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Durante i trattamenti termici si verifica la presenza di due fenomeni che hanno importanti
conseguenze pratiche:
I due fenomeni sopra enunciati possono insorgere a causa degli stress termomeccanici,
che a loro volta sono necessaria conseguenza di altri due rilevanti fenomeni:
STRESS TERMICI
Questi insorgono sempre e sono assai rilevanti, anche se di entità un poco minore degli
stress che conseguono alla trasformazione martensitica. Comunque non vanno mai
trascurati. Durante la tempra il raffreddamento è necessariamente disuniforme, anche nei
casi più semplici. Per rendere l'idea delle tensioni residue di origine termica, trascurando
per il momento le trasformazione martensitica, si analizza il raffreddamento isotropo
(tecnologicamente comunque non attuabile, perchè i pezzi entrano nel bagno di
spegnimento non impattando con il fluido refrigerante in modo simultaneamente uniforme
su tutta la loro superficie) di un cilindro di acciaio. Per comodità di rappresentazione,
s'immagina il cilindro costituito da una zona corticale e dal nucleo.
Riferendosi alla Figura 1, s'immagina che il cilindro sia riscaldato alla temperatura T h e poi
sia raffreddato alla temperatura Tl, descrivendo le situazioni da (a) ad (e) nella figura. Nella
stessa Figura 1 sono schematizzati le variazioni di temperatura e le tensioni longitudinali.
E' noto che quelle circonferenziali abbiano lo stesso andamento, e valori anche simili.
Nello schema (a) si è indicato il riscaldamento a T h e lo stress nullo ottenibile con un lento
riscaldamento uniforme. Lo schema (b) descrive il fatto che la superficie del pezzo sia
stata portata alla temperatura T l del liquido, mentre il nucleo si trova ancora alla
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temperatura iniziale Th. Lo strato corticale vorrebbe contrarsi alla lunghezza di equilibrio l 2
ma, se da nessuna parte si supera il limite elastico e quindi non avvengono
accomodamenti plastici, nella contrazione è impedito dal cuore che, trovandosi ancora a
Th, vuole mantenere la sua lunghezza iniziale. Nascono quindi degli stress elastici che
accomodano le due lunghezze in modo da portare a deformazioni congruenti e continue:
per impedire l'accorciamento della zona corticale nasceranno degli stress di trazione, a cui
faranno equilibrio quelli di compressione del nucleo.
Poco oltre, nella situazione dello schema (c), è un poco scesa la temperatura del nucleo;
questo comincia dunque a contrarsi e perciò si avrà un'attenuazione degli stress elastici
interni di accomodamento delle lunghezze di zona corticale e nucleo. La situazione evolve
nello stesso senso nello schema (d), dove la temperatura, e quindi le tensioni elastiche
interne, sono ancora più basse. Infine lo schema (e) descrive la situazione di equilibrio
termico in cui tutto si trova alla temperatura T l, al quale corrispondono necessariamente
tensioni residue nulle. E' necessario enfatizzare che le tensioni residue sono nulle perchè,
non essendo mai stato superato il limite elastico, non si sono verificate deformazioni
plastiche irreversibili di accomodamento. Questa è una situazione che in pratica si può
verificare con temperature Th poco alte o con limiti elastici a T h molto alti, e quindi non
superati durante il trattamento termico.
Si sottolinea che nelle normali situazioni si verificano deformazioni plastiche perchè ad alte
temperature i limiti elastici dei metalli sono alquanto più bassi che a temperatura ambiente.
Concludendo, i raffreddamenti senza trasformazione di fase da alte temperature lasciano
sempre i componenti con uno stato di tensioni residue di compressione sulla superficie e
di tensioni residue di trazione nelle zone subcorticali. L'entità delle tensioni residue
dipende dalla storia termica; si può affermare che siano dell'ordine di una frazione non
trascurabile del limite elastico a temperatura ambiente.
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Figura 1: storia e stress termici in un cilindro di metallo che si raffredda senza
trasformazioni di fase e senza deformazioni plastiche.
Le transizioni di fase implicano quasi sempre una variazione di densità che, come nel caso
delle deformazioni termiche, non porta mai a deformazioni libere. Le deformazioni
impedite si traducono in tensioni residue. Nel caso del sistema Fe-C la situazione è
accentuata dalla presenza di C, che può esacerbare od attenuare le differenze di densità
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fra le fasi. In Tabella 1 è riportato il compendio del volume specifico delle fasi, di equilibrio
e non, che si trovano negli acciai a temperatura ambiente. I dati della Tabella 1 sono stati
rielaborati e presentati in un apposito diagramma, in Figura 3, dove si riporta la densità
delle fasi, o delle loro miscele, in funzione della percentuale di C.
Tenendo conto della densità delle fasi, nella Tabella 2 sono riportati i risultati della
valutazione delle variazioni di volume e dimensionali lineari in funzione delle fasi che si
possono trovare prima e dopo le lavorazioni e i trattamenti termici. I risultati della Tabella 2
possono essere utilizzati per una prima stima di valutazione se e di quanto le lavorazioni e
i trattamenti portino i componenti fuori dalle tolleranze dimensionali previste. Si tratta
appunto di una prima stima, e per giunta ottimistica, delle variazioni dimensionali, perchè
queste sono state supposte isotrope. Ciò in pratica difficilmente accade,
fondamentalmente per due fattori:
Tabella 1: volume specifico a temperatura ambiente delle fasi che più interessano i
trattamenti termici degli acciai.
Intervallo
Fasi Volume specifico a 20°C [m3/kg]
composizionale %C
austenite 0-2 10-3(0,1212+0,0033%C)
martensite 0-2 10-3(0,1271+0,0025%C)
ferrite 0-0,02 10-3(0,1271)
cementite 6,67 10-3(0,13)
carburo 8,50,7 10-3(0,140,002)
ferrite+cementite 0-2 10-3(0,1271+0,0005%C)
martensite a basso
0,25-2 10-30,1277+0,0015(%C-0,25)
tenore di C+ carburo
ferrite+carburo 0-2 10-3(0,1271+0,0015%C)
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Figura 3: densità alla temperatura di 20°C delle fasi riscontrabili negli acciai in funzione
della percentuale di carbonio nominale.
Come mostrato nella Figura 3 e nella Tabella 2, le variazioni di volume più vistose
avvengono con la trasformazione martensitica, ma non sono le uniche. Si può in linea di
massima osservare che:
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per gli acciai suscettibili di durezza secondaria, il verificarsi del quinto stadio del
rinvenimento comporta la formazione di carburi complessi meno densi della
cementite, di conseguenza il componente aumenta leggermente di volume rispetto
allo stato di microstruttura costituita di sola ferrite e cementite.
il metallo prende tempra fino a cuore, cioè alla fine del trattamento sarà interamente
martensitico
il limite elastico dell'acciaio varia con la temperatura, sicchè saranno possibili
deformazioni plastiche che possono accomodare le diverse deformazioni di zona
corticale e nucleo
in un primo tempo non si prendono in considerazione le deformazioni e le tensioni
residue che derivano dal raffreddamento; queste verranno aggiunte dopo.
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interamente in martensite, mentre il nucleo è ancora caldo; la curva di raffreddamento del
nucleo non ha ancora incontrato una curva di trasformazione nel diagramma che descrive
le curve CCT e perciò esso è ancora interamente costituito da austenite. Ma la martensite
corticale vuole espandersi, forzando l'austenite che, ancora calda, non ne ha alcuna
necessità. Però, siccome l'austenite si troverà poco sotto A3, il suo limite elastico sarà
basso, quindi accomoderà l'espansione della martensite corticale allungandosi
plasticamente. In questo stato la martensite corticale sarà espansa, non completamente
visto che il limite elastico dell'austenite del nucleo non è zero. D'altro canto l'austenite si
sarà un po' allungata, ma non fino a rilassare totalmente la martensite corticale, sempre
per le stesse ragioni, cioè il suo limite elastico, pur basso, non è nullo. Quindi a questo
punto la martensite corticale si trova in uno stato di tensione residua di compressione, ma
non così accentuato, visto che qualche deformazione plastica l'austenite l'ha concessa.
Per l'equilibrio, quest'ultima si troverà in uno stato di tensione residua di trazione, ma di
moderata entità.
Si potrebbe ora ripetere l'esperimento virtuale per un cilindro di acciaio che non prende
tempra fino a cuore, lasciando invariate le altre condizioni. In tal caso la curva di
raffreddamento dello strato corticale incontrerebbe solo M s (e poi forse Mf), mentre la
curva di raffreddamento del nucleo incontrebbe prima le curve di formazione della ferrite
proeutettoidica e poi quella della perlite. Incrocerebbe poi magari anche le curve di
formazione della bainite e della martensite, però quando ormai tutta l'austenite è
trasformata in ferrite e perlite. Quindi non si avrebbe trasformazione martensitica nel
nucleo. Si troverebbe il caso schematizzato dalle curve più in alto della Figura 4.
In quel caso il profilo delle tensioni residue sarebbe diverso rispetto al caso precedente.
Inizialmente si formerebbe martensite corticale, che verrebbe messa in un moderato stato
di compressione dall'austenite del nucleo, in parte riluttante ad estendersi essendo calda.
Successivamente, la sua trasformazione in ferrite e perlite avverrebbe con minore
espansione di quella che accompagna la formazione della martensite e, soprattutto, a
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temperature molto più alte di M s, quindi il limite elastico di quelle fasi sarebbe assai
modesto. Non potendo portare la martensite corticale a superare il limite elastico, si
deformerebbero plasticamente esse stesse per accomodare la loro modesta deformazione
in estensione. Lo stato di tensione residua che ne segue è di modestissimi stress residui di
trazione in superficie, di compressione al di sotto.
Vi sono anche i casi intermedi, quelli descritti dalla parte centrale della Figura 4, cioè dove
in superficie si forma soprattutto martensite (con anche un po' di bainite), mentre nel
nucleo si forma soprattutto bainite, fase ben più resistente della ferrite. Nel nucleo la
trasformazione di fase avviene a temperature più basse rispetto a quelle del caso
precedente, quello con acciaio poco temprabile., Anche per tale ragione la corrispondente
fase ha limite elastico più alto di quello della ferrite che si formerebbe a temperature molto
più elevate. L'intransigenza alla deformazione plastica della martensite corticale induce
anche questa volta il nucleo a qualche deformazione plastica di accomodamento, sebbene
in misura minore che nel caso della ferrite. La stessa trasformazione bainitica nel nucleo
comporta un'espansione più moderata di quella associata alla trasformazione
martensitica. Ne segue un moderato stato di tensioni residue di trazione in superficie, di
compressione a cuore.
Tutto quanto sopra descritto vale anche se la variabile è dimensioni dei pezzi, anziché la
temprabilità dell'acciaio. Scelto infatti un acciaio, il pezzo di cui è fatto prenderà tempra
fino a cuore se le sue dimensioni sono sufficientemente piccole, cioè tali da far superare
anche alle parti più interne la velocità di raffreddamento necessaria ad ottenere la
martensite. Viceversa, se il componente è troppo grande, non sarà possibile a cuore
raggiungere quelle velocità di raffreddamento, quindi la martensite si formerà solo nella
zona corticale, per quanto ampia essa sia. In entrambi i casi, si riproducono delle tensioni
residue come quelle discusse sopra e schematizzate nella Figura 4.
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Figura 4: curve CCT e tensioni residue (longitudinali o circonferenziali) che derivano dalle
relative trasformazioni di fase e contrazioni termiche di un cilindro di acciaio con
temprabilità crescente dall'alto verso il basso della figura.