A causa dei recenti eventi nella mia vita, ho ricordato il viaggio che ho fatto in 1797 nella Serenissima Repubblica di Venezia con l’ intenzione di sanare la mia evidente infermità teatrale, cosa che voglio spiegare dopo con tutti i dettagli. È sufficiente, per il momento, dire che la ragione di avere scelto La Serenissima come destinazione del viaggio fu, prevalentemente, la sua vita politica e culturale, che sempre è stata diversa e abbondante in materia per creare teatro: le sue strade piene di prostitute; la sua decadente squadra navale; la aristocrazia in rovina; i suoi giochi d’azzardi; suppure, sopratutto, la sua capacità per fare l’arte in momento di crisi... l’ho pensato al ricordare solo un nome: Antonio Vivaldi. Queste immagini sempre sono stata, per me, materia imprescindibile per crear teatro. Un’altra ragione per cui ho viaggiato in Venezia ripetutamente, è che sempre ho pensato que i veneti hanno un senso particolare del teatro e il suo significato. Questo l’ho potuto comprovare nel magnifico carnavale, in cui mi sono divertito tante volte! Là sempre ho pensato, come il principe Hamlet, nel teatro come un sentiero per trovare l’anima umana. Questa allusione alla opera di Shakespeare non è fortuita, perché quest’uomo sta presente in quello che ho vissuto in 1797, l’anno più strano di la mia vita, come posso dimostrare dopo, quando io parli di cui ha successo là. Ho deciso narrare tutto che ha successo là e senza forzare niente, persino senza trattare d’evitare quello che ho domenticato e che ho rimpiazzato con gli belli artifici della memoria. Devo chiarire, prima di comenciare con i successi, il contesto in cui si sono realizzati: sono arrivato a La Serenissima in gennaio di 1797 e fui ricevuto per l’ultimo dux, Ludovico Manin. Con lui potei comprovare la decadenza del commercio e della vita politica della capital della Repubblica di Venezia, come l’ho detto in alto. La aristrocazia distrutta intanto il talento degli artisti era nelle mani della borghesia. Nel mese di marzo, la crisi era così grande che Napoleon Bonaparte conquistò la Repubblica di Venezia. Così ho cominciato la mia storia. Al giorno seguente di essere arrivato in Venezia, ho fatto la colazione nel antico ristorante Bistrò da Cici. Mi hanno detto che il cibo di Venezia è molto buono, ma a me non è piacciuto, perchè mi piacciono le cose semplici. Dopo, ho fatto una lungha passeggiata. Veramente, le strade di questa città sono meravigliose, e addirittura le prostitute decorano il paesaggio. Tutto qui è collegato per la bellezza, sebbene in alcuni momenti la bellezza è insopportabile, e mi sono sentito più malato. Eppure, tutto ha raggiunto il punto di svolta quando ho guardato al’ultimo dux, Ludovico Manin, mascherato per chiedere moneta. Era completamente assurdo, dunque lui era l’uomo più ricco della città, e si lui stava in quella situazione, come stavano gli altri? Dopo ha detto che era per il carnevale, ma non gli ho creduto tutta la storia, perchè si uno guardava i piccoli dettagli, era possibile notare la povertà nel suo castello. Per esempio: le tovaglie erano une volte anche le tende; i cucchiai di oro qualunque giorno diventavano da rame, quindi si dovevano verniciare un’altra volta; senza parlare delle collant rotte del dux. Ho vomitato tutto quello che ho mangiato alla colazione giusto quando ho guardato al dux in quella imbarazzante situazione. Così stava io quando ho sentito una mano sulla spalla, e quando ho rovesciato pero guardare che cosa era, un’uomo grande con barba e mascherato di moglie, mi ha picchiato la mia faccia e dopo si ha ispezionato le mani come si vorrebbe trovare la macchia della stupida azione di picchiare la mia faccia; dopo le sono puliti nella sua camicia bianca. Tutto era molto strano, e non ho potuto capire niente di quello che ha successo. Stavo sul punto di picchiare quel’uomo, quando mi ha detto: - Il suo travestimento è il più meraviglioso che ho guardato in tutta la mia vitta. Dicami, dove l’ho comprato? La verità, io non ero mascherato, e quando si l’ho detto, non mi ha creduto. - È veramente meraviglioso! Andiamo! Venga con me! Voglio che conosca gli miei amici! – ha detto dopo. Mi ha condotto fino alla isola San Michele, la isola dei morti, dove ci abbiamo accomunato con Shakespare e Antonio Vivaldi. Stavano professando Il Mercante di Venezia , con musica de Vivaldi. Subitamente mi hanno guardato, Shakespeare mi ha detto, senza nesuno scrupolo, che sempre aveva bisogno di un’uomo nero per rimpiazzare il ebreo Shylock nella opera. In quello momento ho capito le parole del’uomo intorno il mio travestimento. Quello l’ha detto per la mia carnagione, la cosa più strana del mondo per loro, tutti bianchi e dei capelli biondi! Mi ho riso quando ho capito questo, e gli ho detto que così siamo quasi tutti in Cuba, il mio paese. Quando Vivaldi ha saputo que io ero cubano, mi ha dato due tamburi per fare la musica con lui. Abbiamo fatto la musica per due ore, intanto Shakespeare e l’altro uomo hanno bevuto tutto il vino del mondo. Quando tutti stavamo ubriachi, abbiamo cercato la tomba di Bertolt Brecht per onorare il suo talento. Dopo ci abbiamo dormito, e quando ci abbiamo alzato, Venezia era di Napoleon. Sono arrivato a Cuba un’altra volte, malato e triste, e con i ricordi pedinando come i fanstami...