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Comune di Alessandria Prefettura di Alessandria Provincia di Alessandria

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CONSIGLIO TERRITORIALE

PER L'IMMIGRAZIONE

L'appuntamento con le giornate multietniche organizzate dal Consiglio Territoriale


per l'Immigrazione è giunto alla sua settima edizione. Il tema scelto per quest'anno e
che ha fatto da filo conduttore di tutte le iniziative programmate è: "LA PIANTA
DELL'ULIVO COME SIMBOLO DEL MEDITERRANEO PER UNIRE POPOLI
E CULTURE”: esplorazione delle realtà simboliche e concrete rappresentate dalla
pianta e dai suoi frutti nei diversi Paesi che si affacciano sul mare “nostrum”.
La cultura "dell'olio", infatti, trova i suoi profondi legami non solo nelle tradizioni
gastronomiche comuni alle diverse popolazioni ma permea profondamente la cultura
civile e religiosa delle varie nazioni che spesso su di esso hanno saputo trovare la
propria sopravvivenza anche economica. Oggi la coltivazione dell'ulivo costituisce
anche un interessante ritorno per le colture del Monferrato alessandrino e pertanto
riteniamo che l'aver dedicato a questo tema le nostre giornate multietniche
costituisca un ulteriore momento di vicinanza e di reciproco riconoscimento tra le
diverse nazionalità.
Nel corso di 4 appuntamenti sono stati esplorati i diversi significati e i molteplici
ruoli giocati dall’olio e dalla pianta dell’ulivo, nelle diverse realtà territoriali e
culturali. E’ sembrato importante, perciò, non lasciare solo alla memoria di chi è
stato diretto protagonista o spettatore di tali eventi il ricordo e la conoscenza di
quanto emerso. Per questo ho voluto, con la collaborazione del CTP di Casale M.to
riprodurre, almeno in parte, quanto emerso nel corso delle diverse iniziative.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla buona riuscita della VII
edizione delle Giornate Multietniche, auspico che ciò possa essere di stimolo per chi
fosse interessato a proseguire e ad approfondire questi argomenti.

IL PREFETTO
Francesco Paolo Castaldo
Alessandria, novembre 2008

La copertina è stata realizzata dagli alunni della classe 3^D dell’I.C. “Negri” – Casale Monferrato

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L’ulivo e la bellezza del
corpo
Ricette e prescrizioni arabe

L'olio d'oliva ha grandi benefici. I moderni studi di medicina hanno dimostrato, confermando il suo
impatto efficace nel trattamento di varie patologie. Prima di tutto questo Dio giurò nel suo Corano,
egli ha detto (Per il fico e per l'olivo, per il monte Sinai) (Corano 95:1,2) e il profeta Maometto ha
raccomandato l'uso di olio di oliva: (Mangiate e ungetevi con l'olio perché è da un albero
benedetto).

I suoi benefici:

L'olio d'oliva contiene una quantità di vitamine (A, K, H) antiossidanti che impediscono
l'invecchiamento e mantengono la morbidezza della pelle, nonché l'uso di olio d'oliva due volte a
settimana per 15 minuti sul viso e il collo, elimina le rughe della pelle, perché viene assorbito dalla
la pelle e ammorbidisce la sostanza grassa che si trova sotto la pelle.

Ecco alcune ricette utili nel trattamento della pelle:


Per la riduzione delle rughe:
 Cucchiaio di olio d'oliva
 Parte dei tuorli
 Alcune gocce di limone
 Miscelare bene, e usare come una maschera per circa 20-30 minuti, lavarsi con acqua tiepida si
consiglia l'utilizzo due volte a settimana.

Per le fessure nelle caviglie e nel gomito e la ruvidità delle mani:


Si usa un composito di olio d'oliva e glicerina in parti uguali, si spalma sui posti da trattare, elimina
le fessure.

Per la prevenzione dai raggi del sole:


Si applica sul viso come uno schermo contro i raggi nocivi del sole prima di scendere al mare o in
piscina.

Per i capelli
L'Olio d'oliva ha uno stretto rapporto con la bellezza dei capelli e della sua salute, è utilizzato per il
trattamento dei capelli secchi, facendo bagno caldo di olio d'oliva e distribuendolo con il massaggio
del cuoio capelluto, la testa si copre con un asciugamano caldo che si sostituisce ogni volta che si
raffredda. Oltre a quello impedisce l'apparizione dei capelli grigi, che è l'ossidazione della parte
colorata del capello. Mentre l'olio d'oliva previene l'ossidazione è efficace nel trattamento di forfora
mescolato con l'aceto, e massaggiare il cuoio capelluto due volte per un periodo di dieci giorni. Ed è
usato per prevenire la caduta dei capelli e curare le ciglia.
Ci sono altre ricette per prevenire la caduta dei capelli, come ad esempio:
Miscelare l'olio con aglio e scaldare sul fuoco e ungere i capelli due volte al giorno.
Massaggiare il cuoio capelluto dopo aver messo l'olio d'oliva in quantità sufficiente per qualche

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minuto di sera, e si copre la testa per dodici ore, poi lavare con acqua e shampoo per un periodo di
dieci giorni consecutivi, perché l'olio d'oliva alimenta i bulbi dei capelli perché è ricco di zinco,
rame e ferro ed evita la caduta.

Il museo del sapone di


Sidone
Il sapone
Tra gli alberi che ricoprono le montagne libanesi, troviamo l’ulivo, pianta così preziosa, dai cui
frutti, le olive, si ricava l’olio. Oltre che nella cucina libanese l’olio d’oliva è utilizzato anche per la
pulizia della pelle e per la salute.

Si racconta che il sapone fu scoperto da una donna della montagna mentre sgrassava la sua
pentola con la cenere. Un’altra storia ancora attribuisce questa invenzione ai romani del Monte
Sapo. Un giorno la pioggia ha fatto colare la cenere del fuoco sul terreno argilloso del fiume,
qualcuno provò a lavare i suoi vestiti con questo miscuglio e scoprì il sapone.

All’inizio veniva utilizzata la cenere di una pianta che cresceva in Siria e in Giordania, la “salsola
kali”, i beduini la bruciavano e poi vendevano la sua cenere ai fabbricanti di sapone. È stata poi
sostituita dall’atroun, un composto chimico in quanto la salsola kali è diventata una pianta rara e le
frontiere hanno messo un limite al nomadismo.

La fabbricazione artigianale del sapone è un procedimento lungo, un segreto trasmesso di padre in


figlio. L’olio d’oliva viene versato in una vasca riscaldata con fuoco di legna (d’olivo,
naturalmente). Quando l’olio è caldo si aggiunge la soda caustica o atroun, questa sostanza aiuta la
saponificazione, ossia la trasformazione dell’olio in sapone. Il composto viene mescolato con
l’aiuto di una grande pala finché diventa giallastro, come una minestra di lenticchie. Non stupisce
che in arabo la saponificazione venga chiamata “tabkha”, “la cucina”. Dopo tre giorni, l’impasto
viene lavato con acqua fredda, l’acqua cola sul fondo della vasca e esce da un rubinetto portandosi
via le impurità. Quest’acqua veniva utilizzata nelle case per lavare i pavimenti, niente veniva
buttato. Prima di decidere se la cottura è terminata si preleva un po’ di pasta, la si manipola per
vederne la consistenza. Per profumare l’impasto si aggiunge l’olio di lauro, di gardenia, di lavanda,
di gelsomino, cannella, miele, chiodi di garofano. Le saponerie hanno una grande superficie sulla
quale viene versato l’impasto, viene usato del talco o grandi fogli di carta per impedire che il sapone
si attacchi al suolo. Lo strato di impasto viene lisciato e misurato, lo spessore non deve superare i 7
centimetri. La tappa seguente è la marchiatura del sapone. Prima di tagliare le saponette si traccia
una griglia utilizzando una corda passata in una tintura rossa, tirata e poi lasciata, segna delle righe
sull’impasto, si ripete l’operazione affinché tutto l’impasto viene suddiviso in quadrati. La pasta
viene tagliata con un attrezzo che ricorda un aratro utilizzato per arare i campi. L’attrezzo viene
tirato seguendo le linee rosse tracciate. I piccoli cubi vengono fatti seccare costruendo una torre di
sapone, ognuna di circa 650 cubi. Dopo 40 giorni viene smontata e ricostruita, girando le facce dei
cubi per esporli tutti all’azione dell’aria. Questa operazione viene ripetuta più volte nell’arco di due
mesi prima di mettere il sapone in sacchi di juta. I cubetti prima di essere venduti vengono levigati
con una macchina, il sapone che viene tolto durante questa operazione viene raccolto e utilizzato
come sapone in polvere per il bucato. La polvere di sapone può anche essere mescolata con
dell’acqua per ottenere un impasto che viene pressato in forme di legno per realizzare saponette
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decorative. Le saponette multicolori a forma di palla sono una specialità di Tripoli. Vengono
modellate con le mani e con l’aiuto di un rasoio arrotondato si liscia la superficie della sfera finché
non luccica.

Il sapone ai giorni nostri è fabbricato solamente da qualche famiglia a Tripoli e Sidone. A Sidone,
l’antica saponeria della famiglia Audi è stata trasformata in Museo del sapone, luogo magnifico,
dove si può vedere tutto il procedimento della fabricazione, passo dopo passo, dall’olivo
all’hammam.

L’hammam
I bagni non sono sempre esistiti nelle case. I libanesi si recavano nell’“hammam” per lavarsi.
L’hammam è conosciuto in occidente come “bagno turco”. Al tempo dei romani a Beirut esistevano
5 hammam, o terme.

Quando ci si recava al bagno si portava con sè una scatola per il sapone, degli asciugamani e degli
abiti puliti avvolti in un quadrato di tessuto, una spugna fatta di polpa di zucca seccata e un guanto
per lavarsi.

Passata la grande porta ci si ritrovava in una sala di soggiorno chiamata ”mashlah”, una sala dove
ci si cambiava, si riposava dopo il bagno. Le scarpe venivano depositate in nicchie e al loro posto si
usavano i kabkabs, sandali in legno che proteggevano dal suolo caldo e scivoloso in pietra. Le
kabkabs delle signore decorate con madreperla e ivorio potevano raggiungere i 20 cm di altezza. Si
entrava poi in una sala fredda chiamata dai romani “frigidarium” – la seconda sala chiamata
“tepidarium”, veniva riempita di vapore e preparava a passare al “caldarium” la “sala calda”. La
traspirazione intensa, aiuta a guarire certe malattie come i reumatismi. Sulla cupola dell’hammam
aperture incrostate di vetri colorati permettono alla luce di entrare. Dopo aver traspirato ci si
metteva davanti ad una vasca e ci si lavava usando una ciotola per cospargersi di acqua fresca e
dopo il bagno ci si poteva far massaggiare con il guanto in lana di capra. In un epoca in cui non
esistevano né cinema, né ristoranti, gli hammam erano un luogo di ritrovo, dove si mangiava, si
giocava, si beveva il caffé si fumava il narguilè. Le donne soprattutto adoravano ritrovarsi
nell’hammam per farsi belle e chiacchierare. Nell’hammam c’era una massaggiatrice che le aiutava
a lavarsi la schiena. Le donne hanno sempre avuto molto cura dei loro capelli e dopo averli lavati si
cospargevano la testa con un’argilla “beyloun” che li sgrassava e li rendeva brillanti e morbidi.
Infine per tingerli e fortificarli utilizzavano le foglie di hennè. Tutte le donne giovani, la vigilia del
matrimonio si recavano all’hammam con amiche e parenti. Con l’hennè si tingevano la pianta dei
piedi e si ornavano le mani di motivi simbolici porta-fortuna. Sottolineavano la linea degli occhi
con il kohl e si profumavano di rosa, gelsomino o fiori d’arancio. Per scacciare gli spiriti invidiosi
della loro bellezza bruciavano l’incenso d’ambra, di muschio, di sandalo. Si trova ancora qualche
hammam funzionante a Tripoli “Hammam el Abed” e a Sidone l’“Hammam el Ward”.

Traduzione parziale “De l’Olive au Hammam”


di Youmna Jazzar Medlej
Edizioni Dar An-Nahar, 2006

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Museo del sapone di Sidone

Oggetti che si utilizzavano nell'hammam –


kabkabs, zoccoli in legno decorati in madreperla e ivorio

L’ulivo e la salute del


corpo
Ricette e prescrizioni arabe

Olio d'oliva e le malattie cardiache


L'olio protegge dal colesterolo cattivo e i grassi dannosi per il corpo, un cucchiaio quotidianamente
contribuisce a pulire le arterie dai grassi cattivi e aumenta i grassi buoni che il corpo esaurisce in
varie operazioni, e fornisce una buona prevenzione di coagulazione di sangue e di indurimento delle
arterie.

Olio d’olivo e le malattie del fegato


Migliora le funzioni del fegato, la cura migliore per il grasso.

Olio d'oliva cura di alcune malattie


* Olio d'oliva con anice verde per regolare il battito cardiaco
* Olio d'oliva con aglio per curare l'asma, indurimento delle arterie, l'ipertensione.
* Olio d'oliva con coriandolo per curare l'indigestione.
* Olio d'oliva con ginepro per curare il diabete e la gotta.
* Olio d'oliva con lavanda per curare l'infiammazione intestinale.
* Olio d'oliva con noce moscata per curare il mal di testa.
* Olio d'oliva con cipolla per alleviare alcune malattie psicologiche.
* Olio d'oliva con l'insalata di prezzemolo per curare il dolore delle vie urinarie.

Per curare il diabete e i calcoli si usa l’olio d'oliva e il succo di limone, si prende un cucchiaio al
mattino e uno alla sera.

Per curare l'ipertensione si usa una manciata di foglie di olivo circa 40 g in un litro d'acqua e fare
bollire per 10 minuti, si beve una tazza tutte le mattine.

Per le gengive infiammate si usa una miscela composta da: foglie dell' olivo, un po' di albume,
chiodi di garofano e il sale in pietra. Si fa bollire tutto e si mette in un barattolo e si sciacqua la
bocca 2, 3 volte al giorno.

Per la tosse si usano i fichi secchi mettendoli nell'olio per una settimana, dopo di che si mangiano 3
fichi al mattino. L'ammalato guarirà.

Per aumentare il sistema immunitario si applica l’olio di oliva sulla schiena e ci si espone al sole al
mattino perché il profeta Maometto ha detto che si deve prendere il sole sulla schiena ma non

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riceverlo davanti. Per la schiena è una cura e per il petto è una malattia.

Contribuisce a combattere l’ictus, le malattie di cuore, la pressione alta, il diabete.

Per rafforzare la memoria si prende qualche goccia al giorno di olio di oliva.

L’ulivo tra medicina e magia


nella nostra tradizione
A cura di Raffaella Sarzano

Le informazioni qui di seguito raccolte desiderano portare una conoscenza tramandata oralmente
nella pratica di popolazioni la cui coltura dell’olivo era centrale nella vita quotidiana.
In Piemonte abbiamo poche notizie sull’utilizzo di questa pianta; tutte le informazioni raccolte,
però, comprendono notizie provenienti da sud, dalla tradizione delle zone del versante ligure e da
nord, dall’influenza della popolazione celtica arrivata sino a noi.

In tutte le religioni antiche e animiste, si assiste all’adorazione dello spirito di ogni albero, dell’erba,
ma non solo, della pioggia, del sole e della Grande Terra Generatrice attorno a cui si raccolgono riti
popolari di ogni razza.
Molti sanno che la pratica di questi riti è raccolta sotto il nome di magia bianca o nera ma pochi
sanno che esiste la magia verde nata dal bisogno dell’uomo primitivo di beneficiare della bontà
della natura e dei suoi frutti.
Gli alberi crescono, fioriscono, producono frutti, gemono e ... versano lacrime quando sono tagliati
e ... muoiono. Così gli uomini hanno iniziato a credere che in ogni albero alloggia un’anima e che
questa vive e comunica attraverso il saggio utilizzo dei suoi frutti.
Tra i popoli nostri antenati che costituiscono le nostre radici vi sono i celti (d’origine indo-europea)
che adoravano la natura ed in particolare gli alberi. I “santoni” o sorta di maghi che svolgevano
compiti sacri nelle società celtiche erano i DRUIDI che avevano non solo poteri di guarigione e di
intermediazione con la natura soprannaturale della Terra e di ogni essere vivente ma erano in grado
di trasformarsi essi stessi in qualsivoglia essere. Spettava loro consacrare oggetti e uomini a rituali
iniziatici attraverso culti che si svolgevano prevalentemente in boschi e in foreste utilizzando gli
alberi come strumenti di intercessione divina (ad esempio la quercia).
Per gli antichi celti l’ulivo era tra le piante usate per i riti di purificazione e di buona sorte insieme
al basilico e alla salvia bianca.
Altra peculiarità della tradizione celtica, che in un certo senso continua a influenzare la nostra
cultura, è riconoscere caratteristiche personologiche, del passato, del presente e del futuro attraverso
l’interpretazione degli alberi; i celti suddividevano l’oroscopo annuale in 21 periodi e ad ogni
periodo corrispondeva un albero che caratterizza ciclicamente le persone. In 4 date specifiche,
corrispondenti ai solstizi e agli equinozi, si contraddistinguono 4 alberi specifici tra cui la quercia,
la betulla, il faggio e l’ulivo per il 23 settembre.
L’ulivo è l’emblema, nello zodiaco celtico, del mondo del calore e del fuoco. Segno delle buone
maniere; ama il sole, il calore ed è molto equilibrato, disprezza la violenza e la gelosia. I simboli di
questo segno sono pace, forza, purificazione, con in aggiunta una innata prodigalità.

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L’unico neo dei nati dell’ulivo è a volte l’incapacità di avere un’opinione personale; questo li rende
indecisi nell’affrontare la vita, conducendoli talune volte ad esprimersi energicamente con formule
assolutamente prive di significato ed estremamente convenzionali.
È singolare che ad una precisa data corrisponda un albero e per l’ulivo la corresponsione è con una
delle date più significative: quella del passaggio dall’estate all’inverno, periodo in cui, secondo la
teologia celtica, si conciliavano con i morti e gli antenati per beneficiare della loro benedizione
perchè i raccolti dell’anno successivo fossero abbondanti.
La coltura dell’olivo si perde nei tempi, se ne parla dall’antico Egitto ma furono i Fenici a portarlo
in Europa; i Greci lo associano alla pace ancor prima del Vecchio Testamento nel racconto
mitologico in cui Atena vinse la sfida con Poseidone per la conquista del popolo di Attica donando
un ulivo .
Nell’Antico Testamento l’olivo è immagine di prosperità, gioia, amicizia, dono dell’Arcangelo
Michele, è simbolo di forza e saggezza ed è in almeno una settantina di citazioni della Bibbia dove
purifica, consacra i sacrifici, gli altari, gli utensili dei re ed i re.
Nella liturgia cattolica l’ulivo è rappresentativo in tre momenti della vita dei fedeli: in due si
utilizza l’olio puro per l’Estrema Unzione e per ungere il petto ed il collo dei battezzandi. Il terzo
momento è il Crisma, una miscellanea di puro olio d’oliva e balsamo consacrato dal Vescovo nella
messa del Giovedì Santo. Il Crisma è usato per il sacramento della Cresima, per la consacrazione
dei vescovi e dei sacerdoti, delle chiese e degli arredi sacri e, anticamente, per la consacrazione di re
e imperatori.
Nel cristianesimo i rami d’olivo rappresentano la pace con Dio; sono benedetti nella cerimonia
della Domenica delle Palme; dagli stessi rami benedetti e bruciati si ricavano le ceneri che vengono
imposte sul capo dei fedeli il mercoledì detto appunto delle Ceneri, all’inizio della Quaresima, con
la formula tradizionale “Ricordati, uomo, che polvere sei e polvere ritornerai”.

L’ulivo nella ritualità popolare

Le nostre nonne, in sostituzione della crema per le mani, usavano l’olio d’oliva per ammorbidire la
pelle screpolata soprattutto dopo il lavoro in campagna.
Era pratica consueta porre un ramoscello d’ulivo sotto il cuscino come simbolo attrattivo di pace
per la persona che vi dormiva sopra; ai tempi in cui i medicinali avevano un costo inaccessibile per i
nostri avi, si solevano utilizzare metodi, che oggi definiremmo stravaganti, per risolvere soprattutto
le infiammazioni cutanee molto frequenti allora; in particolare mia madre ricorda un rimedio contro
l’orzaiuolo (foruncolo che si forma sul margine della palpebra solitamente della grandezza di un
chicco d’orzo) in cui con una mano si copriva l’occhio sano mentre con l’altra si poggiava l’occhio
infiammato sull’imbocco di una bottiglia contenente olio d’oliva, come se guardasse all’interno di
essa, e si procedeva a ripetere questa cantilena: ursè orzaiolo
va an tal vai nel
beuch buco

Qui di seguito si elencano alcuni fra gli usi che si faceva dell’ulivo e che risalirebbero all’epoca
della Roma Imperiale:
le foglie si utilizzavano per il loro forte potere astringente e depurativo e le pratiche erano diverse,
ovvero, erano schiacciate, mischiate a olio e applicate come impacchi contro le ulcere e i mal di
testa, come decotto con il miele per togliere le infiammazioni, ed il succo, ottenuto schiacciando le
foglie e mischiato a vino e acqua piovana era utilizzato per lenire gli occhi infiammati.
Ai fiori erano riconosciute le stesse proprietà antinfiammatorie: si bruciavano e poi si innaffiava la
cenere con il vino.

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Un tempo si utilizzava tutto dell’ulivo addirittura il ramoscello, che veniva bruciato ancora verde, e
da cui veniva raccolto un liquido chiamato “l’acqua” impiegata come ottimo cicatrizzante per le
espettorazioni purulente; un tempo si usava masticare la corteccia delle radici di un ulivo giovane
preso con il miele.

L’ulivo in Magia Verde

Il giorno preferito per raccogliere le erbe o le foglie è il giorno di San Giovanni (24 giugno). La
formula che segue si chiama sale scacciaguai per togliere di torno ogni negatività dispettosa e per
prepararsi ad accogliere la fortuna:
un pizzico di sale grosso marino
5 foglie di alloro
5 foglie di ulivo
5 foglie di menta
1 spicchio d’aglio
1 candela bianca
1 fazzoletto esclusivamente bianco e pulito

La formula va preparata un lunedì mattina (giorno della luna appunto) di luna calante; si accende la
candela bianca; al centro del fazzoletto pulito e aperto si mette il sale grosso, l’alloro, l’ulivo, la
menta e lo spicchio d’aglio dicendo contemporaneamente “sale che purifichi, alloro che dai forza,
ulivo che dai pace, aglio che proteggi, vi chiedo di allontanare da me ogni male, malocchio e
negatività, dalla mia mente, dal mio corpo, dal mio cuore e dalla mia anima”. Quindi si ripiega il
fazzoletto con cura, si tiene tra le mani chiuse a coppa mentre si fissa con l’intenzionalità la fiamma
della candela e la si spegne prima d’uscire.
Si porta il fazzoletto a stretto contatto del corpo tutto il giorno e tutta la notte; la sera prima di
andare a letto si riaccende la candela e la si lascia consumare completamente.
Il mattino seguente, i resti della candela vanno messi con il fazzoletto in un pentolino pieno d’acqua
e si porta tutto ad ebollizione per 10 minuti mescolando in senso antiorario; dopo 10 minuti si
spegne, si recupera il fazzoletto e si butta il contenuto nel wc.

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A cura
di Gianni Rossanese

La floriterapia, secondo la metodica Naturopatica, è uno dei rimedi naturali più utilizzati che
implicano un approccio energetico, si distingue dall’omeopatia e dalla filoterapia, che, pur
prevedendo le diluizioni, come l’omeopatia, non ne segue lo stesso metodo e si regge sul concetto
che il bene (il fiore) cura il male (stato di disagio, malattia).
L’omeopatia si basa sull’utilizzo di sostanze non solo vegetali e il principio di base è “il simile cura
il simile”.
La filoterapia prevede invece l’uso di estratti di piante non diluiti e con un concetto generalmente
sintomatico o di rafforzamento della costituzione fisica.
La floriterapia tiene conto dell’individuo nella sua globalità e per la sua unicità. Non importa quale
sia il sintomo che si presenta, ma come l’individuo si rapporta al sintomo.

In floriterapia, uno dei fiori utilizzati è appunto il fiore dell’ulivo.

A seconda del paese di coltivazione, l’olivo mediterraneo


sempreverde fiorisce in mesi primaverili diversi. Le infiorescenze
portano da 20 a 30 fiori bianchi e modesti.

L’essenza del fiore dell’olivo è collegata al principio della


rigenerazione, della pace e dell’equilibrio ritrovato.

Questo fiore come rimedio di Bach, OLIVE, è utilizzato per il


ripristino della forza vitale, perduta da eventi stressanti e malattie.

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A cura di Flora Spandonari

1. È da tutti risaputo come fin dai tempi più antichi, l’ulivo sia stato presente come segno concreto
di pace, benessere e armonia presso gli Ebrei, i Greci e i Romani. La Bibbia lo menziona tra le
piante caratterizzanti la Terra promessa, che anzi viene designata proprio come “Il paese di
olivi, di olio e di miele” (Deuteronomio 8,8; Re 2, 18,32).
Ed è soprattutto illustrato quale simbolo della nuova alleanza tra Dio e gli uomini a conclusione
del Diluvio universale: “...E la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel
becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra” (Genesi
8,11).
Nella mitologia greca antica, Atena, la dea della sapienza e della purezza, dona agli Ateniesi un
ramoscello d’ulivo con l’identico significato simbolico. Tale valenza semantica dell’ulivo si
sarebbe sempre mantenuta, fino alla celeberrima “altra” colomba, quella disegnata da Pablo
Picasso in occasione del Congresso Mondiale per la Pace del 1949.
Gli alberi di olivo impiegano molti anni prima di dare frutti. Per questo l’albero è assurto anche
a simboleggiare la pazienza di una vita lunga, laboriosa e serena.
L’identica convinzione anima il mondo musulmano. Dice il Profeta stesso nel Corano: “Dio è la
Luce dei cieli e della terra e si rassomiglia la Sua Luce a una Nicchia, in cui è una Lampada, e
la Lampada è in un Cristallo e il Cristallo è come una stella lucente, e arde la Lampada
dell’olio di un benedetto albero, un Olivo né orientale né occidentale, il cui olio per poco non
brilla anche se non lo tocchi fuoco” (XXIV,35: la Sura della Luce).
L’uso alimentare è già noto nel mondo biblico (“Il vaso della farina non si svuoterà, nella brocca
non mancherà l’olio” (Re 1,17,14-16). Nei Vangeli se ne attesta l’utilizzo combustibile nella
parabola delle dieci vergini in Matteo); quello in profumeria, con la menzione dell’olio
profumato sempre in Matteo e in Luca; quello terapeutico nella parabola del buon samaritano
ancora in Luca; quello liturgico sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento; quello sacramentale,
tuttora vigente nella liturgia ecclesiastica.
D’altra parte, il ritrovamento di noccioli e fogli di ulivo allo stato di fossili ne testimonia una
consuetudine ben più addietro nel tempo, come l’oggettistica per l’estrazione dell’olio
recuperata nel patrimonio archeologico. Ramoscelli d’ulivo ornavano le tombe dei Faraoni e dei
sacerdoti dediti alla loro inumazione nell’Antico Egitto.

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2. Numerose sarebbero insomma le citazioni letterarie, storiche e religiose testimonianti la


coltivazione e la grande importanza di questa pianta. Ma solo verso la fine del XVIII secolo la
sua diffusione si propagò all’America, per opera dei missionari spagnoli, e nel XIX secolo in
Australia su iniziativa degli Inglesi. Tuttavia, pur essendo l’ulivo coltivato oggi in varie parti del
globo, la quantità di esemplari esistenti nel nuovo mondo è nettamente inferiore a quella
presente nelle regioni mediterranee. Attualmente la superficie coltivata a olivo nel mondo è di

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quasi 7 milioni di ettari, per un totale di alberi calcolati attorno ai 500 milioni, con una
produzione di olio alimentare pari a 50 milioni di quintali, oltre a 1 milione e mezzo di quintali
di olive da tavola. In questo settore produttivo, l’Italia occupa il secondo posto mondiale dopo la
Spagna.

3. È per tanto naturale che i materiali letterari disponibili riguardo all’olivo risultino più numerosi
nell’area mediterranea.
Per questo la nostra breve antologia di testi in lettura e traduzioni prenderà avvio dalla Grecia,
culla della nostra civiltà, oltre che terra che ha ospitato e ospita tutt’oggi a sua volta un’enorme
quantità di ulivi.
Si narra mitologicamente, come già ricordato citando la dea Pallade Atena, che la pianta vi sia
giunta attorno al 1582 a.C., la data presumibile della fondazione di Atene.
Da noi sarebbe poi giunta verso la metà del primo millennio a.C.
Cominceremo quindi con Omero, letto solo in italiano perchè non ci è sembrato il caso di
tornare all’originale in greco antico: il celebre brano in cui Ulisse, tornato di nascosto a Itaca,
prova alla moglie Penelope la propria identità, narrandole come tanti anni prima avesse
costruito, da un unico pezzo di legno proprio di ulivo il loro talamo nuziale.
Leggerà Miriam Fieno, cui è affidata l’interpretazione di tutti i testi italiani che abbiamo
selezionato e delle successive versioni nella nostra lingua di quelli che saranno proposti,
ciascuno nella propria dalle amiche provenienti da altri paesi.
Miriam è laureata in archeologia, ma studia attualmente teatro a Milano, dopo averlo fatto
presso “I Pochi” qui ad Alessandria.
Ci proporrà, dopo l’Odissea, i tre soli passi concernenti la nostra pianta, presenti,
rispettivamente due nel Purgatorio e uno nel Paradiso danteschi (è significativo, a riprova di
quanto si sosteneva sulla simbologia di pace e prosperità, che la nostra pianta non sia mai
menzionata nell’“Inferno”! Si tenga anche presente che, all’epoca il tenere in vista un
ramoscello d’ulivo era diventato l’emblema caratterizzante tutti coloro che portavano buone
notizie...).
Seguiranno brevissimi, quasi istantanei passaggi poetici dalle Laudi di D’Annunzio, da
Sentimento del tempo di Ungaretti e dagli Ossi di seppia di Montale a testimonianza del
perdurare del richiamo esercitato dal fascinoso albero sull’intera tradizione poetica italiana fino
ai giorni nostri.

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“Bella d'ulivo rigogliosa pianta
sorgea nel mio cortile, i rami larga
e grossa molto, di colonna in guisa.
Io di commesse pietre ad essa intorno
mi architettai la maritale stanza,
e di un bel letto la coversi, e salde
porte vi imposi e fermamente attate.
Poi, vedovata del suo crin l'oliva,
alquanto su dalla radice il tronco
ne tagliai netto, e con le pialle sopra
vi andai leggiadramente, e v'adoprai
la infallibile squadra e il succhio
acuto.”
Odissea, 'Del talamo nuziale di Ulisse' Omero

***

L'anime, che si fuor di me accorte,


per lo spirare, ch'i'era ancor vivo,
meravigliando diventaro smorte.
E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,
così al viso mio s'affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi obliando d'ire e farsi belle.
Dante, II, II, 67-75

***

così dentro una nuvola di fiori


che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d'uliva
donna m'apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
Dante, II, XXX, 28-33

***

12
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continuando, disse: "Quivi
al servigio di Dio mi fe' sì fermo,
che pur con cibi di liquor d'ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne' pensier contemplativi.
Dante, III, XXI, 112-117

***

Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.


Scorsi l'ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei fulvi
nell'argento palladio trasvolare
senza suono.
Gabriele D'Annunzio, Stabat nuda aestas (Laudi)

e su gli olivi, su i fratelli olivi


che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Gabriele D'Annunzio, La sera fiesolana (Laudi)

***

L'ombra negli occhi s'addensava


Delle vergini come
Sera appiè degli ulivi
Giuseppe Ungaretti, L'isola (Sentimento del tempo)

***

Pure colline chiudevano d'intorno


marina e case; ulivi le vestivano
qua e là disseminati come greggi,
o tenui come il fumo di un casale
che veleggi
la faccia candente del cielo.
Eugenio Montale, Fine dell'infanzia (Ossi di seppia)

13
4. Attraversiamo ora il Mediterraneo e portiamoci in Marocco.
Fatima Ait Kablit, mediatrice di cultura araba ci legge una composizione del poeta suo
conterraneo vivente Ahmed el Bakidi, membro della <Lega della poesia cantata> in Marocco.

5. Sulle sponde mediterranee si affaccia anche la penisola iberica. Ana Maria Bonifacio ci
leggerà ora tre composizioni spagnole: di due poetesse viventi le prime, del proverbialmente
celebre Federico Garcìa Lorca l’attacco altrettanto popolare dell’ultima.
Ana Maria è una docente madrelingua di Spagnolo, nata e vissuta in Argentina (proviene
propriamente da Rosario, la città gemellata con Alessandria), ma ormai naturalizzata italiana,
perchè vive nel nostro paese dal 1980.

OLIVO Y MADRE
Suspira el olivo (“Besad al destino
Dormita el olivo en la mansa ensenada y partid sin temor!”). Empieza la criba,
tomando en sus brazos la brisa invernal; inicio preciso del justo camino
bien sabe que pronto sus hijas amadas que lleva a su fin: el Aceite de Oliva.
serán conducidas a un rito ancestral.
Inés Gurrutxaga (Tolosa, Gipuzkoa)
Vendrán diez mil brazos de tierras lejanas
sintiendo en sus huesos un aura glacial,
mas sabe el olivo que aún con desgana ULIVO E MADRE
será vareado con ritmo vital.
Sonnecchia l’ulivo, nella tranquilla baia
Se ven ya aceitunas danzando en el suelo, abbracciando la brezza invernale
dispuestas a dar lo mejor de si, sa bene che presto, le amate figliole
sabiendo que van a perder su velo saranno condotte al rito ancestrale.
en un baile lento, trenzado con frenesí.
14
Verranno diecimila braccia da terre lontane
sentendo nelle ossa un’aura glaciale Sospira l’ulivo (“Baciate il destino
ma sa l’ulivo che anche senza voglia e partite senza timore”!). comincia la cerna,
sarà scosso con ritmo vitale. preciso inizio del giusto cammino
che porta al suo fine: l’Olio di Oliva.
Si vedono già olive danzando sul suolo
disposte a dare il meglio di sè
sapendo che perderanno il loro velo
en lenta danza, intrecciata con frenesia.

CARTA PARA UN OLIVO eres un fiel recuerdo


del Amor ...
Porque hubo un monte de olivos... EL AMOR ABSOLUTO
Dónde un Rey se preparaba
para dar vida en la muerte... Ana Delgado Tacoronte
porque hubo un monte de olivos... LETTERA PER UN ULIVO
la aceituna conlleva salud y suavidad
entrega de su pulpa triturada Perchè (ci fu / c’era) un monte di ulivi
lo suave, lo vital Dove un Re si preparava (a / per) dar vita
el alimento (nella / alla) morte.
puede curar al hombre perchè (ci fu / c’era) un monte di ulivi
puede darle vigor l’oliva comporta salute e morbidezza,
y puede recordarle consegna di sua polpa (triturata / macinata)
al Dios, al Corazón... il (tenero / soave / delicato), (l’essenziale /
de Aquél que se entregó... vitale)
y nos llamó amigos... l’alimento
y nos hizo sus hijos può guarire l’uomo
entre aquellos gemidos può darle vigore
que el monte solitario e può ricordarle
acogió en el sagrado silencio il Dio, il Cuore...
de una noche ... di Colui che si (donò / consegnò...)
un viernes ... e ci chiamò amici...
comienzo de la PASIÓN e fece di noi suoi figli
de nuestro manso cordero tra quei gemiti
para mi eres sagrado che il solitario monte
tu también verde olivo accolse nel sacro silenzio
y cada vez que como tu fruto di una notte...
con deleite pienso en tí venerdì...
como algo más que aceite. inizio della Passione
algo más que un fruto. del (mansueto / docile) agnello

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per me anche tu sei sacro più che a un frutto.
verde ulivo Sei il ricordo fedele dell’Amore...
ed ogni volta che il tuo frutto mangio L’AMORE ASSOLUTO.
con diletto penso a te
come a qualcosa d’altro

***

Córdoba. Lejana y sola. Cordoba. Lontana e sola


Jaca negra, luna grande Giumenta nera, luna grande
y aceituna en mi alforja. e oliva nella bisaccia.
Aunque sepan los caminos, Anche sapendo il cammino
yo nunca llegaré a Córdoba io non raggiungerò mai Cordoba.

Federico García Lorca


"Canción del Jinete"

6. Restiamo nell’idioma ispanico, ma abbandonando l’area mediterranea per spostarci in quella


sudamericana. Anche Pablo Neruda ha rivolto la propria attenzione all’ulivo, anche in questa
composizione che ci leggerà ora Mayra Freire.
Mayra proviene dall’Ecuador, è in Italia da molti anni, e ha continuato qui da noi i suoi studi
conseguendo il diploma presso il liceo di scienze sociali. Sta concludendo un corso per
l’acquisizione del titolo di mediatrice di cultura.

No sólo canta el vino, Non solo canta il vino,


también canta el aceite, anche l’olio canta,
vive en nosotros con su luz vive in noi con la sua luce
madura y entre los bienes de la tierra matura tra i poderi della terra
aparto, per proprio conto
aceite, olio,
tu inagotable paz, tu esencia, tu pace inesauribile, tu essenza
verde, tu colmado tesoro que desciende verde, tu tesoro alimentare che discende
desde los manantiales del olivo dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda

7. Indugiamo ancora a mezza strada tra Italia e America latina, con questo componimento di un
italiano, Gio Batta Prevosto, detto Titen, innamorato di Cuba, cui sta dedicando la sua
esistenza di militante politico e animatore culturale, nel quale l’autore mette a confronto il
nostro ulivo con l’albero nazionale cubano, una bombacea denominata la ceiba.

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Ce la legge Isabel Lange, anch’ella cubana, laureata in giornalismo e giornalista praticante,
segretaria della sezione di Alessandria dell’associazione Italia-Cuba, ormai da molti anni a sua
volta in Italia: è stata sempre lei a individuare questa poesia di autore italiano, che instaura un
simbolico parallelo tra la pianta che cresce da noi e quella che prende vita nella sua terra.

LA CEIBA E L’ULIVO

Non so perché
questi solchi che il bue traccia
come scrittura antica e misteriosa

questi bambini che calciano


una palla di carta straccia

questa donna grinzosa


di sole e dolore

questo odore
di mucca e cavallo

questo cappello giallo


di paglia e sudore

questi campi di Cuba


che da poche ore
mi colmano gli occhi ed il
cuore

non mi sono nuovi.

Rivedo le mie genti


ed i miei campi di Liguria

e tra gli argenti degli ulivi

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e gli assolati muri
torno ad udire
gli zoccoli dei muli
risuonare sui ciottoli duri

e strusciando lenzuola
sulle pietre del fiume
le donne vociare

e sibilare la falce sul fieno

e venir meno
la mia fanciullezza
come una brezza
che si perde tra l’erba ed il mare.

Con nostalgia struggente


in questi campi di Cuba
rivedo la mia gente.

8. Torniamo infine sulle sponde del Mediterraneo dall’altra sponda dell’Adriatico, in Albania.
Il primo brano di quella provenienza è in prosa, e ce lo leggerà la proponente, Denisa Ballhysa:
vi si riflette sulla sacralità e l’attualità dell’ulivo, facendo riferimento in modo commosso a un
illustre ed epico personaggio storico di quella terra.
Denisa è albanese e laureata in Servizi Sociali.

Due parole, per noi che non abbiamo familiarità con la storia albanese e balcanica, sulla figura che
viene evocata nella pagina che state per ascoltare.
Lo “Skenderbeu” di cui ci dirà Denisa è il guerriero che da noi diciamo SCANDERBEG, designato
anche (dai Veneziani della Serenissima, che avevano fortissimi interessi nell’area) come GIORGIO
CASTRIOTA (1403-1468): l’eroe nazionale albanese, cui è consacrata la piazza principale di
Tirana, ed è simbolicamente considerato il fondatore della moderna Albania.
Fatto prigioniero da bambino nell’Albania di confessione ortodossa dai musulmani turchi invasori
del re ottomano Murad II, il suo futuro storico nemico, fu allevato nella fede islamica a divenire un
buon comandante militare, che seppe distinguersi nei conflitti promossi dagli Ottomani invasori
contro serbi e ungheresi.
Il suo nome deriva dalla traslitterazione turca dell’ellenizzante “Alessandro” in Isklander, cui fu
aggiunto il designativo onorifico-gerarchico di “beg” o “Bey”. Alla lettera, Scander-beg potrebbe
suonare in italiano più o meno come <Capo Sandro>...
Coinvolto nella sconfitta militare inflitta agli Ottomani dall’ungherese Giovanni Hunyadi (1443), si
riconvertì al cristianesimo, combattendo per la liberazione della sua patria d’origine e contrastando
i numerosi tentativi di riconquistarla da parte dello stesso Murad II (che nel frattempo assediava

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anche Costantinopoli, la capitale dell’impero bizantino), per poi rivolgersi contro il suo successore
Maometto II, fino a fomentare una vera e propria rivoluzione nazionale albanese.
Alla sua figura fu dedicato il film-Kolossal sovieto-albanese Scanderbeg, l’eroe albanese, regista
Serghei Iutkevic, che è d’attualità ricordare in questi giorni, perchè fu premiato al festival di
Cannes del 1954.

L’ulivo in questione, secondo la leggenda, dovrebbe avere quindi oltre cinque secoli e mezzo...

Duke zbritur permes germadhava ne vizituam nje xhami shume modeste, me sakte nje turbe, varri
i nje njeriu te shenjte i sektit te bektashinjve nen jijen e nje ulliri mijevjecar qe ishte mbjellur sic
thonon nga Skenderbeu.
Duke na shpjeguar ky komandant qe ishte dhe nje sociolog kompetent per te ngritur nivelin e
jeteses se popullisise se kohes se tij kishte bere te detyrueshme per cdo vater famljare bjelljen e
25 rrenje ulliri per te sjelle begati.

Attraversando le vecchie rocce abbiamo visitato una modesta moschea o meglio una “turbe”
tomba di un sant’uomo appartenente alla setta di Bektashinj, sotto l’ombra di un ulivo, piantato
secoli fa da Scanderbeg. Narrandoci la storia di questo comandante e allo stesso tempo anche
sociologo, essi avevano imposto alle famiglie di piantare 25 radici di ulivo in modo che
crescessero il loro benessere e la prosperità.

9. Restiamo ancora in Albania con questo brano conclusivo, una lunga composizione senza autore
e senza titolo che ci leggerà Milena Biçaku, albanese, che ha seguito studi giuridici e segue
anche un corso per mediatore di cultura. La poesia che ha scelto ben esprime il sentimento di
dolore del migrante, di colui che deve lasciare la propria terra.

ULLIRI I LOTEVE
Aty ndalova diten qe do ikja,
Si legjende kaq vjet u fol, i zverdhur me zemer te ftohte,
art skenik u be. cigare ndeza sa i mbarova:
Dicka,qe lozte me ndjenjat "Do ik! Te kethehem, do me ndalojne?!"
dhe frymezonte poet te zot.
Perqafova ullirin me dhimbje,
Si mure antike gjysemrrenuar, lotova e ringjalla me lot.
si mohim i moskthimit mbrapsh. Te paret si lane te vinin,
Nje plage e sheruar mua,eja,njeri s`me thote!
u servir"ulliri i loteve"

***
Ne bregdet,bregut permbi det,
Eshte nje ulli trunggjere, trunglashte.
...Trungu plotme gazhga,
qe filmonin lotet ne jetendarje.

Ullirin vit pas viti shkunden,


kokrrat i benin vaj.
Shkundesi koken nga deti,
Mbledhsja syte ne gazhge.

19
L’ULIVO DELLE LACRIME

Se n’è parlato per tanto tempo


Come di una leggenda.
È diventata un’arte scenica:
qualcosa che giocava con i sentimenti
e ispirava i grandi poeti.

Come le mura dell’antichità,


come la negazione del non ritorno,
come una piaga guarita:
così hanno servito l’ulivo delle lacrime.

***
Sulla riva del mare
Si trova la pianta d’ulivo
Maestosa e dal tronco rugoso
Che riprende come una telecamera
Le lacrime della vita.

Vicino a quell’ulivo sono rimasto


Il giorno della partenza
Pallido e con il cuore freddo
Ho acceso una sigaretta, due, tre, finché le
ho finite.

Me ne vado:
e se decido di tornare,
mi lasceranno

ho abbracciato l’ulivo pieno di dolore


e ho iniziato a piangere
con le lacrime gli ho ridato la vita.
I miei antenati non li hanno lasciati ritornare
A me vieni nessuno lo dice.

20
10. A conclusione della nostra rassegna che speriamo sia stata di vostro gradimento, come la
selezione visiva ciclica di opere pittoriche, realizzata da Rosario La Rovere, che ha ruotato alle
nostre spalle per l’intero momento delle letture e le musiche di Bach, Vivaldi, Gluck,
Beethoven, Bizet, Debussy, Ravel e Rimskij-Korsakov, eseguite al flauto dalla non dimenticata
maestria di Severino Gazzelloni, accompagnato al pianoforte da Pier Narciso Nasi (il tutto
grazie al sapiente e paziente coordinamento tecnico di Stefano Gandini e la disponibilità di tutta
la Camera di Commercio di Alessandria, che vivamente ringraziamo) vi leggerò a mia volta una
breve riflessione in prosa di un versatile pubblicista nostro conterraneo, Davide Riccio, che ci è
sembrato potesse ben riassumere, ad almeno 2500 anni (ma probabilmente sono di più) da
Omero, il nuovo, attuale ed aggiornato, perdurante profondo senso contemporaneo della pianta e
del simbolo dell’ulivo.

Ero nella terra dei miei, in “terra dell’olio” (nelle vecchie geografie di ginnasio l’Italia era divisa in
“Italia del burro” al nord e “Italia dell’olio” al sud”); più esattamente in Irpinia, nel nostro oliveto.
Passeggiandovi al crepuscolo ebbi questa intuizione: l’albero dell’olivo è contorto e nocchieruto,
lieve e rado di chioma, come avviene negli alberi bisognosi di luce, tenace, frugale, il suo legno è
duro, non spacchereccio. E nell’orto del Getsemani a Gerusalemme un olivo fu testimonio
dell’ultima tormentata preghiera di Gesù. Simbolo anche della longevità, l’ulivo è un albero dalla
lenta e tormentata crescita che può raggiungere età venerabili (è un sempreverde). Fino a mezzo
secolo fa si additavano ancora ulivi in Sicilia che si dicevano piantati dai Saraceni. Secondo le
tradizioni islamica e gnostica, i due alberi tabù del paradiso furono il fico, quello della conoscenza
(da cui il termine ebraico “pag”, “peccare”), e l’olivo, quello di vita eterna. Quindi, la vecchiaia vista
anche come raggiungimento di saggezza e di pace (quanto meno dei sensi e delle ambizioni),
prima della vita eterna, che poi è speranza di vita eterna, e pur sempre l’inquietudine del lasciare
la vita. Nonostante tutto suggerisca all’apparenza il tormento, l’ulivo è universalmente simbolo
della pace. Nel Genesi la colomba mandata da Noè fuori dall’arca porta nel becco un ramo d’olivo
in segno della rinnovata pace con Dio, e perché l’olio spiana i flutti ( si dice “mare d’olio” quando è
in calma perfetta). Scrisse fra l’altro il poeta barocco W. H. Frh. Von Hohberg: “Quando l’olivo
viene ben governato, dà l’atteso frutto della pace. Così quando un regno viene piantato bene, la
pace si diffonde in ogni classe”. Se da una parte gli ulivi mi suggerivano la continua inquietudine
della vita e dei tempi, il tormento umano del vivere, dall’altra l’unico rimando vero alla pace che ne
avevo era quello dei frutti, ovvero dell’olio. L’olio che serve sì anche per le cerimonie dell’unzione e
il crisma del battesimo, della cresima, dell’ordinamento dei sacerdoti, ma soprattutto come viatico
nell’unzione dei malati prima del trapasso. Come dire, vivendo non può esserci pace duratura e
profonda.
L'ulivo e l'olio
presso i vari
popoli
Reperti, testimonianze scritte e fonti visive dimostrano che l’ulivo è una pianta che è sempre
esistita. Sono stati ritrovati noccioli e foglie d’ulivo pietrificati (fossili) che sono arrivati fino a noi
perché si sono conservati sottoterra negli spazi più profondi.

Sono stati inoltre ritrovati oggetti (reperti) in pietra che servivano per l’estrazione dell’olio: le olive
venivano schiacciate nel mortaio con le pietre e l’olio sgocciolava nel vaso di raccolta.

I primi popoli a coltivare l’ulivo e a produrre l’olio dai suoi frutti furono: gli Egiziani, i Greci e i
Romani.

Gli Egiziani usavano adornare le tombe dei loro Faraoni.

Per loro, i ramoscelli d’ulivo che spesso trasformavano in ghirlande, vanno ai morti per chiedere
perdono delle colpe commesse in vita.

Anche i sacerdoti si cingevano il collo di "colletti" d’ulivo durante il rito dell’inumazione.

L’olio veniva usato invece per ungere la testa e i corpi dei defunti mummificare o se lo spalmavano
sui piedi, sul viso, sui capelli, chi partecipava alle sacre funzioni.

Questo era l’unico elemento che rendeva tutti PURI E DEGNI.


I Greci ritenevano che l’olio fosse di origine divina e inventarono tante leggende a tale proposito (si
potrebbero leggere alcune).

L’olio ebbe un ruolo importante anche nello sport: i giovani atleti venivano massaggiati con l’olio
prima e dopo la ginnastica.

Più tardi, l’olio misto ad altri elementi venne usato anche per scopi medici e sotto forma di profumo
per la cura giornaliera del corpo.

Anche i Romani coltivavano l’ulivo.

Col tempo essi riuscirono a produrre 10 varietà di olio che veniva venduto da commercianti
specializzati che si riunivano in un posto chiamato "ARCA OLEARIA" .

Furono i Romani a tramandare i primi insegnamenti sulla raccolta delle olive e sulle tecniche di
frangitura (rottura) alcune delle quali sono ancora attuali.

È il caso, ad esempio, della raccolta a mano delle olive che era il sistema migliore per ottenere l’olio
più pregiato.

Questo popolo, come i Greci, utilizzavano l’olio d’oliva o anche per la cura del corpo.

Tutti, uomini e donne, giovani e vecchi, sani ed ammalati, ricchi e poveri lo usavano tutti i giorni.
Esso veniva spalmato sul corpo, prima e dopo il bagno come un sapone, in seguito venne usato
come profumo perché misto ad erbe e fiori.

L’olio formava sulla pelle una pellicola che proteggeva dalla polvere e soprattutto dal freddo e dai
raggi solari.
L'ulivo e l'olio
nella Bibbia
L’ulivo nella Bibbia
Il popolo di Dio è come un ULIVO su cui i pagani, come rami selvatici possono essere innestati.

Gesù è la radice e la sua vita è la linfa che passa a ravvivare tutti i rami,
quelli nuovi come quelli vecchi. RO 11, 17- 18

L’ulivo nell’Antico Testamento

Noè fece uscire la colomba dall’arca e tornò da lui


con un ramoscello d’ulivo.

LA COLOMBA E IL RAMOSCELLO D’ULIVO


SONO SIMBOLI DI RICONCILIAZIONE E DI PACE.
L’ulivo nel Nuovo Testamento

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme

Gesù va a Gerusalemme e viene accolto con festa. La gente lo saluta agitando rami d’ulivo. Questo
avvenimento viene ricordato dai cristiani nella Domenica delle Palme.

Ogni persona tenendo in mano un ramo d’ulivo raggiunge la chiesa dove viene celebrata la Messa e
benedetto il ramo d’ulivo. Dopo il rito che dà inizio alla Settimana Santa l’ulivo viene portato nelle
case in segno di pace.

L’OLIO

Sotto questo nome la Bibbia parla unicamente dell’olio d’oliva. La terra d’Israele era ricca di olivi
nei tempi biblici ancor più che al giorno d’oggi al punto da essere definita "il paese degli olivi da
olio"(Dt 8,8; 2re 18,32). I romani incentivarono tale produzione, tanto che ancora attualmente gli
arabi chiamano gli olivi migliori "zeyt er- rum" cioè " olivi di romani". Il torchio o frantoio (in
ebraico gat) si costruiva direttamente nell’uliveto (Getsemani: gat-semen = torchio per l’olio).Gli
usi dell’olio erano vari.

Gli usi dell’olio

La Bibbia parla di diversi usi dell’olio.

USO ALIMENTARE

Una delle molte testimonianze dell’uso alimentare si trova in 1Re 17, 8-16.

(…il vaso della farina non si svuoterà, nella brocca non mancherà olio…)

COME COMBUSTIBILE

Per l’uso combustibile da illuminazione vediamo MT 25, 1-13.

(…le altre cinque invece portarono anche un vasetto d’olio…)

IN PROFUMERIA

In profumeria l’olio era la base per la preparazione di molti preziosi unguenti: Lc 7,46 MT 26,6-13.
Era segno di gioia e di ospitalità (…una donna versò sul capo di Gesù dell’olio profumato …)

USO SANITARIO

Se ne faceva anche uso sanitario sia interno che esterno: Lc 10,34. (…il buon samaritano curò le
ferite dell’uomo picchiato dai briganti con olio e vino…)

Per questo i discepoli di Gesù si servirono del valore simbolico dell’olio per accompagnare con un
segno visibile la preghiera per i malati, detta poi " unzione degli infermi ". ( Leggi: Giac 5,14 – 15 ).

USO LITURGICO
Nel campo Liturgico l’olio era materia di offerta (Lv 2,1) e si usava per consacrare il re, i profeti e
(dopo l’esilio) il sommo Sacerdote.

Il misterioso personaggio atteso da secoli per la salvezza di Israele, che sarebbe stato il perfetto
Sacerdote – profeta – re fu perciò chiamato "l’unto del Signore" ( Messia - Cristo significa
esattamente "unto" ).

L’olio profumato (detto crisma) si usa nella liturgia cattolica del Battesimo, della Cresima e
dell’Ordine come un segno di consacrazione regale – profetica sacerdotale. (leggi: 1Sam 16,1 – 13).

L'uso dell'olio nei Sacramenti

Gli oli sacri sono tre:

OLIO DEI CATECUMENI

È usato nel sacramento del battesimo.

CRISMA

È usato nel sacramento del

battesimo - cresima - ordine sacro.

OLIO PER L'UNZIONE DEGLI INFERMI


È usato nel sacramento dell'unzione degli infermi.

I proverbi
Jàcque d'aguste, juègghie e must.

Quando piove il mese d'agosto, si prevede una buona raccolta di olive ed uva.

Vin vecch,

Vino vecchio, olio di annata.

C tess la vign ten la tign, c ten l'oliye jè ric com a nu Re.

Chi tiene la vigna tiene la tigna, chi ha le olive è ricco come un Re.

Pan, juègghie e pmdr e mitte chelore.

Pane, olio e pomodoro mettono calore.

C ue vedè

i pene du virn

p abbasc a la marine

a pgghje gl'oliye.
Il contadino di un paese di mare, quando raccoglie le olive, patisce molto l'umidità.

Da www.digilander.libero.it

RICETTE A CURA DELL’ISTITUTO ALBERGHIERO “ARTUSI” DI CASALE


MONFERRATO
Bruschetta estiva

Ingredienti per 6 persone:


n. 6 fette grandi di pane casareccio
n. 4 pomodori ramati
n. 3 cetrioli
gr 150 di formaggio feta
n. 6 foglie di menta
n. 2 cucchiai olio d'oliva extravergine
sale e pepe qb.

Preparazione:
Tostare il pane. Nel frattempo, in una capiente terrina, condire, con olio, sale, pepe e foglioline di menta a
pezzetti, i pomodori, i cetrioli e la feta a cubetti. Mescolare bene e cospargere sulle fette, condendole col
sughetto rimasto sul fondo della terrina.

Crostini alle fragole ed olive

Ingredienti per 6 persone:


Gr 200 di fragole
gr 100 di olive nere
n. 10 foglie di basilico fresco
n. 6 fette di pane bianco per crostini
n. l cucchiaio aceto balsamico
n. 2 cucchiai olio d'oliva extravergine
sale e pepe qb.

Preparazione:
Lavare le fragole e tagliarle a dadini. Tagliare a dadini le olive e mescolarle con le fragole, condire con
l'aceto, l'olio, sale e pepe. Far tostare le fette di pane, ritagliarle a rettangolo e deporci qualche cucchiaio del
composto alle fragole. Decorare con del basilico finemente tritato.

Focaccia alle olive e rosmarino

Ingredienti per 6 persone:


500 gr di farina di grano duro
150 gr di olive nere snocciolate
50 gr di olio
l rametto di rosmarino
15 gr di sale
15 gr di zucchero
n. l uovo
gr 250 (circa) di acqua
gr 20 di lievito
Per ogni teglia aggiungere gr 10 di sale sciolto in gr 40 di acqua tiepida, e 40 gr di olio d'oliva
extravergine.

Preparazione:
Setacciate la farina sul piano di lavoro, mescolatevi il sale, lo zucchero, l'olio, l'uovo, il lievito e l'acqua.
Impastate con energia per una decina di minuti. Ungete una teglia e foderatela con la
pasta. Cospargetela con la bagna di olio, acqua e sale. Aggiungete gli aghi di rosmarino e le olive snocciolate
qua e là. Infornate e cuocete per 35 min. a 190°.

Originario del bacino del Mediterraneo, oggi l'olivo si è diffuso in tutti i continenti, anche
grazie alle sue proprietà dietetiche e all’affermarsi della dieta mediterranea.

Pianta dei climi temperati, si adatta agli ambienti più vari essendo dotata di grande rusticità;
vive anche in terreni poveri e siccitosi, ma è nelle condizioni ideali di vita, e cioè in presenza di
terreno fertile, senza ristagni d’acqua e possibilmente irriguo, che manifesta la sua generosità.

Nel passato l’olivo era considerato, oltre che longevo, lento nel dare produzione, tanto che era
comune dire che “l’olivo si pianta per i nipoti”. Oggi questo albero, se curato con adatta tecnica di
potatura e coltivato in terreno fertile e fresco, è capace di offrire elevate produzioni fin dai primi 4-5
anni di vita.

Le esigenze biologiche di sopravvivenza dell’olivo pongono però limiti geografici ben precisi
alla sua diffusione: verso il nord esso è presente sino al 46° di latitudine, spingendosi sin sulle rive
del lago di Como (in Lombardia) ma anche sulle pendici collinari meglio esposte del Biellese e del
Canavese, dove si è creato un microclima che ha permesso la sopravvivenza di esemplari
plurisecolari di ulivo.

Oltre agli aspetti climatici, altimetrici e della natura dei terreni, il principale fattore di
modifica dell’area di diffusione dell’olivo resta l’uomo, il quale ne ha esteso o contratto la
coltivazione nei diversi momenti storici, in connessione con le condizioni economico-sociali e del
mercato.

Fino a pochi anni fa le statistiche sulla produzione di olive in Italia citavano il Piemonte e la
Valle d’Aosta come le uniche Regioni italiane prive di coltivazioni di ulivi. Oggi sappiamo che
questi dati sono superati, in quanto proprio in coincidenza con l’inizio del terzo millennio è ripresa
in queste due regioni la produzione di olio e di olive a scopo alimentare.

La presenza di ulivi in questi territori è testimoniata per la prima volta in un atto di donazione
del 515 dove Sigismondo, re di Borgogna, appena convertito al cristianesimo dal chierico gallo-
romano Alciminius Ecditus Avitus detto semplicemente Avito, dona varie terre tra le quali oliveti in
Valle d’Aosta (testualmente Valle Augustana).

Da allora la presenza dell’ulivo è stata condizionata da tutta una serie di eventi, tra cui quelli
climatici hanno giocato un ruolo primario. Di sicuro la presenza di qualche albero è stata sempre
assicurata, in qualche costa particolarmente riparata dai venti freddi e dalle nebbie, in qualche
giardino o nei terreni parrocchiali, dove hanno da sempre rappresentato un’antica tradizione.

Piante d’ulivo sono state coltivate prima nei monasteri benedettini e successivamente nelle
pievi, trasformate, nel Basso Medioevo, in parrocchie. Una delle dimore dei Benedettini Olivetani si
trova a San Salvatore Monferrato, nel santuario della Madonna del Pozzo costruito dove avvenne il
miracolo della guarigione di un soldato spagnolo, Martino de Nava, che era stato cacciato in un
pozzo dalla popolazione del luogo, ostile alla dominazione spagnola.

Non è da escludere l’ipotesi che l’introduzione dell’olivo in Piemonte derivi dalla vicina
Liguria o dalla Provenza, attraverso i passi piemontesi, la bassa Savoia o la Drome: l’olivo potrebbe
essere entrato sia volontariamente, nell’ottica di scambio commerciale, sia involontariamente,
attraverso alcune olive mature lasciate sul terreno ed in grado di germogliare.

D’altra parte lungo i vari “cammini del sale” vi fu sempre scambio di sale con vino,
graminacee o semenze varie. E sappiamo che una delle vie del sale passava proprio per il
Monferrato casalese, per raggiungere la città di Vercelli. Durante la loro permanenza in Monferrato
i Liguri diventarono abili viticoltori, e con tutta probabilità insegnarono a piantare e coltivare
l’olivo nelle aree più adatte.

Ma che utilizzo facevano i nostri antenati monferrini delle olive raccolte? In Monferrato non
esisteva, come nelle regioni italiane della fascia mediterranea, la cultura dell’olio d’oliva. Con tutta
probabilità le piante d’ulivo erano coltivate più per la produzione di olive da mensa che per
l’estrazione dell’olio.

Olivo secolare in frazione San Rocco di Vignale


Monferrato

Sembra poi che il principale utilizzo dell’olio fosse legato alla liturgia: esso è infatti elemento
fondamentale in quasi tutti i sacramenti della Chiesa, dal battesimo alla cresima, dalla ordinazione
sacerdotale all’unzione degli infermi.

Per questo motivo, oltre che per fornire i rametti per la domenica delle Palme, tutte le nostre
comunità rurali erano dedite alla coltivazione dell’olivo, che nei periodi di avversità climatiche
rimaneva presente a ridosso di chiese e muraglioni e all’interno dei monasteri.

In tutta la fascia climatica della Pianura Padana erano frequenti i testamenti, risalenti all’alto
Medio Evo, nei quali venivano lasciate a chiese e monasteri alcune piante d’ulivo “pro luminaria”,
destinate cioè alla produzione di olio per tenere accesi i lumi sugli altari dei signori.

Un documento del 20 febbraio 1167 testimonia, ad esempio, la presenza degli ulivi a Rocca
delle Donne e la donazione, da parte di Guglielmo, Marchese di Monferrato, di varie piante d’ulivo
alla Chiesa ed in particolare al Monastero di Santa Maria della Rocca, che aveva vari possedimenti
a Maranzana ed a Ronco.

Nel secolo XIII il paesaggio naturale del Monferrato, prima occupato da foreste, andò
lentamente trasformandosi: i versanti meridionali furono disboscati ed ampiamente terrazzati,
cosicché anche i terreni più acclivi vennero interessati dalla coltivazione della vite e dell'olivo.

La tecnica utilizzata per questi terrazzamenti, che in Monferrato sono ormai andati distrutti
quasi completamente ad eccezione di quelli in prossimità della cascina Gigliola di Castelletto Merli,
prevedeva la costituzione di muri a secco; analogamente a quanto facevano gli agricoltori liguri.

Almeno fino alla metà del XIV secolo, l’olivo risultava ben presente in tutto il Monferrato, e
veniva segnalato a Camino, Gabiano e Montiglio, spesso collocato a ridosso dei muraglioni che
offrivano protezione dai venti del nord. Era segnalata la presenza di olivi anche a Villadeati,
Vignale, Viarigi, Ozzano, Rosignano e Lu.

Durante il XIV secolo si verificò in tutta l’Europa uno straordinario abbassamento termico, ed
alcuni ghiacciai arrivarono addirittura a lambire insediamenti abitativi e coltivi. Il colpo definitivo
alla olivicoltura monferrina fu determinato proprio dagli abbassamenti termici: tra la fine del 1700
ed il 1812 gli inverni furono talmente rigidi da far gelare il vino nelle botti e costrinsero gli
agricoltori a svinare all’arrivo del disgelo.

Proprio in quel periodo, come segnalato da Albino Tizzoni in “Storia del Monferrato
Casalese”, venne ulteriormente ridimensionato il patrimonio olivicolo del Monferrato, ed in
particolare quello di Lu Monferrato, del quale rimase una sola pianta, ancora oggi fruttifera e
utilizzata dalla comunità per la produzione di fronde per la benedizione della Domenica delle
Palme.

L’olivo rimane nello stemma araldico del Comune di Olivola, ed in diversi toponimi del
casalese, tra cui un riferimento catastale ad un Monte Ulivo nel Comune di Ponzano, una strada
dell’ulivo tra le località Madonna dei Monti di Grazzano e Patro di Moncalvo ed una regione
Olivetta a Conzano; Albugnano e Cocconato, con altitudini varianti intorno ai 500 metri hanno
tuttora splendidi olivi; nell’azienda agricola Pianfiorito dei fratelli Binello di Albugnano esiste un
olivo impiantato più di mezzo secolo fa proprio dove una pianta forse millenaria che ornava un
antico giardino patrizio si era estinta per vecchiaia.

Anche le proprietà dell’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano erano sicuramente ricche di


oliveti, oltre che di floridi vigneti di Freisa, grazie al clima particolarmente mite di tutto il versante
della collina che degradava dolcemente verso la pianura sottostante, che risultava ben protetta dai
freddi venti che soffiavano dalla montagna.

Uno dei motivi che ha sicuramente frenato la diffusione e l’affermazione dell’ulivo in


Piemonte è di natura agronomica, ed è la mancanza di materiale capace di resistere al freddo.

Per questo motivo presso l’Istituto Agrario "Vincenzo Luparia" di San Martino di Rosignano è
iniziato lo studio delle piante ultrasecolari di ulivo presenti nel nostro territorio, le uniche
testimonianze della olivicoltura dei secoli passati che ancora oggi possono esprimere la nostra
biodiversità olivicola.

Piante storiche sono state Vista su San Martino; in primo piano l'Istituto "V. Luparia"
individuate un po’ in tutto il Piemonte, e
nel Monferrato astigiano a Casorzo,
Cocconato, Pino d’Asti, Robella e San
Marzano Oliveto; in quello casalese a
Castelletto Merli, Cerrina, Corteranzo di
Murisengo, Fabiano di Solonghello,
Isolengo di Camino, Lu Monferrato,
Odalengo Piccolo, Ozzano, Rosignano,
San Giorgio, Salabue, Serralunga di
Crea, Vignale, Zanco di Villadeati,
Zenevreto di Mombello e Zoalengo di
Gabiano.

Il progetto di recupero del germoplasma locale, portato avanti da alcuni docenti del “Luparia”
in collaborazione con il CNR-IVALSA di Sesto Fiorentino, e recentemente finanziato
dall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia di Alessandria, è di estrema importanza per il
recupero della coltivazione dell’olivo in Piemonte.

Negli ultimi anni, infatti, è andata aumentando la necessità di conservare le biodiversità e


recuperare le “vecchie varietà”, un tempo diffuse nel territorio, per ritrovare le radici della tipicità
dei prodotti agro-alimentari che, come è noto, derivano dall’interazione cultivar-tradizione-
territorio.
Un progetto analogo è stato la base per il rilancio di altri piccoli comprensori olivicoli, come
quello di Brisighella, in Emilia Romagna, e del Monte Amiata, in Toscana, dove in conseguenza
dell’affermazione dell’olivo si sono avute positive ripercussioni sul turismo gastronomico e
sull’economia in generale.

Le finalità del progetto non si fermano dunque al recupero della biodiversità olivicola
autoctona, ma puntano anche alla promozione e alla diffusione delle cultivar che, da un punto di
vista agronomico, sono più idonee alla qualificazione della produzione olivicola e all’ottenimento di
un olio di qualità.

Il patrimonio varietale individuato verrà infatti messo a disposizione degli imprenditori che da
qualche anno stanno reimpiantando gli ulivi in Monferrato, per garantire la realizzazione di impianti
moderni, funzionali per le produzioni e razionali per gli interventi agronomici.

Il progetto di ricerca è stato strutturato in tre sottoprogetti, con gli obiettivi di seguito descritti:

l) Definire la struttura olivicola ed individuare la biodiversità presente sul territorio. Tale fase, in
corso di completamento, ha permesso di individuare al momento circa 50 piante di interesse storico
in tutto il Piemonte, la maggior parte delle quali localizzate in territorio monferrino.

2) Descrivere i caratteri morfologici delle piante indicate come germoplasma olivicolo autoctono e
realizzare un campo collezione di piante madri.

Ogni pianta storica deve essere studiata dal punto di vista morfologico seguendo la
metodologia già utilizzata per il germoplasma autoctono toscano: oltre alle caratteristiche generali
della pianta (vigoria, portamento, sviluppo sono esaminati trenta caratteri morfologici che illustrano
la conformazione delle foglie, dei frutti e dell'endocarpo). Tali informazioni agronomiche possono
essere completate da rilievi inerenti la biologia fiorale (epoca di fioritura, fertilità e compatibilità
dei fiori), l’entità di fruttificazione e la dinamica di maturazione dei frutti.

Tutte le piante storiche sono state riprodotte, presso i Vivai Franchi di Pescia (PT), per innesto
o per talea, e le piantine ottenute verranno messe a dimora presso la azienda agraria dell’Istituto
“Luparia”, in un campo collezione nel quale sarà possibile:
controllare la rispondenza generica delle entità catalogate;
verificare eventuali discordanze tra i caratteri morfologici segnalati;
definire la risposta agronomica (vegetativa e produttiva) delle cultivar identificate messe a
confronto nelle stesse condizioni pedo-climatiche.

3) Valorizzare, attraverso analisi chimiche ed organolettiche, l’olio monovarietale che si ottiene


dalle piante selezionate.

Per raggiungere questo ultimo obiettivo è operante


presso l’Istituto Luparia un frantoio monoblocco continuo
capace di lavorare fino a 80 kg di olive l’ora, acquistato
grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio
di Asti e della Provincia di Alessandria.

Grazie a questo frantoio, attivato nell’autunno


2004, si sta effettuando la molitura delle olive ottenute da
ogni pianta storica. Gli oli ottenuti sono sottoposti ad
analisi chimiche ed organolettiche, ed i risultati, incrociati
con quelli della caratterizzazione morfologica e genetica
(analisi del DNA) potranno fornire precise indicazioni
sulle potenzialità del germoplasma olivicolo autoctono.

Per completare il quadro delle iniziative portate

Ozzano Monferrato
avanti dall’Istituto “Luparia” in campo olivicolo è doveroso segnalare la presenza, presso la azienda
agraria di S. Martino di Rosignano, di due oliveti sperimentali, uno dei quali finanziato dalla
Regione Piemonte, aventi lo scopo di saggiare la resistenza al freddo di varietà di ulivo provenienti
da altre regioni olivicole italiane ed europee.

Una iniziativa in corso di realizzazione è la costituzione di un Consorzio per la tutela e la


valorizzazione dell’olio extravergine di oliva monferrino, che vede come enti promotori, oltre che
l’Istituto Luparia, anche i Comuni (capofila il Comune di Casale Monferrato) e l'ASSPO
(Associazione Piemontese Olivicoltori). Tra le iniziative prioritarie del Consorzio è previsto
l’acquisto di un impianto oleario da collocare in Monferrato.

Il ritorno di un frantoio in Piemonte è un evento di assoluto interesse, in quanto risale al 1911


l’ultima testimonianza di una nostra produzione oleicola completamente autoctona. Il Comizio
Agrario in quella data fece pervenire, in occasione del cinquantennio dell’Unità d’Italia, alcuni
campioni di olio d’oliva piemontese ai membri dell’Esposizione Internazionale di Torino, che furono
giudicati ottimi.

Ma quali sono le caratteristiche dell’olio d’oliva piemontese, e


in particolare di quello monferrino?
Innanzitutto bisogna dire che l’olio d’oliva di qualità si produce
con olive raccolte al giusto grado di maturazione, ed
immediatamente portate alla molitura.
Fino ad ora, ad eccezione di piccole partite di olio ottenute dal
frantoio dell’Istituto “Luparia”, la trasformazione delle olive
piemontesi in olio è stata effettuata in Liguria, con conseguenti
problemi logistici e di costo.
Le analisi chimiche effettuate sugli oli prodotti in questi ultimi
anni in Piemonte hanno messo in evidenza bassissime acidità, mediamente intorno allo 0,20% e con
valori spesso inferiori allo 0,10 % (0,10 grammi di acido oleico su 100 grammi di prodotto), quando il
limite di un olio extravergine si attesta sullo 0,80%.
Anche il numero di perossidi, che valutano lo stato di conservazione dell’olio, è stato negli oli
piemontesi analizzati sempre di molto inferiore ai limiti di legge, che è di 20 meq di ossigeno per Kg di
olio.
Le analisi chimiche ci hanno quindi dato sempre responsi positivi, per cui possiamo dire che i nostri oli
si attestano su valori di eccellenza nella categoria degli oli extravergine.
Per quanto riguarda le analisi organolettiche i campioni sottoposti a panel test hanno dato esiti diversi, in
quanto le caratteristiche di un olio sono influenzate da moltissime variabili, tra le quali le cultivar di
olivo utilizzate.
Un comune denominatore dei nostri oli è la limitata aggressività: sono oli delicati, dolci, con un fruttato
tenue, e con una sensazione di pinoli e di frutta secca, quell'ammandorlato che caratterizza soprattutto gli
oli provenienti dalla fascia fredda. Gli esperti associano questo ammandorlato alla presenza di una
componente chimica, il 2-esenale, che pare cresca man mano che si passa da meridionali a oli del centro-
nord, per arrivare ai massimi valori nella fascia climatica della Lombardia e del Piemonte.
In sintesi i nostri oli sembrano quelli più indicati ad abbinamenti di territorio, e si sposano perfettamente
con i carpacci, con la carne battuta al coltello, ma anche con la bagna cauda, che richiede un olio delicato
e che permetta di esaltare i sapori dell’acciuga e dell’aglio.

Tratto da “Viaggi del gusto in Monferrato”


a cura dell’Istituto Tecnico Agrario “Vincenzo Luparia”
Editrice Monferrato - Novembre 2006
Ingredienti per 4 persone:
200-250 gr. di olio di oliva di nobile e sicura origine; mezzo ettogrammo di burro;
quattro teste d'aglio; un ettogrammo di acciughe bene in carne e lavate; un po’ di latte.
Preparazione: Tritare finemente l’aglio e immergerlo per 1 ora nel latte ( ne facilita la digestione), quindi metterlo in
un tegame di cotto (mai d’alluminio) insieme alle acciughe dissalate e diliscate a pezzetti, coprendo il tutto con olio e
facendo cuocere a fuoco lento, senza che l’aglio prenda colore né l’olio bolla.
Mescolare piano e in continuazione con un cucchiaio di legno per ridurre tutto in poltiglia e lasciar cuocere, sempre
lentamente, per 10 minuti circa; poi unire il burro, mescolare sempre e, dopo altri 10 minuti di lenta cottura, portare in
tavola il tegame. Preparare le verdure: i cardi, i sedani, la verza, i finocchi e i topinambur si puliscono e si tagliano
perché nella bagna cauda vanno intinti crudi; le patate e le rape si fanno bollire, le cipolle si passano al forno; i
peperoni si possono utilizzare sia crudi che al forno.
Il rito: Forchette alla mano ci si deve radunare intorno al tegame come chiamati a parlamento. In una mano un biondo
pane grosso come quello di un tempo ad accompagnare la verdura intinta nella bagna cauda e gocciolante.
Un istante di sosta, ogni tanto, per un sospiro o una considerazione detta a bocca piena o per aiutarsi con un sorso di
buon vino.
L'appetito, è questa la meraviglia, rimane intatto, anzi eccitato ed in progresso. I contadini, inventori della "Bagna
Cauda", alla fine, per utilizzare l'eventuale restante intingolo, usano rompere dentro le uova e strapazzarle. Un finale da
olimpionici della tavola!

Il Marocco olivicolo diventerà un temibile concorrente, aumentano le superfici e


migliorano i frantoi.
Oltre il 50% dell’arboricoltura marocchina è olivo. L’attuale produzione nazionale
media, 50 mila tonnellate di olio d’oliva e 60 mila di olive da tavola, non riflette
tuttavia le potenzialità di una nazione in dinamico fermento.

Attualmente l’olivo costituisce la principale specie da frutto coltivata in Marocco con una superficie di
590.000 ettari (oltre il 50% della superficie arboricola nazionale). La sua coltivazione gioca un ruolo
socio-economico di primo piano nelle diverse zone agricole marocchine. Infatti l’attività agricola di
questo settore a livello nazionale dà vita a 15 milioni di giornate di lavoro, vale a dire 55.000 posti di
lavoro permanenti e di garantire l’approvvigionamento dei frantoi industriali e tradizionali
(rispettivamente 350 e 16.000), così come a una sessantina di industrie per la conservazione delle olive.

In Marocco l’olivo è coltivato in ambienti diversi, in regioni con condizioni climatiche di grande
variabilità, ad esempio le precipitazioni piovose vanno 800 a 1000 mm per anno al nord, fino a meno di
200 mm nel sud.

La produzione nazionale media (50.000 tonnellate di olio d’oliva e 60.000 tonnellate di olive da tavola)
non riflette tuttavia le potenzialità oleicole delle differenti zone agricole marocchine. La produzione
attuale di olio di oliva non arriva a soddisfare che il 16% della richiesta in materia di olio vegetale
alimentare.
Segnaliamo che il consumo di olio di oliva per abitante in Marocco è inoltre molto modesto, inferiore a
1 Kg per abitante. In Marocco la produzione di olio d’oliva è destinata al mercato interno ed a quello
internazionale. In annate di forte produzione, le esportazioni possono incidere fortemente sul totale della
produzione. Nel 2003-2004 ad esempio le esportazioni marocchine di olio di oliva hanno raggiunto
circa 30.000 tonnellate. Questa quantità è destinata ad aumentare nel futuro grazie agli accordi di libero
scambio firmati ultimamente dal regno del Marocco.

A complemento di quanto sopra si deve segnalare che il Marocco importa annualmente circa 330.000
tonnellate di olio vegetale alimentare per un valore di circa 2 miliardi di Dirhams. In alcune annate il
Marocco è indotto a importare olio di oliva per i bisogni nazionali, come pure olive destinate alla
conservazione. Da qui l’interesse che è accordato allo sviluppo del settore oleicolo, a mezzo di
sovvenzioni, appoggio statale ecc.

Per quanto riguarda l’assortimento varietale


marocchino, la struttura varietale è
comunemente considerata come limitata a una
sola varietà-popolazione chiamata Picholine
marocchina. Tuttavia le ricerche condotte
all’ENA di Meknès, con l’aiuto di marcatori
genetici e morfologici (Ouazzani et al.) hanno
permesso di individuare alcune antiche varietà
tradizionali (meslala, Bouchouika, Hamrani,
Fakhfoukha, Beri Meslal ecc) ed hanno messo
in evidenza dei tipi locali con caratteristiche
genetiche e morfologiche diverse sotto la stessa
denominazione di Picholine marocchina o
‘Zitoun Beldi’.

Si tratta di un caso di omonimia nella denominazione delle varietà di olivo coltivate in Marocco, alcune
varietà straniere hanno mostrato un migliore adattamento con delle prestazioni agronomiche
interessanti. Citiamo a titolo di esempio le varietà Frantoio, Arbequine, Koroneiki, Picual, carolea,
Picholina del Languedoc ecc.
Nel corso di questi ultimi anni si nota che la filiera oleicola marocchina è interessata da un dinamismo
importante sia per quanto riguarda l’estensione della superficie olivicola che la modernizzazione del
settore industriale della trasformazione. In alcune regioni, come ad esempio la regione del Meknès-
Tafilalet (antica capitale dell’olivo in Marocco), si è registrato in effetti uno sviluppo importante ed una
modernizzazione delle istallazioni industriali. Attualmente, con le ultime innovazioni tecnologiche, la
capacità di molitura delle olive è stata valutata a 6.000 tonnellate per giorno. Si è assistito così ad un
netto miglioramento della qualità dell’olio di oliva prodotto in Marocco.

Il problema si pone in termini di mancanza di materia prima da frangere che investe attualmente
numerosi programmi di sviluppo per la valorizzazione dell’esistente e lo sviluppo di una nuova
olivicoltura su moderne basi tecniche per il mercato locale e soprattutto mondiale, che presenta delle
opportunità molto interessanti per il Marocco. Questa è una delle sfide attuali della olivicoltura
marocchina.
Questi dati traducono abbastanza bene quelle che sono le interessanti opportunità di crescita della filiera
oleicola marocchina per la produzione di olio di oliva di qualità per il mercato locale e/o internazionale,
tanto più che alcune regioni agricole in Marocco presentano delle opportunità considerevoli per
trasformare le loro attività oleicole in un settore dinamico dello sviluppo economico e sociale e di
promozione delle esportazioni.

Abstract della lettura del Dr. Noureddine Ouazzani


Accademia dei Georgofili – Sezione Centro Ovest

di T N

Ingredienti:
2 polli
3 cipolle tagliate a fette
3 spicchi d’aglio schiacciati
1 cucchiaino di zenzero
un pizzico di zafferano
1 cucchiaio di succo di limone
sale
1 bicchiere d’acqua
2 limoni tagliati a fette
10 olive verdi

Preparazione:

Pulire e asciugare il pollo, salarlo, lasciarlo riposare per 2 ore, quindi pulire e asciugarlo di nuovo.
Cuocerlo con la pentola a pressione con cipolle, aglio, zafferano, zenzero, succo di limone, sale e acqua,
mescolare e coprire, quindi cuocere a fuoco medio fino a che il pollo sia pressoché cotto.
Aggiungere le fette di limone, olive e cuocere per 5 minuti a fuoco basso.
Presentare il pollo annaffiato con la salsa e decorato con olive e fette di limone.

La pianta d’olivo è una delle colture più tipiche dell’intero bacino del Mediterraneo. Nei
paesi che si affacciano sul Mar Nostrum si trovano circa 750 milioni di piante, pari al 95% degli
alberi d’olivo presenti in tutto il mondo. Nel Mediterraneo si produce il 99% dell’olio d’oliva
dell’intero pianeta.

Il significato di questa pianta e del suo frutto è ben spiegato dallo scrittore croato Predrag
Matvejevic nel suo Breviario Mediterraneo, splendida e impareggiabile antologia del Mare
Nostrum: “La produzione dell’olio non è solo un mestiere, è una tradizione. L’oliva non è solo un
frutto: è anche una reliquia”.

Quel che scrive Matvejevic vale in modo particolare per la Grecia. La Repubblica Ellenica è a
tutti gli effetti la patria dell’albero d’olivo e dei suoi frutti (olive e olio). L’olivo è nato in Grecia e
alla civiltà ellenica deve la sua affermazione e la diffusione nel Mediterraneo e in tutto il resto del
mondo.

La mitologia greca narra della creazione di questa pianta, facendo riferimento a una diatriba
tra Poseidone ed Athena i quali, volendo entrambi ottenere il diritto di edificare un proprio tempio
sull’Acropoli, offrirono due loro “invenzioni” originali a Zeus.

Ne uscì vincitrice Athena che inventò


l’olivo, rispetto a Poseidone che creò il cavallo.
Questo episodio della mitologia è rappresentato in
una scultura di Fidia, posta in origine sul frontone
occidentale del Partenone e oggi conservato al
British Museum di Londra.

Per ciò che concerne la storia, le prime


notizie relative all’albero d’olivo risalgono al
3500 avanti Cristo. Le prime coltivazioni sorsero
a Creta in tale periodo, quando stava muovendo i
primi passi la grande civiltà minoica. Grecia - Atene - il Partenone e davanti l’ulivo di Atena
L’albero d’olivo più antico si troverebbe proprio a Creta, precisamente a Pano Vouves, nei
pressi di Chania. Intorno al 2000 avanti Cristo, la coltivazione dell’olivo si era ampiamente
affermata a Creta, divenendo un pilastro dell’economia cretese. Dall’isola di Minosse l’olivo fu
esportato nella Grecia continentale e in tutto il bacino del Mediterraneo. Sono stati gli antichi greci
a diffondere nel Mare Nostrum questo albero.

Nell’antichità, l’olio d’oliva era utilizzato, oltre che come cibo, per altre funzioni. L’olio era
ampiamente usato in medicina perché utile per molti tipi di cure. Ippocrate, il più grande medico
dell’antichità, lo usava sistematicamente i suoi pazienti. Oltre alla medicina, l’uso dell’olio era
largamente diffuso come cosmetico e per rituali sacri.

Oltre alla storia e alla mitologia, anche ai giorni nostri l’olio d’oliva è un prodotto di notevole
importanza per la Grecia, con una valenza significativa di natura economica, sociale e culturale.
Dal punto di vista quantitativo, la Repubblica Ellenica è il terzo produttore al mondo dopo Spagna e
Italia, con una produzione annuale che si aggira sulle 430mila tonnellate.

Nella stagione 2005 in Grecia, come in tutto il Mediterraneo, vi è stato un calo nella
produzione complessiva, ma in modo meno marcato rispetto gli altri paesi produttori. Si stima che
la raccolta del 2005 sia stata inferiore, in media, del 30% rispetto al 2004. Secondo dati del
Ministero degli Esteri di Atene, sono ben 120 milioni gli alberi d’olivo in terra ellenica.

La coltura dell’olivo si espande su un totale di 600mila


ettari e sono oltre duemila le aziende operanti nel settore, perlopiù
di piccole dimensioni e a conduzione familiare. Considerando
anche l’indotto, l’industria olearia coinvolge ben 450mila
famiglie.

Le regioni della Repubblica Ellenica dove l’olivo è


maggiormente radicato sono tre: Creta, Peloponneso e Grecia
Centrale. Le prefetture greche che si collocano ai primi posti per
la produzione dell’olio d’oliva sono Heraklion (Creta) e Messinia,
la provincia del Peloponneso che comprende Kalamata, località
conosciuta nel mondo per le sue celebri olive scure (Calamon).

Sotto il profilo della qualità del prodotto, la Grecia è


primatista indiscussa a livello mondiale nel comparto dell’olio
extravergine. Tale denominazione indica la categoria più pregiata
di olio in assoluto, contraddistinta dal fatto che il tasso di acidità
deve essere inferiore a 1%.

L’olio d’oliva prodotto in Grecia, secondo il parere degli


esperti, si distingue per il suo sapore particolare, essendo assai
ricco di sostanze organolettiche e vitamine. Ciò è riconosciuto
anche dalle Direttive dell’Unione Europea, che hanno stabilito
che la Grecia è zona di raccolta di alta qualità, idonea a conferire
la ‘Denominazione di Origine Protetta’ (DOP). Il livello
qualitativo eccellente dell’olio di Grecia è confermato dai molti
riconoscimenti ottenuti dai prodotti ellenici a livello
internazionale.

Nel Febbraio 2005, ad Amburgo, la giuria dei “mastri d’olio” appartenenti a quattro paesi
(Italia, Spagna, Grecia, Germania) ha attribuito a un olio di produzione ellenica, il titolo di miglior
Olio d’oliva Extravergine, nella serie Kolymbari DOP. Tale marchio si è imposto fra 500 campioni
partecipanti da tutto il mondo.

La Grecia è il paese col più alto consumo di


olio pro capita: oltre 16 chilogrammi annui per
persona, di gran lunga superiore a Spagna e Italia. A
Creta il consumo medio annuo di olio d’oliva pro
capita raggiunge quota 30 chilogrammi per persona.
Studi scientifici sostengono che l’ottimo stato di
salute di cui godono i greci dipende anche dal largo
consumo di olio d’oliva, elemento naturale e
determinante per il benessere fisico. Non a caso,
l’olio d’olivo è un pilastro della dieta mediterranea,
sinonimo di alimentazione salutare.

L’incidenza dell'olio d’oliva nell’economia


ellenica è notevole e sta assumendo un peso crescente, come viene riconosciuto da tutti gli organi di
governo. Il ministero dell’economia, nella relazione annuale presentata nel mese di settembre del
2005, ha menzionato l’olio d’oliva al primo posto come emblema dei prodotti greci di alta qualità.

In effetti, a livello politico l’olivo e la sua coltivazione hanno rappresentato una priorità dei
governi ellenici a partire dal secolo XIX. Sono stati moltissimi i sussidi erogati a favore di tale
coltura e questo spiega perché la Grecia, a dispetto delle dimensioni ridotte, si ponga oggi ai primi
posti nel mondo sia per la quantità prodotta sia per il livello avanzato delle tecnologie utilizzate.

A testimonianza di un valore sociale e culturale ragguardevole, in Grecia vi sono alcuni musei


dedicato all’olivo e all’olio. Il più importante di questi è il “Museo dell’oliva e dell’olio d’oliva
greco”, che si trova a Sparta (Peloponneso).
Altri musei sono presenti a Kapsaliana Arkadi (Creta) e nell’isola di Andros, nell’arcipelago
delle Cicladi. Scopo di questi musei è di promuovere la cultura dell’olivo, fornendo informazioni
riguardanti la coltivazione di questa pianta in tutta la Grecia.

L’olio prodotto nella Repubblica Ellenica sta conoscendo un crescente successo a livello
internazionale, in particolare nel mercato italiano. Secondo dati resi noti dall’ufficio di Atene
dell’Istituto per il Commercio Estero (ICE), nella nota congiunturale novembre 2005, tra gennaio e
giugno dello scorso anno il volume delle esportazioni di olio d’oliva ellenico verso l’Italia era stato
pari a € 118 milioni.

Questa cifra segna un incremento del 330% rispetto al medesimo periodo dell’anno 2004, che
aveva segnato un record negativo con una quota di vendite di appena € 28 milioni. Il dato del 2005
è comunque ragguardevole anche se comparato al 2003, che registrò vendite per un totale di € 71
milioni. Complessivamente, gli introiti derivanti dalle vendite dell’olio d’oliva nel mercato italiano
rappresentano il 16,9% del totale delle esportazioni greche verso l’Italia, con un’incidenza
percentuale più che tripla rispetto al 2003 (5,8%) e al 2004 (4,5%).

Circa metà della produzione complessiva greca viene assorbita dal mercato italiano. In Italia
l’olio ellenico, oltre ad essere venduto come tale, viene mescolato con gli oli locali per migliorare la
loro qualità. Visto l’incremento registrato nel 2005, in prospettiva futura l’olio greco potrebbe
acquistare ulteriori quote di mercato nel Bel Paese.

Tratto dal sito: www.terragrecia.it


Ingredienti per 4 persone:
8 pomodori
1 cetriolo da insalata
1 confezione d’acciughe
2 cipolle
200 grammi di formaggio pecorino fresco
1 confezione di olive nere
olio d'oliva extravergine
una presa di maggiorana
succo di limone
sale
pepe nero

Preparazione: Lavate e tagliate i pomodori (a spicchi) e il cetriolo (a fettine sottili), sbucciate le cipolle e
tagliatele ad anelli. Prendete le olive, il formaggio (tagliato a dadini) e le acciughe (tagliate a pezzetti)
mettetele in un recipiente assieme ai pomodori, il cetriolo e le cipolle. Preparate adesso il condimento
sbattendo in un recipiente l’olio con il succo di limone aggiungete un pizzico di sale, del pepe nero e una
presa di maggiorana. Condite con questa salsa l’insalata e servite.

Per mezzo dei giovani l’Albania è aperta ai cambiamenti e alla crescita. A Valona e Tirana i più
importanti distretti olivicoli, ma per ora la quota di extra vergine rappresenta solo il 10 per
cento dell'olio prodotto nel Paese

L’Albania – Shqipëria, Paese delle aquile – è un Paese straordinario e altrettanto straordinaria è la sua
gente, accogliente e cordiale. È coinvolgente la tenerezza con la quale ti avvolge, sia che essa
scaturisca nel cuore della caotica città di Tirana sia che fluisca dagli immensi boschi di ulivi, dalle
loro chiome sempreverdi o dal vento che riecheggia suoni antichissimi, scanditi dall’orgoglio e
dall’umiltà, dall’amore per la fertile terra rossa o dalla fierezza del popolo che la coltiva.

L’ospitalità della gente che abbiamo avuto fortuna di incontrare è paragonabile solo alla silenziosa
gentilezza con la quale un ulivo secolare ti accoglie sotto la sua poderosa chioma.
L’Albania è geograficamente un paese europeo e la mentalità della gente, specialmente dei giovani, è
aperta ai cambiamenti e alla crescita.

Il primo impatto con l’olivicoltura in Albania dà l’impressione che il Paese possieda una forte volontà di
progredire, di allinearsi al passo degli altri Paesi olivicoli del Mediterraneo, ma che nello stesso tempo
sia ancora fortemente imbrigliato nella tradizione e nelle difficoltà di poter avanzare tecnologicamente.

La coltivazione dell’ulivo è radicata nella cultura e nella tradizione agricola albanese dai tempi più
antichi. L’olivicoltura è presente principalmente nelle zone collinari e nella riviera adriatica e jonica dal
Nord al Sud, da Scutari fino a Saranda.
La storia dell’olivicoltura albanese è disseminata di alterne vicissitudini con periodi di crescita e periodi
di cocente regressione.

I distretti olivicoli più significativi sono quelli di Valona, che è il distretto con il maggior numero di
piante (550.000), e di Tirana (280.000 piante), distretto economicamente e organizzativamente più
importante, dove hanno sede le istituzioni e i ministeri preposti allo sviluppo dell’agricoltura e in
particolare dell’olivicoltura.
Nel 2004 sono state censite in Albania 4.100.000 piante delle quali 3.400.000 in produzione. Nello
stesso anno il Paese ha prodotto 4.000 tonnellate di olio da olive, ne ha esportate 4 e importate 820
tonnellate.

L’olivicoltura albanese ha notevoli potenzialità di sviluppo, ma ha soprattutto un estremo bisogno di


crescita qualitativa. Un dato per tutti: soltanto il 10 % dell’olio che si produce in Albania è di qualità
extra vergine. La maggior parte dei consumatori rifiutano l’extra vergine per due ragioni: il gusto e il
prezzo. Quindi è un problema di mentalità, di educazione al gusto, ma soprattutto di acculturazione.
Tuttavia anche il problema del prezzo non è da sottovalutare, tutt’altro.

In Albania ci sono circa 130 linee di trasformazione delle olive (leggi frantoi), tutte di marca
italiana. Ma pochi frantoiani sono capaci di produrre olio extra vergine. Il 65% della produzione è
vergine (“vergine comune” dicono gli albanesi) e viene pressoché tutto assorbito dal mercato
interno.

Nonostante sia questa la mentalità più diffusa e radicata, ci sono però persone consapevoli, che
ragionano in termini inversi: se l’Albania vuole entrare nel mondo olivicolo mediterraneo deve
cambiare marcia. Sintomi tangibili di questo risveglio sono già riscontrabili nel tessuto degli
olivicoltori albanesi.

L’olivicoltura in Albania è ancora lontana dai parametri con i quali normalmente misuriamo
l’olivicoltura negli altri Paesi mediterranei. Si sta però attuando una forte inversione di tendenza
promossa da singole persone, supportate dal Ministero dell’agricoltura e dalle varie associazioni
estere. Questa azione, però, ha ancora effetti molto deboli sulla massa critica rappresentata dagli
olivicoltori, che sono tuttora vincolati alla tradizione e al modo antico di produrre olio da olive.

Ci vorrebbero più mezzi finanziari e soprattutto sarebbe necessario un articolato programma di


sistematici interventi teorici e pratici da attuare a tappeto almeno in quelle zone dove la dedizione
all’olivicoltura è più massiccia.

In Albania ci sono alcune varietà autoctone dell’ulivo come l’ulivo bianco, l’ulivo nero, il kryps,
l’ulivo nero, gjykats, l’ulivo boc che andrebbero scientificamente analizzate, tutelate, promosse e
diffuse al fine di individuare un olio “albanese” e creare così un’identità oleica. In questo modo si
andrebbe a rafforzare quell’identità olivicola che in Albania è abbastanza radicata, ma poco
enfatizzata.

I contatti degli operatori albanesi all’avanguardia con le realtà olivicole mediterranee più progredite
sono troppo sporadici, pertanto l’olivicoltura in questo Paese andrebbe sostenuta anche per questo
verso.
Probabilmente andrebbe incentivata anche l’istituzione di un organismo di collegamento fra le
singole realtà olivicole (del tipo “Città dell’olio” in Italia) per razionalizzare lo sforzo promulgativo
del settore, per creare sinergie organizzative in tema di convegni, manifestazioni e altre iniziative
atte a promuovere l’olivicoltura, ma soprattutto atte a elevare il livello di qualità dell’olio prodotto.

Negli operatori albanesi abbiamo incontrato tanta passione, tanto entusiasmo, tanta volontà di
crescere e progredire. Ne hanno tutte le prerogative per farlo; sarebbe più che un atto di solidarietà
poterli aiutare e sostenere nelle loro aspirazioni. D’altro canto l’Albania ha una storia millenaria alle
spalle e un grande patrimonio culturale; ciò è di primaria importanza per un Paese in via di sviluppo
e si traduce in una consapevolezza molto importante – conservare le proprie radici, coltivarle e
gratificarle, per conservare un’identità propria in un mondo che ormai si sta inesorabilmente
globalizzando.

Di Boris Pangerc
Ingredienti per 1 persona:
yogurt grasso (quello greco va bene) 50 g
1 cucchiaino d’olio extravergine d’oliva
mezzo cetriolo
salsiccia piccante con finocchietto 50 g
sale q.b.
pepe q.b.
olive nere a piacere

Preparazione:
Mischiare lo yogurt con l’olio, il sale e il pepe. Aggiungere una parte del cetriolo tagliato a spirale o a fettine
sottili. Rosolare la salsiccia (o passarla sulla piastra). Preparare un piatto da portata mettendo lo yogurt al
centro, intorno le salsicce e qualche strisciolina di cetriolo avanzato. Sopra lo yogurt aggiungere un altro
cucchiaino d’olio. Decorare con olive nere.
NB: è meglio servire il piatto con le salsicce ancora calde (eventualmente passarle in forno prima di servire i
piatti).

La maggior produttrice del mondo


Il Monte Testaccio di Roma è un cumulo di macerie: quaranta milioni di anfore di terracotta di
epoca imperiale – con tanto di nome del produttore, anno di produzione, qualità dell’olio – quasi
esclusivamente provenienti dalla Betica, l’attuale Andalusia. L’olio betico non raggiungeva solo
Roma e le province europee dell’Impero, ma si spingeva perfino in Africa.

E ancora oggi, l’olio spagnolo è il primo al mondo: per


produzione ed esportazione. Il patrimonio olivicolo spagnolo
comprende oltre 2 milioni di ettari e più di 287 milioni di olivi.
Tutta la Spagna è coperta di oliveti, dalla Castiglia
all’Estremadura, ma il cuore della produzione è l’Andalusia, che
possiede il 60% della superficie olivata. Le migliori espressioni
vengono dagli oli di Baena e Sierra de Segura, nella provincia di
Jaén (la più importante zona produttiva della nazione insieme a
Córdoba).

Tuttavia, va detto, la cultivar andalusa più diffusa – la


Picual – generalmente non dà grandi oli. Si tratta piuttosto di
prodotti che si distinguono per l’acidità bassa (0,5) e, grazie a
questa caratteristica, perfetti per i tagli e richiesti dall’industria
Cultivar Arbequina di tutto il mondo (in particolare da quella italiana). Certo, non
mancano le eccezioni: esistono anche oli di Picual di buona
qualità. In questo caso il fenolico (tipico aroma varietale, tra il medicinale e la pipì di gatto) è più
aggraziato ed è accompagnato da profumi di frutta (in particolare da note di melone).

Resta il fatto che la Picual non è una grandissima


cultivar: d’altronde la stessa Andalusia sta puntando su altre
varietà, come l’ottima Arbequina (diffusa in Aragona e in
Catalogna, dove si producono piccoli quantitativi di oli
freschi, eleganti, con toni di mandorla dolce e un lievissimo
piccante finale). La ricchezza dell’olivicoltura spagnola è anche un patrimonio di diversità: sono
sette le Dop (Baena, Les Garrigues, Sierra de Segura, Siurana, Priego de Córdoba, Sierra Mágina,
Montes de Toledo) e circa 262 le varietà identificate.

Oltre la preminente Picual e l’ottima Arbequina, è apprezzato l’olio delicato e fruttato (ma di
bassisima stabilità) della Blanqueta, inquilina degli oliveti di Alicante, Valenza e Murcia; hanno
buone caratteristiche organolettiche la Cornicabra – seconda varietà spagnola per superfic ie
coltivata – l’Empeltre (dominante in Aragona e nelle Baleari), la Hojiblanca (oliva a duplice
attitudine diffusa in Andalusia, dà oli molto profumati e apprezzati), la Picudo, la Morrut, la
Sevillenca, la Farga e la Verdial…

Con tanto ben di dio, gli spagnoli, incredibilmente, comprano moltissimo olio di oliva (l’80%
sui 10-12 kg di consumo totale pro capite), molto olio di semi (di girasole e in seconda battuta di
soia) e pochissimo extravergine. E in tavola è ancora frequente trovare perfino l’olio di sansa.

Tratto dal sito: www.slowfood.it

Ingredienti:

1 kg di grosse olive nere


250 g di cipollotti
olio
aceto
sale
Paprika
origano in polvere
aglio tritato

Preparazione:

Lavate le olive in acqua fredda e asciugatele con molta cura. Mettetele in una insalatiera di ceramica.
Aggiungete i cipollotti puliti, lavati e tagliati a pezzi. Condite con olio, paprika, aceto e sale a piacere.
Mescolate bene. Spolverizzate con origano in polvere e aglio tritato. Amalgamate bene tutti gli ingredienti e
lasciate riposare in un luogo fresco per 1 ora prima di servire.

Lavoro a cura del CTP di Casale Monferrato - AL

Cultivar
Indice

L’ulivo e la bellezza del corpo.................................................p. 2

Il Museo del sapone di Sidone.................................................p. 3

L’ulivo e la salute del corpo.....................................................p. 5

L’ulivo tra medicina e magia nella nostra tradizione...............p. 8

L’ulivo nella floriterapia..........................................................p. 11

L’ulivo e il piacere dello spirito…………………………...… p. 12

L’ulivo e l’olio presso i vari popoli..........................................p. 25

L’ulivo e l’olio nella Bibbia.....................................................p. 27

I proverbi..................................................................................p. 30

Ricette......................................................................................p. 31

L’olivo nei paesi del Mediterraneo:


 L’olivo in Monferrato.....................................................p. 32
 L’olivo in Marocco.........................................................p. 38
 L’olivo in Grecia.............................................................p. 40
 L’olivo nel paese delle aquile.........................................p. 43
 L’olivicoltura in Spagna.................................................p. 45

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