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UNA Briglia ALL%27 Emozione

Psicologia della creativita' con lab. (Università degli Studi di Catania)

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UNA BRIGLIA ALL’EMOZIONE


CREATIVITA’ E PSICOANALISI

Di Maria Elvira De Caroli

1. L’INTERPRETAZIONE FREUDIANA

Sigmund Freud: creatività o nevrosi?


Gli interessi conoscitivi freudiani riguardano solo la psicopatologia ma anche tematiche di
ordine psicosociale, come la religione, la letteratura, l’arte. Sin dall’inizio, la psicoanalisi ha
posto attenzione all’enigma della creatività, e tuttavia, per Freud l’atto creativo sembra
accomunato con la nevrosi, in quanto derivato originariamente ad un meccanismo di difesa:
“l’uomo felice non fantastica mai, solo l’insoddisfatto lo fa”: secondo la vitatissima
proposizione freudiana che sembra marcare per sempre la creatività di un significato restrittivo,
di sostituzione del soddisfacimento pulsionale. L’artista arriva a creare sublimando. E la
sublimazione, per Freud, è un meccanismo di difesa dell’Io che consente uno spostamento della
scarica energetica da una meta socialmente inaccettabile ad una accettabile, con una
trasformazione dell’energia liberata. La sublimazione è un meccanismo che spiega, secondo
Freud, tutte le attività culturali umane e che tuttavia assume una tonalità di “rinuncia”, il sapore
amaro di un marcato godimento. Freud così riconosceva ai poeti in particolare ed agli artisti in
generale, una conoscenza “inconscia” della complessità della psiche umana, e scriveva : “i poeti
sono alleati preziosi e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione giacché
essi sanno in genere una quantità di cose tra cielo e terra che il nostro sapere accademico
neppure sospetta”.
Oltre alla creazione artistica, Freud ha rilevato la presenza di altre zone di emergenza del
simbolico ( sogni, sintomi, lapsus). Nel sogno siamo tutti creativi, nel senso che mettiamo in
scena trame complesse e articolate, quindi tutto ciò che privatizziamo nella nostra vita
quotidiana. Inoltre, alla produzione artistica Freud ha dedicato particolare attenzione all’Edipo
di Sofocle, l’Amleto di Shakespeare, il Mosè di Michelangelo. Elemento fondamentale della
tragedia di Amleto è il complesso edipico: l’individuo si innamora del genitore di sesso opposto,

1 Valentina Emanuele

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ma non vuole assolutamente perdere l’affetto da parte dell’altro genitore quindi ricorre alla sua
identificazione.
Per quel che riguarda Leonardo da Vinci, Freud esaminò le notizie relative alla vita del grande
genio, che era stato un figlio illegittimo e che ad una certa età, era stato adottato dal padre (che
nel contempo aveva sposato una donna diversa dalla madre del proprio figlio). Partendo da
questi dati, Freud giunse alla conclusione che la spinta continua alla ricerca e la mancanza di
vita sessuale, potessero essere spiegate con il meccanismo della sublimazione dell’esplorazione
sessuale infantile che era stata repressa, trasformata poi in brama di ricerca.
Poi, per confermare la sua elaborazione, Freud riporta un ricordo che Leonardo stesso riconduce
al periodo neonatale. Si tratta del famoso episodio del nibbio che con la coda apre la bocca di
Leonardo lattante e la percuote con la coda stessa. A questo punto Freud arriva ad una
interpretazione che, procedendo dalla simbologia coda = pene, attraverso poi la suzione (tipica
del lattante) e la rilevazione che tra gli antichi egizi la dea-madre veniva indicata con
l’avvoltoio, si conclude con l’individuazione della difficoltà di identificazione della figura
(assente) paterna. Le conseguenze psicologiche di tutto questo avrebbero trovato, appunto, una
forma di sublimazione nella conoscenza. Egli fondava così il primo metodo di analisi dell’opera
artistica che consiste nel risalire (anche con l’aiuto di testimonianze storiche e documenti
storico-biografici) dall’opera alla personalità dell’artista (una “patografia” dello stesso) e quindi
comprendere la prima attraverso la seconda.
Quello che invece possiamo ritenere come il secondo metodo consiste nell’interpretare pensieri,
sogni, sentimenti e azioni appartenenti a personaggi e vicende descritti da opere letterarie o
artistiche trattandoli come casi clinici o comunque riferiti a persone reali (esempio della Gradiva
di Jensen). Il protagonista del romanzo “Gradiva” è un giovane archeologo che è affascinato da
un bassorilievo marmoreo che rappresenta una fanciulla, alla quale egli attribuisce il nome di
“Gradiva” (“colei che avanza”) proprio per quel particolare passo leggero che rappresenta. Egli,
mosso da un desiderio ardente che è diventato ossessione, parte alla ricerca delle sue tracce e
arriva a Pompei, dove incontrerà, viva, l’inconfondibile Gradiva del bassorilievo, che, con il suo
tipico passo, gli si avvicina e gli parla. In realtà si tratta di una antica amica d’infanzia, la cui
attrazione e la cui immagine egli aveva “rimosso” e che aveva “trasferito” nella Gradiva. Il
passato sepolto che rivive e si manifesta ora nella nuova “Gradiva” viva e reale, diviene una
efficace metafora del percorso conoscitivo che, attraverso la relazione psicoanalitica, viene
modificato e trova soluzione.

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Karl Abraham: il primato del mito


Abraham aveva inizialmente studiato linguistica comparata all’università per seguire poi gli
studi psichiatrici, decise di recarsi a Berlino per esercitare la professione di specialista in
malattie nevrose e psichiche. Da quel momento iniziò la sua collaborazione con Freud. Il suo
interesse verso le lingue, nello specifico verso l’etnologia si propone di dimostrare come le
leggende, le favole, i miti siano prodotti della fantasia umana sui quali può essere applicata la
metodologia psicoanalitica. Nei miti sono presenti desideri ampiamente condivisi dagli esseri
umani, originati da fantasie sessuali. Il mito contiene i desideri infantili dei popoli. Abraham
interpreta l’opera di Segantini e sostiene che la creatività artistica deriva da alcuni aspetti
fondamentali. Al fondo di tutto c’è l’evento luttuoso della precocissima morte della madre,
morte che spezza il desiderio erotico del bambino. Vi è la figura del padre che, dopo la morte
della moglie, abbandona il figlio e fugge verso luoghi lontani e va alla costante ricerca
dell’autonomia.

Ernest Jones: la biografia, innanzitutto


Fu il biografo ufficiale di Freud e un suo “fedelissimo” anche nel seguire la traccia
sull’interpretazione delle opere tramite la ricerca biografica dell’artista (patografie). Analizzò
così l’opera di Andrea del Sarto (1913), riconducendo la sua scarsa realizzazione pittorica e la
sua riconosciuta mediocrità artistica al rapporto particolare con la propria moglie, autoritaria, e
diremmo noi, castrante! Jones si chiede se un rapporto con una moglie diversa, meno autoritaria
avrebbe potuto cambiare il destino del pittore. Ancora, Jones studia Amleto ed Edipo,
ribadendo che “..tutti i critici seri sanno che una certa conoscenza delle caratteristiche
dell’autore e delle fasi del suo sviluppo artistico non può che favorire l’apprezzamento
dell’opera e la comprensione del fine cui tende”, mentre “troppo spesso si guarda ad un’opera
d’arte come ad una cosa-in-sé compiuta, qualcosa di pressoché indipendente dalla personalità
del creatore, come se ben poco si potesse apprendere sull'una o sull'altro collegando i due campi
di indagine”. Inoltre, Jones ritiene che un artista in realtà non si rende conto di quale è la prima
fonte della sua creazione! A proposito di Amleto, egli ricalca l’interpretazione che già Freud
dava alla sua particolare condotta esitante, ma si differenzia rispetto a due aspetti. L’uno,
relativo ad una grande mole di riferimenti bibliografici ricercati ed elencati per riferire le varie
spiegazioni avanzate da studiosi a proposito della “amletica irresolutezza” del principe. L’altro,
che utilizzava ampiamente le notizie relative alla biografia di Shakespeare (del resto già
abbastanza misteriosa e fumosa essa stessa) per arrivare a dimostrare la: “corrispondenza, per
quanto mascherata o metaforica, fra i sentimenti che un poeta descrive e quello che ha provato
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di persone in qualche forma”. Per Jones, dunque, la caratteristica precipua della creatività
artistica è riproporre nei più vari modi (libro, scena teatrale, quadro, ecc) i problemi ed i
conflitti che angustiano, da sempre e per sempre, la mente e il cuore dell’umanità.

Jean Starobinski: l’occhio vivente


Starobinski riprende l’analisi dei rapporti tra psicoanalisi e letteratura soprattutto in riferimento
alla metodologia critica rispetto alla quale le due radicali possibilità interpretative mostrano i
limiti interni. L’autore riprende in maniera puntuale le interpretazioni di Jones operando il
cambiamento relativo all’oggetto specifico di analisi. Ciò riguarda non la relazione tra la
vicenda di Amleto e la biografia di Shakespeare, bensì i rapporti tra le stesse e la vita di Freud
considerato nell’ottica di artistico creatore del complesso edipico. Egli afferma che insistendo
sullo stesso rapporto cronologico tra la morte del padre di Shakespeare e la composizione
dell’Amleto, Freud lascia intendere che mentre il poeta è un sognatore che non si è analizzato,
Freud è uno Shakespeare che si è analizzato. Scegliere come principio esplicativo la sola
dimensione del passato ( l’infanzia) significa fare dell’opera una conseguenza, mentre per lo
scrittore è il più delle volte un modo di anticiparsi.

Otto Rank: la vittoria sul "trauma della nascita"


Rank fu uno dei “dissidenti”, accusato dai discepoli “ortodossi” di essere stato un agitatore del
clima della società psicoanalitica, provocando con i suoi atteggiamenti culturali “divergenti” e
ribelli. Tuttavia, inizialmente fu molto considerato da Freud, anche per la sua vivace intelligenza
e precocità, dato che già a diciannove/venti anni aveva prodotto un saggio sulla creatività
dell’artista, basato sulla posizione teorica freudiana.
Il suo contributo alla psicoanalisi iniziò con gli studi sul tema del “mito della nascita dell’eroe”
e poi con il tema del “doppio”, che egli elabora partendo dall’analisi di un film “Lo studente di
Praga” di Stellan Rye. Il suo metodo è assolutamente freudianamente “ortodosso”, anzi le sue
interpretazioni sono ancor più indirizzate a rintracciare le tendenze “patografiche” nell’artista,
che deve proprio ad esse la sua capacità creativa. Nel 1924 Rank scrive la sua opera più famosa
“Il trauma della nascita e il suo significato psicoanalitico”, nella quale esprime l’idea che ogni
guarigione viene rappresentata nell’inconscio con un simbolismo che fa sempre riferimento alla
nascita, partendo da presupposto che le impressioni fetali e neonatali possono costituire una
esperienza originaria, che, fissatasi nella psiche, può influenzare moltissimo lo sviluppo futuro
dell’individuo.

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Partendo da questa ipotesi, Rank si immerge nel mondo delle rappresentazioni artistiche, dei
miti, delle favole e leggende, rintracciando ovunque i segni di infinite variazioni di un solo
tema: il legame con la madre. L’artista che si libera, attraverso la sublimazione, del trauma della
nascita e riesce a vincere il complesso edipico, perviene all’autonomia e diventa egli stesso
creatore di miti. Rank propone una differenza tra l’uomo creativo e la persona normale, tra
l’eroe e l’uomo qualunque. Il primo è caratterizzato da una disperata volontà di ricerca che non
trova mai pace e compimento. Il secondo da una placida, sazia, passività: le due facce
dell’uomo, in linea con l’ipotesi freudiana, guardano, come Giano bifronte, verso orizzonti non
solo diversi, ma anzi, contrapposti:calvinisticamente, per così dire, solo pochi avranno il
doloroso privilegio di “crescere” e “creare” .

Georg Groddeck: la "signoria" dell'Es


Un altro allievo di Freud fu Groddeck. Egli riuscì a pervenire soprattutto attraverso la pratica
medica e alla scoperta totale della superiorità dell’Es. l’es è l’elemento irrazionale che si
esprime attraverso varie forme: corpo, linguaggio, arte e che domina la vita, la salute e la
malattia dell’uomo. Se ciò non si verifica spontaneamente o perfettamente bisogna intervenire
con la psicoanalisi per stimolare l’Es ad agire. Ciò che costituisce a nostro avviso la più
profonda diversità da Freud è soprattutto la meta dell’attenzione che è rivolta da Freud verso
l’analisi dei processi, da Groddeck verso le configurazioni simboliche. Per G. la psicoanalisi
insegna che ciò che noi rimuoviamo nel nostro inconscio ritorna come malattia, delitto, follia o
anche capolavoro o gradezza dell’uomo. Qui si parte dall’inconscio e non da conscio.

Edmund Bergler: la creatività artistica come "alibi" difensivo


Bergler attribuisce importanza maggiore alle esperienze preedipiche. Per Bergler il feto riceve
passivamente senza sforzo o sofferenza alcuna, tutto ciò che gli serve: si abitua ad attendersi che
tutto gli venga offerta. Alla nascita, caratterizzata da uno sconvolgimento totale dei ritmi
abituali, il bambino reagisce come se cercasse di ristabilire, imitativamente lo stato paradisiaco
prenatale per esempio dormendo la maggior parte del tempo. La risposta degli adulti consiste nel
tentativo di riprodurre le condizioni prenatali ( silenzio, calore, cibo regolare ecc.). in
conseguenza di ciò il bambino inizia a rappresentarsi come autarchico ed autosufficiente: tutto
gli è dovuto. Tuttavia, durante il processo della crescita al bambino gli si verrà a mostrare una
realtà del tutto opposta. A questa il bambino reagisce con aggressività. Tutte le esperienze del
bambino si caratterizzano per essere specie passiva e fondate sulla paura. Successivamente il

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problema si complica ulteriormente, perché accanto al conflitto di sentimenti contrastanti nei


confronti della madre,, si aggiunge la difficoltà di digerire il padre, nei confronti del quale il
bambino proietta tutta l’aggressività prima indirizzata alla madre. Il talento, la creatività
consistono nella tendenza difensiva di negare le fantasie infantili di delusone. La paura del
blocco retaivo riguarda il timore di far fuoriuscire queste fantasie infantili di delusione.

Marie Bonaparte: la "patografia" come strumento di base


Marie Bonaparte occupa, nella storia della psicoanalisi, un posto del tutto particolare. Ella
divenne portavoce ufficiale della psiconanalisi freudiana a Parigi. L’adesione della Bonaparte
alla psicoanalisi era totale. rispetto a Freud, una differenziazione che comunque appare più
arricchimento che una reale diversificazione, è quella relativa alla sessualità femminile, in
riferimento alla quale è possibile rintracciare, seconda la Bonaparte, già nel secondo anno di vita
della bambina, il prototipo di quella sessualità vaginale che, secondo Freud, si manifesterebbe in
genere nella pubertà.

Paul Ricoeur: l'opera d'arte come lavoro di "senso"


Ricoeur ha preferito studiare la posizione freudiana, in generale e in riferimento alla creatività,
dall’esterno, cercando cioè di capire le possibilità ed i limiti offerti alla comprensione dei fatti
umani dalla psicoanalisi intesa come insieme il luogo dei simboli o del senso duplice ed il luogo
in cui si affrontano le diverse maniere di interpretare. L’interpretazione di Ricouer parte dal
rilievo dato ad una caratteristica propria degli scritti estetici di Freud che si contrassegnano per
la sistematicità e, contemporaneamente, per la frammentarietà. Secondo Ricouer, Freud proprio
perché non supera mai l’analogia strutturale tra lavoro onirico e lavoro artistico, riesce, ad
esempio, nell’interpretazione del Mosè di Michelangelo a ricostruire il senso della particolare
posizione della mano di Mosè poiché tale ricostruzione è strutturalmente identica a quella che si
realizza quando si ricostituiscono le opposte rappresentazioni da cui nascono le forme di
compromesso del sogno.

Lionel Trilling. Declino dell'equazione: inconscio = creatività artistica


Con Trilling è possibile parlare di Declino dell'equazione: inconscio = creatività artistica.
Secondo Bettheleheim, la straordinaria funzione svolta da Trilling consiste nell’aver cercato di
far conoscere agli intellettuali americano la vera psicoanalisi freudiana. Trilling a differenza di

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Freud sostiene che tra il poeta e il nevrotico ci sia differenza: il poeta detiene il controllo delle
sue fantasie, il nevrotico ne è posseduto.

2. L'ipotesi junghiana
Carl Gustav Jung: la "numinosità" degli archetipi
La visione di Jung si diversifica da quella di Freud essenzialmente in una direzione psico-
antropologica: “In sostanza lo studioso di psicologia ha diretto, sino ad ora, il suo interesse
verso l’analisi dei problemi psicologici individuali. Ma nello stato attuale delle cose, a me pare
che si faccia sentire l’esigenza di ampliare l’analisi dei problemi individuali inglobandovi
materiale storico”.
Jung critica in Freud quello che è, secondo lui, un causalismo riduttivo attribuendo un
significato
radicalmente diverso all’inconscio, considerandolo non soltanto un sistema di risposte, un
sistema che reagisce a situazioni esterne, a pensieri consci, a rappresentazioni consce, ma che
esso stesso può produrre qualcosa di nuovo, senza alcun motivo esterno o biografico.
Contrariamente all’idea comune che cerca una spiegazione causale (cioè razionale) dei
fenomeni, Jung afferma che si deve ricercare, dei fenomeni, il significato (o, come si potrebbe
anche dire, il fine). Quindi, a proposito di qualcosa che è accaduto, ci si deve chiedere non qual
è la causa, ma a qual fine è accaduto.
Jung riteneva che i miti fossero fondamentali e che non fosse possibile negarne l’importanza o
viverne senza, chi pensa di poterlo fare è:“un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto
con il passato, con la vita degli antenati (che pure continua in lui)e con la società umana del suo
tempo. Egli vive una vita a sé, irretito in un’idea fissa soggettiva escogitata dal suo intelletto e
ch’egli ritiene essere la verità di recente scoperta”.
Nell’uomo permangono tracce mnestiche derivate non dalle esperienze quotidiane ma dalla e
sedimentazione delle esperienze dei grandi eventi ciclici che hanno segnato la crescita e
l’evoluzione dell’uomo, trai quali, ad es: il succedersi delle stagioni, il sorgere e il tramonto del
sole e quindi il succedersi di luce e oscurità, le fasi lunari, ecc.
L’uomo non ha ereditato una somma di esperienze personali specifiche, ma la forma del pensare
e dell’esperire che si è impressa nel cervello attraverso le esperienze che si sono ripetute infinite
volte nel passato dell’umanità. Le tracce dell’esperienza arcaica di questo nostro passato
ancestrale sono rintracciabili nei miti e nelle leggende, che proprio per questo, hanno forti
somiglianze in ogni tempo e in ogni luogo. Esse si spiegano presupponendo che nella psiche
inconscia operino processi nucleari impersonali.
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Charles Baudouin: la funzione "adattiva" dell'atto creativo


Secondo Baudouin la vita psichica è costituita dal rapporto tra i complessi, cioè le dimensioni
inconsce ( istinti, desideri) ed il potenziale che rappresenta sia la libido che l’interesse. Secondo
B. la creatività artistica ha uno stretto contatto con l’inconscio. Una caratteristica tipica dell’arte
poetica è la produzione spontanea di quella attività che B. definisce fantasticheria. L’arte non è
assimilabile al sogno poiché è un sogno imprigionato. Si potrebbe dire che il sogno è la scarica
abbacinante e fuggevole, mentre l’arte quell’elettricità disciplinata che ci trasporta e ci illumina.
L’arte è mezzo di espressione.

Gaston Bachelard: la poetica della rêverie


Secondo Bachelard, filosofo ed epistemologo francese risulta possibile pervenire al mistero, al
profondo dell’uomo attraverso le reverse attraverso cioè quel fantasticare in piena libertà che ci
aiuta a scendere così profondamente in noi stessi. Secondo Bachelard che distingue chiaramente
la reverie dalla memoria che è un campo di rovine psicologiche, un rigattiere di ricordi, è
possibile trovare nell’anima di ogni uomo un nucleo infantile. L’uomo raggiunge la libertà solo
nella reverie. Il poeta è qualcosa di molto simile al pascoliano fanciullino che ricostituisce il
rapporto diretto con il cosmo, quel rapporto immediato che l’età adulta con le esigenze della
ragione e del principio di realtà lentamente distrugge.

Erich Neumann: l'attività creativa come tensione degli opposti


Erich Neumann è senz’altro ritenuto il più creativo degli allievi di Jung, e la creatività fu per lui
il tema fondamentale su cui cimentarsi “perché l’uomo creatore è il luogo del simbolo
trasformatore, mediante cui la cultura entra un crisi e si rinnova, perisce e si rigenera, inaridisce
e si dissecca come un albero morto e rinverdisce imprevedibilmente sul proprio fasciame
corrotto. L’uomo creatore annuncia, inconsapevole o no, le trasformazioni venture dell’ethos, si
espone, a suo rischio, all’urgere delle forme rigeneratrici dell’inconscio, non teme di collegare il
proprio disagio nevrotico di uomo singolo e perituro all’emergere di un archetipo che ha
significato salvifico per tutta una specie.
Per Neumann il processo creativo costituisce il “luogo” per eccellenza nel quale si fondono e
diventano percepibili la dimensione collettiva e individuale dell’uomo, dove, cioè, si incontrano
le produzioni della matrice inconscia (collettiva) e quelle legate alla realtà culturale del contesto
psicosociale. La creatività, per lui, non è quindi l’espressione di un fenomeno psichico
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determinato, più o meno direttamente, dagli archetipi, quanto piuttosto l’espressione di una
possibilità di incontro tra le strutture archetipiche (che danno ragione con la loro presenza
dell’universalità del messaggio dell’individuo creativo) e la capacità processuale, da parte
dell’artista, di trasformarsi.
La concezione di Neumann a proposito dell’attività creativa rimanda ad un’immagine dialettica
della stessa, intesa non più come sublimazione di impulsi distruttivi, ma come, viceversa,
capacità di accettazione e controllo di una tensione alla quale normalmente l’individuo cerca di
sottrarsi ma che, invece, l’artista accetta: la tensione degli opposti. Tali opposti sono tutto ciò
che rimanda a conscio e inconscio, mondi che l’individuo creativo “alimenta” evitando che
l’uno abbia il sopravvento sull’altro, pena da una parte l’adesione conformistica ai canoni
culturali, o, all’opposto, la sconfitta nella malattia mentale.
E’ importante notare che per Neumann la trasformazione è un processo naturalmente presente in
ogni uomo: “uno sviluppo normale è contraddistinto da una serie di trasformazioni che
avvengono con l’aiuto e la guida di dominanti archetipiche” (L’uomo creativo e la
trasformazione) Nell’uomo creativo, poi, si realizza in massimo grado, quello che si realizza, sia
pure in misura ridotta, nell’individuo normale.
Tuttavia, pur ammirando l’uomo creativo, Neumann non ne fa un “privilegiato” della natura
umana, una “anima bella” di estrazione romantica in cui, per una sorta di misterioso miracolo.
L’impulso e il valore, il desiderio e la forma si collegano armoniosamente. Per Neumann l’uomo
creativo è esposto più che mai alla forza distruttiva dell’inconscio personale, alla dilaniante
voracità dei complessi. L’uomo creativo sembrerebbe avere al suo attivo una straordinaria
capacità di sopportare la tensione provocata dal complesso. Il che implica anche una
straordinaria forza dell’Io. Solo che questa forza non è impiegata per evitare la conflittualità, ma
per sopportarla come terreno fecondo di ogni possibile sintesi. Il compito dell’uomo non è
quello di raggiungere un Io che annulli l’inconscio ma un’istanza che permetta una continua
dialettica e sempre nuove sintesi tra l’inconscio e coscienza.
Normalmente l’individuo è portato ad una perdita della tendenza alla totalità a favore di uno
sviluppo dell’Io che viene indirizzato dai canoni culturali e dalla coscienza sotto forma di Super-
Io della tradizione dei padri e di coscienza introiettata.
“Al contrario, l’uomo creativo è, fin dall’inizio, fortemente caratterizzato dal fatto che egli non
abbandona la via che lo condurrà alla totalità del Sé per raggiungere l’adattamento alla realtà
ambientale e ai suoi valori dominanti. Come l’eroe del mito, l’uomo creativo si contrappone al
mondo dei padri, cioè al mondo dei valori dominanti, perché in lui il mondo archetipico e il Sé
che lo governa sono esperienze così travolgenti, vive e dirette che non possono essere rimosse.

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L’uomo normale viene liberato dal suo compito eroico dall’educazione istituzionale a
identificarsi con l’archetipo paterno; egli diventa così un membro perfettamente inquadrato nel
gruppo a cui appartiene e che è diretto in modo patriarcale. Di contro, nell’uomo creativo con il
suo prevalere dell’archetipo materno, l’Io, oscillante e incerto, deve imboccare da solo la via
archetipica esemplare dell’eroe: uccidere il padre, detronizzare il mondo convenzionale dei
canoni che gli sono stati tramandati, e cercare un’istanza che lo diriga oscuramente, il Sé
difficilmente conoscibile, l’ignoto padre divino”.

Aldo Carotenuto: creatività e sofferenza psicologica


Aldo Carotenuto, uno dei più noti ed autorevoli rappresentanti della psicologia junghiana
contemporanea sostiene che la creatività può avvenire grazie a un diretto contatto con l’interno e
con il sentimento. La psicoanalisi nasce secondo l’autore, grazie alla rivalutazione dei bisogni
individuali e del sentimento. Il rapporto tra il lavoro artistico e quello analitico è intenso;
entrambi si fondano su spinte soggettive e richiedono un linguaggio che deve essere in grado di
filtrare le emozioni più impalpabili. Tale esigenza creativa ed artistica non è solo tipica dei
grandi, poiché ciascuno di noi può strutturare una sua modalità di espressione individuale ed
artistica.

James Hillman: l'istinto creativo


Il tema junghiano degli archetipi appartiene anche allo psicoanalista James Hillman, che lo
proietta potentemente in una dimensione più ampia di quella terapeutica: è la psicologia
archetipale, una terapia delle idee e non delle persone.
Ne Il codice dell’anima – carattere, vocazione, destino (1996), Hillman dice che sulle immagini
che hanno valore di archetipo, cioè che sono universali e necessarie, si fondano i miti, le
strutture simboliche entrando in contatto con le quali l’anima può esprimere la propria energia e
riconoscere, com’è necessario, la propria vocazione, al di là delle pressioni sociali e delle
situazioni contingenti. Solo onorando il mito che ciascuno porta in sé – la piccola ghianda che
contiene in sé la potenzialità della grande quercia – è infatti possibile ricostruire un rapporto
equilibrato con la realtà, evitare derive patologiche, crescere nel mondo, compiere il proprio
destino.
Tutti abbiamo un destino: la creatività non è un dono o una grazia speciale, una capacità, un
talento o un artificio. Piuttosto è un’immensa energia la cui origine è al di là della psiche umana
e che spinge a dedicarsi a se stessi attraverso un nesso specifico con l’altro. La creatività
costringe alla devozione verso la propria persona nel suo divenire attraverso quel nesso, e porta

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con sé un senso di impotenza e di crescente consapevolezza del proprio potere luminoso… è più
umana e più potente del suo possessore. Questi, in realtà, corre sempre il rischio di essere
posseduto. Operando come coazione, la forza è sempre eccessiva.
E’ una possessione che può prendere varie forme. Modelli archetipici ai quali l’esperienza
creativa può aderire in momenti diversi, e che possono combinarsi o contaminarsi: la saggezza
del senex che mette ordine nel caos. La giocosità irresponsabile del puer che cerca e sfida
fiduciosamente l’ignoto. La sregolatezza del ribelle o del folle: ombra, distruzione, morte.
L’audacia laica di Prometeo che ruba i segreti della natura, scoprendo e inventando.
È il successo che premia l’ambizione e lascia l’individuo intrappolato nel mito che ha creato per
se stesso. E’ la grande madre che accoglie e rigenera. E’ il femminile sensuale, immaginativo,
stravagante, sensibile all’esperienza estetica. La bellezza, per Hilgard come per Poincaré, è
fondamentale: quando siamo toccati, mossi e aperti all’esperienza dell’anima, scopriamo che ciò
che vive in essa non soltanto è interessante e significativo, necessario e accettabile, ma è anche
attraente, amabile, bello.
È dunque l’anima quella che trova il senso delle cose, che interiorizza eventi come esperienze,
che si comunica nell’amore, che ha un’ansia religiosa e un rapporto speciale con la morte, e che
realizza la possibilità immaginativa insita nella nostra natura, il fare esperienza attraverso la
speculazione riflessiva, il sogno, l’immagine e la fantasia.
Hillman considera la creatività degli stessi Freud e Jung: fatta di visioni fertili, vite produttive e
scoperte. Per uno psicologo, essere creativo significa corrispondere al proprio destino scegliendo
di fare anima, e mettendo in gioco la propria per guidare l’altro a riconoscere la sua.
Ma, poiché all’uomo è richiesto di amare la sua anima, e poiché l’anima diventa psiche
attraverso l’amore, è il mito di Eros e Psiche a poter diventare centrale per una psicologia
creativa quale è oggi davanti a noi..esplicita, emotiva e umana.

3. II contributo di Adler: l'attività come risultato della facoltà creatrice


Per Alfred Adler la creatività è una reazione al sentimento di inferiorità, e di conseguenza è lo
sforzo che l’individuo mette in atto per compensare una “deficienza” reale o sentita come tale,
perché gli venga riconosciuto il proprio valore e possa raggiungere un migliore adattamento. La
tendenza alla compensazione è particolarmente importante negli individui che hanno qualche
imperfezione, per esempio qualche deficit fisico, e può diventare una forte tensione a
distinguersi nei campi dove la loro difficoltà risultava limitante o in campi sostitutivi. Secondo
Adler, l’artista è tale perché “è stato spesso stimolato durante la prima infanzia da ogni sorta di

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sofferenza e difficoltà, ha provato la povertà, anomalie della vista e dell’udito, talvolta è stato
viziato in un modo o nell’altro, respingendo da sé un forte senso di inferiorità. Egli deve lottare
con ambizione furiosa contro una realtà troppo stretta, per donare qualcosa di più a se stesso e
agli altri”.
I capolavori che escono da questa forza creativa, permetterebbero all’individuo di attribuire un
senso alla vita e di creare un ponte tra eredità e ambiente. Ne deriva che “gli artisti sono tali per
la particolare forza di reazione agli eventi che hanno vissuto come limitanti”.

Il sentimento di inferiorità
Adler attribuisce al sentimento di inferiorità un significato ed una possibilità operativa ben
diversi dalla connotazione generalmente negativa che attualmente si tende ad attribuire a tale
termine. Per Adler il sentimento di inferiorità ha un profondo valore propositivo in ambito non
solo ontogenetico ma anche filogenetico.

La compensazione come energia creatrice


In relazione al senso di inferiorità ci sono tre categorie di fanciulli che tendono a sviluppare dei
tratti compensatori: quelli che manifestano una qualche inferiorità organica, i bambini
maltrattati e quelli viziati. L’umanità ha uno scopo che consiste nella necessità di superare
l’inferiorità per creare un adattamento sempre migliore. È proprio questo, l’adattamento
conseguente allo sforzo di superare il senso di inferiorità che costituisce il primo atto creativo.
Se ogni bambino costretto dalla sua inferiorità crea nuove modalità di vita, i suoi giochi sono
segni della sua energia creatrice.

Il senso della vita come "capolavoro" di ogni essere umano


Adler scrive che la vita comincia con la presa di possesso delle potenzialità umane di sviluppo
che sono diverse in ciascun individuo. Il suo capolavoro è il suo senso della vita. Il capolavoro
di ogni essere umano, la manifestazione della sua creatività consistono quindi nel senso dato alla
vita. La creatività, secondo Adler, non è una dote che si possiede, ma è sforzo verso
l’evoluzione e l’adattamento. L’artista è tale perché è stato spesso stimolato durante la sua prima
infanzia da ogni sorta di sofferenza e difficoltà, ha provato la povertà, anomalie della vista e
dell’udito. Egli deve lottare contro una realtà troppo stretta per poter donare qualcosa di più a se
stesso ed agli altri.

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4. II modello kleiniano
Melanie Klein: la "posizione depressiva" come fonte di creatività
Melanie Klein, partendo dalle posizioni schizo-paranoide e depressiva, interpreta quest’ultima
come fonte di creatività. L’Io infantile si trova davanti alla sua ambivalenza affettiva e al
compito di ricostruire l’oggetto buono, amato, danneggiato e perduto sul piano fantasmatico, a
causa degli impulsi aggressivi del soggetto. Se lo sviluppo procede in maniera equilibrata e con
affetti positivi costanti da parte dei genitori, aumenta la fiducia del bambino nelle proprie
capacità di ricostruire e rigenerare l’oggetto buono, e gli risulta possibile compiere sempre più
riusciti tentativi di riparazione, in quanto viene accresciuta la fiducia nel riconoscere la parte
buona della realtà. Questo porta a superare le ansie depressive e a meglio tollerare l’ambivalenza
e l’alternanza tra istinti aggressivi ed affetti positivi. La spinta a riparare l’oggetto si attua in
forme adeguate proprio attraverso la produzione creativa.
Viceversa, se il bambino ha poca fiducia nella propria capacità di ricostruire l’oggetto, questo
viene percepito come irrimediabilmente perso e restano i sentimenti di colpa, di abbandono e di
persecuzione e quindi un’ansia generalizzata da cui si può difendere solo ricorrendo a rigidi
meccanismi di difesa: la nevrosi.
La creatività, intesa come produttività di tipo artistico, svolge un importante ruolo sostitutivo dei
meccanismi di difesa e dà inizio ad una più equilibrata struttura di personalità. “La creatività
dell’artista fa largo uso dei simboli che, quanto più servono ad esprimere i conflitti tra amore e
odio, tra distruttività e riparazione, tra istinto di vita e di morte, tanto più si approssimano ad una
forma universale”. “Solo se nell’infanzia la formazione del simbolo è in grado di svilupparsi con
tutta la sua forza ed in tutta la sua varietà e se non è ostacolata da inibizioni, allora l’artista
adulto può fare uso delle forze emozionali che sono alla base del simbolismo. Se la formazione
del simbolo è particolarmente abbondante, contribuisce allo sviluppo del talento e perfino del
genio”.
La Klein precisa che ciò che è tipico per l’artista, anche se in misura minore e in modi diversi,
vale un po’ per tutti: infatti i bambini ricorrerebbero al disegno e alla pittura con l’intento di
restaurare ciò che prima è stato distrutto. Quindi il fenomeno creativo non viene più visto come
esclusivo, ma come un momento di crescita individuale e di sviluppo, messo in atto per risolvere
le complicate dinamiche dei primi anni di vita di ognuno.

Marion Milner: la formazione dei simboli

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Milner afferma che man mano che progredisce la crescita, il bambino impedisce alla sua
percezione del mondo di diventare fissa. L’essere umano che si sviluppa può deliberatamente far
nascere in se stesso delle illusioni su quanto vede accadere. Il processo creativo può avvenire tra
il sentimento oceanico e lo strato più intellettuale e consapevole della mente, quello che
mantiene i contatti con la realtà. All’analisi di quella che viene considerata la funzione primaria
dell’arte, la Milner dedica un libro. L’autrice ricorda che il suo piacere di dipingere veniva, fin
da bambina, limitato dall’incertezza circa ciò che il pittore debba realmente proporsi di fare. Il
pittore principiante deve rinunciare al bisogno emotivo di imprigionare rigidamente ogni oggetto
entro se stesso. La milner definisce quale sia la funzione primaria dell’arte: “un mezzo con cui
raggiungere la fusione di soggetto e oggetto. L’artista è colui che crea nuovi simboli per dar vita
al sentimento che crea nuove strade per rendere conoscibile la vita interiore per far partecipare
anche altri alle proprie esperienze.

Jacques Maritain: l'intuizione creativa


Secondo Maritain l’arte e la poesia rappresentano delle dimensioni del tutto articolari. L’arte è
l’attività creativa o producente. Per poesia si intende non l’arte particolare che consiste nello
scrivere versi, ma un processo più genere: quella intercomunicazione fra l’essenza interiore delle
cose e l’essenza interiore della creatura uman che è una specie di divinazione. L’intuizione
creativa affonda le sue radici nella attività spirituale inconscia. Parla di due tipi di inconscio:
- Inconscio spirituale ( la libertà dello spirito creativo)
- Inconscio freudiano: ( inconscio della materia, istinti, tendenze, complessi, immagini e
desideri repressi, ricordi traumatici.

Hanna Segal: il controllo dell'angoscia


Hanna Segal, partendo dalle stesse concettualizzazioni, aggiunge che la messa in atto della
ricostruzione interiore dipende dalla capacità di superare l’ansia situazionale, che il nevrotico
inibisce con comportamenti difensivi sterili, anziché trasformarla in arte. Una serie di casi
clinici di artisti mancati o momentaneamente bloccati, ci mostra che questi, come il nevrotico,
usano il loro materiale a scopi difensivi. L’artista genuino, invece, è consapevole del suo mondo
interiore e del materiale esterno con cui lavora e lo utilizza per esprimere le sue fantasie.
“Condivide con il nevrotico tutte le difficoltà di una depressione non risolta…, ma da lui
differisce in quanto ha maggiore capacità di sopportare l’ansia e la depressione”. Nell’esprimere
le sue fantasie e ansie depressive, infatti, egli compie un lavoro simile al lutto, ristabilendo

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dentro di sé un’armonia, che si trasferisce nella sua creazione. Il pubblico, grazie


all’identificazione con l’artista, rivive, tramite la sua opera, le sue personali ansie depressive e
sperimenta un lutto riuscito. Questo permette al fruitore dell’opera di ristrutturare il suo mondo
interno e di sentirsi arricchito. Per la Segal, la morte e la depressione sono elementi necessari
per realizzare un’opera d’arte. L’artista distrugge e ricostruisce. Comunica al pubblico la sua
posizione depressiva che viene sublimata e quindi espressa in simboli, e nel frattempo costruisce
l’opera comunicandogli il superamento della depressione e il distacco da essa. Il pubblico, che si
identifica con entrambi i processi di distruzione e ricostruzione, riceve l’esperienza liberatoria
dell’artista. Quest’ultimo si caratterizza per una maggiore presenza dell’istinto di vita e di
creazione, che gli permette di sopportare una maggiore quantità di rappresentazioni distruttive e
dolorose, e quindi di superare maggiormente l’istinto di morte. Viene riassunta così la reazione
dell’ascoltatore: “l’autore ha, nel suo odio, distrutto tutti i suoi oggetti amati, come ho fatto io; e,
al pari di me, egli sentiva morte e desolazione dentro di sé. Tuttavia può affrontare e farmi
affrontare tutto ciò, e nonostante la rovina e la devastazione, noi e il mondo intorno a noi
sopravviviamo. Per di più, i suoi oggetti, che diventarono cattivi e furono distrutti, sono
vivificati di nuovo e sono divenuti immortali grazie alla sua arte. Da tutto quel caos, quella
distruzione, egli ha creato un mondo che è integro, completo, unificato” .

Joan Rivière e Adrian Stokes: la paura del "mondo interno" e l'importanza della fonna
Riviere si è occupata della rilevanza del mondo interno. Secondo la studiosa, nel nostro mondo
interno sono presenti delle figure interne dotate di vita propria e indipendente sia dalla realtà
esterna che dalla nostra coscienza. Per Riviere la creazione poetica dipende dal rapporto buono
con il mondo interno. Per Stokes, nella forma si realizza la fusione tra le esperie4nze passate che
l’artista ricrea, e la tensione verso l’unicità dell’oggetto intero come somma di attributi in
contrasto. Egli rileva un’analogia tra l’arte e la condizione di innamoramento. Nella forma,
pertanto, convivono eros e thanatos.

Janine Chasseguet-Smirgel: la "riparazione" del soggetto


Per Janine Chasseguet –Smirgel l’atto creativo ha due funzioni: quella di riparare l’oggetto, ma
anche quella di riparare il soggetto attraverso la sublimazione. Ovvero ci sarebbero due tipi di
atti creativi: quello che è volto a ricomporre l’oggetto distrutto dall’aggressività e che
indirettamente ripara il proprio Io, e quello che è spinto dal bisogno di ricostruire direttamente il
proprio Io esposto all’intensità delle scariche pulsionali. La sublimazione trasforma la valenza
degli impulsi e li utilizza in modo più diretto e adeguato, consentendo questo secondo tipo di
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creatività. La Smirgel rileva, dai suoi casi clinici, che gli individui creativi presentano disturbi
somatici che arrivano fino alla depersonalizzazione. L’Io di questi soggetti sarebbe maturato
troppo precocemente, in seguito a frustrazioni e traumi psichici intensi che hanno interrotto
troppo presto la fusione primaria con la madre. Con l’attività creativa, questi soggetti colmano
autonomamente le mancanze provocate da altri, senza dipendere da interventi esterni. Quindi, la
spinta motivazionale alla creatività deriverebbe da bisogni narcisistici primari non soddisfatti.

R. Money-Kyrle: la creatività come conservazione e riparazione del seno


Money-Kyrle ha analizzato alcune tematiche culturali e sociali ( ad esempio la superstizione, la
politica ecc.) condotta attraverso il metodo psicoanalitico. Per l’autrice è possibile valutare
obiettivamente le opere d’arte. Per raggiungere questo scopo risutla fondamentale la
costituzione del senso estetico della bellezza, il cosiddetto feeling estetico, la cui origine
rimanda ad una particolare reazione dell’infante al senso materno che compare per la prima
volta quando il bambino raggiunge la posizione depressiva. Per diventare artista o per
comprendere profondamente il lavoro artistico questo tipo particolare di feeling non basta;
risulta indispensabile l’impulso a conservare, a ricostruire o a creare.

5. L'apporto dell'Ego-Psychology
Ernst Kris: l'lo e il controllo sul processo primario
Kris sostiene che non è l’inconscio a determinare i contenuti e i modi in cui si sviluppa
l’immaginazione che sta dietro l’attività creativa, ma è l’Io, che mantiene un certo tipo di
controllo sul processo primario. Tra le più tipiche caratteristiche dell’artista vi sarebbero: la
capacità di accedere facilmente al materiale inconscio controllandolo in modo da non esserne
sopraffatti e la capacità di spostare rapidamente le funzioni dell’Io dal livello secondario a
quello primario. Si tratta cioè di capacità di autoregolazione della regressione e di capacità di
controllo del processo primario. In pratica, i soggetti creativi sono in grado di passare
dall’attività di analisi, riflessione ed elaborazione culturale ad attività espressive legate
all’inconscio (si parla di regressione o primitivizzazione dell’Io) e di trasformare la sua energia
psichica attraverso il processo della sublimazione. Questa non viene più considerata un
meccanismo di difesa ma una funzione indipendente dell’Io.
L’attività creativa avrebbe successo o insuccesso nella misura in cui si è staccata dal conflitto
inconscio che può esserne all’origine, e la terapia può facilitare o addirittura ottenere questo
distacco. Oltre a ciò però, bisogna considerare altre condizioni: le proprietà del mezzo
espressivo e la loro funzione in quelle particolari circostanze storiche, caratterizzate da certi
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modi di espressione e da determinati problemi artistici da risolvere. Così, in base a come è


strutturata la situazione artistica in un determinato momento, può suscitare la partecipazione di
quelli che sono predisposti a soddisfarne le esigenze. Dunque, Kris aggiunge agli eventi della
prima infanzia dell’artista, altri fattori: le situazioni storiche, sociali e culturali in cui si svolge
la sua vita.
Secondo Kris il processo della creazione artistica è formato da due fasi che possono alternarsi in
una successione o intrecciarsi in diversi modi: la fase dell’ispirazione e quella dell’elaborazione.
La prima ha molti tratti in comune con i processi regressivi e consiste in momenti improvvisi di
eruttività e di eccitamento, in cui gli impulsi e le energie (che altrimenti resterebbero nascosti)
vengono liberati verso l’espressione. Il soggetto si sente come trascinato e rapito da un agente
esterno che agisce attraverso la sua persona, ed ha questa convinzione. La fase
dell’elaborazione, invece, consiste nella riflessione e richiede concentrazione e dedizione,
processi collegati con il lavoro. Qui prevalgono l’organizzazione e il proposito di risolvere un
problema. In entrambe le fasi vi sono spostamenti di livello psichico e per Kris la presenza del
pubblico, anche solo psicologica, o semplicemente la posizione di osservatore della propria
opera da parte dell’autore, è un elemento indispensabile anche per accertare la sua salute
mentale. Infatti lo studio dell’arte, sempre per Kris, appartiene allo studio della comunicazione,
e “l’arte consciamente o inconsciamente… si propone sempre una comunicazione”. Ma le
produzioni di un artista psicotico non sono più rivolte ad un pubblico. Esse hanno l’intento di
trasformare il mondo interiore e di controllarne i demoni: l’arte passa allora da comunicazione a
stregoneria.
L’arte come fenomeno sociale, è quindi legata all’integrità dell’Io, la cui regressione è solo
temporanea , parziale e controllata dall’Io stesso.

L.S. Kubie: i processi preconsci


Un altro esponente dell’Ego-Psychology è E. Kubie, il quale dà molta importanza al ruolo del
sistema preconscio nella creatività. Nel preconscio ci sarebbero i contenuti provenienti
dall’esterno del soggetto che si ritirano temporaneamente dalla coscienza, e quelli di origine
interna, come emozioni e sentimenti, che giungono dall’inconscio. Nella area suddetta si
concentrerebbero, quindi, energie disponibili all’uso, risorse plastiche , mobili ed adattabili, a
cui l’artista attingerebbe dando luogo ad elaborazioni nuove e originali. Per Kubie, la creatività
è il momento in cui queste fonti vengono utilizzate al massimo, riunendo vecchi dati in nuove
combinazioni complesse. Quando a prevalere è il processo conscio o inconscio ci sarebbe una
certa rigidità, quando invece predomina il processo preconscio, si ha un’uscita dalla rigidità e

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un continuo e libero variare delle associazioni, dissociazioni e comparazioni del materiale


immaginativo e ideativo, e ciò sarebbe la base della creatività . In ultima analisi, la persona
creativa è quella che ha conservato la capacità di usare le risorse del preconscio, poiché la
creatività consisterebbe nel mescolare le emozioni, i ricordi e i vissuti ivi contenuti, e nel
scegliere le combinazioni possibili tra di essi.

E. Erikson: la generatività
Il concetto di generatività nasce negli anni Cinquanta ad opera del grande psicologo Erik
Erikson. L’Autore descrive la generatività come una qualità che il soggetto adulto è chiamato a
possedere o a conseguire in una determinata fase della sua esistenza – la settima – all’interno di
un quadro evolutivo di progressive acquisizioni di natura psicosociale. Orientando il proprio
sguardo verso il futuro, l’adulto si porrebbe qui in una dimensione di “cura e di investimento per
ciò che è stato generato per amore, necessità o caso”. Tale fase si connoterebbe, in altri termini,
per una tensione gratuita – al di là del puro senso del dovere nei confronti di ciò che si è messo
al mondo – a favore di altri o altro. “La generatività” – afferma ancora Erikson – “è quindi
anzitutto la preoccupazione di creare e dirigere una nuova generazione”, da intendersi,
evidentemente, in senso lato, come l’allestimento delle condizioni più favorevoli per il
perpetuarsi migliorativo della vita delle persone, del sociale e delle sue istituzioni. Accanto alla
più immediata generatività familiare e parentale, la generatività acquista una connotazione
“sociale” anzitutto perché la sua azione finisce per toccare cerchie sempre più ampie –
un’impresa, una realtà associativa, una comunità locale - del presente e finanche del futuro (le
prossime generazioni e i futuri assetti socio-istituzionali). Essa può concretizzarsi in una serie
molto eterogenea di ruoli sociali, da quello più immediato del genitore, a quelli di mentore,
insegnante, leader, figure cioè, che presiedono in qualche modo alla funzione di trasmissione.
Non secondariamente, la generatività appare in grado di riallestire le condizioni di
quello stesso sociale: la generatività ritesse il sociale. Essa ricombina, riarticolandole, le
categorie dell’innovazione (GENialità) e della sostenibilità (eccedenza, gratuità, generosità).
Andando così a rispondere alle domande efficienza ed efficacia sistemica – cioè la capacità di
stare al passo alle sfide di questo tempo – e a quella della legittimità – ossia l’abilità a
comprendere e corrispondere al sentire delle persone e dei gruppi. Per Erikson la generatività
non costituisce un passaggio necessitato. Si tratterebbe, invece, solo di una potenzialità che
potrebbe risolversi addirittura nel suo contrario, definito dall’Autore nei termini di

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“stagnazione”, ovvero di un ripiegamento passivo, inazione e improduttività. Secondo l’Autore,


è possibile in questo caso registrare una sorta di involuzione, un passaggio regressivo che si
accompagna – diversamente da quanto avviene nell’ipotesi evolutiva in chiave generativa – ad
un “impoverimento personale” e, inevitabilmente, sociale.

ERIKSON: LE ATTITUDINI DI BASE


Erikson postula dunque otto stadi evolutivi: La prima fase, definita da Erikson orale-sensoriale
(dalla nascita a 1 anno circa) è incentrata intorno all'acquisizione della fiducia di base e della
sfiducia di base, entrambe necessarie al fine dello sviluppo umano. La seconda fase ( dai 2 a 3
anni), che corrisponde nello sviluppo psicosessuale a quella anale-muscolare, è segnata
dall'esperienza del controllo e della disciplina, Nella terza fase psicosociale (dai 4 e 5 anni) il
bambino consolida il senso di autocontrollo di volontà e di autonomia della fase precedente in
un atteggiamento sempre più integrato di padronanza delle situazioni, responsabilità e iniziativa
autonoma. La quarta fase (dai 6 anni alla pubertà) vede emergere nel bambino un senso di
competenza e di efficacia. Nella sesta fase, che corrisponde all'inizio dell'età adulta, la ricerca di
relazione e d’ amore acquista una nuova maturità La settima fase è il periodo della generatività,
cioè di una capacità produttiva e creativa nel campo del lavoro, dell'impegno sociale, delle idee
e della famiglia anche attraverso la nascita dei figli. L'ultima fase è quella che rende veramente
originale il contributo di Erikson, che protrae l'evoluzione della personalità fino al momento
della vecchiaia, in cui devono essere ancora integrate delle peculiari dimensioni psicologiche,
come l'integrità e la disperazione.

CONOSCERE ATTRAVERSO L’INSIGHT


Per Erikson l’insight è il potere o l’atto di vedere in una situazione e in se stessi nello stesso
tempo: i due in realtà sono un unico potere e un unico atto.

6. L'attenzione centrata sul linguaggio


Charles Mauron: la "psicocritica"
La psicocritica di Charles Mauron vuole ricostruire la personalità inconscia dell'autore a partire
dall'analisi delle opere.
Mediante la sovrapposizione di più testi emergono delle reti di associazioni, dei gruppi di
immagini ricorrenti o “metafore ossessive”, la cui strutturazione permette di giungere, infine, al
“mito personale” dell'autore, che è appunto l'espressione della sua personalità inconscia.
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Franco Fornari: la "coinoanalisi"


In Fornari c’è un’attenzione rivolta sia verso una personale sistematizzazione della teoria
psicanalitica sia verso l’applicazione della stessa a vari ambiti del sociale e tra essi verso quello
relativo alla creazione artistica. Ciò che Fornari risulta importante sono le fantasie inconsce che
possono essere distinte in tre tipi: quello proto plastico che precede l’esperienza del mondo ;
quello autoplastico che rimanda ad uno strato meno profondo che si esprime attraverso i
fantasmi della sessualità infantile; infine il terzo che si ricollega alla posizione depressiva e che
riguarda l’attività fantasmatica ripartiva. Fornari costruisce una teoria psicoanalitica dell’arte
intesa come vittoria dell’eros sulla morte e costituisce un processo ripartivo. Nella guida
generale per l’analisi, si afferma che la ricerca deve fondarsi sull’analisi dei personaggi investiti
di significato simbolico e su quella delle funzioni affettive. Fornari parla poi della
presentificazione. Essa si realizza attraverso la capacità transazionale del linguaggio ( quella
sorta di magia che trasforma oggetti insignificanti in oggetti particolarmente significanti).
Successivamente Fornari ha elaborato la famosa coinoanalisi nata da una rilettura della teoria
freudiana del sogno.

La Coinoanalisi
La teoria coinemica è la teoria psicoanalitica del linguaggio fondata sulla semiosi affettiva.
L’analisi coinemica è l’analisi del linguaggio ( sia scritto che verbale e non verbale) basata sulla
semiosi affettiva. Secondo Fornari il coinema è da intendersi come l’unità elementare del
significato affettivo..come unità minima alla quale può essere ricondotta la semiosi affettiva. I
coiemi sono alla base di ogni linguaggio umano e corrispondono ai denotati simbolici del sogno
e cioè madre, padre, bambino, fratello, organi sessuali, nascita e morte.

Jaques Lacan: il linguaggio come condizione dell'inconscio


L’impegno teorico e clinico di Jacques Lacan ha avuto come focus d’indagine il soggetto messo
in questione dalla psicoanalisi. Lacan parte dai problemi clinici e metodologici sollevati
dall’esperienza analitica e cerca di sviluppare e trasmettere i principi di una prassi che non
indietreggi innanzi alle esigenze del soggetto. Il vettore che anima il percorso lacaniano mira al
cuore della posizione soggettiva e intende render conto di ciò che fa sintomo nell’esperienza del
soggetto.
Con il suo testo intitolato Funzione e campo della parola e del linguaggio Lacan dà inizio al suo
insegnamento e concentra la sua ricerca sul rapporto tra l’uomo e il linguaggio, mettendo al
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centro dell’esperienza psicoanalitica la parola del paziente. Il sintomo di cui si occupa la


psicoanalisi viene quindi inserito nella cornice di riferimento data dall’ordine simbolico. Lacan
infatti, interessandosi alla tecnica psicoanalitica, mette in valore la funzione della parola nel
campo del linguaggio per ottenere gli effetti attesi dalla cura.
L’obiettivo di Lacan consiste nel rivalutare il medium della parola e la dimensione simbolica che
essa veicola. Si tratta di una posizione epistemologica che conduce al di là della semplice
considerazione per cui i sintomi psichici vengono assimilati a dei deficit da riparare o a
epifenomeni del biologico. Tale visione della malattia mentale è collocabile all’interno del più
vasto panorama della psicopatologia strutturale che raccoglie, tra gli altri, l’approccio
fenomenologico. La psicopatologia fenomenologica, inaugurata da Karl Jaspers con la
pubblicazione nel 1913 del suo Psicopatologia Generale, nasce in contrapposizione al mito
positivista di una psichiatria organicistica, che riduce l’incontro con il malato a una mera
descrizione dei sintomi, per poi raggrupparli in entità nosografiche che richiamano semmai le
classificazioni della botanica. A tal proposito «il fatto che le malattie mentali siano
fondamentalmente umane ci obbliga – come osserva Jaspers – a non vederle come un fenomeno
naturale generale, ma come un fenomeno specificamente umano».
Lacan, sin dai suoi inizi, accoglie questa prospettiva, facendo propria anche la tesi della
fenomenologia husserliana e dell’analitica esistenziale di Heidegger, secondo cui il soggetto non
è mai avviluppato su se stesso, in una interiorità solipsistica, ma è sempre rivolto verso
un’alterità. Secondo Lacan per il soggetto il rapporto ad se ipsum non è possibile senza un
rapporto ad alterum. Peraltro questa tesi è in sintonia con quanto pensava Freud, per il quale il
mentale è sempre già sociale e «il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale».
Nella sua prospettiva teorica Lacan include inoltre, attraverso l’insegnamento di Kojève, il
contributo hegeliano sulla costituzione intersoggettiva del soggetto: la funzione della parola è
dialetticamente fondata sulla risposta che riceve dall’Altro, ossia sul riconoscimento che l’Altro
opera sul messaggio del soggetto. Da lì Lacan sarà portato a dire che «il desiderio dell’uomo è il
desiderio dell’Altro»,ovvero desiderio di riconoscimento.
In questa prima fase del suo insegnamento Lacan mutua i suoi concetti anche dagli studi e dalle
ricerche dell’antropologia e della linguistica strutturale, il che significa che il campo simbolico
viene riconosciuto come la dimensione fondativa del soggetto: è un campo dove la rete dei
rapporti strutturali tra gli elementi produce degli effetti sul soggetto. Prima ancora della nostra
stessa venuta al mondo ci sono già dei rapporti, in particolare di parentela, che organizzano il
modo inaugurale delle relazioni umane, gli danno una struttura e le modellano. Noi entriamo in
quel sistema che è il mondo dove già esistono dei rapporti interdetti e dei rapporti autorizzati.

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L’inconscio entra in gioco appunto come un insieme di regole, di ordini e di ripetizioni che
funzionano in modo pre-soggettivo. Si tratta di regole che definiscono le condizioni a partire da
cui si può costituire la soggettività.
L’inconscio trova inoltre il suo modello nel gioco combinatorio che opera, anch’esso in modo
pre-soggettivo, nel linguaggio. A tal proposito Lacan riprende la concezione saussuriana che
distingueva nel linguaggio due momenti: la langue e la parole. La lingua si configura come il
sistema grammaticale che struttura la sincronia da cui discende il movimento diacronico
dell’esercizio della parola. La parola coincide con un atto comunicativo individuale che si
avvale delle leggi della lingua, cioè di quelle regole che vengono condivise dagli appartenenti ad
una medesima comunità linguistica. La parola assume così un carattere soggettivo, esprimendo
dei contenuti particolari, mentre il linguaggio è la dimensione universale di ogni atto
comunicativo che rispetta un codice linguistico (la lingua) determinato da condizioni storiche e
geografiche. Ecco come la parola del soggetto è strutturalmente articolata al campo del
linguaggio.
Ora, seguendo la teorizzazione di Lacan in Funzione e campo è possibile osservare come
l’inconscio venga ricondotto a una realtà transindividuale in grado di permeare la vita e il
discorso del soggetto: «l’inconscio è quella parte del discorso concreto in quanto
transindividuale, che difetta alla disposizione del soggetto per ristabilire la continuità del suo
discorso cosciente». Più precisamente l’inconscio si presenta come quel capitolo censurato della
storia del soggetto e il sintomo viene considerato come «il significante di un significato rimosso
dalla coscienza del soggetto».
D’altra parte Lacan rilegge Freud rimarcando che la nozione di inconscio serve a chiarire la
natura di quelle ragioni che, al di là del campo di giurisdizione dell’io cosciente, delineano la
trama simbolica del percorso esistentivo di ciascuno. Queste ragioni, ovvero la verità
dell’inconscio, che vengono veicolate dai sintomi, dai sogni o dai lapsus sono una scrittura e
rivelano una struttura linguistica. La tesi di Lacan consiste nel ricondurre l’inconscio freudiano
allo statuto di una struttura simbolica che opera nella vita del soggetto. L’inconscio viene
dunque riletto da Lacan come un’altra logica che funziona all’insaputa del soggetto. L’inconscio
è un funzionamento ed è strutturato come un linguaggio.
«Per Lacan l’inconscio freudiano non è ineffabile, né è una forma immaginaria, ma è articolato.
Articolato come un linguaggio. E quindi è una struttura simbolica. Da qui l’aforisma che
l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Secondo Lacan la scoperta di Freud non è tanto da
situare nello svelamento dei contenuti di questo inconscio, sempre immaginari, ma nello
svelamento delle leggi che presiedono al suo funzionamento».

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In altre parole, il riferimento allo strutturalismo da parte di Lacan è volto a dissipare due
fraintendimenti storici fondamentali dell’inconscio freudiano, in base ai quali esso non sarebbe
stato altro che un serbatoio di pulsazioni arcaiche o un’istanza non ancora cosciente, non ancora
assorbita dal potere di sintesi dell’io. L’esperienza della cura psicoanalitica evidenzia infatti una
dimensione «altra» (inconscia) che abita il cuore dell’io: in quest’altra scena c’è qualcosa del
tutto analogo a quanto avviene a livello del soggetto cosciente, qualcosa parla e funziona in
modo altrettanto elaborato che a livello della coscienza, la quale perde così ciò che sembrava
essere il suo privilegio.

Julia Kristeva: la"semanalisi"


Kristeva ha elaborato la cosiddetta semanalisi. Tale influenza risulta visibile non solo in
relazione alll’interpretazione della nascita –dalla chora- della fase tetica ma anche in riferimento
alla particolare importanza attribuita alla maetafora. Con il termine Chora semiotica la Kristeva
intende riferisi a ciò che viene articolato dalle pulsioni, intese contemporaneamente come
cariche energetiche e marche psichiche e cioè una totalità non espressiva costituita dalle
pulsioni. Il tetico definisce l’ambito della significazione; pertanto tetica è qualsiasi enunciazione
sia di parola sia di frase. Le prime enunciazioni del bambino, dette olofrastiche e che inglobano
il gesto, l’oggetto e un’emissione di voce non sono forse ancora frasi, ma sono già tetiche nel
senso che separano dal soggetto un oggetto cui attribuiscono un significato.
- Lo stadio dello specchio individua la separazione dall’immagine ( offerta dallo specchio)
e la costruzione della posizione dell’io immaginario.
- La scoperta della castrazione completa poi questo processo di separazione poiché stacca
il soggetto dalla sua dipendenza nei confronti della madre e fa della funzione fallica una
funzione simbolica.
1. Il genotesto comprenderà tutti i processi semiotici ( le pulsioni, le loro disposizioni, il
taglio che imprimono sul corpo) ma anche l’insorgenza del simbolico. Il genotesto
rappresenta il terreno, la base sottostante al linguaggio, quello che serve alla
comunicazione.
2. Il fenotesto invece è una struttura obbedisce alle regole della comunicazione, presuppone
un soggetto dell’enunciazione ed un destinatario.

7. Le tendenze culturaliste

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Con tale definizione si vuol fare riferimento ad un gruppo di psicoanalisti che risentirono
fortemente dell’influenza dell’apporto dell’antropologia e della sociologia. La concezione
tyloriana della cultura, intesa come un complesso sistema che comprende le conoscenze, le
credenze, l’arte, la morale, gli usi e quant’altro l’uomo acquisisce come membro di una società.
Ci si attenziona alla dimensione sociale.

Erich Fromm: la "produttività"


I culturalisti sono un gruppo di psicoanalisti con influenze antropologiche e sociologiche, che
danno importanza alla dimensione sociale nello sviluppo della personalità. Tra di essi, Erich
Fromm sostiene che la personalità dell’individuo è determinata dalle pressioni culturali e si
forma in risposta alla società in cui vive. Egli, infatti, considera le grandi opere d’arte,
testimonianze dei cambiamenti sociali che sono avvenuti nel corso del tempo. Gli impulsi
creativi sarebbero espressioni del bisogno dell’uomo di andare oltre la sua natura animale,
elevando se stesso al di sopra della passività e della casualità della sua esistenza, diventando
creatore nel regno della libertà. La società dovrebbe soddisfare questo bisogno e far sì che
l’uomo riesca ad esprimere fino in fondo tutte le sue potenzialità. Poiché nessuna società è
riuscita in questo, Fromm afferma che essa può esistere sottoforma di “socialismo comunitario
umanistico”, sottolineando la funzione positiva nell’uomo della coscienza “umanistica”, cioè
della consapevolezza di agire secondo le proprie potenzialità umane, a differenza dell’agire
secondo la coscienza “autoritaria” irrazionale derivante dal Superio di cui parla Freud.
Fromm chiamò col termine “umanistico” anche la corrente di Psicologia a cui appartengono, tra
gli altri, Rogers e Maslow. Per Fromm (1959), la creatività è la capacità di “vedere” o di “essere
consapevoli” e di “ rispondere”. La maggior parte degli uomini non si rende coscientemente
conto di nulla e non risponde a nulla, ma nessuno può creare un’opera pittorica valida se prima
non è totalmente consapevole e sensibile a quel particolare oggetto da dipingere. Ciò vale anche
per le persone, poiché vedere l’altro in maniera creativa significa vederlo senza proiezioni e
distorsioni, cioè senza vizi neurotici. Solo chi ha raggiunto un certo livello di maturità interiore
può compiere esperienze veramente creative e vedere l’altro nella sua realtà. Questo è
necessario per poter rispondere in maniera realistica, cioè con tutto il nostro potere umano (il
potere della sofferenza, della gioia e della comprensione) alla realtà dell’oggetto o del soggetto
che sta vivendo qualcosa. Solo così rispondiamo alla persona come essa è, alla sua esperienza
autentica. Non con il cervello o con gli occhi o con le orecchie, ma con l’interezza della nostra
persona. In ogni tipo di lavoro creativo, l’artista e l’oggetto diventano un’unica cosa, poiché
l’uomo si unisce col mondo.

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Fromm, per indicare l’attività creativa, usa il termine “produttività”, un’attività dell’Io libera e
spontanea che può operare nelle proprie esperienze emotive, intellettuali e sensuali, e anche
nella propria volontà. La produttività non è per Fromm una dote particolare, ma un
atteggiamento di cui tutti possono essere capaci. Si tratta di un modo di vivere e sperimentare
l’esistenza, non riproducendo, ma generando, e una persona può sentire, vedere e pensare
produttivamente, senza avere la capacità o forse, più che altro, la preparazione per creare
qualcosa di visibile e comunicabile.
La produttività è caratterizzata dalla spontaneità, presente nell’artista ma non solo: egli ha
semplicemente la possibilità di esprimerla con mezzi oggettivi diventandone così il
rappresentante più convincente, anche se la sua posizione è vulnerabile, poiché se non riesce a
vendere la sua arte, verrà considerato un eccentrico e un nevrotico dai suoi contemporanei.
Come il rivoluzionario, se vittorioso diventa un uomo di Stato, se fallisce è giudicato come un
criminale.
Secondo Fromm vi sarebbero cinque condizioni necessarie alla base dell’atteggiamento
creativo: la capacità di essere perplessi, la capacità di concentrazione, l’esperienza dell’Io
ovvero di se stessi, la capacità di accettare il conflitto e le polarità invece di evitarli, ed infine la
disposizione a nascere ogni giorno.

1) LA CAPACITA’ DI ESSERE PERPLESSI, tipica dei bambini, consiste nel


meravigliarsi sempre e sorprendersi per ciò che è nuovo, nella misura in cui lo
guardiamo con occhi nuovi, ed è la premessa di qualsiasi creazione sia in campo
artistico che scientifico.
2) LA CAPACITA’ DI CONCENTRAZIONE consiste nel far diventare ciò che stiamo
facendo in un dato momento la cosa più importante della nostra vita. Questa capacità è
rara nella nostra società occidentale in cui siamo sempre affaccendati e mentre facciamo
una cosa pensiamo a quella che dobbiamo fare dopo, arrivando a fare più cose
contemporaneamente. La maggior parte degli uomini vive nel passato o nel futuro, ma si
è consapevoli in maniera autentica e si risponde in modo autentico solo nel momento
presente, in questo istante.
3) L’ESPERIENZA DELL’IO OVVERO DI SE STESSI è un’altra condizione
necessaria della creatività. Ciò significa che io sperimento me stesso come autentico
generatore dei miei atti, cioè faccio in modo che l’esperienza abbia origine in me. Questo
vuol dire essere originali. Il che non avviene, ad esempio, se esprimo un’opinione
ripetendo ciò che ho sentito da un altro o quello che ho letto su un giornale o che mi è
stato insegnato dai genitori da piccolo. Lo stesso vale per i sentimenti. Per avvertire il
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senso autentico dell’Io, dell’identità, l’uomo deve evadere dalla propria persona,
rinunciare al possesso di sé come senso di proprietà e sperimentarsi nel processo della
risposta creativa in cui perde se stesso per sentirsi tutt’uno con il mondo intero.

4) LA CAPACITA’ DI ACCETTARE IL CONFLITTO E LE POLARITA’ INVECE DI


EVITARLI. Secondo Fromm il conflitto non è dannoso come si pensa, ma sviluppa la
forza e il carattere. Una condizione della creatività è essere consapevoli dei conflitti e
sperimentarli fino in fondo, accettandoli non solo a livello intellettuale ma anche a
livello dei sentimenti, altrimenti avremo un’esperienza superficiale e non creativa. E’
anche importante accettare le polarità , che esistono a molti livelli, per esempio a livello
individuale nel temperamento e a livello sociale fra i due sessi o tra razze diverse. Oggi,
uguaglianza significa copia conforme e non essere diversi dal gregge, ma la vera
uguaglianza tra i sessi e tra le razze consiste nel fatto che ognuno ha la stessa dignità
nonostante le differenze, che ciascuno ha il diritto di sviluppare queste differenze e che
nessuno ha il diritto di usarle per sfruttare gli altri. La creatività si può sviluppare solo
con la vera uguaglianza.

5) LA DISPOSIZIONE A NASCERE OGNI GIORNO significa avere e coltivare


coraggio e fede. Coraggio di rinunciare a tutte le certezze e illusioni, coraggio ad essere
diversi, a sopportare l’isolamento, a lasciare il proprio paese e la propria famiglia ed
andare verso l’ignoto, coraggio di preoccuparsi solo della verità nel pensiero e nei propri
sentimenti. Questa audacia è possibile solo se si basa sulla fede, intesa come capacità di
credere nella propria esperienza sia nel pensiero che nel sentimento.
In ultima analisi, per Fromm educare alla creatività significa educare alla vita.

Karen Horney: i "tratti nevrotici" come limite alla creatività


Karen Horney, collaboratrice di Fromm, dal quale prende la consapevolezza dell’influenza dei
fattori sociali nella dinamica psichica, pone come condizione essenziale dell’attività creativa la
fiducia in se stessi, minacciata e ostacolata dalle nevrosi che impedirebbero l’espressione delle
capacità esistenti. Secondo la Horney, l’impulso creativo e l’energia creativa provengono dal
desiderio di autorealizzazione dell’artista e dalle energie messe al servizio di questo desiderio.
“L’artista… crea non… a seguito della sua nevrosi, ma nonostante la nevrosi”, e lo scopo

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dell’analisi sarebbe liberare una persona da schiavitù interne perché possa sviluppare al
massimo le sue potenzialità.

8. Tra soggettivo e oggettivo: Donald W. Winnicott e il fenomeno transazionale


Per Winnicott, all’inizio della vita, il bambino non è in grado di distinguere ciò che è ME da ciò
che non è me. In questo medesimo tempo la dipendenza del bambino è doppia in ragione del
fatto che non è consapevole di tale dipendenza. In questo delicato momento, il passaggio dalla
doppia dipendenza alla dipendenza, e da quest’ultima all’indipendenza è reso possibile
dall’atteggiamento della madre che già nella fase finale della gravidanza, vive quel particolare
sentimento che Winnicott definisce preoccupazione materna primaria. Si tratta di una
condizione del tutto particolare che può essere paragonata a una malattia normale che
permetterebbe alle madri di adattarsi con delicatezza e sensibilità ai primi bisogni del bambino.
Si tratta dell’emergere di un’area esperienziale e di significato che non è né reale né irreale, che
non appartiene all’interno o all’esterno, ma che è la risultante di un processo nel quale la
risposta al bisogno identifica e delinea un’area in cui vengono soddisfatti sia i bisogni fisici sia
quelli relativi alla sicurezza connessa alla presenza degli oggetti gratificanti. Questo particolare
tipo di relazione viene definito da Winnicott fenomeno transizionale. Oltre alla realtà esterna e a
quella interna esiste necessariamente una terza parte, un’area intermedia di esperienza a cui
contribuiscono sia la realtà interna sia la vita esterna. Il fenomeno transazionale si concretizza in
un oggetto transazionale ( un giocattolo, un lembo della copertina, una filastrocca che il
bambino canta quando ad esempio si pèrepara per andare a dormire ecc.) e cioè in un oggetto
che non fa pare del suo corpo ma che non è ancora riconosciuto come facente parte della realtà
esterna. La formazione di tale fenomeno riguarda le prime esperienze autoerotiche ( la suzione
del pollice), la copertina, o simili). L’uso di questo oggetto diventa di importanza vitale
soprattutto nei momenti nei quali appare necessaria una difesa contro l’angoscia dsi tipo
depressivo ( ad esempio prima del sonno). Tale fenomeno che insorge tra i 4 e i 12 mesi
scompare, lentamente. Può ricomparire in età successive quando si realizza una situazione
vissuta come minacciante. La funzione della madre appare rilevante. Secondo Winnicott l’artista
creativo è capace di raggiungere un tipo di socializzazione che si sostituisce al bisogno del senso
di colpa ed alla concomitante attività ripartiva. L’artista creativo o il pensatore possono non
riuscire a comprendere o perfino a disprezzare i sentimenti di preoccupazione che motivano una
persona meno creativa; e di alcuni artisti si può dire che non hanno nessuna capacità di provare
senso di colpa. Ma l’importanza della madre non si arresta qui, perché dopo aver contribuito alla
formazione della fiducia provvede poi attraverso lo svezzamento a togliergli le illusioni. La
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caratteristica fondamentale del gioco è il suo essere un’esperienza creativa, sempre. Ciò non
dipende dal contenuto del gioco o dalle caratteristiche del soggetto, dipende invece dalla natura
stessa di tale attività. Il gioco è la condizione perché il bambino o l’adulto siano liberi di essere
creativi.

Per entrare in contatto con il bambino: il gioco degli scarabocchi


D. W. Winnicott sviluppò tra il 1964 e il 1968 un tipo di intervento applicabile nel primo
colloquio con bambini come strumento diagnostico-terapeutico, e lo chiamò squiggle game,
ossia il 'gioco dello scarabocchio'. Egli lo presentava al bambino semplicemente così: "Io chiudo
gli occhi e faccio uno scarabocchio sul foglio; tu ci disegni sopra e lo fai diventare ciò che vuoi.
Poi tu fai un tuo scarabocchio su un altro foglio e io lo faccio diventare ciò che voglio". È
essenziale comprendere che questa non è mai stata considerata da Winnicott una 'tecnica', ma
solo un modo per entrare in rapporto col piccolo paziente, per creare un colloquio con lui. Per
Winnicott la psicoterapia stessa è qualcosa che ha a che fare con due persone che giocano
insieme, e il gioco dello scarabocchio serve, appunto, a creare uno spazio in cui possa esprimersi
il potenziale ludico della mente infantile. Quando ciò avviene, il bambino si apre interamente e
crea col terapeuta una relazione densa, piena e fiduciosa che è molto raro poter raggiungere con
altri mezzi in un primo contatto.

9. Arieti e il processo terziario: la creatività come "sintesi magica"


Silvano Arieti (1966) sostiene che il processo creativo risulta dall’interazione dei meccanismi
del processo secondario con quelli del processo primario e chiama questa particolare
combinazione “processo terziario”. Mentre il processo primario è l’espressione spontanea della
psiche, il secondario ne rappresenta la canalizzazione secondo le esigenze della logica e del
controllo della realtà. I meccanismi arcaici, si integrerebbero con quelli logici, per dar luogo a
prodotti originali nei diversi campi della creatività. Usare il pensiero primario è necessario, ma
ciò deve essere controllabile, altrimenti si perde il contatto con la realtà, come avviene nella
malattia mentale. Quindi, bisogna sempre essere coscienti della finzione. Mentre nel pensiero
del processo secondario gli elementi che appartengono ad una classe vengono riconosciuti come
simili, nel pensiero del processo primario tali elementi sono scambiati tra di loro. Nel campo
della creatività poetica, per esempio, il poeta per esprimersi crea metafore cercando similitudini
in cose non simili: parla di una rosa tarlata da un bruco, per darci l’idea di un male incurabile in
una bella donna.

I presupposti del processo creativo: l'immaginazione e la cognizione amorfa


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Secondo Arieti esistono 2 tipi di presupposti indispensabili per lo svolgersi del processo
creativo: il primo consiste nella presenza di un ambiente che offra occasioni di stimoli, il
secondo che è specifico riguarda quanto può essere contenuto nella categoria
dell’immaginazione e della cognizione amorfa. La categoria dell’immaginazione viene definita
come la capacità della mente di produrre o riprodurre parecchie funzioni simboliche in uno stato
di coscienza, di veglia, senza alcuno sforzo volontario per organizzare tali funzioni. La
cognizione amorfa viene definita un tipo di cognizione che si ha senza rappresentazione cioè
senza che essa sia espressa in immagini, parole, pensieri,m o azioni di alcun genere. La sua
funzione specifica è l’endocetto, così definito per distinguerlo dal più noto concetto, forma di
cognizione più matura, esprimibile e comunicabile. L’endocetto costituisce una sorta di
predisposizione a sentire, ad agire, a pensare che si produce dopo che è stata inibita un’attività
mentale più semplice.

La cognizione primitiva
Il processo creativo può essere descritto nell’ambito della cognizione amorfa. Quando però esso
raggiunge uno stadio di differenziazione tale da rendere possibile l’uso delle parole e delle idee,
allora questo è il segno che vengono privilegiati altri tipi di pensiero: quello che rimanda al
processo primario e quello che si riferisce al cosiddetto processo secondario. Arieti definisce
paleo logica la forma del primo tipo di pensiero che compare soprattutto nei pazienti
schizofrenici e solo molto raramente nei soggetti sani. Una caratteristica del pensiero
schizofrenico è rappresentata dall’indifferenziazione tra identità e somiglianza che causa una
forma di classificazione ottenuta per la sola presenza di un predicato comune.

La cognizione concettuale
Nell’ambito del processo secondario Arieti analizza solo quelle caratteristiche della cognizione
concettuale che risultano particolarmente importanti per il processo creativo. Esse riguardano i
particolari rapporti dello stesso con il processo primario; l’uso del concetto e il concetto come
ideale.
1. Per quanto riguarda il primo aspetto, Arieti rileva come sia impossibile credere che nel
processo creativo la funzione svolta dal processo secondario consista solamente
nell’accettare o rifiutare quanto prodotto dal processo primario. Si deve piuttosto pensare
che il processo secondario ricorre ad un esame di creatibilità, quando si debba decidere
circa l’accettazione o il rifiuto del materiale concepito.

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2. Arieti sintetizza le varie funzioni svolte dal concetto che ci offre una descrizione pi o
meno completa; ci permette di organizzare dal momento che le parti o attributi diversi
appaiono logicamente correlati
3. Il terzo aspetto si riferisce alla capacità che i concetti hanno di riguardare non solo ciò
che c’è ma anche ciò che appare possibile.

Il prodotto creativo
Definiti i prerequisiti del processo creativo e chiarite le basi strutturali dello stesso, risulta
possibile analizzare la dinamica sottesa al prodotto creativo. Arieti propone l’analisi di una serie
di settori specifici nei quali la creatività umana ampiamente si dispiega. Il primo settore riguarda
il motto di spirito, produzione significativa e complessa, alla comprensione della cui dinamica
Freud aveva offerto un vigoroso contributo. Riprendendo la posizione freudiana ed analizzando
una serie di motti di spirito, l’A. perviene alla conclusione che il carattere spiritoso della battuta
non stia soprattutto nell’uso della paleologia basata sul processo primario o della logica
difettosa. Il processo creativo proprio della battuta spiritosa consiste nella disponibilità di
meccanismi del processo primario o di meccanismi del processo secondario in genere rifiutati
perché difettosi; selezione e scelta di quelli che possono sembrare validi meccanismi del
processo secondario. La discordanza scoperta dall’ascoltatore attraverso il confronto provoca la
divertita reazione dello stesso. L’arte si fonda in larga misura sul rinforzo paleo logico e su una
serie di meccanismi ad esso collegati. Primo fra tutti è la concretizzazione del concetto che
appare evidente nel teatro dove tutto viene portato sulla scena. Forme complesse della
concretizzazione sono il come se e l’adualismo. Arieti, attraverso l’analisi dello sviluppo
dell’arte, dimostra come anche nelle arti visive sia presente quel fondamentale meccanismo
definito concretizzazione del concetto.

I fattori sociali creativogenici


Il processo creativo se è certamente un fenomeno intrapsichico non avviene nel vuoto culturale;
al contrario fa parte di un sistema aperto dal quale può peraltro ricevere contributi, promozioni o
limitazioni e freni. Arieti, pertanto ritiene di poter individuare 9 fattori creativo genici che per
comodità esplicativa possono essere separati.
- Il primo fattore consiste nella disponibilità dei mezzi culturali che ha reso possibile ad
esempio in Inghilterra uno sviluppo meraviglioso nel campo della letteratura e della
scienza, ma non nella musica

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- La seconda caratteristica creativo genica è l’apertura agli stimoli culturali


- Il terzo fattore è l’accento sul divenire e non soltanto sull’essere.
- Il quarto aspetto è relativo al libero accesso ai mezzi culturali per tutti i cittadini, senza
discriminazioni
- Un incentivo alla creatività è rappresentato dalla libertà o dalla conservazione di una
moderata discriminazione, dopo una grave oppressione o unì’esclusione assoluta
- L’esposizione a stimoli culturali diversi e persino contrastanti costituisce il sesto fattore
creativo genico
- La tolleranza e l’interesse per punti di vista divergenti
- L’interazione con le persone significative
- La promozione di incentivi e ricompense.

10. Re-flectere. Pensieri s-piegati e piegati


Sono trascorsi meno di cento anni da quella data, il 1900, in cui Freud, dando inizio alla svolta
epistemologica ha mostrato il collegamento tra il mondo dell’inconscio e l’umana capacità di
creare. È possibile rappresentare il processo creativo con una sorta di equazione i cui fattori noti
sono costituiti dagli argini psicodinamici mentre l’incognita è naturalmente la creatività.
1. L’equazione di stampo freudiano può essere rappresentata nel seguente modo. Inconscio:
emozionalità= nevrosi: X, dove l’incognita e cioè la creatività appare essere il prodotto
del rapporto tra le tensioni psicopatologiche connesse al controllo dell’emozionalità e la
dimensione inconscia che rappresenta il fattore di confronto.
2. La stessa rappresentazione grafica è in larghissima parte applicabile anche all’ipotesi
junghiana, con la differenza che al posto dell’inconscio individuale troviamo l’inconscio
collettivo. L’equazione diventa, quindi, inconscio collettivo: emozionalità = nevrosi: X
3. Per la teorizzazione di matrice kleiniana, il cambiamento da apportare all’equazione
riguarda il secondo fattore centrale. L’equazione pertanto diventa: inconscio:
Emozionalità= riparazione: X
4. Con l’ego psychology il cambiamento diventa sostanziale, poiché concerne sia il posto
dei fattori e dell’incognita, sia l’introduzione di un fattore prima assente: inconscio:
emozionalità= X: conscio.
5. L’approccio psicoanalitico basato sulla centralità del linguaggio ha introdotto ulteriori
modifiche, poiché ha sostituito il secondo fattore esterno con il linguaggio, assurto al
ruolo di argine di contenuto entro cui si dipana l’umano divenire psichico. Inconscio:
emozionalità= : linguaggio.
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6. Il culturalismo ha accentuato l’incidenza del sociale, utilizzato come secondo termine


esterno, per cui l’equazione diventa inconscio: emozionalità= X: sociale
7. L’equazione subisce una profonda riteutturazione con la teorizzazione adleriana piuttosto
che la sequenza cronologica, la posizione di cerniera epistemica che essa rappresenta
nell’ambito delle scienze psicologiche. Stile di vita: Emozionalità= sentimento di
inferiorità: X
8. Con Winnicott salta del tutto l’equazione nel senso che l’originaria struttura di
contenimento ( inconscio-conscio) viene sostituita da una dimensione unitaria che è
rappresentata dal concetto di fenomeno transazionale.

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