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1. L’INTERPRETAZIONE FREUDIANA
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ma non vuole assolutamente perdere l’affetto da parte dell’altro genitore quindi ricorre alla sua
identificazione.
Per quel che riguarda Leonardo da Vinci, Freud esaminò le notizie relative alla vita del grande
genio, che era stato un figlio illegittimo e che ad una certa età, era stato adottato dal padre (che
nel contempo aveva sposato una donna diversa dalla madre del proprio figlio). Partendo da
questi dati, Freud giunse alla conclusione che la spinta continua alla ricerca e la mancanza di
vita sessuale, potessero essere spiegate con il meccanismo della sublimazione dell’esplorazione
sessuale infantile che era stata repressa, trasformata poi in brama di ricerca.
Poi, per confermare la sua elaborazione, Freud riporta un ricordo che Leonardo stesso riconduce
al periodo neonatale. Si tratta del famoso episodio del nibbio che con la coda apre la bocca di
Leonardo lattante e la percuote con la coda stessa. A questo punto Freud arriva ad una
interpretazione che, procedendo dalla simbologia coda = pene, attraverso poi la suzione (tipica
del lattante) e la rilevazione che tra gli antichi egizi la dea-madre veniva indicata con
l’avvoltoio, si conclude con l’individuazione della difficoltà di identificazione della figura
(assente) paterna. Le conseguenze psicologiche di tutto questo avrebbero trovato, appunto, una
forma di sublimazione nella conoscenza. Egli fondava così il primo metodo di analisi dell’opera
artistica che consiste nel risalire (anche con l’aiuto di testimonianze storiche e documenti
storico-biografici) dall’opera alla personalità dell’artista (una “patografia” dello stesso) e quindi
comprendere la prima attraverso la seconda.
Quello che invece possiamo ritenere come il secondo metodo consiste nell’interpretare pensieri,
sogni, sentimenti e azioni appartenenti a personaggi e vicende descritti da opere letterarie o
artistiche trattandoli come casi clinici o comunque riferiti a persone reali (esempio della Gradiva
di Jensen). Il protagonista del romanzo “Gradiva” è un giovane archeologo che è affascinato da
un bassorilievo marmoreo che rappresenta una fanciulla, alla quale egli attribuisce il nome di
“Gradiva” (“colei che avanza”) proprio per quel particolare passo leggero che rappresenta. Egli,
mosso da un desiderio ardente che è diventato ossessione, parte alla ricerca delle sue tracce e
arriva a Pompei, dove incontrerà, viva, l’inconfondibile Gradiva del bassorilievo, che, con il suo
tipico passo, gli si avvicina e gli parla. In realtà si tratta di una antica amica d’infanzia, la cui
attrazione e la cui immagine egli aveva “rimosso” e che aveva “trasferito” nella Gradiva. Il
passato sepolto che rivive e si manifesta ora nella nuova “Gradiva” viva e reale, diviene una
efficace metafora del percorso conoscitivo che, attraverso la relazione psicoanalitica, viene
modificato e trova soluzione.
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di persone in qualche forma”. Per Jones, dunque, la caratteristica precipua della creatività
artistica è riproporre nei più vari modi (libro, scena teatrale, quadro, ecc) i problemi ed i
conflitti che angustiano, da sempre e per sempre, la mente e il cuore dell’umanità.
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Partendo da questa ipotesi, Rank si immerge nel mondo delle rappresentazioni artistiche, dei
miti, delle favole e leggende, rintracciando ovunque i segni di infinite variazioni di un solo
tema: il legame con la madre. L’artista che si libera, attraverso la sublimazione, del trauma della
nascita e riesce a vincere il complesso edipico, perviene all’autonomia e diventa egli stesso
creatore di miti. Rank propone una differenza tra l’uomo creativo e la persona normale, tra
l’eroe e l’uomo qualunque. Il primo è caratterizzato da una disperata volontà di ricerca che non
trova mai pace e compimento. Il secondo da una placida, sazia, passività: le due facce
dell’uomo, in linea con l’ipotesi freudiana, guardano, come Giano bifronte, verso orizzonti non
solo diversi, ma anzi, contrapposti:calvinisticamente, per così dire, solo pochi avranno il
doloroso privilegio di “crescere” e “creare” .
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Freud sostiene che tra il poeta e il nevrotico ci sia differenza: il poeta detiene il controllo delle
sue fantasie, il nevrotico ne è posseduto.
2. L'ipotesi junghiana
Carl Gustav Jung: la "numinosità" degli archetipi
La visione di Jung si diversifica da quella di Freud essenzialmente in una direzione psico-
antropologica: “In sostanza lo studioso di psicologia ha diretto, sino ad ora, il suo interesse
verso l’analisi dei problemi psicologici individuali. Ma nello stato attuale delle cose, a me pare
che si faccia sentire l’esigenza di ampliare l’analisi dei problemi individuali inglobandovi
materiale storico”.
Jung critica in Freud quello che è, secondo lui, un causalismo riduttivo attribuendo un
significato
radicalmente diverso all’inconscio, considerandolo non soltanto un sistema di risposte, un
sistema che reagisce a situazioni esterne, a pensieri consci, a rappresentazioni consce, ma che
esso stesso può produrre qualcosa di nuovo, senza alcun motivo esterno o biografico.
Contrariamente all’idea comune che cerca una spiegazione causale (cioè razionale) dei
fenomeni, Jung afferma che si deve ricercare, dei fenomeni, il significato (o, come si potrebbe
anche dire, il fine). Quindi, a proposito di qualcosa che è accaduto, ci si deve chiedere non qual
è la causa, ma a qual fine è accaduto.
Jung riteneva che i miti fossero fondamentali e che non fosse possibile negarne l’importanza o
viverne senza, chi pensa di poterlo fare è:“un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto
con il passato, con la vita degli antenati (che pure continua in lui)e con la società umana del suo
tempo. Egli vive una vita a sé, irretito in un’idea fissa soggettiva escogitata dal suo intelletto e
ch’egli ritiene essere la verità di recente scoperta”.
Nell’uomo permangono tracce mnestiche derivate non dalle esperienze quotidiane ma dalla e
sedimentazione delle esperienze dei grandi eventi ciclici che hanno segnato la crescita e
l’evoluzione dell’uomo, trai quali, ad es: il succedersi delle stagioni, il sorgere e il tramonto del
sole e quindi il succedersi di luce e oscurità, le fasi lunari, ecc.
L’uomo non ha ereditato una somma di esperienze personali specifiche, ma la forma del pensare
e dell’esperire che si è impressa nel cervello attraverso le esperienze che si sono ripetute infinite
volte nel passato dell’umanità. Le tracce dell’esperienza arcaica di questo nostro passato
ancestrale sono rintracciabili nei miti e nelle leggende, che proprio per questo, hanno forti
somiglianze in ogni tempo e in ogni luogo. Esse si spiegano presupponendo che nella psiche
inconscia operino processi nucleari impersonali.
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determinato, più o meno direttamente, dagli archetipi, quanto piuttosto l’espressione di una
possibilità di incontro tra le strutture archetipiche (che danno ragione con la loro presenza
dell’universalità del messaggio dell’individuo creativo) e la capacità processuale, da parte
dell’artista, di trasformarsi.
La concezione di Neumann a proposito dell’attività creativa rimanda ad un’immagine dialettica
della stessa, intesa non più come sublimazione di impulsi distruttivi, ma come, viceversa,
capacità di accettazione e controllo di una tensione alla quale normalmente l’individuo cerca di
sottrarsi ma che, invece, l’artista accetta: la tensione degli opposti. Tali opposti sono tutto ciò
che rimanda a conscio e inconscio, mondi che l’individuo creativo “alimenta” evitando che
l’uno abbia il sopravvento sull’altro, pena da una parte l’adesione conformistica ai canoni
culturali, o, all’opposto, la sconfitta nella malattia mentale.
E’ importante notare che per Neumann la trasformazione è un processo naturalmente presente in
ogni uomo: “uno sviluppo normale è contraddistinto da una serie di trasformazioni che
avvengono con l’aiuto e la guida di dominanti archetipiche” (L’uomo creativo e la
trasformazione) Nell’uomo creativo, poi, si realizza in massimo grado, quello che si realizza, sia
pure in misura ridotta, nell’individuo normale.
Tuttavia, pur ammirando l’uomo creativo, Neumann non ne fa un “privilegiato” della natura
umana, una “anima bella” di estrazione romantica in cui, per una sorta di misterioso miracolo.
L’impulso e il valore, il desiderio e la forma si collegano armoniosamente. Per Neumann l’uomo
creativo è esposto più che mai alla forza distruttiva dell’inconscio personale, alla dilaniante
voracità dei complessi. L’uomo creativo sembrerebbe avere al suo attivo una straordinaria
capacità di sopportare la tensione provocata dal complesso. Il che implica anche una
straordinaria forza dell’Io. Solo che questa forza non è impiegata per evitare la conflittualità, ma
per sopportarla come terreno fecondo di ogni possibile sintesi. Il compito dell’uomo non è
quello di raggiungere un Io che annulli l’inconscio ma un’istanza che permetta una continua
dialettica e sempre nuove sintesi tra l’inconscio e coscienza.
Normalmente l’individuo è portato ad una perdita della tendenza alla totalità a favore di uno
sviluppo dell’Io che viene indirizzato dai canoni culturali e dalla coscienza sotto forma di Super-
Io della tradizione dei padri e di coscienza introiettata.
“Al contrario, l’uomo creativo è, fin dall’inizio, fortemente caratterizzato dal fatto che egli non
abbandona la via che lo condurrà alla totalità del Sé per raggiungere l’adattamento alla realtà
ambientale e ai suoi valori dominanti. Come l’eroe del mito, l’uomo creativo si contrappone al
mondo dei padri, cioè al mondo dei valori dominanti, perché in lui il mondo archetipico e il Sé
che lo governa sono esperienze così travolgenti, vive e dirette che non possono essere rimosse.
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L’uomo normale viene liberato dal suo compito eroico dall’educazione istituzionale a
identificarsi con l’archetipo paterno; egli diventa così un membro perfettamente inquadrato nel
gruppo a cui appartiene e che è diretto in modo patriarcale. Di contro, nell’uomo creativo con il
suo prevalere dell’archetipo materno, l’Io, oscillante e incerto, deve imboccare da solo la via
archetipica esemplare dell’eroe: uccidere il padre, detronizzare il mondo convenzionale dei
canoni che gli sono stati tramandati, e cercare un’istanza che lo diriga oscuramente, il Sé
difficilmente conoscibile, l’ignoto padre divino”.
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con sé un senso di impotenza e di crescente consapevolezza del proprio potere luminoso… è più
umana e più potente del suo possessore. Questi, in realtà, corre sempre il rischio di essere
posseduto. Operando come coazione, la forza è sempre eccessiva.
E’ una possessione che può prendere varie forme. Modelli archetipici ai quali l’esperienza
creativa può aderire in momenti diversi, e che possono combinarsi o contaminarsi: la saggezza
del senex che mette ordine nel caos. La giocosità irresponsabile del puer che cerca e sfida
fiduciosamente l’ignoto. La sregolatezza del ribelle o del folle: ombra, distruzione, morte.
L’audacia laica di Prometeo che ruba i segreti della natura, scoprendo e inventando.
È il successo che premia l’ambizione e lascia l’individuo intrappolato nel mito che ha creato per
se stesso. E’ la grande madre che accoglie e rigenera. E’ il femminile sensuale, immaginativo,
stravagante, sensibile all’esperienza estetica. La bellezza, per Hilgard come per Poincaré, è
fondamentale: quando siamo toccati, mossi e aperti all’esperienza dell’anima, scopriamo che ciò
che vive in essa non soltanto è interessante e significativo, necessario e accettabile, ma è anche
attraente, amabile, bello.
È dunque l’anima quella che trova il senso delle cose, che interiorizza eventi come esperienze,
che si comunica nell’amore, che ha un’ansia religiosa e un rapporto speciale con la morte, e che
realizza la possibilità immaginativa insita nella nostra natura, il fare esperienza attraverso la
speculazione riflessiva, il sogno, l’immagine e la fantasia.
Hillman considera la creatività degli stessi Freud e Jung: fatta di visioni fertili, vite produttive e
scoperte. Per uno psicologo, essere creativo significa corrispondere al proprio destino scegliendo
di fare anima, e mettendo in gioco la propria per guidare l’altro a riconoscere la sua.
Ma, poiché all’uomo è richiesto di amare la sua anima, e poiché l’anima diventa psiche
attraverso l’amore, è il mito di Eros e Psiche a poter diventare centrale per una psicologia
creativa quale è oggi davanti a noi..esplicita, emotiva e umana.
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sofferenza e difficoltà, ha provato la povertà, anomalie della vista e dell’udito, talvolta è stato
viziato in un modo o nell’altro, respingendo da sé un forte senso di inferiorità. Egli deve lottare
con ambizione furiosa contro una realtà troppo stretta, per donare qualcosa di più a se stesso e
agli altri”.
I capolavori che escono da questa forza creativa, permetterebbero all’individuo di attribuire un
senso alla vita e di creare un ponte tra eredità e ambiente. Ne deriva che “gli artisti sono tali per
la particolare forza di reazione agli eventi che hanno vissuto come limitanti”.
Il sentimento di inferiorità
Adler attribuisce al sentimento di inferiorità un significato ed una possibilità operativa ben
diversi dalla connotazione generalmente negativa che attualmente si tende ad attribuire a tale
termine. Per Adler il sentimento di inferiorità ha un profondo valore propositivo in ambito non
solo ontogenetico ma anche filogenetico.
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4. II modello kleiniano
Melanie Klein: la "posizione depressiva" come fonte di creatività
Melanie Klein, partendo dalle posizioni schizo-paranoide e depressiva, interpreta quest’ultima
come fonte di creatività. L’Io infantile si trova davanti alla sua ambivalenza affettiva e al
compito di ricostruire l’oggetto buono, amato, danneggiato e perduto sul piano fantasmatico, a
causa degli impulsi aggressivi del soggetto. Se lo sviluppo procede in maniera equilibrata e con
affetti positivi costanti da parte dei genitori, aumenta la fiducia del bambino nelle proprie
capacità di ricostruire e rigenerare l’oggetto buono, e gli risulta possibile compiere sempre più
riusciti tentativi di riparazione, in quanto viene accresciuta la fiducia nel riconoscere la parte
buona della realtà. Questo porta a superare le ansie depressive e a meglio tollerare l’ambivalenza
e l’alternanza tra istinti aggressivi ed affetti positivi. La spinta a riparare l’oggetto si attua in
forme adeguate proprio attraverso la produzione creativa.
Viceversa, se il bambino ha poca fiducia nella propria capacità di ricostruire l’oggetto, questo
viene percepito come irrimediabilmente perso e restano i sentimenti di colpa, di abbandono e di
persecuzione e quindi un’ansia generalizzata da cui si può difendere solo ricorrendo a rigidi
meccanismi di difesa: la nevrosi.
La creatività, intesa come produttività di tipo artistico, svolge un importante ruolo sostitutivo dei
meccanismi di difesa e dà inizio ad una più equilibrata struttura di personalità. “La creatività
dell’artista fa largo uso dei simboli che, quanto più servono ad esprimere i conflitti tra amore e
odio, tra distruttività e riparazione, tra istinto di vita e di morte, tanto più si approssimano ad una
forma universale”. “Solo se nell’infanzia la formazione del simbolo è in grado di svilupparsi con
tutta la sua forza ed in tutta la sua varietà e se non è ostacolata da inibizioni, allora l’artista
adulto può fare uso delle forze emozionali che sono alla base del simbolismo. Se la formazione
del simbolo è particolarmente abbondante, contribuisce allo sviluppo del talento e perfino del
genio”.
La Klein precisa che ciò che è tipico per l’artista, anche se in misura minore e in modi diversi,
vale un po’ per tutti: infatti i bambini ricorrerebbero al disegno e alla pittura con l’intento di
restaurare ciò che prima è stato distrutto. Quindi il fenomeno creativo non viene più visto come
esclusivo, ma come un momento di crescita individuale e di sviluppo, messo in atto per risolvere
le complicate dinamiche dei primi anni di vita di ognuno.
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Milner afferma che man mano che progredisce la crescita, il bambino impedisce alla sua
percezione del mondo di diventare fissa. L’essere umano che si sviluppa può deliberatamente far
nascere in se stesso delle illusioni su quanto vede accadere. Il processo creativo può avvenire tra
il sentimento oceanico e lo strato più intellettuale e consapevole della mente, quello che
mantiene i contatti con la realtà. All’analisi di quella che viene considerata la funzione primaria
dell’arte, la Milner dedica un libro. L’autrice ricorda che il suo piacere di dipingere veniva, fin
da bambina, limitato dall’incertezza circa ciò che il pittore debba realmente proporsi di fare. Il
pittore principiante deve rinunciare al bisogno emotivo di imprigionare rigidamente ogni oggetto
entro se stesso. La milner definisce quale sia la funzione primaria dell’arte: “un mezzo con cui
raggiungere la fusione di soggetto e oggetto. L’artista è colui che crea nuovi simboli per dar vita
al sentimento che crea nuove strade per rendere conoscibile la vita interiore per far partecipare
anche altri alle proprie esperienze.
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Joan Rivière e Adrian Stokes: la paura del "mondo interno" e l'importanza della fonna
Riviere si è occupata della rilevanza del mondo interno. Secondo la studiosa, nel nostro mondo
interno sono presenti delle figure interne dotate di vita propria e indipendente sia dalla realtà
esterna che dalla nostra coscienza. Per Riviere la creazione poetica dipende dal rapporto buono
con il mondo interno. Per Stokes, nella forma si realizza la fusione tra le esperie4nze passate che
l’artista ricrea, e la tensione verso l’unicità dell’oggetto intero come somma di attributi in
contrasto. Egli rileva un’analogia tra l’arte e la condizione di innamoramento. Nella forma,
pertanto, convivono eros e thanatos.
creatività. La Smirgel rileva, dai suoi casi clinici, che gli individui creativi presentano disturbi
somatici che arrivano fino alla depersonalizzazione. L’Io di questi soggetti sarebbe maturato
troppo precocemente, in seguito a frustrazioni e traumi psichici intensi che hanno interrotto
troppo presto la fusione primaria con la madre. Con l’attività creativa, questi soggetti colmano
autonomamente le mancanze provocate da altri, senza dipendere da interventi esterni. Quindi, la
spinta motivazionale alla creatività deriverebbe da bisogni narcisistici primari non soddisfatti.
5. L'apporto dell'Ego-Psychology
Ernst Kris: l'lo e il controllo sul processo primario
Kris sostiene che non è l’inconscio a determinare i contenuti e i modi in cui si sviluppa
l’immaginazione che sta dietro l’attività creativa, ma è l’Io, che mantiene un certo tipo di
controllo sul processo primario. Tra le più tipiche caratteristiche dell’artista vi sarebbero: la
capacità di accedere facilmente al materiale inconscio controllandolo in modo da non esserne
sopraffatti e la capacità di spostare rapidamente le funzioni dell’Io dal livello secondario a
quello primario. Si tratta cioè di capacità di autoregolazione della regressione e di capacità di
controllo del processo primario. In pratica, i soggetti creativi sono in grado di passare
dall’attività di analisi, riflessione ed elaborazione culturale ad attività espressive legate
all’inconscio (si parla di regressione o primitivizzazione dell’Io) e di trasformare la sua energia
psichica attraverso il processo della sublimazione. Questa non viene più considerata un
meccanismo di difesa ma una funzione indipendente dell’Io.
L’attività creativa avrebbe successo o insuccesso nella misura in cui si è staccata dal conflitto
inconscio che può esserne all’origine, e la terapia può facilitare o addirittura ottenere questo
distacco. Oltre a ciò però, bisogna considerare altre condizioni: le proprietà del mezzo
espressivo e la loro funzione in quelle particolari circostanze storiche, caratterizzate da certi
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E. Erikson: la generatività
Il concetto di generatività nasce negli anni Cinquanta ad opera del grande psicologo Erik
Erikson. L’Autore descrive la generatività come una qualità che il soggetto adulto è chiamato a
possedere o a conseguire in una determinata fase della sua esistenza – la settima – all’interno di
un quadro evolutivo di progressive acquisizioni di natura psicosociale. Orientando il proprio
sguardo verso il futuro, l’adulto si porrebbe qui in una dimensione di “cura e di investimento per
ciò che è stato generato per amore, necessità o caso”. Tale fase si connoterebbe, in altri termini,
per una tensione gratuita – al di là del puro senso del dovere nei confronti di ciò che si è messo
al mondo – a favore di altri o altro. “La generatività” – afferma ancora Erikson – “è quindi
anzitutto la preoccupazione di creare e dirigere una nuova generazione”, da intendersi,
evidentemente, in senso lato, come l’allestimento delle condizioni più favorevoli per il
perpetuarsi migliorativo della vita delle persone, del sociale e delle sue istituzioni. Accanto alla
più immediata generatività familiare e parentale, la generatività acquista una connotazione
“sociale” anzitutto perché la sua azione finisce per toccare cerchie sempre più ampie –
un’impresa, una realtà associativa, una comunità locale - del presente e finanche del futuro (le
prossime generazioni e i futuri assetti socio-istituzionali). Essa può concretizzarsi in una serie
molto eterogenea di ruoli sociali, da quello più immediato del genitore, a quelli di mentore,
insegnante, leader, figure cioè, che presiedono in qualche modo alla funzione di trasmissione.
Non secondariamente, la generatività appare in grado di riallestire le condizioni di
quello stesso sociale: la generatività ritesse il sociale. Essa ricombina, riarticolandole, le
categorie dell’innovazione (GENialità) e della sostenibilità (eccedenza, gratuità, generosità).
Andando così a rispondere alle domande efficienza ed efficacia sistemica – cioè la capacità di
stare al passo alle sfide di questo tempo – e a quella della legittimità – ossia l’abilità a
comprendere e corrispondere al sentire delle persone e dei gruppi. Per Erikson la generatività
non costituisce un passaggio necessitato. Si tratterebbe, invece, solo di una potenzialità che
potrebbe risolversi addirittura nel suo contrario, definito dall’Autore nei termini di
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La Coinoanalisi
La teoria coinemica è la teoria psicoanalitica del linguaggio fondata sulla semiosi affettiva.
L’analisi coinemica è l’analisi del linguaggio ( sia scritto che verbale e non verbale) basata sulla
semiosi affettiva. Secondo Fornari il coinema è da intendersi come l’unità elementare del
significato affettivo..come unità minima alla quale può essere ricondotta la semiosi affettiva. I
coiemi sono alla base di ogni linguaggio umano e corrispondono ai denotati simbolici del sogno
e cioè madre, padre, bambino, fratello, organi sessuali, nascita e morte.
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L’inconscio entra in gioco appunto come un insieme di regole, di ordini e di ripetizioni che
funzionano in modo pre-soggettivo. Si tratta di regole che definiscono le condizioni a partire da
cui si può costituire la soggettività.
L’inconscio trova inoltre il suo modello nel gioco combinatorio che opera, anch’esso in modo
pre-soggettivo, nel linguaggio. A tal proposito Lacan riprende la concezione saussuriana che
distingueva nel linguaggio due momenti: la langue e la parole. La lingua si configura come il
sistema grammaticale che struttura la sincronia da cui discende il movimento diacronico
dell’esercizio della parola. La parola coincide con un atto comunicativo individuale che si
avvale delle leggi della lingua, cioè di quelle regole che vengono condivise dagli appartenenti ad
una medesima comunità linguistica. La parola assume così un carattere soggettivo, esprimendo
dei contenuti particolari, mentre il linguaggio è la dimensione universale di ogni atto
comunicativo che rispetta un codice linguistico (la lingua) determinato da condizioni storiche e
geografiche. Ecco come la parola del soggetto è strutturalmente articolata al campo del
linguaggio.
Ora, seguendo la teorizzazione di Lacan in Funzione e campo è possibile osservare come
l’inconscio venga ricondotto a una realtà transindividuale in grado di permeare la vita e il
discorso del soggetto: «l’inconscio è quella parte del discorso concreto in quanto
transindividuale, che difetta alla disposizione del soggetto per ristabilire la continuità del suo
discorso cosciente». Più precisamente l’inconscio si presenta come quel capitolo censurato della
storia del soggetto e il sintomo viene considerato come «il significante di un significato rimosso
dalla coscienza del soggetto».
D’altra parte Lacan rilegge Freud rimarcando che la nozione di inconscio serve a chiarire la
natura di quelle ragioni che, al di là del campo di giurisdizione dell’io cosciente, delineano la
trama simbolica del percorso esistentivo di ciascuno. Queste ragioni, ovvero la verità
dell’inconscio, che vengono veicolate dai sintomi, dai sogni o dai lapsus sono una scrittura e
rivelano una struttura linguistica. La tesi di Lacan consiste nel ricondurre l’inconscio freudiano
allo statuto di una struttura simbolica che opera nella vita del soggetto. L’inconscio viene
dunque riletto da Lacan come un’altra logica che funziona all’insaputa del soggetto. L’inconscio
è un funzionamento ed è strutturato come un linguaggio.
«Per Lacan l’inconscio freudiano non è ineffabile, né è una forma immaginaria, ma è articolato.
Articolato come un linguaggio. E quindi è una struttura simbolica. Da qui l’aforisma che
l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Secondo Lacan la scoperta di Freud non è tanto da
situare nello svelamento dei contenuti di questo inconscio, sempre immaginari, ma nello
svelamento delle leggi che presiedono al suo funzionamento».
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In altre parole, il riferimento allo strutturalismo da parte di Lacan è volto a dissipare due
fraintendimenti storici fondamentali dell’inconscio freudiano, in base ai quali esso non sarebbe
stato altro che un serbatoio di pulsazioni arcaiche o un’istanza non ancora cosciente, non ancora
assorbita dal potere di sintesi dell’io. L’esperienza della cura psicoanalitica evidenzia infatti una
dimensione «altra» (inconscia) che abita il cuore dell’io: in quest’altra scena c’è qualcosa del
tutto analogo a quanto avviene a livello del soggetto cosciente, qualcosa parla e funziona in
modo altrettanto elaborato che a livello della coscienza, la quale perde così ciò che sembrava
essere il suo privilegio.
7. Le tendenze culturaliste
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Con tale definizione si vuol fare riferimento ad un gruppo di psicoanalisti che risentirono
fortemente dell’influenza dell’apporto dell’antropologia e della sociologia. La concezione
tyloriana della cultura, intesa come un complesso sistema che comprende le conoscenze, le
credenze, l’arte, la morale, gli usi e quant’altro l’uomo acquisisce come membro di una società.
Ci si attenziona alla dimensione sociale.
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Fromm, per indicare l’attività creativa, usa il termine “produttività”, un’attività dell’Io libera e
spontanea che può operare nelle proprie esperienze emotive, intellettuali e sensuali, e anche
nella propria volontà. La produttività non è per Fromm una dote particolare, ma un
atteggiamento di cui tutti possono essere capaci. Si tratta di un modo di vivere e sperimentare
l’esistenza, non riproducendo, ma generando, e una persona può sentire, vedere e pensare
produttivamente, senza avere la capacità o forse, più che altro, la preparazione per creare
qualcosa di visibile e comunicabile.
La produttività è caratterizzata dalla spontaneità, presente nell’artista ma non solo: egli ha
semplicemente la possibilità di esprimerla con mezzi oggettivi diventandone così il
rappresentante più convincente, anche se la sua posizione è vulnerabile, poiché se non riesce a
vendere la sua arte, verrà considerato un eccentrico e un nevrotico dai suoi contemporanei.
Come il rivoluzionario, se vittorioso diventa un uomo di Stato, se fallisce è giudicato come un
criminale.
Secondo Fromm vi sarebbero cinque condizioni necessarie alla base dell’atteggiamento
creativo: la capacità di essere perplessi, la capacità di concentrazione, l’esperienza dell’Io
ovvero di se stessi, la capacità di accettare il conflitto e le polarità invece di evitarli, ed infine la
disposizione a nascere ogni giorno.
senso autentico dell’Io, dell’identità, l’uomo deve evadere dalla propria persona,
rinunciare al possesso di sé come senso di proprietà e sperimentarsi nel processo della
risposta creativa in cui perde se stesso per sentirsi tutt’uno con il mondo intero.
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dell’analisi sarebbe liberare una persona da schiavitù interne perché possa sviluppare al
massimo le sue potenzialità.
caratteristica fondamentale del gioco è il suo essere un’esperienza creativa, sempre. Ciò non
dipende dal contenuto del gioco o dalle caratteristiche del soggetto, dipende invece dalla natura
stessa di tale attività. Il gioco è la condizione perché il bambino o l’adulto siano liberi di essere
creativi.
Secondo Arieti esistono 2 tipi di presupposti indispensabili per lo svolgersi del processo
creativo: il primo consiste nella presenza di un ambiente che offra occasioni di stimoli, il
secondo che è specifico riguarda quanto può essere contenuto nella categoria
dell’immaginazione e della cognizione amorfa. La categoria dell’immaginazione viene definita
come la capacità della mente di produrre o riprodurre parecchie funzioni simboliche in uno stato
di coscienza, di veglia, senza alcuno sforzo volontario per organizzare tali funzioni. La
cognizione amorfa viene definita un tipo di cognizione che si ha senza rappresentazione cioè
senza che essa sia espressa in immagini, parole, pensieri,m o azioni di alcun genere. La sua
funzione specifica è l’endocetto, così definito per distinguerlo dal più noto concetto, forma di
cognizione più matura, esprimibile e comunicabile. L’endocetto costituisce una sorta di
predisposizione a sentire, ad agire, a pensare che si produce dopo che è stata inibita un’attività
mentale più semplice.
La cognizione primitiva
Il processo creativo può essere descritto nell’ambito della cognizione amorfa. Quando però esso
raggiunge uno stadio di differenziazione tale da rendere possibile l’uso delle parole e delle idee,
allora questo è il segno che vengono privilegiati altri tipi di pensiero: quello che rimanda al
processo primario e quello che si riferisce al cosiddetto processo secondario. Arieti definisce
paleo logica la forma del primo tipo di pensiero che compare soprattutto nei pazienti
schizofrenici e solo molto raramente nei soggetti sani. Una caratteristica del pensiero
schizofrenico è rappresentata dall’indifferenziazione tra identità e somiglianza che causa una
forma di classificazione ottenuta per la sola presenza di un predicato comune.
La cognizione concettuale
Nell’ambito del processo secondario Arieti analizza solo quelle caratteristiche della cognizione
concettuale che risultano particolarmente importanti per il processo creativo. Esse riguardano i
particolari rapporti dello stesso con il processo primario; l’uso del concetto e il concetto come
ideale.
1. Per quanto riguarda il primo aspetto, Arieti rileva come sia impossibile credere che nel
processo creativo la funzione svolta dal processo secondario consista solamente
nell’accettare o rifiutare quanto prodotto dal processo primario. Si deve piuttosto pensare
che il processo secondario ricorre ad un esame di creatibilità, quando si debba decidere
circa l’accettazione o il rifiuto del materiale concepito.
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2. Arieti sintetizza le varie funzioni svolte dal concetto che ci offre una descrizione pi o
meno completa; ci permette di organizzare dal momento che le parti o attributi diversi
appaiono logicamente correlati
3. Il terzo aspetto si riferisce alla capacità che i concetti hanno di riguardare non solo ciò
che c’è ma anche ciò che appare possibile.
Il prodotto creativo
Definiti i prerequisiti del processo creativo e chiarite le basi strutturali dello stesso, risulta
possibile analizzare la dinamica sottesa al prodotto creativo. Arieti propone l’analisi di una serie
di settori specifici nei quali la creatività umana ampiamente si dispiega. Il primo settore riguarda
il motto di spirito, produzione significativa e complessa, alla comprensione della cui dinamica
Freud aveva offerto un vigoroso contributo. Riprendendo la posizione freudiana ed analizzando
una serie di motti di spirito, l’A. perviene alla conclusione che il carattere spiritoso della battuta
non stia soprattutto nell’uso della paleologia basata sul processo primario o della logica
difettosa. Il processo creativo proprio della battuta spiritosa consiste nella disponibilità di
meccanismi del processo primario o di meccanismi del processo secondario in genere rifiutati
perché difettosi; selezione e scelta di quelli che possono sembrare validi meccanismi del
processo secondario. La discordanza scoperta dall’ascoltatore attraverso il confronto provoca la
divertita reazione dello stesso. L’arte si fonda in larga misura sul rinforzo paleo logico e su una
serie di meccanismi ad esso collegati. Primo fra tutti è la concretizzazione del concetto che
appare evidente nel teatro dove tutto viene portato sulla scena. Forme complesse della
concretizzazione sono il come se e l’adualismo. Arieti, attraverso l’analisi dello sviluppo
dell’arte, dimostra come anche nelle arti visive sia presente quel fondamentale meccanismo
definito concretizzazione del concetto.
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