C 1 V y 0
   

t.c. F (g(y), y) = 0 ∀y ∈ V y 0 , ovvero tale che




f (g(y)) = y ∀y ∈ V y 0 .

(5.10)

Sia ora: U x0 := U 0 x0 ∩ f −1 V y 0 .
  

Se x ∈ U x0 si ha y = f (x) ∈ V y 0 e dunque per (5.10)


 

f (g (f (x))) = f (x) . Per l’iniettività di f in U 0 x0 si dovrà avere



| {z } |{z}
g (f (x)) = x per ogni x ∈ U x0 ; pertanto g = f −1 (x) : f U x0 →
 

U x0 ed f è un diffeomorfismo tra U x0 e f U x0 .
  

Sempre dal teorema di Dini 5.4.1, abbiamo che


−1
Jf −1 y 0 = − Jf x0 · JF,y f −1 y 0 , y 0 ,
   

−1
con JF,y f −1 (y 0 ), y 0 = −I, quindi Jf −1 f x0 = Jf x0
  
.

Osservazione 5.5.6. Il teorema 5.5.5 è l’analogo non lineare del teorema di


Cramer 5
, corrispondente al caso in cui f è una trasformazione lineare da Rn in
4scambiando y con x
5Teorema di Cramer.
Sia A una matrice n × n con det A 6= 0; allora, fissato y ∈ Rn , il sistema F (x, y) = Ax − y = 0
ammette un’unica soluzione x data da x = A−1 y.
166 M. Carriero, L. De Luca

Rn , rappresentabile quindi con una matrice quadrata A (n × n).


Mentre nel caso lineare, il teorema di Cramer è globale, nel caso non lineare
il principale risultato è di tipo locale. La dicotomia globale-locale associata a
lineare-non lineare si presenta spesso in matematica.

Osservazione 5.5.7. Nelle ipotesi del teorema 5.5.5 si può solo affermare che
esiste un intorno di y 0 , V y 0 , ogni punto del quale è l’immagine di un unico


punto di A, appartenente ad un opportuno intorno di x0 ,U x0 .




Ciò non esclude che y 0 ed altri punti di V y 0 possano essere immagine anche


di altri punti di A non appartenenti ad U x0 .




Esempio 5.5.8. Sia A ⊂ R2 la corona circolare aperta delimitata dalle circonfe-


renze di centro l’origine e di raggi 1 e 3:

A = (x, y) ∈ R2 ; 1 < x2 + y 2 < 9 ,




e sia f : (x, y) ∈ A 7→ f1 (x, y) = x2 − y 2 , f2 (x, y) = 2 x y ∈ R2 .




Risulta
!
2x −2 y
Jf = , det Jf = 4 x2 + 4 y 2 6= 0 ∀(x, y) ∈ A.
2y 2x

Per il teorema di invertibilità locale 5.5.5, f è localmente invertibile in A.


Tuttavia, f non è globalmente invertibile in A poiché, ad esempio,
f (2, 0) = f (−2, 0) = (4, 0).

Esempio 5.5.9. Sia f (x, y) = (ex cos y, ex sin y). Risulta


!
ex cos y −ex sin y
Jf (x, y) = x x
, det Jf (x, y) = e2x 6= 0 ∀(x, y) ∈ R2 ,
e sin y e cos y

dunque f è un diffeomorfismo locale di classe C ∞ da R2 in R2 .


Tuttavia, f non è globalmente invertibile in R2 , in quanto
f (0, 0) = f (0, 2 kπ) = (1, 0), ∀k ∈ Z.
Analisi III 167

Una condizione sufficiente sulla f affinché sia globalmente invertibile sulla chiu-
sura di un aperto connesso e limitato di Rn è data dal seguente teorema.

Teorema 5.5.10 (di invertibilità globale).


Sia A un aperto di Rn e sia f : A ⊆ Rn → Rn , f ∈ C 1 (A);
sia D ⊂ A la chiusura di un aperto connesso e limitato in cui risulti
det Jf (x) 6= 0 ∀x ∈ D.
6
Se inoltre f subordina una corrispondenza biunivoca tra ∂D e ∂ (f (D)), allo-
ra anche f (D) è la chiusura di un aperto connesso e limitato ed f è (globalmente)
invertibile in D (cioè f è un diffeomorfismo tra D e f (D)).

6Ricordiamo che ∂T denota la frontiera (topologica) di T .


Alcuni esercizi proposti

• Studiare il carattere delle seguenti serie di funzioni:


+∞
X sin kx
;
k=1
k4
+∞ k(k+1)
X (−1) 2 2
e−(x−k sin k) (α > 1);
k=1
1 + kα
+∞
X xk
;
k=1
log (k + 1)
+∞
X
2k + 3k xk ;

k=1
+∞
X √
k k
k x ;
k=1
+∞
X
k (sin x)k ;
k=1
+∞
X e−kx
k
.
k=1
(k + 1) 2
• Provare che:
x2 − y 2
@ lim ;
(x,y)→(0,0) x
y
@ lim x e− x (x 6= 0);
(x,y)→(0,0)
x3 + y 3
@ lim ;
(x,y)→(0,0) x2 + y 4
y 2 log x
∃ lim 2 = 0.
(x,y)→(1,0) (x − 1) + y 2

169
170 M. Carriero, L. De Luca

• Studiare la differenziabilità della funzione

f (x, y) = |x| log (1 + y) in (0, 0).

• Rappresentare sul piano l’insieme di definizione della funzione


p
(x2 − 2 x − y) (x2 − 2 x + y) x+1
f (x, y) = 2 2 + log .
x − 32 + y − 12 2−x
 

• Provare che la funzione f (x, y) = x3 + y 2 − 2 x y + x non presenta né


massimi né minimi relativi nell’insieme (chiuso e illimitato)

A = (x, y) ∈ R2 | x − y + 2 ≥ 0 .


Altri esercizi sono nei testi dei compiti già assegnati per le prove scritte, scaricabili
dal sito http://www.dm.unisalento.it/personale/dettagli.php?id=9 .
Bibliografia

[1] N. Fusco-P. Marcellini-C. Sbordone: Analisi Matematica 2, Liguori Editore.


[2] P. Marcellini-C. Sbordone: Esercitazioni di Matematica 2, parte I e II, Liguori
Editore.
[3] E. Giusti: Analisi Matematica 2, Bollati Boringhieri.
[4] E. Giusti: Esercizi e complementi di Analisi Matematica, Vol.2, Bollati Boringhieri.

171

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